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SEMIOTICA
SEMIOTICA:
Scienza
che
studia
i
sistemi
di
significazione
e
i
processi
di
comunicazione,
analizzandone
i
modi
di
funzionamento,
le
strategie,
le
trasformazioni
e
traduzioni.
E’
una
riflessione
di
carattere
prevalentemente
filosofica
interessata
alla
comprensione
dei
fenomeni
signici.
Il
padre
della
semiotica
di
orientamento
filosofico
è
Peirce,
mentre
quello
della
semiotica
a
orientamento
linguistico
è
Saussure
a
cui
si
deve
il
corso
di
linguistica
generale
considerato
il
testo
di
base
della
linguistica,
della
semiotica
novecentesca
e
dello
strutturalismo.
STRUTTURALISMO:
Lo
strutturalismo,
dice
Barthes,
è
un’attività,
un
fare,
un
modo
di
operare
sulla
realtà
per
conoscerla
(l’uomo
strutturale
prende
il
reale,
lo
scompone,
lo
ricompone).
Essere
strutturalisti
significa
fare
sempre
un
passo
indietro
rispetto
a
ciò
che
percepiamo.
Il
modo
migliore
per
vedere
qualcosa
è
vedere
qualcuno
che
non
riesce
a
vederla.
E’
a
questo
allora
che
serve
il
modello
strutturalista,
a
fare
un
passo
indietro,
a
recuperare
una
coscienza
critica
e
uno
sguardo
neutro
sul
modo
in
cui
la
realtà
che
ci
circonda
si
costituisce
in
quanto
significante.
Il
suo
lavoro
non
si
ferma
mai
alla
dimostrazione
di
una
intuizione,
ma
deve
andare
oltre,
ritornare
alla
teoria
che
ha
usato
alla
luce
di
quel
risultato
per
valutarne
i
limiti
e
arricchirla.
Il
fondamento
concettuale
dello
strutturalismo
consiste
nell’affermare
che
il
valore
di
un
elemento
non
è
ad
esso
intrinseco
ma
deriva
dal
modo
in
cui
questo
risulta
inserito
nella
struttura
che
lo
accoglie.
SEGNO:
Per
Saussure
il
SEGNO
è
l’unione
di
due
entità,
significato
e
significante.
Prima
della
lingua
il
pensiero
è
una
massa
amorfa.
La
LINGUA
lavora
su
due
piani:
quello
del
pensiero
e
quello
che
ci
consente
di
esprimerlo
attraverso
quell’immagine
acustica.
Non
è
possibile
separare
ciò
che
pensiamo
dalla
lingua
nella
quale
lo
facciamo.
I
due
piani
del
linguaggio
esistono
l’uno
in
funzione
dell’altro.
Tutto
il
processo
di
significazione
rimane
interno
alla
lingua
impiegata.
Saussure
getta
così
le
basi
della
SEMIOLOGIA,
intendendola
come
quella
disciplina
che
avrebbe
dovuto
occuparsi
di
tutti
i
sistemi
di
segni
dei
quali
l’uomo
fa
uso
per
comunicare.
Il
segno
linguistico
unisce
un
concetto
a
un'immagine
acustica.
Il
segno
linguistico
è
un'entità
psichica
a
due
facce
(concetto
da
un
lato,
immagine
acustica
dall'altro)
ed
è
caratterizzato
da
due
principi
primordiali:
l'ARBITRARIETA’
e
la
LINEARITA’.
“ARBITRARIO”
non
vuol
dire
soggettivo
e
libero,
ma
piuttosto
“immotivato”,
cioè
non
necessario
in
rapporto
al
significato
che
viene
espresso,col
quale
non
ha
nella
realtà
nessun
aggancio
naturale.
Il
legame
che
unisce
il
significante
al
significato
è
arbitrario
poiché
intendiamo
con
segno
il
totale
risultante
dall’associazione
di
un
significante
a
un
significato,
anche
se
attorno
a
innumerevoli
convenzioni,
per
questo
infatti
è
immotivato.
LINEARE
perché
il
significante,
essendo
di
natura
auditiva,
si
svolge
nel
tempo,
ne
rappresenta
un'estensione,
misurabile
in
una
sola
dimensione:
una
linea.
Saussure
parla
di
una
linguistica
SINCRONICA,
che
si
occupa
degli
aspetti
statici,
e
di
una
linguistica
DIACRONICA,
che
si
occupa
degli
aspetti
evolutivi
delle
lingue.
Saussure
fa
vari
esempi,
tra
cui
quello
della
partita
a
scacchi:
ci
poniamo
in
una
dimensione
sincronica,
nel
senso
che
osserviamo
una
fase
della
partita,
e
diacronica
se
analizziamo
la
partita
dall'inizio.
Può
essere
pensato
come
in
due
assi:
quello
della
simultaneità
(sincronia),
che
vede
il
sistema
in
un
determinato
momento,
e
quello
delle
successioni
(diacronia),
che
con
gli
elementi
in
ordine
sequenziale
pone
l'attenzione
sugli
aspetti
evolutivi
dei
linguaggi.
IDENTITA’
E
VALORE:
due
segni
possono
essere
identici
anche
se
il
loro
aspetto
materiale
è
diverso,
ciò
che
conta
è
il
suo
valore,
cioè
le
relazioni
che
esso
ha
con
gli
altri
segni
(nel
gioco
degli
scacchi
se
prendiamo
il
cavallo
esso
ha
significato
e
diventa
elemento
reale
solo
quando
viene
rivestito
del
proprio
valore
nel
gioco.
Esso
però
lo
si
può
sostituire
con
una
figura
priva
di
qualsiasi
rassomiglianza
con
il
cavallo
di
prima
ma
sarà
dichiarata
identica
a
quel
cavallo
perché
ad
esso
si
attribuisce
lo
stesso
valore).
Esiste
anche
la
dicotomia
RAPPORTI
SINTAGMATICI
(i
segni
linguistici
si
dispongono
l'uno
dopo
l'altro:
un
termine
acquisisce
il
suo
valore
solo
perché
è
opposto
sia
a
quello
che
precede
che
a
quello
che
segue,
ovvero
a
entrambi)
e
RAPPORTI
ASSOCIATIVI
(i
segni
si
collegano
virtualmente
sulla
base
di
analogie
acustiche
e
semantiche:
le
parole
in
comune
si
associano
nella
memoria
formando
dei
gruppi
ed
in
questo
modo
la
parola
farà
sorgere
una
folla
di
altre
parole).
Il
rapporto
sintagmatico
è
in
praesentia
:si
basa
su
due
o
piu
termini
egualmente
presenti
in
una
serie.
Il
rapporto
associativo
è
in
absentia:
unisce
dei
termini
in
un
serie
di
memoria
virtuale
(in
un
edificio
la
colonna
si
trova
in
un
certo
rapporto
con
lo
spazio
e
gli
altri
elementi
e
l’organzzazione
tra
queste
varie
unità
forma
un
rapporto
sintagmatico;
ma
se
questa
colonna
è
d’ordine
dorico
evocherà
il
confronto
mentale
con
altri
ordini
come
ionico
o
corinzio
che
non
sono
elemente
presenti
nello
spazio
ma
virtuali
e
ciò
porterà
ad
un
rapporto
associativo).
Il
senso
di
un
termine
deriva
allora
non
solo
dal
contesto
in
cui
si
trova
(sintagma),
ma
anche
dalla
lista
virtuale
dei
termini
all’interno
del
quale
esso
trova
la
sua
pertinenza
(paradigma).
Le
PAROLE
non
sono
i
segni
ultimi
e
irriducibili,
ma
possono
essere
analizzate
in
parti
che
come
le
parole
a
loro
volta
sono
portatrici
di
significato
(radici,elementi
di
derivazione
ecc).
Se
tutti
i
segni
sono
costituiti
da
“non
segni”
questi
ultimi
entrano
in
un
sistema
di
segni
come
parti
di
segni
e
saranno
chiamati
figure:
una
lingua
è
dunque
organizzata
in
maniera
che
grazie
a
un
gruppetto
di
figure
e
a
disposizioni
sempre
nuove
di
esse,
si
possa
costituire
un
numero
grandissimo
di
segni.
Le
lingue
sono
in
primo
luogo
sistemi
di
figure
che
si
possono
usare
per
costruire
dei
segni.
Nei
testi
visivi
le
immagini
che
vediamo
sono
l'espressione,
i
significati
che
vi
ritroviamo
sono
il
contenuto.
Da
qui
la
QUADRIPARTIZIONE
DEL
SEGNO
DI
HYELMSLEV:
egli
pensa
che
i
due
piani
del
linguaggio,
che
preferisce
chiamare
espressione
e
contenuto
non
siano
conformi.
Se
è
vero
che
la
il
ritaglio
che
la
lingua
realizza
consiste
sempre
di
entrambe
le
facce
del
linguaggio,
esse,
tuttavia,
non
rispondono
alle
medesime
logiche.
Come
se
in
un
foglio
di
carta
ci
fosse
da
un
lato
un
cerchio
e
dall’altro
un
quadrato.
Questo
perché
i
piani,
pur
essendo
strettamente
collegati,
funzionano
ognuno
secondo
i
principi
che
gli
sono
propri.
Al
principio
di
funzionamento
di
ognuno
di
questi
piani
diamo
il
nome
di
forma
e
all’esito
di
questa
messa
in
forma
diamo
il
nome
di
sostanza.
Così,
il
segno,
inizialmente
bipartito,
viene
suddiviso
in
quattro
elementi.
Concentrandoci
sul
contenuto,
se
ogni
linguaggio
serve
per
esprimere
un
dato
concetto,
una
materia
del
contenuto,
nel
modo
di
mettere
in
forma
tale
pensiero
accade
che
il
“non
so”
italiano
e
il
“je
ne
sais
pas”
francese
non
significano
la
stessa
cosa.
Il
non
so
diviene
specifico
della
cultura
che
l’ha
prodotto
assumendo
sfumature
di
senso
che
gli
sono
proprie
e
che
finiscono
per
caratterizzarlo.
L’importanza
sta
nel
rendere
evidente
l’operazione
di
messa
in
forma
che
ogni
linguaggio
realizza
su
quella
che
il
linguista
chiama
materia.
Se
voglio
veicolare
in
francese
quella
materia
del
contenuto,
quel
pensiero
astratto
che
in
italiano
esprimerei
con
la
frase
non
so,
dovrò
dire
je
ne
sais
pas
rimarcando
la
presenza
del
soggetto
(je)
e
introducento
una
doppia
negazione.
Con
l’inglese
si
inserisce
l’ausiliare
do
ecc.
Tutte
queste
frasi
da
un
punto
di
vista
semantico
sono
quasi
identiche:
hanno
la
stessa
materia
del
contenuto
ma
una
differente
forma
del
contenuto.
Si
deve
quindi
pensare
la
materia
del
contenuto
come
qualcosa
di
dicibile
comune
alle
varie
lingue
(in
sé
totalmente
astratto)
che
esse
prendono
carico
ognuna
a
suo
modo
facendone
una
sostanza
realmente
attestata,
un
contenuto
espresso
e
differentemente
messo
in
forma.
Egli
distingue
tra
SISTEMI
DI
SEGNI,
DI
SIMBOLI
E
DI
SEMISIMBOLI
aventi
in
comune
la
relazione
tra
un
piano
dell'espressione
con
uno
del
contenuto.
In
un
sistema
di
segni
(sistema
biplanare
o
sistema
semiotico
propriamente
detto)
si
ha
la
possibilità
di
scomporre
e
commutare
gli
elementi
di
un
piano,
restando
all'interno
del
sistema
stesso.
Espressione
e
contenuto,
in
presupposizione
reciproca,
non
sono
conformi.
In
un
sistema
simbolico,
per
certi
versi
accade
tutto
il
contrario:
gli
elementi
non
sono
scomponibili,
e
vi
è
conformità
tra
il
piano
dell'espressione
e
quello
del
contenuto.
Il
caso
più
interessante
è
quello
del
semisimbolismo,
in
cui
vi
è
conformità
tra
i
piani
e
commutabilità
tra
gli
elementi.
Un
sistema
semisimbolico
articola
categorie
del
piano
dell'espressione
con
categorie
del
piano
del
contenuto
attraverso
relazioni
oppositive.
Realizza
una
sorta
di
codice
che
funziona
localmente
in
un
testo.
Un
simbolo
è
quanto
di
più
arbitrario
ci
sia.
Si
pensi
alla
matematica:
le
operazioni
aritmetiche
possono
essere
considerate
come
della
manipolazioni
di
simboli
attraverso
regole
ben
precise.
Il
segno
di
addizione
"
+
"
non
è
scomponibile
in
"
|
"
e
"
-‐
",
perché
perderebbe
il
suo
significato.
Certo
esiste
la
sottrazione
"
-‐
",
ma
non
ha
alcuna
relazione
strutturale
con
il
simbolo
"
+
"
e
in
ogni
caso
il
segno
"
|
"
non
esiste,
né
tanto
meno
i
due
segmenti
rappresentano
due
addendi
di
una
somma.
L'esempio
per
eccellenza
è
quello
che
va
ad
associare
un
movimento
verticale
della
testa
con
l'affermazione,
e
un
movimento
orizzontale
con
una
negazione.
Le
categorie
in
gioco
nell'espressione
sono:
orizzontale
vs
verticale.
Dal
lato
del
contenuto
sarà
invece
il
concetto
di
affermazione
vs
negazione.
Il
simbolo,
insomma
è
un
segno
non
ulteriormente
scomponibile
in
figure,
i
cui
due
piani,
del
tutto
corrispondenti,
finiscono
per
appiattirsi
uno
sull’altro
e
per
questa
ragione
se
i
sistemi
semiotici
sono
biplanari
i
sistemi
simbolici
sono
detti
planari.
Il
concetto
di
segno
portato
nell’ambito
del
design
evoca
la
dicotomia
tra
FORMA
(significante)
e
FUNZIONE(significato)
di
discendenza
Saussuriana.
Nei
rubinetti
tradizionali
non
vi
è
alcuna
relazione
tra
l’azione
che
compiamo
e
l’effetto
che
ha,
ma
se
il
rapporto
azione-‐conseguenza
ci
sembra
naturale
è
perche
abbiamo
riconosciuto
un
preciso
codice
sociale.
Un
trono
è
prima
di
tutto
una
sedia
e
la
sua
funzione
primaria
è
quella
di
far
sedere
qualcuno.
Questa
funzione
cade
in
secondo
piano
se
si
pensa
al
fatto
che
chi
sta
seduto
lì
può
comandare.
Il
significato
del
trono
ha
dunque
un
valore
connotativo
di
gran
lunga
superiore
a
quello
denotativo.
SENSO:
Mettere
il
senso
in
condizioni
di
significare
è
diventato
lo
slogan
che
Greimas
ha
usato
per
indicare
lo
scopo
della
semiotica.
I
molteplici
LIVELLI
DI
SENSO
(conformazione
semantica
che
può
essere
semplice,
complessa,
astratta,
concreta)
definiscono
il
PERCORSO
GENERATIVO
DI
SENSO.
E’
il
modello
che
riassume
l’economia
complessiva
della
semiotica
narrativa
organizzandola
in
piu
livelli
di
pertinenza
che
vanno
da
un
massimo
di
generalità
e
astrazione
a
un
massimo
di
concretezza.
Tale
modello
chiarisce
che
il
senso
si
produce
dal
modo
in
cui
le
strutture
profonde
raggiungono
la
manifestazione
secondo
una
dinamica
generativa.
Il
percorso
parte
da
un
livello
semio-‐narrativo,
che
a
sua
volta
si
divide
in
un
livello
profondo
e
in
un
livello
di
superficie.
Al
livello
profondo
si
considerano
gli
aspetti
fondativi
impliciti
della
narrazione
che,
in
quanto
tali,
devono
essere
ricostruiti
dall’analisi.
Si
tratta
di
quelle
che
potremmo
chiamare
le
pre-‐condizioni
del
senso
che
trovano
espressione
nella
struttura
elementare
del
quadrato
semiotico.
Al
livello
di
superficie
ciò
che
era
pure
possibilità
semantica
prende
la
forma
si
un
sistema
di
attanti
e
modalità
e
ne
deriva
un
abbozzo
di
storia
che
viene
riassunto
nei
programmi
narrativi,
programmi
elementari
di
congiunzione
e
disgiunzione
che
sono
alla
base
di
qualunque
narrazione,
e
nello
schema
narrativo,
che
organizza
in
forma
schematica
l’evoluzione
complessiva
del
racconto.
Il
livello
successivo
è
detto
discorsivo
e
in
esso
le
strutture
elementari
ricevono
copertura
figurativa
e
prendono
forma
i
vari
temi.
Vengono
allora
individuati
precisi
attori,
spazi
e
tempi
in
cui
svolge
la
narrazione.
Si
perviene
alle
strutture
discorsive
per
il
tramite
della
procedura
di
enunciazione,
attraverso
la
quale
le
categorie
attoriale,
spaziale
e
temporale
vengono
sganciate
dal
presente
dell’io
qui
ora
dell’atto
enunciativo
per
evocare
un
altrove,
un
altro
momento
e
altri
personaggi.
Lo
scopo
di
questo
percorso
è
costituire
una
struttura
fondamentale
della
significazione,
uno
strumento
che
consente
di
prefigurare
i
principali
snodi
di
qualunque
struttura
di
significazione
e
di
porsi
delle
domande
pertinenti
riguardo
al
suo
funzionamento.
E’
generativo
nella
misura
che
prevede
diversi
livelli
di
pertinenza
che
vanno
dall’astrazione
alla
concretezza.
Un
oggetto
di
significazione
si
pone
quindi
come
una
sorta
di
iceberg
del
quale
si
coglie
normalmente
solo
la
parte
emersa
mentre
sotto
l’acqua
si
trova
una
massa
ben
più
grande.
La
GENERATIVITA’
riguarda
le
operazioni
conoscitive
che
un
soggetto
che
si
trovi
davanti
ad
un
testo
coeso
e
apparentemente
indivisibile
deve
fare
per
poterlo
smontare.
Ogni
testo
è
RIDICIBILE
grazie
agli
infiniti
modi
in
cui
può
essere
tradotto,
a
cominciare
dai
diversi
livelli
di
senso
che
può
avere.
Il
senso
può
essere
espresso
in
modo
più
o
meno
concentrato
(ridotto)
o
espanso
(dettagliato)
(La
storia
di
Ulisse
ad
esempio
può
essere
riassunta
in
una
frase:
Ulisse
torna
ad
Itaca,
oppure
può
dilungarsi
in
un
intero
poema
epico
come
l'Odissea).
Si
tratta
quindi
del
PRINCIPIO
DELLA
PARAFRASI
con
cui
qualsiasi
oggetto
semiotico
può
essere
espanso
o
concentrato
e
i
livelli
di
senso
sono
i
vari
modi
in
cui
esso
può
essere
parafrasato.
Per
questo
si
parla
di
percorso
generativo,
perchè
c'è
sempre
la
necessità
di
costruire
uno
strato
di
senso
che
permetta
di
far
luce
su
qualcosa
che
non
si
è
colto.
Ciò
che
ad
un
determinato
livello
di
senso
non
si
coglie
diviene
chiaro
in
un
altro
livello
di
senso.
