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Gobber - Riassunto Linguistica generale

Linguistica Generale (Università degli Studi di Parma)

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2.1.7 Arbitrarietà

L’arbitrarietà è l’inverso della motivazione, essa caratterizza il legame tra il suono e il significato entro un
segno: non vi è alcuna ragione per cui un dato suono sia connesso ad un significato (in russo rubaska
significa camicia mentre in italiano, il suono, ci ricorda il vero rubare)
Ricordiamo che ciò che non ha motivazione in sincronia lo può avere in diacronia.
L’arbitrarietà è fondamentale per il cambiameto del potenziole semantico di un’unità linguistica: poiché non
vi è ragione per legare un dato suono a un dato significato è possibile attribuire altri significati a quel suono.

2.2 Segni e strutture segniche della lingua

La lingua può essere onsiderata un sistema segnico, ma, la linguistica del ‘900 afferma che si tratta di un
sistema di segni; la differenza sta nel fatto che un sistema segnico non è composto da veri e prori segni ma
di strutture predisposte a funzionare come segni nei messaggi.

2.2.1. Segni come eventi semiotici

Nella comunicazione, un segno è un eveto fisico che attiva ad un evento mentale. I segni vegono utilizzati
per descrivere oggetti o situazoni durante una comunicazione i cui scopi variano a seconda dei casi concreti.
Possiamo quindi affermare che il messaggio è un segno complesso formato a sua volta di segni di minore
complessità. Il messaggio creato dal mittente ha un determinato scopo, suscitare un certo effetto sul
destinatario, perciò il mttente utilizza gli stumenti che la lingua gli mette a disposizione.
I segni conreti sono eventi semiotici, ovvero unità di suono e di significato con i quali i parlanti si riferiscono
alla realtà.
La lingua è un sistema di strutture (strumenti espressivi per costruire i messaggi).
Il segno è, invece, una relazione tra evento fisico ed evento mentale, mentre lo schema di segno è l’unità di
cui il parlatore si avvale come “istruzioni d’uso”.

2.2.2. Le strutture della lingua


Semiosi : relazione tra suoni e significati della comunicazione verbale.
Per spiegarli si ipotizza che la lignua sia una relazione tra startegie di manifestazione (significanti, immagini
acustiche) e schemi concettuali. Queste correlazioni vengono chiamate strutture perche organizzano il
rapporto fra il suono eil significato. Questa struttura permette all’ascoltatore di comprendere il significato di
una erta serie di suoni come un significato.
Se qualcuno mi dice ho fame non reagisco al suono ma al significato, questa reazione è data dalla
permanenza nella mia mente di una struttura complessa in base alla quale riconduco la sequenza di suono
ad un modello di suono e traduco l’immagine acustuca in schema concettuale.
Le strutture sono strumenti per interpretare i messaggi. Sono astratte e riguardano i punti essenziali del
fenomeno osservato: è un modello di realizzazione fonica associato a uno o a più schemi concettuali.
Il modello fonico è uno ma le valenze possono essere più di una. Di solito strutture come nomi, verbi o
aggettivi hanno una valenza preferenziale e una o più valnze periferiche (es. caffè).
Altre volte è decsiva l’interazione con il contesto (es. cosa bene? Whiskey, vodaka, cocacola) può essere la
richiesta da parte di un barisca ad un cliente o da parte di un medico ad un paziente alcolizzato.

2.2.3. Unità e processi


Le strutture sono di due tipi: unità e processi.
L’avverbio “forse” è un’unità semplice, entre la parola “gatti” è il risultato di un processo (formazione del
plurale). La frase “i gatti di Guido” è formata da più processi (sintagma nominale).
I processi sono strutture particolari: non hanno immagini sonore e partecipano indirettamente al piano
semantico organizzando altre strutture, che correlano la rispettiva immagine acustica a una funzione
immediatamente semantica.

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2.2.4. Reparti organizzativi della lingua e competenza linguistica


Il laboratorio delle strutture della ingua è formatp da vari reparti dei quali ognuno produce una determinata
classe di strutture.
Due reparti molto importanti sono la morfologia, che costituisce parole e forme di parola, e la sintassi che si
occupa di combunare.
 Il laboratorio delle strutture produce semilavorati (strutture scelte e rielaborate dal parlante che ne
piega l’apporto semantico per adeguarlo all’esperienza che vuole attestare)
 Un altro laboratorio organizza il sistema fonologico della lingua.
I laboratori operano su due articolazioni della lingua: alla prima appartengono le strutture, alla seconda
appartengono i fonemi.
I reparti organizzativi possono essere considerati una rappresentazione delle diverse competenze dei
parlanti:
 La competenza fonetico-fonologica per gestire la produzione e il riconoscimento dei suon e della
loro funzione.
 La competenza lessicale che presiede alla gestione del lessico mentale (patrimonio mnemonico
virtuale)
 La competenza grammaticale che riguarda i processi morfologici e sintattici.

2.2.5. Proprietà fondamentali delle strutture


La lingua è un sistema formato da strutture intermedie tra il suono e il significato. Una struttura ha varie
caratteristiche:
 La polivalenza, per fare intravvedere una base semantica comune, una struttura può avere più
funzioni collegate tra di loro più o meno strettamente.
 La varianza, una struttura può avere più strategie di manifestazione (nei tempi verbali italiani
variano le radici a l’informazione lessicale è la stessa).
 La preferenzialità, le strutture privilegiano una valenza che assume il carattere della naturalezza.
Interpretazione più probabile delle strutture che compaiono in un testo.
 L’endolinguisticità, una struttura appartiene a un sistema endolinguista e si distingue da altre
strutture del sistema.

2.3. Deittici – semiosi deittica e semiosi categoriale


Nelle strutture segniche del sistema ci sono alcuni elementi chiamati deittici che rinviano alla realtà senza
specificare com’è.
Es. se un bambino vuole il giocattolo verde e dice “voglio quello la”, una persona che non è presente alla
scena non capisce quale giocattolo voglia il bambino. “quello la” rinvia alla situazione in cui si svolge la
comunicazione.
Il parlante indica oggetti o situazioni in un campo deittico legato all’io parlante.

2.4. Una nota sulla concezione saussuriana del segno


Le teorie di Saussure riguardanti il segno influenzarono molto gli studi linguistici del ‘900.
Il segno saussuriano è caratterizzato da un’unione tra significato e significante.
Il significato riguarda il contenuto della parola (concetto), mentre il significante riguarda il suono (immagine
acustica). I significati esistono perché esistono i significanti.
Il valore del segno è dato dall’interrelazione oppositiva: la parola gatto si distingue rispetto ai segni che ne
sono attorno.
Il segno è un’entità bilaterale che appartiene alla langue e si realizza nella parole. Si dice che appartiene alla
langue perchè il segno di Saussure ha due valenze:

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 Metodologica, il segno è una nozione introdotta dallo studioso per spiegare l’organizzazione che
regge la parola.

 Psicologica/sociale, il segno è un’entità psichica appartenente ad un patrimonio mnenico virtuale


accessibile alla comunità dei parlanti.
Secondo Saussure il segno non è un evento semiotico della vita reale, ma è un sgnificato istituito nel
sistema.
Possiamo sostituire segno a significato, dato che significato è “suono che sgnifica”. Quindi i significati sono
lella langue e si realizzano nella parole.
Una conseguenza di questa ipotesi è che i parlanti non sono responsabili dei significati.

CAPITOLO 3 ELEMENTI DI FONETICA E DI FONOLOGIA

3.1. Fonetica: modi di analisi del suono


La fonetica studia le caratteristiche del suono della lignua.
I modi di analisi sono:
 Percettivo. L’analisi percettiva riguarda i meccanismi della sensibilità uditiva, essa considera la
ricezione e l’iterpretezione del fenomeno acustico come elemento linguistico.
 Acustico. L’analisi acustica riguarda il mezzo di propagazione dell’onda sonora e considera i
fenomeni acustici come fisici.
 Articolato. L’analisi articolata riguarda l’apparato della fonazione e descrive la genesi dei suoni.
Il suono è il correlato audutivo di un fenomeno fisico: l’onda sonora.

3.1.1. I fattore dell’onda sonora


Un’onda sonora è una compressione a cui segue una depressione dell’atmosfera dovuta alla deformazione
di un mezzo materiale.
La frequenza è il numero di vibrazioni prodotte in un certo arco di tempo.
Il periodo è il tempo impiegato per compiere una vibrazione.
La distanza percorsa dall’onda in un periodo è la lunghezza dell’onda.
Raddoppiando la frequenza si dimezza la lunghezza dell’onda. Diminuendo la lunghezza aumenta la
frequenza. Onde lunghe hanno frequenza bassa, onde corte hanno frequenza alta.
L’ampiezza dell’oscillazione dipende dalla pressione avvertita, diminuisce man mano che l’onda si allontana
dalla sorgente del movimento.
Questi sono i caratteri delle onde semplici, ma la maggiorparte dlle onde è complessa perché vi sono
conteporaneamente più vibrazioni, infatti quando un corpo vibra vibrano tutte le sue prti. Se la vibrazione è
periodica ognuna delle sue metà vibra a velocità doppia rispetto all’intero corpo. Le vibrazioni delle parti
sono chiamate armoniche. Il numero e la forza delle armoniche determinano la forma dell’onda.

3.1.2. Il correlato audutivo dell’onda: il suono


La frequenza della vibrazione e l’ampiezza dell’oscillazione fanno parte delle onde sonore.
La frequenza della vibrazione si trasferisce nel fenomeno acustico come altezza e l’ampiezza dell’oscillazione
come intensità.
Per l’alteza distinguiamo sia suoni bassi (numero basso di periodi al secondo), sia suoni alti (numero alto di
periodi al secondo).
La frequenza e l’ampiezza descrivono l’onda fondamentale, cioè l’ideale. Nella realtà la vibrazione
ondulatoria varia a seconda del mezzo materiale (un do di un flauto sarà diverso da un do di un pianoforte),
periò è importante considerare anche il timbro, che da appunto luogo alla diversità dei suoni.
Il quarto fattore da considerare è la durata dell vibrazione ondulatoria che si trasferisce nella durata del
suono.
L’alfatìbeto fonetico internazione (API) rappresenta come pronunciare i suoni.
3.1.3. L’articolazione dei suoni

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Il processo per l’articolazione dei suoni è il seguente:


1. Per la produzione dei suoni, i polmoni e la trachea (durante l’aspirazione) producono la corrente
d’aria che esercita la pressione sulle pliche vocali accostate.
2. La pressione allontana le pliche (stroflessioni delle opposte pareti laterali). Quado esce l’aria si
contraggono. Questo processo è il meccanismo laringeo. L laringe è il proseguimento del tubo della
trachea. Quando il meccanismo laringeo non è attivo si hanno suoni sordi, quando è attivo si hanno
suoni sonori.
3. Il tratto vocale (o risuonatore) è formato dalla cavità orale, dalle fosse nasali e dalle cavità tra denti
e labbra. Il tratto vocale varia in base all’impiego delle varie delle varie parti del corpo, ai movimenti
della lingua e dalla tensione muscolare.

3.1.4. Usi delle differenze di intensità, altezza e durata


Non sempre il fenomeno fisico acustico è percepibile dall’udito. Per la frequenza solo le vibrazioni tra i
20 e i 20.000 Hertz producono suono. Al disotto dei 20 sono infrasuoni, al di sopra di 20.000 sono
utrasuoni. Per l’ampiezza è limitato superiormente dalla soglia del dolore e inferiormente dalla soglia
dell’uditibilità.

