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UNIVERSITÀ / 6 6 ο

LINGUISTICA
Anna M. Thornton

Morfologia

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Indice

I. Parola II

I.I. Occorrenze 12
1 .2 . Lessemi 13
Ι ·3 · Forme flesse e “forme contestuali” 14
1.4 . Omonimia l6
ϊ -5 - Lessemi invariabili l8

2. Nozioni preliminari 19

2 .1 . L ’analisi grammaticale 20
2 .2 . Le classi di flessione: coniugazioni e declinazioni 24
2.3. Rapporti tra forme flesse: i paradigmi 26

Ia edizione, aprile 2005 3· Le entità della morfologia 3i


© copyright 2005 by Carocci editore S.p.A., Roma

Finito di stampare nell’aprile 2005 3 .1 . Terminologia tradizionale 31


per i tipi delle Arti Grafiche Editoriali Srl, Urbino
3.2. Segni linguistici minimi 31
ISBN 88-430-3362-X 3 -3 - Terminologia moderna per indicare il segno linguisti­
co minimo 33
3.3.1. Morfema / 3.3.2. Tipi di morfemi
Riproduzione vietata ai sensi di legge
(art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633)
34· Le due facce dei morfemi 37
3.4.1. Il significante dei morfemi: morii e allomorfi / 3.4.2. Π signifi­
Senza regolare autorizzazione,
cato dei morfemi
è vietato riprodurre questo volume
anche parzialmente e con qualsiasi mezzo,
compresa la fotocopia, anche per uso interno 34· Allomorfìa 39
o didattico. 3 .6 . Tre modelli di morfologia a confronto 43

7
4· Flessione e categorìe grammaticali 49 7· Il modello a parole e paradigmi ii 7

4.1. Funzioni della flessione 49 7.1. Classi di flessione 119


4.2. Obbligatorietà della flessione: flessioneinerente e 7 .2 . Partizione dei paradigm i 121
flessione contestuale 31 7 -3 - O rganizzazione delle entrate lessicali 128
7.4. Regole di realizzazione T29
4.3. Panoramica delle categorie grammaticali 33
4.3.1. Genere / 4.3.2. Numero nei nomi e nei pronomi / 4.3.3. Caso

8. H lessico e la formazione dei lessemi 133

5. Entità problematiche 63 8.1. Il lessico mentale 133


8.2. M od i per form are nuovi lessemi 137
3.1. Morii unici 63 8.3. L e regole di form azione dei lessemi 140
3.2. Submorfemi 64 8.4. Condizioni sulle rfl 143
3.3. Morii vuoti 63 8.4.1. Il blocco / 8.4.2. L ’ipotesi della base unica
3.4. Morii zero 69
8,3. Restrizioni sulle rfl 145
3.3. Morii discontinui 71 8.5.1. Restrizioni fonologiche / 8.5.2. Restrizioni morfologiche / 8.5.3. Se-
3.6. Morii non completamente specificati 73 strizioni sintattico-semantiche
3.7. Morii sostitutivi 74 8.6. Produttività delle rfl 130
3.8. Morii sottrattivi 76 A spetti m orfom ici delle
8.7. rfl 133
3.9. Morii soprasegmentali 77
3.10. Non biunivocità delle corrispondenze trasignificati e
significanti in flessione 78 9· La morfologia tra naturalezza e patologia 161
3.10.1. Amalgami / 5.10.2. Omonimie / 5.10.3. Segnalazione estesa o
molteplice di uno stesso valore / 3.50.4. Allomorfia lessicalmente o 9.1. L a m orfologia com e patologia: tipi di lingue più 0
grammaticalmente (paradigmaticamente) condizionata
m eno malate r6r
9.2. I principi della M orfologia Naturale 164
9.3. Naturalezza universale e adeguatezza al sistema: con ­
6. Morfologia e sintassi 87
flitti tra principi diversi 167

6.1. Indistinzione tra morfologia e sintassi 87


6.2. L ’inesistenza della morfologia nei primi modelli ge­ Bibliografia 173
nerativi 90
6.3. Il parziale ritorno della morfologia nei modelligene­
rativi 96 Indice dei nomi 181
6.4. Morfologia flessiva e sintassi 99
6.3. Split Morphology 102
Indice delle lingue 183
6.6. Ordine di apparizione tra morii 103
6.6.1. Ordine di apparizione tra morii flessivi e morii derivazionali /
6.6.2. Amalgami tra morii flessivi e derivazionali
Indice analitico 183
6.7. Ordine tra morii flessivi 108

8 9
I

Parola

Tradizionalmente, la morfologia è definita come la disciplina che stu­


dia la struttura interna delle parole: la sua esistenza quindi presuppo­
ne l’esistenza delle parole. E allora necessario definire che cos’è una
parola. Sulla definizione di questa entità si sono versati fiumi di in­
chiostro: molti linguisti si sono dedicati all’analisi di questa nozione,
mettendo in luce diversi aspetti che devono essere presi in considera­
zione quando si cerca di dare una definizione di “parola”, e anche se
non si è giunti a una definizione assoluta, universalmente valida e ac­
cettata, si sono evidenziati diversi elementi che contribuiscono alla
definibilità di questa nozione. Un elemento importante è il fatto che i
parlanti delle lingue di solito hanno una nozione intuitiva di parola,
che permette loro di compiere operazioni come scandire un enuncia­
to parola per parola, contare le parole che compongono un enuncia­
to, fare elenchi di parole con una data caratteristica. Ma la parola
parola è in realtà usata dai parlanti con valori diversi in contesti di­
versi. Per impostare uno studio scientifico della nozione di parola è
necessario rendersi conto di questi diversi valori che la parola parola
ha nel nostro uso comune, preteorico, e poi imparare ad utilizzare
dei termini tecnici per nominare in modo diverso ciascuno dei diversi
valori identificati \

i. In questa sede non trattiamo dei diversi criteri che sono stati proposti per
determinare se una certa sequenza costituisce una parola o un’entità linguistica di li­
vello inferiore o superiore alla parola. Ad esempio, il criterio dell’essere enunciabile in
isolamento, preceduto e seguito da pause, e del poter costituire un enunciato, permet­
te di distinguere una parola, come questo, da una sua sottoparte, come -o (sottoparti
di una parola sono enunciabili in isolamento solo quando si producono enunciati con
funzione metalinguistica). Ma ovviamente sono enunciabili in isolamento anche sintag­
mi, come questo ragazzo. Per distinguere tra una parola e un sintagma si ricorre allora
al criterio della non interrompibilità: in un sintagma posso di norma inserire del mate­
riale (altre parole) tra due elementi, in una parola no: poiché posso dire questo bravo
ragazzo, questo povero ragazzo, interrompendo la sequenza questo ragazzo, tale sequen-

II
M O R F O L O G IA I . PA R O LA

I.I 1.2

Occorrenze Lessemi

Partiamo da un semplice esercizio. Esaminiamo la frase (i): Possiamo ora fare un secondo esercizio: cerchiamo su un vocabolario
della lingua italiana le parole che compongono la frase (1). Ci accor­
(i) Gli amici dei miei amici sono miei amici. geremo subito che per compiere questa operazione non possiamo
semplicemente cercare sul vocabolario, al loro posto in ordine alfabe­
Quante parole ci sono in questa frase? Una prima risposta può essere
tico, le diverse parole grafiche che abbiamo identificato: non ne tro­
“8” . La risposta “8” non è né esatta né errata: è una delle risposte
veremmo nemmeno una. Abbiamo imparato a scuola che per cercare
possibili, che ci permette di identificare un primo senso della parola
una parola sul vocabolario dobbiamo sempre prima compiere un’ope­
parola nel nostro uso comune. Chi ha dato questa risposta ha contato
razione: ricondurre la parola che abbiamo davanti alla sua forma di
gli elementi che si presentano, nella rappresentazione ortografica della citazione. In pratica, nel nostro caso, dobbiamo ricondurre gli a il ,
frase, come una sequenza continua di lettere isolata da due spazi amici ad am ico , miei a mio , sono a essere (di dei tratteremo fra bre­
bianchi, o da uno spazio bianco e un altro separatore; sono separato­ ve). Questa operazione si basa sul riconoscimento del fatto che tra
ri, oltre allo spazio bianco, i segni di interpunzione, i vari tipi di pa­ amici e amico (così come tra gli e il, sono ed essere ecc.) c’è una rela­
rentesi e di virgolette, e l’apostrofo. Nella frase (i) l’ultima parola è zione particolare: si tratta, detto in termini non tecnici, di due forme
preceduta da uno spazio bianco, ma è seguita da un punto (< .> ), della stessa parola. In termini tecnici, diciamo che amici e amico sono
non da un altro spazio bianco: nel contare le parole della frase, l’ab­ due forme flesse di uno stesso lessema, am ico .
biamo comunque contata come una parola; lo stesso avremmo fatto Il concetto di lessema ci permette di cogliere un altro dei sensi in
con la parola amico se l’avessimo trovata nella sequenza l’amico. Per cui nel parlare comune usiamo la parola parola. Un lessema è un ele­
riferirci alla parola intesa come elemento compreso tra due separatori mento dotato di un significato lessicale (ad esempio, amico significa
in un testo scritto possiamo usare il termine tecnico parola grafica. “persona con cui si ha un legame di affetto, di amicizia”), che appar­
Ma la nozione di parola grafica non esaurisce i valori che la paro­ tiene a una certa classe di parole (per esempio, il è un articolo, esse­
la parola può avere nell’uso comune. Alcuni lettori, alla domanda po­ re è un verbo ecc.; cfr. par. 2.1), ed è rappresentabile da una o più
sta poco fa, avranno risposto “5 ”. Anche questa risposta non è in as­ forme (ad esempio, il è rappresentabile da il, lo, gli ecc.; essere è
soluto né giusta né sbagliata, ma permette di cogliere un altro senso rappresentabile da sono, sei, era, saremmo ecc.). Il lessema è un’unità
della parola parola. Chi ha risposto “5 ” ha osservato che alcune paro­ di un livello più astratto di quello al quale appartengono le sue di­
le grafiche si ripetono nella frase più di una volta: amici si ripete tre verse forme: il significato del lessema amico è indipendente dal fatto
volte, e miei due volte. In termini tecnici, possiamo dire che amici che in certi enunciati esso sia usato nella forma flessa singolare amico
ricorre od occorre tre volte, e miei ricorre od occorre due volte nella e in altri nella forma flessa plurale amici. L ’insieme dei lessemi di una
frase (1). Nella frase (1) abbiamo quindi otto occorrenze di cinque lingua costituisce il lessico di quella lingua.
diverse parole grafiche. Nei vocabolari, che mirano a rappresentare il lessico di una lin­
gua, le informazioni su ogni lessema sono riportate in una voce (tec­
nicamente un lemma) che è ordinata alfabeticamente in base a una
sola forma del lessema, la sua forma di citazione. È importante di­
za non è una parola. Non posso invece interrompere la sequenza questo inserendo in
essa altro materiale (*que-ragazzo-sto, *quest-ragazz-o ecc.), e ciò dimostra che questo è stinguere sempre tra un lessema, per esempio amico , che è un’entità
in italiano una parola. Lo stesso vale per parole come pescecane·, benché, a differenza astratta, e la forma flessa usata come sua forma di citazione, per
di questo, la parola pescecane sia in qualche senso formata da due parole (cfr. par . esempio il maschile singolare amico. Le tradizioni grammaticali e les­
8.2), essa costituisce comunque una parola unica, in quanto non è interrompibile: *pe- sicografiche di diverse lingue possono differire nella scelta delle for­
sce-feroce-cane/pescecane feroce. Per una trattazione introduttiva sui criteri che permet­
tono di discriminare fra parole e sequenze che non sono parole, cfr. Donati (2002,
me flesse da usare come forme di citazione: per esempio, in italiano si
cap. 1), Simone (1990, par. 5.6); più approfondita la trattazione in Lyons (1975, par. usa il singolare dei nomi, il maschile singolare degli aggettivi, l’infini­
5-4)· to dei verbi; in latino e greco, per i verbi si usa la prima persona

12 13
M O R F O L O G IA I . PA R O L A

singolare del presente indicativo; in arabo, per i verbi si usa la terza riazione di forma che si ha tra amico e amici è quindi collegata a una
persona singolare maschile del perfetto. variazione di significato grammaticale: in generale, le forme flesse di
Ricapitoliamo quanto abbiamo appreso finora: nella frase (i) si uno stesso lessema differiscono per i loro significati grammaticali,
presentano cinque diverse parole grafiche: gli, amici, dei, miei, sono. mentre conservano un comune significato lessicale.
La parola grafica amici ha tre occorrenze e la parola grafica miei ha Ci sono però anche casi in cui una differenza tra due forme di
due occorrenze. Queste parole grafiche rappresentano forme flesse di uno stesso lessema non è riconducibile a una differenza di significato
diversi lessemi, sui quali un vocabolario fornisce informazioni in en­ grammaticale: ad esempio, l’articolo determinativo maschile italiano
trate ordinate alfabeticamente in base a una delle forme del lessema, il ha tre forme di maschile singolare, il, lo e e due forme di ma­
scelta come forma di citazione. Per convenzione, i lessemi si indicano schile plurale, i e gli, e l’articolo indeterminativo inglese ha due for­
scrivendo in maiuscoletto la loro forma di citazione, come abbiamo me di singolare, a e an. La differenza tra queste forme non sta nel
già fatto in questo paragrafo. Possiamo quindi dire anche che nella loro significato grammaticale: il, lo e ΐ sono tutti e tre articoli de­
frase (i) abbiamo tre occorrenze della forma flessa amici del lessema terminativi maschili singolari, sia i che gli sono articoli determinativi
a m ic o , un occorrenza della forma flessa sono del lessema essere ecc. maschili plurali, e sia a che an sono articoli indeterminativi singolari.
La scelta su quando usare una o l’altra di queste forme non dipende
i-3 dunque dal significato grammaticale che esse esprimono, che è identi­
Forme flesse e “forme contestuali” co; la forma scelta dipende dalla struttura fonologica della parola che
segue. In italiano, si usa /’ al maschile singolare e gli al maschile plu­
Nello svolgere l’esercizio proposto all’inizio del par . 1.2 qualcuno si rale davanti a parole che cominciano per vocale; lo al singolare e gli
sarà chiesto: di quale lessema è forma la parola dei ? Questa parola al plurale davanti a parole che cominciano per /j/, per /s/ seguita da
grafica rappresenta un caso nuovo, che non abbiamo ancora trattato. consonante (detta “s impura^nella terminologia tradizionale), per
Come parlanti dell’italiano, sappiamo che dei è un’entità (detta tradi­ una delle consonanti /J ji ts d z / 2, e per /ks/ (graficamente < x > ) e
zionalmente preposizione articolata) che nasce dall’unione della pre­ altri nessi consonantici presenti solo in parole dotte o di origine stra­
posizione di con l’articolo i. Si tratta quindi di una parola grafica che niera, quali /pn/, /kt/ 5; con parole che cominciano per /w/ si usa gli
unisce in sé forme di due diversi lessemi: di e il . Dunque non sem­ al plurale e V al singolare con parole del lessico italiano tradizionale
pre c’è una corrispondenza 1:1 tra parole grafiche e forme, né tra pa­ {l’uomo, l ’uovo..) ma si usano / al plurale e il al singolare con parole
role grafiche e lessemi: a volte una parola grafica riunisce in sé più di che sono state recentemente prese a prestito (il Walkman, il whisky)·,
una forma e rimanda quindi a più di un lessema. nei casi restanti si usa il al singolare e 1 al plurale. In inglese, si usa a
D e i rappresenta un caso nuovo anche per un altro motivo. Non davanti a parole che cominciano per consonante, e an davanti a paro-
solo dei incorpora in un’unica parola grafica forme di due lessemi di­ ' le che cominciano per vocale. La preposizione di appare nella forma
versi, di e il , ma ci presenta anche un nuovo tipo di forma di un de- quando costituisce il primo membro di una preposizione articola­
lessema, la forma de- del lessema d i , una forma che non è corretto ta (come nel nostro esempio dei, e in del, della, degli ecc.).
chiamare forma flessa (mentre è corretto chiamare i forma flessa di Non esiste un termine italiano comunemente utilizzato per denomi­
il , amici forma flessa di a m ico ecc.). nare le diverse forme di uno stesso lessema che non differiscono per i
Le forme flesse di un lessema esprimono il significato lessicale del significati grammaticali che esprimono, ma solo per il contesto fonolo-
lessema in combinazione con uno o più significati grammaticali: ad
esempio, in italiano un nome deve esprimere un significato grammati­ 2. E anche davanti all’unica parola italiana che comincia con //J, gliommero
cale di numero; i valori della categoria di numero nella grammatica “componimento poetico scherzoso napoletano dei secoli xv-xvi” .
dell’italiano sono due, singolare e plurale; ogni nome usato in un 3. Si usa gli anche davanti alla parola dèi “divinità”: in questo caso la scelta di
enunciato italiano sarà necessariamente o singolare o plurale: il lesse­ gli invece di i non è dovuta alla struttura fonologica della parola che segue, che sin-
cronicamente richiederebbe i (cfr. i debiti/'"gU debiti), ma è un residuo di un prece­
ma a m ico si presenterà, in qualunque enunciato possibile, necessaria­ dente stato dell’italiano, in cui il lessema si presentava nelle forme iddio/iddei, davanti
mente nella forma flessa singolare amico o nella forma flessa plurale alle quali si usavano regolarmente gli articoli /' e gli (l’iddio, gl’iddei·, cfr. Serianni,
amici, non potrà non presentarsi in una di queste due forme. La va­ 1988, par. iv.13).

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M O R F O L O G IA I . PA R O LA

gico o sintattico in cui si usano (e quindi non sono forme flesse di­ un lessema, ma anche per un altro motivo: a volte una stessa parola
verse, in quanto non sono portatrici di significati grammaticali diversi grafica può rappresentare forme flesse diverse di lessemi diversi, o di- /
l’una dall’altra) 4. In inglese si usa il termine shape5, che è distinto dal verse forme flesse di uno stesso lessema. Ad esempio, gli può rap­
termine form usato per denominare le forme flesse; qui useremo la presentare sia una delle forme contestuali della forma flessa plurale
formula “forma contestuale di un lessema”: diremo quindi che de- è la maschile dell’articolo il - così è nella frase (1) a p. 12 -, sia una
forma contestuale del lessema italiano di usata nelle preposizioni arti­ forma flessa singolare del pronome egli , come nella frase (2):
colate, a è la forma contestuale dell’articolo indeterminativo inglese
usata davanti a parole che cominciano per consonante ecc. (2) P a o lo m i ha chiesto se ci vado, m a n on gli h o ancora risposto
E bene sottolineare che uno stesso lessema può avere sia forme
flesse sia forme contestuali; i due tipi di forme non sono mutuamente Diciamo quindi che le due forme flesse gli “plurale di il ” e gli “da­
esclusivi, si hanno lessemi che hanno solo un tipo di forme e lessemi tivo singolare di egli ” sono forme omonime, perché si scrivono e
che li hanno entrambi. Ad esempio, la preposizione di ha le tre for­ si pronunciano nello stesso modo (sono cioè omografe ed omofo­
me contestuali di, de- e d ’, che non differiscono per significato gram­ ne) ma rappresentano forme di due lessemi diversi. Secondo un’al­
maticale e non rappresentano quindi diverse forme flesse; il lessema
tra distinzione terminologica che si rivela spesso utile, possiamo
mio ha le quattro forme flesse mio, mia, miei, mie, che hanno diversi
dire che gli è una parola grafica che rappresenta due diverse parole
significati grammaticali (rispettivamente, maschile singolare, femmini­
grammaticali, riconducibili a due diverse forme flesse di due diversi
le singolare, maschile plurale e femminile plurale), ma nessuna di
queste forme flesse ha diverse forme contestuali; il lessema il , infine, lessemi. Anche una forma come parli rappresenta diverse parole
ha diverse forme flesse che esprimono diversi significati grammaticali, grammaticali: può costituire sia la seconda persona singolare del
e tre su quattro combinazioni di significati grammaticali (il maschile presente indicativo del verbo parlare, sia la prima, la seconda o la
singolare, il femminile singolare e il maschile plurale) si possono pre­ terza persona singolare del presente congiuntivo dello stesso verbo.
sentare in più forme contestuali: il maschile singolare si può presenta­ In questo caso, ad essere omonime (omografe e omofone) non sono
re come il, lo ο Γ, il femminile singolare come la o /’, il maschile forme di lessemi diversi, ma quattro forme flesse dello stesso lesse­
plurale come i o gli o gl’. Possiamo anche dire che il, lo e Γ sono tre ma, PARLARE.
diverse forme offesse contestuali del lessema il. Due forme possono anche essere omografe ma non omofone, o
viceversa. Ad esempio, in italiano sono omografe ma non omofone le
1.4 forme ancora /'ankora/ “singolare del sostativo ancora ” e ancora
Omonimia /an'kora/ “avverbio che indica continuità o ripetizione nel tempo” e
le forme subito /'subito/ “immediatamente” e subito /su'bito/ “parti­
Il rapporto tra parole grafiche e forme flesse non è biunivoco non
cipio passato del verbo subire”: le forme delle due coppie si scrivono
solo perché una parola grafica può racchiudere in sé forme di più di
nello stesso modo, perché l’ortografia italiana nota l’accento solo se
esso cade sull’ultima sillaba di una parola (quindi non sono omografe
4. In realtà, scarsa attenzione è riservata a questo tipo di forme nelle trattazioni forme come papa e papà), ma sono fonologicamente diverse in quanto
di introduzione alla linguistica scritte in italiano; salvo errore, solo De Mauro (20038, la prima parola di ciascuna coppia ha l’accento sulla terzultima silla­
p. 42) rileva l’esistenza di queste forme, per le quali non propone un termine partico­ ba, e la seconda lo ha sulla penultima 6. In inglese, sono omofone ma
lare, chiamandole appunto semplicemente “forme”. De Mauro (20038) usa “forme” e
non “forme flesse” anche per denominare quelle che qui abbiamo denominato “forme
non omografe le forme sea “mare” e see “vedere”, fonologicamente
flesse” ; quindi nella sua terminologia la differenza tra forme flesse di uno stesso lesse­ entrambe /si:/ ma ortograficamente distinte.
ma, portatrici di significati grammaticali diversi l ’una dall’altra, e forme “ contestuali”
di un lessema, non portatrici di significati grammaticali diversi lu n a dall’altra, resta
inespressa.
5. Seguendo una proposta terminologica di Arnold Zwicky: cfr. Zwicky (1990, 6. Quando si ritiene necessario disambiguare anche nello scritto di quale forma
1992), Stump (2001, p. 13). si tratti, si usano a volte grafie come àncora, subito.