Il
percorso
generativo
di
senso
appunto
è
uno
strumento
efficace
che
permette
di
articolare
tra
loro
varie
osservazioni
avanzabili
dinanzi
un
testo.
Il
senso
presente
in
qualsiasi
testo
è
articolato
di
significazione
in
base
ai
livelli
di
pertinenza
in
cui
è
collocato.
I
concetti
di
DENOTAZIONE
E
CONNOTAZIONE
sono
tanto
facili
da
capire
quanto
importanti
ai
fini
dell'analisi
del
senso
costruito
o
percepito.
Nella
pratica,
la
connotazione
è
fondamentale
per
la
scelta
per
un
nome
di
marca
o
di
un
prodotto.
Altri
esempi,
a
livello
di
sostantivi,
potrebbero
essere:
BIRRA
=
livello
DENOTATIVO
=
bevanda
alcolica
ottenuta
mediante
fermentazione
del
luppolo
;livello
CONNOTATIVO
=
germanicità.
AGO=livello
DENOTATIVO
=
mezzo
che
serve
per
cucire;
livello
CONNOTATIVO
=
spigolosità,
sensazione
dolorosa
di
puntura.
La
denotazione
è
quindi
condizione
necessaria
affinché
vi
sia
connotazione.
In
altre
parole,
se
si
afferra
un
secondo
senso
è
soltanto
perché
si
è
capito
il
primo!
Ovviamente
una
denotazione
non
implica
necessariamente
connotazioni.
La
significazione
(semiosi),
per
concludere,
non
sta
quindi
soltanto
nel
piano
denotativo,
ma
comprende
anche
le
eventuali
connotazioni,
cioè
tutti
gli
eventuali
contenuti
aggiuntivi.
TESTUALITA':
Il
TESTO
è
qualunque
configurazione
di
senso
(novella,
canzone,
film,
oggetto)
che
si
rende
percepibile
mediante
una
o
piu
sostanze
(linguistiche,
visive,
sonore).
I
testi
linguistici
sono
legati
alla
forma
della
comunicazione
verbale
che
la
specie
umana
ha
deciso
di
privilegiare
per
veicolare
i
proprio
messaggi.
E'
un
modello
teorico
usato
come
strumento
di
descrizione,
uno
schema
formale
per
la
spiegazioni
di
tutti
i
fenomeni
umani
e
sociali,
culturali
e
storici.
La
PAROLA
può
essere
portatrice
di
significato
in
sè,
essere
una
singola
entità
entro
una
frase,
essere
un
fonema,
essere
un
elemento
minimo
di
un
intero
discorso
e
cosi
via.
L'idea
di
NEGOZIAZIONE
è
costitutiva
della
testualità
perchè
la
caratteristica
fondamentale
del
testo
è
la
biplanarità
(due
piani,
espressione
e
contenuto,
ognuno
dei
quali
è
dotato
di
una
forma
che
la
ritaglia
e
di
una
sostanza
che
deriva
da
questo
ritaglio).
Del
testo
tutto
è
negoziato
(es.
lo
studioso
che
decide
di
considerare
un'intera
città
e
non
una
singola
area
urbana).
A
fondare
il
testo
è
la
SOLIDARIETA’
di
base
fra
una
forma
dell'espressione
e
una
forma
del
contenuto
che
fanno
emergere
significato
e
sostanza.
E'
solo
quando
vengono
date
entrambe
che
si
dà
un
senso
umano
e
sociale
al
testo.
Dalla
negoziazione
e
dalla
biplanarità
scaturisce
la
CHIUSURA
TESTUALE:
i
confini
testuali,
pur
essendo
negoziati
continuamente,
devono
esserci
(una
città
per
esistere
ed
essere
percepita
deve
avere
dei
confini).
Più
che
la
chiusura
è
la
tenuta
del
testo
a
essere
importante.
La
TENUTA
TESTUALE
genera
la
sua
articolazione,
la
sua
struttura,
i
suoi
bordi,
non
esclude
la
trasformazione
interna.
Un
testo
ha
anche
un
suo
sviluppo,
ciò
che
è
all'inizio
non
è
mai
alla
fine:
il
livello
profondo
del
percorso
è
quello
delle
strutture
narrative.
TRADUZIONE:
Jakobson
identifica
tre
tipi
di
traduzione:
la
TRADUZIONE
INTRALINGUISTICA
consente
di
tradurre
una
lingua
attraverso
quella
lingua
stessa
(parafrasi);
la
TRADUZIONE
INTERLINGUISTICA
ovvero
la
traduzione
propriamente
detta
che
si
ha
quando
riporto
un
contenuto
semiotico
da
una
lingua
all’altra;
la
TRADUZIONE
INTERSEMIOTICA
si
realizza
quando
un
contenuto
espresso
in
un
sistema
linguistico
viene
reso
attraverso
un
altro
sistema
linguistico
(un
film
tratto
da
un
romanzo).
Sarebbe
come
cambiare
la
sostanza
dell’espressione
e
mantenere
quella
del
contenuto.
Comunque
sia
per
quanto
ci
si
avvicini
non
si
riesce
mai
a
riprodurre
il
senso
del
testo
originario.
Non
è
diverso
il
mondo,
ma
il
sistema
linguistico.
L’unico
modo
che
ho
per
tradurre
è
tradire
il
testo
originale.
E’
qui
che
Lotman
introduce
il
concetto
di
SEMIOSFERA:
come
si
può
pensare
alla
biosfera
che
rappresenta
tutto
la
materia
vivente,
è
possibile
pensare
a
una
semiosfera
composta
dall’insieme
di
testi
e
linguaggi
che
l’uomo
produce
e
usa
per
comunicare.
Per
la
semiotica
le
culture
sono
"semiosfere"
entro
cui
si
agitano
testi
che
parlano
di
altri
testi
per
motivarli,
descriverli,
interpretarli.
Ha
un
dominio
che
coincide
con
la
cultura
in
generale.
FONETICA:
La
fonetica
aveva
insegnato
come
individuare
e
descrivere
i
suoni
che
caratterizzavano
le
diverse
lingue.
Jakobson
e
Hall
scomposero
i
fonemi
in
tratti
ovvero
variazioni
di
sonorità.
Nasceva
così
la
fonologia,
che
avrebbe
affiancato
la
fonetica
ponendosi
a
un
livello
più
profondo
di
pertinenza,
quello
delle
regole
generali
a
partire
dalle
quali
le
molteplicità
di
elementi
che
la
seconda
classifica
venivano
generate.
La
fonologia
offriva
un
modello
efficace
ed
esauriente
per
spiegare
come
funzionava
il
piano
dell’espressione
delle
lingue.
Le
STRUTTURE
NARRATIVE
si
dividono
in
due
strati.
Nel
primo
attraverso
il
quadrato
semiotico
la
significazione
parte
dalle
relazioni
di
contrarietà,
contraddizione
e
complementarità
(strato
fondamentale);
nel
secondo
si
arricchisce
con
programmi
narrativi,
attanti
e
modalità.
Le
STRUTTURE
DISCORSIVE
si
dividono
anch'esse
in
due
strati:
il
primo
con
relazioni,
attanti
e
modalità
arricchiti
da
attori,
spazi
e
tempi
(componente
sintattica);
nel
secondo
da
temi
e
figure
(componente
semantica).
Ogni
testo
contiene
(oltre
al
contenuto
enunciato)
una
sua
immagine
di
comunicazione
(i
principi
del
suo
funzionamento,
la
sua
fruizione,
le
sue
istruzioni
per
l'uso).
Una
MARCA
è
l'immagina
comunicativa
di
un'impresa,
propone
progetti
di
senso
e
scene
comunicative.
Il
TARGET
è
l'immagine
del
consumatore
che
si
conforma
e
consuma
secondo
i
suoi
stessi
stili
di
vita.
Un
testo
al
suo
interno
ha
anche
l’INTERTESTUALITA’
(presenza
nel
testo
di
altri
testi,
rimandi)
e
la
TRADUZIONE
(parziali
operazioni
di
traduzione
che
ricostruiscono
il
senso
e
che
lo
cambiano
continuamente).
La
SEMIOTICA
DEL
TESTO
è
un'istanza
descrittiva
e
interpretativa
che
studia
relazioni,
strutture,
sistemi.
Esistono
reti
di
segni
che
relazionandosi
tra
loro
producono
processi
di
significazione,
quindi
testi.
Ogni
singolo
elemento
dipende
dagli
altri
con
cui
interagisce
ed
è
la
loro
interazione
a
costituire
la
testualità:
questo
è
il
PRINCIPIO
DELLA
PERTINENZA
(la
lettera
A
signifia
tutte
e
nulla,
poichè
il
suo
senso
cambia
moltissimo
a
seconda
di
dove
si
trova:
alfabeto,
desinenza,
terza
persona,
preposizone,
sigla
dell'austria,
dipende
tutto
dal
contesto
in
cui
è
inserita).
La
pertinenza
è
quindi
la
scelta
del
punto
di
vista,
del
sistema
che
si
fa
valere
in
quel
momento
(il
volo
di
uno
stormo
di
uccelli:
per
gli
antichi
greci,
per
un
botanico,
per
uno
studiosa
del
clima,
per
un
pittore,
ha
per
tutti
loro
un
significato
diverso).
E'
il
senso
complessivo
dell'insieme
che
costruisce
il
significato
di
ogni
termine.
L'ANALISI
DEL
TESTO
agisce
elemento
per
elemento,
la
PROSPETTIVA
TESTUALE
invece
considera
l'unione
degli
elementi
cercando
le
relazioni
tra
loro
che
producano
significato.
Ogni
testo
emana
la
sua
aura
di
CONTESTO.
Qualsiasi
oggetto
seppure
estirpato
dal
suo
contesto
originario
produrrà
un
ulteriore
contesto
(il
crocifisso,
in
chiesa
è
un
oggetto
religioso,
nel
museo
un'opera
d'arte.
L'ISOTOPIA
è
secondo
Greimas
«un
insieme
di
categorie
semantiche
ridondanti
che
rendono
possibile
la
lettura
uniforme
di
una
storia».
Caratteristica
intrinseca
al
testo,
l'isotopia
deve
necessariamente
essere
riconosciuta
tramite
la
competenza
enciclopedica
del
lettore.
La
ridondanza
prodotta
dall'isotopia
ha
la
duplice
funzione
di
contrastare
il
rumore
sul
piano
sintattico
e
fornire
continuità
al
testo
sul
piano
semantico.
Le
isotopie
sono
linee
guida
del
testo
che
ne
rendono
possibile
una
lettura
coerente.
Nelle
campagne
pubblicitarie
le
strutturazioni
isotopiche
si
costituiscono
come
fasce
di
ridondanza
che
investono
l
universo
visivo,
musicale,
ritmico,
assicurando
non
solo
la
leggibilità
di
uno
spot
ma
anche
la
sua
appartenenza
ad
una
sola
marca.
L'isotopia
più
importante
è
l'isotopia
semantica,
essa
consente
una
lettura
uniforme
del
testo
ed
intrattiene
rapporti
gerarchici
con
le
altre
isotopie.
La
NARRATOLOGIA
è
lo
studio
delle
leggi
generali
del
racconto.
Con
narratologia
s’intende
una
corrente
di
studi
che
trova
un
importante
momento
di
formazione
nel
Communications
del
1966
in
cui
si
vuole
verificare
se
sia
possibile
reperire
modelli
narrativi
non
solo
nelle
fiabe
ma
anche
in
prodotti
culturali.
Rientrerebbero
cosi
tra
gli
oggetti
analizzabili
uno
spettacolo
teatrale,
un
film,
un
quadro.
Greimas
aveva
cominciato
a
tracciare
i
principi
che
governavano
tali
strutture
definendo
i
contorni
della
nozione
di
NARRATIVITA’.
Se
la
narratologia
è
la
disciplina
che
studia
i
racconti
cercando
di
ritrovare
il
loro
sistema
di
funzionamento
profondo,
la
narratività
è
un
principio
esplicativo,
un’ipotesi
interpretativa
non
solo
i
racconti
ma
ogni
oggetto
che
si
prende
carico
di
esprimere
risultati
(una
città,
un
telefono,
una
pietanza
non
sono
narrazioni,
ma
nel
momento
in
cui
li
consideriamo
come
produttori
di
un
qualche
significato
possiamo
pensarli
come
descrivibili
semioticamente
in
tal
senso).
La
narratività
concerne
quelle
caratteristiche
costanti,
essenziali
del
racconto
che
si
ritrovano
in
questi
prodotti
testuali
ed
in
qualsiasi
tipo
di
discorso.
La
narratività
è
una
categoria
costruita,
astratta,
viene
costruita
come
modello
che
accomuna
una
serie
di
fenomeni
discorsivi
diversi
ritrovando
basi
strutturali
analoghe.
Quindi
la
narratività
è
un
processo
orientato
di
trasformazione
di
azioni
e
passioni,
dove
ogni
azione
genera
una
passione
che
a
sua
volta
genera
un'azione.
La
narratività
è
il
modello
esplicativo
posto
a
fondamento
di
qualunque
processo
di
produzione
di
senso
e
come
tale
va
distinta
dalla
narrazione
che
è
da
intendersi
come
una
storia.
Questo
comporta
che
se
ogni
narrazione
è
per
definizione
narrativa,
nel
senso
che
obbedisce
ai
principi
su
cui
si
fonda
la
narratività,
narrativi
possono
essere
testi
che
non
sono
in
senso
stretto
narrazioni
come
appunto
un
oggetto,
un
manifesto
pubblicitario,
il
piano
urbanistico
della
città
ecc.
La
NARRAZIONE
riguarda
tutti
quei
prodotti
testuali
che
vengono
intesi
come
racconti.
La
narrazione
è
una
nozione
intuitiva,
concreta,
si
usa
per
designare
certe
opere
come
narrative.
Tra
i
due
fenomeni
c'è
sovrapposizione:
c'è
narratività
in
ogni
narrazione
ma
non
sempre
narrazione
dove
c'è
narratività.
La
narrazione
è
la
sostanza
del
contenuto,
la
narratività
è
quella
serie
di
regole
che
governano
la
narrazione.
Una
lampada
o
un’automobile
non
sono
storie
di
per
sé
eppure
si
danno
come
oggetti
di
senso
per
il
valore
narrativo
che
assumono
rispetto
alla
nostra
stessa
esistenza.
L’automobile
prestigiosa
fa
di
noi
persone
importanti,
la
lampada
ci
consente
di
leggere
quando
è
buio.
QUADRATO
SEMIOTICO:
E’
un
modello
di
derivazione
aristotelica
che
consente
di
articolare
logicamente
una
qualunque
categoria
semantica
per
individuare
le
virtualità
che
si
nascondono
all’interno.
Esso
definisce
le
relazioni
logico-‐semantiche
dal
cui
intreccio
trae
origine
la
significazione
e
pertanto
deve
essere
considerato
lo
strumento
che
consente
di
articolare
il
microuniverso
semantico
su
cui
si
basa
un
testo.
Prima
di
qualsiasi
organizzazione
narrativa,
ritroviamo
il
senso
a
livello
delle
strutture
presenti
nel
quadrato
semiotico
grazie
alle
relazioni
di
contrarietà,
contraddizione,
complementarità
e
alle
operazioni
di
negazione
e
affermazione
(livello
fondamentale).
Affinchè
emerga
un
qualche
senso
è
necessario
che
venga
resa
quanto
meno
una
delle
relazioni
presenti
nel
quadrato
semiotico.
Poi,
questo
processo
minimo
diviene
più
concreto
di
modo
che
le
relazioni
e
operazioni
vengono
ripensate
come
trasformazioni
di
stati
narrativi,
ed
è
qui
che
il
racconto
diviene
una
successione
di
stati
e
di
loro
trasformazioni.
Il
quadrato
semiotico
è
quindi
la
rappresentazione
visiva
dell'articolazione
logica
di
una
qualsiasi
categoria
semantica,
lo
strumento
mediante
il
quale
emerge
la
struttura
interna
della
categoria.
Nel
noto
schema
mediante
cui
si
rappresentano
tali
strutture
significative
si
innescano
come
già
detto
le
tre
relazioni
di
contrarietà,
contraddizione
e
complementarità.
Lo
schema
illustra
la
serie
di
relazioni
che
i
quattro
termini
della
categoria
intrattengono
fra
loro.
La
prima
è
una
relazione
di
CONTRARIETA’
(opposizione
qualitativa),
e
i
due
termini
in
gioco
possiedono
proprietà
fra
loro
opposte
(es.
bianco
vs
nero;
alto
vs
basso).
Da
non
confondere
con
la
relazione
di
CONTRADDIZIONE,
dove
l'opposizione
è
privativa
poichè
mette
in
relazione
un
termine
dotato
di
una
proprietà
con
un
altro
termine
nel
quale
tale
proprietà
non
c'è
(bianco
vs
non-‐bianco;
alto
vs
non-‐alto).
Intuitivamente
si
coglie
che
nero
e
non-‐bianco
non
sono
sinonimi,
poichè
qualcosa
che
non
è
bianco
non
per
forza
sarà
nero.
Nella
relazione
di
contrarietà
l'opposizione
è
tra
termini
positivi
in
quando
dotati
di
specifiche
caratteristiche,
nella
relazione
di
contraddizione
l'opposizione
è
tra
un
termine
positivo
e
uno
negativo.
La
terza
relazione
di
COMPLEMENTARITA’
non
è
un'opposizione
ma
è
una
differenza
che
deriva
dall'incrocio
tra
contrarietà
e
contraddizione.
In
questo
caso
il
termine
negativo
ricopre
un'area
semantica
maggiore
di
quello
positivo
(non-‐
bianco
rappresenta
tutti
i
colori
tranne
il
bianco,
nero
invece
rappresenta
un
colore
solo).
Così
se
qualcuno
mi
chiede
come
sto
posso
rispondere
con
termini
positivi
(sto
bene,
sto
male)
o
con
termini
negativi
(niente
male,
non
sto
tanto
bene).
Sono
due
attitudini
di
pensiero:
c'è
chi
ragione
per
opposizioni
semplici
(se
non
sei
di
destra
sei
di
sinistra)
e
chi
per
opposizioni
complesse
(non
sono
alto,
ma
non
per
questo
sono
basso.
I
rischi
d
entrambe
sono
per
la
prima
la
semplificazione
e
per
la
seconda
l'indeterminatezza.
Le
opposizioni
più
importanti
sono
vita/morte
e
natura/cultura,
termini
diversamente
valorizzati
nelle
varie
epoche.
Il
quadrato
semiotico
non
s'esaurisce
cosi
semplicemente.
Occorre
introdurre
la
dimensione
dinamica:
modello
che
può
essere
utilizzato
per
descrivere
i
percorsi
possibili
per
passare
da
un
termine
all'altro.
Il
quadrato
semiotico
genera
i
termini
a
partire
dalle
relazioni
(momento
statico)
e
permette
i
passaggi
da
un
termine
all'altro
(momento
dinamico).
Esso
costituisce
i
valori
e
le
tensioni
all'interno
di
un
testo
ipotizzando
una
costante
trasformazione
interna.
Il
modello
del
quadrato
semiotico
è
la
descrizione
dei
processi
narrativi.