Come esistono differenze timbriche nela comunicazione esistono anche differenze di intensità, durata e
altezza.
L’intensità caratterizza l’accento che comporta anche variazioni di altezza di durata e di timbro. L’accento
di intensità può servire a distinguere parole diverse (càpitano capitàno).
La durata è un fenomeno fisico che varia in base al tipo di suono. La durata può essere:
 Misurabile (determinata da proprietà fisiche del suono)
 Funzonale (molte lingue si servono delle differenze di durata per distinguere vocali brevi o
lunghe)
L’altezza è considerata molto importante nelle lignue orientali come il cinese di cui fanno parte quattro
principali toni. Per rappresentarli si può usare una scala di cinque gradi che dividono in quattro intervalli
uguali la differenza teorica tra il grado massimo e minimo.
La trascrizione fonetica comporta alcuni svantaggi: rende omografi gli omofoni (tenuti distinti dai caratteri
cinesi).
Omografi: parole diverse scritte allo stesso modo che si distinguono nella pronuncia.
Omofoni: parole diverse che hanno lo stesso suono.

3.1.5. Differenze timbriche


I fattori generali dell’articolazione dei suoni sono:

1. Il modo di articolazione, che è il tipo di ostacolo che si frappone all’uscita d’aria in quattro modi:
 Se l’ostacolo è totale con il modo dei suoni occlusivi.
 Se l’ostacolo è parziale si hanno suoni continui che possono essere fricativi o liquidi.
 Nel modo delle articolazioni nasali il livello palatale è alzato.
 Se l’ostacolo è nullo si hanno le vocali o vocoidi. La vocale è un suono che da autonomia alla
sillaba.
2. Il secondo fattore è il luogo di articolazione. Se la lingua interviene nel luogo di articolazione i suoni
vengono suddivisi in apicali e dorsali. Se la regione apicale della linguua (inarcandosi verso l’alto)
incontra gli alveoli si realizzano consoanti retroflesse.
3. Nei suoni a ostacolo nullo il luogo di articolazione è il grado o direzione di innalzamento della lingua
verso il palato.
4. L’apporto del meccanismo laringeo, che quando è attivo da vita ai suoni sonori, mentre quando non
è attivo da vita ai suoni sordi..
5. La tensione e la rilassatezza dei muscoli e del risuonatore. Un’occlusione sorda è tesa, una sonora è
articolata.

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3.1.6. Vocali
I suoni ora descritti sono articolati partendo dal modo di articolazione, in ognuno di questi modi i suoni
sono distinti per il luogo e altri fattori.
Cominciamo dai suoni ad ostacolo nullo che rappresentano un’articolazione più complessa degli altri suoni.
Nell’articolazione delle vocali operano questi fattori:
1. Per il grado di innalzamento della lingua ci sono vocali basse (grado minimo di innalzamento) e
vocali alte (grado massimo di innalzamento).
2. La labializzazione secondo cui ci sono vocali arrotondate e non arrotondate.
3. La direzione di innalzamento della lingua, se si innalza la parte anteriore si ha la serie delle vocali
anteiori (e,i). se si innalza la parte inferiore della lingua si hanno le vocali inferiore (o,u) se la lingua
forma una conca abbassando la pare mediana si ha la vocale centrale (a)
4. Se il velo palatale viene teso si ha l’apertura delle fosse nasali e le vocali sono articolate con
risonanza nasale.

Le serie vocaliche
Queste vocali si possono combinare in vari modi ma vi sono anch cominazioni fondamentali che danno
luogo alle serie più frequenti nelle lingue d’Europa. Sono le serie preferenziali o naturali.
 La prima serie naturale è data dalla combinazione anteriore non arrotondata (e,i)
 Le più importanti serie delle anteriori arrotondate sono le mdie basse (oe), la media alta (O), e la
alta (y). Le vocli di questa serie sono simili per l’arrotondamento alle vocali della serie posteriore,
mentre per l’articolazione linguale sono vicine alle vocali anteriori.
 La seconda serie naturale è quella delle posteriori arrotondate (o,u)
 La serie delle posteriori non arrotondate è rappresentta dalla vocale medio bassa inglese (^) di run e
cutt.
 Alla serie delle centrali non arrotondate fa parte la medio bassa con simbolo (a capovolta) che si
trova sia in inglese che in tedesco. Tra le centrali non arrotondate c’è la media (a) che differisce dalla
(e) per l’articolazione linguale essendo centrale e non anteriore. Questa è molto usata in tedesco e
in francese.
Le vocali che appartengono alle serie delle centrali arrotondate sono:
 La vocale medio alta (lettera dell’alfabeto olandese, o baratta).
 La vocale alta (lettera dell’alfabeto norvegese, u baratta).

3.1.7. Le occlusive
Classificazione delle occlusive in base al luogo di articolazione e alla presenza o assenza di sonorità.
 B, bilabiale sonora
 P, bilabiale sorda
 D, alveolare sonora
 T, alveolare sorda
 G post – palatale sonora
 K post – palatale sorda
Nelle lingue germaniche le occlusive sorde all’inizio della parola sono seguite da una leggera aspirazione,
sono quindi aspirate.

3.1.8. Le fricative
Classifichiamo le fricative in base al luogo di articolazione e alla presenza o all’assenza della sonorità.
 V, lsbiodentale sonora
 F, labiodentale sorda
 Z, dentale sonora
 S, dentale sorda

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Tipica della lingua tedesca, russa e polacca:


 X, post palatale sorda
Tipica della lingua francese e tedesca:
 Fricativa velare sonora
 Laringale sonora

3.1.9. Le nasali
Tipiche dell’italiano:
 Labiale (m)
 Labiodentale (n) es. anafora
 Dentale (n) es. dente
 Palatale
 Velare
 Occlusiva post – palatale sonora (g)
 Ovvlusiva post – palatale srda (k)

3.1.10 Le approssimanti
Tra le fricative e le vocali si pone un modo di articolazione chiamato dei suoni approssimanti. Sono le
realizzazioni delle semiconsonanti (w) e (j) in italiano.
 W: approssimante velare e articolata con arrotondamento delle labbra
 J: palatale non arrotondata
Le semiconsonanti sono intermediarie tra le vocali e le fricative.

3.1.11. Le liquide
Le liquide possono essere vibranti o laterali.
Vibranti:
 r, la vibrante alveolare
 R, la vibrante uvulare
Laterali:
 L, velare
 Palatale
Nella tabella IPA* vi sono righe per le vibranti e per le laterali. La tabella indica a sinistra modi di
articolazione delle cnsonanti (ocllusive, nasali, vibranti, fricative laterali, approssimanti e approssimanti
laterali).

3.1.12. Le affricate
Sono suoni complessi che si producono articolando un’occlusiva e una fricativa quasi contemporaneamente.
Si prounciano nello stesso luogo di articolazione e devono essere tutte e due sorde o sonore.
Affricate in italiano:
 Dentali, sonora (dz, zenzero) e sorda (ts, azione)
 Post alveolari, sonora (d, giardino) e sorda (tf, ciurma)
Affricate in russo:
 Affricate sorda dentale (tz, zar)
 Affricate sorde post alveolari sonore (d, giardino) e sorde (tf, Cajkowskij)
Affricate in tedesco:
 Affricate sorde labiodentale (pf, Pferd, cavallo)
 Affricate dorde dentali (ts, Blitz)
 Affricate sorde post alveolare (tf, deutsch)

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3.1.13. Coarticolazione e postulato di segmentabilità


Fino ad ora si è parlato della fonetica e si è previligiato un punto di vista articolato. Si sono considerati i
fattori delle differenze timbriche e si è visto come intervengono nell’articolazione e nella distanza fisica dei
suoni. Il processo si applica senza affrontare due punti di degni di discussione: il primo riguarda i denotati
dei simboli fonetici. Ogni simbolo dell’alfabeto fonetico italiano sta per un tipo di suono. Indica
un’idealizzazione fonica generica alla quale corrispondono più suoni specifici.
Molto importante è la percezione e l’interpretazione del suono: i suoni prodotti nella catena del parlato
sono per l’ascoltatore suoni ideali del sistema linguistico.

3.2. Elementi di fonologia


La fonologia studia i suoni di una lingua. L’analisi fonologica si occupa principalmente del paradigma: cioè
redige l’inventario delle differenze foniche per il funzionamento di una lingua. Altre ricerche operano in una
prospettiva sintagmatica e studiano l’organizzazione che regge le combinazioni tra suoni.
Comune a queste indagini è il postulato di segmentabilità: per esso il continuum è una catena
(un’articolazione di unità discrete).
Vi è la possibilità di segmentare e classificare le unità in base ai tratti che li caratterizzano.

3.2.1. Operazioni foniche e fonologiche


Nell’analisi fonologica interessano i tratti che, distinguendo un fono dall’altro, distinguono anche un fonema
da un altro fonema.
Quando due foni si oppongono l’uno all’altro c’è un’opposizione fonica. Divnta poi fonologia se serve per
distinguere parole (la fonica distingue la pronuncia).
Per capire se un’opposizione è fonica bisognerà verificarne la pertinenza (funzione nel sistema).
Per determinare la pertinenza si dovrà fare una prova di commutazione. L’opposizione fonologica distingue
le parole (opposizione fonica pertinente).
Gli estremi di un’opposizione fonologica sono unità fonologiche che possono essere:
 Complesse, cioè segmentabili in unità minori
 Semplici, non segmentabili in unità minori. Sono anche dette fonemi.
Le parole che differiscono per un solo fonema, nella stessa sede, sono una copia minima (es. pere, bere).
Per rilevare i fonemi bisogna tener conto di:
1. Le opposizioni foniche sono date dalla differenza tra foni
2. Nelle opposizioni foniche ci sono opposizioni pertinenti
3. Le opposizioni foniche pertinenti sono dette opposizioni fonologiche
4. Gli estremi di un’opposizione fonologica sono unità fonologiche
5. Le unità fonologiche sono semplici o complesse
6. Le unità fonologiche semplici sono dette anche fonemi.
Il fonema si individua e si definisce prima dell’opposizione fonologica (come operazione fonica pertinente).
In fonologia contano solo le differenze pertinenti. I fonenmi si differenziano da una lingua all’altra. Le
opposizioni fonologiche individuano i fonemi e il sistema delle opposizioni è stabilito nella singola lingua (è
per questo che i fonemi si differenziano da una lingua all’altra).
Le differenze non timbriche sono opposizioni fonologiche. La durata può diventare un tratto distintivo e
configurarsi come quantità.

3.2.2. Varianti libere e di posizione


Esse si verificano quando non c’è ne opposizione fonologica, ne la fonologia.
Es. la R dorso uvulare è una variante libera di r. essa è una variante perche rappresenta una realizzazione
non standard del fonema. È libera perche la sostituzione è sempre possibil.
Vi sono anche varianti legate, cioè imposte dalla combinazione dei suoni di una lingua.

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Il contesto fonetico – fonologico determina la scelta di una variante piuttosto che un’altra, per questo si
parla anche di variante combinatoria.

3.2.3. La classificazione di fonema


Trubeckoj classifica le opposizioni fonologiche in base a vari fattori:
 Il rapposrto tra gli estremi dell’opposizione
 Il rapposrto tra l’opposizione e il sistema delle opposizioni
 La forza distintiva delle opposizioni
Questa classificazione mette in luce il fonema come facio di tratti distintivi.
Il fonema è matrice di tratti distintivi binari. Questa definizione è alla base di sviluppi successivi in fonologia.