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M O R F O L O G IA 2
I;5
Lessemi invariabili
Nozioni preliminari
Esistono anche lessemi che non hanno forme flesse. Come esempi po­
tremmo citare, in italiano, il nome tesi, l’aggettivo blu, la preposizione
su, gli avverbi in -mente {stranamente, dolcemente, facilmente ecc.), e
molti altri. Questi esempi mettono insieme però lessemi di due tipi:
da una parte, lessemi come tesi e blu, atipici rispetto al resto dei
nomi e degli aggettivi italiani, che si presentano normalmente in di­
verse forme flesse (due per i nomi, come per esempio libro/libri, e
quattro o due per gli aggettivi, come per esempio rosso/rossa/rossi/
rosse o felice/felici)·, dall’altra, lessemi come su e stranamente , rap­ Nel capitolo precedente abbiamo osservato che la parola parola è am­
presentanti tipici delle preposizioni e degli avverbi italiani, che non bigua, in quanto nel nostro parlare quotidiano la usiamo per riferirci
hanno mai diverse forme flesse (e solo in qualche caso, come quello a oggetti di tipi diversi, tra i quali possiamo distinguere, con appositi
della preposizione di già esaminato, hannp forme contestuali). termini tecnici, lessemi, forme flesse e/o forme contestuali e occor­
Se le forme di lessemi come blu o tesi possono ancora essere renze.
chiamate forme flesse, in quanto dal contesto in cui occorrono si può Nel seguito di questo libro continueremo, soprattutto nei primi
determinare se costituiscano, ad esempio, occorrenze del singolare o capitoli, a usare qualche volta la parola parola, quando non sia indi­
del plurale (cfr. ho letto una tesi/ho letto tre tesi), di fronte a lessemi spensabile fare riferimento alle distinzioni sopra introdotte, o come
come su o stranamente si pone una questione terminologica: come iperonimo delle nozioni di lessema e forma.
chiamare le forme di questi lessemi? Non possiamo chiamarle forme Tutti noi usiamo le parole continuamente, e abbiamo delle idee
flesse, perché esse non esprimono, nemmeno in modo nascosto ma su come esse siano fatte e su che rapporti abbiano con altre parole.
ricostruibile dal contesto, particolari significati grammaticali obbliga­ Alcune delle cose che sappiamo sulle parole sono parte della nostra
toriamente espressi in italiano da preposizioni o avverbi; non possia­ competenza di parlanti nativi di una lingua: ad esempio, sappiamo
mo neppure chiamarle forme contestuali, perché questi lessemi non si che in italiano il lessema matita vuol dire “strumento per scrivere e
presentano in forme diverse in contesti diversi. La soluzione più sem­ disegnare costituito da un bastoncino nero o colorato racchiuso in un
plice è di chiamarle semplicemente forme. Potremo dire allora che in cannello di legno”, e che la forma matita fa rima con partita, finita,
italiano (come in moltissime altre lingue) ci sono lessemi che si pre­ ittita ecc., e può essere preceduta dagli articoli la e una ma non da il
sentano sempre in una stessa forma, e lessemi che si possono pre­ e. un, e molte altre cose ancora.
sentare in diverse forme, determinate dal contesto fonologico o sin­ Altre delle idee che abbiamo su come sono fatte le parole non ci
tattico (forme contestuali) e/o portatrici di diversi significati gramma­ vengono dalla nostra competenza di parlanti, ma da quello che abbia­
ticali che i lessemi di una certa classe esprimono obbligatoriamente in mo studiato a scuola. A partire dalle elementari, e in alcuni casi fino
italiano (forme flesse). alla fine delle superiori, ci è stato presentato un insieme di termini
Nella terminologia grammaticale tradizionale, si dice che i lessemi con cui nominare le caratteristiche e le parti delle parole dell’italiano
che non hanno forme flesse (anche se possono eventualmente avere e delle altre lingue che abbiamo studiato. Questa terminologia non è .
forme contestuali) appartengono a parti del discorso invariabili. Ven­ neutra: è invece il frutto di una serie di tradizioni di studio, spesso
gono a volte detti invariabili anche lessemi come tesi o blu , che ap­ distinte tra loro e incrociate in epoca moderna, a volte dando luogo
partengono a parti del discorso non invariabili, ma che hanno forme ad incoerenze.
flesse omonime (nel lessema tesi, la forma flessa singolare è uguale a Non è tra gli obiettivi di questo volume ripercorrere la storia di
quella plurale, entrambe tesi). tutti i termini tecnici utilizzati per le nozioni che rientrano nel campo
di studio della morfologia. Qui di seguito richiameremo però alcuni
dei termini e dei concetti più comunemente utilizzati nefl’insegna-

18 19
M O R F O L O G IA 2 . N O Z IO N I PRE LIM IN A RI

mento preuniversitario (e qualche volta anche in corsi universitari di ri, oltre che per i due numeri: il lessema italiano bello ha quindi le
materie diverse dalla linguistica) e nelle opere descrittive non speciali­ quattro forme flesse bello, bella, belli, belle, rispettivamente maschile
stiche, quali vocabolari, grammatiche e manuali per lo studio delle singolare, femminile singolare, maschile plurale e femminile plurale.
lingue straniere. Molti dei concetti e dei termini introdotti in questo Questo esempio mostra che le caratteristiche delle parole prese in
capitolo saranno ripresi e meglio definiti (ed eventualmente messi in considerazione dall’analisi grammaticale possono avere uno status di­
discussione) nei capitoli successivi, ma richiamarli all’inizio è indi­ verso in lessemi di categorie diverse: in italiano, mentre nei nomi il
spensabile per avere un vocabolario minimo comune utilizzabile per genere è una proprietà del lessema, il cui valore rimane invariato in
fare riferimento ai fenomeni in discussione. tutte le sue forme flesse (non esiste “il maschile di casa ”), negli ag­
gettivi un certo valore di genere non è una proprietà del lessema ma
2.1 solo delle singole forme flesse: gli aggettivi hanno forme flesse dei
L’analisi grammaticale due generi.
Analizziamo ora una forma verbale, ad esempio mangiano. Si trat­
Molto di quello che sappiamo delle parole dipende dal fatto che a ta della “terza persona plurale del presente indicativo attivo del verbo
scuola siamo stati addestrati a fare un’operazione che nella terminolo­ transitivo mangiare ”. Qui troviamo, al solito, informazioni che ri­
gia tradizionale dell’insegnamento si chiama analisi grammaticale. guardano l’intero lessema mangiare (il fatto che si tratta di un verbo
L analisi grammaticale si occupa di analizzare le occorrenze delle transitivo) e informazioni sulla specifica forma mangiano (il fatto che
forme dei lessemi, non direttamente i lessemi. Ad esempio, l’analisi si tratta della terza persona plurale del presente indicativo attivo). Il
grammaticale minima di una parola come casa è “sostantivo 1 femmi­ numero di informazioni contenute nell’analisi grammaticale di questa
nile singolare”; un’analisi più ricca può definire casa come “nome co­ forma è molto superiore a quello delle informazioni riguardanti forme
mune di cosa, concreto, femminile, singolare”. di nomi o di aggettivi. Inoltre, la natura delle informazioni presentate
Si osservi che alcune delle informazioni che vengono date nell’a­ per questa forma verbale è in parte diversa da quella delle informa­
nalisi grammaticale di un’occorrenza si riferiscono all’intero lessema zioni date per nomi e aggettivi: sia nell’analisi della forma verbale che
che l’occorrenza rappresenta, mentre altre si riferiscono solo alla spe­ in quella delle forme di nomi e aggettivi abbiamo trovato l’informa­
cifica forma che l’occorrenza rappresenta: le proprietà “nome comune zione “plurale”, ma solo per i nomi e gli aggettivi abbiamo trovato
di cosa, concreto, femminile” rimangono inalterate anche se analizzia­ un’informazione come “femminile”, e solo per il verbo abbiamo tro­
mo un’occorrenza della forma case del lessema casa , mentre la pro­ vato informazioni come “terza persona”, “presente”, “indicativo” ,
prietà “singolare” è vera per la forma casa, ma se analizziamo case “attivo”.
1 analisi grammaticale dovrà essere “nome comune di cosa, concreto, L ’analisi di questi pochi esempi ci è servita per richiamare alla
femminile, plurale”. mente una serie di conoscenze che abbiamo sulle parole. Una prima
Vediamo ora un altro esempio. Se facciamo l’analisi grammaticale cosa che sappiamo è che i lessemi appartengono a categorie diverse,
della forma belle, diremo che si tratta di un “aggettivo qualificativo, come per esempio nomi, verbi, aggettivi. Queste categorie sono tradi­
femminile, plurale”. Anche qui, una parte di questa informazione è zionalmente chiamate parti del discorso2; nella terminologia della
vera per tutte le forme del lessema bello : tutte le forme di questo linguistica moderna, le parti del discorso sono spesso denominate
lessema sono infatti aggettivi qualificativi. Ma, diversamente da quan­ classi di parole (denominazione che porta con sé la ormai a noi ben
to accade per il nome, un lessema italiano di categoria aggettivo non "nota ambiguità del vocabolo parola), oppure categorie lessicali, o an­
mantiene sempre lo stesso genere, ma ha forme flesse per i due gene­ che, con termini che presentano alcuni svantaggi, categorie sintatti-

I. Nella terminologia tradizionale, i termini sostantivo e nome sono usati abba­ 2. Si osservi che l’espressione “parti del discorso” è piuttosto infelice. Essa tra­
stanza intercambiabilmente. Nella tradizione lessicografica italiana prevale l’uso di so­ duce l’espressione latina partes orationis, a sua volta traduzione del greco μέρη τον
stantivo, mentre nella linguistica moderna prevale l’uso di nome, per evitare le conno­ λόγου; sia l ’espressione greca che quella latina potrebbero tradursi meglio come par­
tazioni filosofiche del termine sostantivo. Nel seguito di questo libro utilizzeremo il ti della frase”. Tuttavia la formula “parti del discorso” è ormai affermata nell’uso ita­
termine nome. liano, e continueremo quindi ad utilizzarla.

20
M O R F O L O G IA 2 . N O Z IO N I PRE LIM IN A RI

che o categorie grammaticali34 . Nel seguito di questo libro useremo forma flessa belle presenta il valore plurale nella categoria del nume­
intercambiabilmente il termine tradizionale “parte del discorso” e ro, e il valore femminile nella categoria del genere. Nella terminologia
quello moderno “categoria lessicale”. dell’insegnamento grammaticale tradizionale non esiste un termine
I lessemi appartenenti a diverse parti del discorso, se non sono specifico per indicare quelli che qui abbiamo chiamato valori delle
invariabili (come ad esempio gli avverbi), presentano un numero e un categorie grammaticali; nella terminologia della linguistica moderna,
tipo di forme flesse diverso per ogni diversa parte del discorso. Le questi elementi vengono chiamati valori o proprietà morfosintattiche
forme flesse dei lessemi appartenenti a una certa parte del discorso (cfr. Matthews, 1991, p· 40) o anche tratti morfosintattici5. Il termi­
portano informazioni di vario tipo: ad esempio, le forme flesse degli ne morfosintattico è usato in riferimento al fatto che i tratti in que­
aggettivi italiani portano informazioni sul genere, sul numero e sul stione sono contenuti in entità di ordine morfologico, le parole (inte­
grado (positivo, superlativo) della forma, quelle dei verbi su persona, se sia come lessemi che come forme flesse), ma hanno rilevanza per
numero, tempo/aspetto, modo e voce o diatesi. La terminologia del- l’interpretazione di entità di ordine sintattico, quali i sintagmi e le
1 insegnamento grammaticale tradizionale non comprende un iperoni- frasi (ad esempio, un tratto di numero è proprietà di un intero sin­
mo sotto il quale siano raggruppate categorie come persona, numero, tagma nominale, non solo del nome che ne è testa; un tratto di tem­
modo ecc.; nella terminologia della linguistica moderna, queste cate­ po è proprietà di un’intera frase, non solo del suo verbo).
gorie sono denominate categorie grammaticali o categorie morfosin- Osserviamo infine che l’analisi grammaticale tradizionale non pre­
tattiche (cfr. Matthews, 1991, p. 39) 4 vede una trattazione particolare del problema posto dalle forme con­
Le categorie grammaticali, o morfosintattiche, presentano in lesse­ testuali dei lessemi (cfr. par . 1.3). Bello è una forma flessa di b el l o ,
mi diversi, e/o in forme flesse diverse di uno stesso lessema, diversi ma anche una sua forma contestuale, che è in distribuzione comple­
valori: ad esempio, il lessema casa presenta il valore femminile nella mentare con le forme bel e bell’ (un bel/*bello/*bell ragazzo, un bell /
categoria del genere, mentre il lessema libro presenta il valore ma­ *bello/*bel amico, un amico bellon e l l ’n e l) , forme che presentano gli
schile della stessa categoria. Nel caso del lessema bello , che appar­ stessi valori di bello nelle categorie di genere e numero; l’analisi
tiene alla categoria lessicale degli aggettivi, la forma flessa bello pre­ grammaticale tradizionale non fa menzione di questo aspetto della
senta il valore singolare nella categoria grammaticale del numero, e il forma bello, limitandosi alla specificazione dei valori presentati da
valore maschile nella categoria grammaticale del genere, mentre la questa forma nell’ambito delle categorie grammaticali proprie della
categoria lessicale aggettivo in italiano.
Riassumendo, i lessemi appartengono a categorie lessicali (o parti
3. Nei principali manuali di linguistica in lingua italiana oggi in uso, le parti del del discorso); i lessemi appartenenti ad alcune categorie lessicali
discorso sono chiamate «classi di parole» o «parti del discorso» o «categorie lessicali» (quelle che non comprendono solo lessemi invariabili) esprimono de­
o «classi lessicali» da Berruto (1997, p. 62), «parti del discorso» o «categorie lessicali»
da Graffi e Scalise (2002, p. 178), «parti del discorso» da D e Mauro (20038, p. 44),
terminate categorie grammaticali (o categorie morfosintattiche); ogni
«classi di parole» e «parti del discorso» da Simone (1990, pp. 282-6); sono invece categoria grammaticale presenta in ciascuna forma flessa di un lesse­
chiamate «categorie grammaticali» nella Grammatica italiana di Serianni (1988, par. ma un determinato valore o tratto morfosintattico.
ii . i ). Il termine “ categoria sintattica” è usato per lo più nel senso di “parte del di­
scorso , ma in Serianni (1988, par. ii. i ) è usato per riferirsi a quelle che in linguistica
sono più comunemente denominate “relazioni grammaticali” o “funzioni grammatica­
li o funzioni sintattiche” , cioè soggetto, oggetto ecc. 5. Una diversa proposta terminologica, finora salvo errore non adottata in opere
4. Dunque il termine «categoria grammaticale» da alcuni autori (come Serianni, in lingua italiana, è contenuta in Haspelmath (2002), pp. 60-1, che chiama inftectional
1988) è usato per indicare una parte del discorso (per esempio, il nome), da altri per dimensions ciò che qui abbiamo chiamato categorie grammaticali, e inflectional catego-
indicare un ordine di significati grammaticali espressi dai lessemi appartenenti a una ries ciò che qui chiameremo valori o tratti o proprietà morfosintattiche. Spesso inoltre
determinata parte del discorso o dalle loro forme flesse (per esempio, 0 numero). non si distingue terminologicamente tra una categoria grammaticale o morfosintattica
Quelle che qui chiameremo categorie grammaticali (cioè genere, numero, tempo ecc.) e i suoi possibili valori o tratti o proprietà, e si trovano formulazioni quali “la catego­
sono chiamate «categorie grammaticali» da Berruto (1997, p. 61) e Simone (1990, ria del numero” e “la categoria del singolare” , o anche “il tratto di numero e il
cap. 9), «categorie flessionali» da Graffi e Scalise (2002, p. 178), «categorie previste tratto di singolare” , anche in uno stesso autore. In questo libro cercheremo di osser­
dalla grammatica di una lingua» da D e Mauro (20033, p. 43). vare invece sempre una distinzione terminologica tra i due livelli.

22 23
M O R F O L O G IA 2 . N O Z IO N I PR E LIM IN A R I

2.2 dell’imperfetto che finisce in -avo, e non in -evo (come i verbi della
Le classi di flessione: coniugazioni e declinazioni seconda coniugazione) o in -ivo (come i verbi della terza coniugazio­
ne). Questo tipo di spiegazione riusciamo a darla perché a scuola ci è
Ci sono anche altre informazioni che abbiamo sulle parole, perché stato detto esplicitamente che i verbi dell’italiano si raggruppano in
siamo parlanti nativi di una lingua o perché la abbiamo studiata. Ad diverse classi di flessione, dette coniugazioni: i verbi che appartengo­
esempio, tutti noi parlanti nativi dell’italiano sappiamo utilizzare cor­ no a una stessa coniugazione formano le proprie forme flesse nello
rettamente le forme flesse dei lessemi casa , arma e pilota , costruen­ stesso modo, e in un modo che può essere diverso da quello adottato
do espressioni come quelle in (i): in un’altra coniugazione.
A questo punto potremmo ripensare ai nomi italiani visti in (1), e
( i) a. una casa, due case, tre case... chiederci se i loro diversi modi di formare il plurale non si possano
b. u n ’arm a, due armi, tre armi...
spiegare come dovuti al fatto che questi nomi appartengono a diverse
c. un p ilota, due piloti, tre piloti...
classi di flessione. La risposta è sì: anche i nomi italiani, come i verbi,
possono essere raggruppati in classi di flessione in base al modo in cui
Sappiamo dunque che il plurale di casa è case, quello di arma è
formano le proprie forme flesse, casa appartiene alla stessa classe di
am i, e quello di pilota è piloti. A pensarci bene, non si tratta di
flessione di arpa, vita , rosa, e migliaia di altri nomi che hanno il singo­
conoscenze banali: noi sappiamo che due nomi femminili che al sin­
lare in -a e il plurale in -e\ arma e pilota appartengono alla stessa classe
golare finiscono in -a, come casa e arma , formano il plurale in modo
di poeta , papa, clima , e alcune centinaia di altri nomi che hanno il
diverso, uno sostituendo la -a finale con -e e l’altro sostituendola con
singolare in -λ e il plurale in -i. D ’Achille e Thomton (2003) propongo­
-i; e sappiamo anche che il nome pilota , che al singolare finisce an-
no per i nomi italiani le classi di flessione presentate nella tab . 2.1.
ch esso con -a, ma è maschile, forma il plurale sostituendo la -a con
-i, come arma che è femminile, ma non come casa , che è femminile
TABELLA 2.1
quanto arma e finisce con -a quanto arma e pilota .
Classi di flessione dei nomi in italiano
Tutte queste cose le sappiamo in quanto parlanti nativi dell’italia­
Classe Terminazioni (sg./pl.) Esempi
no. Se interrogati su perché questi nomi si comportano così, proba­
bilmente non sapremmo che cosa aggiungere: sappiamo che è così -o/-i libro/libri...
perché ce lo dice la -nostra competenza di parlanti nativi, ma proba­ -al-e casalcase...
3 -ef-i fiore/fiori, siepe!siepi, cantante!cantanti...
bilmente non sappiamo inquadrare il fenomeno facendo ricorso a poeta/poeti...
4 -a/-i
concetti teorici di un livello superiore. -o/-a uovo/uova...
Come parlanti dell’italiano, sappiamo anche che se vogliamo dire 6 varie; invariabile re, gru, brindisi, crisi, caffè, città, foto...
che i fatti descritti dalle frasi (2a-4a) hanno avuto luogo ripetutamen­
te nel passato possiamousare le frasi
I nomi italiani sono dunque raggruppabili in diverse classi di flessio­
(2) a. L o chiam o spesso b. L o chiam avo spesso ne, ma nella nostra tradizione di insegnamento grammaticale non si è
(3) a. L o tem o m o lto b. L o tem evo m olto fatto molto uso di questa possibilità, e non si è affermato quindi un
(4) a. D o rm o p o co b. D o rm ivo p o co sistema di denominazione o numerazione delle classi da tutti condivi­
so, con classi ben definite e addirittura numerate, come le tre coniu­
Sappiamo che alle tre forme di prima persona singolare del presente gazioni del verbo (o le cinque declinazioni del nome in latino). Pro­
indicativo chiamo, temo e dormo corrispondono le tre forme dell’im­ babilmente ciò è accaduto perché il numero di forme flesse dei nomi
perfetto chiamavo, temevo e dormivo, e non, per esempio, *chiamevo, italiani è molto basso (si hanno solo due forme, il singolare e il plura­
*temivo e *dormavo. Se interrogati sul perché è così, potremmo ri­ le). La possibilità di raggruppare lessemi di una stessa categoria lessi­
spondere che è così perché chiamo è una forma del verbo chiamare, cale in classi di flessione è invece stata adottata nella tradizione gram­
e il verbo chiamare è un verbo della prima coniugazione, e tutti i maticale italiana per quanto riguarda i verbi: tutti noi abbiamo impa­
verbi della prima coniugazione hanno una prima persona singolare rato fin dalle elementari la classificazione tradizionale dei verbi italia-

24 25
M O R F O L O G IA 2 . N O Z IO N I PRELIM IN ARI

ni in tre coniugazioni, che vengono indicate facendo riferimento alla FIGURA 2 .1


terminazione della forma di citazione dei lessemi verbali italiani (l’in- L a struttura del paradigma di un nom e in italiano
finito): la prima coniugazione comprende i verbi in -are, la seconda i Num ero
verbi in -ere, la terza i verbi in -ire.
Riassumendo, in questo paragrafo abbiamo riflettuto sul fatto che
parte della nostra conoscenza delle parole comprende l’informazione
singolare plurale
che i lessemi che appartengono a certe parti del discorso (i nomi, i
verbi ecc.) possono essere raggruppati in classi di flessione, che com­
prendono tutti i lessemi che formano le proprie forme flesse nello
stesso modo. Le diverse tradizioni grammaticali possono dare ricono­
scimento esplicito all’esistenza di queste classi (come si è fatto per le 2.2
f ig u r a
La struttura del paradigma di un aggettivo in italiano
declinazioni del nome in latino, e per le coniugazioni del verbo sia in
italiano che in latino), oppure no (come nel caso delle classi di fles­ Num ero
sione del nome in italiano).

2,3 singolare plurale


Rapporti tra forme flesse: i paradigmi
maschile
G enere
Un tema che finora non abbiamo affrontato esplicitamente è quali siano femminile
i rapporti tra le diverse forme flesse di uno stesso lessema, che innega­
bilmente presentano parziali identità nel significante e nel significato.
Nella trattazione sulle forme flesse fin qui svolta, abbiamo usato
formule del tipo “belli è la forma flessa maschile plurale di bello ”, ma, le forme flesse di un lessema appartenente a una certa categoria
“belle è la forma flessa femminile plurale di bello ” ecc. Tale modo" lessicale sono concepite come realizzazioni di determinati valori del­
di concepire i rapporti tra queste forme è quello proprio della tra­ le categorie grammaticali proprie dei lessemi di quella categoria les­
dizione grammaticale greco-latina, ed è stato denominato modello a sicale. La realizzazione di questi valori è concepita come proprietà
“parola e paradigma” (in inglese, word and paradigm) 6. Dopo quel­ dell’intera forma flessa, e non di sue singole sottoparti. E l’intera
lo che abbiamo detto sull’ambiguità del termine parola, ci rendere­ forma bello a essere considerata maschile e singolare, non sue singo­
mo conto che sarebbe più corretto denominare il modello “lessema le componenti.
e paradigma”: tuttavia, poiché la formula “parola e paradigma” (e Tutti i lessemi appartenenti a una stessa categoria lessicale hanno
soprattutto il suo equivalente inglese) è in uso da decenni, potremo paradigmi strutturati nello stesso modo. Nelle f i g g . 2 .1 e 2 .2 pre­
continuare ad usarla, a patto di tenere ben presente che in essa pa­
rola va intesa nel senso di lessema. Il paradigma di un lessema è appartenenti alla stessa classe di flessione, conoscendone solo nominativo e genitivo
l’insieme delle sue forme flesse 7. In un modello a parole e paradig- singolare, cioè le due forme di un nome riportate nei vocabolari del latino. Quanto­
meno nella tradizione scolastica italiana, la parola paradigma ha subito anche uno slit­
tamento di significato, ed è a volte utilizzata per riferirsi non all’insieme di tutte le
6. Cfr. Robins (1959); Matthews (1991, cap. io). forme di un lessema, ma al ristretto sottoinsieme di forme di un lessema sulla base
7. Paradigma (dal greco παράδειγμα) significa originariamente “modello” . Que­ delle quali (conoscendo anche l’intero paradigma di un lessema-modello appartenente
sto lessema è entrato a far parte dei termini tecnici della linguistica tramite l ’uso che alla stessa classe di flessione) è possibile dedurre tutte le altre forme del lessema in
se ne è fatto nella tradizione dell’insegnamento delle lingue classiche. Nell’insegna­ questione. Testimoniano questo slittamento semantico usi nei quali ci si riferisce a
mento scolastico tradizionale di una lingua come il latino, agli alunni veniva presenta­ sequenze quali lat. amd, amàs, amavi, amàtum, amare, o ferd, fers, tuli, làtum, ferre, o
to e fatto memorizzare l’insieme delle forme di un lessema-modello, ad esempio il ted. gehen, ging, gegangen, denominandole rispettivamente “paradigma di a m o ” , “pa­
nome rosa : rosa, rosae, rosae, rosam, rosa, rosa, rosae, rosàrum, rosTs, rosàs, rosae, rosis. radigma di fero ” , “paradigma di geh en ” , benché queste sequenze non rappresentino
Sulla base di questo modello, gli alunni potevano dedurre le forme di altri lessemi la totalità delle forme di questi lessemi.

26 27
M O R F O L O G IA 2 . N O Z IO N I PRELIM IN ARI

FIGURA 2.3 diversi elementi, ciascuno portatore di una parte del significato globa­
Il paradigma del lessema b e ll o in italiano le dell’intera forma. Il modello che assume questo punto di vista sulla
costituzione delle forme flesse è stato chiamato modello a “entità e
N um ero disposizioni” (in inglese, items and arrangement). In questo modello
le entità primitive non sono più le parole, ma le sottoparti che com­
pongono le parole.
Nei capitoli che seguono terremo sempre presenti i due tipi di
singolare plurale modelli, a parole e paradigmi e a entità e disposizioni, e ne illustrere­
mo via via le caratteristiche.
maschile bello belli

bel begli
G enere
b ell’ bei

bella belle
femminile b ell’

sentiamo la struttura dei paradigmi dei nomi e degli aggettivi in ita­


liano.
Le diverse forme flesse di un lessema possono essere rappresen­
tate in modo da occupare ciascuna una cella di un paradigma: ad
esempio, per il lessema casa la forma casa occupa la cella del singo­
lare, e la forma case la cella del plurale. Se un lessema che appartie­
ne a una parte del discorso variabile presenta anche forme conte­
stuali, più forme contestuali possono occupare una stessa cella del
paradigma: ad esempio, il paradigma di bello si presenta come in
FIG. 2.3.
Tutti noi abbiamo però ben presente che è possibile assumere un
punto di vista diverso sui rapporti tra le diverse forme flesse di un
lessema. Secondo questo nuovo punto di vista, che è confluito con il
precedente nel corpus di conoscenze che costituiscono l’oggetto del­
l’insegnamento grammaticale scolastico tradizionale, sono certe speci­
fiche sottoparti delle forme flesse a portare i tratti morfosintattici che
la forma realizza. Sicuramente ci sono familiari formulazioni quali la
seguente: “in bello, bell- è la radice e -o la desinenza del maschile
singolare”.
Questo tipo di formulazione esprime un punto di vista compieta-
mente diverso da quello del modello a parole e paradigmi; secondo
questo diverso punto di vista, le forme flesse sono scomponibili in

28 29
3

Le entità della morfologia

3 ·1
Terminologia tradizionale

Abbiamo già ricordato nel cap . 2 che tra le nozioni che appartengo­
no all’armamentario dell’insegnamento grammaticale tradizionale c’è
l’idea che una forma flessa sia scomponibile in almeno due elementi,
una radice e una desinenza: ad esempio, in fiore troviamo la radice
fior- e la desinenza -e. Esaminando l’intero insieme dei lessemi di una
lingua, scopriamo che molti lessemi (e di conseguenza le loro forme)
possono essere analizzati (o “scomposti”) in più di due elementi: ad
esempio, in inutile abbiamo non solo la radice util- e la desinenza -e,
ma anche un elemento in- che precede la radice e che è detto pre­
fisso; in fioristi abbiamo non solo la radice fior- e la desinenza -i, ma
anche un elemento -ist- che segue la radice e precede la desinenza, e
che è chiamato suffisso.