Accanto
ai
semi
di
prima
generazione
abbiamo
quelli
di
seconda
generazione
che
si
costituiscono
quando
i
termini
contrari
trovano
forme
di
convergenza
(l'unione
di
maschile
e
femminile
genera
l'ermafrodita;
l'unione
tra
non-‐maschile
e
non-‐femminile
genera
l'angelo).
Il
termine
che
riunisce
i
semi
contrari
viene
detto
complesso,
quello
che
riunisce
i
sub-‐contrari
viene
detto
neutro.
La
lingua
è
piena
di
questi
termini:
tiepido
(neutralizzazione
di
non-‐caldo/non-‐freddo).
La
pubblicità
ne
fa
un
grande
uso
(economico
vs
elegante,
robusto
vs
raffinato
ecc).
La
categoria
del
timismo
che
riguarda
una
categoria
primitiva
e
riguarda
il
modo
in
cui
il
soggetto
percepisce
se
stesso
e
ciò
che
lo
circonda
in
termini
di
euforia
e
disforia.
Il
termine
complesso
della
diaforia
rende
conto
dei
momenti
in
cui
gli
opposti
coesistono
e
quindi
di
quelle
passioni
che
come
l’amore
oscillano
tra
bene
e
male.
All’opposto
passioni
adiaforiche
legate
al
termine
neutro
sono
quelle
che
oscillano
tra
non-‐euforia
e
non-‐disforia
e
sono
ad
esempio
la
malinconia
e
la
noiaUn
altro
ruolo
del
quadrato
semiotico
è
quello
di
costruire
ASSIOLOGIE,
cioè
sistemi
di
valori.
Ogni
termine
può
acquisire
valore
positivo
o
negativo
a
seconda
delle
culture.
Per
generare
valori
è
necessario
sovrapporre
al
quadrato
semiotico
la
CATEGORIA
TIMICA,
che
distribuisce
ai
vari
termini
l'opposizione
euforia
vs
disforia.
L'unione
di
un
termine
con
l'euforia
(euforia
e
bianco)
produrrà
un
valore
positivo;
l'unione
tra
un
termine
con
la
disforia
(disforia
e
non
bianco)
produrrà
un
valore
negativo.
Quindi
la
categoria
timica
riguarda
il
semantismo
spontaneo
legato
al
modo
in
cui
l'uomo
percepisce
se
stesso,
con
il
proprio
corpo
e
l'ambiente
che
lo
circonda.
Prima
di
capire
se
il
mondo
è
importante,
cogliamo
se
esso
può
darci
fastidio
o
piacere,
essendo
disforici
o
euforici.
I
lati
verticali
del
quadrato
sono
chiamati
deissi
e
sono
caratterizzati
da
una
relazione
di
presupposizione.
In
effetti
non
nero
suggerisce
o
indica
o
rende
possibile
bianco,
mentre
non
bianco
suggerisce
o
indica
o
rende
possibile
nero.
RACCONTO:
Il
racconto
si
configura
come
una
continua
trasformazione
di
stati
dove
sono
in
gioco
soggetti,
oggetti
ma
soprattutto
valori.
Il
racconto
è
una
successione
non
casuale
di
trasformazioni
di
stati.
Lo
STATO
è
una
relazione
di
congiunzione
o
disgiunzione
tra
due
cosiddetti
attanti
narrativi,
un
soggetto
e
un
oggetto.
SOGGETTO
E
OGGETTO
sono
sempre
presenti.
Soggetto
e
oggetto
sono
termini
che
si
costituiscono
soltanto
nella
loro
relazione
reciproca.
Entrambi
sono
attanti,
ovvero
elementi
sintattici
in
cui
prendono
corpo
le
forze
semantiche
di
un
racconto.
Nel
racconto
si
danno
due
tipi
di
soggetti:
SOGGETTO
OPERATORE
(mette
in
atto
le
trasformazioni)
e
SOGGETTO
DI
STATO
(può
accadere
che
a
un
re
(soggetto)
venga
rapita
la
figlia
(oggetto)
e
che
vada
lui
per
riprendersela,
ma
può
accadere
anche
che
al
re
(soggetto
di
stato)
venga
rapita
la
figlia
(oggetto)
e
che
venga
delegato
un
eroe
(soggetto
operatore)
per
riprenderla).
Scattano
due
diverse
dimensioni
di
senso:
per
il
soggetto
operatore
si
instaura
la
dimensione
pragmatica
dove
il
senso
si
produce
nelle
azioni
che
accadono,
per
il
soggetto
di
stato
si
instaura
la
dimensione
passionale
dove
il
senso
si
produce
nelle
emozioni
dei
soggetti.
L'OGGETTO
non
è
importante
di
per
sè
ma
per
il
valore
che
vi
è
inscritto
dal
soggetto.
Ogni
oggetto
devo
avere
VALORE.
Nessun
prodotto
può
affacciarsi
sul
mercato
se
non
caricato
di
senso
ora
dal
produttore,
ora
dal
consumatore,
ora
da
entrambi.
La
costituzione
del
prodotto
coincide
con
la
sua
VALORIZZAZIONE
soggettiva.
Per
questo
più
che
di
valori,
in
semiotica,
si
preferisce
parlare
di
valorizzazioni,
ovvero
di
quelle
azioni
di
attribuzione
di
senso
a
un
oggetto.
D'altro
canto
non
bisogna
confondere
gli
attanti
(presenti
a
livello
antropomorfo
nella
narrazione)
con
i
personaggi
veri
e
propri
del
racconto
ovvero
gli
attori.
Generalmente
ad
ogni
attante
corrisponde
un
attore.
Può
accadere
anche
che
un
attore
personifichi
più
attanti
(soggetto
di
stato
e
operatore)
o
che
un
attante
sia
personificato
da
piu
attori
(soggetto
di
stato:
tre
fratelli).
In
questo
caso
si
parla
di
attante
collettivo
(una
squadra,
una
classe,
una
famiglia).
Per
esserci
una
struttura
narrativa
occorre
che
gli
attanti
mettino
in
moto
una
loro
sequenza
di
stati
e
trasformazioni.
Tale
sequenza
è
orientata
ad
uno
stato
finale
in
cui
il
soggetto
per
realizzarsi
deve
riuscire
a
far
proprio
un
determinato
oggetto
di
valore.
Facendo
ciò
il
soggetto
acquisisce
un'IDENTITA’
(io
sono
uno
che
è
riuscito
a
ottenere
ciò
che
voleva).
L'identità
soggettiva
è
l'esito
di
una
sequenza
narrativa
riuscita,
la
conseguenza
del
compimento
di
un
programma
narrativo.
Un
PROGRAMMA
NARRATIVO
è
l'insieme
delle
operazioni
che
un
soggetto
operatore
mette
in
atto
per
far
si
che
il
soggetto
di
stato
si
ricongiunga
con
l'oggetto
di
valore.
E’
utile
distinguere
tra
programma
narrativo
DI
BASE
(volto
all’acquisizione
dell’oggetto
di
valore
principale
della
narrazione)
e
programma
narrativo
D’USO
(programmi
messi
in
atto,
volta
per
volta,
per
raggiungere
la
possibilità
di
poter
mandare
avanti
il
programma
narrativo
di
base).
Produrre
il
palo
con
cui
trafiggere
l’occhio
di
Polifemo
sarà
dunque
un
programma
narrativo
d’uso
rispetto
al
programma
narrativo
di
base
di
fuga
dalla
caverna
il
quale
a
sua
volta
potrà
essere
considerato
d’uso
rispetto
al
principale
programma
narrativo
di
base
che
è
quello
di
tornare
ad
Itaca.
Vi
sono
anche
i
cosiddetti
programmi
narrativi
DI
SOSTITUZIONE
che
sono
quelle
azioni
che
un
soggetto
mette
in
atto
per
rimediare
alle
mosse
dell’avversario.
Esso
fa
riferimento
a
una
tattica
locale.
Nel
marketing
accade
che
si
renda
necessario
intervenire
sulla
strategia
di
lancio
di
un
determinato
prodotto
per
rispondere
alle
reazioni
della
concorrenza.
Per
svolgere
una
certa
azione
è
indispensabile
che
egli
sia
competente,
ovvero
che
egli
debba
e
voglia
fare
(una
cosa
è
un
soggetto
che
combatte
per
i
proprio
ideali
e
un'altra
è
un
soggetto
che
venga
costretto
a
combattere).
Le
MODALITA’
NARRATIVE
sono
quattro:
dovere
e
volere
(virtualizzanti),
potere
e
sapere
(attualizzanti).
In
ogni
racconto
per
poter
passare
alla
trasformazione
il
soggetto
operatore
deve
prima
acquisire
un
volere
o
dovere
e
poi
un
potere
e
sapere.
Si
instaura
così
una
serie
di
progressive
assunzioni
d'identità.
Così
al
programma
narrattivo
di
base
(congiungimento
soggetto-‐oggetto)
si
accompagnano
più
programmi
narrativi
detti
d'uso,
che
servono
per
trovare
le
modalità
e
i
mezzi
necessari
per
passare
all'atto
(la
scimmia
che
vuole
la
banana
deve
acquisire
il
saper
fare,
ad
esempio
un
bastone).
E'
un
terzo
attante
che
conferisce
al
soggetto
operatore
la
prima
modalità
(volere
o
potere).
Questo
terzo
attante
è
il
DESTINANTE,
ovvero
colui
che
trasmette
al
soggetto
operatore
i
valori
di
cui
egli
è
portatore.
C'è
sempre
un
destinante:
entità
divina,
istituzione,
individuo).
All'inizio
conferisce
i
valori
al
soggetto,
alla
fine
giudica
l'operato.
Quindi
il
destinante
è
sia
mandante
che
giudice.
La
figura
del
destinante
è
più
importante
di
quella
del
soggetto
perchè
da
lui
dipendono
i
valori
che
il
soggetto
avrà,
è
lui
che
determina
la
loro
valenza.
PROPP
distingueva
due
livelli
di
pertinenza:
una
di
superficie
che
si
caratterizza
per
la
presenza
di
elementi
variabili,
e
l’altro
più
profondo
in
cui
troviamo
le
cosiddette
funzioni
narrative
invarianti.
C’è
sempre
una
situazione
iniziale
di
equilibrio
che
viene
turbata
da
qualche
forza,
una
lotta
tra
eroe
ed
oppositore
e
cosi
via.
Propp
definisce
31
funzioni
come
quelle
senza
le
quali
il
racconto
non
potrebbe
andare
avanti
e
fra
le
quali
troviamo
la
situazione
iniziale,
il
danneggiamento
e
la
rimozione
del
danno.
In
ogni
favola
è
possibile
rintracciare
funzioni
simili.
Nella
struttura
della
narrazione,
accanto
a
queste
31
funzioni
Propp
riconosce
quelle
che
chiama
sfere
d’azione,
ovvero
tipologie
di
forze
profonde
del
racconto
che
spesso
si
incarnano
in
determinati
personaggi:
l’eroe,l’antagonista,
il
mandante.
Tutto
ciò
può
essere
rappresentato
nello
SCHEMA
NARRATIVO
CANONICO,
modello
a
quattro
tappe
adoperabile
per
ogni
aspetto
della
narratività.
Si
sviluppa
su
due
dimensioni
e
quattro
distinte
fasi.
La
prima
di
queste
fasi
detta
della
MANIPOLAZIONE,
è
il
momento
in
cui
il
destinante
manipolatore
inserisce
nell’oggetto
un
valore
che
sarà
perseguito
dal
soggetto
operatore,
caricandolo
di
una
modalità
che
potrà
essere
in
alternativa
il
dovere
o
il
volere
(dette
modalità
virtualizzanti).
Questo
primo
momento,
insieme
al
quarto
e
ultimo,
la
sanzione,
viene
considerato
uno
dei
momenti
cognitivi
dello
schema,
mentre
il
secondo
e
il
terzo
che
seguono
sono
considerati
momenti
pragmatici.
La
seconda
fase,
detta
della
COMPETENZA,
è
il
momento
in
cui
il
soggetto
operatore
ottiene
il
sapere
o
il
potere
(modalità
dette
attualizzanti)
che
sono
necessari
all’espletamento
dell’azione
principale
e
che
possono
avere
diverse
forme:
quella
di
un
soggetto
magico
come
di
una
semplice
informazione
circa
dove
si
trova
l’oggetto
di
valore.
In
questa
fase
il
soggetto
operatore
viene
in
contatto
con
un
aiutante
che
gli
fornisce
tale
competenza.
L'acquisizione
della
competenza
consiste
in
quelle
azioni
grazie
a
cui
il
soggetto
viene
messo
in
condizione
di
passare
all'atto.
Il
terzo
momento
è
quello
della
PERFORMANCE,
in
cui
avviene
lo
scontro
tra
il
soggetto
operatore
e
l’anti-‐soggetto,
che
deve
essere
considerato
anche
come
uno
scontro
tra
i
sistemi
di
valore
su
cui
questi
due
attanti
hanno
basato
la
loro
azione.
Il
momento
centrale
di
ogni
struttura
narrativo
è
quello
della
PERFORMANCE,
atto
che
se
riesce
porta
alla
trasformazione
e
dunque
da
uno
stato
iniziale
ad
un
secondo
stato
(incontro-‐scontro
con
l'antagonista).
La
performance
rappresenta
quelle
azioni
con
cui
il
soggetto
termina
il
suo
programma
narrativo
di
base.
L’ultimo
momento,
detto
della
SANZIONE,
è
quello
in
cui
il
soggetto
operatore
viene
sottoposto
al
giudizio
di
un
destinante
giudicatore
che
dovrà
decidere
se
il
suo
operato
è
in
linea
o
meno
con
il
sistema
di
valori
di
riferimento
e
dunque
offrirgli
o
meno
il
riconoscimento
per
le
sue
gesta.
I
due
momenti
pragmatici
dello
schema
narrativo
si
trovano
incorniciati
in
due
momenti
cognitivi:
MANIPOLAZIONE,
ovvero
l'elemento
iniziale
di
ogni
racconto
in
cui
destinante
e
soggetto
stipulano
un
contratto
sulla
base
del
quale
il
soggetto
acquisisce
un
volere
o
dovere
che
comporta
una
procedura
di
persuasione
e
un
accordo
fiduciario
con
cui
il
soggetto
aderisce
ai
valori
del
destinante.
Il
secondo
elemento
cognitivo
è
la
SANZIONE,
momento
finale
del
racconto
in
cui
il
soggetto,
operata
la
performance,
si
ripresenta
al
cospetto
del
destinante
che
lo
giudica.
Se
la
sanzione
è
positiva
l'eroe
verrà
trasformato,
se
no
rimarrà
nell'anonimato.
La
sanzione
è
il
momento
in
cui
si
cerca
di
capire
se
l'assunzione
dei
valori
da
parte
del
soggetto
sia
stata
efficace.
All'interno
di
ogni
racconto
vi
è
una
STRUTTURA
POLEMICA
dove
si
incrociano
due
programmi
narrativi
di
base:
quello
del
soggetto
della
storia
e
quello
analogo
dell'anti-‐soggetto.
Saranno
presenti
quindi
due
trasformazioni
dei
soggetti,
due
destinanti,
due
sistemi
di
valori
opposti.
Il
senso
si
dà
nel
dissenso,
poichè
ogni
programma
è
al
tempo
stesso
un
antiprogramma.
Raccontare
una
storia
è
sempre
e
necessariamente
prendere
posizione
per
uno
dei
soggetti
che
vi
sono
presenti.
Il
soggetto
si
costruisce
e
si
trasforma
di
continuo
in
seno
al
racconto,
ora
virtuale
(quando
acquisisce
dovere
o
volere),
ora
attuale
(quando
acquisisce
potere
o
sapere),
ora
realizzato
(quando
si
congiunge
con
l'oggetto).
E'
fondamentale
l'INTERSOGGETTIVITA’:
ogni
soggetto
è
tale
in
funzione
del
suo
antisoggetto,
si
forma
e
si
trasforma
in
relazione
con
esso.
L'identità
è
quindi
duplice:
si
costituisce
sia
nel
percorso
narrativo
sia
nello
scontro
dialettico
con
l'anti-‐soggetto.
Lo
stratega
è
colui
il
quale
si
pone
il
problema
del
confronto
fra
il
proprio
programma
narrativo
e
quello
del
nemico;
da
qui
l'importanza
basilare
delle
spie,
attori
incaricati
di
far
circolare
del
sapere
riguardo
al
nemico;
da
qui
la
presenza
di
controspie.
Ecco
apparire
nel
racconto
un
gran
numero
di
soggetti:
soggetti
pragmatici
(intraprendono
programmi
d'azione),
cognitivi
(cercano
di
costruire
l'essere
dell'altro),
soggetti
simulacri
(immaginati
dall'altro),
soggetti
di
finzione
(si
danno
a
vedere
all'altro).
Da
qui
l'idea
delle
tattiche,
ulteriori
programmi
narrativi
finalizzati
a
schivare
un
ostacolo,
contro-‐programmi
a
quelli
dell'avversario.
L'azione
è
un
pensiero
tattico,
calcolo
di
opportunità
e
rischi,
un
gesto
significante
(un'azienda
che
comunica
di
star
adoperando
nuove
tecnologie
non
sta
solo
informando
ma
sta
creando
anche
una
nuova
immagine
di
sè).
Ogni
attività
comunicativa
è
quindi
una
mossa
strategica.
La
strategia
ha
una
sua
cultura
di
riferimento
che
fornisce
a
gesti,
azioni,
parole
in
gioco
pesi
e
valori
diversi.
Da
questo
ragionamento
nasce
la
questione
dell'affettività.
Il
modo
d'essere
dell'identità
di
un
soggetto
è
la
processualità
e
articolazione
interna
degli
stati
di
congiunzione
e
disgiunzione
tra
soggetto
e
oggetto.
I
cosiddetti
stati
d'animo
non
hanno
nulla
di
statico,
anzi
sono
vere
e
proprie
avventure
passionali,
ricariche
motivazionali
profonde
che
rilanciano
i
programmi
narrativi
conferendogli
nuovi
sistemi
di
valori.
Si
deve
quindi
ridefinire
la
narratività
come
un
processo
orientato
di
trasformazione
di
azioni
e
passioni,
dove
ogni
azione
genera
una
passione
che
a
sua
volta
genera
un'azione.
La
PASSIONE
è
un
effetto
di
senso
del
discorso.
Bisogna
considerare
la
passionalità
come
un
fenomeno
i
cui
effetti
ricadono
sulla
significazione
e
che
produce
significazione.
La
passione
al
pari
di
un
prodotto
culturale
è
una
forza
che
trova
espressione
nell’arena
sociale.
La
passione
non
è
per
la
semiotica
l’altro
della
ragione,
ma
si
tratta
più
semplicemente
di
un
dominio
che
ha
precise
dimensioni
di
esistenza
e
regole
sue
proprie
che
come
tali
possono
essere
studiate.
Se
la
categoria
timica
è
alla
base
di
ogni
processo
passionale,
altrettanto
importanti
sono
i
giochi
e
gli
incastri
modali:
ostinazioni,
onori,
vendette,
speranze,
attese,
tensioni,
ritmi
ecc.