Classificazione in base al rapporto tra estremi


I tratti distintivi di un fonema si trovano ricorrendo a coppie minime. Per il fonema P possiamo ricorrere alla
coppie minime seguenti:
 Pare: fare (occlusive vs. fricative)
 Pere: bere (sorda vs. sonora)
 Pane: cane (labiale vs. post – palatale)
La P ha un contenuto fonologico minimo (occlusiva, sorda, labiale).
Ci sono coppie minime più complesse dove le differenze riguardano più tratti. Vi è la sonorità presente in un
estremo e assente in un altro.
Si ha sonorità quando si attiva il meccanismo laringeo e sordità quando non si attiva.
Le opposizioni fonologiche, i cui estremi si caratterizzano per la presenza o l’assenza di un tratto distintivo,
sono dette opposizioni private.
Prendiamo l’opposizione a/i (vanti/vinti) a è la vocale più aperta mentre i è la vocale chiusa secondo
Trubeckoj che misura l’apertura in gradi. Nel caso di bòtte/bόtte si oppongona una semiaperta a una
semichiusa, sono opposizioni poco presenti nella lingua italiana. Nella classificazione di Trubeckoj se gli
estremi della coppia oppositiva si distinguono per il grado di presenza di un tratto si hanno opposizioni
graduali. Nelle opposizioni private e in quelle graduali gli estremi si distinguono per il valore stabilito in base
a un tratto. Nelle altre opposizioni fonologiche p/t e f/k, non cambia il valore del tratto quindi gli estremi si
equivalgono e le opposizioni si dicono equipollenti.

La classificazione in base al rapporto tra le opposizioni avviene sotto 2 aspetti: gli elementi in condivisione e
il tipo di distinzione.
1. In base agli elementi di condivisione
Consideriamo l’opposizione b/p, entrambi occlusivi e bilaterali quindi è un’opposizione fonologica
unica, non esistono altre opposizioni fonologiche uguali per questo si dice bilaterale.
L’opposizione b/d, i tratti sono occlusivo-sonoro, gli stessi tratti li troviamo in b/g e in d/g sono
opposizioni fonologiche che hanno la stessa base di comparazione per questo si dicono
multilaterali.
Una coppia oppositiva che presenta un rapporto identico a quello di altre coppie oppositive è detta
opposizione proporzionale (d/t; g/k). Vi sono opposizioni isolate come l/r, b/, perche nesun’altra
coppia oppositiva ha la stessa rekazione reciproca.
2. Classificazione in base alla forza distintiva
Se consideriamo la forza distintiva le opposizioni possono essere neutralizzabili o costanti. In
tedesco e russo le opposizioni bilaterali private che si trovano alla fine della parola non sono
operanti perche gli estremi della coppia vengono pronunciati allo stesso modo, es. t-d sono letti
come t, perciò rad (ruota) è pronunciato come rad (consiglio). In questi casi Trubeckoj dice che
l’opposizione è neutralizzata. Sul piano fonetico si ha un sincretismo (d e t si pronunciano allo stesso
modo) sul piano fonologico si dice arcifonema.

Le correlazioni

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Il nucleo del sistema fonologico è costituito da vari tipi di opposizioni, che sono in relazione privativa,
bilaterale e proporzionale. Queste opposizioni sono le coppie correlative.
Una serie di coppie correlative, i cui estremi si oppongono per lo stesso tratto, è una correlazione. La
correlazione è quindi una serie di coppie correlative caratterizzate dalla stessa marca di correlazione. La
marca di correlazione è un tratto la cui presenza o assenza carattarizza gli estremi delle coppie correlative.
Nel nostro caso è la sonorità.
Per Trubeckoj l’elemento primitivo del sistema fonologico è l’opposizione fonologica (momenti di un sistema
fonologico fondato sulle correlazioni).

3.2.4. Il binarismo
Roman Jakobson ha iniziato varie ricerche riguardanti il fonema come estremo di un’opposizione e come
fascio di tratti distintivi.
Per prima cosa ha costituito una serie di caratteristiche acustiche comuni a tutte le lingue. Ogni lingua
sfrutta in maniera diversa queste caratteristiche e ne risultano, di conseguenza, sistemi fonologici diversi.
Es. la diesizzazione (rafforzamento armoniche ad alta frequenza) è tipica del russo e delle lingue slave.
Jakobson considera solo opposizioni binarie. Il Binarismo è l’analogia del calcolo binario (che è alla base del
linguaggio di programmazione). Ogni fonema è definito per mezzo di una matrice di tratti. Ogni tratto è
binario, cioè può avere due valori (positivo o negativo).
I tratti necessari per definire i fonemi dell’italiano sono:
1. Sillabico, è un suono che compare nella posizione di nucleo sillabico
2. Consonantico, è un suono prodotto restringendo la fuoriuscita di aria
3. Sonorante, la restrizione è scarsa ma si può comunque muovere le pliche vocali
4. Sonoro, è un suono consonantico che si ha attivando il meccanismo della laringe
5. Continuo, caratterizza i suoni articolati senza occludere la cavità orale
6. Rilascio ritardato, sono suoni articolati in fase di occlusione e una successiva minore restrizione
della fuoriuscita di aria
7. Laterale, l’aria fuoriesce dalle aree laterali del cavo orale, nella zona centrale invece vi è
l’occlusione
8. Arretrato, si dicono suoni come le occlusive velari che si fanno arretrando la lingua
9. Anteriore, suoni prodotti con una restrizione della alveolare o anteriormente a questa
10. Coronale, suoni emessi sollevando la parte anteriore della lingua
11. Basso, suono emesso abbassando la lingua, aprendo la mandibola
12. Alto, suono emesso alzando la lingua verso il palato
13. Arrotondato, suono fatto con la labializzazione

3.2.5. Le regole fonologiche


Il fonema è considerato come una categoria astratta che si realizza in una classe di suoni, anche detta
allofoni. Gli allofoni liberi compaiono nella stessa posizione: r e R che in italiano corrispondono tutte a r.
Gli allofoni in distribuzioni complementari compaiono in opposizioni differenti.
La regola fonologica sceglie l’allofono compatibile con la posizione.
Il tratto (+ sonoro) caratterizza solo occlusive e fricative.
I valori del trattato (+ o – continuo) distinguono le occlusive dalle fricative.
Questa regola riguarda solo i tratti distintivi.
Molto importante è l’ordine delle regole.
Es. in tedesco Jagd (caccia) la d si distingue con la t. così interviene la seconda regola secondo cui g si
assimlila alla t e diventa k.
Molte regole della fonologia riguardano la rappresentazione fonetica delle unità morfologiche.
Es. in stentato c’è una fricativa dentale sorda che in sdentato è sonora. Quindi si ha bisogno di una regola
che preveda come sarà pronunciata la s. la regola ricondurrà a un processo generale di assimilazione.
I tartti – sonorante e + continuo servono per individuare le fricative. Il tratto più sonoro compare sia in
occlusive che in fricative.

3.3. Aspetti di fonologia e della sillaba della parola

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Alcune differenze che la fonologia mette in luce riguardano le combinazioni dei fonemi in unità maggiori
come la sillaba e la parola.
Lo studio della sillaba si è sviluppato negli ultimi anni trenta. È iniziata una critica verso le fonologie
tradizionali, le nuove idee riguardo la fonologia vogliono creare una gerarchia di livelli autonomi.
La struttura della sillaba è fatta da un attacco e da una rima, la rima a sua volta è fatta da un nucleo e da
una coda. Il nucleo è la componente vocalica della sillaba.
In italiano vi sono sillabe con nucleo e rima senza attacco (es. anca), sillabe con attacco e nucleo senza coda
(es. arca) e sillabe con attacco, nucleo e coda (pan in panca)
Se la rima ha solo il nucleo la sillaba è aperta, se c’è la coda è chiusa.
In italiano l’attacco può contenere fino a tre consonanti, ma prima deve essere una fricativa dentale e la
terza una liquida (splendore).
La coda può contenere una liquida una nasale e una semivocale (alto, arto). Nella coda sono ammesse altre
consonanti se rappresentano l’attacco della sillaba successiva, come p in strappare. In questo caso la
consonante è geminata. Ha due ruoli, nella coda e nell’attacco della successiva.
Negli sviluppi degli studi della sillaba entro prospettiva generativa le categorie di attacco e rima sono
attribuite a un livello sovraordinato a quello delle categorie di consonanti e vocali.
I fenomeni prosodici della melodia, quantità e accento, sono collocati su un asse superiore al livello delle
consonanti e delle vocali.
Uno sviluppo interessante degli studi di fonologia prosolida riguardano l’accento di intensità, cioè una
prominenza relativa: la sillaba accentata è più forte della non accentata.

CAPITOLO 4
Unitàe processi nella morfologia

4.1. Parole e forme di parole


I fonemi di una lingua hanno funzione distintiva, cioè contribuiscono a distinguere significati individuando
parole diverse.

Es. la E di vela si oppone alla O di vola distinguendo vola da vela. Invece in cani e gatti la E ha proprietà
semantiche, da sola è capace di significare. Qui la E non è più un fonema, ma viene individuata e e
delimitata grazie grazie alla carica semantiche che possiede. Per individuare la E consideriamo la catena
fonica come un’articolazione di elementi significativi chiamati prima articolazione della lingua. Le unità che
vi compaiono hanno un lato fonetico fonologico e un lato semantico.

i fonemi della seconda articolazione sono unità con un solo lato. Si individuano usi concreti e si riconducono
a dei modelli che sono di riferimento come fossero istruzioni d’uso.

Le sequenze foniche interpretabili con una sequenza ordinata di fonemi (es. mare m+a+r+e) sono
realizzazione del significante, cioè della parola. Il significante ha una natura ideale, non fisica.

Nel flusso del parlato compare la realizzazone del significato. Il significato si coglie così: udendo una
sequenza di suon, l’ascoltatore si concentra sul significato.

Le strutture linguistiche sono tali poiché sono predisposte a significare. Tuttavia tra significante e significato
non c’è un rapporto biunivoco.

Le strutture linguistiche possono manifestarsi come unità o processi (per manifestarsi i processi hanno
bisogno di unità).

Nella prima articolazione della lingua ci sono cinque classi di strutture: morfologia, lessico, sintassi ordine
delle parole e intonazione.

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Il lessico e la morfologia organizzano le parole e le forme di parola.

La parola è una struttura semplice o complessa caratterizzata da alcune proprietà:

 Per la fonologia è articolata in uno o più piedi a loro volta strutturati in sillabe organizzate
secondo le regole della lingua organizzata.
 Per la morfologia, si articola in componenti disposti in un certo ordine.
 Per l’ortografia, elemento isolato da spazi nella scrittura.
 Per il discorso, i confini della parola sono punti di pausa potenziale.

Queste proprietà non sono universali e le parole si caratterizzano in modo diverso da lingua a lingua.
Bisogna distinguere la parola dalla forma di parole.

