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Nella Poetica Aristotele afferma che oggetto della tragedia più che il
vero è il versimile (ciò che può verificarsi secondo verosimiglianza e
necessità). La poesia è più filosofica della storia, in quanto la poesia
esprime l’universale, la storia il particolare. In virtù di tale
universalità l’arte non è mero gioco formale, ma tende a configurarsi
come mezzo per rappresentare l’essenza delle cose, come qualsiasi
attività l’arte è dotata di una eminente funzione conoscitiva. Ciò che
l’arte rappresenta non è inganno, ma realtà che può essere oggetto
di sapere. Inoltre se per Platone l’arte incoraggia le passioni, per
Aristotele esercita una funzione purificatrice, liberando l’anima dalle
passioni che essa rappresenta, perciò può avere un ruolo educativo
per l’uomo. Certo, vengono presentati anche dei personaggi
negativi, in cui ci si può riconoscere, ma se da un lato la fallibilità del
personaggio ce lo fa sentire vicino, dall’altro la responsabilità del
fallo ricade intermente su di lui. L’errore segna il limite
dell’identificazione.L’immagine può sortire inoltre un effetto
contrario all’originale. Certe immagini che nella realtà possono
metterci a disagio o disgustarci, riprodotte provocano piacere.
Aristotele considera l’arte come un contenitore che comprende le
cose “che possono essere diversamente da ci che sono”, quindi non
risultano soggette alla necessità che è propria della scienza. L’arte
vive in uno spazio di possibilità e libertà.
Infine, alla base delle differenze tra i due filosofi c’è una diversa
concezione di mimesis, che oscilla tra l’interpretazione passiva di
Platone, a mimesis come operazione attiva di Aristotele.