3-2
Segni linguistici minimi

Radici, desinenze, prefissi e suffissi condividono ima caratteristica im­


portante: sono tutte entità che si ripresentano in parole diverse man­
tenendo in ciascuna lo stesso significato e lo stesso significante. Si os­
servino gli esempi in (1):

(1) a. bar, barista, baretto, ...


b . fiore, n otte, cane, siepe, elefante, ...
c. inutile, inesperto, inadatto, in decente, ...
d. barista, fiorista, dentista, giornalista, gom m ista, ...

In (ia) ritroviamo la radice bar come unico elemento che costituisce


la parola bar (più precisamente: la forma bar del lessema bar), e

31
M O R F O L O G IA 3 . LE E N T IT À D E L L A M O R F O L O G IA

come elemento in prima posizione nelle forme dei lessemi barista omonime, quella del singolare dei nomi della classe 3 e quella del
“chi lavora in un bar” e baretto “piccolo bar”; in (ib) troviamo la plurale dei nomi della classe 2; in- in (ic) e (id) rappresenta due
desinenza -e come desinenza del singolare nelle forme flesse di tanti prefissi omonimi, in 1- “non” e in2- “dentro”; infine, la sequenza /ist/
diversi lessemi dell’itaMano che appartengono alla categoria lessicale in (id) costituisce il suffisso che significa “persona che svolge un la­
nome; in (ic) troviamo il prefisso in-, che significa più o meno voro connesso con...”, mentre in Ud) non costituisce alcun suffisso,
“non”, in tanti diversi aggettivi dell’italiano; in (id) troviamo il suffis­ ma solo una stringa di fonemi casualmente omonima al significante
so -ist- in tanti diversi nomi dell’italiano: in questi nomi, il significato del suffisso -ista \
del suffisso -ist- “persona che svolge un lavoro connesso con...” si Le radici, le desinenze, i prefissi e i suffissi identificati in (1) e in
combina con il significato della radice che lo precede per creare un Ua-c) sono dunque elementi che si ripresentano in diversi contesti
nuovo lessema, così come negli aggettivi in (re) il significato del pre­ mantenendo inalterato il proprio significante e il proprio significato.
fisso in- “non” si combina con quello del lessema che lo segue per Inoltre, questi elementi non sono scomponibili in sottoelementi che
formare nuovi lessemi dal significato contrario. diano ciascuno un contributo al significato globale dell’elemento. In­
In tutti questi casi, abbiamo osservato elementi che si ripresenta­ fatti, mentre nella parola barista possiamo riconoscere che la desinen­
no in diversi contesti mantenendo inalterato il proprio significante e za -a porta il significato di “singolare” (al plurale diremmo baristi), il
il proprio significato. Tutti questi elementi sono omonimi di altri ele­ suffisso -ist- porta il significato “persona che svolge un lavoro con­
menti o sottoparti di parole, come possiamo vedere esaminando i dati nesso con...”, e la radice bar- porta il significato di “locale dove si
in (2): consumano bevande a pagamento”, non riusciamo a isolare all’inter­
no dell’elemento bar una sottoparte che significhi “locale”, una che
(2) a. bara, bare significhi “a pagamento” ecc., né riusciamo a isolare nell’ambito di
b. bare, case, cose, rape, note... -ist- una parte che significhi “persona”, una che significhi “svolge un
c. incanalare, incartare, incasellare, incassare... lavoro” ecc..
d. pista, lista, vista, ametista... Elementi come radici, desinenze, suffissi e prefissi hanno tutte le
caratteristiche di un segno linguistico, in quanto sono corrispondenze
Tuttavia, non possiamo dire che l’elemento bar- che troviamo nelle stabili tra un certo significato e un certo significante; inoltre, hanno
forme flesse del lessema bara in (2a), l’elemento -e che troviamo nelle anche un’altra importante caratteristica, che li distingue da segni lin­
forme flesse in hb), l’elemento in- che troviamo nei lessemi in (20) e guistici quali le parole e le frasi, e cioè sono segni linguistici minimi,
l’elemento /ista/ che troviamo nelle forme flesse in (2d) siano occor­ non ulteriormente scomponibili in costituenti che siano a loro volta
renze degli stessi elementi che abbiamo identificato in (1). Si tratta di dei segni linguistici.
elementi ad essi omonimi, cioè identici nel significante, ma non nel
significato: in (ia) bar- significa “locale dove si consumano bevande a 3-3
pagamento”, ma in Uà) significa “cassa da morto”; -e esprime il sin­ Terminologia moderna per indicare il segno linguistico minimo
golare nei nomi in (ib), ma esprime il plurale nei nomi in Ub); in-
significa “non” negli aggettivi in (ic), mentre significa “dentro, in” 3.3.1. Morfema
nei verbi in Uc); infine, /ist/ porta un significato (“persona che svol­
ge un lavoro connesso con...”) che si combina con quello della radice Nella linguistica moderna si è sentito il bisogno di coniare un termine
per determinare il significato globale delle parole in (id), mentre non tecnico che permettesse di riferirsi a un segno linguistico minimo, in­
ha alcun significato nell’ambito delle parole elencate in Ud). In base dipendentemente dalla sua natura (di radice, suffisso o altro).
al confronto dei significati, possiamo dire che bar- rappresenta, ri­ La proposta terminologica più antica, e in fondo quella che ha
spettivamente in (ia) e in Ua), due radici omonime, quella del lesse­
ma bar e quella del lessema bara (che appartengono a due diverse 1. Per convenzione, citiamo i suffissi nella forma di citazione adottata per i lesse­
classi di flessione, rispettivamente la 6 e la 2 nella classificazione pre­ mi della categoria nella quale il suffisso si incontra: quindi al singolare per i suffissi
sentata nella tab . 2.1); -e in (ib) e Ub) rappresenta due desinenze nominali, all’infinito per quelli verbali, al maschile singolare per quelli aggettivali.

32 33
M O R F O L O G IA 3 . LE E N T IT À D E L L A M O R F O L O G IA

avuto maggior successo, risale al linguista polacco Jan Baudouin de fra loro per la proporzione rispettiva di morfemi liberi e legati che
Courtenay (1845-1929), che negli ultimi due decenni del xix secolo presentano.
ha proposto il termine morfema (cfr. Luschiitzky, 2000, pp. 451-2; In alcune lingue, almeno una delle forme flesse di un lessema può
Aronoff, 1994, p. 172, nota 4). essere monomorfemica, cioè costituita da un solo morfema. Si con­
Ferdinand de Saussure (1857-1913) non ha raccolto questa pro­ frontino le coppie di forme singolari e plurali di alcuni nomi in ingle­
posta, e nel Corso di linguistica generale il segno minimo viene deno­ se e in italiano, date in (2):
minato semplicemente unità (in francese unité, cfr. clg , pp. 144 ss. e
De Mauro, 1970, nota 207)2. Il termine morfema è invece accolto e singolare plurale
a. inglese cat cats “ gatto/gatti”
utilizzato per riferirsi a un segno linguistico minimo da Léonard
dog dogs “ cane/cani”
Bloomfield (1887-1949), il caposcuola dello strutturalismo nordameri­
cano (cfr. Bloomfield, 1933, p. 161), ed è grazie alla sua adozione da b. italiano gatto gatti
parte degli studiosi di questa scuola che il termine si è affermato nel­ cane cani
la linguistica moderna. Tra le altre proposte terminologiche, che han­
no avuto scarsa fortuna, ricordiamo almeno quella del linguista fran­ Si osserva che le forme singolari in inglese sono monomorfemiche,
cese André Martinet (1908-1999), che ha proposto il termine mone- mentre le forme plurali sono bimorfemiche, e sono costituite dal
ma (cfr. Martinet, i960), e quella del linguista italiano Mario Lucidi morfema che appare nel singolare seguito da un altro, indicato nel­
(19:13-1961), che ha proposto il termine iposema (cfr. Lucidi, 1950). l’ortografia con < s > , che porta il significato di “plurale” . Nelle for­
me plurali si ha un morfema legato, -s, che segue un altro morfema
3.3.2. Tipi di morfemi che possiamo classificare come libero, in quanto nelle forme singolari
esso da solo costituisce l’intera forma, che può essere usata in una
Con l’adozione del termine morfema per indicare un segno linguistico frase (ad esempio, This is a cat “Questo è un gatto”).
minimo di qualunque tipo si dà riconoscimento a ciò che tutti i mor­ In italiano invece sono bimorfemiche sia le forme singolari che
femi hanno in comune, ma si oscurano le differenze che erano quelle plurali: in entrambe appare un morfema che nella terminologia
espresse nella terminologia tradizionale da termini diversi come radi­ tradizionale si sarebbe detto radice, e che è un morfema legato, che
ce, desinenza, suffisso ecc. non può mai occorrere da solo in una frase (non diciamo *Questo è
Nella nuova terminologia vengono quindi presto coniati termini un gatt), tanto quanto sono legati i morfemi che lo seguono, che tra­
che permettano di classificare i morfemi da diversi punti di vista. dizionalmente si sarebbero detti desinenze.
Una prima distinzione che viene proposta è quella tra morfemi La distinzione che nella terminologia tradizionale si esprimeva per
liberi e morfemi legati. Sono Uberi i morfemi che da sofi possono lo più con l’opposizione terminologica tra radici da una parte e affissi
costituire una parola, legati quelU che costituiscono una sottoparte di (suffissi, prefissi) e desinenze dall’altra viene nella nuova terminologia
una parola, e non occorrono mai isolatamente (se non in contesti me­ espressa distinguendo tra morfemi lessicali e morfemi grammaticali3.
talinguistici). Ad esempio, in italiano è libero il morfema blu, mentre I morfemi lessicali di una lingua sono normalmente in numero molto
è legato il morfema -o che troviamo in bello, giallo ecc., e sono legati alto (dell’ordine delle migliaia), e esprimono significati di ogni tipo; i
anche i morfemi bell-, giall-. morfemi grammaticali sono in numero più ridotto (dell’ordine delle
Questa distinzione ha un rilievo diverso in lingue diverse (o me­
glio, in tipi diversi di lingue), in quanto le lingue differiscono molto 3. Per esprimere la distinzione tra morfemi lessicali e morfemi grammaticali alcu­
ni autori hanno proposto anche termini diversi. Martinet, che come si ricorderà chia­
ma monema il segno linguistico minimo, propone di chiamare semantema o lessema
2. Il testo del Corso di linguistica generale (c l g ) viene citato, secondo l’uso intro­ un segno minimo di tipo lessicale e morfema un segno minimo di tipo grammaticale.
dotto da De Mauro (1970, p. xxii ), con riferimento al numero di pagina della se­ Questa terminologia non è diffusissima, ma è a volte adottata. Bisogna quindi prestare
conda edizione francese (1922), che è rimasto immutato in tutte le edizioni francesi attenzione agli usi terminologici adottati dagli autori dei testi che si consultano: in
successive ed è riportato a margine del testo in tutte le edizioni italiane a cura di Martinet, sia lessema che morfema sono utilizzati in un senso diverso da quello adotta­
Tullio D e Mauro. to in questo libro.

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M O R F O L O G IA 3 . LE E N T IT À D E L L A M O R F O L O G IA

decine) e esprimono i tratti morfosintattici obbligatori nella gramma­ 34


tica della lingua in questione. Questa distinzione si rivela di difficile Le due facce dei morfemi
applicazione nel caso di un certo tipo di morfemi, quelli che nella
terminologia tradizionale venivano indicati come prefissi e suffissi. 3.4.1. Il significante dei morfemi: morii e allomorfi
Questi morfemi non esprimono solo l’insieme ristretto e ben definito
di tratti morfosintattici obbligatori in una lingua; occasionalmente Consideriamo attentamente le forme singolari e plurali di alcuni nomi
hanno significati molto specifici e simili a quelli di elementi lessicali inglesi, elencate, in trascrizione fonologica e ortografica, in (3M5)
(per esempio, si può sostenere che -ile in lessemi come porcile, ovile, (dati da Katamba, 1993, pp. 30-1):
canile e il recente gattile abbia il significato di “rifugio per animali”),
ma per lo più esprimono un tipo di significati il cui grado di generali­ (3) a. /aes/ b. /aesiz/ ass “asino”
tà si colloca un po’ a metà strada tra quello generalissimo dei tratti /fiJ7 /fifiz/ fish “pesce”
morfosintattici e quello molto particolare dei morfemi lessicali. Ad /baed3/ /baed3iz/ badge “cartellino di riconoscimento
esempio, dallo studio di Montermini (2002) si evince che la maggior /biltf/ /biitfiz/ beach “spiaggia”
parte dei prefissi italiani ha un significato di tipo spazio-temporale (4) a. /lo\p/ b. /kAps/ cup “tazza”
(per esempio, ante-, circum-, infra-, inter-, pre-, post-, sub-, trans-), va­ /li:k/ /liiks/ leek “porro”
lutativo (per esempio, arci-, iper-, ipo-, maxi-, mega-, micro-, mini-, /ku:t/ /ka:ts/ . cari “carro”
ultra) o negativo (a-/an-, de-, dis-, in1-, non-, s ), e sono pochissimi i /m D 0 / /mn0s/ moth “tarma”
prefissi che hanno un significato di tipo paragonabile a quello di sin­ b. /ba:dz/ bard “bardo”
(5) a. /ba:d1
goli elementi lessicali4, /mAg/ /mAgz/ mug “tazza”
Dunque sembra necessaria una distinzione non tra due, ma fra tre /ru:m/ /ruimz/ room “stanza”
tipi di entità: morfemi lessicali e due tipi di morfemi grammaticali, /ki :/ /kiiz/ key “chiave”
che vengono tradizionalmente chiamati morfemi grammaticali flessivi
e morfemi grammaticali derivazionali. Se osserviamo il rapporto tra la forma fonologica del singolare e quel­
Entrambi i tipi di morfemi grammaticali si uniscono a morfemi la del plurale di ogni lessema, vediamo che l’elemento che si aggiunge
lessicali, ma l’effetto della loro unione è di diverso tipo: mentre i al singolare per formare il plurale non è lo stesso nei tre gruppi di
morfemi flessivi uniti a un morfema lessicale danno luogo a delle for­ forme: in (3) il plurale si forma con l’aggiunta di /iz/, in (4) con l’ag­
me flesse del lessema il cui significato è portato da quel morfema les­ giunta di /s/, in (3) con l’aggiunta di /z/. Questi tre elementi hanno
sicale, i morfemi derivazionali uniti a un morfema lessicale danno tra di loro un rapporto che dal punto di vista semantico coincide,
luogo a un nuovo lessema, non a una forma flessa di un lessema già sostanzialmente, con il rapporto di sinonimia tra lessemi: si tratta
esistente. Si ha quindi una distinzione tra due usi dei morfemi gram­ cioè di tre diversi significanti con lo stesso significato, “plurale”. A
maticali: un primo uso è la flessione (di cui tratteremo approfondita­ questo punto sorge spontanea una domanda: i tre elementi /iz/, /s/ e
mente nel c a p . 4), un secondo uso è la formazione di nuovi lessemi /z/ sono morfemi diversi o tre forme dello stesso morfema?
(di cui tratteremo nel c a p . 8 ). La formazione di nuovi lessemi può Se il morfema è un segno linguistico minimo, un’entità bifacciale,
avvenire anche senza l’uso di morfemi grammaticali, ma attraverso una corrispondenza stabile tra un significato e un significante, sembra
l’unione di due (o più) lessemi già esistenti: questo procedimento è inevitabile sostenere che si tratta di tre morfemi. Ricorderemo che
detto composizione, mentre la formazione di nuovi lessemi tramite quando abbiamo incontrato elementi omofoni nel significante ma di­
l’uso di morfemi grammaticali è detta derivazione. versi nel significato, come bar 1- e bar 2-, o in 1- e in 2-, li abbiamo clas­
sificati come morfemi diversi. Dunque forse dovremmo classificare
come morfemi diversi anche i tre elementi /iz/, /s/ e /z/, che sono
4. Montermini (2002, 2003) classifica come prefissi dal significato “lessicale” ex-,
neo-, paleo-, pan-, pseudo-, quasi- e vice-. Alcuni di questi prefissi potrebbero però sinonimi nel significato, ma diversi nel significante.
anche essere ricondotti alle categorie generali citate nel testo (ad esempio, ex-, neo-, D ’altra parte, queste tre forme che significano “plurale” hanno,
paleo- hanno senz’altro un valore temporale). oltre alla sinonimia, un’altra proprietà: sono in distribuzione comple-

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M O R F O L O G IA 3 . LE E N T IT À D E L L A M O R F O L O G IA

mentare. Infatti si aggiunge /iz/ dopo sibilanti alveolari o alveopala­ FIGURA 3 .1


tali, /s/ dopo ostruenti sorde che non siano sibilanti alveolari o alveo­ Mancanza di un termine specifico per designare il significato dei morfemi
palatali, e /z/ altrove.
La distribuzione complementare è la proprietà che hanno i diversi
allofoni di uno stesso fonema. Nello sviluppo di un modello di mor­
fologia a entità e disposizioni si è sempre tenuto presente e ricercato
un parallelo con un altro livello dell’analisi linguistica, quello della
fonologia. La stessa parola morfema è stata coniata in esplicita analo­
gia con fonema, per indicare l’unità minima del livello morfologico.
Dalla fonologia è ben noto che i fonemi possono essere realizzati in
contesti diversi da elementi foneticamente diversi, detti foni, per lo
più in distribuzione complementare (ma in qualche raro caso anche
in variazione libera); i diversi foni che rappresentano uno stesso fone­
ma sono detti allofoni5. Se estendiamo il parallelo tra morfologia e un unico morfo), sempre identico, ma anche da una classe di signifi­
fonologia, possiamo dire che anche i morfemi, come i fonemi, posso­ canti in distribuzione complementare, detti allomorfì, permette di sal­
vare l’intuizione dell’identità di funzione, di valore all’interno della
no essere realizzati in contesti diversi da stringhe fonologicamente di­
verse: se si adotta questa posizione, i tre elementi /iz/, /s/ e /z/ non grammatica, di elementi dal significante diverso.
La terminologia associata a questa ipotesi ci regala anche dei ter­
sono morfemi diversi, ma realizzazioni diverse di uno stesso morfema,
mini per denominare una delle due facce del morfema, la sua faccia
come gli allofoni sono realizzazioni di uno stesso fonema. Per espri­
significante, che possiamo ora chiamare morfo.
mere questa analisi, si è coniata una terminologia tecnica: ciascun
Il problema che si apre a questo punto è però quello di come
rappresentante fonologicamente individuato di un certo morfema è
chiamare l’altra faccia del morfema, la faccia del significato. Il pro­
chiamato morfo, e i diversi morii che rappresentano e realizzano uno
blema è illustrato schematicamente nella f ig . 3.1.
stesso morfema sono detti allomorfì di quel morfema: ad esempio,
Questo problema non ha a tutt’oggi ricevuto una soluzione univo­
/iz/, /s/ e /z/ sono tre allomorfì del morfema che significa “plurale”
ca, nonostante siano presenti nella letteratura specialistica diverse
nei nomi dell’inglese 6*Il.
proposte terminologiche. La prassi più seguita è quella di non adotta­
re un termine specifico per denominare la faccia del significato di un
3.4.2. Il significato dei morfemi
morfema, e di chiamarla, se necessario, anch’essa morfema. Poiché,
tra l’altro, anche i termini morfo e allomorfo non sono sempre uti­
La nuova terminologia appena introdotta risolve alcuni problemi ma
lizzati rigorosamente, possiamo trovare in testi di linguistica espres­
ne apre di nuovi, di natura sia terminologica che sostanziale.
sioni in vario modo abbreviate e in qualche misura imprecise del tipo
L ’ipotesi che un morfema possa essere rappresentato non sempre “il morfema del plurale in inglese”, che possono significare a volte “il
e necessariamente da un unico significante (o più specificamente, da
morfema con il significato [plurale] e i significanti {/iz/, /s/, /z/ ...}”,
a volte “il morfo /s/” (o “il morfo /z/” , o “il morfo /iz/”), a volte “il
5. Per l’approfondimento di questi concetti, rinviamo a un manuale di fonologia;
tratto morfosintattico [plurale] in inglese”.
cfr. ad esempio D e Dominicis (2003), cap. 2, o Nespor (1993), pp. 44-7.
6. Il termine allomorfo è stato proposto da Eugene A. Nida (1946), e il termine 3-5
morfo da Charles F. Hockett (1947), secondo la ricostruzione storica di Luschiitzky Allomorfia
(2000, p. 452), 0 quale osserva che basterebbe considerare che tra la coniazione del
termine morfema e quella dei termini morfo e allomorfo sono passate due generazioni
per rendersi conto del fatto che il modello a entità e disposizioni non rappresenta un Nel paragrafo precedente abbiamo introdotto gli elementi fondamen­
modello coeso, ma un coacervo di nozioni di diversa provenienza, la cui coerenza tali che permettono di definire la nozione di allomorfia. L ’allomorfìa
interna non è assicurata. è il tipo di rapporto che intrattengono tra loro gli allomorfì di uno

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M O R F O L O G IA 3 . LE E N T IT À D E L LA M O R F O L O G IA

stesso morfema, cioè elementi dal significante diverso, che occorrono nelle parole che appartengono alla categoria lessicale dei nomi) e si
in distribuzione complementare e hanno lo stesso significato. presenta nella stessa posizione, cioè in ultima posizione nella parola 8.
Gli allomorfi del morfema che significa “plurale” in inglese che ab­ Un allomorfo come -en, che occorre in un contesto non specificabile
biamo' utilizzato come esempi hanno anche un’altra caratteristica (oltre fonologicamente, ma solo facendo riferimento allo specifico lessema
alla sinonimia e alla distribuzione complementare), sulla quale finora nel quale occorre, rappresenta un caso di allomorfia condizionata
non abbiamo fermato la nostra attenzione. I tre allomorfi {/iz/, /s/, /z/} lessicalmente.
sono caratterizzati anche da una certa somiglianza fonologica: conten­ Ammettere che -en sia un allomorfo del morfema di plurale dei
gono tutti una sibilante. Inoltre, la loro distribuzione è governata da nomi in inglese ha alcune conseguenze, che qui menzioneremo breve­
criteri fonologici: occorre un allomorfo o l’altro in base alla natura mente e di cui torneremo à parlare in capitoli successivi.
del fonema che lo precede. Un’allomorfia di questo tipo può essere Una prima conseguenza è che la nozione di morfema diventa
analizzata come effetto di regole puramente fonologiche, e viene sempre più astratta: è possibile specificare il significato di un morfe­
quindi chiamata allomorfia condizionata fonologicamente. ma, ma se il suo significante viene menzionato usando come forma di
Ma il plurale in inglese non è espresso solo nei modi già visti in citazione (per così dire) l’allomorfo con la distribuzione meno ristret­
(3M5); anche in (6) abbiamo un caso di plurale inglese, quello del ta si ha una decisa perdita di informazione: in alcuni casi, l’allomorfo
lessema o x “bue”: con la distribuzione meno ristretta (ad esempio, /z/ nel caso del plu­
rale dei nomi in inglese) non ha nessun rapporto regolare, e nessun
(6) singolare ox plurale oxen “ b u e /b u o i” valore mnemonico né predittivo nei confronti di almeno alcuni degli
altri allomorfi (ad esempio, -en). In un certo senso, il morfema non è
Nella forma oxen riusciamo facilmente a individuare un morfema les­ più un segno biplanare nel senso saussuriano, ma una pura entità
sicale, rappresentato dal morfo ox-, che significa “bue”, e un morfe­ astratta, il cui significante non è legato al significato come il recto al
ma grammaticale, rappresentato dal morfo -en, che significa “plu­ verso di un foglio di carta (cfr. clg 157), ma in modi complessi che
rale” 7. Questo morfo -en è assolutamente sinonimo dei tre morii andranno in qualche modo specificati.
{/iz/, /s/, /z/}: ha lo stesso valore, cioè rappresenta lo stesso tratto Un altro problema è il seguente, che illustreremo continuando a
morfosintattico, quello di plurale nei nomi inglesi. Inoltre, in un certo sfruttare l’esempio del plurale inglese. Abbiamo visto che i tre allo­
senso potremmo dire che è anche in distribuzione complementare morfi {/iz/, /s/, /z/} hanno una distribuzione governata fonologica­
con essi, dato che occorre dopo ox, dove non occorre nessuno degli mente, e che dopo sibilanti alveolari o alveopalatali si usa il morfo
altri tre morii: *oxes è una forma non attestata in inglese. Possiamo /iz/. Ma ox (fonologicamente /oks/) termina proprio in una sibilante
allora dire che -en è un allomorfo di {/iz/, /s/, /z/}? Intuitivamente, alveolare: come impedire dunque la formazione di una forma flessa
potremmo non essere d’accordo, perché tra -en e gli altri tre allo­ come *oxes /oksiz/ con il significato “buoi”? In fondo, parole come
morfi considerati c’è una differenza importante: -en è del tutto privo fox “volpe” e box “scatola” hanno come plurale foxes e boxes.
di somiglianza fonologica con essi, mentre gli altri tre si somigliano
tra loro (e come abbiamo detto, la loro distribuzione può essere spie­
8. Il principio che permette di classificare -en come allomorfo dello stesso morfe­
gata in base a principi di carattere puramente fonologico). Tuttavia, ma di cui sono allomorfi /iz/, /s/, e /z/ è il terzo dei sei principi per l’identificazione
secondo i linguisti nordamericani che hanno sviluppato al massimo il dei morfemi formulati da Nida, 1949. Per completezza, citiamo qui di seguito i primi
modello di morfologia a entità e disposizioni, dobbiamo ammettere tre principi di Nida, la cui sostanza è stata presentata nel testo. Principio 1: «Forms
che -en sia un allomorfo del morfema di plurale dei nomi in inglese which have a common semantic distinctiveness and an identical phonemic form in all
their occurrences constitute a single morpheme»; principio 2: «Forms which have a
anche se non presenta somiglianza fonologica con gli altri tre allo­ common semantic distinctiveness but which differ in phonemic form (i.e. thè phone-
morfi finora individuati, in quanto esso svolge la stessa funzione nella mes or order of thè phonemes) may constitute a morpheme provided thè distribution
grammatica dell’inglese (segnalare il tratto morfosintattico “plurale” of formai differences is phonologically definable»; principio 3: «Forms which have a
common semantic distinctiveness but which differ in phonemic form in such a way
that their distribution cannot be phonologically defined constitute a single morpheme
7· Per semplicità, nella discussione che segue citeremo questo morfo tramite la if thè forms are in complementary distribution in accordance with thè following re-
sua forma ortografica. strictions: 1. occurrence in thè same structural series [...]» (Nida, 1949, pp. 7-42).