Il
meccanismo
della
passione
è
dinamico
e
processuale
e
anche
i
processi
affettivi
hanno
un
loro
percorso
canonico
(SHEMA
PASSIONALE
CANONICO)
costituito
da
tre
tappe
fondamentali:
costituzione,
sensibilizzazione
(divisa
in
tre
parti:
disposizione,
patemizzazione,
emozione),
moralizzazione.
Il
primo
momento
è
quello
della
COSTITUZIONE:
in
esso
si
manifesta
la
predisposizione
del
soggetto
ad
accedere
al
percorso
passionale
sulla
base
di
un
attante
detto
costituente
(nel
caso
di
una
passione
come
l'avarizia
la
costituzione
consiste
in
quell'attaccamento
alle
cose
acquisito
dal
soggetto).
I
tre
momenti
successivi
sono
raggruppati
nella
SENSIBILIZZAZIONE:
qui
la
disposizione
affettiva
diviene
passionale
e
rappresenta
la
trasformazione
che
si
viene
a
creare
quando
una
determinata
cultura
interpreta
come
configurazione
passionale
il
quadro
affettivo
precedentemente
costituitosi.
La
prima
tappa
della
sensibilizzazione
è
la
DISPOSIZIONE,
dove
il
soggetto
acquista
le
capacità
necessarie
per
disporre
il
proprio
animo
ad
appassionarsi
in
un
modo
invece
che
in
un
altro
(l'avaro
interpreta
la
sua
inclinazione
all'avarizia
come
un
non
volersi
disgiungere
dai
propri
beni).
La
seconda
tappa
della
sensibilizzazione
è
la
PATEMIZZAZIONE,
vera
performance
passionale,
comportamento
appassionato
(l'avaro
mette
in
moto
un
programma
per
la
difesa
dei
suoi
beni).
La
terza
tappa
è
l'EMOZIONE,
conseguenza
della
passione
sul
corpo
del
soggetto,
manifestazione
somatica
(rossori,
tremiti).
L'emozione
recupera
la
tensione
di
base
che
era
propria
della
costituzione
e
la
trasferisce
sul
corpo
che
diviene
veicolo
di
significazione
e
comunicazione.
Con
l'emozione
il
processo
passionale
raggiunge
l'intimità
del
soggetto.
Da
qui
l'ultimo
momento
della
MORALIZZAZIONE:
i
dispositivi
passionali
che
hanno
preso
forma
durante
il
percorso
vengono
posti
al
vaglio
di
una
norma
etica.
Vi
sarà
quindi
un
attante
valutatore
che
giudicherà
la
passione
come
vizio
o
virtù
(l'avariza
risulterà
un
vizio).
C'è
da
dire
che
l'elaborazione
dello
schema
passionale
risente
di
quello
narrativo.
Non
per
forza
tutti
i
momenti
devono
essere
presenti
nel
testo,
importante
è
reperire
almeno
uno
di
questi
momenti
per
ricostruire
tutti
gli
altri.
Lo
schema
narrativo
canonico
è
dunque
un
buon
punto
di
partenza
per
spiegare
alcuni
meccanismi
di
produzione
del
significato,
ma
non
l'unico
possibile.
Le
forme
di
vita
diverse
da
quelle
dello
schema
riconducono
a
una
deformazione
coerente
del
modello
standard
del
vivere
civile,
una
deformazione
che
capovolge
l'intero
sistema
di
valori
in
gioco
che
si
è
instaurato
(molti
spot
pubblicitari
usano
l'ironia
e
rompono
gli
schemi
narrativi
tradizionali
portando
ad
una
risemantizzazione
complessa
dell'esperienza
umana
e
sociale).
Sollecitato
dal
gesto
inaspettato,
lo
spettatore
preso
dalla
meraviglia
ripensa
ai
propri
valori,
li
confronta
con
quelli
dell'altro,
finendo
per
riformularne
la
valenza
sociale
comune.
Per
esserci
forme
di
vita
occorre
che
un
soggetto
selezioni
una
categoria
semantica
(perfezione,
svagatezza
ecc)
e
la
ponga
come
dominante
all'interno
della
propria
organizzazione
esistenziale.
Le
CATEGORIE
SEMANTICHE
consentono
di
isolare
dimensioni
necessarie
e
descriverle.
Fabbri
e
Sbisà
propongono
sette
dimensioni:
le
modalità
(offre
una
prima
descrizione
della
passione),
la
dimensione
timica
(se
la
simpatica
è
un
sentimento
euforico
l’antipatica
si
contraddistingue
per
il
suo
essere
disforico),
l’intensità
(una
passione
troppo
intensa
può
cambiar
di
segno
diventando
positiva
o
negativa),
la
tensione
(riguarda
la
processualità
della
passione),
la
temporalità
(esistono
passioni
del
passato,
del
presente
e
del
futuro),l’aspettualità
(esprime
la
focalizzazione
che
ogni
sommovimento
emotivo
prevede:
se
la
paura
è
una
passione
durativa,
l’orrore
è
puntuale,
la
curiosità
cresce
nel
tempo
mentre
la
gioia
svanisce
nel
tempo)
e
il
ritmo
(modo
in
cui
gli
effetti
patemici
si
legano
alla
periodicità:
un
ritmo
lento
fa
crescere
la
tensione
mentre
uno
serrato
fa
scattare
l’ansia).
DISCORSIVITA':
Col
DISCORSO
che
è
quel
luogo
in
cui
la
lingua
entra
in
azione
e
in
cui
trova
realizzazione
in
concrete
istanze
che
vengono
espresse
attraverso
il
linguaggio
bisogna
reinterpretare
la
comunicazione
come
ENUNCIAZIONE.
Ogni
prodotto
comunicativo
presuppone
qualcuno
che
lo
ha
comunicato.
Un
"comunicato"
acquista
gran
parte
del
suo
senso
da
colui
che
lo
ha
realizzato
e
da
colui
per
il
quale
è
stato
realizzato.
Ogni
messaggio
trasmesso
presenta
un
contenuto
enunciato
e
qualche
traccia
della
sua
produzione,
una
specie
di
firma
segreta
del
suo
autore.
Ogni
enunciato
ha
una
sua
MARCA:
segno
dell'atto
che
lo
ha
posto
in
essere,
del
soggetto
che
lo
ha
compiuto.
Ogni
azione
dotata
di
senso
esiste
in
funzione
di
un'istanza
comunicativa
grazie
a
cui
può
darsi
nel
discorso
sociale
e
manifestarsi
testualmente.
La
LINGUA,
diceva
Saussure,
è
un
sistema
di
differenze,
organizza
da
un
lato
qualcosa
di
astratto
come
il
pensiero,
dall’altro
qualcosa
di
concreto
come
la
possibilità
di
esprimerlo.
Senza
conoscere
il
modo
di
mettere
insieme
le
parole
non
riusciremmo
a
dire
nulla
di
comprensibile.
La
lingua
è
un
prodotto
sociale
della
facoltà
del
linguaggio
e
un
insieme
di
convenzioni.
Il
LINGUAGGIO
è
la
facoltà
naturale
di
comunicare
linguisticamente.
La
lingua,
dice
Saussure,
è
la
cristallizzazione
dei
vari
usi
linguistici
individuali,
delle
varie
paroles,
le
quali
però,
a
loro
volta,
non
potrebbero
esistere
senza
una
lingua,
senza
un
sistema
di
regole
a
cui
fare
costante
riferimento.
Quando
decidiamo
di
imparare
una
nuova
lingua
non
basta
conoscere
le
parole,
è
necessario
padroneggiare
quel
sistema
di
regole
e
convenzioni
che
Saussure
chiama
LANGUE
(momento
sostanziale
in
cui
concretamente
comunica).
La
lingua
gioca
continuamente
con
se
stessa
e
cambia.
Bisogna
allora
pensare
accanto
alla
langue
anche
alla
PAROLE,
intesa
come
atto
individuale
di
linguaggio
(momento
sostanziale
in
cui
concretamente
comunica).
Le
due
intrattengono
un
rapporto
dialettico.
La
parole
alimenta
la
langue
fornendo
nuove
regole
e
nuovi
elementi
e
la
langue
si
riverbera
sulla
parole
sottoforma
di
struttura
sottesa
alla
variazione.
Le
possibili
relazioni
fra
gli
elementi
di
un
linguaggio
sono
le
RELAZIONI
SINTAGMATICHE
(fra
elementi
compresenti)
e
le
RELAZIONI
PARADIGMATICHE
(elementi
che
compaiono
uno
in
alternativa
dell’altro).
Nel
linguaggio
troviamo
una
parte
variabile
(ogni
parlante
si
esprime
in
modo
diverso)
e
una
parte
invariabile
(codice
astratto
e
sociale
che
permette
la
riuscita
della
comunicazione).
Il
linguaggio
ha
la
proprietà
di
essere
strumento
di
comunicazione
perché
esprime
SOGGETTIVITA’.
Se
dico
io
sto
parlando
di
me,
di
colui
che
pronuncia
il
discorso,
ma
quando
il
mio
interlocutore
prende
la
parola
e
dice
nuovamente
io,
il
suo
io
non
coinciderà
col
mio.
Se
dico
io
lo
faccio
in
relazione
a
un
tu
che
espresso
o
meno
nella
frase
esiste
se
non
altro
come
non
io.
Quando
dico
egli,
oggettivando
ciò
di
cui
parlo
in
modo
che
anche
qualcun
altro
possa
farvi
riferimento
allo
stesso
modo,
si
oggettiva
il
riferimento,
ma
l’io
ed
il
tu
restano
in
netta
contrapposizione.
L’egli
non
fa
riferimento
ad
una
realtà
che
esiste
a
prescindere
dal
soggetto,
è
piuttosto
la
realtà
che
il
soggetto
io
decide
di
oggettivare.
Austin
diceva
che
il
linguaggio
non
serve
soltanto
per
descrivere
il
mondo,
ma
è
in
grado
di
modificarlo:
John
Austin
parla
di
ENUNCIATI
CONSTATIVI
(descrivono
il
mondo
reale)
e
ENUNCIATI
PERFORMATIVI
(trasformano
la
realtà
come
quando
si
dice
vi
dichiaro
marito
e
moglie:
in
questo
caso
il
linguaggio
non
descrive
qualcosa
ma
la
realizza
o
trasforma).
L'ENUNCIAZIONE
è
un'istanza
di
mediazione
tra
langue
e
parole
che
si
manifesta
nel
concreto
atto
comunicativo.
L'enunciazione
permette
il
sorgere
della
soggettività,
il
suo
costituirsi
mediante
la
lingua.
Le
relazioni
intersoggettive
dipendono
dall'uso
del
codice
linguistico
(se
dico
"ti
ordino
di
andare
via"
mi
impongo
come
qualcuno
che
può
dare
ordini
e
costruisco
un
destinatario
che
può
riceverli
creando
una
gerarchia
sociale).
Un
enunciato
possiede
al
suo
interno
delle
marche
che
rinviano
al
soggetto
dell'enunciazione,
ossia
da
un
lato
l'ENUNCIATORE
(chi
produce)
e
dall'altro
l'ENUNCIATARIO
(chi
riceve).
Non
bisogna
confondere
l'enunciatore
e
l'enunciatario
con
l'emittente
e
il
destinatario:
i
primi
sono
simulacri
all'interno
del
discorso,
i
secondi
sono
attori
in
carne
ed
ossa.
Nelle
strategie
comunicative
per
interagire
emittente
e
destinatario
devono
mettersi
d'accordo
sui
valori
della
comunicazione.
L'emittente
propone
un'immagine
di
se
e
de
destinatario,
e
viceversa.
Enunciatore
ed
enunciatario
svolgono
concretamente
l'azione
comunicativa
e
rappresentano
una
sorta
di
istruzioni
per
l'uso
inserite
all'interno
dei
testi
che
quel
discorso
manifestano.
L'enunciatario
è
da
intendere
come
una
proposta
di
senso
che
il
destinatario
può
o
non
accettare.
Enunciatore
ed
enunciatario
si
costruiscono
reciprocamente
all'interno
del
flusso
discorsivo.
L'enunciato,
oggetto
di
valore
che
l'enunciatore
congiunge
con
l'enunciatario,
è
una
dose
di
sapere.
Qualsiasi
testo
costruisce
al
suo
interno
quella
che
chiamiamo
notizia
o
messaggio
rendendolo
più
o
meno
evidente
all'enunciatario.
E
così,
come
esistono
enunciatore
ed
enunciatario,
si
può
ipotizzare
l'esistenza
di
un
informatore
ed
un
osservatore.
Quest'ultimi
sono
attanti
che
possono
manifestarsi
come
attori
o
rimanere
astratti.
Se
l'osservatore
è
un
attante
intermedio
tra
enunciazione
ed
enunciato
che
sa
che
c'è
qualcosa
da
sapere,
l'informatore
è
un
secondo
attante
intermedio
che
sa
che
c'è
qualcosa
da
far
sapere.
L'informatore
non
è
colui
che
informa,
ma
rappresenta
quelle
figure
discorsive
necessarie
per
farlo
(nei
testi
scientifici
ad
esempio
lo
sono
gli
strumenti).
Ogni
ENUNCIATO
presuppone
un'enunciazione,
ossia
un
atto
produttivo
originario
che
può
essere
manifestato
o
meno
nell'enunciato
stesso.
L'enunciazione
è
sempre
presente
nell'enunciato,
anche
quando
non
lo
si
percepisce.
Per
questo
è
possibile
ricostruire
dall'analisi
dell'enunciato
anche
le
strutture
enunciative
che
lo
hanno
costruito.
Greimas
e
Courtés
(1979)
definiscono
la
situazione
di
enunciazione
come
l’“io
qui
ora”.
Se
faccio
riferimenti
a
questa
situazione
faccio
riferimento
alla
situazione
che
sto
vivendo
in
questo
luogo
in
questo
momento.
Ma
se
produco
un
testo
scritto
e
questo
testo
viene
poi
letto
da
qualcun
altro
i
miei
riferimenti
saranno
ad
una
situazione
che
ormai
è
andata
perduta.
Sarà
passato
del
tempo,
potrei
trovarmi
in
un
altro
luogo.
Questo
significa
che
la
situazione
di
enunciazione
sarà
richiamata
da
questi
miei
riferimenti,
ma
potrò
“resuscitare”
solo
una
sua
immagine,
un
suo
simulacro.
Come
abbiamo
visto,
la
situazione
dell’enunciazione
è
irrimediabilmente
persa
se
ci
troviamo
di
fronte
ad
un
testo
scritto.
La
condizione
normale
è
che
tutti
i
riferimenti
a
questa
situazione
vengano
espulsi
dall’enunciato.
E’
quello
che
di
solito
viene
chiamato
DEBRAYAGE:
E’
la
cancellazione,
dall’enunciato,
degli
elementi
che
fanno
riferimento
all’”io
qui
ora”.
E’
quindi
la
negazione
dell’istanza
dell’enunciazione
(cioè
della
situazione
dell’enunciazione).
Si
ottiene
costruendo
l’enunciato
attorno
al
“non
io
non
qui
non
ora”.
Più
precisamente,
abbiamo
innanzitutto
una
disgiunzione
fra
il
soggetto
dell’enunciazione
e
il
soggetto
dell’enunciato:
il
soggetto
dell’enunciato
è
un
“non
io”,
mentre
il
soggetto
dell’enunciazione
si
nasconde.
In
questo
caso
si
parla
di
débrayage
attanziale,
in
quanto
il
débrayage
riguarda
i
protagonisti
(gli
attanti)
dell’enunciazione.
Avrò
poi
anche
dei
débrayage
temporali
(cioè
la
proiezione
sull’enunciato
di
un
“non
ora”)
e
spaziali
(“non
qui”).
Facciamo
un
esempio.
Se
io
adesso
scrivo
/Cristoforo
Colombo
sbarcò
in
America
il
12
ottobre
del
1492/
ho
realizzato
un
débrayage
attanziale
(il
soggetto
dell’enunciato
non
sono
io,
ma
Cristoforo
Colombo),
un
débrayage
spaziale
(il
fatto
avviene
in
America)
e
temporale
(ho
una
data
precisa).
Non
c’è
nessun
riferimento
alla
situazione
dell’enunciazione.
Il
débrayage
c’è
sempre.
Nel
momento
stesso
in
cui
un
testo
viene
prodotto
la
situazione
dell’enunciazione
viene
irrimediabilmente
persa.
Non
posso
più
avere
un
contatto
diretto
con
essa
(come
invece
accade
con
la
conversazione
orale).
Il
débrayage,
insomma,
è
automatico.
Oltre
al
débrayage
ho
un
altro
meccanismo
molto
importante
che
riguarda
l’enunciazione.
E’
l’EMBRAYAGE.
non
può
“resuscitare”
completamente
la
situazione
dell’enunciazione,
che
ormai
è
andata
persa.
Potrà
solo
suggerirla,
riprodurne
un’immagine,
un
simulacro.
Se
trovo
un
pronome
personale
in
un
testo
scritto
non
riesco
a
ricreare
la
situazione
a
cui
fa
riferimento.
Esso,
però,
richiama
la
mia
attenzione
su
una
situazione
che
c’è
stata
(anche
se
ormai
è
irrimediabilmente
persa)
e
che
io
posso
immaginare.
L’embrayage,
in
effetti,
crea
l’illusione
dell’effettiva
presenza
e
contemporaneità
di
una
situazione
dell’enunciazione
che
io
non
potrò
più
cogliere.
In
questo
modo,
però,
è
come
se
mi
"chiamasse
in
causa",
mi
desse
l'illusione
del
coinvolgimento
in
una
situazione
dell'enunciazione
che,
in
effetti,
non
esiste.
Se
il
débrayage
era
l’espulsione
dall’enunciato
di
tutti
gli
elementi
che
facevano
riferimento
alla
situazione
di
enunciazione,
l’embrayage
è
il
reinserimento,
all’interno
dell’enunciato,
di
questi
elementi.
L'enunciato
è
il
risultato
di
un
primo
atto
fondativo
chiamato
debrayage,
con
cui
entrano
in
gioco
le
tre
categorie
dell'attore,
del
tempo
e
dello
spazio,
passando
dalla
narratività
alla
discorsività.
Se
il
soggetto
è
un
"io"
che
parla
con
un
"ora"
e
un
"qui"
si
parlerà
di
debrayage
enunciativo(autobiografia),
se
le
nega
con
un
"non-‐io",
un
"non-‐ora"
e
un
"non-‐qui"
si
parlerà
di
un
debrayage
enunciazionale
(c'era
una
volta
in
un
paese
un
re).
Vi
sono
anche
casi
di
embrayage,
cioè
di
ritorno
indietro
a
figure
precedenti:
nel
telegiornale
l'emittente
passa
la
parola
al
conduttore
che
la
passa
all'intervistato
in
una
serie
di
debrayage
progressivi
e
di
conseguenti
ritorni
indietro
o
embrayage
verso
l'istanza
enunciativa
di
partenza.
L’embrayage
non
fa
altro
che
fare
salti
indietro
guadagnando
livelli
di
soggettività.
Da
qui
il
MODELLO
GENERALE
DELLA
COMUNICAZIONE
DI
JAKOBSON:
egli
parte
dal
più
semplice
scenario
comunicativo
in
cui
riconosciamo
un
emittente
che
produce
un
messaggio
diretto
ad
un
destinatario.
