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Questa lezione è incentrata sulle descrizioni del mondo narrativo ed è la
prima di una serie di tre lezioni.
Dire poco: hai lavorato al mondo narrativo della tua storia, alla scheda
dei personaggi e alla trama in modo così viscerale e puntiglioso che,
quando decidi di trasferire tutto quello che sai sulla tua storia in un
impianto narrativo, siccome tu sai tutto e conosci ogni più piccolo
dettaglio, non metti nulla di quello che sai del mondo narrativo della tua
storia. Tanto è dentro la tua testa, tu riesci a seguire il filo dei tuoi
pensieri, quindi che importano i lettori?
La prima stanza emana un odore che non ha nome nel linguaggio, e che
bisognerebbe chiamare odor di pensione: tanfo di rinchiuso, di muffa, di rancido; fa
rabbrividire, è umido all’olfatto, penetra attraverso gli indumenti; ha il sentore di un
locale in cui si sia mangiato; puzza di gabinetto, di cucina, d’ospizio di vecchi. […] E
tuttavia, nonostante questi orrori, se paragonaste la stanza in parola alla contigua sala
da pranzo la trovereste elegante e profumata come il salottino di una dama. La sala,
interamente foderata di pannelli di legno, un tempo era dipinta di un colore che oggi
è divenuto indefinibile e che forma un fondo sul quale il sudiciume ha deposto vari
strati, tracciandovi bizzarre figure.
Continuiamo…
Questa stanza è in tutto il suo splendore nel momento in cui, verso le sette del
mattino, appare […] la vedova, agghindata nella sua cuffietta di tulle sotto la quale
pende una treccia finta, malamente appuntata. Essa cammina strascicando le
ciabatte grinzose. Il viso vecchiotto, tondo, in mezzo al quale s’erge un naso a becco
di pappagallo, le manine paffute, la persona grassoccia come un topo di chiesa, il
seno troppo colmo e ballonzolante, sono in armonia con quella sala che trasuda
miseria, dove la speculazione si è rincantucciata, e di cui la signora Vauquer respira
l’aria calda e fetida.
Solo transitare vicino a quel luogo ammorba l’olfatto, quindi come sarà
viverci? Come saranno gli abitanti di quel luogo così puzzolente? Come
possono sopportarlo?
Descrivere un interno
Un’altra bella gatta da pelare si presenta quando dobbiamo descrivere i
luoghi dove un personaggio si muove e agisce. Ho già riportato
l’interessante descrizione di un intero quartiere delle armi in poche
righe.
Ad un certo punto della storia, per varie motivazioni che non sto ad
approfondire, Elias si ritroverà rinchiuso in una cella. Mettiamo a
confronto la descrizione di questo luogo:
Elias sta vivendo una vita che odia, attimo dopo attimo, obbligato a fare
il soldato e a uccidere il prossimo senza averne la vocazione. Per lui
stare nella camera della caserma o stare in una cella, rappresenta
esattamente la stessa cosa: l’eliminazione, ancora una volta, del suo Io
e della libertà a cui anela.
Scomparvero nell’oscurità, in mezzo alla foschia che si alzava dal suolo umido, oltre
un fosso con dentro un carro capovolto e un cannone che puntava alla luna.
[ISTANTANEA]
In quella foschia c’erano cose terribili: uomini in marcia guidati dal generale Jackson
su un cavallo nero, donne piangenti, uccelli mostruosi, pipistrelli e altre creature
d’inferno. Vagavano in silenzio sul campo di battaglia, con il vento che frusciava tra
gli alberi secchi e il nostro vecchio stallone che nitriva e scalpitava nell’aria gelida.
Faceva un caldo terribile l’estate che il professor Robertson lasciò la città e per molto
tempo il fiume fu soltanto una cosa piatta stesa lì, al centro della città, come un
serpente marrone morto, con la schiuma giallastra a raccogliersi sulle sponde
fu soltanto una cosa piatta stesa lì, al centro della città, come un serpente marrone
morto, con la schiuma giallastra a raccogliersi sulle sponde.
La casa, piccola e umida, si era rivelata caldissima d’estate e fredda in inverno, ma, per
il resto, adatta alle loro esigenze. Costruita originariamente, all’inizio del secolo,
come piccola stalla per pochi cavalli, era stata in seguito trasformata nell’abitazione di
un custode; poi c’era stato l’incendio: la casa padronale della tenuta dei Crane
era andata distrutta fino alle fondamenta. Non f u mai appurato quali ne
fossero le cause. Probabilmente, l’impianto elettrico difettoso. Ma si
raccontavano storie secondo cui l’onorevole giudice Crane avrebbe avuto
un’amante che una notte gli avrebbe incendiato la casa. Un’altra variante
vedeva il giudice appiccare il f uoco di persona, dopo aver ucciso sua moglie, e
poi allontanarsi in macchina sull’autostrada, il cadavere di lei appoggiato sul
sedile al suo fianco con tanto di cappello in testa. O qualcosa di simile,
comunque.
Non ho messo questo passo nella descrizione degli interni perché a tutti
gli effetti la casa, nel suo interno, qui non viene mostrata. Quello che
l’autrice mostra, invece, con incredibile maestria, è uno dei sette
elementi che compongono un adeguato mondo narrativo: l’Epos, la
memoria storica collettiva (di cui parlo ampiamente in Progettazione su
Misura).
Non vi sarà spazio, nel resto del romanzo, per descrizioni così lunghe.
La Strout ha voluto dare fin dall’inizio al lettore tutti gli elementi per
orientarsi; poi, durante il romanzo, ha scritto delle sequenze descrittive
più brevi, che sono riuscite a centrare il bersaglio, cioè quello di far
richiamare, al lettore, la descrizione iniziale, che rimane statica nel suo
immobilismo provocato dall’eccezionale siccità, fino alla conclusione
della storia.
A Brancaccio la strada più bella si chiama viale dei Picciotti. C’è un marciapiede
tutto cacato, sette platani mezzi secchi, i negozi con l’insegna fulminata. Ci abitano i
benestanti: il cassiere del discount, il fruttivendolo con la pensione di invalidità, il
panellaro che vende i panini al liceo classico. Le ragazze del quartiere, quando si
comprano le scarpe nuove o quando si fanno le unghie dalla nigeriana ai domiciliari,
è lì che devono andare a passeggiare. I ragazzi infatti parcheggiano gli scooter sui
marciapiedi, ci si spaparanzano e guardano le passanti esternando apprezzamenti
poco velati.
Leggiamone un’altra:
Sul 224 non c’è un posto libero, ma nel mezzo dell’abitacolo c’è uno slargo dove
posso appoggiarmi a una parete e vedere fuori dal finestrino. Sulle strisce pedonali
una signora con un passeggino aspetta che qualcuno la faccia passare, ma nessuno
rallenta, nemmeno l’autista dell’autobus su cui viaggio. Sul marciapiede del Foro
Italico un simensaro occupa il transito, stipa i pistacchi, ordina i lupini sul bancone.
Cinquecento metri dopo, un pescivendolo, con le dita a molla, spruzza ghiaccio
triturato sul pesce esposto: un cimitero di cadaveri con le bocche spalancate. Dal
tabaccaio un fumatore ha appena comprato le sigarette: esce, butta per terra la
pellicola di plastica, porta in bocca una Marlboro ma non faccio in tempo a vedere in
che modo l’accende.
In questa prima parte di tre lezioni dedicate alla descrizione del mondo
narrativo, ho deciso di non mettere degli esempi scritti da Amelia.
Arriveranno nella terza parte.
Stefania
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