Per ogni parola vi è una forma di citazione. La parola come unità sul vocabolario è detta lessema, possono
essere semplici (strada – rosso – perdere), o strutturati se si ottengono da altri lessemi (stradale – arrossire
– riprendere)

4.2. Le classi delle parole: nozioni preliminari


la morfologia descrive il processo di formazione delle parole e la flessione delle parole. Le parole che hanno
la flessione in italiano sono: i sostantivi, articoli, aggettivi, pronomi, declinazioni e verbi. Le parole senza
flessione sono invece: preposizioni, coniugazioni, avverbi e interiezioni. In base al criterio semantico si può
fare la seguente classificazione:
 Un verbo significa un evento
 I nomi si riferiscono all’esistenza di entità che appartengono a una categoria con stesse
caratteristiche (gatto-cane)
 Gli aggettivi stanno a significare caratteristiche di identità
 Gli avverbi sono correlati alle circostanze che caratterizzano un’azione o una proprietà (modo-
tempo-luogo)
La divisione delle parole in classi lascia semre delle eccezioni. I criteri semantici raggruppano i lessemi
(parole) che condividono aspetti generici del loro significato per questo le parti del discorso sono classi del
lessico.

4.3. I morfemi

L’analisi delle parole si avvale della nozione di morfema (struttura semplice della prima articolazione). Il
morfema si può classificare attraverso una classificazione formale o funzionale. La classificazione che rileva
la posizione dei morfemi nella parola è la così detta FORMALE. Qui si distinguono: radici, affissi e desinenze.
Per es. “riguardare” ri – affisso, guard – radice, are – desinenza. Se l’affisso, come in questo caso, precede la
radice si dice prefisso, mentre se la segue si dice suffisso.

Ci sono tre tipi di morfemi:

1. Morfemi lessicali, costituiscono lessemi elemntari che si manifestano senza flessioni


2. Morfemi flessionali, sono responsabili delle forme diverse di una stessa parola
3. Formativi lessicali, sono impiegati nei processi di formazione di lessemi strutturati; questi tipi di
morfemi sono anche detti morfemi derivazionali perché intervengono nel processo di derivazione di
parole.

4.4. Somiglianze e differenze tra tipi di morfemi


Per la differenza tra i morfemi lessicali e formativi vi è il caso dei prefissoidi e dei suffissoidi.
Per la differenza tra la flessione e la derivazione un caso può essere il grado dell’aggettivo in lingue come
per esempio in inglese (es. cheap-er e cheap-est si formano affissi tipici della flessione).

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Potremmo dunque evidenziare le differenze entro i tre tipi di morfemi analizzando:


 La chiusura del paradigma a cui appartengono
 La sistematicità di applicazione
 La concretezza del semantismo che esse manifestano.

4.4.1. La chiusura dei paradigmi


Il grado massimo dei paradigmi si ha con i paradigmi dei morfemi flessionali.
Un paradigma morfologico cambia solo durante un lungo periodo. I paradigmi del lessico cambiano con
molta più facilità e per questo hanno un grado minimo di chiusura.
Questo criterio si applica anche alle classi lessicali. Maggiore è la chiusura, meno sono gli elementi che la
compongono.
I formativi lessicali fanno parte di paradigmi meno chiusi di morfemi flessionali.

4.4.2. La sistematicità di applicazione


La sistematicità è tipica delle unità che operano sui morfemi lessicali.
La sistematicità è la regolarità tendenziale con cui si svolgono determinate operazioni nella morfologia
flessionale e nella formazione delle parole.
L’intervento dei formativi lessicali associa a un morfema lessicale una famiglia di parole. Non si può
prevedere la formazione di un campo lessicale (es. da neve si può sviluppare innevare ma da pioggia non si
può sviluppare pioggiare).
Il grado di sistematicità è massi con i morfemi flessionali, obbligatori per le relative parti del discorso.
 Il verbo, in italiano, ha morfemi del modo del tempo e della persona
 Il sostantivo costituisce le sue forme variando il il morfema di numero
 L’aggettivo manifesta i morfemi del genere, del numero e del grado.
I formativi lessicali, hanno un grado minore di sistematicità, intervengono come costituenti di un gran
numero di lessemi strutturati, formando così sottoclassi di parole.
Il grado di apertura dei paradigmi è diverso a seconda del formativo.

4.4.3. Concretezza e genericità


L’area semantica di un morfema lessicale (libr-) ha valenze più concrete dell’area di un morfema flessionale(-
o).
Il primo (libr-) è lessicale e funziona denotando oggetti di un certo tipo. Tutti i suoi possibili significati (es.
libro contabile, libro nero..) ne veicolano un significato “immaginabile come oggetto concreto.
Il secondo (-o) ci fa pensare ad un singolo oggetto, ci da l’idea si singolarità.
Il morfema lessicale è un elemento anche semanticamente fondamentale per la costituzione di una parola.
Vi sono parole senza morfemi flessionali (preposizioni e avverbi).
Vi sono parole con morfemi flessionali e senza formativi (es. gatto, leggere).
Non esisto però parole senza morfemi lessicali.
 I morfemi flessionali hanno una maggiore sistematicità e chiusura del paradigma e una minore
intuitività del semantismo.
 I morfemi lessicali hanno la massima intuitività del semantismo, ma hanno una minima sistematicità
e chiusura del paradigna.

4.5. La polivolenza del morfema flessionale: il caso singolare


I morfemi flessionali sono polivalenti.
La singolarità è la valenza preferenziale del singolare, ma non si esaurisce il potenziale semantico del
morfema nel numero singolare.
Il semantismo del singolare è vario. Analoghe considerazioni possono valere per il plurale: es. 2 birre, può
stare a significare 2 dosi o due diversi tipi di birra.

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4.6. aspetti della morfologia flessionale


I morfemi flessionali sono organizzati in classi. Le classi morfematiche in italiano 8genere grammaticale,
numero, il caso, la voce, il modo, il tempo e la persona) indicano una categoria di cui un dato morfema è
un’istanza specifica.
Un’unità della seconda articolazione vive nelle opposizioni di cui è estremo.
Un principio simile vale nelle classi delle strutture della prima articolazione: un’unità si caratterizza in
rapporto alle altre unità della stessa classe.

4.6.1. I morfemi flessionali variabili e il morfema fisso


In italiano i sostantivi hanno due morfemi flessionali, il numero e il genere grammaticale, ma solo il numero
cambia.
Il genere grammaticale è un aspetto morfologico che dipende dal lessema. Il lessema può determinare un
comportamento morfologico irregolare della parola rispetto al numero.
La scelta del numero avviene in rapporto alla semantica, la scelta del genere avviene dentro il sistema.

4.6.2. morfemi intrinseci e morfemi estrinseci


Il morfema flessionale è fisso nel sostantivo ma varia nell’aggetivo.
Nell’aggettivo il morfema del genere serve per mnifestare il legame sintattico con il sostantivo.
A tal proposito esistono due tipi di morfemi flessionali:
 Intrinseci a una parola
 Estrinseci che manifestano il nesso sintattico
Il sostantivo ha quindi solo morfemi flessionali intrinseci. Nel verbo sono sia intrinseci che estrinseci.
Nell’aggettivo sono solo estrinseci.

4.6.3. Gerarchia dei morfemi


Nel verbo vi è un’organizzazione gerarchica dei morfemi: un morfema ne implica un altro.
In italiano tramite i morfemi si determinano i tempi indicativo, condizionali, imperativo, infinito, gerundio e
participio.
Dato “modo + tempo” si determinano:
 La prima, la seconda e la terza persona dell’indicatico, congiuntivo e condizionali
 La seconda persona dell’imperativo
Dato il modo si determina la presenza o l’assenza di numero. Nell’indicativo, congiuntivo, condizionale e
imperativo il numero può essere singolare o plurale. Nell’infinito, gerundio e participio non c’è.

4.6.4. Morfemi e morfi flessionali


Il significante del morfema è il morfo.
I tre fenomeni più importanti sono:
 L’amalgama dove il morfema può manifestarsi in altri morfemi dello stesso morfo.
 Il sencritismo, i morfemi flessionali in opposizione tra di loro possono manifestarsi tramite uno
stesso morfo.
 L’allomorfia o varianza, si ha quando un morfema dispone di più morfi e di più strategie di
manifestazione. Di conseguenza la scelta del morfo è determinata dal lessema che compare nella
parola.
I vari sincretismi che riguardano più opposizioni contemporaneamente sono:
 Maschile vs. femminile
 Singolare vs. plurale
 Maschile singolare vs. femminile plurale
 Maschile plurale vs. femminile singolare

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4.6.5. Altre strategie di manifestazione dei morfemi flessionali


I morfi flessionali sono discreti, cioè si possono individuare e segmentare entro una forma di parola. Alcuni
sono morfi segmentali, cioè si presentano come desinenze.
Vi sono morfi più complessi che si articolano in più segmenti (morfi discontinui).
Oltre ai morfi segmentali vi sono ltre strategie di manifestazione:
 Le alternanze foniche, modificano la radice e danno luogo alla flessione interna
 L’apofonia, realizza forme diverse di parole mediante l’alternanza vocalica nella radice. È qualitativa
se si basa su opposizioni timbriche, è quantitativa se si basa su opposizione di durata.
 La metafonia, è il risultato di un combinante del timbro vocalico indotto dalla vocale di un morfo
suffissale o desinenziale.

4.7. Allomorfie e suppletivismi


I fenomeni di allomorfia sono comuni ai diversi tipi di morfemi. Gli allomorfi sono simili foneticamente e
semanticamente.
I morfi con gli allomorfi hanno somiglianze funzionali. Vi sono quindi due livelli di allomorfia:
 Gli allomorfi foneticamenti simili al morfema flessionale
 I paradigmi supplettivi che si costituiscono ricorrendo ai morfi lessicali simili semanticamente, ma
non foneticamente.

4.8. processi di formazione delle parole: tipi fondamentali


Il patrimonio lessicale di una lignua recepisce i bisogni comunicativi della comunità linguistica. Per
soddisfare queste esigenze la lignua si avvale di processi di formazione che utilizza e crea lessemi nuovi.
I processi di formazione si differenziano dai morfemi flessionali perché sono facoltativi e dai morfemi
lessicali perché da soli non sono una parola.

4.8.1. La composizione e la combinazione


La composizione è l’unione di due lessemi che combinandosi producono una nuova struttura. In alcuni
composti i lessemi hanno un rapporto di coordinazione, cioè la classe lessicale del composto non è
predicibile dai suoi componenti:
1. Sostantivo + sostantivo (madrepatria)
2. Sostantivo + aggettivo (pellerossa)
3. Aggettivo + sostantivo (buonsenso)
4. Verbo + sostantivo (salvavita)
5. Verbo + verbo (saliscendi)
6. Radice verbale + avverbio (buttfuori)
7. Preposizione + nome (dopopranzo)
8. Avverbio + sostantivo (quasi – particella)
9. Aggettivo + aggettivo (benvisto)
10. Avverbio + verbio (benedire)
I composti determinativi che si riferiscono a una persona o a un animale sono composti esocentrici, cioè la
loro proprietà espressa non corrisponde a quella che effettivamente caratterizza l’entità denotata.
Una combinazione di parole è una sequenza lessicalizzata di parole che ne consente una parziale
autonomia, ma costituisce un’unità con funzione didattica.
Il composto sintagmatico ha caratteri del sintagma perché le due componenti sono prese in autonomia, e il
collegamento può essere manifestato tramite una preposizione (mulino a vento).

4.8.2. composizione e riduzione di strutture

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Un caso particolare di composizione è la manifestazione di più morfemi lessicali in un amalgama in cui i


confini tra le parti sono sfumati, e vi è di conseguenza una riduzione della struttura.

