CAPITOLO UNO: L’obiettivo che si propone il libro di Bernardelli non è altro che quello di
cercare di capire come funziona e quali sono gli strumenti che permettono una buona
narrazione. Bisogna quindi cercare di capire ciò, attraverso l’effetto che la stessa narrazione
e le sue diverse funzioni producono sul lettore o spettatore.
Il primo concetto al quale si fa riferimento è l’incipit, ossia l’inizio di tutti i testi. Infatti il
termine incipit si traduce con le parole “qui comincia” e divenne famoso soprattutto grazie
ai fumetti di Charles Schulz (“era una notte buia e tempestosa”).
Proprio la parte iniziale del racconto, infatti, è quella più importante per far capire al lettore
di che tipo di testo si tratta, che tono o che ritmo possiede, consentendogli così anche di
giudicare se quel testo sarà o meno all’altezza delle sue aspettative. Per questo motivo, è
essenziale che il narratore, in qualche modo, cerchi sin da subito di imprigionare
l’attenzione del lettore al racconto con un processo che viene definito “sospensione
d’incredulità”.
* L’esempio più utilizzato di incipit è sicuramente il “c’era una volta”.
Tutto ciò però, non vuole dire che l’azione del racconto debba cominciare per forza nella
sua parte iniziale, può anche cominciare ad azione avvenuta, chiamata “ in medias res”,
nella quale al momento dell’apertura della narrazione si tengono conto di tutti gli
avvenimenti accaduti prima o dopo l’evento che ha aperto il racconto stesso.
Un racconto, dunque, può iniziare in vari modi:
1. Con la descrizione di un paesaggio (“quel ramo del lago di Como” – Promessi Sposi);
2. Può cominciare nel bel mezzo di una conversazione;
3. Nel modello autobiografico, può aprirsi con la presentazione dell’autore;
4. Può avviarsi da una riflessione filosofica;
5. Può iniziare con una cornice che, in un certo senso, è ideata per spiegare l’inizio del
racconto stesso.
Per quanto riguarda il cinema, molto spesso, l’incipit è rappresentato da una situazione
iniziale che spiega in realtà cos’è successo alla fine della storia. Dunque compito dello
spettatore, in questo caso, è quello di capire, in un certo senso, come il film sia potuto
arrivare a quel punto. L’incipit cinematogrefico è quel qualcosa che fornisce allo spettatore
delle istruzioni attraverso le quali “affrontare” ciò che poi accadrà nel film.
Proprio per questo, gli individui tendono molto di più a chiudere un libro se non è di loro
gradimento che abbandonare invece quelle che sono le sale cinematografiche o piuttosto
cambiare canale.
Un esempio che possiamo riportare di un incipit che parte dalla fine di un film è quello di
“Sunset Boulevard” (di Billy Wilder) dove, già dall’inizio, la voce narrante è rappresentata
da colui che è morto nel film stesso e che ci spiega tramite un lunghissimo flashback come
la sua morte sia avvenuta.
Altro tipo di incipit diverso dai precedenti è il cosiddetto incipit seriale, ovvero legato alle
serie tv. In questo caso, l’incipit prende il nome di “pilot” che rappresenta appunto il primo
episodio di una nuova serie tv. Questo episodio, deve contenere tutte le ragioni e le
tematiche possibili per far sì che lo spettatore venga subito attratto dalla serie. Di solito,
questo genere di episodio è fatto in modo tale che gli argomenti che ricorrono in esso si
sviluppino poi durante l’arco temporale almeno della prima stagione della serie stessa, per
avere così più o meno chiara quella che sarà la sua stessa struttura narrativa.
CAPITOLO DUE: Solitamente, per produrre una narrazione efficacie, l’autore affronta tre
momenti fondamentali:
1. l’invetio → ovvero raggruppare tutte le idee che si hanno nella propria mente
2. la dispositio → ovvero il disporre queste stesse idee
3. l’elocutio → ossia cercare di capire come esporre e narrare le idee.
Spesso però, dobbiamo prima renderci conto di cosa può essere narrato e cosa no e capire
anche se ciò che si narra può risultare interessante agli occhi degli altri. Per fare ciò, ci si
può servire delle figure retoriche della reticenza – l’accennare qualcosa senza però dare
ulteriori dettagli – e l’ellissi narrativa – l’omettere completamente una vicenda.
