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Diverse prospettive nel modo di intendere

l’arte: Platone e Aristotele


Entrambi partono dal concetto di mimesis, che ridotto al significato
base significa imitare, ma si ammanta di una connotazione e di
valore diverso in base al periodo storico, alla scuola, al filosofo, al
critico, all’artista ecc. che la utilizza. Partiamo da qui per vedere
quanto diverse siano le posizioni a cui approdano i due filosofi, e
appunto quale valenza assuma il termine che informa il fare arte.
Mimesis come nodo essenziale e valutativo non solo dal punto di
vista tecnico, ma anche ideologico.

Platone. È bene partire da una premessa, necessaria per capire: nel


secondo periodo della sua attività di filosofo, Platone elabora la
teoria delle idee. Egli inizialmente aveva appuntato la sua
attenzione sull’insegnamento del maestro Socrate, e sul metodo
delle definizioni (maieutica), come primo passo per andare oltre il
relativismo sofistico e giungere ad un sapere assoluto. Inoltre
bisogna tenere a mente, per capire la genesi della teoria delle idee,
l’approfondimento platonico del concetto di scienza, che per il
filosofo ha i caratteri di stabilità ed immutabilità, quindi della
perfezione. Quale sarà la realtà fotografata dal sapere? Non possono
costituire oggetto della scienza le cose del mondo apprese dai sensi,
che sono mutevoli ed imperfette, corrispondenti a quella forma di
conoscenza mutevole ed imperfetta detta opinione (doxa). Oggetto
della scienza non possono essere che le idee, esse rappresentano
un’entità perfetta ed immutabile che esiste per suo conto,
costituendo una zona d’essere diversa dalla nostra chiamata
iperuranio (al di là del cielo). Ciò non esclude uno stretto rapporto
tra le cose e le idee, infatti le prime costituiscono una sorta di copia
imperfetta delle seconde. Ad esempio, nel nostro mondo possiamo
trovare cose più o meno belle, ma nel mondo delle idee esiste la
bellezza.

Passiamo all’arte. Platone ne parla nella Repubblica, illustra una


posizione che si conclude con la sua messa al bando dall’educazione
dei filosofi per due motivi: uno metafisico-gnoseologico, l’arte è
imitazione di qualcosa (gli oggetti, la natura) che è di per sé
imitazione delle idee, per questo l’arte è di “tre gradi lontano dal
vero”. Anziché spingere l’anima verso le idee, l’arte tende a renderla
prigioniera di questo mondo.L’altro di natura pedagogica: l’arte è
negativa in quanto corrompe l’anima, i futuri re filosofi devono
essere distaccati dalle emozioni, e l’arte è tramite privilegiato delle
passioni. Esclude però dalla condanna i miti, in quanto non
riproducono il mondo sensibile, ma cercano di dar forma
intelleggibile alle cose che sono ultraterrene. L’arte può esistere solo
se assoggettata alla filosofia, come momento di integrazione per
esprimere e far capire la verità. Limitata a sé l’arte è falsa. L’arte per
Platone non ha una propria autonomia, viene recuperata solo come
“strumento”, come compendio assoggettata alla filosofia, alla
necessità di educare.

Più nel dettaglio Platone distingue due tipi di mimesis: quando si


riproducono esattamente le proporzioni dell’oggetto considerato;
quando tiene conto dell’osservatore ed attua una serie di
accorgimenti illusionistici che sembrano alterare la realtà, come in
architettura. Nella dialettica realtà-apparenza il compromesso è
impossibile, ogni apparenza è un tradimento della verità, dato che
reali sono solo le idee, illusioni le cose di questo mondo. Una seppur
limitata rivalutazione dell’arte è ravvisabile nell’ultimo Platone,
quello delle Leggi, indica però come positiva un’arte “simbolica”
come quella egiziana, libera dalle illusioni e rivolta alle verità eterne,
in tal modo può avere funzione di educazione per i cittadini.