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Questo problema non è risolvibile in un modello che operi esclu­ tivi nella lingua. Ad esempio, in italiano il lessema bue ha le forme
sivamente con entità e disposizioni: l’entità -en segue l’entità ox- così flesse bue (singolare) e buoi (plurale), e il lessema dio ha le forme
come la segue /iz/ nella forma mal formata *oxes, e /oks/ ha tutte le flesse dio e dei: ciascun lessema presenta quindi due allomorfi {bu- e
caratteristiche fonologiche di un’entità che può essere seguita da /iz/. buo- per bue , di- e de- per dio ) che contengono la stessa consonante
Casi analoghi si presentano anche tra morfemi lessicali. Si osservi­ iniziale ma vocali diverse; questi allomorfi non sono fonologicamente
no i dati in (7): diversi tra loro tanto quanto vad- e and-, ma la loro differenza non
può essere spiegata in base a criteri fonologici. In casi di questo tipo,
(7) a. vado “ i a pers. sg. pres. ind. di andare”
in cui si ha tra due allomorfi una differenza non riconducibile a moti­
b. andiamo “ i a pers. pi. pres. ind. di andare”
vazioni di carattere fonologico, ma anche una certa somiglianza fono­
In (7) vediamo che il morfema lessicale del verbo andare è rappre­ logica, si parla di suppletivismo debole. Quando invece, come nel
sentato da due morii completamente diversi: nella prima persona sin­ caso di vad- e and-, tra due allomorfi suppletivi non si ha alcuna so­
golare del presente indicativo da vad-, nella prima plurale da and-. miglianza fonologica si parla di suppletivismo forte 9.
Questi due morii lessicali sono altrettanto diversi tra loro quanto /iz/ Come abbiamo già detto, anche l’esistenza di morii suppletivi rap­
e -en, ma il loro significato è identico: entrambi portano il significato presenta un problema per un modello a entità e disposizioni: come
lessicale del lessema andare . La loro distribuzione non può essere impedire che si formino forme come *ando e *vadiamo, due forme
spiegata in base a fattori fonologici, e i due allomorfi non rappresen­ che presentano, nella disposizione corretta in italiano (morfo lessicale
tano neanche un caso di allomorfia condizionata lessicalmente, dato seguito da morfo grammaticale), due entità i cui significati combinati
che realizzano lo stesso lessema. Si ha qui un terzo tipo di condizio­ corrispondono esattamente a quelli delle due forme flesse vado e an­
namento sulla distribuzione di due allomorfi: i due occupano diverse diamo del lessema andare ?
celle del paradigma del verbo andare , sono usati per la realizzazione Problemi di questo tipo sono molto più facilmente risolvibili in
di diverse forme flesse, portatrici di diversi valori di categorie gram­ un modello a parole e paradigmi.
maticali. Normalmente si dice che in questo caso si ha allomorfia
condizionata grammaticalmente; potremmo anche chiamare questo 3-6
tipo di allomorfia allomorfia condizionata paradigmaticamente. Tre modelli di morfologia a confronto
Per denominare una situazione nella quale si hanno due allomorfi
fonologicamente diversi, e diversi in modo non spiegabile in base a Ora che abbiamo illustrato a grandi linee il concetto di morfema pos­
regole fonologiche, esiste un termine tradizionale, suppletivismo. siamo cercare di dare una prima caratterizzazione dei diversi modelli
Questo termine è stato utilizzato tradizionalmente solo per indicare la che sono stati proposti nel corso della storia per render conto della
relazione tra diversi allomorfi di un morfema lessicale: si dice ad struttura delle parole.
esempio che il lessema andare ha due radici suppletive, vad- e and-, Una prima distinzione importante è tra modelli che assumono
usate in celle diverse del suo paradigma. Non c’è motivo però per come entità primitiva la parola e modelli che assumono come entità
limitare l’uso della nozione di suppletivismo all’allomorfia tra morfe­ primitiva il morfema.
mi lessicali: essa può essere utilmente estesa per descrivere allomorfie Ad assumere come entità primitiva il morfema è il modello a en­
anche tra morfemi grammaticali (così fa Haspelmath, 2002, cap. 2). tità e disposizioni. Questo modello ha avuto grandissimo successo
Possiamo quindi dire che la relazione tra {/iz/, /s/, /z/} da una parte nella linguistica del x x secolo: è stato sviluppato soprattutto negli
e -en dall’altra è una relazione di suppletivismo. anni quaranta e cinquanta da studiosi appartenenti alla scuola dello
Allomorfi suppletivi quali vad- e and- o -,v e -en sono del tutto strutturalismo nordamericano, fondata da Léonard Bloomfield, ed è
diversi uno dall’altro dal punto di vista fonologico. In altri casi, un
morfema può essere espresso in diverse forme flesse da due morii di­
versi che presentano una qualche somiglianza fonologica, ma la cui 9. Per una proposta di scala di forza crescente del suppletivismo in italiano si
differenza non è riconducibile a fattori fonologici sincronicamente at­ veda Crocco Galèas (1991, pp. 147-64).

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il modello comunemente presentato nei manuali introduttivi di lin­ cosiddetto a entità e processiIO, In questo tipo di modello, si assume
guistica. che i tre allomorfi /iz/, /s/ e /z/ del morfema “plurale” (come qua­
Questo modello parte dal presupposto che le parole si formano lunque altro insieme di allomorfi di uno stesso morfema) non abbia­
tramite concatenazione di morfemi. La formazione della forma flessa no, per così dire, pari dignità: uno di essi è considerato l’allomorfo
plurale cats, in un modello a entità e disposizioni, avviene selezionan­ principale, la forma basilare dalla quale gli altri possono essere deri­
do il morfema che ha il significante /kaet/ e il significato “felis catus” vati tramite operazioni (processi) di natura fonologica. L ’allomorfo
e il morfema che ha il significante /s/ e il significato “plurale”, e di­ principale è detto forma sottostante o soggiacente (in inglese, under-
sponendo il secondo dopo il primo. lying representation). Nel caso del nostro esempio, si ipotizza che il
In questo modello, non c’è in linea di principio distinzione tra la morfema di plurale dell’inglese abbia come forma sottostante /z/: /z/
natura dei morfemi lessicali e quella dei morfemi grammaticali: en­ subisce un processo di desonorizzazione se preceduto da una conso­
trambi i tipi di morfemi sono visti come segni linguistici biplanari, nante sorda, e nel contesto costituito da un morfo lessicale terminan­
dotati di un certo significato e di un certo significante. Di conseguen­ te in sibilante seguito da /z/ si applica un processo di epentesi di /i/
za, non c’è distinzione di principio neppure tra la formazione di pa­ al confine tra i due morii. I due processi invocati per rendere conto
role e la formazione di sintagmi e frasi: entrambe le operazioni si della distribuzione di /iz/, /s/ e /z/ sono fonologicamente motivati: si
compiono tramite concatenazione di morfemi. ha assimilazione di sonorità tra due consonanti contigue, e si ha
Abbiamo già illustrato alcuni problemi che si pongono in un mo­ epentesi vocalica per riparare una sequenza di due sibilanti, fonotatti-
dello a entità e disposizioni: ad esempio, come assicurare che dopo camente non ben formata in inglese.
cat sia selezionato per esprimere “plurale” il morfo /s/ e non il morfo Tuttavia, anche nel modello a entità e processi alcuni fenomeni
/z/ o il morfo /iz/? possono essere espressi solo in modo puramente stipulativo. Ad
Nel modello a entità e disposizioni questo problema è risolto di­ esempio, in questo modello rimane un problema la generazione della
chiarando la distribuzione di ciascun morfo. In questo modello, però, forma plurale oxen. Da quanto abbiamo detto finora, non si vede
la distribuzione di un certo morfo ha un carattere puramente stipula- come si possa impedire la generazione di *oxes, selezionando le entità
tivo, cioè può essere solo constatata, ma non consegue da nessun /oks/ e /z/ e applicando il processo di epentesi di /i/, che si applica
principio indipendentemente stabilito: si dice che occorre /iz/ dopo regolarmente quando /z/ segue un morfo lessicale terminante in si­
sibilanti alveolari o alveopalatali, /s/ dopo ostruenti sorde che non bilante.
siano sibilanti alveolari o alveopalatali e /z/ altrove, ma rispettando i Naturalmente si può esprimere formalmente in un modello a enti­
principi del modello si potrebbe formulare altrettanto bene una di­ tà e processi il fatto che il plurale di ox è oxen. Per farlo, si deve
stribuzione diversa, per esempio con /iz/ dopo vocali, /s/ dopo con­ formulare una regola del tipo di (n ):
sonanti sonore e /z/ dopo consonanti sorde. Questo secondo tipo di
distribuzione non solo non è attestato in inglese, ma non ha nessuna (n ) /z/ —> -en nel contesto /oks/ + __
plausibilità fonologica, e se fosse attestato violerebbe diverse tenden­
Il problema è che questo tipo di regola-è di natura stipulativa tanto
ze fonotattiche universalmente diffuse, quali la tendenza ad evitare
quanto un’ipotetica regola che trasformi /z/ in /s/ dopo consonanti
sequenze di due vocali, e quella all’assimilazione di sonorità tra foni
sonore: non c’è alcun fondamento fonologico per una regola come
adiacenti. Quindi non è auspicabile il fatto che una distribuzione così
improbabile possa essere espressa senza difficoltà con il tipo di for­ quella in (11).
Fondamentalmente, un modello a entità e processi permette di
malismo previsto dal modello a entità e disposizioni.
render conto di una* gran quantità dei fenomeni di allomorfia trami­
Per render conto della non casualità della distribuzione degli allo-
te l’assunzione che diversi allomorfi vengano formati tramite l’appli-
morfi fonologicamente condizionati, è stato sviluppato un modello
che, pur non abbandonando l’idea che le parole vengano formate per
concatenazione di entità biplanari, permette di esprimere in modo 10. Questo tipo di modello è quello che si è affermato ed è stato adottato nella
più intuitivamente soddisfacente la relazione tra entità sinonime, quali linguistica nordamericana a partire almeno dagli anni cinquanta e fino agli anni set­
i tre allomorfi /iz/, /s/ e /z/ del nostro esempio. Si tratta del modello tanta del x x secolo.

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cazione a una forma soggiacente (un allomorfo principale) di pro­ nologiche!) un lunghissimo elenco di lessemi, dell’ordine delle mi­
cessi la cui motivazione è essenzialmente fonologica, ma non aiuta a gliaia, e non un solo lessema, come nel caso di ox. In un modello a
cogliere lo specifico di processi la cui motivazione non è di natura parole e paradigmi, invece, la distribuzione di -o e -e può essere spie­
fonologica. gata come condizionata da una proprietà non fonologica né semanti­
Il motivo per cui in oxen il valore di “plurale” è espresso da -en e ca dei lessemi, cioè la classe di flessione cui appartengono. Questa
non da /iz/ non ha niente a che fare con la fonologia: è dovuto a una proprietà, irriducibile a proprietà fonologiche e semantiche, è di un
caratteristica intrinseca del lessema οχ. E importante osservare che la ordine che possiamo chiamare propriamente morfologico (seguendo
motivazione dell’esistenza di oxen non è neppure di carattere seman­ Aronoff, 1994). Lo specifico del livello di analisi morfologica delle
tico: non è a causa del suo significato che il lessema o x ha un plurale lingue sta proprio nello spiegare fatti di distribuzione di allomorfi che
irregolare (infatti lessemi dal significato molto vicino, quali co w non sono spiegabili né come governati fonologicamente né come go­
“mucca” o bull “toro”, presentano nel plurale l’allomorfo regolare vernati semanticamente, come i fatti di suppletivismo.
/z/). Dunque l’esistenza di oxen non è spiegabile con proprietà di Approfondiremo queste problematiche nel cap . 7. Nei capp . 5 e 6
nessuna delle due facce dei morfemi che lo compongono. Per spie­ invece continueremo a illustrare aspetti della nozione di morfema del
garla, dobbiamo far riferimento a nozioni di un altro livello: la pro­ tipo di quella ipotizzata in un modello a entità e disposizioni, per
prietà che spiega perché abbiamo un plurale oxen invece di *oxes è il mettere in luce ulteriori difficoltà che si presentano in questo model­
fatto che o x appartiene a una classe di flessione diversa da quella cui lo. Prima di farlo, però, nel cap . 4 approfondiremo il concetto di
appartengono c a t , d o g , bull , cow e miglialia di altri nomi dell’in­ flessione.
glese. Appartenere a una certa classe di flessione è una proprietà di
un lessema che non è né di ordine fonologico né di ordine semantico.
Per questo tipo di proprietà non c’è spazio in un modello a entità e
disposizioni o a entità e processi, che assume entità definite solo dai
due livelli del significante (livello fonologico) e del significato (livello
semantico). In generale, questi modelli possono render conto di feno­
meni di allomorfia non fonologicamente condizionata solo in modo
stipulativo, cioè dichiarando che le cose stanno in un certo modo,
senza però che questo consegua da qualche altra proprietà. Finché il
caso riguarda un solo elemento lessicale, come οχ, o comunque po­
chissimi elementi, potremmo anche tollerare che se ne renda conto in
modo stipulativo. Ma pensiamo a un caso simile in una lingua come
l’italiano. In italiano, certi nomi maschili hanno il singolare in -o, altri
in - e 11. La distribuzione di questi due morii non è condizionata fo­
nologicamente, come mostra l’esistenza di lessemi come cubo vs.
pube , piede vs. spiedo , sale vs. scialo ecc., nei quali -e od -o occor­
rono in un contesto fonologico identico; la distribuzione non è nean­
che condizionata semanticamente, come mostra l’esistenza di lessemi
come toro vs. bue , cane vs. gatto ecc. In un modello a entità e
disposizioni o a entità e processi, dovremmo stipulare come condizio­
ni contestuali in cui si inserisce l’allomorfo -e o si trasforma la forma
sottostante -o in -e (trasformazione del tutto priva di motivazioni fo­li.

li. Per rendere più rapida l’esposizione, non affrontiamo in questo momento il
caso di nomi maschili invariabili o con singolare in -a.

46 47
4

Flessione e categorie grammaticali

Abbiamo visto nel c a p . 3 che i morfemi grammaticali possono essere


classificati in due tipi: quelli flessivi, che compaiono nelle forme flesse
dei lessemi, e quelli derivazionali, che compaiono in lessemi derivati
da altri lessemi già esistenti. Nonostante per la loro creazione siano
usati mezzi analoghi, però, la formazione di nuovi lessemi e la forma­
zione di forme flesse di lessemi vengono messe in atto per scopi del
tutto diversi.
Nuovi lessemi si creano per denominare nuovi concetti (come au-
tocertificazione, Eurolandia, palestrato, torrentismo), per riferirsi con
un unico lessema a uno stato di cose complesso (come calendarizzare,
singlitudiné), o per esprimere un certo concetto attraverso un lessema
appartenente a una certa parte del discorso (ad esempio, trasforman­
do il verbo ammanettare nel nome d’azione ammanettamelo) T. Ma
perché si producono forme flesse di un lessema?

4.1
Funzioni della flessione

Le forme flesse di un lessema si producono per esprimere una serie


di valori di determinate categorie grammaticali che la grammatica di
una lingua richiede che siano obbligatoriamente espressi. Facciamo
un esempio: in italiano, ogni lessema che appartenga alla classe dei
nomi si presenta necessariamente o in forma singolare o in forma
plurale; ogni lessema che appartenga alla classe dei verbi si presenta
necessariamente in un certo modo, tempo e persona. E importante
sottolineare che questo vale anche per quei lessemi cosiddetti difetti­
vi, quali i nomi pluralia tantum, che non hanno una forma singolare
(come n o z z e ), o i nomi massa (come burro ) e alcuni nomi astrattii.

i. G li esempi di nuovi lessemi sono tratti dal Dizionario delle parole nuovissime
di Quarantotto (2001) e da Gaeta e Ricca (2002).

49
M O R F O L O G IA 4 . FLE SSIO N E E C A T E G O R IE G R A M M A TIC A L I

(come pazien za ), che non sono pluralizzabili, o i verbi difettivi, che valori distingue la formazione di forme flesse di un lessema dalla for­
non hanno alcune forme (come so cco m bere , che non ha un partici­ mazione di nuovi lessemi. La formazione di un nuovo lessema, e l’uso
pio passato, o piovere e gli altri verbi cosiddetti atmosferici, che non di un lessema derivato (o composto) in un certo contesto sintattico,
hanno forme di prima e seconda persona). Nonostante l’assenza nel non sono mai obbligatori: nella frase russa citata da Jakobson, il par­
loro paradigma di alcune delle forme teoricamente possibili per un lante ha scelto di esprimere il concetto di “amico” usando il lessema
lessema appartenente a quella determinata parte del discorso, questi derivato prijatel’ “amico” 2, ma avrebbe altrettanto bene potuto sce­
lessemi quando si presentano in un testo appaiono comunque in una gliere di usare il lessema non derivato drug “amico”. Una volta scelto
forma che porta determinati valori di determinate categorie gramma­ un lessema (semplice, derivato o composto) da usare nella frase in
ticali: non è possibile usare in italiano un nome senza che la forma questione, il parlante non ha però più scelta quanto alla forma flessa
usata sia o singolare o plurale, o usare un verbo senza che la forma di quel lessema da usare in quel determinato contesto, cioè, in questo
usata esprima un determinato tempo e modo e una determinata per­ caso, nel ruolo di complemento di termine: deve usare necessaria­
sona. Alcuni lessemi possono presentarsi privi di forme flesse che mente una forma di dativo (singolare se intende dire che ha scritto a
esprimono determinati valori di determinate categorie (ad esempio, un solo amico, plurale se intende dire che ha scritto a più amici), su
pazien za sembra essere privo della forma che esprime il valore plura­ questo non può scegliere liberamente.
le della categoria numero), ma le loro restanti forme flesse esprimono Per comprendere pienamente questa affermazione, dobbiamo
i restanti valori di quella e delle altre categorie grammaticali che quel­ però approfondire ora il concetto di obbligatorietà dell’espressione di
la parte del discorso obbligatoriamente esprime nella lingua in que­ categorie grammaticali e loro valori.
stione.
Ogni lingua ha una grammatica che rende obbligatoria l’espressio­ 4.2
ne di determinate categorie grammaticali da parte dei lessemi che ap­ Obbligatorietà della flessione:
partengono a determinate parti del discorso. È pensando a questa flessione inerente e flessione contestuale
proprietà delle lingue che il linguista russo-americano Roman Jakob­
son (1896-1982), riprendendo una concezione già espressa dall’antro­ Ci sono tre sensi in cui un valore di una certa categoria grammati­
pologo e linguista tedesco-americano Franz Boas (1858-1942), scrisse cale può dover essere obbligatoriamente espresso dalle forme flesse
che «l’autentica differenza tra le lingue non consiste in ciò che esse di un lessema appartenente a una certa categoria lessicale/parte del
possono o non possono esprimere, ma in ciò che i parlanti devono o discorso.
non devono trasmettere» (Jakobson, 1978, p. 173). Jakobson esem­ Un lessema o una forma flessa possono presentare un certo valore
plifica questa differenza fra lingue nel modo seguente {ibid., con adat­ di una certa categoria inerentemente, cioè senza che questo valore sia
tamento della trad. it. mio): condizionato da niente di esterno al lessema o alla forma in questio­
ne. Ad esempio, in italiano il lessema fo r ch etta è inerentemente di
Q u a n d o un russo dice ja napisal prijatelju “ h o scritto all’/a un am ico ” la d i­
genere femminile, mentre il lessema c o lt e l l o è inerentemente di ge­
stinzione tra il carattere definito o indefinito del com p lem ento (il ~ un) non
nere maschile. Il genere è in italiano una categoria grammaticale che
è espressa, m entre l ’aspetto verbale in dica che la lettera è stata finita e il
gen ere m aschile designa il sesso d ell’am ico. In russo questi concetti, in q u an ­
nei nomi presenta un certo valore inerente, e sempre lo stesso 3. Il
to sono gram m aticali, non p osson o essere om essi nella com un icazion e. A l
contrario se si dom anda a un inglese che ha detto I wrote a frien d se la lette ­
2. Derivato dal verbo oggi obsoleto prijat’ “ accogliere, prendere a cuore, essere
ra è stata finita e se è stata indirizzata a un am ico o a u n ’amica, p u ò darsi bendisposto verso qualcuno” con il suffisso -tei’ che forma nomi d’agente.
che risponda: “fatti gli affari tu o i!” . 3. Fa eccezione un caso come il dito/le dita, dove uno stesso lessema presenta
valori diversi della categoria di genere nella forma singolare e in quella plurale. Su
Possiamo quindi dire che le forme flesse dei lessemi esprimono valori questo tipo di lessemi in italiano cfr. Acquaviva (2002). Altra apparente eccezione è
delle categorie grammaticali obbligatorie nella grammatica della lin­ costituita da coppie di lessemi come cugino /cugina , in cui si ha una stessa radice
usata sia con desinenze femminili che con desinenze maschili. Questi casi sono però
gua cui appartengono.
analizzabili come lessemi diversi, eventualmente legati da una relazione derivazionale
Questa obbligatorietà di espressione di certe categorie o di certi (cfr. Matthews, 1991, pp. 44-9; Thornton, 2004).

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M O R F O L O G IA 4 . F LE SSIO N E E C A T E G O R IE G R A M M A T IC A L I

numero invece non presenta sempre lo stesso valore in un nome ita­ nel controllore. I target di accordo quindi presentano certi valori di
liano: il lessema forchetta presenta la forma singolare forchetta e certe categorie non inerentemente, ma in dipendenza da un altro ele­
quella plurale forchette. Quindi il numero non è una categoria che mento del contesto sintattico, il controllore.
presenti inerentemente un certo valore nei lessemi italiani di categoria L ’accordo è solo uno dei due modi tramite cui determinati ele­
nominale: però ogni forma flessa di un nome italiano presenta ine­ menti si trovano a presentare determinati valori di determinate cate­
rentemente un certo valore della categoria di numero (singolare o gorie non inerentemente ma in dipendenza da un altro elemento; l’al­
plurale). La scelta di parlare di una sola forchetta o di più forchette tro modo è la reggenza. Esempi di reggenza si hanno in (2):
dipende dalla volontà di significare del parlante, non da qualche ele­
mento del contesto sintattico in cui una forma del lessema forchet­ (2) ted esco mit mir
ta verrà usata. Dunque anche il numero è una categoria inerente nei co n p r o n . i s g .d a t .