Il primo e il secondo momento, possono poi essere paragonati rispettivamente alla fabula e
all’intreccio. Per fabula, si intende una storia raccontata da un punto di vista causale e
cronologico; con l’intreccio si indica invece un racconto narrato da una determinata
prospettiva. Proprio per quest’ultimo motivo l’intreccio è definito come una diversa
disposizione degli eventi che possono essere narrati nella fabula: anche perché, caratteristica
fondamentale dell’intreccio è quella di non mantenere un ordine cronologico ben definito e
di cambiare i cosiddetti vincoli temporali del racconto.
Un altro esempio del rapporto tra i primi due momenti fondamentali ce lo da il cinema con
il soggetto e la sceneggiatura in sé: il primo rappresenta il nucleo, il focus su cui si baserà
poi tutto il film; il secondo contiene invece la vera e propria struttura narrativa del film con
la descrizione al dettaglio di tutte le azioni che avverranno in esso. Prima di passare a una
vera e proprio fase di scrittura, si hanno anche due fasi ulteriori:
- la scaletta → che ricostruirà quali e come avverranno tutti i colpi di scena del film stesso,
incentrandosi principalmente sulla struttura narrativa esterna;
- il trattamento → dove invece viene attenzionata la vita e soprattutto il passato dei
personaggi stessi, il motivo per il quale essi si trovano lì e qual è il loro scopo (ossatura
profonda del film, il suo scheletro).
Esistono dei modelli generali attraverso cui disporre il materiale narrabile. Un contributo
fondamentale in questo campo è stato dato da Vladimir Propp il quale, studiando le fiabe,
riuscì ad estrapolare le 31 funzioni essenziali di esse, dunque le sue parti più importanti.
Spesso una fiaba, comincia con una situazione che si allontana da quella iniziale per andare
a creare così un vero e proprio squilibrio nella storia che poi si risolverà dopo che il
protagonista avrà affrontato vari conflitti e avventure e sarà riuscito a ristabilire un nuovo
equilibrio sconfiggendo l’antagonista e sposando la principessa.
Esistono sette diverse categorie di personaggio:
1. L’eroe
2. L’antagonista che si oppone all’eroe
3. Il premio dell’eroe o la principessa
4. Il mandante
5. L’aiutante
6. Il donatore
7. Il falso eroe
Un ruolo può essere ricoperto da vari personaggi e viceversa, un personaggio può ricoprire
più ruoli.
Altri autori da citare per quanto riguarda i modelli generali su cui si costituisce una
narrazione efficacie sono poi Campbell e Vogler, rispettivamente con “Il mito dell’eroe” e
“Il viaggio dell’eroe”, opere nelle quali viene descritto, oltre che il racconto, anche il modo
in cui gli individui debbano affrontare la loro vita. La situazione iniziale parte sempre con lo
spiegare in quale situazione il protagonista si trova, per poi affrontare quelle che saranno le
sue peripezie alla ricerca di qualcosa o qualcuno che lo porteranno a ristabilire l’equilibrio
che si era rotto al punto di partenza. Allo stesso modo, l’uomo dovrebbe cercare di
affrontare le difficoltà e gli ostacoli che la vita gli pone davanti per vivere sereno e riuscire a
raggiungere i suoi obiettivi.
Esistono poi diversi tipi di archi narrativi che, lo stesso Aristotele ha fatto dipendere
dall’assenza o dalla presenza di due fattori:
- la peripezia → ovvero qualcosa che blocca e quindi rovescia l’andatura del racconto
- il riconoscimento → il passaggio dalla non conoscenza alla conoscenza.
Lo scrittore Vonnegut ha invece cercato di rappresentare questi archi narrativi come un via
vai che avviene in un asse cartesiano, identificando così 3 modelli:
1. Man in hole: dove il protagonista, dopo una serie di vicissitudini riesce a ristabilire una
situazione positiva con un lieto fine;
2. Boy meets girl: dove abbiamo lo schema tipico di un romanzo nel quale la linea dell’asse
cartesiano va prima in discesa e poi risale verso il lieto fine;
3. Tragedy: in questo caso, invece, nell’asse cartesiano si ha prima una discesa, poi una
risalita che però non dura a lungo, ritorna poi verso il verso e finisce con la tragedia finale.