E’
necessario
che
il
destinatario
venga
raggiunto
dal
messaggio
prodotto.
Serve
quindi
che
esso
possa
viaggiare
su
un
determinato
canale
che
sia
in
grado
di
portarlo
fisicamente
a
destinazione.
Una
parola
deve
essere
udita,
un’immagine
vista.
Di
fondamentale
importanza
diventa
a
questo
punto
il
CODICE
di
cui
si
fa
uso.
Un
messaggio
verbale
ad
esempio
fa
uso
del
codice
linguistico.
E’
il
contesto
in
quanto
condizione
in
cui
avviene
la
comunicazione
a
darci
delle
istruzioni
per
decodificare
il
messaggio.
Vi
sono
anche
specifiche
funzioni
del
linguaggio:
FUNZIONE
EMOTIVA
(mittente)
dove
il
messaggio
si
incentra
su
colui
che
lo
produce,
esprimendo
i
suoi
stati
d’animo,
atteggiamenti,
volontà
ecc;
FUNZIONE
POETICA
(messaggio)
dove
il
messaggio
si
incentra
sul
messaggio
stesso
diventando
poesia
ovvero
quel
tipo
di
comunicazione
che
tende
a
esprimere
l’inesprimibile;
FUNZIONE
CONATIVA
(destinatario):
si
realizza
quando
il
messaggio
si
focalizza
sul
destinatario,
intendendo
con
ciò
che
mira
a
ottenere
una
determinata
risposta
o
l’adesione
ad
un
determinato
pensiero;
FUNZIONE
REFERENZIALE
(contesto)
che
è
la
funzione
più
comune
del
linguaggio;
FUNZIONE
METALINGUISTICA
(codice)
che
si
ha
quando
un
linguaggio
viene
utilizzato
per
parlare
del
linguaggio
stesso,
come
fa
un
libro
di
grammatica;
FUNZIONE
FATICA
(canale)
che
sarebbe
il
“pronto?”
telefonico
che
non
veicola
nessun
contenuto
ma
che
si
limita
a
verificare
che
il
canale
di
trasmissione
sia
attivo,
anche
gli
spot
pubblicitari
ripetendosi
sempre
non
riportano
nulla
di
nuovo.
Tale
concetto
pur
riuscendo
a
chiarire
i
processi
che
si
realizzano
dietro
alla
comunicazione
offre
un’immagine
troppo
statica
del
linguaggio.
I
codici
nella
vita
quotidiana
sono
continuamente
rinegoziati
e
trasformati
e
per
questo
si
devono
cercare
principi
di
organizzazione
generali
che
costituiscono
la
necessaria
ossatura
di
qualunque
codice
e
sottocodice
che
si
possa
immaginare.
Il
DISCORSO
può
essere
manifestato
sia
da
testi
come
libri
sia
da
spazi
fisici,
oggetti
e
loro
design.
Riguardo
alla
COERENZA
DISCORSIVA,
uno
dei
modi
più
efficaci
di
produrla
e
mantenerla
è
quella
di
serbare
in
superficie
i
valori
profondi
del
patto
comunicativo.
Così
è
possibile
tenere
un
controllo
costante
sulla
comunicazione
e
sulle
sue
strategie.
Di
solito
si
pensa
che
i
termini
linguistici
abbiano
un
significato
letterale
(dizionario,
razionale)
e
uno
figurato
(uso
comune,
poetico).
Il
SIGNIFICATO
DI
UN
TERMINE
non
è
stabile,
ma
si
trasforma
nel
tempo,
a
seconda
delle
realtà.
Occorre
pensare
il
significato
delle
parole
in
relazione
a
una
significazione
legata
alla
complessità
dei
discorsi,
alle
situazioni,
ai
contesti
sociali
e
culturali,
alle
epoche
storiche
ecc.
Se
si
tratta
di
un
discorso
giornalistico
vi
saranno
temi
politici
e
cosi
via.
La
TEMATIZZAZIONE
è
la
ricopertura
semantica
delle
strutture
narrative
attraverso
la
selezione
di
una
serie
di
temi
possibili.
Ogni
tema
a
sua
volta
può
essere
raffigurato
in
modi
diversi
(la
libertà
con
la
le
camicie
e
bandiere
verdi,
lo
stato
sociale
con
gli
scioperi)
in
modo
da
creare
veri
e
propri
stereotipi
discorsivi.
FIGURATIVITA':
Le
figure
costituiscono
uno
dei
gradini
piu
alti
del
percorso
generativo
di
senso,
quel
livello
di
significazione
dove
la
concretezza
del
mondo
si
presenta
in
tutta
la
sua
varietà
e
complessità.
In
questo
modo
il
discorso
si
arricchisce
di
significato
e
produce
l'immagine
più
limpida
della
realtà
(se
manifesto
il
tema
del
federalismo
con
le
stelle
e
le
strisce
sto
facendo
riferimento
al
federalismo
degli
stati
uniti,
ma
sto
anche
tirando
in
causa
tutto
ciò
che
gli
stati
uniti
possono
esprimere).
Il
tema
è
una
realtà
semantica
astratta
che
viene
figurativizzata
e
arricchita
di
senso
con
le
figure
che
a
loro
volta
sono
portatrici
di
temi
diversi.
La
figuratività
tende
a
staccarsi
dalla
base
tematica
rendendosi
relativamente
autonoma
e
producendo
ulteriori
argomentazioni
e
testi
con
significazioni
diverse.
Il
livello
della
figuratività
non
va
confuso
con
quello
dell'espressione:
la
figuratività
rientra
nel
piano
del
contenuto
(una
cosa
sono
le
figure
che
concretizzano
possibili
temi
e
ne
sono
portatrici,
altra
cosa
invece
le
immagini
che
si
concretizzano
attraverso
una
sostanza
dell'espressione
come
la
visualità).
Il
linguaggio
verbale
può
ben
rendere
il
piano
figurativo
del
discorso.
Con
la
figuratività
si
passa
dagli
elementi
invarianti
a
quelli
variabili
dove
emergono
le
caratteristiche
particolari
dei
soggetti:
il
protagonista
di
matrix
o
cappuccetto
rosso
dal
punto
di
vista
narrativo
sono
entrambi
soggetti
operativi,
ma
a
livello
figurativo
grazie
all’ambiente
in
cui
svolgono
l’azione
ecc
si
caratterizzano.
La
pace
potrà
dare
racconti
con
figurativizzazioni
variabili:
dalla
celebre
bandiera
arcobaleno
al
volo
della
colomba.
Il
livello
figurativo
del
discorso
prevede
una
sorta
di
scala
graduale
che
va
da
un
massimo
di
figurazione
ad
un
massimo
di
astrazione.
La
teoria
semiotica
ha
proposto
di
soffermarsi
su
TRE
SOTTOLIVELLI
DI
FIGURATIVITA’:
FIGURALE
(sono
tratteggiati
pochi
formati
figurativi),
FIGURATIVO
(cominciano
ad
essere
tratteggiati
pochi
formanti
figurativi),
ICONICO
(tali
figure
vengono
arricchite
ulteriormente
con
dettagli.
I
sottolivelli
del
piano
figurativo
(figurale,
figurativo
e
iconico)
sono
presenti
anche
nel
linguaggio
verbale
(posso
dire
pantaloni,
oppure,
come
fa
il
dizionario,
dire
indumento
che
riveste
il
corpo
ecc..).
Questi
sottolivelli
non
sono
però
soltanto
presenti
nelle
immagini
o
nelle
parole
in
modo
oggettivo
(in
un
quadro
uno
spettatore
può
percepire
la
figura
di
una
donna,
un'altro
cogliendo
altri
aspetti
come
l'aureola
percepirà
l'immagine
della
Madonna,
un'altro
ancora
attraverso
altri
particolati
vedrà
la
Madonna
del
Cardellino).
Un
uso
comico
delle
immagini
permette
una
doppia
lettura
dello
sfondo
(è
stato
un
errore
venire
in
vacanza
in
montagna,
mi
ricorda
il
grafico
delle
vendite:
qui
abbiamo
due
sottolivelli
coinvolti,
uno
figurativo
in
cui
leggiamo
le
montagne,
uno
figurale
in
cui
leggiamo
il
grafico.
ESTETICITA':
L'assunzione
di
una
determinata
forma
e
di
una
determinata
sostanza
dell'espressione
fa
si
che
il
testo
possa
ulteriormente
incrementare
il
proprio
senso,
arricchendolo
e
trasformandolo.
Una
cosa
è
un
racconto
verbale,
un'altra
un
racconto
visivo.
Descrivere
un
personaggio
a
parole
comporta
un
certo
impegno,
in
un'immagine
basta
mostrarlo.
Nel
testo,
la
lingua,
la
musica,
la
fotografia
ecc
divengono
codici
specifici
che
intrecciandosi
tra
loro
arricchiscono
il
piano
del
contenuto
dei
testi,
moltiplicandone
il
loro
senso.
Qui,
il
ruolo
della
semiotica
è
quello
di
far
interagire
tutti
questi
elementi
mostrando
come
la
loro
significazione
si
realizzi
entro
precise
configurazioni
di
senso,
entro
testi.
La
semiotica
insiste
nel
rilevare
una
DOPPIA
NATURA
SIGNIFICATIVA
DELL’IMMAGINE:
una
che
si
fa
manifestazione
di
una
serie
di
figure
del
mondo
che
si
pongono
sul
piano
del
contenuto,
un'altra
che
può
essere
portatrice
di
ulteriori
significati
che
hanno
a
che
fare
con
i
suoi
aspetti
specificatamente
visivi
o
plastici
(i
colori
articolandosi
fra
loro
possono
dar
luogo
a
particolari
significati).
Quindi
un’immagine
significa
una
volta
(figurativa)
e
riguarda
le
forme,
i
colori,
i
materiali
ecc
e
in
essa
i
contenuti
rappresentano
qualcosa
che
già
conosciamo,
un'altra
volta
(plastica)
e
riguarda
la
tecnica
visiva
utilizzata
che
può
non
colpirci
comunicandoci
altri
possibili
messaggi
(così
come
nel
testo
una
rima
può
acquisire
sensi
ulteriori,
nel
campo
visivo
le
forme,
i
colori,
le
posizioni
incaricate
di
rappresentare
certe
figure
possono
farsi
portatori
di
nuovi
significati
detti
plastici
(negli
spot
il
passaggio
dalla
visione
in
bianco
e
nero
a
quella
a
colori
rappresenta
una
situazione
negativa
che
poi
si
trasforma
in
positiva
rappresentando
il
prodotto).
Greimas
afferma
che,
nell’analizzare
le
immagini,
si
debbano
distinguere
due
piani
espressivi
differenti:
1)
il
PIANO
FIGURATIVO,
cioè
quello
che
consente
di
riconoscere
in
esse
gli
oggetti
del
mondo;
2)
il
PIANO
PLASTICO,
cioè
quello
che
permette
di
ricavare
dei
significati
al
di
là
dell'imitazione
della
realtà
che
l’immagine
rappresenta
(considerandone
l'organizzazione
di
linee,
colori,
spazi).
Questa
distinzione
tuttavia
non
riguarda
l’analisi
di
immagini
solo
figurative,
nel
primo
caso,
o
solo
astratte,
ne
secondo
caso;
essa
va
considerata
anche
nell’analisi
di
una
stessa
opera:
ad
esempio,
in
un
dipinto
che
rappresenti
un
paesaggio,
si
può
procedere
ad
un'analisi
di
tipo
figurativo
e
descriverne
case,
alberi,
montagne,
nuvole
ecc.;
alternativamente
o
conseguentemente
si
può
procedere
ad
un’analisi
di
tipo
plastico
e
studiarne
l'organizzazione
spaziale,
l'organizzazione
dei
colori
ovvero
delle
linee,
facendo
astrazione
dalle
figure
rappresentate.
Greimas
ricorda
la
descrizione
fatta
da
Diderot
dei
quadri
nei
Salons
parigini:
dopo
aver
scomposto
ogni
dipinto
in
oggetti
“nominabili”
e
averli
dunque
riuniti
in
gruppi
o
in
scene,
egli
passa
all’analisi
delle
tracce
lasciate
dal
pennello
sulla
tela.
Questo
esempio
illustra
per
Greimas
la
possibilità
di
scindere
sempre
l’analisi
in
livelli
diversi
che
non
si
escludono
l’un
l’altro
ma
che
anzi
cooperano
per
produrre
il
significato
complessivo
dell’immagine.
Greimas,
prendendo
in
esame
principalmente
le
opere
d’arte,
afferma
che
nella
loro
analisi
occorra
innanzitutto
stabilire
se
siano
di
tipo
figurativo
o
di
tipo
astratto:
se
rappresentino
cioè
qualcosa
di
visibile
nel
mondo
naturale
(esseri,
fenomeni,
oggetti)
oppure
non
abbiano
affatto
referenti
figurativi.
Nel
caso
di
un’opera
figurativa,
Greimas
la
definisce
costituita
di
“FORMANTI
FIGURATIVI”,
cioè
di
tratti
che
consentirebbero
il
riconoscimento
di
ciascuna
figura,
che
è
in
quanto
tale
produttrice
di
significato.
Sono
questi
che
devono
dare
avvio
all’analisi
figurativa.
Nel
caso
di
opere
non
figurative,
cioè
completamente
astratte,
questo
tipo
di
analisi
non
è
possibile
e
si
deve
dunque
procedere
all'altro
tipo
di
studio,
quello
"plastico".
Greimas,
tuttavia,
considera
una
gradualità
del
livello
figurativo:
se,
in
un
immagine
complessivamente
astratta,
siano
ancora
riconoscibili
figure,
allora
si
potrà
dire
che
tale
rappresentazione
presenti
una
"bassa
densità
figurativa";
man
mano
che
tale
densità
aumenti
si
potrà
parlare
di
figuratività
media
o
alta.
Se
la
figurazione
risultasse
totalmente
assente
la
densità
figurativa
sarebbe
“nulla”
(astrattismo);
se
tale
figuratività
fosse
molto
densa
(realismo),
la
rappresentazione
sarebbe
"iconica".
Greimas,
dunque,
concepisce
una
gradualità
dall'astratto
al
concreto
che
si
può
schematizzare
nella
successione:
1)
astratto
2)
figurativo
3)
iconico.
In
seguito,
o
in
alternativa
all'analisi
figurativa
(a
seconda
dell'immagine),
si
può
procedere
all'analisi
plastica.
Essa
consiste
nello
studio
di
tre
componenti
distinte:
1)
l'organizzazione
TOPOLOGICA,
ovvero
spaziale
del
quadro;
2)
l'organizzazione
EIDETICA,
ovvero
delle
linee
nel
dipinto;
3)
l'organizzazione
CROMATICA,
cioè
dei
colori
e/o
dei
chiaroscuri.
Una
volta
individuate
queste
tre
caratteristiche,
bisogna
ricavarne
i
FORMANTI
PLASTICI.
Ovviamente
non
tutti
i
tratti
grafici,
né
tutte
le
zone
colorate
o
tutte
le
linee
presenti
nell’immagine
possono
essere
considerate
dei
formanti
plastici:
lo
possono
essere
soltanto
se
esprimono
un
significato
all'interno
della
composizione.
In
questo
tipo
di
analisi
dovrebbe
essere
prima
di
tutto
stabilita
la
CHIUSURA
DELL’IMMAGINE,
cioè
lo
spazio
di
rappresentazione
entro
cui
essa
si
trova.
In
linea
di
principio
un'immagine
(statica)
non
potrebbe
rappresentare
nulla
di
dinamico
o
molteplici
momenti
di
un
racconto,
ma
l'arte
ci
mostra
che
ponendo
in
determinate
posizioni
le
immagini
si
possono
creare
delle
vere
e
proprie
narrazioni
(prima
parte
del
racconto:
immagine
a
sinistra,
seconda
parte
del
racconto:
immagine
a
destra).
Ricordando
il
contenuto
comunicativo
dell'annuncio
che
riguarda
ANSIOLITICO
SEDATONYL
emerge
che
grazie
al
prodotto
il
soggetto
passa
progressivamente
da
uno
stato
di
disforia
ansiosa
a
uno
di
euforica
tranquillità.
Questo
processo
narrativo
è
reso
dal
modo
in
cui
è
disegnata
la
silhouette
della
donna.
Sul
piano
plastico
questo
processo
viene
determinato
da
una
serie
di
categorie
visive:
la
collocazione
della
figura
in
alto,
al
centro
e
in
basso
rappresentano
il
tempo
della
trasformazione
passionale;
lo
scuro
ed
il
chiaro
rappresentano
la
trasformazione
timica.
Non
basta
la
semplice
descrizione
delle
linee
e
dei
colori
per
una
corretta
interpretazione,
ma
è
necessario
ricondurre
tali
elementi
a
una
loro
significatività,
cioè
alla
loro
pertinenza
rispetto
al
piano
del
contenuto.
Il
formante
plastico
può
riferirsi
ad
un
contenuto
in
due
modi:
1)
attraverso
un
rimando
“simbolico”,
quando
cioè
ci
si
riferisce
ad
una
convenzione
culturale
che
lega
simbolicamente
il
formante,
cioè
una
unità
sul
piano
dell’espressione,
ad
una
unità
sul
piano
del
contenuto:
per
esempio
il
rimando
della
“colomba”
alla
dimensione
del
“sacro”.;
2)
attraverso
un
rimando
“semi-‐simbolico”,
che
prevede
che
“categorie”
(cioè
opposizioni)
sul
piano
dell'espressione
vengano
incaricate
di
veicolare
categorie
sul
piano
del
contenuto:
per
esempio
alla
relazione
tra
le
categorie
topologiche
di
“alto”
e
di
“basso”
può
corrispondere
rispettivamente
la
relazione
tra
lo
“spazio
del
sacro”
e
“lo
spazio
del
profano”
(alto
sta
a
basso
come
sacro
sta
a
profano);
ma
vi
possono
essere
anche
opposizioni
di
tipo
cromatico:
per
esempio
all'opposizione
tra
colori
tenui
e
colori
vivaci
può
corrispondere,
sul
piano
del
contenuto,
l’opposizione
tra
dimensione
ultraterrena
e
dimensione
terrena.
Nel
primo
caso
vi
è
dunque
un
rapporto
"uno
a
uno"
tra
tratto
del
significante
visivo
e
tratto
del
significato;
nel
secondo
caso
i
tratti
si
organizzano
in
contrasti,
ovvero,
sulla
stessa
superficie,
sono
compresenti
termini
in
opposizione
(contrari
o
contraddittori).
E'
evidente
come
il
piano
plastico
dell'immagine
funzioni
attraverso
analogie
o
per
meglio
dire
attraverso
quella
procedura
semiotica
definita
semisimbolismo.
Tali
elementi
non
sono
simboli,
ma
semi-‐simboli
(
es:
semaforo:
il
rosso
significa
fermarsi
perchè
il
verde
significa
passare.
Ognuno
dei
due
ha
un
senso
solo
se
l'altro
significa
il
contrario).
Si
ha
SEMISIMBOLISMO
quando
si
istituisce
una
specie
di
piccolo
codice
funzionale
che
usa
la
medesima
convenzione
di
modo
che
almeno
due
elementi
contrari
del
piano
dell'espressione
entrano
in
relazione
con
due
elementi
contrari
su
quello
del
contenuto.