“ con m e ”
nomi italiani: solo che, mentre il genere è una categoria il cui valore è
fisso per ciascun lessema di categoria nome, e quindi un certo valore ohne mich
nella categoria del genere è inerente all’intero lessema, il numero è senza p r o n .i SG.a c c
una categoria che può assumere diversi valori nelle diverse forme di “ senza d i m e ”

un lessema; un certo valore della categoria numero è quindi inerente


a una certa forma flessa di un lessema di categoria nome, e non al­ In tedesco, la preposizione mit “con” regge il caso dativo, cioè ri­
l’intero lessema. chiede che il sintagma nominale che dipende da essa assuma il valore
Consideriamo ora il sintagma nominale in (i): dativo nella categoria di caso, mentre la preposizione ohne “senza”
regge il caso accusativo. Di conseguenza, il pronome ich “io”, ine­
( i) le forch ette p ic c o le rentemente di prima persona singolare, appare in dipendenza da que­
ste due preposizioni rispettivamente nella forma dativa mir e in quel­
Qui abbiamo tre forme flesse, tutte portatrici del valore [femminile] la accusativa mich. Una forma come mir presenta dunque il valore
della categoria del genere e del valore [plurale] della categoria del [prima singolare] 4 nella categoria persona inerentemente, mentre
numero. Solo che le tre forme hanno acquisito questi valori per moti­ presenta il valore [dativo] nella categoria caso perché è retta dalla
vi diversi. Mentre la forma forchette del lessema forchetta ha il va­ preposizione mit.
lore femminile in quanto questo è il valore di genere inerente al lesse­ Reggenza e accordo sono quindi due diversi modi in cui delle for­
ma forchetta , e il valore plurale in quanto il parlante ha liberamen­ me flesse vengono ad acquisire un certo valore di una certa categoria
te scelto di parlare di più forchette invece che di una forchetta sola, grammaticale contestualmente, cioè in dipendenza da altri elementi
le forme le dell’articolo il e piccole dell’aggettivo piccolo hanno ac­ del contesto sintattico. La differenza tra i due modi sta nel fatto che
quisito i valori di femminile e di plurale per accordo con il nome mentre nell’accordo il controllore presenta lo stesso valore che asse­
forchette che modificano. Articoli e aggettivi non hanno cioè né un gna al target (in le piccole forchette, la forma forchette è femminile e
genere né un numero inerente: le loro forme flesse presentano de­ plurale quanto le e piccole ), nella reggenza il reggente non deve ne­
terminati valori di queste categorie in dipendenza dal valore che la cessariamente presentare lo stesso valore della forma retta: ad esem-
categoria assume nel nome che costituisce la testa del sintagma nomi­
nale in cui essi compaiono.
In ogni fenomeno di accordo è possibile individuare un elemento 4. Come osserva già Lyons (1975, p. 362), «la terminologia tradizionale è piutto­
detto controllore dell’accordo e degli elementi detti target dell’accor­ sto sviarne nel modo in cui rappresenta la combinazione delle categorie di persona e
do. In italiano, per esempio, all’interno di un sintagma nominale il di numero». Abbiamo usato nel testo la caratterizzazione [prima singolare] per como­
dità, in quanto questa è la notazione probabilmente più familiare ai lettori. Per una
nome fa da controllore dell’accordo nelle categorie di genere e nume­
caratterizzazione migliore dei possibili valori della categoria di persona è necessario
ro su target quali aggettivi e articoli. Una certa categoria deve assu­ far riferimento a tratti quali [± emittente], [± destinatario] e altri che riguardano la
mere nei target di una relazione di accordo lo stesso valore che ha quantità e la definitezza dei referenti.

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M O R F O L O G IA 4 . FLE SSIO N E E C A T E G O R IE G R A M M A T IC A L I

pio, in tedesco le preposizioni reggono (o, con terminologia che calca 4-3
quella inglese, governano) certi casi, ma non presentano in sé alcun Panoramica delle categorie grammaticali
valore di caso.
Una stessa forma flessa può presentare diversi valori di diverse ca­ Le lingue possono differire per il tipo e il numero di categorie gram­
tegorie per cause diverse. Si consideri l’esempio in (3): maticali la cui espressione è resa obbligatoria dalla loro grammatica;
inoltre, le lingue possono differire anche per i valori che la loro
(3) latino cum fratre meo grammatica seleziona come esprimibili nell’ambito di una determina­
con fratello, a b l .s g p o s s . i s g .a b l .m a s c h .s g
ta categoria grammaticale; infine, bisogna ricordare che lessemi ap­
“ con m io fratello ” partenenti a diverse parti del discorso si combinano con insiemi di­
versi di categorie grammaticali. In generale, i nomi possono presenta­
Qui la forma fratre presenta il valore maschile nella categoria di gene­ re forme obbligatoriamente flesse per le seguenti categorie: Numero,
re perché il lessema f r a t e r “fratello” è inerentemente di genere ma­ Genere, Caso, Definitezza, Possesso5; i verbi possono presentare
schile; anche il valore singolare nella categoria di numero della forma flessione per Tempo, Aspetto, Modo, Persona, Voce o Diatesi 6; gli
fratre è inerente, non all’intero lessema ma a questa forma, ed è do­ aggettivi possono presentare flessione inerente per Grado (e flessione
contestuale per le categorie espresse sul nome nella lingua cui ap­
vuto alla scelta del parlante di parlare di un solo fratello e non di due
o più; il valore di ablativo nella categoria di caso in fratre invece è partengono).
Per ragioni di spazio, non è possibile presentare qui una panora­
contestualmente determinato, per reggenza da parte della preposizio­
mica completa delle diverse categorie grammaticali esistenti nelle lin­
ne cum, che richiede il caso ablativo nei sintagmi nominali che di­
gue del mondo, e dei loro possibili valori. Per presentazioni intro­
pendono da essa; la forma meo dell’aggettivo possessivo m e u s pre­
duttive su questi temi, rimandiamo a Lyons (1975, cap. 7); Simone
senta il valore di prima singolare nella categoria di persona inerente­
(1990, cap. 9); Graffi e Scalise (2002, pp. 178-86); Stump (1998, pp.
mente, e i valori ablativo nella categoria di caso, maschile nella cate­
26-31). Per presentazioni più approfondite su ciascuna categoria,
goria di genere e singolare nella categoria di numero per accordo con
sono insostituibili i testi della collana “Cambridge Textbooks in Lin-
il nome maschile singolare ablativo fratre. La t a b . 4.1 riassume la si­
tuazione. guistics”: Comrie (1976) sull’aspetto, Comrie (1983) sul tempo, Pal­
mer (2001) su modo e modalità, Corbett (1991) sul genere, Blake
(1994) sul caso, Lyons (1999) sulla definitezza, Corbett (2000) sul nu­
TABELLA 4.1 mero, Siewierska (2004) sulla persona.
Status dei valori di diverse categorie grammaticali nelle forme flesse dell’esempio (3) Qui di seguito presenteremo molto brevemente, a titolo esemplifi­
cativo, tre categorie grammaticali realizzate sui nomi, genere, numero
Forma Categoria Valore o tratto Status del valore/tratto morfosintattico
grammaticale morfosintattico e caso, e i principali tipi di organizzazione in valori che esse possono
fratre
presentare. Queste categorie sono state scelte in quanto rappresentan­
Genere maschile inerente al lessema frater
Numero singolare inerente alla forma flessa fratre
ti abbastanza tipici di tre diversi possibili statuti: il genere come cate­
Caso ablativo determinato contestualmente: retto dalla goria tipicamente inerente ai lessemi di categoria nominale, il numero
preposizione cum come categoria tipicamente inerente alle singole forme flesse dei
meo Persona prima singolare inerente al lessema meus
Genere maschile determinato contestualmente: in accordo
con il lessema frater 3. Secondo alcune analisi, anche diminutivo e accrescitivo possono essere catego­
Numero singolare determinato contestualmente: in accordo rie grammaticali obbligatoriamente espresse nei nomi; per un punto di vista critico su
con la forma fratre questa ipotesi, cfr. Stump (1998, p. 28).
Caso ablativo determinato contestualmente: in accordo 6. Altre categorie grammaticali che possono essere realizzate sul verbo sono illu­
con la forma fratre strate brevemente in Stump (1998, pp. 28-30) e più dettagliatamente in Payne (1997*
cap. 9).

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M O R F O L O G IA 4 . FLE SSIO N E E C A T E G O R IE G R A M M A T IC A L I

nomi, il caso come categoria tipicamente determinata contestualmente In altre lingue, i criteri semantici (che non sono mai del tutto as­
sui nomi. senti nello stabilire a che genere appartengano i nomi di una lingua)
non bastano, e si fa ricorso anche a criteri di ordine fonologico. E
4.3.1. Genere quanto accade in italiano (e nella maggior parte delle lingue roman­
ze), in cui si hanno solo due generi, denominati maschile e femminile
La categoria del genere ha l’effetto di raggruppare i nomi di una lin­ in quanto c’è una forte tendenza a far rientrare nel genere detto ma­
gua in diverse classi, in base a caratteristiche del loro significato, del schile i nomi che si riferiscono a maschi e nel femminile i nomi che si
loro significante o di entrambi. riferiscono a femmine 8. Nel caso di nomi astratti e di nomi che si
Questa categoria è lungi dall’essere universale: molte lingue (come riferiscono a entità inanimate, dunque prive di sesso, il genere è spes­
l’ungherese, il turco, il cinese) ne sono prive, altre la presentano solo so assegnato in base a criteri fonologici: si tende a assegnare il femmi­
per i lessemi che occupano i gradi più alti nella gerarchia di anima- nile ai nomi in -a, e il maschile ai nomi in -o, come mostra il diverso
tezza (ad esempio l’inglese, che presenta forme flesse per genere solo genere di due nomi semanticamente molto vicini quali il mango e la
nei pronomi ma non nei nomi) 7. papaia.
I criteri in base ai quali i nomi di una lingua si raggruppano in Tra i criteri di tipo fonologico, possono essere alla base dell’at­
diversi generi possono essere di tipo semantico o di tipo formale; tra tribuzione di un genere a un nome vari aspetti del suo significante,
i criteri di tipo formale si possono distinguere criteri di ordine morfo­ come i fonemi iniziali o finali, o la struttura prosodica. Ad esempio,
logico (ad esempio, assegnazione di un certo genere ai nomi apparte­ in qafar (lingua della famiglia cuscitica parlata a Gibuti e nell’Etiopia
nenti a una certa classe di flessione) e criteri di ordine fonologico nord-orientale) sono maschili i nomi che terminano in vocale atona o
(cfr. Corbett, 1991, pp. 7-69). in consonante, e femminili i nomi che terminano in vocale accentata
Tra i criteri di tipo semantico, i più diffusi sono l’animatezza, la (cfr. ivi, p. 51).
razionalità e 1 umanità del referente, il sesso dei referenti umani e al­ Una lingua può presentare un sistema di assegnazione del genere
tamente animati, la forma (ad esempio, allungata o tondeggiante) dei basato su criteri sia semantici che fonologici; una base semantica sem­
referenti inanimati e varie caratteristiche culturalmente salienti, quali bra essere sempre presente, e mentre esistono lingue (come il tamil)
essere un potenziale cibo, essere un’arma, essere un’entità potenzial­ nelle quali l’assegnazione di genere ai nomi si effettua esclusivamente
mente pericolosa. su base semantica, non paiono esistere lingue che assegnino il genere
Facciamo qualche esempio. In tamil (lingua della famiglia dravidi- sempre e soltanto su base fonologica. Se in una lingua entrambi i tipi
ca, parlata in India sud-orientale e Sri Lanka; dati da Corbett, 1991; di criteri trovano applicazione, in caso di conflitto di solito i criteri
pp. 8-11) i nomi sono divisi in tre generi: maschile razionale, femmi­ semantici prevalgono. Ad esempio, in qafar la parola che significa
nile razionale, e non-razionale; al maschile razionale appartengono i “padre”, abbà, termina in vocale accentata, e quindi dovrebbe essere
nomi che si riferiscono a uomini e divinità di sesso maschile (come femminile in base al criterio fonologico enunciato sopra, ma di fatto è
Shiva), al femminile razionale quelli che si riferiscono a donne e di­ maschile a causa del suo significato (cfr. ivi, p. 52).
vinità di sesso femminile (come Kali), e al genere irrazionale i nomi Il genere non necessariamente è espresso da un morfo specifico
che si riferiscono a animali ed entità inanimate e astratte. In tamil segmentabile nel significante di un nome: in molti casi, il genere di
l’unico criterio per stabilire il genere di un nome è di tipo semanti­ un nome si può scoprire solo esaminando la forma dei target che si
co; la forma fonologica del nome non ha influenza sull’assegnazione accordano in genere con il nome controllore. Ad esempio, in italiano
del genere. i nomi che al singolare terminano in -e sono in parte maschili e in
parte femminili: il significante di uno di questi nomi non esprime in

7. La gerarchia di animatezza classifica elementi nominali e pronominali secondo


il grado di animatezza percepita nel loro referente. Una versione largamente condivisa 8. La tendenza è forte ma non assoluta, come mostra l’esistenza di lessemi quali
della gerarchia di animatezza è la seguente (tratta da Corbett, 2000, p. 56): parlante il soprano (nome di genere maschile che si riferisce a persone di sesso femminile) e la
( ia persona) > ascoltatore (2“ persona) > terza persona > parente > umano > ani­ sentinella, la recluta (nomi di genere femminile che si riferiscono, o almeno si sono
mato > inanimato. Sulla gerarchia di animatezza cfr. Comrie (1983, cap. ix). riferiti per la maggior parte della storia dell italiano, a persone di sesso maschile).

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4 . F LE SSIO N E E C A T E G O R IE G R A M M A T IC A L I
M O R F O L O G IA

modo scoperto (ingl. overt) il genere del lessema, che è però inerente al largo della costa della Nuova Irlanda). L ’organizzazione della cate­
al lessema in modo coperto (ingl. covert), e viene allo scoperto solo goria di numero in queste due lingue è stata schematizzata da Cor­
quando il lessema in questione entra in una relazione di accordo. Si bett (ivi, pp. 41-2) nel modo illustrato in f ig . 4.1.Il
osservino i dati in (4):
FIGURA 4.1
I valori della categoria di numero in sursurunga e in lihir
(4) 1-a vest-e n u ov-a
ART.DET-FEMM.SG v e s te -s c nuoVO-FEMM.SG

l-o sciall-e n u ov-o


ART.DET-MASCH.SG SCÌalle-SG nuOVO-MASCH.SG

Il genere di veste e scialle appare evidente solo osservando le forme


assunte dagli articoli e dagli aggettivi che si accordano con questi
nomi, non osservando il nome stesso. Gli esempi mostrano anche che
il valore del genere è inerente nei lessemi di categoria nome, mentre è
contestualmente determinato nelle forme degli articoli e degli aggetti­
vi che si accordano con il nome.

4.3.2. Numero nei nomi e nei pronomi

La categoria di numero ha l’effetto di dare informazioni sul numero


di entità cui un nome o un pronome fa riferimento.
Nota·, nello schema relativo al sursurunga si corregge un refuso presente nella fig. 2.7 di C orbet (2000, p. 42).
Le lingue del tutto prive della categoria di numero sono pochissi­
me (cfr. Corbett, 2000, pp. 30-1). Le lingue che comprendono questa
categoria nel loro inventario di categorie grammaticali possono diffe­ Il duale si usa per far riferimento a due referenti, il triale per tre refe­
rire sia per il tipo di lessemi nei quali la categoria è obbligatoriamen­ renti, il paucale per un numero indefinito ma piccolo di referenti, il
te espressa, sia per 1 insieme di valori che la categoria può assumere. plurale per un numero di referenti maggiore di quello individuato dal
In generale, se la categoria non è obbligatoriamente espressa su tutti i precedente valore esistente nella lingua (quindi, per un numero di refe­
lessemi di categoria nominale e pronominale, essa è espressa sui lesse­ renti maggiore di uno in italiano, maggiore di due in sanscrito (che ha
mi che si collocano più in alto nella gerarchia di animatezza. singolare e duale), maggiore di pochi in sursurunga e in lihir). In sur­
La categoria di numero può essere organizzata secondo sistemi di surunga si presentano due tipi di paucale, usati per riferirsi a piccoli
valori di diversa ricchezza e complessità. Una prima distinzione va gruppi di entità, di diversa estensione: in generale, il paucale maggiore
fatta tra lingue che presentano una forma flessa detta “generale”, che si usa per un gruppo comprendente più elementi di un altro, per il
permette di nominare certe entità senza dare obbligatoriamente infor­ quale è usato il paucale: si può ad esempio usare il paucale per la
mazioni sul numero dei referenti, e lingue che presentano solo forme famiglia nucleare, e il paucale maggiore per la famiglia allargata.
flesse che devono obbligatoriamente esprimere un’informazione sulla
quantità dei referenti nominati. I valori possibili della categoria di nu­ 4.3.3. Caso
mero, quando essa è espressa, variano da due, nel caso a noi più fa­
miliare di bipartizione tra singolare (un solo referente) e plurale (più La categoria di caso espressa sui nomi e sui pronomi dà informazioni
di un referente), a un massimo di cinque. Sistemi assai ricchi di di­ sulla funzione sintattica o sul ruolo semantico svolto dal nome o dal
stinzioni sono quelli del sursurunga (lingua oceanica parlata nel sud pronome nella frase.
della Nuova Irlanda, isola della Papua Nuova Guinea) e del lihir (lin­ I valori della categoria di caso sono di solito classificati in due
gua oceanica parlata nell’isola omonima e in altre piccole isole situate sottogruppi a seconda della funzione che svolgono. La terminologia

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usata da diversi autori per denominare i due tipi di funzioni possibili Tom-am Doris-aq cingallrua
Tom-ERG Doris- a ss salutò
per i casi è molto varia: in sostanza, la distinzione importante è tra
“T om salutò D oris”
valori che permettono di segnalare la funzione sintattica che un nome
ricopre nella frase (soggetto, oggetto, oggetto indiretto o modificatore
Il valore di caso assegnato ai nomi che hanno la funzione di oggetto
di un nome), e valori che segnalano invece il ruolo semantico che il
indiretto è detto dativo, e il valore assegnato a nomi che modificano
referente del nome svolge nella situazione descritta da una frase (luo­
altri nomi è detto genitivo.
go, strumento, o altro).
Un valore di caso è assegnato ai nomi o ai pronomi che costitui­
I valori di tipo sintattico dei casi possono essere organizzati se­ scono argomenti del verbo sempre in maniera contestuale: il verbo
condo diversi sistemi, a seconda di quali funzioni sintattiche siano assegna un certo valore di caso al suo soggetto, un altro al suo ogget­
raggruppate insieme e segnalate da un certo valore 9. to ed eventualmente all’oggetto indiretto; anche molte preposizioni ri­
I due sistemi principali sono detti (dal nome dei valori dei casi chiedono un particolare caso nel sintagma nominale che reggono (si
principali di ciascun sistema) sistema nominativo-accusativo e sistema vedano gli esempi (2) e (3) commentati sopra).
ergativo-assolutivo. Tra i valori di caso che segnalano non il ruolo sintattico di certi
In un sistema nominativo-accusativo, i nomi che hanno la funzio­ nomi, ma il loro ruolo semantico (e la cui assegnazione dunque può
ne di soggetto, sia di verbi transitivi che di verbi intransitivi, ricevono essere inerente, non contestuale), si hanno lo strumentale e i diversi
il valore nominativo, mentre i nomi che svolgono la funzione di og­ casi che esprimono valori locativi (numerosi, per esempio, nelle lin­
getto dei verbi transitivi ricevono il valore accusativo. gue della famiglia ugrofinnica).
In un sistema ergativo-assolutivo, invece, il caso assolutivo è asse­
gnato al soggetto dei verbi intransitivi e all’oggetto dei verbi transiti­
vi, mentre il soggetto dei verbi transitivi riceve il caso ergativo. Esem­
pi dei due sistemi sono dati in (5):

(5) a. Sistem a n om in ativo-accusativo: latino


lu p-u s dorm it
lupo-NOM dorm e
“ un/il lu p o d o rm e ”

agn-us dorm it
agnello-NOM dorm e
“ u n /l’agnello d o rm e ”

lu p-u s agn -u m videt


lupo-NOM agn ello-A C c v ed e
“un/il lu p o v e d e u n /l’agn ello ”

b. Sistema ergativo-assolutivo: eschimese yup’ik (lingua eschimese-aleu-


tina parlata in Alaska; dati da Payne, 1997, p. 135)
Doris-aq ayallruuq
Doris-Ass viaggiò
“Doris viaggiò”

9. Per un approfondimento di questa tematica si veda almeno Comrie (1983,


cap. vi).

60 61
5

Entità problematiche

In questo capitolo, proseguendo un discorso cominciato nel c a p . 3,


faremo una sintetica panoramica di alcuni problemi riguardanti il
concetto di morfema che si presentano in modelli che partono dall’i­
potesi della completa segmentabilità delle forme flesse dei lessemi in
morfemi, intesi come segni linguistici minimi biplanari.

5 ·1
Morii unici

Se definiamo un morfema come un segno linguistico minimo, che


presenta una corrispondenza stabile e ricorrente tra un significato e
un significante, si pone una questione: quanto ricorrente deve essere
questa corrispondenza, perché si sia autorizzati a identificare un
morfema?
L ’esempio storicamente più discusso riguarda dati quali quelli in
(1):

(1) blackberry “mora”


blueberry “mirtillo (frutto del Yaccinium myrtillusY
cranberry “mirtillo rosso, vite d’orso (frutto del Yaccinium vitis
idaea)”

In (1) riusciamo ad identificare vari morii ricorrenti in varie combina­


zioni in inglese: innanzitutto il morfo lessicale berry, che ricorre in
tutti e tre i lessemi e significa qualcosa come “bacca, frutto di bo­
sco” ; poi i morii lessicali black “nero” e blue “blu” , che ricorrono in
infinite combinazioni in inglese. Ma che cos’è l’elemento cran-ì Que­
sto elemento non ricorre in nessun’altra parola dell’inglese. Come
possiamo quindi assegnargli un significato?
Nel caso di cran- siamo di fronte a un morfo che ha un signifi­
cante ben individuabile, ma del quale non si riesce ad individuare il

63
M O R F O L O G IA 5 . E N T IT À p r o b l e m a t ic h e

significato. L ’esistenza di morii come cran- è problematica per l’ipote­ morfemi; né si può ipotizzare che tutti i diversi residui costituiscano
si che le parole siano interamente composte di morfemi intesi come ciascuno un morfo unico, non tanto per l’antieconomicità e la scarsa
associazioni stabili e ricorrenti tra un significato e un significante: plausibilità intuitiva di quest’ipotesi, ma perché non si riesce ad iden­
cran- non è un’associazione ricorrente, si trova solo in un unico lesse­ tificare un significato per ciascuno di questi residui. Quindi non ci
ma dell’inglese b Un morfo di questo tipo viene chiamato morfo resta che riconoscere che /gl/, nonostante ricorra all’inizio di diversi
unico. lessemi dell’inglese il cui significato contiene un riferimento all’idea di
luce, non è un morfo, non rappresenta un morfema che significhi
5-2 “luce”.
Submorfemi Elementi come /gl/ sono stati chiamati fonestemi dal linguista
britannico John Rupert Firth (1890-1960; cfr. Firth, 1933). U lingui­
Osserviamo i dati in (2). Si tratta di una serie di lessemi dell’inglese sta austriaco Wolfgang U. Dressler inquadra i fonestemi nella catego­
(da Bloomfield, 1933, p. 245): ria più generale dei submorfemi, e definisce un submorfema come
una parte di un morfema dotata di significato (Dressler, 1990, p. 33).
(2) glow “splendore, luccichio”
Qualche submorfema si può individuare nei fonemi iniziali di alcuni
giare “bagliore, luce abbagliante”
gleam “barlume” pronomi personali italiani: si può ad esempio considerare un submor­
gloaming “crepuscolo” fema con il valore di “2a persona singolare” la /t/ che compare nelle
glimmer “barlume, luccichio” forme tu/ti/te, senza che però questa forma possa essere considerata
glint “scintillio” morfema, dato che ai residui non può essere assegnato un significato
(ad esempio, non esiste nessuna forma dell’italiano che presenti un
In base alle glosse fornite, possiamo riconoscere in tutti questi lesse­ elemento /u/ con il significato di “soggetto”).
mi un elemento semantico comune, che si ricollega all’idea di luce. E
riconosciamo anche, confrontando i significanti di questi lessemi, una
5-3
sequenza iniziale comune /gl/. Possiamo dunque dire che /gl/ è un Morii vuoti
morfo, il significante di un morfema che significa “luce”? Si tratta in
fondo di un’associazione ricorrente - almeno nei diversi lessemi pre­
Consideriamo le forme in (3):
sentati in (2) - tra un significato e una sequenza di fonemi. La mag­
gior parte degli studiosi, tuttavia, è d’accordo nel non riconoscere un (3) a. amo temo dormo
morfema rappresentato dal morfo /gl/ e che significhi “luce”. Il moti­ b. amavo temevo dormivo
vo è che nelle forme in (2), se eliminiamo la sequenza /gl/, ciò che
resta non è mai un morfo riconoscibile e che abbia un significato in­ Analizzando le forme in (3a), possiamo individuare quattro morii, tre
dividuabile, che si combini con quello di /gl/ per dare il significato lessicali e uno grammaticale, illustrati in (4):
globale del lessema. In altre parole, il residuo del lessema, una volta
eliminato /gl/, non è analizzabile in morii che siano rappresentanti di1 (4) morii lessicali: am-
“significato lessicale di amare ”
“significato lessicale di temere”
tem-
dorm- “significato lessicale di dormire”
1. I morii unici all’interno della tradizione dello strutturalismo nordamericano
morfo grammaticale: -o “ ia persona singolare”
sono riconosciuti come rappresentanti di morfemi in base al terzo comma del sesto
dei principi di identificazione dei morfemi di Nida (1949, pp. 58-9): «A morpheme is A questo punto, possiamo provare ad analizzare le forme in (3b). Ri­
isolatable if it occurs under thè following conditions: 1. In isolation; 2. In multiple troviamo i morii lessicali e il morfo grammaticale già individuati nelle
combinations in at least one of which thè unit with which it is combined occurs in
forme in (3a), più altre tre sequenze, -av-, -ev- e -iv-, che in qualche
isolation or in other combinations with nonunique constituents; 3. In a single combi-
nation provided thè element with which it is combined occurs in isolation or in other modo portano il significato di “imperfetto”. Un’ipotesi è dunque che
combinations with nonunique constituents». le forme in Qb) contengano i morii in (3):

64 65
M O R F O L O G IA 5 . E N T IT À P R O B L E M A T IC H E

(5) Ipotesi su ll’analisi delle form e in Ì3b) morfi lessicali: am- “ significato lessicale di a m a r e ”
tem- “ significato lessicale di t e m e r e ”
m orii grammaticali: -av- “im p e rfetto ” dorm- “ significato lessicale di d o r m ir e
-ev- “im p e rfetto ” morfi grammaticali: ~o “ i a persona singolare”

-iv- “im p e rfetto ” -V- “ im p e rfetto ”