Partendo da questa idea alcuni ricercatori americani hanno identificato sei archi narrativi
emozionali:
- Dalle stalle alle stelle – Ascesa
- Dalle stelle alle stalle – Discesa
- L’uomo nella fossa – Caduta/Ascesa (romanzo di formazione)
- Icaro – Ascesa/Caduta (drama)
- Cenerentola – Ascesa/Caduta/Ascesa (fiaba, comedy, sentimentale)
- Edipo – Caduta/Ascesa/Caduta (tragedia)
CAPITOLO TRE: Oltre ai tre momenti per produrre una narrazione efficacie, la retorica
distingueva due ulteriori tecniche: la memoria e l’actio, dove la prima comprendeva tutte le
tecniche di memorizzazione dei discorsi, mentre la seconda riguardava il modo in cui le
parole dovevano essere accompagnate dalla mimica, ossia principalmente dalla gestualità.
La prima delle due tecniche rimanda a quella che è la funzione dello spazio narrativo,
proprio perché a quei tempi si usava ricorrere alla memorizzazione delle stanze e dei luoghi
di un ambiente al fine di associare ad esso i discorsi dei personaggi. Bisognava dunque
definire uno spazio che facesse da contorno a ciò che riguardava poi le conversazioni che
avvenivano tra un personaggio e l’altro.
Oltre a ciò, si usa distinguere nello spazio della narrazione le parti dedicate al racconto
(ovvero le parti statiche, dove si “racconta lo spazio circostante) e le parti dedicate alla
descrizione (le parti più dinamiche, dove si descrive l’azione in sé).
Proprio quest’ultima parte, ha il compito di portare dinamismo, movimento e velocità
all’azione, di non far perdere mai il ritmo accelerato della narrazione al lettore, così da
imprigionarlo in una sorta di tensione emotiva.
Un esempio che possiamo citare è quello de “I Promessi Sposi”, nella scena in cui Renzo e
Lucia – intenti a sposarsi – architettano un piano per ingannare Don Abbondio, il quale a
tutti i costi cercava di impedire che questo accadesse. Questa scena, infatti, mostra come
Manzoni sia stato più che capace di descrivere azione per azione di ogni personaggio
mantenendo costante il ritmo della narrazione.
Al contrario, il “raccontare lo spazio”, si riferisce al descrivere e dunque significa
aggiungere e specificare qualcosa in alcune parti del testo, soprattutto in parti in cui è in atto
un’azione e l’autore invece si sofferma sul descrivere un qualcosa per creare ancora più
suspense nel lettore. Proprio l’autore che, in molti casi, è anche l’autore del testo, guida
questa descrizione da un punto di vista onnisciente, ovvero dal punto di vista di colui che sa
tutto del racconto. Altre volte invece, la descrizione può essere presentata da un personaggio
che partecipa attivamente al corso della storia.
Un esempio riguardo il raccontare lo spazio, sempre per citare “I Promessi Sposi”, è
rappresentato dall’incipit stesso del testo, dove Manzoni introduce la descrizione del
paesaggio trasmettendo al lettore sentimenti di calma e quiete che poi l’autore stesso
deciderà in un certo senso di “rompere”, cominciando a narrare quelle che saranno poi tutte
le peripezie dei due protagonisti, incrinando così quell’atmosfera idilliaca che lui stesso
aveva creato poco prima.
Sempre collegandoci allo spazio della narrazione, sono state individuate due modalità di
rappresentazione dello spazio:
- La map view: dà una prospettiva più ampia sullo spazio narrativo, ed è assimilata quella
che in termini cinematografici si chiama establishing shot.
- La tour view, una presentazione dinamica dello spazio che può organizzarsi secondo due
soluzioni differenti:
a) gaze tour in cui un personaggio fermo descrive l’azione che lo circonda;
b) body tour nel quale invece il personaggio si sposta, dunque non è più statico.
Oltre allo spazio, altro punto da tenere in considerazione è il tempo del racconto, che deve
sempre avere una sua cronologia interna rispetto a quella reale. Ovviamente, far coincidere
entrambe le cose, andrebbe a intaccare la scorrevolezza di un testo, rendendo i ritmi più lenti
e lunghi, proprio per questo in una narrazione ci sono sempre dei cosiddetti salti o tagli
temporali. Essenzialmente, si distinguono tre tipi diversi di temporalità nel racconto:
1. Il tempo della storia, che misura l’effettiva estensione e durata cronologica delle
vicende narrate;
2. Il tempo della narrazione, che riguarda la collocazione temporale dell’autore;
3. Il tempo del racconto, che riguarda le forme in cui vengono rappresentate le vicende
del tempo della storia.