Un
esempio
di
semisimbolismo
noto
a
tutti
è
quello
dell’acqua:
qui
l’opposizione
liscio
vs
frizzante
si
trova
spesso
veicolata
da
due
colori.
Non
c’è
alcuna
regola
specifica,
per
alcune
marche
il
frizzante
è
il
rosso,
per
altre
il
blu,
in
altri
casi
è
il
contrario.
Analizzare
in
termini
plastici
un’opera
significa
quindi
non
soltanto
individuare
gli
effetti
di
senso
che
produce,
ma
anche
riscoprire
quella
figuratività
che
sembrava
scomparsa
e
che
ritorna
riconoscibile
solo
grazie
all’interpretazione
della
sua
struttura.
La
PERCEZIONE
non
è
legata
tanto
al
nostro
apparato
sensoriale,
quanto
al
modo
in
cui
ogni
oggetto
che
percepisce
è
situato
in
un
certo
ambiente
sociale,
culturale,
storico.
La
visione
dipende
da
una
serie
di
codici
sociali
che
la
trascendono.
Le
immagini
non
rappresentano
le
cose,
ma
le
nostre
idee
delle
cose
(nell'immagine
del
libro
è
possibile
vedere
sia
un
coniglio
che
un
papero).
Generalmente
più
un
testo
visivo
è
ricco
di
tratti
visivi
che
rendono
conto
dei
dettagli
della
figura,
più
quel
testo
è
considerato
realistico
e
viceversa
meno
un
testo
si
dota
di
tratti
visivi,
meno
è
dettagliato
e
meno
è
realistico.
Nell'annuncio
riprodotto
donna
e
boccetta
di
profumo
hanno
la
stessa
forma.
La
boccetta
è
vestita
come
la
donna
ed
è
come
la
donna
ma
nello
stesso
tempo
è
la
donna
ad
essere
come
la
boccetta.
In
un
modo
o
nell'altro
entrambi
sono
oggetti
di
valore.
Tutto
diventa
più
evidente
se
si
passa
dalla
componente
figurativa
a
quella
plastica.
Quando
si
parla
di
classico
esso
va
inteso
in
opposizione
al
barocco.
CLASSICO
E
BAROCCO
sono
stili
che
fanno
capo
al
linguaggio
plastico
e
che
divengono
un
modello
forte
per
descrivere
e
interpretare
le
immagine
pittoriche,
fotografiche
e
qualsiasi
aspetto
della
visualità.
La
dimensione
visiva
non
è
l'unica
a
essere
significativa:
udito,
olfatto,
gusto,
tatto
producono
anch'essi
significati
ulteriori.
Da
qui
vi
è
la
necessità
di
lavorare
sulla
dimensione
ESTETICA
del
senso:
estetica
vuol
dire
sensorialità
e
coinvolge
automaticamente
il
corpo.
I
sensi
e
il
senso
sono
fenomeni
strettamente
collegati.
Un
CORPO
è
il
luogo
e
mezzo
in
costituisce
la
significazione.
Un
campo
in
cui
il
corpo
sta
in
stretta
relazione
con
la
significazione
è
quallo
della
SPAZIALITA’.
Le
strutture
spaziali
sono
per
l'uomo
altamente
significative.
Lo
SPAZIO
è
uno
strumento
attraverso
cui
le
società
rappresentano
se
stesse,
le
proprie
gerarchie.
Lo
spazio
significa
da
una
parte
sulla
base
dei
progetti
d'azione,
dall'altra
parte
costituisce
l'identità
soggettiva
permettendo
certe
azioni
e
non
altre
(alto/basso,
destra/sinistra
sono
sistemi
di
valori
che
dettano
al
soggetto
possibili
costrizioni
e
dettandogli
programmi
d'azione).
La
ricerca
semiotica
attuale
è
arrivata
a
considerare
l'esperienza
sensibile
e
corporea
come
una
specie
di
co-‐partecipante
alla
costruzione
e
trasformazione
della
significazione.
Il
CORPO
interviene
al
momento
dell'enunciazione
e
ne
rimane
traccia
al
momento
della
costituzione
dei
vari
testi.
L'istanza
dell'enunciazione
è
un
corpo
che
prendendo
posizione
nello
spazio
e
nel
tempo
determina
se
stesso.
La
testualità
non
riguarda
solo
il
testo,
ma
include
anche
situazioni
ed
esperienze
concrete:
è
evidente
che
la
SENSORIALITA’
e
la
CORPOREITA’
non
possono
essere
ridotte
allo
schema
canonico
(poichè
stiamo
parlando
di
film,
canzoni,
spot),
ma
essi
richiedono
modelli
d'analisi
semiotica
al
tempo
stesso
specifici
(maniera
in
cui
il
corpo
e
la
percezione
accedono
al
senso)
e
generali
(retroattivi
rispetto
alla
testualità
canonica).
La
semiotica
ha
provato
a
elaborare
un
modello
d'analisi
testuale
relativo
alla
corporeità,
la
cosiddetta
TOPICA
SOMATICA,
sorta
di
matrice
che
stabilisce
una
tipologia
di
modi
del
sensibile
al
cui
interno
trovano
spazio,
oltre
a
una
ridistribuzione
dei
tradizionali
cinque
sensi,
anche
processi
generalmente
esclusi
dall'apparato
percettivo,
ma
pertinenti
alla
semiotica
del
corpo.
Questa
matrice
parte
dal
presupposto
che
il
corpo
sensibile
vada
distinto
in
CORPO
PROPRIO
(con
cui
si
produce
una
pecezione
del
sè)
e
CARNE
(istanza
intima
che
determina
qualcosa
come
un
Me).
La
PERCEZIONE
SENSORIALE
(del
mondo
e
di
sè)
è
un
doppio
processo
che
va
dall'esterno
all'interno
e
viceversa
(l'olfatto
legandosi
al
processo
di
respirazione
porta
all'interno
ciò
che
sta
fuori
dal
corpo
e
nello
stesso
tempo
viene
usato
dalle
varie
culture
per
semantizzare
la
vita
e
la
morte
finendo
per
avere
relazioni
con
l'universo
del
sacro;
nelle
culture
primitive
il
processo
della
digestione
e
quello
della
cucina
risultano
analoghi
poichè
la
cucina
è
la
trasformazione
culturale
dei
cibi
come
la
digestione
lo
è
dal
punto
di
vista
naturale).
Ne
deriva
che
la
SINESTESIA
è
la
rappresentazione
esteriore
di
un
senso
attraverso
un
altro
senso
ma
il
riuso
di
una
forma
sintattica
attraverso
altre
sostanze
sensoriali.
La
sinestesia
è
intesa
come
una
sovrapposizione
percettiva
di
tratti
espressivi
e
tratti
semici
(intensità
di
un
colore/intensità
di
un
odore).
Sono
queste
forme
che
permettono
la
traduzione
testuale
fra
sensi
diversi,
rendendo
possibile
dire
un
profumo
attraverso
un'immagine,
veicolarne
il
senso
tramite
la
visualità.
CORPO
E
SPAZIO:
La
questione
del
corpo
si
lega
soprattutto
con
il
senso
dello
spazio.
Il
corpo
ha
un
nesso
costitutivo
con
la
spazialità:
acquista
consistenza
e
senso
grazie
alla
sua
collocazione
in
un
determinato
luogo,
allo
spazio
da
esso
vissuto,
abitato,
attraversato;
al
tempo
stesso
contribuisce
a
dare
senso
a
questi
luoghi,
a
costituirne
fisionomia
e
significazione.
Spazio
e
soggeto
si
costruiscono
uno
rispetto
all'altro
e
il
tramite
grazie
a
cui
ciò
avviene
è
proprio
il
corpo,
nella
sua
doppia
natura
di
elemento
situato
nello
spazio
e
di
estensione
spaziale,
contenuto
e
contenente.
Lo
spazio
è
un
sistema
e
un
processo
di
significazione,
un
insieme
di
cose
strutturate
che
parlano
alla
società
della
società.
Per
la
semiotica
spazialità
e
soggettività
si
costituiscono
reciprocamente.
La
PROSPETTIVA
SEMIOTICA
che
si
occupa
di
luoghi,
citta,
appartamenti,
si
identifica
con
quella
del
fruitore,
ovvero
del
corpo-‐soggetto
che
percorre
questi
spazi,
li
subisce
e
trasforma.
La
SEMIOTICA
DELLO
SPAZIO
insiste
su
alcune
questioni,
una
di
queste
rigurada
la
narratività:
lo
spazio
significa
in
quanto,
articolandosi,
inscrive
al
suo
interno
una
serie
di
azioni
di
coloro
che
lo
vivono
e
attraversano.
E'
narrativa
poichè
le
azioni
sono
significative
in
vista
di
programmi
piu
o
meno
complessi
(nella
forma
di
un
appartamento
è
inscritto
lo
stile
di
vita
di
chi
vi
abita).
Se
uno
spazio
appare
significativo
è
perchè
in
esso
si
inscrive
una
polemica
narrativa
soggettiva.
Le
organizzazioni
spaziali
sono
attori
umani:
un
ascensore
o
una
scala
mobile
salgono
le
scale,
un
cancello
automatico
sostituisce
un
portiere,
una
porta
aperta
invita
ad
accedervi
mentre
una
chiusa
vieta
l'ingresso.
Ogni
luogo
fisico
è
un
enunciato
di
stato
che
presuppone
un
enunciato
del
fare:
per
ricostruire
il
senso
del
luogo
è
necessario
ricostruire
il
senso
di
quel
luogo
attraverso
una
serie
di
deleghe
per
ritrovare
dietro
alle
cose
del
mondo
le
operazioni
umane
che
le
hanno
dotate
di
senso.
Esiste
una
presupposizione
reciproca,
ovvero
una
relazione
di
significazione
fra
le
forme
di
articolazione
dello
spazio
e
le
forme
di
comportamento
dei
consumatori
(lunghi
corridoi
fanno
sì
che
le
persone
con
i
carrelli
si
incalinino
su
anonime
traiettorie
aspettando
il
loro
turno
agendo
come
sonnambuli
mentre
al
contrario
spazi
ampi
e
complessi
portano
i
consumatori
a
crearsi
spazi
propri
comportandosi
come
esploratori
e
ancora
infine
spazi
non
continui,
aperti
e
senza
direzioni
prestabilite
portano
il
consumatore
a
rilassarsi
sino
a
dimenticare
la
ragione
per
cui
si
è
in
un
determinato
posto).
Ne
consegue
che
lo
spazio
significa
anche
perchè
provoca
passioni
(se
a
un
voler
vedere
di
un
soggetto
in
uno
spazio
corrisponde
un
voler
non
essere
visto
ciò
provoca
reazioni
passionali
come
disagio
e
frustrazione;
una
parete
di
vetro
permette
di
vedere
ciò
che
solo
in
seguito
si
può
raggiungere
fisicamente
superando
l'ostacolo
come
l'ingresso
di
un
negozio).
Da
qui
una
semiotica
delle
vetrine
le
quali
non
sono
semplici
soglie
ma
macchine
produttrici
di
senso
soggettivo,
processi
di
seduzione
e
addescamento
del
consumatore
(posso
accettare
l'invito
ad
entrare,
rifiutarlo,
sbirciare,
specchiarmi
ecc.
ovvero
si
hanno
una
serie
di
passioni).
DESIGN
SULLO
SPAZIO:
Lo
spazio
è
il
luogo
in
cui
si
produce
un
complesso
sistema
di
relazioni.
Tutto
è
testo
perché
racconta
una
storia.
Per
Floch
le
SCRIVANIE
costruiscono
una
vera
e
propria
scenografia
del
potere:
qui
troviamo
in
opposizione
l’attività
cognitiva
(pensiero
strategico)
e
l’attività
pragmatica
(operatività
concreta).
Esiste
insomma
un
DIRIGENTE
DECISORE
che
traccia
le
linee
guida
ed
un
DIRIGENTE
PILOTA
che
opera
personalmente
affinchè
il
lavoro
venga
eseguito.
Dalla
negazione
logica
di
ognuno
dei
termini
principali
otteniamo
il
NON
PILOTA
(dirigente
che
media
il
rapporto
con
l’azione
vera
e
propria
attraverso
una
squadra
di
collaboratori
ed
il
NON
DECISORE
che
concepisce
l’attività
pratica
legata
a
interventi
indipendenti
da
lui.
In
termini
di
spazi,
lo
spazio
di
un
decisore
sarà
realizzato
intorno
alla
figura
solitaria
del
capitano
d’impresa
e
avrà
un'unica
direzione
d’interazione,
mentre
lo
spazio
di
un
pilota
dovrà
offrire
spazio
alle
molteplici
attività
e
saranno
previsti
piu
direzioni
e
piu
tavoli
affiancati.
La
scrivania
del
non
pilota
offrirà
sia
uno
spazio
privilegiato
che
uno
spazio
per
gli
altri
interlocutori
e
quello
del
non
decisore
renderà
agevole
qualche
intervento
momentaneo
che
non
si
tramuterà
mai
in
una
seconda
attività.
Ogni
scrivania
definisce
quindi
spazi
e
linee
di
interazione
individuando
il
ruolo
di
coloro
che
occuperanno
quegli
spazi,
stabilendo
delle
gerarchie.
Le
scrivanie
istituiscono
dei
veri
e
propri
regimi
di
visibilità:
Foucault
in
sorvegliare
e
punire
spiega
che
le
celle
sono
disposte
in
anelli
circolari
e
che
si
affacciano
su
un
unico
punto
in
cui
vi
sono
le
guardie:
in
questo
modo
risulterà
facile
controllare
le
guardie
e
i
detenuti
potranno
vedersi
a
vicenda.
Cosi
sempre
guardati
da
tutti
vengono
privati
di
qualunque
forma
di
intimità.
Riguardo
le
scrivanie
le
possibilità
sono
due:
la
valorizzazione
della
partecipazione
(spazio
unico
senza
intimità:unica
stanza
per
tutti)
e
quella
dell’autonomia
(spazio
multiplo
con
intimità:stanze
divise
per
tutti).
L’unità
valorizzerà
l’identificazione
di
un’azienda
visto
come
corpo
sociale.
La
totalità
strutturata
di
omnis
rappresenterà
un
insieme
valorizzato
dall’autonomia
di
ciascuno
mentre
la
totalità
di
totus
rappresenterà
un
insieme
valorizzato
dalla
massa
di
lavoratori
uniti
nel
lavoro.
Occorre
studiare
i
modi
in
cui
i
processi
sensoriali
e
somatici
vengono
testualizzati.
Da
qui
la
nozione
di
PRESA
ESTETICA,
utile
per
trattare
questo
genere
di
problemi
testuali.
La
presa
estetica
è
quel
momento
indicibile
in
cui
la
sensorialità
riemerge
senza
consapevolezza
ma
con
determinazione.
Per
spiegarlo
meglio
devono
essere
ricordati
due
punti:
uno
è
la
presenza
della
figuratività
nel
piano
del
contenuto
dei
linguaggi
che
contribuiscono
alla
costruzione
del
significato,
l'altro
è
la
relazione
fra
plastico
e
figurativo
in
cui
il
plastico
è
quel
qualcosa
che
si
percepisce
in
un
secondo
momento
(non
piu
figure
ma
tratti
fisici),
una
specie
di
visione
"altra"
del
mondo
che
richiede
abilità
non
comuni).
E'
per
questo
che
gli
artisti
hanno
una
sensibilità
particolare,
vedono
il
plastico
laddove
tutti
vedono
il
figurativo.
Questa
abilità
particolare
che
possiamo
chiamare
competenza
plastica
è
presente
in
modo
diverso
in
ognuno
di
noi
e
contribuisce
alla
formazione
della
nostra
soggettività.
DESIGN
SUL
CORPO:
parlando
di
corpi
e
piu
specificatamente
di
una
poltrona,
essa
è
sia
un
luogo
che
accoglie
il
paziente
sia
uno
strumento
grazie
a
cui
il
dentista
interviene.
Qui
l’ERGONOMIA
studia
le
modalità
di
interazione
fra
individui
e
oggetti
focalizzandosi
su
come
sia
possibile
rendere
efficace
e
piacevole
l’uso
adattando
le
interfacce
ai
corpi.
Progettare
ergonomicamente
significa
assecondare
la
natura.
Marsciani
spiega
che
la
poltrona
non
è
semplicemente
il
luogo
d’atteso
di
un
intervento
ma
che
è
un
soggetto
attivo
che
manipola
il
nostro
corpo
sia
fisicamente
che
psicologicamente.
Alla
fine
di
questo
processo
il
corpo
del
paziente
diventa
la
sua
bocca
mentre
tutto
ciò
che
gli
sta
intorno
si
perde.
Il
dentista
dovrà
solo
controllare,
valutare
e
decidere
che
strumento
usare.
Lui
non
farà
ma
farà
fare.
Il
suo
è
dunque
un
lavoro
cognitivo
e
apparirà
come
un
deus
ex
machina.
Le
forme
fisiche
sono
sempre
prima
di
tutto
forme
semiotiche,
il
modo
attraverso
cui
si
dà
sostanza
a
qualcosa
di
astratto
come
un’idea
di
cura
per
il
tramite
di
una
cultura.
Lo
ZOOM
ad
esempio
è
un’invenzione
molto
comoda.
Con
un’ottica
fissa
si
era
costretti
a
muoversi
nello
spazio
per
cercare
l’inquadratura
e
questo
portava
ad
entrare
in
contatto
con
altre
persone.
La
scelta
dell’ottica
condiziona
il
rapporto
che
il
fotografo
ha
con
ciò
che
lo
circonda.
Con
lo
zoom
di
può
fare
qualsiasi
fotografia.
Ciò
che
si
costituisce
dall’unione
di
uomo
e
macchina
fotografica
avrà
un
suo
modo
caratteristico
di
entrare
in
relazione
con
ciò
che
lo
circonda
e
di
percorrere
lo
spazio
in
una
maniera
propria.
Con
l’avvento
dello
zoom
il
fotografo
perde
ciò
che
lo
costringeva
a
cambiare
punti
di
vista.
Infatti
è
sconsigliato
per
chi
è
alle
prime
armi
di
usare
lo
zoom
perché
non
potrebbe
imparare
ad
entrare
in
relazione
con
ciò
che
lo
circonda.
L’interfaccia
dell’oggetto
è
duplice
perché
si
rivolge
sia
ai
soggetti
umani
sia
agli
oggetti
con
cui
entrerà
in
relazione.
Olivetti
quando
decise
di
rinnovarsi
proponendo
di
infrangere
la
linea
retta
con
la
linea
curva
creò
un
semisimbolismo:
linea
dritta
(funzionalità),
linea
curva
(estetica).
Il
semisimbolismo
è
infatti
quella
particolare
relazione
di
significazione
che
ha
luogo
fra
categorie.
Spesso
i
nomi
dati
agli
oggetti
non
hanno
nulla
a
che
vedere
con
loro
e
non
hanno
nemmeno
la
definizione
sul
dizionario.
Una
cosa
simile
accade
per
la
Golf
o
la
Polo
che
evocono
lo
sport
d’èlite.