Aristotele. Anche per lo Stagirita l’arte è imitazione, e in quanto


imitazione ha un proprio fondamento naturale “l’imitare è
connaturato agli uomini […] tutti traggono piacere dalle imitazioni”.
Il termine mimesis viene usato da Aristotele con un ampio spettro
semantico, oscillando da mimesis come simulazione, a mimesis
come rappresentazione. Nella simulazione è implicito l’inganno,
accettato ed anche apprezzato; nella rappresentazione invece è
implicita la connotazione della riproduzione, della fabbricazione: una
tecnica che crei qualcosa di vicino al modello, ma che non pretende
di sostituirlo (la connotazione prevalente è quella di manufatto che
riproduce senza pretendere di sostituirsi all’originale). Riconoscere
che alla base del fare arte ci sia una tecnica è un passaggio
importante, non è assente in Paltone, ma qui è usata come
elemento di riconoscimento della piena autonomia dell’arte rispetto
all’altro, con cui si vuole alludere alla tensione tra le leggi costitutive
dell’attività formale, e l’emergenza di impulsi sociali ed ideologici
con cui l’arte viene a contatto o si scontra nella realtà (Bernabei).
Per Aristotele ogni forma d’arte è imitazione della natura, e questo
ha ricadute positive. Ma c’è di più: le produzioni artistiche si
distinguono da quelle della natura perché sono: quelle cose che si
trovano nell’animo dell’artista, altro passaggio importante, perciò la
produzione artistica non si identifica con la mera attività
pratica. L’artista può rappresentare le cose in tre modi “come furono
o sono, come si crede o si dice siano, o come dovrebbero essere”.

Nella Poetica Aristotele afferma che oggetto della tragedia più che il
vero è il versimile (ciò che può verificarsi secondo verosimiglianza e
necessità). La poesia è più filosofica della storia, in quanto la poesia
esprime l’universale, la storia il particolare. In virtù di tale
universalità l’arte non è mero gioco formale, ma tende a configurarsi
come mezzo per rappresentare l’essenza delle cose, come qualsiasi
attività l’arte è dotata di una eminente funzione conoscitiva. Ciò che
l’arte rappresenta non è inganno, ma realtà che può essere oggetto
di sapere. Inoltre se per Platone l’arte incoraggia le passioni, per
Aristotele esercita una funzione purificatrice, liberando l’anima dalle
passioni che essa rappresenta, perciò può avere un ruolo educativo
per l’uomo. Certo, vengono presentati anche dei personaggi
negativi, in cui ci si può riconoscere, ma se da un lato la fallibilità del
personaggio ce lo fa sentire vicino, dall’altro la responsabilità del
fallo ricade intermente su di lui. L’errore segna il limite
dell’identificazione.L’immagine può sortire inoltre un effetto
contrario all’originale. Certe immagini che nella realtà possono
metterci a disagio o disgustarci, riprodotte provocano piacere.
Aristotele considera l’arte come un contenitore che comprende le
cose “che possono essere diversamente da ci che sono”, quindi non
risultano soggette alla necessità che è propria della scienza. L’arte
vive in uno spazio di possibilità e libertà.

Se Platone subordina l’arte ad altre esigenze, Aristotele le riconosce


un campo autonomo nell’agire che ha un’alta funzione e utilità, sia
per chi fa “imitando si impara”, sia per chi poi guarda. Se per
Platone l’arte è una copia fuorviante di ciò che esiste, per Aristotele
è costruzione. Quindi per Platone è registrazione passiva di qualcosa
che già c’è (e che a sua volta è una copia), per Aristotele fare arte è
un’operazione attiva che coinvolge la sensibilità, è un’operazione
intellettuale che prevede la scelta, una selezione della realtà che
permette che questa sia capita, e permette di fornire un messaggio
universale. Per Platone l’arte è subordinata all’idea di verità;
Aristotele riconosce l’autonomia dell’esperienza arte, le sue
peculiarità, le sue possibilità.

Infine, alla base delle differenze tra i due filosofi c’è una diversa
concezione di mimesis, che oscilla tra l’interpretazione passiva di
Platone, a mimesis come operazione attiva di Aristotele.

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