Esistono poi altri tre collegamenti che legano il tempo della storia al tempo del racconto:
a) La durata, funzione che riguarda la narrazione degli eventi in sé, all’interno della
quale si fa molto spesso uso di figure come l’ellissi (per omettere una parte della
storia); del sommario (per comporre un riassunto degli eventi e collegare parti del
racconto), e, infine, la scena (il riportare pause riflessive o discorsi diretti) che serve
all’autore per evidenziare e far prestare attenzione a determinate parti della
narrazione.
b) L’ordine, funzione che invece riguarda la sequenza interna degli eventi, che avviene
tramite prolessi, ovvero l’anticipare qualcosa nel testo; o tramite analessi, ovvero
introdurre delle retrospezioni all’interno del testo. La prima delle due, per far notare
al lettore la situazione di parallelismo che molto spesso lega due eventi della
narrazione, oppure per prestare attenzione ai cambiamenti e alle svolte che sono
avvenute durante il racconto. La seconda invece, cerca di chiarire alcuni aspetti che
solitamente riguardano avvenimenti accaduti in passato ai personaggi e che non sono
stati riportati completamente nella narrazione.
c) La frequenza, che è invece la quantità delle rappresentazioni degli eventi della storia
all’interno del racconto. Si può scegliere di dare una singola rappresentazione di un
evento che nella storia si è ripetuto più volte ( racconto iterativo), oppure limitarsi a
dare una singola rappresentazione di ogni evento puntuale (racconto singolativo).
Come abbiamo visto, dunque, lo spazio e il tempo in una narrazione tendono a
intrecciarsi continuamente. Questo legame è stato definito dallo studioso Bachtin con il
nome di “cronotopo”, che appunto rappresenta il trattare lo spazio e il tempo insieme,
come fossero un’unica funzione.
Abbiamo diversi livelli di cronotopo nei testi narrativi:
1° I cronotopi riguardanti il livello della storia (il mondo narrativo): sono i più astratti
e servono a definire i generi narrativi. L’esempio più comune è quello che si ha in un fil
di fantascienza, con uno spazio e un tempo alternativi e che non corrispondono per
niente alla nostra realtà di riferimento.
2° I cronotopi riguardanti il livello del racconto (l’intreccio): sono quelli che non
riguardano tutta la narrazione in sé ma sono invece relativi a un determinato ambiente e
a un preciso momento. Fra questi, ad esempio, c’è il cosiddetto cronotopo della soglia,
che attenziona o il momento in cui la storia è in crisi di sviluppo, o il momento in cui si
ha una svolta in positivo della vita di un personaggio.
3° I cronotopi riguardanti il livello della narrazione: sono quelli relativi al rapporto
cronotopico che si instaura fra in testo e il lettore stesso. Questo legame si può basare su
un qualsiasi argomento o tema che il lettore di sua spontanea volontà decide di
commentare, mettendo così in relazione le due possibili e distinte realtà, ossia quella del
testo e quella del lettore stesso.
CAPITOLO SEI: Il piacere della lettura e della visione, non si deve limitare al solo
divertimento o al cercare di trovare un modo per evadere dalla realtà: essa deve anche
provocare nel lettore effetti emotivi e cognitivi (ovvero l’acquisire conoscenze da ciò
che si è letto o visto). Proprio per questo, molto spesso è necessario dare una seconda
lettura o visione, semplicemente per capire meglio.
Questo concetto ci porta alla distinzione principale dei tipi di lettore che si possono
ritrovare:
1) Il lettore semantico, che segue tutta la narrazione alla quale poi darà un significato
ben definito;
2) Il lettore critico è invece colui che si interroga sui modi e sugli strumenti con cui
l’autore è riuscito a costruire un testo.