Dato
che
ogni
cosa
ha
un
nome
nulla
è
distinguibile
e
per
questo
viene
esibito
puntualmente
il
logo
della
marca
o
produttore:
ritorna
il
mito
d’autore.
SEMIOTICA
E
DESIGN:
La
semiotica
ha
contribuito
a
proporsi
come
metodologia
generale
delle
scienze
dell'uomo,
intercedendo
fra
esse
e
traducendole
reciprocamente.
Ora,
mettere
in
relazione
il
design
con
la
semiotica
vuol
dire
dal
nostro
punto
di
vista
affrontare
i
problemi
del
design
con
gli
strumenti
della
semiotica.
Gli
oggetti
del
design
a
partire
dalle
proprie
funzioni
acquistano
il
loro
senso
umano
e
sociale
in
quanto
inseriti
nell’universo
dell’esperienza.
L’oggetto
non
è
mai
solo,
non
è
un
segno
isolabile
da
ciò
che
gli
sta
intorno,
con
un
proprio
significato
intrinseco,
ma
fa
parte
di
una
catena
di
altri
oggetti,
fa
parte
della
sfera
socio-‐semiotica
dell’esperienza
concreta,
corporea,
intima
e
personale
di
chi
entra
in
contatto
con
esso.
L’oggetto
non
è
un
segno
ma
un
testo.
Focalizzandoci
sul
DIVANO
MISTER,
specificatamente
la
versione
ad
L.
Considerando
solo
il
divano
è
possibile
costruire
ipotesi
attendibili
sulla
natura
e
disposizione
degli
altri
oggetti
che
faranno
parte
di
quella
stanza
poiché
è
lo
stesso
divano
a
prevederne
la
presenza.
Possiamo
immaginare
il
tipo
di
conversazione
e
a
dircelo
è
il
tipo
della
struttura
della
seduta,
una
seduta
formale.
Potremo
quindi
leggere
nel
divano
una
vera
e
propria
organizzazione
di
senso.
Un
racconto,
un
oggetto,
una
caffettiera,
un
bicchiere,
uno
spot
pubblicitario,
tutto
produce
senso.
La
marca
tiene
insieme
non
soltanto
oggetti
diversi
ma
anche
ciò
che
ruota
intorno
a
loro,
come
il
punto
vendita,
la
pubblicità,
la
distribuzione.
Armani
ha
esteso
il
brand
oltre
la
proposta
commerciale
d’origine,
includendo
mobili,
fiori,
musica.
Questi
oggetti
non
hanno
nulla
in
comune
dal
punto
di
vista
del
materiale
e
delle
forme,
ma
moltissime
dal
punto
di
vista
del
senso:
per
questo
si
parla
di
discorso
della
marca
e
non
di
linguaggio
della
marca.
Passare
dall’analisi
dei
singoli
oggetti
al
discorso
che
essi
intrattengono
offre
una
prospettiva
originale
sulla
teoria
che
sta
dietro
qualsiasi
progetto.
Esempio:
guardando
al
brand
della
MERCEDER-‐BENZ,
all’interno
della
sua
organizzazione
troviamo
l’automobile
ma
anche
la
bicicletta,
prodotti
molto
differenti,
eppure
perfettamente
concilianti
nelle
forme
semiotiche
profonde.
Entrambi
gli
oggetti
sono
espressione
di
una
filosofia
unica:
soluzioni
tecniche
all’avanguardia,
freni
a
disco
su
entrambi
le
ruote,
cambio
a
27
rapporti,
tutto
insomma
esprime
in
un
bicicletta
la
filosofia
del
marchio
Mercedes-‐benz.
Altro
esempio:
prendiamo
la
chiesa
OUR
LADY
OF
ANGELS
di
Los
Angeles,
progettato
da
Moneo.
Oltre
alla
chiesa
ha
un
giardino,
una
residenza
per
la
curia,
punti
di
ristoro,
shop,
parcheggio
ecc.
Entrati
dal
cancello
si
accede
ad
una
piazza
e
davanti
ad
essa
vi
sono
due
scalinate
che
portano
ad
un
ampio
spazio
tra
chiesa
e
residenze.
Guardando
la
chiesa
ci
ritroviamo
davanti
ad
un
immenso
portale
che
costituisce
l’ingresso.
Entrati
veniamo
ammessi
in
uno
spazio
simile
ad
un
corridoio
in
cui
il
pavimento
è
in
pendenza.
Tutto
è
semplice
ed
essenziale.
Dopo
un
intenso
percorso
dettato
dall’unicità
direzionale
del
corridoio
arriviamo
alla
navata
principale
inondata
da
una
luce
intensa.
La
struttura
sembra
un
teatro.
Qui
la
parola
viene
dal
basso,
in
un
ambiente
la
cui
forma
è
ritenuta
la
migliore
per
i
problemi
di
visione
e
di
acustica.
I
fedeli
circondano
l’altare
e
dunque
le
parole
non
vengono
dall’alto
ma
dallo
stesso
livello
dei
fedeli
e
la
divinità
non
appare
irraggiungibile.
Questo
luogo
non
serve
sono
a
riunirsi
per
pregare
ma
prende
posizione
nei
confronti
della
religione:
si
tratta
di
riportare
la
religione
all’uomo
restituendo
la
parola
a
Dio
a
un
livello
che
può
essere
compreso
e
discusso.
Tutti
gli
oggetti,
gli
spazi,
non
si
limitano
a
significare
la
religione,
ma
a
proporne
attivamente
un
modello.
Questa
chiesa
dialoga
inoltra
anche
con
la
citta
in
cui
si
trova:
Los
Angeles,
luogo
di
scontro
tra
uomini
di
etnie
diverse.
Il
progetto
di
Moneo
è
quello
di
prendere
in
carico
la
città
come
una
forma
di
vita
rideclinabile
all’interno
di
un
edificio.
Prendendo
invece
la
WALT
DISNEY
CONCERT
HALL,
progettata
da
Gehry,
dove
Moneo
è
fedele
alla
retti
linearità,
Ghery
è
fedele
alla
linea
curva.
Queste
due
architetture
rimandano
una
allo
stile
classico,
l’altra
a
quello
barocco
e
ciò
è
dimostrabile
facendo
uso
di
cinque
coppie
oppositive:1)l’opposizione
lineare
vs
pittorico
(figure
stabili
in
strutture
misurabili
vs
costruzione
di
masse
e
forme
che
si
intrecciano);2)l’opposizione
piano
vs
profondità
(precisione
nel
numero
di
piani
vs
molteplicità
dei
punti
di
vista);3)forma
chiusa
vs
forma
aperta
(chiusura
classica
vs
forma
aperta
che
spinge
in
ogni
direzione);4)
molteplicità
vs
unità
(gusto
classico
con
parti
dell’edificio
distinte
vs
via
barocca
dell’unità);5)
l’uso
della
luce
(privilegio
della
luce
vs
privilegio
dell’oscurità:
la
luce
barocca
sembra
fluire
di
un
privilegio
di
irrazionalità
perché
ciò
che
vediamo
sembra
che
esiste
solo
in
quanto
c’è
quella
specifica
luce,
mentre
la
luce
classica
entra,
colpisce,
cambia
direzione).
La
nozione
di
DISCORSO
ci
consente
sia
di
ridefinire
confini
e
pertinenze
dell’attività
progettuale
sia
ci
aiuta
a
guardare
con
occhi
diversi
il
design
stesso.
Stiamo
parlando
di
un
discorso
portato
avanti
sia
dagli
oggetti
di
disegn
che
di
quelli
che
parlano
di
design
come
le
riviste
specializzate.
Quando
Barthes
volle
studiare
la
moda
volle
trovare
cosa
la
rendeva
quello
che
era
e
scelse
di
lavorare
nelle
riviste
specializzate.
Qui
si
incrociarono
il
DISCORSO
DEL
DESIGN
(discorso
che
il
design
produce
con
gli
oggetti
che
progetta
facendo
in
modo
che
parlino
di
sé:
il
produttore
declina
l’identità
di
un’automobile
su
una
bicicletta
come
nel
caso
di
mercedes-‐benz.
Altro
caso
quello
della
Mini
che
accomuna
un’auto
e
un
frigorifero
nel
fatto
che
entrambi
sono
personalizzabili
e
quindi
Mini
ha
costruito
un’identità
sulla
possibilità
di
rendere
un
oggetto
unico)
e
DISCORSO
SUL
DESIGN
(quello
che
ha
il
design
come
argomento:
molti
hanno
dato
una
definizione
di
design.
Starks
parla
di
morte
del
design:
esso
muore
non
perché
non
si
progetti
più
ma
perché
si
progetti
troppo.
Il
design
ha
assunto
una
sua
identità
precisa,
è
diventato
un
attore
sociale.
Il
design
orma
vive
aldilà
dei
suoi
protagonisti).
A
causa
dell’immensa
offerta
di
prodotti
disegnare
qualcosa
di
nuovo
è
diventato
impossibile.
Per
creare
una
sedia
e
farla
entrare
nel
mercato
dovremmo
attuare
una
strategia:
ci
sono
due
direttrici,
forma
e
funzione,
che
si
conciliano
nel
buon
design.
Paragonando
il
design
ad
un
linguaggio
abbiamo
due
posizione
opposte:
la
lingua
come
strumento
che
parla
delle
cose
del
mondo
e
tratteggia
una
realtà
che
esiste
già
(funzione
rappresentativa);
la
lingua
come
mezzo
attraverso
il
quale
costruiamo
il
nostro
pensiero
(funzione
costruttiva).
Se
ora
riportiamo
il
linguaggio
al
design
in
una
concezione
di
tipo
rappresentativo
si
creerà
un
prodotto
che
segue
un
bisogno
che
preesiste,
mentre
in
una
concezione
di
tipo
costruttivo
si
creerà
un
prodotto
che
induce
al
bisogno.
Sentiamo
parlare
molto
spesso
di
STILE:
esso
è
un
insieme
di
caratteristiche
che
appartengono
al
piano
dell’espressione
e
che
ricorrendo
a
specifici
elementi
rimandano
a
specifici
temi.
Invece
il
GENERE
rispetto
allo
stile
è
più
ampio
perché
possiamo
intenderlo
come
un
insieme
di
regole
astratte
sull’organizzazione
dei
contenuti
di
un
testo.
Il
genere
è
un
principio
organizzativo
alla
base
della
composizione
degli
enunciati.
Dove
lo
stile
privilegia
il
piano
dell’espressione,
il
genere
privilegia
il
piano
del
contenuto.
Progettare
un
prodotto
vuol
dire
raccontare
una
storia
che
deve
sia
essere
capita
che
produrre
un
effetto.
Il
DESIGN
REFERENZIALE
costruisce
tanto
il
testo
o
film
quel
che
sia
quanto
colui
che
dovrà
fruirne
appassionandolo.
Per
questo
il
genere
deve
essere
considerato
un
genere
enunciativo,
ossia
un
insieme
di
marche
che
caratterizzano
l’enunciato
definendo
le
circostanze
della
sua
produzione
e
della
sua
fruizione.
Ritorniamo
al
discorso
sulle
sedie:
Una
sedia
referenziale
è
una
seduta
con
una
forma
che
si
adatta
e
che
fa
sedere
un
corpo.
La
bravura
di
un
progetto
starebbe
nel
comprendere
i
segreti
di
questo
corpo.
La
JIM
è
una
sedia
semplice,
lineare
che
punta
sul
richiamo
al
passato
e
sulla
semplicità.
Negare
la
funzione
referenziale
significherebbe
partire
dal
presupposto
che
la
forma
non
segue
la
funzione
e
ciò
avviene
con
la
PASSEPARTOUT,
una
sedia
obliqua
che
per
essere
riconosciuta
ha
bisogno
di
un
lavoro
cognitivo
dietro.
Negando
invece
che
non
esista
una
funzione
prestabilita
avremo
la
SACCO
che
non
ha
una
forma
perché
è
riempita
di
palline
di
polistirolo.
Si
parla
di
design
mitico
quando
la
funzione
segue
la
forma:
il
trono
ne
è
un
esempio:
la
cosa
importante
è
che
renda
riconoscibile
chi
gli
sta
sopra,
la
comodità
passa
in
secondo
piano.
Ciò
accade
con
la
LOCKHEED
CHAIR
che
non
è
costruita
certamente
per
la
sua
comodità.
Accade
che
la
forma
ha
costruito
la
funzione
che
è
quella
di
essere
un’opera
d’arte,
una
scultura
come
nella
ERCOLINA
che
non
solo
non
assomiglia
ad
una
sedia
ma
che
non
ci
consente
nemmeno
di
essere
usata
se
non
ribaltandola
sul
pavimento.
Se
parliamo
invece
di
design
sostanziale
la
funzione
non
segue
la
forma
ovvero
la
funzione
costruttiva
del
prodotto
viene
negata
in
quanto
ciò
che
comanda
è
il
corpo:
si
tratta
di
design
sostanziale
perché
è
la
sostanza
della
nostra
fisicità
a
determinare
le
forme
del
prodotto.
Ciò
accade
con
la
YPSILON
,
modello
da
ufficio
per
rispondere
ai
criteri
più
alti
dell’ergonomia.
Essa
è
infatti
ricca
di
regolazioni.
Essa
vuole
farci
stare
comodi
secondo
la
posizione
dettata
giusta
dai
medici.
Sostanziale
sarà
anche
la
VARIABLE
BALANS
costruita
per
realizzare
un
nuovo
modo
di
stare
seduti.
Cambiando
argomento
e
spostandoci
sulle
INTERFACCE
ovvero
su
quegli
insiemi
di
punti
di
contatto
attraverso
i
quali
si
realizza
un’interazione,
quello
che
si
ritiene
comunemente
è
che
una
migliore
interfaccia
renda
l’uso
piu
piacevole.
Gli
oggetti
hanno
delle
funzioni
ovvero
tutto
quello
che
essi
possono
fare.
Il
manuale
serve
a
rendere
esplicite
le
logiche
sottese
a
certe
scelte
operative.
La
scelta
delle
funzioni
che
effettivamente
utilizziamo
non
è
del
tutto
personale,
ma
ha
una
componente
sovra
individuale.
Nessuno
è
costretto
a
utilizzare
o
meno
una
certa
funzione,
ma
indubbiamente
esiste
una
forma
di
contagio,
non
fosse
altro
perché
ci
guardiamo
a
vicenda
usare
le
cose.
Questa
dimensione
sovra
individuale
la
chiameremo
uso,
ossia
le
funzioni
che
concretamente
vengono
prese
in
carico
dalla
comunità
degli
utenti.
Tutte
le
volte
che
qualcuno
usa
qualcosa
in
modo
imprevisto
da
coloro
che
l’hanno
progettato
si
parlerà
di
abuso
dell’oggetto
(usare
la
luce
del
display
per
far
luce).
Il
consumatore
produce
sempre
qualcosa.
Nessuna
interfaccia
è
talmente
intuitiva
da
non
richiedere
istruzioni,
perche
se
fosse
così
vorrebbe
dire
che
l’oggetto
non
contiene
nessuna
innovazione
rispetto
a
un
sapere
consolidato.
Nell’attività
di
progettazione
si
deve
tener
conto
dell’abuso
come
pratica
di
ricostruzione
dell’oggetto
come
quando
nella
moda
la
nuova
collezione
rappresenta
la
stagione
precedente
che
ha
introiettato
gli
abusi
subiti
dalla
comunità
di
utenti.
Nell’uso
di
un
oggetto
ciò
che
cambia
tra
un
esperto
e
un
principiante
è
la
paura
di
fare
un
danno
di
qualche
tipo:
il
principiante
non
riuscirà
a
rilassarsi
ed
è
per
questo
che
la
passione
ha
un
ruolo
fondamentale
nell’azione:
la
sovra
determina
creando
le
condizioni
per
la
sua
comparsa.
Con
INTERACTION
DESIGN
si
intende
una
serie
di
esperimenti
in
cui
viene
messa
al
centro
del
progetto
l’interazione,
ossia
il
fatto
che
quando
un
soggetto
e
un
oggetto
entrano
in
contatto
entrambi
debbano
subire
una
modificazione.
Ci
sono
prodotti
che
evocano
precise
passioni
e
che
le
nominano
nelle
loro
pubblicità:
la
Mini
Cooper
deve
il
suo
successo
al
suo
essere
una
macchina
divertente.
DESIGN
SULLA
PASSIONE:
Dal
punto
di
vista
del
design
la
PASSIONALITA’
risulta
un
elemento
chiave
che
ha
a
che
vedere
con
il
successo
commerciale
dei
prodotti,
con
la
loro
possibilità
di
emergere
nei
mercati,
ma
anche
con
l’impatto
che
beni
e
servizi
hanno
sulle
vite
delle
persone.
La
stessa
parola
passione
deriva
da
patior
che
significa
subire,
infatti
la
passione
dovrebbe
essere
qualcosa
che
subiamo.
Norman
sostiene
che
vi
siano
tre
livelli
da
considerare
per
comprendere
il
modo
in
cui
gli
oggetti
suscitano
emozioni:
il
primo
è
LIVELLO
VISCERALE
(legato
alla
nostra
fisicità,
alle
percezioni
che
abbiamo
grazie
ai
nostri
sensi
e
si
basa
sui
concetti
di
piacere
e
dispiacere);
il
secondo
è
il
LIVELLO
COMPORTAMENTALE
(si
attiva
quando
guidiamo
l’automobile
o
quando
suona
un
pianista
esperto);
infine
abbiamo
il
LIVELLO
RIFLESSIVO
(i
processi
cognitivi
volontari).
Norman
pensa
che
questi
livelli
agiscano
insieme
creando
un
effetto
passionale:
se
andare
sulle
montagne
russe
a
livello
viscerale
ha
un
valore
disforico,
avendo
a
che
fare
con
la
paura
dell’altezza
essa
può
diventare
piacevole
se
gli
altri
livelli
intervengono
a
sovra
determinare
il
primo.
Il
livello
riflessivo
interverrà
suggerendo
che
non
vi
è
nessun
pericolo
reale
e
alla
fine
l’esperienza
ci
farà
provare
un
sentimento
di
soddisfazione
e
di
orgoglio.
L’approccio
semiotico
alle
passioni
come
effetto
di
senso
inscritto
nel
linguaggio.
La
passione
possiede
una
razionalità
che
le
è
propria
e
che
l’analisi
ha
il
compito
di
esplicitare.
La
passione
non
ha
nulla
di
passivo,
al
contrario
è
un
conglomerato
virtuale
di
azioni.
Qualunque
artefatto
deve
fare
i
conti
con
le
passioni
che
eventualmente
potrebbe
suscitare.
Dietro
ad
una
passione
c’è
sempre
un
abbozzo
di
storia,
una
struttura
narrativa
implicita
che
ne
costituisce
l’ossatura.
Dobbiamo
distinguere
tra
OGGETTI
CHE
SUSCITANO
PASSIONI
(il
computer
che
ci
fa
saltare
i
nervi,
la
Mini
Cooper
che
ci
attrae)
e
OGGETTI
CHE
INCORPORANO
PASSIONI
(le
sveglie
che
ci
indicano
il
sopraggiungere
di
un
certo
evento
assumono
su
di
loro
l’ansia).