4.8.3. La prefissazione
I prefissi danno luogo a parole che appartengono alla stessa classe lessicale della base. Un esempio per
quanto riguarda i verbi è la classe formata da correre, decorrere e percorrere.
Le strutture in origine non erano prefissi, ma lessemi costitutivi di parola autonoma, cioè prefissoidi.

4.8.4. La derivazione
La derivazione è il tipo di informazione che incrementa la base lessicale trasferendo la parola in un’altra
parte del discorso.
Le strategie sono:
 Uso di suffissi come -oso che forma aggettivi (altezzoso), -ione che forma sostantivi da verbi
(delusione). Un suffisso in grado di individuare la parte del discorso a cui appartiene una parola.
 La derivazione zero, quando non intervengono formativi lessicali e il lessema riceve le proprietà
flessionali della classe di arrivo.
 La retroformazione che si attua riducendo o togliendo un formativo lessicale che compare nella
manifestazione di un lessema strutturato.
 Le formazioni parasintetiche che sono date dalla formazione di un prefisso con una derivazione
zero.
 L’apofonia che è la variazione della vocale alla radice.
4.8.5. L’alterazione
Gli alterati dell’italiano sono:
 Diminutivi, dove i formativi hanno la funzione di connettere il morfema lessicale al suffisso
alterativo.
 Vezzeggiativi, dove i formativi più frequenti sono -uccio / -uccia (casuccia)
 Accrescitivi, dove i formativi più frequnti sono -one / -ona (macchinone)
 Peggiorativi, dove i formativi più frequenti sono -accio / -accia (linguaccia)
il senso dell’alterazione varia a seconda dell’uso (es. un atteggiamento affettuoso può comparire nel
diminutivo, ma anche nel peggiorativo o nell’accrescitivo).

4.9. sulla derivazione come eredià storica: i lessemi latenti


Un lessema strutturato è la continuazione di una parola costituita in epoche diverse o introdotte per
contatto con un’altra lingua.
Es. affidabile può essere un derivato di affidare o può essere una traduzione del verbo reliable (inglese).
I lessemi latenti si trovano sia nei verbi che negli aggettivi.

4.10. I sintemi
Il significato dei composti è costruito il più delle volte grazie ai significati delle parti.
Il significato dei sintagmi dipende dal significato delle parti. Sono quindi caratterizzate dalla
composizionalità.
I sintemi sono unità lessicali complesse, articolate in costituenti portatori in quella combinazione di un
significato unitario.
In un sitagma si può sostituire un elemento con altri che abbiano la stessa funzione, in un sintema no.
In un sintema la lessicalizzazione è massima, in un sintagma tende al minimo.

4.11. Tra lessema e sintagma: le funzioni lessicali


Le funzioni lessicali sono funzioni che descrivo il rapporto di una parola (x) (es. nuovo) con una
combinazione di parole f(x) (es. nuovo di zecca). La relazione è data dall’intensificazione.

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Le diverse espressioni della funzione lessicale di intensificazione sono varianti legate.


La funzione lessicale è l’elemento generico di più lessemi specifici. Costituisce un paradigma di unità che
servono a esprimere la portata semantica.

4.12. Lessico da contatti interlinguistici


La condizione naturale di esistenza di una lingua storica è quella del contatto con altre lingue.
Le classi più aperte del lessico (sostantivi, avverbi e verbi) recepiscono di più gli elementi di altre lingue.
La parola in una lingua è il modello per la costituzione di una parola di un’altra lingua.
Es. sport, parola italiana costruita sul modello inglese, la pronuncia è diversa.

4.12.1. L’integrazione dei prestiti recenti


È interessante osservare il percorso di integrazione dei prestiti recenti in italiano. Vi sono aspetti fonetici,
fonologici e morfologici iteressanti.
Il significato del modello allogolotto può essere adottato sia sul piano fonetico sia su quello fonologico.
Quando il modello ha fonemi che nella linngua di arrivo non ci sono, l’integrazione può avvenire in vario
modo.
Con l’integrazione nulla del prestito si ha una resa molto vicina al modello.
Nella lingua di arrivo il prestito può ricevere trattamenti grammaticali diversi, attraverso vari tipi di
adattamento.
Vi è poi l’adattamento grafico (es. goal in italiano diviene gol, viene adattato al vriterio fonetico italiano.

4.12.2. I calchi
Attraverso il calco c’è la ricezione di parole in altre lingue.
Vi è il calco semantico quando una parola da una lingua acquista un ulteriore senso per influsso di un’unità
di un’altra lingua.
Invece con il calco strutturale la struttura lessicale di un’altra lingua è il modello per una nuova parola. Il
calco è detto perfetto quando vi è uno stretto legame col modello.
Più il calco è perfetto, meglio la lingua mutante tende a riprodurre la struttura della lingua che offre il
modello.
Ma il più delle volte il calco strutturale è imperfetto.
Nel rapporto strutturale imperfetto il rapporto con il modello è meno stretto, vi è un’imitazione
approssimativa nella quale uno degli elementi del modello è riprodotto più liberamente.
Il latino è considerato il denominatore della civiltà europea occidentale.

CAPITOLO 5
DALLA LESSICOLOGIA ALLA LESSICOGRAFIA

5.1. Alcuni aspetti della semantica lessicale


I lessemi sono collegati tra di loro tramite rapporti basati sul senso.
I tipi di lessema possono essere:
 Iperonimia, a un lessema in senso generico (iperonimo), si riconducono altri lessemi specifici
(iponimi). Es. imperatore, re, principe, sono iponimi dell’iperonomio sovrano. Due o più iponimi che
condividono lo stesso iperonomio si chiamano co-iponimi (imperatore, re, principe).
 Sinonimia, è una somiglianza parziale di senso (abbinare e accoppiare). È comunque una
somiglianza limitata ad alcuni aspetti del senso, e dal dominio d’uso di un lessema. La sostituzione è
un criterio decisivo per verificare la sinonimia, se due espressioni sono acettabili nello stesso testo,
vi è un rapporto di somigianza fra i sensi.
 Antonomia, essa collega parole del senso contrario (alto basso)
A loro volta i sensi di un lessema (proprio e figurato) possono collegrsi tra di loro in vario modo:

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 Al senso proprio si attribuisce il rango di valenza tipica, preferenziale di un dato lessema.


 Il senso figurato è un’interpretazione di un’altra esperienza per mezzo di categorie di senso
proprio.
Alcuni lessemi sono poi caratterizzati da omoniamia che si rileva quando due o più strutture si avvalgono
della stessa stra tegia di manifestazione.
I lessemi sono fatti per “lavorare insieme” nel testo. Il senso automaticamente insteso, non è racchiuso nelle
parole, prese isolatamente da un inventario, esso, piuttosto, emerge considerando l’iterazione fra le parti
nel tutto costituito da una sequenza testuale.
Il senso di un lessema indica una delle valenze possibili di un lessema, ossia la capacità di funzionare nei
testi producendo un effetto nella comunicazione verbale.

5.2. Per una tipologia di dizionari


La macrostruttura contiene tutte le voci di un dizionario.
La microstruttura, invece, è il modo in cui le voci vengono descritte e registrate.
La lessicografia è quella disciplina che ha per obbiettivo la raccolta del lessico di una lingua allo scopo di
compilare dizionari.
Un dizionario è un’opera che registra i lessemi e i formativi lessicali di una lingua. Ciascun elemento è
presentato in una forma di base, chiamata lessema, a cui segue la sezione chiamata glossa, nella quale, a
secpnda del tipo di dizionario, si trova un insieme prganizzato di informazioni.
Un dizionario può essere monolingue o bilingue. Può registrare lemmi della vita comune o linguaggi
specialistici. Può riguardare una lingua standard o una non standard (dialetti, gerghi..), può essere in ordine
alfabetico o in un altro ordine.
 Dizionario semasiologico, la descrizione prende avvio dalla voce (lemma) e conduce alla definizione,
descrizione dei sensi. Esistono diversi tipi di dizionari semasiologici: ortografici, inversi, etimologici,
della sillabazione, della pronuncia, delle rime e ragionati.
 Dizionario onomasiologico, si prende l’avvio da un significato, rappresentato tipicamente da una
parola, esi cercano altre parole che siano ad esso collegate. Alcuni tipi di questi dizionari indicano
parole che condividono un senso, altri considerano le differenze di senso di parole affini
semantiamente.
 Dizionario sintagmatico, prende in considerazione le combinazioni possibili di un lessema. Un tipo di
questi dizionari sono i dizionari valenziali che trattno i verbi. Un altro è il dizionario delle costruzioni
che mette in luce gli elementi selezionati obbligatoriamente dagli altri.
Dalle costruzioni si dividono le collocazioni che non hanno una ragione grammaticale ma sono
radicate nell’uso.
5.3. Una nota sulla microstruttura dei lessemi
Un dizionario monolingue dell’uso organizza le voci in quattro reparti:
 Area dell’entrata, contiene il lemma, informazioni sulla sillabazione e sulla pronuncia, tenendo
conto soprattutto dell’accento di parola.
 Area dell’informazione grammaticale, essa accompagna il lemma e contiene i dati sulla classe
lessicale (nome, verbo, aggettivo) e sulla morfologia flessionale.
 Area dell’informazione semantica, essa è il nucleo di un voce di dizionario. È formata da 4 aree: la
definizione, gli impighi tipici, la fraseologia e per i sostantivi e gli aggettivi abbiamo una quarta area
degli alterati e delle formazioni avverbiali.
Una definizione si dice aristotelica perché è tramandata dalla lingua classica come tipo autentico di
definizione.
 Informazioni complementari, essi si posso raggruppare in etimologia e datazione, marche d’uso e
sinonimi e contrari.

5.4. Sull’ordine della classificazione di sensi e usi dei vocaboli

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Nella microstruttura di una voce lessicografica i sensi possono venire ordinati in base a criteri differenti.
 Ordine storico, la classificazione procede in base a un criterio temporale.
 Ordine logico, il senso proprio precede i sensi figurati e gli sviluppi dovuti al calco semantico.
Un dizionario è un’ipotesi dulla struttura del lessico di una lingua.
Molte informazioni riportate nell’opera hanno gia superato il vaglio di una verifica empirica intersoggettiva.
Altre informazioni sono il risultato di una scelta operata operata dal lessicografia.

CAPITOLO 6
ELEMENTI DI SINTASSI

6.1. L combinazione significativa delle parole (sintassi)


Sintassi derva dal greco syntaxis che significa disposizione, ordinamento. È formata dalla radice tag- che è
presente nel sostantivo sintagma che in greco sigifica cio che è disposto secondo un ordine.
La sintassi, dal punto di vista linguistico, è un sistema di strutture mediatrici tra il suono e il sesno. Anche le
strutture sintattiche sono caratterizzate da polivalenza, varianza, preferenzialità e endolinguisticità.
Nella sintassi vi sono le combinazioni significative delle forme di parola. La combinazione è retta dalla
composizionalità: in base a questo principio organizzativo, due sintagmi formano un sintagma maggiore che
assume un determinato valore d’insieme in funzione dei valori delle sue parti.
La sintassi studia principi e procedimenti di costruzione di sintagmi complessi, tra i quali le frasi (costruzioni
sintattiche autonome, predisposte a funzionare come testi minimi).
La sintassi individua nella frase:
 I sintagmi che costituiscono le frasi
 Le relazioni tra i sintagmi
 La struttura interna dei sintagmi.
A tal scopo vi sono due legami:
 Le connessioni tra le parti nell’interno, che intuiscono una gerarchia di dipendenze tra elementi
 Le relazioni tra parte e interno, che stabiliscono i costituenti di una struttura sintattica.