-te “ 2“ persona p lu rale”
entità da definire: -a-
L ’ipotesi in (5) presenta però più di un aspetto insoddisfacente: in -e~
primo luogo, i tre morii ipotizzati hanno un elemento comune, -v-\ in «p»
-i-
secondo luogo, la loro distribuzione non è fonologicamente condizio­
nata: infatti i morii lessicali che li precedono terminano tutti in -m-, Le entità non ancora ben definite ipotizzate in (8), dette tradizionalmen­
quindi non è certo dal contesto fonologico che può dipendere la dif­ te vocali tematiche, hanno alcune proprietà dei morfi: hanno un signifi­
ferenza tra le vocali che precedono -v- nei tre morii ipotizzati in (5). cante stabile e occupano (si dispongono in) una posizione precisa nelle
Consideriamo poi le forme in (6): forme in cui compaiono (seguono immediatamente il morfo lessicale).
Manca loro però un’altra proprietà dei morfi: il significato. Il significato
(6) am ate tem ete dorm ite
di una forma come amavo “i a persona singolare dell’imperfetto di am a ­
r e ” è interamente ricostruibile a partire dal significato dei soli morfi les­
sicali e grammaticali individuati in (8), come vediamo in (9):
Qui ritroviamo i tre morii lessicali am-, tem- e dorm- già individuati
(cfr. (4)), seguiti dalle sequenze -ate, -ete e -ite, che in qualche modo (9) Analisi in morfi di amavo “ i a persona singolare dell’imperfetto di a m a r e ”
devono segnalare il significato di “2a persona plurale”. Potremmo al­
lora ipotizzare che le forme in (6) contengano, oltre ai morii lessicali m orfo significato
in (4), i morii grammaticali in (7): am “ significato lessicale d i a m a r e ”
a ?
v “im p erfetto ”
(7) Ipotesi sull’ analisi delle form e in (6)
o “ i a persona singolare”

m orii gram m aticali: -ate “ 2 1* p ersona plu rale”


La vocale tematica -a- che appare tra am- e -v- è dunque un elemento
-ete “ 2 a persona plu rale”
privo di significato. Ma è pur sempre un’entità fisicamente presente
-ite “2 a persona p lu rale”
in forme flesse come amavo, amate ecc. In un modello a entità e di­
sposizioni, l’esistenza di casi come questo porta necessariamente ad
L ’ipotesi in (7)presenta però gli stessi aspetti indesiderabili di quella ammettere che possano esistere in certi casi dei morfi privi di signifi­
in (5). Inoltre, confrontando i morii grammaticali ipotizzati in (5) con cato. L ’ipotesi che esistano morfi privi di significato, detti anche mor­
quelli ipotizzati in (7) si vede subito che un elemento comune ai tre fi vuoti, d’altra parte, indebolisce l’ipotesi che le forme flesse siano
morii di ciascun gruppo (in (5) -v- e in (7) -te) è preceduto sempre interamente costituite da una concatenazione di morfemi intesi come
da una delle tre vocali -a-, -e- e -i-, e che nello stesso verbo si trova segni linguistici biplanari, unione indissolubile di un significante e un
sempre la stessa vocale: -a- in am a r e , -e- in tem ere , -i- in dorm ire . significato.
Dunque le ipotesi in (5) e (7) sono poco economiche: ipotizzano Pur rimanendo nell’ambito di un modello a entità e disposizioni,
tre allomorfi diversi sia per “imperfetto” che per “2a persona plura­ sono possibili analisi alternative dei dati in (3b) e (6). Ne menzione­
le”, e oscurano la generalizzazione che in ciascuna serie di allomorfi remo qui brevemente due.
c’è sempre un elemento comune preceduto da una vocale che si ri­ Una prima alternativa consiste nell’ipotizzare che le vocali temati­
trova anche nell’altra serie. che non siano morfi vuoti, anzi non siano affatto morfi, ma parte dei
Un’analisi alternativa dei dati presentati in (3) e (6) è quella in morfi lessicali dei verbi. L ’analisi delle forme in (3b) e (6) sarebbe
(8 ) : allora la seguente:

66 67
M O R F O L O G IA 5 . E N T IT À PRO B L E M A TIC H E

m orii lessicali: ama- “ significato lessicale di a m a r e ”


5-4
teme- “ significato lessicale di t e m e r e ”
Morii zero
dormi- “ significato lessicale di d o r m i r e ’
m orii grammaticali: -0 “ i a persona singolare”
Nel paragrafo precedente abbiamo esaminato un caso di significante
-v- “im p e rfetto ”
~te “ 2 a persona p lu rale”
privo di significato, detto anche morfo vuoto. In questo paragrafo ve­
dremo invece un caso opposto, quello di un significato privo di si­
Questa analisi è attualmente quella che gode di maggior credito nel­ gnificante.
l’ambito di modelli a lessemi e paradigmi (cfr. c a p . 7). Dal punto di Osserviamo i dati in (12). Si tratta delle forme flesse del lessema
vista di un modello a entità e disposizioni, però, il suo difetto è la kniga “libro” in russo:
proliferazione di allomorfi dei morfemi lessicali: ogni verbo si trova
(12) Caso singolare plurale
ad avere almeno due allomorfi, uno con vocale tematica e uno senza:
nominativo kniga knigi
am- e ama-, tem- e teme-, dorm- e dormi- ecc. I due allomorfi di que­ genitivo knigi knig
sto tipo sono tradizionalmente denominati rispettivamente radice e dativo knige knigam
tema di un verbo 2. accusativo knigu knigi
La seconda analisi alternativa consiste nell’ipotizzare che le vocali strumentale knigoi knigami
tematiche non siano morii privi di significato, ma che abbiano invece prepositivo knige knigach
un significato, come illustrato in (11):
I dati in (12) presentano diverse particolarità, su cui dovremo soffer­
m orii lessicali: am- “ significato lessicale di a m a r e ” marci tra breve ma che per il momento possiamo trascurare 3: quello
tem- “ significato lessicale di t e m e r e ” che ora ci interessa rilevare è che in tutte queste forme è ben indivi­
dorm- “ significato lessicale di d o r m i r e ’
duabile un morfo lessicale, knig-, che ha il significato di “libro ”, se­
m orii grammaticali: -0 “ i a persona singolare”
guito in genere da un morfo grammaticale che racchiude in sé uno
-V- “ im p erfetto ”
dei valori possibili in russo nella categoria grammaticale di caso e uno
-te “ 2 a persona p lu rale”
-a- “ 1 co n iu ga zio n e”
dei valori possibili in russo nella categoria grammaticale di numero.
-e- “11 co n iu g a zio n e”
Alcuni dei morii individuabili sono elencati in (13):
-i - “in co n iu g a zio n e”
(13) m orfo valore
-a n om inativo singolare
Che le vocali tematiche segnalino a quale coniugazione appartiene un
-i gen itivo singolare
verbo è innegabile. Tuttavia, è difficile sostenere che “1 coniugazione”
-oi strum entale singolare
sia un significato grammaticale paragonabile a “imperfetto” o “2* per­ -ami strum entale plurale
sona plurale”: dire che le vocali tematiche sono morii il cui significato
è “i/ii/m coniugazione” significa modificare la nozione di significato e
confondere due livelli, quello delle proprietà morfosintattiche (quali Ma osserviamo attentamente la forma del genitivo plurale: in questa
“imperfetto”, “seconda persona” ecc.) e quello delle classi di flessione forma, knig, il morfo lessicale knig- non è seguito da alcun morfo
(quali “1 coniugazione” ecc.). Vedremo invece (cfr. infra, c a p . 7) che grammaticale! Eppure questa forma ha il significato di “genitivo plu­
in un modello a parole e paradigmi i due livelli delle proprietà mor­ rale di k n ig a ”. Sembra dunque che possano esistere situazioni in cui
fosintattiche e delle classi di flessione rimangono separati.
3. Ad esempio, l’omonimia tra le desinenze del dativo e del prepositivo singola­
2. Questa proliferazione di allomorfi può essere evitata nell’ambito di un mo­ re, entrambe -e, e tra le desinenze del genitivo singolare, del nominativo plurale e
dello a entità e processi, ipotizzando che tutte le forme verbali siano basate sul tema, dell’accusativo plurale, tutte -z; inoltre, il fatto che un unico morfo esprime contempo­
e che la vocale tematica si cancelli in determinati contesti. Torneremo a parlare di raneamente un valore della categoria di numero e uno della categoria di caso. Su que­
questa ipotesi nel par. 8.7. ste caratteristiche, cfr. infra, par . 5.10.

68 69
M O R F O L O G IA 5 . E N T IT À P R O B L E M A T IC H E

certi va lo ri d i certe ca tego rie gram m aticali so n o espressi senza l ’ausi­ n o . R ico n o sc ia m o in vece u n m o rfem a co n sign ifican te 0 e significato
lio d i un m o rfo d o ta to d i c o rp o fo n ico . Il fen o m en o è stato osservato, “ g en itiv o p lu ra le ” nel n o m e russo, p e rc h é in n o m i d iversi d a kniga il
p ro p rio in riferim en to al caso d el g en itiv o p lu ra le n e lle lin g u e slave, g en itiv o p lu ra le è espresso da m o rii co n u n sign ifican te p ien o , co m e
g ià d a Saussure: n el clg leg g iam o c h e «la lin gu a p u ò co n ten tarsi d el­ si v e d e d ai d ati in (14):
l ’o p p o sizio n e d i q u a lch e co sa co n n ien te» (clg 124), e n elle fo n ti m a ­
n om inativo singolare gen itivo plurale
n o scritte «P as b eso in d ’a vo ir to u jo u rs figu re a co u stiq u e en regard
kniga knig “lib r o ”
d ’u n e idée. Il suffit d ’u n e o p p o sitio n et o n p e u t avoir x/zéro»
stol stol-ov “tavolo
(14 4 1-14 4 2 B E n gler, cit. in D e M a u ro , 1970, n o ta 182).
cast’ cast-ej “ p a r te ”
P e r an alizzare un caso co m e kn ig “ g en itiv o p lu ra le d i kniga ” in
u n m o d e llo a entità e d isp o sizio n i siam o co stretti ad am m ettere che D ’ altra p a rte, in u n m o d e llo a en tità e d isp o sizio n i è n atu rale an ch e
esistan o d ei m orfem i p rivi d i sign ifican te o, c o n term in o lo g ia saussu- ip o tiz za re c h e la fo rm a flessa sin golare d ei n o m i inglesi co n ten g a un
riana, a sign ifican te zero . P e r riferirsi a q u esti casi è in uso a n ch e la m o rfo ze ro , in q u a n to n o n si riesce a sp iegare altrim en ti la presen za
fo rm u la morfo zero. Q u e s ta fo rm u la so tto lin ea l ’assenza di u n m orfo d e l tratto d i “ sin g o la re” in qu este fo rm e. In u n m o d e llo a p a ro le e
là d o v e c e ne asp etterem m o uno: n o rm alm en te, in u n a fo rm a flessa di p a ra d igm i, in v ece, n o n p resen ta d iffico ltà ip o tiz za re ch e u n a cella del
u n n o m e russo, il m o rfo lessicale è se gu ito d a u n m o rfo g ram m atica­ p a ra d igm a sia o c cu p a ta d a una fo rm a c h e è fo n o lo g ica m e n te id en tica
le, m a nella fo rm a d el g en itiv o p lu ra le no: d icia m o allora ch e nella alla rad ice d e l lessem a (cfr. cap . 7).
fo rm a d el g en itiv o p lu ra le ab b ia m o u n m o rfo zero.
O v v ia m e n te , a n ch e l ’ip o tesi d e ll’esisten za d ei m o rii ze ro in d e b o li­ 5-5
sce il m o d e llo a en tità e d isp o sizio n i e l ’ip o tesi d ella co m p le ta ana- Morii discontinui
lizza b ilità d elle fo rm e in m orfem i bip lan ari: i m o rii ze ro h a n n o una
d is p o s iz io n e 4 senza essere u n ’en tità, e h a n n o u n sign ificato senza C o n sid e ria m o le fo rm e flesse v e rb a li d el te d e sco in (15). In (i^ a) a b ­
avere u n significante. b ia m o le fo rm e d ella p rim a p erso n a sin go lare d el p resen te in d icativo
U n p ro b le m a ch e si p resen ta u n a v o lta accettata l ’ip o tesi c h e esi­ e in (i^ b ) le fo rm e d el p a rticip io passato d ei tre v e rb i sehen “ ved e-
rfe” , g e b e n “ d a r e ” e LESEN “ l e g g e r e ” :
stano m o rii ze ro è p o i q u ello d i c o m e evitare la p ro lifera zio n e di
m o rii ze ro n e lle n o stre analisi. Se accettia m o ch e knig “ g en itiv o p lu ­ (15) a. (ich) sehe “v e d o ” b. gesehen “visto
rale d i kniga ” si p ossa an alizzare c o m e “kniga + 0 ” , p e rc h é non (ich) ge b e “d ò ” gegeben “ d a to ’
d icia m o ch e le fo rm e in glesi cat “ sin go lare d i c a t ” e dog “ sin golare (ich) lese “le g g o ” gelesen “le tto ’
d i d o g ” si an alizzan o risp ettivam en te c o m e “cat + 0 ” e “d o g +
Analizzando le forme in (i^a), riusciamo facilmente a isolare i morii
0 ” , co sì co m e cats “ p lu ra le d i c a t ” e dogs “ p lu ra le d i d o g ” si ana­
in (16):
lizza n o co m e “cat + s ” e “dog + s ” ?
P e r d istin gu ere tra casi in cu i si p u ò ip o tiz za re la p resen za d i un (16) morii lessicali: seh “v e d e re ”
m o rfo ze ro d a casi in cu i n o n è p rese n te a lcu n m o rfo è stato p r o p o ­ geb “ d a re”
sto u n criterio . Sostan zialm en te, si è co n v e n u to ch e u n m o rfem a non les “leggere”

p u ò essere rap p resen ta to d a 0 in tu tte le su e o cco rren ze: p e r qu esto m orfo gram m aticale: -e “ i a persona singolare”

n o n rico n o sciam o un m o rfem a co n sig n ifican te 0 e sign ificato “ sin g o ­


I m o rii lessicali in d ivid uati si ritrovano n elle fo rm e in (i^ b ), m a q u i q u e­
la r e ” n el n o m e inglese, p e rc h é n o n esiste alcu n n o m e in glese in cu i la
sti m o rii son o circon d ati d a altri d u e elem enti: ge- p reced e il m o rfo lessi­
p ro p rietà “ sin g o la re ” sia m an ifestata d a u n m o rfo a sign ifican te p ie ­
cale e -en lo segue. E l ’insiem e d i questi d u e elem enti ch e p o rta il si­
g n ifica to d i “ p a rticip io p a ssato ” : in un m o d ello ad entità e disposizioni,
d o b b ia m o d ire ch e ge- e -en costitu iscon o u n ’u n ica entità, d u n q u e un
4. Si suppone che i morii zero occupino, all’interno delle forme in cui compaio­
no, la stessa posizione dei morii pieni con cui alternano: quindi, ad esempio, il morfo u n ico m orfo, ch e è aggiun to in u n o stesso m om en to al m o rfo lessicale, e
zero che indica “genitivo plurale” in russo è un suffisso e non un prefisso, perché d isp osto, p er co sì dire, in to rn o ad esso. U n m o rfo d i questo tip o è stato
tutti i morii pieni di caso in russo sono suffissi. ch iam ato morfo discontinuo, in qu an to il suo significante n o n si d ispone

70 71
M O R F O L O G IA 5 . E N T IT À PR O B L E M A TIC H E

in un unico punto in una forma, ma in punti diversi: il significante di un 5.6


morfo discontinuo è interrotto da quello di altri m orii5. Morii non completamente specificati
Un altro caso di morii discontinui è costituito dai morii lessicali e
da alcuni morii grammaticali delle lingue semitiche. Osserviamo i dati Osserviamo i dati in (19). Si tratta di forme singolari e plurali di ver­
in (17), forme singolari e plurali di alcuni nomi dell’arabo (dati da bi in samoano (lingua austronesiana parlata nelle isole Samoa; i dati
McCarthy, Prince, 1990, pp. 218-24) 6: sono tratti da Broselow, McCarthy, 1983, p. 30):

(17) arabo: singolare plurale singolare b. plurale

ju n d u b janaadib “lo c u sta ” taa tataa “ co lp ire”


sultaan salaatiin “ su ltan o ” n ofo n o n o fo “sedersi”
cingaal canaagiil “fo rch etta” m oe m o m oe “ dorm ire

Se si analizzano questi dati in base a un modello a entità e disposizio­ Qual è il morfo di plurale nelle forme in (i9b)? Osservando bene i
ni, si giunge ad isolare dei morii lessicali discontinui e almeno un dati, riusciamo a renderci conto che il plurale si forma copiando una
morfo grammaticale discontinuo, con il valore di plurale, come vedia­ parte del morfo lessicale del singolare, una parte che potremmo de­
mo in (18) 7: scrivere come i primi due fonemi, o anche come la prima sequenza
(18) m orii lessicali
cv, e anteponendo l’entità che risulta da questo processo di copiatura
alla forma del singolare 9. Questa analisi dà conto dei dati in (19), ma
“locusta” è molto difficile conciliarla con un modello di morfologia a entità e
LlTIjlJ LAI Lhl disposizioni. Che entità è il pezzo copiato? Si tratta di un’entità il cui
significante è molto sottospecificato: si sa che esso ha la struttura cv,
ma quali debbano essere la consonante e la vocale che appaiono nel
“sultano” plurale di ogni determinato lessema dipende completamente da qual
lir L L T lL T ld è il significante del morfo lessicale di quel lessema. Il plurale in sa­
moano si esprime quindi attraverso un morfo non completamente
“forchetta” specificato, che acquisisce la sua forma solo in relazione a ogni speci­
b Π η I IκI Iil fico morfo lessicale con cui si combina.
Morii non completamente specificati del tipo visto sono abbastan­
morfo grammaticale za frequenti: per convenzione, per indicare il loro significante indi­
pendentemente dal singolo elemento lessicale in cui si collocano si
“plurale”8 usa il simbolo k e d , abbreviazione della parola inglese reduplicarti·, in
italiano il termine generalmente usato per indicare questo tipo di
morii è “raddoppiamento” . Il significante di un morfo di raddoppia­
5. Un morto grammaticale discontinuo che circondi una radice con un elemento
mento è definito in termini di categorie prosodiche: può trattarsi di
prefissale e uno suffissale è detto anche circonfisso o ambifisso.
6. Si segue la trascrizione riportata nella fonte dei dati. una sillaba, di una sillaba minima (cv), di un piede ecc. Inoltre, il
7. Per la rappresentazione dei morii discontinui dell’arabo adottiamo la rappre­ contenuto segmentale di questo significante non è sempre del tutto
sentazione grafica “ a pettine” proposta da Simone (1990, pp. 137-8). I morii gramma­ non specificato: ad esempio, il raddoppiamento che si trova nel per-
ticali discontinui delle lingue semitiche sono a volte detti transfissi o, con termini
meno raccomandabili perché in tradizioni di studi diverse assumono significati diversi,
anche interfissi o confissi (cfr. Berruto, 1997, p. 54). 9. In realtà, considerando anche altri dati, Broselow e McCarthy mostrano che il
8. La vocale /i/ che compare nel morfo grammaticale discontinuo di plurale ha la morfo di forma c v si prefissa non all’intera forma del singolare, ma alla sua sillaba
stessa lunghezza dell’ultima vocale del singolare (quindi è breve nel plurale di jundub accentata, che può anche non essere la sillaba iniziale: ad esempio, il plurale di alofa è
e lunga nel plurale di sultaan e cmgaal). alolofa.

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M O R F O L O G IA 5 . E N T IT À PR O B L E M A TIC H E

fetto dei verbi greci ha la forma di una sillaba c v in cui la vocale è esprimono rispettivamente il valore “singolare” e quello “plurale”
sempre /e/ (dunque è specificata), mentre la consonante è determina­ della categoria di numero:
ta dalla radice: ad esempio, παιδεύω “educare” ha il perfetto πεπαί-
δευκα, mentre λύω “sciogliere” ha λέλυκα. (21) a. Ipotetici morii lessicali discontinui in inglese
Anche l ’esistenza di morii non completamente specificati è proble­
matica sia per un modello di morfologia a entità e disposizioni che per
l’ipotesi che le parole siano interamente analizzabili in morfemi che
rappresentano corrispondenze stabili tra significanti e significati. Il
morfema di plurale in samoano associa a un significato stabile, “plura­
le” , significanti indefinitamente vari (praticamente, un significante di­
verso in ogni diverso lessema). Inoltre, questo morfo non compieta-
mente specificato difficilmente può essere concepito come un’entità
che esiste in un qualche elenco o repertorio di entità, e che deve solo
essere disposta nel luogo opportuno per formare le forme flesse che b. Ipotetici morii grammaticali infissi in inglese
comprendono il significato di cui essa è portatrice: la costruzione stessa
di questa entità richiede un’operazione di copia a partire dall’entità del -00- “singolare”
morfo lessicale con il quale essa si deve combinare. -ee- “plurale”
Una situazione come questa sembra testimoniare quindi che per
A questo punto, dovremmo dire che -ee- è un allomorfo del morfema
formare forme flesse nelle diverse lingue non sempre basta disporre
delle entità preesistenti: a volte è necessario compiere delle operazio­ di plurale dei nomi in inglese, al pari di /iz/, /s/, /z/ e -en. Si tratta
ni che formano le entità da disporre. E evidente che in questo caso infatti di cinque morii che hanno diverso significante ma identico si­
un modello a entità e processi è più adatto di uno a entità e disposi­ gnificato. Ma ipotizzare questa allomorfia presenta almeno un proble­
zioni a render conto dei fenomeni in gioco. ma nell’ambito di un modello a entità e disposizioni, perché le cinque
entità hanno, all’interno delle forme di cui fanno parte, una diversa
5-7 disposizione: mentre /iz/, /s/, /z/, e -en sono suffissi, cioè si dispon­
Morii sostitutivi gono dopo il morfo lessicale, -ee- è un infisso, che interrompe il mor­
fo lessicale. Dunque la distribuzione dei diversi allomorfi non è pa­
Osserviamo i dati in (20). Si tratta delle forme flesse singolari e plura­ rallela, e questo è un problema per un modello che opera esclusiva-
li di alcuni nomi dell’inglese. mente con entità e disposizioni.
L ’analisi proposta in (21) presenta anche un altro problema, in
singolare b. plurale quanto prevede l’esistenza di un morfo con il valore di “singolare”
che può essere sostituito da quello di plurale: ma un morfo di singo­
foot feet “piede’
tooth teeth “dente lare non ha paralleli in altre forme dell’inglese (a meno di non voler
goose geese « » analizzare tutte le forme flesse singolari dei nomi dell’inglese come
oca
contenenti un morfo zero). Molti autori hanno quindi preferito ana­
Qual è il morfo di plurale in (2ob)? Rispondere a questa domanda lizzare plurali del tipo di f e e t come creati attraverso la sostituzione
adottando un modello a entità e disposizioni è veramente difficile. La della sequenza < o o> presente nel singolare da parte della sequenza
soluzione più sensata in base a questo modello consiste comunque < ee >. F e e t sarebbe quindi formato aggiungendo all’entità f o o t un
nel sostenere che si hanno dei morii lessicali discontinui, quali quelli morfo sostitutivo (in inglese, rep la civ e m o rp h : cfr. Hockett, 1954, p.
in (21 a), e che all’interno di questi morii lessicali discontinui appaio­ 223), consistente nel rimpiazzare < ee> con < o o > . E evidente che
no i morii grammaticali in (2ib) (detti tradizionalmente infissi), che un fenomeno di questo tipo è difficilissimamente analizzabile in base

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M O R F O L O G IA 5 . E N T IT À PR O B L E M A TIC H E

a u n m o d e llo a en tità e d is p o s iz io n iIO*, m en tre si p resta b e n e a essere n e d i alcun a entità, m a p iu tto sto l ’elim in azion e d i u n ’entità, e n o n di
d escritto (oltre ch e attraverso un m o d e llo a p a ro le e parad igm i) attra­ u n ’entità m orfem atica, m a d i u n sem p lice fonem a.
verso u n m o d e llo a en tità e p rocessi, n el q u a le u n a fo rm a co m e fe e t N e ll’am b ito d i m o d e lli ad entità e d isp o sizio n i casi co m e /p ia/
p u ò essere an alizzata co m e risu ltato d i u n p ro c esso fo n o lo g ic o (di an- son o stati an alizzati co m e fo rm a ti d alla co n ca ten a zio n e d el m o rfo le s­
terio rizza zio n e e d ela b ia lizza zio n e d ella vo ca le) a p p lic a to a ll’entità sicale / p ia i/ e d i u n m o rfo d etto sottrattivo (in in g lese, subtractive:
fo o t, senza b iso g n o d i p o stu la re m o rii d isco n tin u i, infissi, o en tità ad cfr. H o c k e tt, 1934, p. 224). È ev id en te p e rò c h e q u i siam o d i fro n te a
h o c co m e i m o rii sostitu tivi. p u ri virtu o sism i term in o log ici. Il ra p p o rto tra fo rm e sin go lari fem m i­
n ili e m asch ili d i aggettivi in fra n cese è m o lto m eg lio d escriv ib ile in
5·8 u n m o d e llo a en tità e p ro cessi, p a rte n d o d a ll’ip o tesi c h e la form a
Morii sottrattivi fem m in ile c o in cid a co n la fo rm a so g gia cen te d el m o rfo lessicale, e
ch e la m asch ile d erivi d a essa tram ite un p ro c e sso d i tro n cam en to
Un problema estremo per un modello a entità e disposizioni è rap­ d ella co n so n an te finale.
presentato da fenomeni quali quello illustrato dai dati in (22), forme
singolari maschili (22a) e femminili (22b) di aggettivi in francese (dati 5-9
da Bloomfield, 1933, p. 217): Morii soprasegmentali

(22) a. m aschile b. fem m inile U n u lteriore ca so p ro b le m a tic o p er i m o d elli a en tità e d isp o sizio n i è
rap p resen tato d a fo rm e flesse n elle q u ali d iversi va lo ri d i catego rie
/p ia / plat / p la t / piatte “ p ia tto ” gram m aticali so n o segn alati c o n m e zzi co sid d e tti n o n con caten ativi.
/1ε/ laid / le d / laide “b r u tto ” U n a classe im p o rtan te d i d ati è rap p resen tata da casi in cu i un
/lo / long / lo g / longue “lu n g o ” certo v a lo re d i una ca tego ria è segn alato co n m e zzi sop rasegm en tali,
/b a / bas /b a s / basse “b a sso ”
m an ip o la n d o c io è la stru ttu ra p ro so d ica d i u n a fo rm a base.
/fr e / frais / fr e / / fraiche “ fresco ”
Alcuni esempi sono elencati in (23):
O sse rv an d o le trascrizion i fo n o lo g ich e d i qu este fo rm e, si v e d e ch e la
(23) a. italiano
fo rm a fem m inile presenta sem p re un fo n em a in p iù d i q u ella m aschile:
m a possiam o d ire ch e q u esto elem en to costitu isce u n m o rfo d i fem m i­ tem a verbale terza persona singolare del passato rem oto
nile? A m m etterlo p rese n tereb b e m olti p rob lem i. In n an zitu tto , la distri­ tem e- tem è
b u zio n e di q u esti ip o tetici m o rii n o n sareb b e p reve d ib ile in b ase ad senti- sentì
alcun p rin cip io fo n o lo g ico : tutti i fo n em i con son an tici fin ali d i form e
b . tiv (lingua nigero-con golese parlata in N igeria; dati da R oca, 1994,
fem m inili sin golari d i aggettivi si p resen tan o d o p o vo ca li, e d o p o una p. 28) 11
stessa vo ca le p o sso n o p resentarsi con son an ti diverse: ad esem p io , si ha
/led / vs. /freJV. L a so lu zion e p iù intu itivam ente sod d isfacen te consiste base m o r fo d e l p a s sa to p ro ss im o fo rm a flessa d i p a s sa to p ro ssim o
n e ll’ip o tizza re ch e n o n sia il fem m in ile a form arsi p e r aggiu n ta al m a­
L H L H
schile d i un m o rfo m on o co n so n a n tico la cu i n atu ra fo n o lo g ica è im pre-
d icib ile, m a sia in vece il m asch ile a form arsi p e r tro n cam en to d e ll’u lti­
m a co n son an te del fem m inile. Q u e sta idea, intu itivam ente corretta, è v e n d e “ rifiu ta re ” ven de
p erò praticam en te in esp rim ib ile n e ll’am b ito d i u n m o d e llo a entità e
disposizioni: p e r form are il m aschile n o n avrem m o infatti la d isp o sizio ­
r i. Utilizziamo qui il sistema di rappresentazione dei toni corrente in fonologia.
Le lettere L e H indicano rispettivamente un tono basso (inglese Low) e un tono alto
(inglese High). I toni sono collegati alle vocali sulle quali sono realizzati da linee, det­
10. Hockett (1954, p. 224) scrive che un’analisi in termini di morii sostitutivi «is te linee di associazione. Per un approfondimento, si rimanda a De Dominicis (2003,
not valid» nell’ambito di un modello a entità e disposizioni. gap . 7), e a Nespor (1993, ca p . 5).