Gli
oggetti
dunque
possono
tematizzare
una
specifica
passione
inducendola
o
articolandola,
ma
possono
agire
su
vari
momenti
dei
processi
di
appassionamento:
l’accendino
Bic
usa
e
getta
fu
di
cosi
grande
successo
proprio
grazie
ai
risvolti
passionali
del
suo
uso
(per
l’uso
che
se
ne
fa
è
facile
perderlo
e
lo
smarrimento
di
un
uso
e
getta
economicamente
poco
costoso
creava
pochi
problemi).
Dobbiamo
distinguere
tra
un
DISCORSO
DELLA
PASSIONE
(un
oggetto
che
tematizza
specifiche
passioni
come
un
anello
di
fidanzamento)
e
un
DISCORSO
APPASSIONATO
(un
oggetto
che
mira
a
produrre
un
effetto
patemico
senza
essere
legati
a
una
figuratività
precostruita).
Esempio:
Lo
JUDISCHES
MUSEUM
di
Berlino
di
Libeskind.
Al
suo
interno
non
vengono
mostrati
solo
dei
reperti
ma
anche
delle
emozioni
(fotografie
che
mostrano
angoscia,
oppressione,
solitudine,
paura
dei
prigionieri
dietro
le
recinzioni
dei
campi
di
concentramento),
ma
non
solo,
anche
lo
spazio
con
muri
di
cemento
grezzo,
spigoli
vivi,
luci
deboli
ecc
provocano
passioni.
Libeskind
non
parla
di
passioni
ma
parla
le
passioni,
le
rende
discorso.
Fabbri
e
Sbisà
ci
consente
di
collegare
certi
effetti
a
certi
tratti
espressivi:
la
prima
componente
che
consideriamo
è
quella
del
timismo
che
riguarda
una
categoria
primitiva
e
riguarda
il
modo
in
cui
il
soggetto
percepisce
se
stesso
e
ciò
che
lo
circonda
in
termini
di
euforia
e
disforia.
Il
termine
complesso
della
diaforia
rende
conto
dei
momenti
in
cui
gli
opposti
coesistono
e
quindi
di
quelle
passioni
che
come
l’amore
oscillano
tra
bene
e
male.
All’opposto
passioni
adiaforiche
legate
al
termine
neutro
sono
quelle
che
oscillano
tra
non-‐euforia
e
non-‐disforia
e
sono
ad
esempio
la
malinconia
e
la
noia.
La
parola
ESPERIENZA
incarna
la
riflessione
contemporanea
sul
design:
per
gli
esperti
la
storia
del
prodotto
industriale
ha
attraversato
tre
fasi
chiave:
BISOGNO
(l’industria
muoveva
i
primi
passi
ed
era
finalizzata
a
soddisfare
necessità),
DESIDERIO
(il
valore
risulta
aggiunto
dalla
comunicazione,
dalla
pubblicità)
ed
ESPERIENZA
(paragonabile
alla
composizione
della
vetrina:
formata
da
piu
oggetti.
Si
deve
pensare
che
l’esperienza
non
stia
in
nessuno
di
essi
in
particolare
ma
su
ciò
che
tiene
insieme
questi
elementi.
A
questo
mirano
i
CONCEPT
STORES
che
presentano
un
assortimento
di
prodotti
e
marche
che
ruotano
intorno
a
un
concetto
comune
di
lusso
e
design.
Da
COLETTE
a
Parigi
o
a
CORSO
COMO
10
a
Milano
si
possono
trovare
abiti,
tecnologia
ecc:
sono
punti
vendita
che
espongono
un
genere
particolare
di
merce,
giocando
sulla
qualità
degli
abbinamenti
invece
che
sulle
possibilità
di
scelta.
Poi
ci
sono
anche
i
flagship
stores,
ossia
spazi
di
acquisto-‐simbolo
che
si
pongono
a
metà
tra
una
galleria
d’arte
e
un
negozio:
entrare
nel
negozio
Prada
a
Manhattan
e
non
prendere
nulla
è
quasi
impossibile,
ma
non
per
il
grande
assortimento
ma
per
non
perdere
l’occasione
di
poter
testimoniare
di
essere
stati
li,
per
avere
un
souvenir.
La
crisi
del
cinema
attribuita
come
causata
dalla
possibilità
di
avere
enormi
schermi
a
casa
non
considera
ciò
che
il
cinema
è
sempre
stato
ovvero
una
visione
di
gruppo.
Nel
design
è
essenziale
che
ogni
prodotto
venga
percepito
come
dotato
di
qualcosa
in
piu
degli
altri
per
poter
essere
preferito.
Il
valore
è
una
serie
di
azioni,
un
programma
narrativo
(il
don
giovanni
non
appena
conquista
l’oggetto
desiderato
esso
perde
valore
poiché
il
valore
stava
nella
conquista
e
non
nel
possedere
la
donna).
L’oggetto
di
valore
si
definisce
per
la
relazione
che
intrattiene
con
un
soggetto
e
non
per
una
sua
presunta
natura.
Quindi
i
valori
sono
un
prodotto
sociale
e
come
tali
sono
dati
sempre
suscettibili
di
essere
ulteriormente
valorizzati.
Floch
ha
creato
un
modello
che
individua
le
procedure
di
valorizzazione
applicandole
ad
ambiti
molto
diversi:
il
MODELLO
DELLE
ASSIOLOGIE
DEI
VALORI
DI
CONSUMO
è
considerato
uno
degli
strumenti
più
efficaci
nelle
consulenze
di
comunicazione.
Nella
nostra
società
dice
Floch,
mezzi(valori
d’uso)
e
fini(valori
di
base)
si
pongono
in
opposizione,
basti
guardare
la
pubblicità
il
cui
fine
è
appunto
mettere
in
circolo
valori:
ci
sono
automobili
che
mettono
in
evidenza
la
sicurezza
e
l’affidabilità,
altre
invece
il
carattere
e
la
personalità
della
vettura.
Da
qui
avremo
in
un
quadrato
semiotico
con
quattro
tipi
di
valorizzazione:
valorizzazione
pratica
(l’oggetto
ci
viene
presentato
come
uno
strumento:
nel
caso
delle
cucine
verrà
evidenziato
il
modo
in
cui
quel
mobilio
può
supportare
nelle
attività
che
normalmente
si
svolgono
in
cucina,
mostrando
l’organizzazione
dello
spazio
ecc.
Ciò
viene
fatto
nella
pubblicità
della
Scavolini
in
cui
vengono
messe
in
evidenza
le
caratteristiche
funzionali
della
cucina);
valorizzazione
ludico/estetica
(significa
esaltare
stile
e
forme
della
cucina
facendola
diventare
un
giocattolo
il
cui
compito
è
quello
di
compiacere
chi
la
possiede:
ciò
avviene
nella
cucina
Lago
in
cui
sono
da
notare
le
aragoste
che
saltano
fuori
dalla
pentola
sottolineando
la
leggerezza
di
cui
si
parla
nell’immagine
in
cui
appare
scritto
cucinare
leggero);
la
valorizzazione
utopica
(si
ha
quando
l’oggetto
in
questione
è
un
oggetto
di
valore
finale,
l’oggetto
ultimo
del
suo
desiderio
e
dunque
qualcosa
con
cui
il
possessore
si
identifica
completamente:
ciò
avviene
nella
cucina
Matrix
che
recita
My
life,
My
style!
Qui
l’immagine
gioca
un
ruolo
importante
poiché
esiste
in
quanto
frutto
di
un
processo
di
enunciazione
in
cui
sono
inscritte
le
marche
dell’enunciatore
che
lo
ha
creato
e
quelle
dell’enunciatario
a
cui
è
destinato;
l’immagine
è
perfettamente
in
linea
con
la
strategia
complessiva
dell’annuncio
che
valorizza
il
prodotto
in
senso
utopico);
infine
la
valorizzazione
critica
(tende
a
sancire
la
convenienza
del
prodotto
in
termini
di
prezzo:
ciò
avviene
con
Ikea
o
con
la
cucina
Febal
in
cui
la
leggerezza
è
evidentemente
quella
del
prezzo
che
comprende
elettrodomestici
e
che
è
quindi
conveniente).
Nel
DESIGN
FUNZIONALE
è
curiosa
la
funzionalità
che
assume
un
vero
classico
fra
i
coltelli,
ovvero
il
coltello
OPINEL:
ad
attirare
è
il
fatto
che
in
un
progetto
come
questo
la
forma
sembra
seguire
perfettamente
la
funzione.
Floch
si
chiede
cosa
faccia
di
questo
semplice
oggetto
il
mito
che
è.
Bisogna
considerare
tre
elementi:
la
COMPONENTE
CONFIGURATIVA
(considera
le
parti
in
cui
è
necessario
scomporre
l’oggetto
per
consentirne
una
precisa
identificazione);
la
COMPONENTE
TASSICA
(paragona
l’oggetto
in
relazione
ad
altri
strumenti
simili
costruiti
dall’uomo);
la
COMPONENTE
FUNZIONALE
(considera
ciò
per
cui
l’oggetto
viene
utilizzato).
Riguardo
la
componente
configurativa
le
parti
scomponibili
del
coltellino
sono
tre:
manico,
lama
e
ghiera
e
ognuno
di
queste
parti
ha
caratteristiche
particolari.
Il
legno
è
di
faggio
rivestito
di
un
sottile
strato
di
vernice,
la
lama
è
in
acciaio
inossidabile,
la
ghiera
metallica
serve
a
gestire
il
movimento
della
lama.
Quest’ultima
è
la
trovata
migliore
di
Opinel
perché
risolve
senza
ricorrere
a
meccanismi
i
problemi
di
tutti
i
coltelli
richiudibili
con
molle
o
quant’altro.
Questa
soluzione
offre
garanzia
di
durata
e
tutto
sembra
fatto
per
trasformarsi:
dal
manico
che
perderà
la
sua
vernice
allo
snodo
che
col
tempo
diventerà
meno
rigido.
Si
mantiene
efficiente
nel
tempo
diventando
un
oggetto
personale.
E’
fatto
per
essere
un
compagno
di
viaggio.
Il
senso
di
questo
coltello
non
sta
nel
ruolo
di
strumento
ma
in
quello
di
soggetto
che
patisce
nel
tempo
e
che
diventa
il
compagno
di
chi
lo
possiede.
Riguardo
la
componente
tassica
il
coltello
viene
paragonato
con
altri
strumenti
da
taglio
e
vengono
evidenziate
le
differenze.
Riguardo
la
componente
funzionale
il
coltellino
diviene
un
compagno
fidato
propenso
ad
invecchiare
insieme
al
possessore,
esso
è
caratterizzato
dalla
semplicità
che
lo
rende
differente
ed
unico
dal
coltellino
svizzero,
altro
celebre
coltello
da
tasca.
Non
si
tratta
quindi
che
un
coltellino
può
fare
delle
cose
in
piu
di
un
altro,
ma
si
tratta
che
in
sede
progettuale
riguardo
il
coltellino
svizzero
la
molteplicità
di
applicazioni
è
stata
prevista
in
anticipo
mentre
per
l’Opinel
non
vi
è
stata
alcuna
progettualità
e
deve
essere
l’utente
a
ndustriarsi
per
far
fare
al
coltello
ciò
che
vuole.
Si
potrebbe
dire
che
l’Opinel
è
un
coltello
da
bricloeur
mentre
quello
svizzero
è
da
ingegnere.
Da
ricordare
è
MacGyver
che
usava
il
coltellino
svizzero
per
tirarsi
fuori
da
ogni
impaccio
e
che
quindi
lo
usava
alla
maniere
del
bricoleur.
DESIGN
SUGLI
IBRIDI:
“Chiudete
per
favore
il
portone
dietro
di
voi
durante
la
notte
e
lasciatelo
aperto
durante
il
giorno”:
questa
è
la
richiesta
che
dà
il
via
alla
chiave
di
berlino
di
Latour.
La
particolarità
che
la
distingue
è
che
non
ha
un
punto
di
presa
e
che
in
entrambe
le
estremità
vi
sono
due
ingegni
apparentemente
uguali.
Una
volta
aperta
la
porta
con
la
chiave
l’unico
modo
per
tirare
la
chiave
fuori
è
richiudere
la
porta.
Stando
attenti
si
osserva
che
è
stata
realizzata
una
scanalatura
che
quando
la
chiave
viene
girata
non
combacia
piu
con
il
disegno
della
serratura
impedendole
di
uscire.
Cosa
fare
per
tenere
la
porta
aperta
durante
il
giorno?
Viene
realizzata
una
chiave
piu
sottile
che
riesce
a
superare
la
scanalatura.
Questa
chiave
la
possiede
solo
il
portinaio.
Serratura
e
chiave
non
servono
non
servono
a
chiudere
la
porta,
ma
a
realizzare
un
meccanismo
raffinato
ovvero
trasformare
i
distratti
condomini
in
perfetti
condomini,
rispettosi
del
bene
comune.
Toppa
e
chiave
sono
mediatori
perché
costruiscono
la
convivenza
civile.
Altro
esempio:
agende
elettroniche,
telefonini
sono
spesso
pensati
come
strumenti
che
ci
consentono
di
organizzare
la
nostra
giornata
al
meglio.
Ogni
oggetto
è
ricostruito
nel
momento
in
cui
entra
in
relazione
con
qualcuno,
all’interno
di
configurazioni
che
esso
stesso
contribuisce
a
realizzare.
Gli
unici
essere
umani
che
entrano
in
relazione
davvero
con
delle
cose
nel
senso
pure
di
cose
sono
gli
archeologi.
Latour
consiglia
di
abbandonare
la
prospettiva
secondo
cui
esistono
umani
e
non
umani
per
pensare
invece
in
termini
di
attanti.
Attante
è
l’uomo
con
l’agenda
elettronica,
l’unione
dei
due,
che
ha
delle
proprietà
in
piu
e
un
programma
narrativo
intrinseco.
Prendendo
il
dibattito
sulla
liberalizzazione
delle
armi
negli
stati
uniti
vi
sono
due
posizioni:
sono
le
persone
a
uccidere,
non
le
armi
e
bisogna
eliminare
le
armi
per
far
diminuire
le
uccisioni.
Se
si
vuole
davvero
risolvere
il
problema
si
deve
riflettere
in
termini
di
attante,
e
non
in
termini
di
soggetto
e
oggetto.
Si
deve
guardare
alle
relazioni
che
le
parti
che
si
uniscono
formano
per
guardare
la
società
nel
suo
complesso.
Nel
momento
in
cui
si
considera
il
sistema
sociale
legato
agli
oggetti
tecnologici
occorre
ripensare
al
concetto
di
bisogno:
l’industria
nasceva
per
rimediare
ai
bisogni
reali
ma
in
seguito
con
la
diffusione
dell’industria
stessa
si
cominciò
a
pensare
che
i
bisogni
fossero
indotti
dalla
pubblicità
che
alimentava
un’industria
a
basso
costo.
Una
teoria
sul
design,
soprattutto
oggi,
è
una
teoria
della
trasformazione
perché
si
dovrà
riflettere
su
quali
fenomeni
sociali
appariranno
una
volta
che
l’oggetto
avrà
fatto
la
sua
comparsa.
Accade
così
per
i
dossi
grazie
ai
quali
rallentiamo
e
appaiamo
come
ottimi
cittadini.
Sono
gli
oggetti
che
dobbiamo
guardare
se
vogliamo
capire
l’universo
delle
nostre
relazioni.
DESIGN
SUGLI
INTERTESTI:
Vi
sono
oggetti
puramente
utilitari
come
gli
elettrodomestici.
Prendiamo
il
caso
dello
sbattitore
Philips
HRi565/6:
la
sua
funzione
è
quella
di
mescolare
ingredienti
vari
in
piena
autonomia.
Analizzando
questo
oggetto
secondo
le
componenti
avremo:
dal
punto
di
vista
configurativo
sarà
costituito
da
quattro
parti
ovvero
corpo-‐motore,
fruste
intercambiabili,
ciotola
e
base.
L’intervento
umano
si
limiterà
ad
inserire
gli
ingredienti.
Nel
kit
viene
inclusa
anche
una
paletta
che
assolverà
a
due
compiti
specifici:
uno
pragmatico
(raschiare
via
dai
bordi
l’impasto
rimasto)
e
uno
cognitivo
(controllare
il
composto
durante
la
lavorazione).
Questo
oggetto
viene
chiamato
da
Levi-‐Strauss
oggetto
semiculturale,
cioè
qualcosa
che
ha
la
funzione
di
culturalizzare
attraverso
un
recupero
del
controllo
da
parte
dell’uomo
una
trasformazione
che
potrebbe
avvenire
indipendentemente
da
esso.
La
componente
tassica
paragonerà
l’oggetto
a
oggetti
analoghi
come
il
billy
che,
dice
il
produttore,
può
fare
tutto.
Con
un
oggetto
del
genere
le
possibilità
di
controllo
diminuiscono
ulteriormente.
L’ultima
componente,
quella
funzionale
ci
dirà
che
questo
sbattitore
è
un
oggetto
sia
pratico
(ci
consente
di
ottenere
senza
fatica
vari
ingredienti)
sia
mitico
(diventerà
un
collaboratore
abituale
senza
la
quale
non
potremmo
stare
senza).
Le
istruzioni
diventano
spesso
importanti
per
la
buona
riuscita
del
prodotto:
in
questo
caso
abbiamo
il
libretto
delle
istruzioni
e
un
ricettario.
Il
ricettario
si
integrerà
al
sapere
delle
istruzioni
che
non
può
farsi
carico
del
sapere
culinario.
Il
manuale
delle
istruzioni
obbedisce
alla
logica
delle
informazioni
che
assume
che
esse
siano
semplici,
pure
particelle
di
sapere.
Un
tempo
i
commessi
del
negozio
ci
spiegavano
il
funzionamento
del
prodotto,
oggi
non
più,
ci
pensa
il
package,
ovvero
le
istruzioni.
Per
cogliere
il
senso
di
un
oggetto
non
ci
si
deve
fermare
alla
forma
fisica
ma
ogni
testo
prende
significato
all’interno
di
quella
catena
ipertestuale
che
contribuisce
alla
forma
finale
del
prodotto.
Riguardo
al
nome
esso
ha
un
ruolo
fondamentale
nella
sua
identità.
L’oggetto
in
questione
ha
un
nome
comune
(sbattitore)
e
uno
proprio
(Philips
cucina
HRi565/6).
Tempo
fa
lo
sbattitore
era
una
persona
che
svolgeva
questo
compito
manualmente.
Il
soggetto
umano
che
sbatteva
non
c’è
più
ed
è
stato
assorbito
dal
piccolo
elettrodomestico.
Gli
oggetti
intrattengono
relazioni
pacifiche,
sono
soliti
fare
certe
cose
piuttosto
che
altre
(i
telefonini
non
amano
i
forni
a
microonde).
Il
successo
di
un
prodotto
è
molto
legato
al
modo
in
cui
esso
dialoga
con
altri
oggetti
e
si
sceglie
un
prodotto
piuttosto
che
un
altro
non
per
le
caratteristiche
tecniche
superiori
ma
perché
ci
darà
meno
problemi
di
compatibilità
con
ciò
che
già
possediamo.
Qualunque
oggetto
si
trova
quindi
dentro
rapporti
interoggettivi.