6.2. I costituenti e le dipendenze


Costituente: elemento che apartiene ad un’unità maggiore.
Es. Giulia scrive, ci sono due costituenti, Giulia e scrive, se sostituiamo scrive con saluta Carlo il
procedimento mette in luce una gerarchia di rapporti che non si riduce a una successione di tre parole.
Ogni rapporto nella gerarchia è una relazione binaria che costituisce una totalità. Gli estremi di ogni
relazione si chiamano costituenti immediati, tutti insieme si chiamano costituenti dell’unità massima.
un’altra rappresentazione della struttura può invece mettere in luce la parola saluta come vertice sintattico
che domina Giulia e Carlo. Si ottiene così un albero delle dipendenze.

Saluta

Giulia Carlo

Qui si considerano solo le connessioni tra le parti. La dimensione gerarchica della struttura è caratterizzata
da assimetria tra gli elementi in connessione: l’elemento al vertice della figura è il nodo dominante.
Se la forma è un verbo il nodo è verbale, gli elementi che dipendono dal verbo sono nodi nominali. Il
soggetto può avere sia valenza di costituente sia valenza dipendete dal verbo, e si distingue un “soggetto”
da un “oggetto” in rapporto al verbo.

6.3. I sintagmi

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Ogni costituente immediato è un sintagma. I sintagmi complessi si articolano in sintagmi semplici.


Es. nella frase “la cassa rurale aiuta la piccola azienda” vi sono tre sintagmi maggiori:
 La cassa rurale
 Aiuta
 La piccola azienda
Per riconoscere alla prima e la terza combinazione la natura di sintagmi si può fare ricorso al significato o
alla sostituzione con sintagmi minimi. Sono combinazioni significative e di conseguenza sintagmi.
La somiglianza (sulla quale si basa la sostituibilità) ha due aspetti:
 Permette di ricondurre il molteplice al semplice
 Mette in luce una categoria gerarchica che si manifesta in cose semplici.
Esistono vari tipi di sintagmi:
 Sintagma nominale, per rappresentarlo useremo il simbolo SN.
 Sintagma verbale, che viene messo in luce da una somiglianza funzionale, ed il simbolo sarà SV.
 Sintagma aggettivale, (avido di successo).
 Sintagma avverbiale, può constare di un sintagma minimo o un’espressione complessa.
 Sintagma preposizionale, si quando il sintagma nominale sin combina con una preposizione.

6.4. I rapporti tra le parti: dipendenze


Entro i sintagmi, nominale, verbale, oggettivale e avverbiale vi è sostituibilità tra una forma minima e
un’espressione complessa.
Questo rapporto non vi è nel sintagma preposizionale, non può essere effettuata la sostituzione, di non può
sostituire di legno.
La sostituibilita non serve per descrivere la struttura interna di un sintagma, cioè non è in grado di spiegare
l’asimmetria dei ruoli tra le parti di un sintagma, ma è utile per individuare le unità funzionali (riconducendo
il complessio al semplice).
Le espressioni complesse sono sintagmi quando costituiscono espansioni di un nucleo.
Il sintagma nominale si può espandere con l’applicazione di altre forme di parola. Il sintagma si può
sostituire con altre forme nominale (libri con romanzi).
Le proprietà sintattiche del sintagma nominale sono determinate dal nome che ne costituisce il nucleo, gli
altri elementi vengono chiamati modificatori del nucleo. Il modificatori si manifesta solo se vi è il nucleo.
Un determinante di un sintagma nonimale può essere un articolo determinativo o indeterminativo. I
determinanti del sintagma nominale individuano e quantificano l’estensione del riferimento.
Un’altra proprietà dei sintagmi è l’iterabilità dei modifictori: il nucleo può essere espanso e l’espansione può
essere ulteriormente espansa.
Per i sintagmi preposizionali può essere modificatore:
 Un sintagma nominale
 Un modificatore di un sintagma nominare
 Un modificatore di un modificatore di un sintagma nominale.
La sturttura interna del sintagma preposizionale è articolato in nucleo e in modificatore. La stessa
disposizione lineare dei costituenti serve per manifestare due diverse organizzazioni strutturali della frase:
questo è un caso di ambiguità. Per risolvere l’ambiguità si può ricorrere a varie strategie come lo
spostamento o alla riformulazione della frase in una sturttura del tipo è X che P, che si chiama frase scissa.

Un sintagma preposizionale può essere facoltativo. In altri casi la preposizione è selezionata da un verbo
(riferirsi a), da un nome (interesse per), o da un aggettivo (capace di), i quali richiedono un’integrazione di
un certo tipo, chiamata valenza.

6.5. Verbo, valenza e dinamica della sintassi


La valenza caratterizza un modello della sintassi che privilegia un punto di vista dinamico sul fenomeno
linguistico. La sintassi è mettere vita in una massa di parole stabilendo fra loro delle connessioni.
Il fenomeno della valenza ha le sue radici nel significato. Il verbo è vertice sintattico e anche vertice
semantico.

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Un verbo è monovalente se esige solo un argomento. È bivalente se ne richiede due. È tricalente se richiede
un oggetto indiretto..
Le valenze esigono di essere strutturate affinchè la struttura si completi, questi argomenti sono chiamati
attanti.
La sintassi richiede due argomenti, il soggetto e l’oggetto indiretto.
L’ordine degli argomenti è ripreso nella struttura sintattica della gerarchia delle relazioni che i sintagmi
normali intrattengono con il verbo (nucleo del sintagma verbale).
La qualità è il requisito che il predicato espresso dal verbo pone sui posti argomentali.
6.6. Le frasi nominali e le frasi verbali
Le frasi nominali e verbali sono due tipi fondamentali di frasi.
La frase è caratterizzata da melodia ascendente con pausa successiva.
Nella frase nominale l’aggettivo (con funzione di predicato di una frase nominale) si manifesta nella forma
breve.

6.7. I verbi impersonali


I verbi impersonali indicano per lo più verbi atmosferici (es. piove) sono verbi senza valenza perché hanno
capacità di realizzare una frase.

6.8. I ruoli semantici degli argomenti nominali di un verbo


La categoria dei ruoli semantici è molto diffusa in linguistica. Il ruolo è il profilo che un’entità assume dentro
una scena.
La preferenzialità ha una ragione statistica, ma anche un motivo pricologico: i verbi sono parole che
indicano azioni.
Le frasi sono strutture fatte per esprimere schemi di evento della realtà.
Gli altri schemi sono:
 Esistenza, statuto che collega un’entità con un modo di essere
 Avvenimento, coinvolge un oggetto in un processo
 Esperienza, categorizza esperienze sensoriali e mentali espresse da alcuni verbi
 Possesso, uno schema che prevede un “possessore” come primo partecipante
 Movimento, è lo schema origini – percorso – meta
 Trasferimento, lo schema attivato con il verbo “dare”.

6.9. Costruzione passiva come struttura linguistica


Le costruzioni sintattiche sono strutture di una lingua. Sono caratterizzate, quindi, da polivalenza,
preferenzialità, endolinguisticità.
Per la voce passiva la struttura sintattica è polivalente: può lasciare implicito l’agente e cambiare la struttura
comunicativa associata alla frase attiva, l’omissione dell’agente è la funzione preferenziale.

6.10. Una tipologia delle dipendenze


Il soggetto è l’argomento del verbo che viene privilegiato nella struttura di una frase.
Il legame del verbo con il soggetto è diverso da quello che lega il nome al proprio modificatore.
Ci sono tre tipi fondamentali di dipendenza:
 Dipendenza bilaterale, c’è interdipendenza tra i due costituenti. È il caso del legame tra il sintagma
verbale e il soggetto (uno dipende dall’altro)
 Dipendenza unilaterale, quando un nucleo non richiede il modificatore, mentre il modificatore
richiede il nucleo.
 Dipendenza coordinativa, vi è un rapporto tra i due nuclei, ma nessuno dri due ha bisogno dell’altro
per comparire nella struttura sintagmantica.
La valenza è una dipendenza bilaterale se l’argomento è attante. Altri argomenti del verbo sono in rapporto
di dipendenza unilaterale.

6.11. Manifestazioni del nesso sintattico: concordanze, reggenza, giustapposizione

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Le dipendenze sono legami tra elementi. Per manifestrasi si avvalgono di molte strategie che variano da
limgu a lingua.
Si hanno tre principali modalità di manifestazione tra nessi sintattici:
1. La concordanza si ha quando un elemento trasferisce i proprio morfemi flessionali a un altro, in due
modi:
 Nel sintagma nominale il nome stabilisce le categorie del genere e del numero dell’aggettivo
e dell’articolo.
 Anche il verbo ha un morfema estrinseco, è il numero imposto dal soggetto.
2. Si ha la reggenza quando i morfemi che compaiono in un sintagma sono determinati da un altro
sintagma. Il nucleo che determina i sintagmi può essere un verbo, un nome, un aggettivo e una
preposizione.
3. La giustapposizione che è fondamentale nel caso di lingue povere di flessione (es. inglese).

6.12. Le relazioni interfrastiche e tipi di frasi


Nella paratassi vi sono dipendenza coordinative.
Essa si manifesta tramite congiunzioni coordinative o per asindeto.
Le frasi dipendenti sono di diverso tipo, sia per la struttura interna che per la funzione sintattica.
I nessi ipotattici subordinano una frase ad un’altra.
Le subordinate introdotte da congiunzioni o pronomi sono connesse alla frase dominante da una
dipendenza bilaterale: una frase implica un’altra.
In altri casi tra il nucleo e la subordinata vi è una dipendenza unilaterale.
Le frasi strutturalmente indipendenti semplici o complesse, affermative o negative si possono classificare in
dichiarative, iussive, interrogative.
 Le iussive hanno un verbo alla forma interrogativa.
 Le interrogative possono essere generali (con gli stessi sintagmi di una dichiarativa) o particolari
(contengono uno o più sintagmi interrogativi, caratterizzati da un lessema interrogativo).
 La differenza tra la dichiarativa e l’iterrogativa si manifesta tramite caratteristiche strutturali che
vriano a seconda della lingua.

6.13. Il punto di vista generativo e la Grammatica Universale


Chomsky studiò con attenzione la lingu e la mente umana.

CAPITOLO 11
VARIAZIONE LINGUISTICA

11.1. Varietà di una lingua


Nella lingua coesistono più varietà e queste variazioni possono essere di natura diversa. Si possono
distinguere dunque le seguenti varietà:
 Diacroniche, la lingua varia e si modifica nel tempo.
 Diatopiche, la lingua è realizzata in modi diversi nello spazio.
 Distratiche, la lingua è realizzata in modi diversi a seconda dell’appartenenza socioculturale del
parlante e degli ambienti socali in cui essa è praticata.
 Diafastiche, legate aggli scopi della comunicazione e al rapposrto con gli interlocutori.
A queste quattro se ne può aggiungere una quinta:
 Diamesiche, correlate al mezzo di comunicazione.
Le varietà di tipo diatopico, diastrtico e diafasico si pongono sull’asse sincronico.