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M O R F O L O G IA 5 . E N T IT À P R O B L E M A TIC H E

In (233) vediamo come in italiano la terza persona singolare del pas­ T A B E LLA 3 .1
Non corrispondenza biunivoca tra significati e significanti nella struttura di forme
sato remoto dei verbi della terza coniugazione e di alcuni verbi della
flesse
seconda si realizzi non aggiungendo materiale segmentale (fonemi) al
A livello sintagmatico A livello paradigmatico
tema verbale, ma assegnando l’accento alla sillaba che contiene la vo­
cale tematica. Corrispondenza “molti Segnalazione cumulativa, Omonimia tra forme flesse
a uno” (molti significati amalgama
In (23b) vediamo come la forma del passato prossimo in tiv si
«-» un significante)
realizza assegnando un tono alto alla seconda sillaba della base: si
Corrispondenza “uno Segnalazione molteplice, Allomorfia lessicalmente
può sostenere che in tiv il morfema che ha il significato di passato
a molti” (un significato segnalazione estesa 0 grammaticalmente
prossimo ha come significante non un fonema o una sequenza di fo­ molti significanti) condizionata
nemi, ma un elemento soprasegmentale, un tono alto, che si realizza
su uno dei fonemi contenuti nella base verbale.
Per analizzare queste forme flesse tramite un modello ad entità e mini più comunemente adottati per denominarla (sui quali cfr. an­
disposizioni si deve ipotizzare che il tono o l’accento costituiscano un che Matthews, 1991, cap. 9).
morfo soprasegmentale. Vediamo ora degli esempi di ciascun caso.

5.10.1. Amalgami
5 ,1 0
Non biunivocità delle corrispondenze tra significati
e significanti in flessione Per l’illustrazione dei casi di corrispondenza “molti a uno” tra si­
gnificati (valori di categorie grammaticali) e significanti (morii)
Nei paragrafi precedenti abbiamo passato in rassegna una serie di flessivi ci serviremo del paradigma di un nome latino, il lessema
fenomeni assai diffusi nelle lingue del mondo, che si presentano a lupus “lupo”, riportato in (24) I2:

vario titolo come problematici per un modello a entità e disposi­


zioni. In quasi tutti i casi visti finora, però, valeva comunque un forma flessa numero caso glossa
certo isomorfismo tra componenti del significato e componenti del
lu p u s singolare nominativo “lupo” usato come soggetto di
significante di una forma, cioè una corrispondenza “uno a uno” una frase
tra morii e tratti morfosintattici, nonostante l’esistenza di morii lu p i singolare genitivo “del lupo”
zero, discontinui, non completamente specificati, sostitutivi o so­ lu p o singolare dativo “al lupo”
prasegmentali. lu p u m singolare accusativo “lupo” usato come compì, og­
In questo paragrafo vedremo invece un’altra serie di fatti pro­ getto di una frase
blematici per modelli che ipotizzino che ciascun valore di una ca­ lu p e singolare vocativo forma allocutiva (“oh lupo! ”)
tegoria grammaticale sia un’entità separata e dotata di un suo si­ lu p ó singolare ablativo forma del lessema usata, even­

gnificante. Una sintesi dei tipi di fenomeni in questione è stata tualmente unita a preposizioni,

proposta da Carstairs. Carstairs (1987, pp. 12-8) osserva come per diversi complementi

spesso si presenti in forme flesse, invece di una corrispondenza lu p i plurale nominativo


“uno a uno” tra significati e significanti, una corrispondenza “uno lu p ó r u m plurale genitivo
a molti” o “molti a uno” , dal punto di vista sintagmatico e/o pa­
radigmatico. La tab . 3.1 riassume i tipi di deviazioni possibili dal­
l’ideale modello di corrispondenza “uno a uno” tra significati e 12. Trascriviamo le parole latine seguendo le convenzioni ortografiche normal­
significanti (cioè tra significati lessicali e morii lessicali e tra tratti mente usate per questa lingua: il trattino sopra una vocale indica che la vocale è fono­
morfosintattici e morii grammaticali), indicando per ciascuna i ter- logicamente lunga (quindi, ad esempio, < I> indica /i:/).

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M O R F O L O G IA 5 . E N T IT À PR O B L E M A TIC H E

lupls plurale dativo significato “dativo plurale” è omonimo di quello che porta il signifi­
lupós plurale accusativo cato “ablativo plurale” .
lupi plurale vocativo Questa omonimia non è di per sé un problema insormontabile: in
lupls plurale ablativo
fondo, in tutte le lingue esistono omonimie tra lessemi e/o tra loro
singole forme, e l’ambiguità che ne deriva è quasi sempre facilmente
Se proviamo a segmentare in morii le forme flesse di lupus, riuscia­
sciolta grazie al contesto di occorrenza delle forme omonime.
mo facilmente ad isolare un morfo lup- che rappresenta un morfe­
Il problema è un altro: in un modello che consideri i morfemi di
ma lessicale (radice) con il significato di “lupo” , ma non riusciamo
numero e caso come entità, un’omonimia come quella tra le forme di
altrettanto agevolmente a separare in ogni forma una porzione di si­
dativo plurale e di ablativo plurale non può che essere spiegata come
gnificante che porti uno dei valori della categoria di numero e
una casualità, al pari di quella tra due lessemi (come tempus “tempo”
un’altra porzione che porti uno dei valori della categoria di caso. e tempus “tempia”, lessemi latini omonimi in tutte le loro forme fles­
Le informazioni di numero e caso si presentano invece amalgamate,
se) o tra le radici di due lessemi (come i verbi italiani marciare e
ed espresse insieme, in modo cumulativo, inscindibilmente l’una marcire, che hanno entrambi la radice /martJV). Questa omonimia
dall’altra, da un morfo non ulteriormente segmentabile in parti do­ però si ritrova in tutti i dativi e ablativi plurali del latino, quale che
tate di significato: osserviamo che -t significa “genitivo singolare”, sia il loro significante, come illustrano i dati in (25), tratti da Safare-
senza che possiamo riconoscere un elemento che significhi “geniti­
wicz (1969):
vo” e uno che significhi “singolare”: infatti un elemento /i:/ non è
presente in nessuna delle altre forme che hanno il valore singolare declinazione lessema dativo plurale ablativo plurale glossa
della categoria di numero, e nemmeno nell’altra forma che ha il va­ 1 rosa rosls rosls rosa

lore di genitivo nella categoria di caso, il genitivo plurale lupórum, I dea deàbus deàbus 13 dea
lupus lupls lupls lu p o
dove è tutto il suffisso -drum che porta amalgamati i due valori di II
II deus dls dls dio
genitivo e plurale.
III réx régibus régibus re
Non riusciamo quindi a isolare, segmentando le forme flesse di
III auris auribus auribus orecchia
lupus, una porzione di significante che corrisponda al significato “va­
III p up pis p u p p ib u s p u p p ib u s poppa
lore genitivo della categoria di caso”, né riusciamo a isolare due altre ni vis vlribus vlribus forza
e diverse porzioni di significante che corrispondano ai significati “va­ in sùs subus subus m aiale
lore singolare della categoria di numero” e “valore plurale della cate­ HI bos bu bu s bubus bue
goria di numero”. Nel paradigma di questo lessema latino (così come IV tribus tribubus tribubus tribù

nel paradigma del lessema russo kniga visto nel par. 5.4), i diversi rv manus m anibus m anibus m ano
dom ibus dom ibus casa
valori delle categorie di numero e di caso si presentano sempre amal­ mista dom us
V diés diébus diébus giorno
gamati in uno stesso morfo: un morfo di questo tipo è detto amalga­
ma o esponente cumulativo.
L ’identità tra la forma del dativo plurale e quella dell’ablativo plurale
rappresenta quindi ima vera e propria condizione soddisfatta da tutti
5.10.2. Omonimie
i paradigmi nominali latini, e non un’omonimia casuale tra due forme
flesse di un lessema. Questo tipo di fenomeno può essere spiegato se
I dati in (24) si prestano ad illustrare anche una seconda deviazione si assume un modello a parole e paradigmi, che ipotizzi l’esistenza di
dall’ideale della corrispondenza biunivoca tra significati e significanti p a ra d ig m i come entità dotate di una propria struttura, di una propria
all’interno di forme flesse. Si osservino le forme del dativo e dell’a­ autonomia e di proprie caratteristiche (cfr. infra, cap . 7). Invece in
blativo: sia nel singolare che nel plurale, esse sono identiche. L ’amal­
gama che porta il significato “dativo singolare” è omonimo di quello
che porta il significato “ablativo singolare”, e l’amalgama che porta il 13. Forma non standard ma ben attestata, cfr. Safarewicz (1969, p. 124).

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modelli che facciano a meno della nozione di paradigma, come quelli (27) a. segmentazione in morii di e le ly k e t e
a entità e disposizioni e a entità e processi, la completa identità tra la e le ly k e te
forma del dativo plurale e quella dell’ablativo plurale di tutti i nomi b. corrispondenze tra morii e tratti morfosintattici
del latino, nonostante la differenza di desinenza tra nomi appartenen­
e le ly k e te
ti a classi di flessione diverse, apparirebbe solo come una coincidenza
casuale. passato perfettivo perfettivo perfettivo indicativo 2a persona
“sciogliere” attivo attivo plurale
passato attivo
5.10.3. Segnalazione estesa o molteplice di uno stesso valore

L ’analisi c o n d o tta p e r g iu n g ere al risu ltato p resen tato in (27) co n si­


Abbiamo visto due casi di corrispondenza “molti a uno” tra significa­
ste, co m e o g n i segm en tazio n e in m orii, n e l c o n fro n to d ella fo rm a in
ti e significanti in forme flesse. Vediamo ora casi di corrispondenza esam e co n altre fo rm e p a rzialm en te u gu a li e p a rzialm en te d iv erse nel
“uno a molti”, dove uno stesso significato grammaticale (cioè un va­ sign ifican te e n el sign ificato, p e r scop rire co rrisp o n d e n ze reg o lari tra
lore di una categoria grammaticale) è espresso (da solo o in sovrap­ d iversità n e l significante e d iversità n e l significato. U n p rim o c o n fro n ­
posizione con altri valori di altre categorie) da più morii. to p u ò essere q u ello in (28):
Ci serviremo per l’illustrazione di questo fenomeno di un esempio
classico, la cui analisi dettagliata è stata effettuata da Matthews (1991, (28) e le ly k e t e “avevate sciolto”
pp. 172-81; cfr. già 1979, pp. 172-77). Si tratta della forma flessa ver­ e le ly k e m e n “avevamo sciolto”
bale del greco classico in (260), che presenta i valori elencati in (26b) e le ly k e s a n “avevano sciolto”

delle categorie grammaticali espresse dalle forme verbali del greco I4:
Dal confronto tra queste tre forme possiamo ipotizzare che il morfo
a. e le ly k e t e “avevate sciolto” -te porti (cumulativamente, amalgamati) i significati di seconda perso­
na e di plurale. Per verificare questa ipotesi, possiamo procurarci dati
b. Lessema l y :o “sciogliere”
su altre forme di seconda persona plurale di un verbo greco, quali
Persona: seconda
Numero:
quelle in (29):
plurale
Tempo: passato
(29) a. ly :e te “sciogliete, state sciogliendo”
Aspetto: perfettivo (pe <rfc+M
b. e ly : e te “scioglievate, stavate sciogliendo”
Modo: indicativo
c. e lé ly s t h e “eravate stati sciolti”
Voce: attivo

A ttra v erso l ’esam e d elle fo rm e in (29) v e rifich ia m o ch e effettivam en te


V e d ia m o o ra ch e c o rrisp o n d e n ze si m ostra n o tra i d iversi va lo ri d elle -te co m p are in altre fo rm e d i se co n d a p erso n a p lu rale, m a so lo se
ca tego rie gram m aticali p rese n ti in q u esta fo rm a e i m orii ch e la c o m ­ q u este fo rm e h a n n o an ch e il v a lo re attivo nella ca tego ria d ella voce:
p o n g o n o . A n tic ip ia m o in (27) la so lu zio n e d e ll’analisi, ch e sv o lg e re ­ n e lla fo rm a p assiva (29C) n o n tro via m o p iù -te m a -sthe (p er ragion i
m o in seguito: d i sp azio, n o n esp o n iam o q u i i ragion am en ti ch e c o n d u c o n o alla se g ­
m en ta zio n e della d esin en za in (29C); i le tto ri interessati p o tra n n o v e ri­
ficarla co n su lta n d o una q u a lu n q u e gram m atica d e l g re c o classico).
14. Questa forma nella tradizione grammaticale scolastica italiana è detta “secon­ D u n q u e , il m o rfo -te n o n in d ica so lo (in m o d o cu m u lativo) i v a lo ­
da persona plurale del piuccheperfetto debole attivo”. La posizione dell’accento in ri d i se co n d a p erso n a e d i p lu rale, m a cosegn ala an ch e il fa tto ch e la
tutte le forme citate nell’analisi è prevedibile in base alla fonologia del greco, e non
fo rm a in cu i co m p are è d i v o c e attiva, cio è p o rta an ch e il v a lo re di
entra quindi in gioco nel segnalare determinate proprietà morfosintattiche. Una forma
alternativa per l’espressione degli stessi valori grammaticali è elely keite, forma attestata attivo nella ca tego ria v o ce . N o n è p e rò il solo m o rfo a p o rta re q u esto
in dialetti attici in epoca posteriore a quella in cui è attestata la forma elely kete ana­ va lo re, all’in tern o d ella fo rm a elelykete·. a n ch e il m o rfo -k-, ad esem ­
lizzata nel testo (cfr. Pieraccioni, 1983, p. 176). p io , co seg n ala ch e la fo rm a flessa v e rb a le in cu i co m p are è d i v o ce

82 83

V
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attiva, in quanto, come verifichiamo osservando i dati in (30), appare segnalato sia dal prefisso cosiddetto di aumento e- (assente nelle for­
in tutte le forme perfettive attive (3oa-b), ma non in quelle medio­ me non passate, come (29a), sia dalla -e- che compare tra -k- e la
passive Qoc-d): desinenza di persona/numero (mentre nelle forme di presente perfet­
tivo - tradizionalmente detto perfetto -, come (3oa), compare nella
(30) a. lelykamen “ ab b iam o scio lto ” stessa posizione la vocale -a-) I5. La vocale -e- segnala anche il modo
b. leljkoimen “ avessim o sciolto ” indicativo (non compare infatti nelle forme di ottativo come (3ob)) e
c. lyómetha “siam o scio lti”
la voce attiva (non compare nelle forme medio-passive come (290) e
d. lyoimetha “fossim o sciolti”
(3oe-d)).
L ’insieme di dati finora considerati ci porta a scoprire un altro tipo
5.10.4. A llo m o rfia lessicalm en te o gram m aticalm en te
di corrispondenza non biunivoca tra significati e significanti, cioè tra (p arad igm aticam en te) co n d izio n a ta
tratti morfosintattici e morii, nelle forme flesse. Il valore “attivo” nel­
la categoria “voce” è segnalato da (almeno) due morii diversi nella L ’u ltim o caso d i n o n co rrisp o n d en za b iu n iv o ca tra va lo ri d i catego rie
forma e le ly k e te : -te e -k-. Una situazione di questo tipo è stata defini­ gram m aticali e lo r o esp o n en ti all’in tern o d i fo rm e flesse ch e ci rim ane
ta da Matthews segnalazione estesa (e x te n d e d e x p o n e n c e ): la segnala­ d a illu strare è q u ello classificato d a C arstairs c o m e co rrisp o n d en za
zione di un certo valore di una certa categoria (qui il valore attivo “ u n o a m o lti” a liv ello p a ra d igm a tico . Si tratta d e l caso in cu i u n o
della categoria voce) è estesa a più parti di una forma flessa, invece di stesso sign ificato è ve ic o la to d a sign ifican ti d iversi in d iversi lessem i o
essere limitata a un solo morfo (che la segnali in modo cumulativo o in fo rm e d iverse d i u n o stesso lessem a.
meno). Ha dunque esponenti molteplici in una forma flessa; questa Nei dati precedentemente esaminati sono già presenti molti casi
situazione è quindi denominata spesso anche segnalazione molteplice di questo tipo. A d esempio, gli amalgami di persona/numero del gre­
(m u ltip le e x p o n e n c e ). Inoltre, la situazione presentata dal valore “atti­ co sono espressi da morii diversi nelle forme verbali attive e in quelle
vo ’ nella forma e le ly k e te configura anche una situazione che è stata passive, come appare dai dati già presentati in (28-30) e ricapitolati in
definita da Matthews ov erla p p m g e x p o n e n c e , cioè “segnalazione so­
(31):
vrapposta”. Matthews insiste nel distinguere questo caso da quello
della segnalazione cumulativa o amalgama, nel quale una certa cate­ (^ ϊ ) attivo m edio-passivo
goria si presenta sempre fusa con un’altra e non è segnalata in alcun prim a persona plurale -men -metha
altro modo che attraverso l’amalgama di cui fa parte, come avviene seconda p ersona plurale -te -sthe
per le categorie di numero e caso nel nome latino - cfr. gli esempi in
A llo m o rfie d i q u esto tip o n o n so n o lim itate ai m o rii gram m aticali, m a
(24) il valore attivo della voce nelle forme greche esaminate invece
si p resen tan o a n ch e nei m o rii lessicali. T r a i d ati g re c i esam inati p o c o
si sovrappone in morii diversi a valori diversi di categorie diverse
fa, tro via m o l ’altern an za tra le d ue fo rm e /ly/ e /ly:/ d ella rad ice d el
(persona e numero in -te, aspetto in -k -), quindi la sua espressione è
lessem a ly :0 “ sc io g lie re ” . A ltr i casi d i qu esto tip o so n o stati già illu ­
solo parzialmente cumulata con quella di altre categorie, sovrapposta
strati nel par. 3.5. Q u e s to argo m en to sarà rip reso an ch e n el par.
ma non completamente fusa con esse, mentre nel nome latino l’e­
spressione di numero è completamente cumulata con quella di caso, e 7.2.
viceversa.
Nella forma e le ly k e te troviamo vari altri casi di segnalazione este­
sa o molteplice. Il valore perfettivo dell’aspetto è segnalato sia dalla
presenza di -k- - assente nelle forme imperfettive in (29a-b) -, sia
dalla presenza della radice -ly- con vocale breve (mentre le forme im­ 13. Come osserva Matthews (1991, p. 172), sia -e- che -a- compaiono prima delle
desinenze di persona/numero anche in altre forme e con altri valori, ma nell’ambito
perfettive in (29a-b) hanno la radice -ly:- con vocale lunga), sia dal dell’opposizione tra presente perfettivo e passato perfettivo l’opposizione -a-t-e- è co­
prefisso di raddoppiamento -le- — anch’esso assente nelle forme im­ stante e sistematica, e quindi è legittimo sostenere che -e- cosegnali il valore passato
perfettive in (29a-b) -. Il valore passato della categoria di tempo è nelle forme del passato perfettivo (tradizionalmente detto piuccheperfetto).

84 85
6

Morfologia e sintassi

N e i c a p ito li p re ce d e n ti a b b ia m o illu strato alcun i d e i p ro b le m i e d elle


n o z io n i fo n d a m e n tali rig u ard an ti la stru ttu ra in tern a d elle p a ro le. A
q u e sto p u n to po ssiam o ferm a rci u n attim o a riflettere su u n a q u e ­
stio n e ch e n o n a b b ia m o an co ra esp licitam en te tem atizzato : la stru ttu ­
ra in tern a d elle p a ro le è d i natura d iversa da q u ella d e i sin tagm i e
d elle frasi? L a risp osta n o n è ovvia. D i fatto, u n a gran p a rte d i stu ­
d io si, in tu tto il co rso d e l ve n tesim o se co lo , ha o p e ra to co n m o d e lli
ch e n o n p re v e d e v a n o u n a d istin zio n e d i natura tra m o rfo lo g ia e sin ­
tassi, c io è tra stru ttu ra d e lle p a ro le e struttura d ei sin tagm i e d elle
frasi.