Un’altra distinzione riportata da Eco, riguardante sempre lo stesso ambito di cui
parliamo, è quella che si basa sulla diversa realizzazione dei testi, quando l’autore, in un
modo o nell’altro, cerca di immaginare quale direzione interpretativa prenderanno i
propri lettori. Da qui si distinguono:
1) Il testo aperto: ovvero quello che si apre a varie modalità di interpretazione,
lasciando libero spazio al lettore;
2) Il testo chiuso: che invece offre al lettore un senso unico sul quale la propria
interpretazione dovrà tendere.
Un esempio di quest’ultimo è il genere narrativo del thriller, proprio perché in esso abbiamo
una struttura narrativa già stereotipata, che deve seguire un percorso specifico per arrivare a
una conclusione che dia una sola interpretazione possibile.
Una narrazione è una macchina realizzata in modo da prevedere la cooperazione tra i lettori,
ma Eco la definisce una “macchina pigra”, un meccanismo che richiede uno sforzo perché si
avvii. Una narrazione è quindi inevitabilmente piena di ellissi, o di buchi narrativi, che
lasciano molte cose non dette (soprattutto per la lunghezza che comporterebbe inserirle) in
modo che possano essere completate dal lettore, che deve compiere uno sforzo
interpretativo per riempire il buco nel racconto ricostruendo ciò che non viene detto.
Le scienze cognitive hanno chiamato queste competenze “scripts” o “sceneggiature”, un
insieme di comportamenti e situazioni stereotipate (che già sappiamo, tipiche) che si sono
apprese attraverso l’esperienza quotidiana. Anche la competenza intertestuale, che ci deriva
da altri testi e permette di sapere come le cose sono andate o andranno in un certo tipo di
racconto o in uno specifico genere narrativo, crea nella nostra mente una vera e propria
sceneggiatura di quel genere di narrazione. Eco ha chiamato “passeggiate inferenziali”
quelle operazioni cognitive svolte dal fruitore di una narrazione per ricostruire il senso
complessivo di un racconto.
(La studiosa Monika Fludernik, invece, ha presupposto che ogni lettore sfrutti, per
comprendere una narrazione, i parametri cognitivi che gli vengono dalla sua esperienza
quotidiana).
Non tutto nella storia è frutto dell’immaginazione dell’autore, resta comunque uno spazio
per la realtà. La storia del racconto si trova spesso correlata con la Storia, intesa come realtà
storica di fatti ed eventi documentati. Dunque, il testo letterario non farà riferimento a una
realtà materiale ma ad altri testi: è questo il caso in cui si parla di intertestualità. Questa
scelta dipenderà fortemente da quella che è l’ideologia dell’autore, ossia le idee e i principi
appartenenti a un determinato periodo storico che egli stesso sceglierà.
CAPITOLO SETTE: Il letterario inglese David Lodge afferma che ci sono tre generi di
racconto: quelli che finiscono male, quelli che finiscono bene e quelli che non hanno una
vera conclusione. L’ideale dell’happy ending proviene dalla letteratura indirizzata a un vasto
pubblico di massa, l’intento è quello di istruire e divertire il pubblico imponendo una
risoluzione della storia in cui il bene e i giusti trionfano (I Promessi Sposi con il matrimonio
di Renzo e Lucia).
Tuttavia una storia può in modo più realistico finire male (Notre Dame de Paris –
Quasimodo e Esmeralda).
O può anche permettere al lettore di immaginare una conclusione, una sorta di finale a metà
che lascia suggerire un proseguimento (Papà Goriot di Balzac – finisce lanciando una sfida
al mondo che affronterà).
Altri romanzi che non hanno una vera e propria conclusione sono le forme di narrazione
seriale: narrazione che prevede un seguito o un proseguimento, il falso finale della serialità
narrativa. In ambito letterario esistono tanti esempi di saghe narrative in cui il finale di ogni
volume è costruito in modo da conservare alcune questioni aperte (es. Harry Potter, Il
Signore degli Anelli…).
Si possono avere finali chiusi o aperti dunque:
1° Lieto fine o in tragedia (con la morte del protagonista); possono avere anche un finale
chiuso ma inaspettato, che sorprende il lettore/spettatore; finale circolare è un finale chiuso
dove si ritorna al punto di partenza.
2° sono quelli in cui la conclusione non è molto chiara e si lascia immaginare la fine al
lettore/spettatore tramite logica della narrazione stessa o mettendo insieme vari elementi
attraverso cui può trarre conclusioni.