11.2. variazioni diafrastiche


Come gia è stato detto, la realizzazione di una lingua differisce a seconda degli ambienti e del livello
sociocultura del parlante. Lo studio di tali variazioni costituisce il campo della sociolinguistica. Questa

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disciplina studia le diverse modalità di realizzazione della lingua a seconda delle differenti tipologie di
parlanti. Si tratta quindi di uno studio focalizzato sulla parole e non sulla langue.
Il punto di partenza i un’indagine sociolinguistica è l’indivisuazione di una comunità linguistica (insieme di
parlanti che si riconoscono nell’uso del medisimo codice), e bisogna tener conto del fatto che all’interno di
questa comunità linguistica esistano le varietà linuistiche. Ricordiamo comunque che l’appartenenza
primaria è alla lingua e non alla varietà (appartenenza all’italiano e non, per esempio, al dialetto toscano).
Dato che la lingua non è un codice unitario ma un repertorio di codici, la sociolinguistica deve precisare
quanto il parlante è in grado di dominare i codici linguistici diversi. Da questa capacità discende la
competenza comunicativa, cioè la capacità di utilizzare la lingua in mdo appropriato a seconda delle
situazioni. Se un parlante ha piena padronanza di più codici può passare liberamente da un codice all’altro
operando quella che viene definita comunicazione di codici.

11.2.1 Variazione linguistica e prestigio


Un concetto fondamentale da cui partire è il prestigio. Di fatto una varietà può essere sentita come più
prestigiosa di un’altra.
Distinguiamo ora il prestigio manifesto, ovvero quel prestigio che viene riconosciuto in modo immediato e
generale e sostanzilmente è condiviso dall’intera comunità di parlanti; dal prestigio coperto, ovvero quando
è una varietà substandard ad essere presa come modello (linguaggio pieno di parolacce).
Abbiamo poi la varietà dimaggior prestigio, che si afferm come modello da seguire per una comunità di
parlanti che viene denominata standard.
La standardizzazione della lingua non è un fenomeno proprio delle lingue moderne come lo poteva essere
per quelle antiche (es. greco e latino). L’italianodi oggi, lo standard si pone su base sovraregionale ed è la
lingua che viene insegnata nelle scuole, presentata nelle grammatiche normative, diffusa attraverso i mezzi
radiofonici televisivi e dalla stampa nazionale.
Una lingua può possedere più varità che sono considerate standard da diversi ambiti di parlanti. L’esistenza
di queste varietà comporta la possibilità per il parlante di effettuare delle scelte. Una determinata
deviazione dello standard che non dipenda da una scelta del parlante non è però considerata una varietà
linguistica.

Le varietà linguistiche posso trovarsi nella fonetica, nella morfologia, nella sintassi o nel lessico.

11.2.2. Lingue speciali


Le lingue speciali nascono quando gruppi specifici di parlanti usano varietà della lingua nazionale
fortemente definite e articolate, e l’uso di una determinata varietà diventa un tratto distintivo di un
determinato gruppo sociale.

SOCIOLETTO E IDIOLETTO
Si ha un socioletto quando la scelta di una detrminata varietà ricorre con regolarità e non è più lasciata alla
libera iniziativa del parlante, non è più un atto di parole; quindi una lingua speciale diventa un asottovarietà
articolata e strutturata.
Il socioletto può definire non soltatnto una classe sociale, ma anche un insieme di persone che hanno
determinate caratteristiche comuni.
L’uso di queste varietà dipende da una scelta consapevole degli appartenenti al gruppo, anche volta a
esplicitare la propria identità. In casi del genere non simo più in presenza soltanto di una varietà sociale,
perché la sua utilizzazione non dipende dala condizioni socioculturali del parlante ma anche di una varietà
diafasica (scopo della comunicazione).
Anche la differenza etnica può riflettersi sulla lingua.
Per designare varietà linguistiche che investono solamente la lingua parlata di un determinato individuo si
usa il termine idioletto.

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LINGUE SETTORIALI
Le ligue settoriali sono caratteristiche di determinati settori dell’attività umana o di gruppi professionali.
L’interesse prevalente delle lingue settoriali consiste in un passaggio di informazioni il più possibile rapido
preciso ed efficiente. (per esempio leggendo il resoconto di una seduta parlamentare o u testo legislativo, si
troveranno impiegte formule ricorrenti e termini desueti o completamente assenti nel linguaggio comune.

GERGHI
Quando una lingua speciale si pone come obbiettivo non quello di facilitare la comunicazione, ma quello di
creare un vincolo di solidarità più stretto, o di complicità, fra un gruppo di persone, o addirittura di non
permettera la comprensione al di fuori della cerchia di persone che parla, si passa dalla lingua speciale al
gergo.
Il lessico nella maggioranza dei casi, è costituito da parol della lingua nazionale usate con valore traslato, ma
non mancano prestiti da altre lingue, spesso anche lontane.

11.3. varietà difasiche


Vi sono situazioni di variabilità che nascono dal contesto e dalla situazione in cui il parlante si trova. Le
variabili di questo tipo dipendono perlopiù dal parlante stesso, che viene chiamato ad utilizzare determinat
forme linguistiche invece che altre. Vi sono differenze che implicano scelte di lessico, morfologia e sintassi.
La varizione diafasica comporta l’uso di differenti registri linguistici. Vi sarà a seconda del contesto l’uso dii
un registro più o meno formale, più o meno colloquiale… un parlante deve essere in grado di dominare più
registri linguistici.
Anche l’uso di un lessico tecnico può contribuire a rendere più marcata la differenza di registro.
Distinguiamo 4 registri principali:
 Solenne, utilizzato in occasioni solenni, utilizzerà un lessico aulico.
 Formale, utilizzato per esempio in una tesi di laurea o in una conferenza.
 Medio, utilizzato in situazioni che richiedono una certa correttezza e propietà del linguaggio.
 Colloquiale, conversazione familiare.

11.3.1. Formule allocutive


All’uso di diverse forme di saluto (ciao, salve, buongiorno), in italiano corrispondono i pronomi con cui ci si
rivolge ai propri interlocutori; ciao in corrispondenza di tu, buongiorno in corrispondenza di lei e salve è
neutro che serve che non sottintende confidenza ma neppure troppo distanziamento.
Nell’uso dei pronomi allocutivi l’itaiano distingue tra la forma di cortesia e la forma confidenziale: tu,
pronome confidenziale, lei pronome di cortesia. Quando ci si rivolge a più persone si dovrebbe usare loro,
che però oggi viene di solito sostituito con il voi.
L’uso dei pronomi allocutivi può essere simmetrico (gli interlocutoru usano lo stesso pronome), o
asimmetrico ( i due interlocutori usano pronomi diversi: studente he s rivolge al professore e professore che
si rivolge allo studente).

11.4. Varietà diatopiche


Lo studio delle varietà diatopiche può essere condotto secondo criteri differenti: uno studio di tipo
diacronico, che mira a spiegare come si siano prodotte differenziazioni dialettali su un determinato
territorio, e uno studio di tipo sincronico, che mira piuttosto a definire le varietà regionali stabilendone il
rapposrto reciproco, i confini e il prestigio. È molto difficile tracciare confini tra le zone in cui vengono usati i
vari dialetti perche il passaggio da un dialetto all’altro è graduale ed in alcune zone si verifia l’unione di più
dialetti, sono aree di transizione chiamate anche anfizione.
Pertanto lo studio dei dialetti pone problematiche complesse tanto da aver dato origine ad una
sottodisciplina della linguistica definita dialettologia.
In un territorio si creano varietà locali che sia allontanano sempre più tra di loro fino a diventare prima delle
parlate foremente diversificate e poi delle lingue autonome.
Una visone del genere presuppone una continua frammentazione di un’originaria unità linguistica del
territorio, e le varietà locali si differenziano continuamente fra di loro fino a diventare reciprocamente

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incomprensibili. Accanto a questo processo di frammentazione deve coesistere anche un processo di


riaggregazione, che porti alla diffusione di una varietà di riferimento comune.
La scienza che stabilisce ciò che è giusto e ciò che non lo è si chiama purismo; nel caso della lingua italiana il
registro alto è l’italiano mentre i dialetti corrispondono ai registri colloquiali.

11.4.1. Dialetto e lingua


Quanto sia sottile e spesso indefinibile lalinea che separa la lingua dal dialetto lo si può intuire dall’esempio
sopra riportato (lingue romanze che nascono dalla frammentazione del latino. La lingua è percorsa da forze
e correnti spesso contratstanti tra loro, che si saldano in una dialettica continua di innovazione e
conservazione.

11.5. lingue franche, pidgin e creoli


Le vicende dell’operare umano mettono in relazioni gruppi di popolazioni che parlano lingue diverse tra le
quali non esiste possibilità di comunicazione e per questo nascono le lingue cosidette miste che permettono
un normale scambio di informazioni quantomeno essenziali.
Queste lingue sono anche dette lingue di scambio, che generamente presentano un vocabolario ricco di
elementi eterogenei, nonché una morfologia e una sintassi semplificata.
Una fi queste lingue è la lingua franca: basata sull’italiano ma con l’apporto di termini spagnoli e in misura
minore turchi e arabi.
Poi abbiamo i cosidetti pidgin, si tratta di lingue commiste tra una lingua europea e la lingua di una
popolazione indigena.
Quando quest pidgin diventano la lingua madre con cui viene allevata una nuova generazione gli viene dato
il nome di creolo.

11.6. Bilinguismo e diglossia


Quando nella stessa comunità sono compresenti due lingue si parla di bilinguismo. Questo fatto pone
diversi problemi sia a livello individuale sia a livello istituzionale.
Si parla invece di diglossia quando una delle due lingue ha un prestigio culturale maggiore, e l’uso della
seconda lingua è ristretto all’uso familire o locale.

IPOTASSI: tipico della libgua scritta, uso di periodi complessi e subordinate.


PARATASSI: tipico della lingua parlata, uso di periodi semplici e coordinate.

CAPITOLO 12
CAMBIAMENTO LINGUISTICO

12.1. Premessa generale


Le lingue subiscono un processo di cambiamento continuo.
La lingua è un insieme di atti linguistici prodotti da una comunità di parlanti, e ciò significa che non è un
sistema fossilizzato, ma un corpus che si accresce ogni giorno e in ogni momento.
Il problema del cambiamento linguistico non è tanto che il parlante possa innovare ma più che altro è il
perché le sue innovazioni vengono assunte a un certo momento come parte integramente del sistema.
I motivi di un cambiamento può essere la difficoltà di una comunità di parlanti ad articolare un determinato
fonema o nesso di fonemi. Può essere la volontà di ridare regolarità a settori del sistema morfologico in cui
si sono insediate forme molto differenti l’una dall’altra, quando risulta troppo gravoso mantenere in vita un
numero elevato di paradigmi imprevedibili e irregolari. Può essere la necessità di completare il lessico o una
sezione del lessico che risulta lacunosa o inadatta a esprimere in modo adeguato idee, pensieri, realtà
precedentemente sconosciute o che, comunque, non soddisfa più i bisogni espressivi di una comunità di
parlanti.
1. Le trasformazioni di un sistema linguistico non sono né obbligate né prevedibili. Se fossero
prevedibili sarebbero gia presenti nella fase di insediamento definitivo nel sistema.
2. Le forze che portano al cambiamento sono spesso difficili da determinare. Comunque alle forze che
portano al cambiamento spesso si oppongono altre forze o istituzioni che mirano alla conservazione

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del sistema, queste possono essere per esempio le scuole. Si ricordi comunque che nessuna fase di
una vicenda linguistica è definitiva: tutto può muoversi in un senso, ma anche nell’altro.
3. Le forze che portano al cambiamento della lingua sono di solitò interne alla comunità di parlanti. È
questa a decidere in definitiva che un nuovo stadio debba sostituire uno stadio precedente.

12.2. Regolarità degli sviluppi fonetici


Abbiamo gia accennato l’importanza della regolarità degli sviluppi fonetici, e ciò rappresenta un primo
indizio su una possibile connessione genealogica tra due o più lingue.
Molte parole che in latino contenevano il nesso /fl/ o iniziavano per esso in italiano questo nesso è
diventato /fj/, altre parole che in italiano contengono il nesso /fl/ o iniziano per esso derivano anch’esse dal
latino ma sono comparse nella lingua italiana successivamente alla fine del processo di trasformazione del
nesso /fl/ in /fj/. Per tento queste parole hanno storie diverse.
Si può concludere quindi affermando che le trasformazioni fonetiche non sono universali, ma hanno una
validità limitata e definita nel tempo e nello spazio.

12.2.1. “Leggi fonetiche”


I motivi che portano ad una trasformazione fonetica sono vari, per esempio l’opportunità di semplificare
nessi o semplici fonemi che il parlante trova difficile da realizzare. Comunque non è sempre faile
determinare la motivazione del cambiamento. COSERIU ci avverte che il momento finale di un cambiamento
fonetico,ovvero l’adozione può fino a un certo punto, paragonarsi alla sostituzione o all’alterazione di un
carattere di una macchina da scriver; se per esempio, il carattere alterato è A tutte le parole che contengono
la A battute con questa macchina presentano la medesima alterazione.
Per i neogrammatici la regolarità delle trasformazioni fonetica aveva il carattere di necessità assoluta , e per
ciò le trasformarono in leggi vere e proprie, la cui validità era accostata alla validità delle leggi della chimica
e della fisica.
Le leggi fonetiche agiscono in modo cieco e possono essere verificate solamente dopo che sono avvenute.
La loro validità non è universale ma ristretta nel tempo e nello spazio.

12.2.2. Ci sono eccezioni alle leggi fonetiche?


I neogrammatici rivedicano alle leggi fonetiche il carattere dell’ineccepibilità. Non possono ammettere
eccezioni, se può sembrare che in una forma una legge fonetica non sia applicata, ciò dipende dalla
presenza di una legge secondaria in contrasto con quella principale o dalla carenza delle nostre
documentazioni, o dal fatto che quella parola rappresenta un’innovazione o un prestito giunto in una lingua
quando l’applicazione della legge era ormai esaurita.
Il germanico presenta nel consonantismo una serie di tratti che lo differenziano nettamente da tutte le altre
lingue indoeuropee; ciò che discende da una generale trasformazione del consonantismo indoeuropeo
originario:
 Le occlusive sorde dell’indoeuropeo sono divenute fricative sorde
 Le occlusive sonore sono divenute occlusive sorde
 Le occlusive sonore aspirate sono divenute firivative sonore e nella fase più anica evolutesi anche in
occlusive sonore.
Questa trasformazione prende il nome di legge di Grimm o prima mutazione consonantica.
Vi sono però alcuni casi in cui sembra che la legge di Grimm non abbiaabuto luogo o comunque non abbia
portato a esiti difformi a quello previsto.
(indoeuropeo t< germanico p t d t>t: la presenza di una spirante primaria o secondaria ha inibito la
normale evoluzione del secondo fonema del nesso che non h dunque subito mutamenti: dissimilazione
preventiva).
Legge di Verner: descrive il passaggio in proto-germanico delle fricative f, p, s, h, h, alle occlusive b, d, z, g, g.
In entrambi i casi, non si hanno eccezioni ma condizionamenti che limitano o impediscono lo svolgersi del
trattamento fonetico atteso. Se nel paragrafo precedente abbiamo stabilito che le leggi fonetiche hanno
delimitazioni nel tempo e nello spazion, dobbiamo aggiungere qui che le leggi fonetiche hanno limiti nel
contesto fonetico-fonologico in cui si svolgono, e questa osservazione ne limita ancora di più il carattere

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universale e ne sottolinea ulteriormente l’imprevedibilità. Ma anche il condizionamento fonetico è una


legge.
Le leggi fonetiche permettono spesso di stabilire una cronologia dei cambiameni.

12.2.3. L’analogia
Secondo i neogrammatici, l’analogia tempera l’azione cieca ed imprevedibile dele leggi fonetiche. Permette
al parlante di modificare forme o parole in modo discordante rispetto agli esiti fonetici attesi, per allinearle
ad altre forme o parole semanticamente affini.
Rotacismo latino s>r “honor, honoris” antico tema in s : honos, hoosis. Il fenomeno del rotacismo trasforma
la s in posizione intervocalica in r. l’analogia dei casi obliqui ha introdotto –r anche al nominativo dove non
c’era nessuna ragione di ordine fonetico per approdare a un esito –r.
Il motivo che determina la scelta di una forma a scapito di un’altra, o l’itervento su una serie di paradigmi
piuttosto che su un’altra, è difficilmente prevedibile. Non dipende dalla frequenza dell’uso, il parlante
sistema e regolarizza il paradigma di verbi di uso “raro” e accetta la difficoltà e le irregolarità nei verbi di uso
frequente. Il parlante partecipa cretivamente all’evoluzione della lingua. La trasformazione non è goverbata
solo da forze che agiscono ciecamente, è continuamente sotto il controllo di una comunità di parlanti che
opera trasformando lalingua e adeguandola alle proprie necessità creative.

12.2.4. Importanza euristica delle leggi fonetiche


Ammettndo la possibilità di riconoscere una regolarità dei mutamenti fonetici si ha un mezzo potente per
raccogliere informazioni sulla storia e sull’evoluzione delle lingue.
La presenza o meno di una certa legge fonetica ci può fornire indicazioni utili sulla provenienza di una
parola.
La ingua si è infatti avvalsa del prestito per introdurre nuove sfumature e per dare vita a una
specializzazione semantica.

12.2.5. Teora delle onde


Se mettiamo a confronto il consonantismo del tesco con quello dell’inglese si nota che quello dell’inglese
corrisponde a quello delle altre lingue germaniche mentre è il tedesco che rinnova ed è l’inglese che rimane
fedele alla situazione originaria.
Nel sistema consonantico del tedesco si ha un profondo rimaneggiamento a cui viene dato il nome di
seconda mutazione consonantica, il cui criterio viene riassunto nei termini seguenti.
 Le antiche sorde germaniche (p,t,k) diventando:
africte, quando sono in inizio di parola e in inizio di sillaba dopo consonante e quando sono geminate
fricative sorde raddoppiate in interno di parola dopo vocale breve
fricative sorde semplici in fine di parola o generlamente in interno di parola dopo vocale lunga.
 Le antiche sonore germaniche (b,d,g) diventano sorde (p,t,k).

Anche se osservando la documentazione moderna, si nota che il quadro non è applicato nella sua
integralità.
Ma se in luogo del moderno standard si analizzassero i testi antichi e dialetti si noterebbe: la parte più
settentrionale dell’area linguistica tedesca, è indenne al fenomeno; invece nella parte più meridionale del
territorio il fenomeno ha spesso un’applicazione integrale; infine nelle zone comprese tra queste due aree
estreme, il fenomeno si attua in maniera differente, con minore intensità man mano che si procede da sud
verso nord.
Per spiegare il fenomeno appena descritto usiamo la teoria delle onde. Secondo questa teoria, le
innovazioni si diffondono in un territorio irradiandosi da un centro e propagandosi sempre in modo meno
vigoroso man mano che ci si allontana da tale centro. Naturalmente il propagarsi delle onde può essere non
omogeneo in tutte le direzioni, e la forza e la rapidità con cui una determinata trasformazione avanza nel
territorio potrebbe essere contrastata o addirittura ostacolata da situazioni contingenti.
Perché le onde possano propagarsi occorre che esista un continuum che ne permetta la trasmissione. Esse si
diffondono da un centro a una periferia, e per centro si deve considerare quella parte del territorio la cui
parlata grazie al suo prestigio si propone come modello da imitare.

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Se da più centri si irradiano diverse innovazioni che toccano in misura diseguale il territorio quello che in
origine era un territorio linguisticamente compatto ora risulterà frammentato in diverse varietà che possono
anche sovrapporsi.

12.3. Fonetica e fonologia diacronica


Finchè una trasformazione fonetica comporta solamente una differente realizzazione di un fonema, senza
che ciò produca conflitti con altri fonemi, il cambiamento non interessa il sistema nel suo complesso e non
da luogo a riorganizzazioni dello stesso.

12.3.1. Fonologizzazione e defonologizzazione


La fonologizzazione è la riorganizzazione del sistema linguistico che porta al costruirsi si nuovi fonemi che
prima erano semplici allofoni.
Il caso inverso della fonologizzazione è costituito dalla defonologizzazione, che si ha quando due fonemi
originari si confondono in un unico fonema.

12.3.2.
La tendenza a evitare salti troppo bruschi nella catena fonetica, è uno dei principi fondamentali che governa
la trasformazione fonetica. Se per esempio in italiano uniamo in o con col verbo portare, l’esito non sarà in-
portare e con-portare ma importare e comportare. Questi fenomeni prendono il nome di assimililazione che
può riguardare il luogo o il modo di aricolazione. L’assimilazione può essere:
 Assimilazione regressiva o anticipatoria: il secondo fonema prevale e detta la direzione in cui il
cambiamento deve operare (latino ct italiano tt --- noctem factus --- notte fatto)
 Assimilazione progressiva: il primo fonema è quello che prevale.
 Assimilazione a distanza: i fonemi che subiscono i processi non sono contigui.

Talvolta, luogo di un’assimilazione, si ha tra i fonemi o i nessi interessati a uno scambio di posizione a cui si
da il nome di metatesi (esempio: latino: periculum maraculum spagnolo: peligro milagro)
Il fenomeno inverso all’assimilazione è la dissimilazione: si verifica quando un fonema si modifica per
differenziarsi da altri fonemi simili presenti nello stesso contesto fonologico. La dissimilazione può essere:
 Progressiva: “arbol” in spagnolo dal latino “arborem”.
 Regressiva: “albero” in italiano dal latino “arborem”.
il parlante ha voluto evitare la presenza di du /r/ in due sillabe vicine e ha sostituito una delle due on /l/.

12.3.3. influenza di fonemi vicini: fonologia e morfologia


Tra i fonemi connessi coi processi di assimilazione, deve essere ricordato anche l’influsso che il contesto
fonetico in generale può determinare su un fonema. Anche in questo caso siamo di fronte a fonemi di
carattere generale, non obbligati e difficilmente prevedibili.
Possiamo quindi parlare di metafonia quando fonemi di influsso sui fonemi vicini posso toccare
ampliamente il vocalismo. Il fenomeno della metafonia si ha quando la presenza di una vocale influisce sulla
vocale della sillaba vicina, o mutandone il timbro o spostandola dalla serie palatale alla velare o viceversa,
(esempio: alternanze che si trovano ancora nelle lingue moderne, in inglese old e elder, in tedesco
regolarmente nella trasformazione dei comparativi sintetici) sono dovute in origine a fenomeni di
metafonia.
Si possono distinguere due tipi di metafonia:
 Metafonia palatale: le vocali della serie velare vengono attratte nella serie palatale per l’influsso di
una vocale vicina della sillaba successiva.
 Matafonia velare: procedimento inverso, ovvero le vocali della serie palatale vengono attratte nella
serie velare per influsso di una vocalde della sillaba successiva.

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