6.1
Indistinzione tra morfologia e sintassi

I d u e m od elli a entità e d isp o sizio n i e a en tità e p ro cessi n a sco n o


c o m e m o d e lli d e ll’in tera gram m atica, e n o n d ella sola m orfo log ia.
D a to lo sc o p o d e l p resen te vo lu m e, nella nostra esp o sizio n e ci siam o
lim itati a illu strare i d u e m o d elli n e lle im p lica zio n i ch e h a n n o p er la
m o rfo lo g ia ; tuttavia, b iso g n a ten er p rese n te c h e n e ll’in ten zio n e d i
m o lti stu d io si ch e li h a n n o svilu p p a ti e adottati en tra m b i i m o d elli
p o te v a n o e d o v eva n o essere u tilizzati a n ch e p er i livelli d i analisi su ­
p e rio ri a q u ello della parola. L ’a rtico lo di C h a rles F. H o c k e tt
(1916-2000) ch e n el 1954 h a fa tto p e r p rim o il p u n to su lle d ifferen za
tra i d u e m o d e lli si in tito la n o n a ca so Tw o m odels o f gram matical
description, e co n tien e d iscu ssion i d i fa tti sin tattici tan to q u a n to di
fa tti m o rfo lo g ici. H o c k e tt ca ratterizza il m o d ello a en tità e d isp o sizio ­
n i (in in glese, item s an d arrangement, a b b rev ia to i a ) n el m o d o se ­
g u e n te (H o ck e tt, 1954, p. 212):

The essence of i a is to talk simply of things and thè arrangements in which


those things occur [...]. One assumes that any utterance in a given language

87
M O R F O L O G IA 6 . M O R F O L O G IA E SIN TASSI

consists w h o lly o f a certain n u m b er o f m inim um gram m atically relevant d e ­ m in u s , d o m in i, d o m i n ò ecc.; cfr. clg 174-3). Quindi, nella dimensio­
m ente, called m orphem es, in a certain arrangem ent relative to each other. ne associativa, Saussure riconosce implicitamente un ruolo privilegia­
T h e structure o f thè utterance is sped iteci b y stating th è m orphem es and thè
to a quella sottoparte di segni che sono parole. Nella dimensione sin­
arrangement.
tagmatica, invece, come si è appena mostrato, Saussure non riconosce
alla parola un ruolo privilegiato, come entità a metà strada tra il se­
Si n o ti ch e n e l b ra n o a p p e n a cita to H o c k e tt n o n n o m in a m in im a ­
gno minimo e il sintagma. Conseguentemente, egli non sembra rico­
m e n te la p a ro la co m e co stitu e n te rile v a n te p e r la d e sc riz io n e d ella
noscere la morfologia come livello di analisi autonomo
g ra m m a tica d i u n a lin gu a: eg li assu m e c h e i m o rfe m i e la lo r o d i­
Q u i si d elin ea u n a q u estio n e fo n d a m e n tale, ch e è in u ltim a analisi
sp o sizio n e b a stin o a re n d e r c o n to d ella stru ttu ra d e g li e n u n cia ti (in
u n a q u estio n e em pirica: la co m b in a zio n e d i unità c h e d an n o lu o g o a
in g le se u t t e r a n c e ), sen za p a ssare p e r en tità d i liv e llo in te rm e d io q u a ­
p a ro le o b b e d isc e agli stessi p rin c ip i d ella c o m b in a zio n e d i u n ità ch e
li le p a ro le.
d a n n o lu o g o a sin tagm i e a frasi?
A n c h e B lo o m fie ld assum eva u n m o d e llo ch e o p era in m o d o del
S e la risp o sta è sì, la m o rfo lo g ia , in tesa co m e d iscip lin a c h e ha
tu tto p a ra llelo n e ll’analisi d i p a ro le e d i sintagm i. L ’u n ica d ifferen za
c o m e o g g e tto d ’in d a gin e la stru ttu ra in tern a d elle p a ro le, n o n esiste;
fra i d u e o rd in i è ch e le p a ro le p o sso n o avere co m e co stitu en ti dei
se la risp osta è n o, la m o rfo lo g ia esiste, e allo ra d o b b ia m o sc o p rire in
m o rfe m i legati, m en tre i sin tagm i so n o co stitu iti d a m orfem i lib eri
ch e co sa le o p e ra zio n i ch e si c o m p io n o p e r fo rm a re p a ro le d iffe ri­
(B lo o m field 1935, p. 207):
sc o n o d a q u elle ch e si co m p io n o p e r fo rm a re sin tagm i e frasi.
A q u esta q u estio n e si è ce rca to d i d are u n a risp o sta lu n g o tu tto il
B y thè m o rp h o lo g y o f a lan gu age w e m ean thè constructions in w h ich b o u n d
form s appear am ong thè constituents. B y definition, th è resultant form s are
c o rso d ello sv ilu p p o della teo ria lin gu istica o g g i p iù d iffu sa n e l m o n ­
either b o u n d form s or w ords, b u t n ever phrases. A cco rd in gly, w e m ay say d o , la gram m atica g en erativa, ch e h a a vu to o rig in e n egli ann i cin ­
that m o rp h o lo g y includes th è constructions o f w ords and parts o f w ords, q u a n ta d el x x se co lo con il la v o ro d el lin gu ista n o rd a m eric a n o N o a m
w h ile syntax includes thè construction o f phrases. C h o m sk y . S u lle p o sizio n i d i C h o m sk y , e d ella lin gu istica g en era tiv a in
g en ere, ci so fferm erem o a b b a sta n za a p p ro fo n d itam en te , in q u a n to c o ­
A n c h e nella teo ria saussuriana n o n è n ecessariam en te im p lica ta u na stitu isco n o u n p u n to d i riferim en to p e r la g ra n d e m ag g io ran za dei
d ifferen za d i n atu ra tra m o rfo lo g ia e sintassi. In q u esta teoria, il p r i­ lin gu isti o g g i attivi, a n ch e p e r c o lo ro ch e n o n le c o n d iv id o n o in tutto
m itiv o è un segn o b ip lan a re, u n io n e in d isso lu b ile d i un sign ificato e o in parte.
d i u n significante; in Sau ssu re il term in e segn o p u ò riferirsi a en tità di
d iv erso o rd in e d i g ra n d ezza , d a u n ità p iù p ic c o le d ella p a ro la (com e
1. Nel clg si legge che «Linguisticamente, la morfologia non ha un oggetto reale
u n a rad ice o u n affisso) a sin tagm i e frasi; il segn o lin g u istico m in im o, ed autonomo; essa non può costituire una disciplina distinta dalla sintassi» (c lg 186);
q u e llo ch e n e lla term in o lo g ia o g g i p iù d iffu sa è d en o m in a to m orfem a , «ogni parola che non sia una unità semplice e irriducibile non si distingue essenzial­
è d en o m in a to in Sau ssu re u n ità (cfr. par . 3.3.1). I segn i in tratten g o n o mente da un membro della frase, da un fatto di sintassi; l’organizzazione delle sotto­
unità che la compongono obbedisce agli stessi principi fondamentali della formazione
g li u n i con g li altri d u e o rd in i d i rap p orti: sin tagm atici e associativi.
dei gruppi di parole» (clg 187). Queste affermazioni non sembrano avere riscontro
C o m e esem p i d i ra p p o rti sin tagm atici Sau ssu re cita sia ra p p o rti tra nelle fonti manoscritte, il che costituisce un interessante problema di filologia saussu­
d u e un ità c h e co stitu isco n o u n a p a ro la d erivata (r e -lir e “ r i-le g g e re ” ) riana che qui non possiamo approfondire. Non sarà però forse casuale che anche per
ch e ra p p o rti tra p a ro le a ll’in tern o d i sin tagm i ( c o n tr e t o u s “ co n tro uno dei maggiori rappresentanti contemporanei della tradizione saussuriana, il lingui­
tu tti” , la v ie h u m a i n e “ la vita u m a n a ” ) e d i frasi ( D ie u e s t b o n “ D io è sta italiano Tullio De Mauro, la distinzione tra morfologia e sintassi sia quantomeno
labile, come testimonia il passo seguente, tratto da un suo manuale di introduzione
b u o n o ” , s ’i l f a i t b e a u te m p s , n o u s s o r tir o n s “ se fa b e l tem p o, u sc ire ­
alla linguistica: “Abbiamo dunque a che fare con due categorie diverse: da un lato
m o ” ) (clg 170). C o m e esem p i d i ra p p o rti associativi, in vece, cita solo morii commutabili con molti altri di numero ampio e illimitato e con significati spesso
ra p p o rti fra segn i c h e so n o p arole: ad esem p io , ra p p o rti tra lessem i sovrapposti, dall’altro morii commutabili con pochi altri di numero assai piccolo e
lega ti d a rela zio n i d i sign ificato ( e n s e ig n e m e n t , a p p r e n tis s a g e , éd u ca - limitato e con significati che tendono a escludersi. I primi sono detti monemi o morii
lessicali, e sono presentati nei lessici o vocabolari o dizionari di ciascuna lingua e
t io n ecc.), ra p p o rti tra lessem i ch e h a n n o in co m u n e una p a rte d i si­
studiati dalla lessicologia; i secondi sono detti monemi o morii grammaticali, sono
g n ifica n te (e n s e i g n e m e n t , c h a n g e m e n t , a r m e m e n t e c c .), e ra p p o rti fra presentati nella grammatica [...] delle varie lingue e studiati dalla morfologia e sintas­
le d iverse fo rm e flesse d i u n lessem a (e n s e ig n e r , e n s e ig n o n s e c c . , o d o - si o morfosintassi» (De Mauro, 20038, pp. 30-1).

88 89
M O R F O L O G IA 6 . M O R F O L O G IA E SIN TASSI

Nelle sue prime formulazioni, la grammatica generativa ha condi­ Chomsky divide i formativi in due sottoclassi: elementi lessicali
viso l’idea post-bloomfieldiana (e forse anche saussuriana) della indi- (corrispondenti a quelli che abbiamo qui chiamato lessemi) e elemen­
stinguibilità tra l’oggetto tradizionale della morfologia e quello della ti grammaticali: i formativi grammaticali di Chomsky (1963; trad. it.
sintassi. Chomsky (1957) ha cercato di costruire una grammatica in p. 104) corrispondono in parte a morfemi grammaticali intesi come
grado di generare «all of thè grammatical sequences of morphemes of segni linguistici minimi biplanari (ad esempio, thè), in parte invece a
a language» (ivi, p. 32, cit. anche da Aronoff, 1976, p. 4), dunque di tratti morfosintattici, puri elementi di significato, non ancora connessi
nuovo senza far distinzione tra sequenze che danno luogo a parole e biplanarmente a un significante (ad esempio, Perfetto o Possessivo). I
sequenze che danno luogo a sintagmi o frasi. Nel modello di Chom­ simboli di categoria comprendono simboli di determinati tipi di sin­
sky (1937) regole di uno stesso tipo, le regole di riscrittura, introdu­ tagmi (f , sn, sv ecc.) e simboli che indicano la categoria lessicale cui
cono sia parole che affissi nella struttura di una frase, e un altro tipo un lessema appartiene (n , v ecc.)3.
di regole, le trasformazioni, sono responsabili sia della formazione di Le regole di struttura sintagmatica dispongono entità (sintagmi,
alcune parole polimorfemiche, come alcune forme flesse verbali, che formativi lessicali e formativi grammaticali) in certe sequenze; al ter­
di alcuni tipi di frasi, come le dichiarative passive. In un modello di mine del loro operare si ottiene una sequenza (una disposizione di
questo tipo, la parola non ha alcuno statuto privilegiato, non c’è dif­ entità) denominata struttura profonda di una frase. Le trasformazioni
ferenza di principio tra sequenze di morfemi che si assemblano in pa­ manipolano questa disposizione per ottenerne un’altra, più simile al­
role e sequenze di morfemi che si assemblano in sintagmi. l’aspetto che la frase ha quando viene effettivamente realizzata da un
Vediamo ora un po’ in dettaglio qualche aspetto del modello parlante. Le trasformazioni sono processi che manipolano una strut­
proposto da Chomsky (1937), un libro che ha rivoluzionato la storia tura profonda in vari modi (possono spostare, inserire e cancellare
della linguistica, ma il cui aspetto per noi più interessante, ai fini del entità), fino a ottenere una sequenza (di nuovo una disposizione di
discorso che stiamo portando avanti in questo volume, è la continui­ entità) che viene denominata struttura superficiale. La struttura su­
tà con il modo di pensare dello strutturalismo nordamericano, che perficiale non è ancora del tutto coincidente con la realizzazione ef­
aveva sviluppato i due modelli a entità e disposizioni e a entità e fettiva di una frase: dopo le trasformazioni operano, se necessario, al­
processi2. tre regole di riscrittura, dette regole morfofonemiche, che manipola­
no in particolare il significante delle entità disposte in struttura su­
6.2 perficiale in modo da ottenere sequenze grammaticali di fonemi («thè
L’inesistenza della morfologia nei primi modelli generativi grammatical phoneme sequences of thè language» (Chomsky, 1937,
p. 32)).
P ro v ia m o a d escriv ere il m o d e llo d i gram m atica p ro p o s to d a C h o m ­ Riproduciamo qui di seguito un frammento di grammatica dell’in­
sk y (1937; T963) in m o d o fo rse u n p o ’ straniarne p e r un le tto re c o n ­ glese così come è presentato da Chomsky (1937), per vedere come un
tem p o ra n eo , c o llo c a n d o c i p e r q u a n to p o ssib ile in co n tin u ità co n gli classico problema di morfologia, quello della generazione delle forme
u si term in o lo g ici adottati d agli stu d io si stru ttu ralisti attivi n e ll’ep o ca flesse di alcuni verbi, è affrontato e risolto in questo modello. Per
im m ed ia ta m en te p re c e d e n te l ’a p p a rizio n e d i Syntactic structures (e favorire i lettori che volessero risalire al testo di Chomsky (1937), ri­
c h e d i fatto h a n n o co n tin u a to ad essere attivi p e r u n certo te m p o a n ­ portiamo tra parentesi quadre anche la numerazione degli esempi del
c h e d o p o il so rgere d e ll’astro d i C h o m sk y ; cfr. la v o ri co m e H o c k e tt, testo originale.
1968). N e l m o d e llo d i C h o m s k y (1937; 1963) si h a n n o en tità d i d u e Il frammento di grammatica che presentiamo comprende le regole
tip i, formativi e simboli di categoria, e essen zialm en te d u e tip i di di riscrittura in (1) e (2) (cfr. Chomsky, 1937, trad. it. pp. 33 e 33):
p rocessi: regole di riscrittura e trasformazioni. L e reg o le d i riscrittu ra
so n o d i d ue tipi: regole di struttura sintagmatica e regole morfofo- (1) [13 ] i Frase —» S N + S V
nemiche. ii S N —» Art + N
iii SV —» V erb o + S N

2. La continuità tra i modelli post-bloomfieldiani e i primi modelli generativi è


molto ben documentata dall’importante studio di Matthews (1992). 3. f = frase; sn = Sintagma nominale; sv = Sintagma verbale; n = nome; v = verbo.

90 9i
M O R F O L O G IA 6 . M O R F O L O G IA E SIN TASSI

iv A r t —> th è
t h è + m a n + C + h a v e + e n + b e + in g + r e a d + t h è + h o o k 281117
v N —> m a n , b a ll, ecc. t h è + m a n + S + h a v e + e n + b e + in g + r e a d + t h è + h o o k 291
vi V e r b o —> h i t , l o o k [sic]4, ecc. t h è + m a n + h a v e + S # b e + e n # r e a d + in g # t h è + h o o k 2911 8
t h è # m a n # h a v e + S # b e + e n # r e a d + in g # t h è # h o o k 29111
(a) [28] i V e r b o —» Zlnr + y
ii V —> h tt, ta k e , w a lk , rea d , ecc.
Per completare la generazione di questa frase, si devono applicare
iii A u s —> C (M ) (h a v e + e n ) ( h e + in g ) (b e + en )
delle regole morfofonemiche, che Chomsky non elenca nel dettaglio,
iv M —> w ill, c a n , m a y , s h a ll, m u s t
ma di cui ci dà alcuni esempi in momenti diversi. Elenchiamo gli
esempi di regole morfofonemiche proposti in Chomsky (1957, trad.
Spieghiamo una parte della simbologia utilizzata con le parole dello
it. pp. 57 e 43) 9 in (5) e (6):
stesso Chomsky (ivi, p. 5 6 ): «L’interpretazione della notazione usata
in (28111) è la seguente: l’elemento C deve essere scelto necessariamen­ a. w i l l + S —» w i l l
(5)
te’. si possono poi scegliere facoltativamente uno o più degli elementi b. w i l l + p a ss a to —¥ w o u ld
chiusi in parentesi secondo l’ordine indicato».
( 6) [19] i w a lk —» /wok/
Dopo 1 applicazione delle regole elencate da Chomsky in (i)[i3] ii t a k e + p a ssa to —> /tuk/
e (2) [2 8], si applicano quelle in (3) [29]: iii h i t + p a ssa to —» /hit/
iv /...D/ + passato —> /...D/ + /id/ (in cui D = /t/ o /d/)
(3) [29] i ÌC —>S nel contesto SNsing_ j
v /...C sorda / + p a ssa to -> /... C sorda / + /t/ (in cui C sorda è
| 0 nel contesto SNplur r
una consonante sorda)
l passato J
vi p a ss a to —> l à /
ii Indichiamo con A f ognuno degli affissi passato, S, 0 , en, ing-, viii ta k e /teyk/
e con v ognuno degli Μ ο V, o have o be (cioè ognuno degli
elementi che non sono affissi nel sintagma Verbo). Si avrà Sulla base di una regola come (3a) possiamo ipotizzare che nel mo­
allora: dello di Chomsky (1937) la sequenza h a v e + S che appare nell’ultima
A f + υ -> υ + Α β riga della derivazione in (4) sarà riscritta come h a s grazie ad un’appo­
sita regola morfofonemica.
in cui # verrà interpretato come limite di parola. Proviamo ora a enucleare alcune delle caratteristiche del modello
iii Si sostituisca + con # tranne nel contesto v~Af. Si inserisca di grammatica proposto da Chomsky (1937) per quanto riguarda
# all’inizio e alla fine. l’oggetto tradizionale della morfologia, cioè la costituzione delle for­
me flesse dei lessemi.
Con le regole finora elencate, si può render conto di quasi tutta la O sse rv ia m o in n an zitu tto ch e il m o d e llo d i gram m atica d i C h o m ­
generazione di una frase come T h e m a n has b e e n read in g th è h o o k 56 sk y è so lo in p a rte rid u c ib ile a u n m o d e llo a en tità e d isposizion i:
nel modo illustrato (comprimendo i passaggi iniziali) in (4) [30]: esso in co rp o ra a n ch e u n a co m p o n e n te a en tità e p rocessi, in quan to
sia le tra sform azion i ch e le rego le m o rfo fo n e m ich e son o fo rm u late
(4) [3°] thè + man + Verbo + thè + hook 13Ì-V
thè + man +Aus + V+the + hook 28j c o m e p ro cessi c h e si a p p lic a n o alle entità.
thè + man + Aus + read + thè + hook 2sii 6 In q u esto m o d e llo in o ltre i m o rfem i non son o co n c e p iti p iù n e ­
cessariam en te c o m e en tità b iplan ari: C h o m sk y , co m e già a vev an o fa t­
to g li stru ttu ralisti am erican i p o st-b lo o m fie ld ian i, chiam a “ m o rfe m i”
4. L inserimento della forma flessa del passato look tra le possibili riscritture della
a n ch e en tità a p p a rten en ti al solo p ia n o d el sign ificato, an co ra disan-
categoria Verbo m ( i 3vi) costituisce una svista da parte di Chomsky; nel modello che
stiamo presentando, questa forma deve essere generata attraverso l’applicazione di rego­
le morfofonemiche a una sequenza take + passato, come si vedrà tra breve nel testo. 7. Scegliendo gli elementi C, have + en, e be + ing.
5. Letteralmente, “l’uomo ha stato leggendo il libro” , cioè “l ’uomo ha letto (per 8. Tre volte.
almeno un po di tempo) il libro” .
9. Si mantiene il sistema di trascrizione utilizzato da Chomsky, che differisce in
6 . Scegliendo read.
alcuni aspetti dal sistema ipa .

92
93
M O R F O L O G IA 6 . M O R F O L O G IA E SIN TA SSI

corate da un corrispondente significante, quali Passato. Saranno poi maticali, a volte morfemi, a volte addirittura affissi. L ’uso spregiudi­
regole di riscrittura morfofonemiche a dotare questi “ m o r f e m i” di un cato di vari termini tradizionali (quali “affisso”), o anche di conio re­
significante. Dal punto di vista terminologico è per noi significativo in lativamente recente (quali “morfema”), in sensi almeno in parte di­
particolare il passo [2911], in cui sono elencati e accomunati sotto la versi da q u e lli più comunemente associati al termine, può essere fon­
denominazione di affissi gli elementi passato, S, 0 , en, ing. Qual è lo te di notevoli fraintendimenti: richiamiamo quindi ancora una volta
statuto di questi elementi? Alcuni sono evidentemente elementi di l’attenzione dei lettori sul fatto che alcuni termini, in particolare
puro significato: non sono neppure citati tramite una forma di cita­ “morfema”, assumono significati diversi in diverse tradizioni di studi.
zione che rimandi a un loro possibile significante, ma direttamente Vediamo infine come si effettua nel modello illustrato la genera­
con un termine che richiama solo il loro significato, quale Passato. zione di forme flesse. In primo luogo, le regole di riscrittura dispon­
Altri sono invece citati con elementi che appaiono come dei signifi­ gono in una certa sequenza entità di diverso tipo, cioè formativi lessi­
canti (0, en, ingì o almeno come forme di citazione che rimandano a cali e formativi grammaticali. Come appare evidente osservando le re­
un insieme di allomorfi (S). Ma questa apparenza è illusoria: Chom­ gole morfofonemiche in (6), entrambi questi tipi di formativi sono
sky usa questi simboli omografi di possibili significanti in modo pura­ entità puramente semantiche, ancora disancorate da un significante.
mente convenzionale e mnemonico. A ben guardare, l’elemento detto La sequenza lineare di entità ottenuta con l’applicazione di regole
S, per esempio, non rappresenta un “arciallomorfo” 10 dei tre allo­ come quelle in (1) e (2) viene poi sottoposta a trasformazioni, che
morfi /iz/, /s/ e /z/ che possono realizzare il morfema di terza perso­ possono modificare l’ordine delle entità, introdurre entità nuove o eli­
na singolare del presente indicativo (ad esempio, in forme verbali minare entità presenti. Tra le entità introducibili da regole trasforma­
come pushes, breaks, lies), ma rappresenta direttamente il tratto mor- zionali ci sono anche formativi grammaticali, quali Passato. Le tra­
fosintattico “terza persona singolare del presente indicativo”: in verbi sformazioni possono anche modificare la disposizione reciproca delle
modali come utili questo elemento non è rappresentato da alcun ele­ entità: in particolare, la trasformazione numerata [2911] in Chomsky
mento del significante - cfr. la regola morfofonemica in (5a) la sua ( 1 9 5 7 ) , nota con il nome di affix hopping (letteralmente “salto dell’af­
distribuzione è assolutamente parallela a quella di un elemento di fisso”), riordina sequenze in cui i formativi grammaticali che portano
puro significato come Passato (si confrontino le due regole morfofo­ i valori di terza persona singolare del presente indicativo, di partici­
nemiche 5a e 5b). pio passato, e di aspetto progressivo, simboleggiati rispettivamente da
Nel modello di Chomsky (1957), dunque, si fa uso di entità non S, en, e ing, appaiono a sinistra del formativo lessicale cui si legano:
più biplanari, ma riguardanti solo il piano del contenuto, in particola­ l’operazione [2 9 η ] li sposta alla destra del rispettivo formativo lessica­
re quello dei valori delle categorie grammaticali; queste entità sono le e introduce un confine di parola (simboleggiato con #) prima e
designate con terminologia varia: sono dette a volte formativi grani­ dopo la nuova sequenza di formativo lessicale + formativo grammati­
cale. Dunque in un certo senso le parole (o almeno, alcune forme
flesse di alcuni lessemi) cominciano a esistere solo dopo l’applicazio­
lo. Utilizzo il termine di mia coniazione “arciallomorfo” in esplicita analogia con
il termine arcifonema’ della tradizione praghese. In questa tradizione, si definisce
ne delle trasformazioni. Queste “parole” sono però ancora prive di
arcifonema un elemento astratto che rappresenta l’insieme di due (o più) fonemi tra i un significante: il significante verrà loro associato tramite l’applicazio­
quali è neutralizzata l’opposizione in certi contesti: ad esempio, in lingue quali il russo ne di regole morfofonemiche quali quelle in (6) ( [ 1 9 ] in Chomsky
e il tedesco, in posizione finale di parola è neutralizzata l’opposizione tra occlusive 1 9 5 7 ) . È importante osservare che le regole in (6) = [ 1 9 ] sono ordina­
sorde e sonore, in quanto un’occlusiva in questo contesto si realizza sempre come
te, devono cioè applicarsi nell’ordine specificato dai numeri romani
sorda (le forme tedesche Rad “ruota” e Rat “consiglio” , i cui plurali sono rispettiva­
mente Rà[d\er e Rà[t]e, al singolare si realizzano entrambe come /ra:t/). Un arcifone­
minuscoli: solo in questo modo è possibile assicurare, ad esempio,
ma è indicato convenzionalmente con una lettera maiuscola, corrispondente al simbo­ che la sequenza #take+ passato# sia riscritta come /tuk/ (applicando
lo ipa del fono che si realizza in contesto di neutralizzazione: ad esempio, l’arcifone- [19 11]), e non come #/teyk/+ /t/#, applicando [19VÌÌÌ] e poi [19 V ] " .
ma che corrisponde alla neutralizzazione tra I t i e Id i è indicato con /T/. Ritengo
assai probabile che l ’utilizzo da parte di Chomsky di lettere maiuscole che richiamano
un certo allomorfo quali simboli per certi valori di categorie grammaticali realizzabili 11. Chomsky (1957, trad. it. p. 85, nota h) dichiara inoltre che la «formulazione
in modo variabile, tramite diversi allomorfi anche non fonologicamente relati, sia stato effettiva delle regola morfofonemica che converte take +passato in /tuk/» è «senza
ispirato alla notazione dell’arcifonema della tradizione praghese. dubbio» la seguente: e y —>u nel contesto t_k + passato. Questa formulazione è tipica

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Nel modello qui sinteticamente illustrato, appare evidente che composti, ma anche i lessemi derivati erano analizzati come frutto di
non è previsto un livello di analisi morfologica dedicato specificamen­ trasformazioni sintattiche. Ad esempio, erano considerati collegati tra-
te alla struttura interna delle parole: si passa direttamente da un li­ sformazionalmente il verbo inglese to refuse e il nome refusai, in que­
vello sintattico-semantico, in cui si hanno sequenze di elementi detti sto modo era possibile esprimere una sola volta nella grammatica la
formativi lessicali e grammaticali, che sono di fatto elementi pura­ restrizione di selezione per la quale il verbo refuse richiede un sogget­
mente semantici, ancora privi di un significante, a sequenze fonologi­ to animato, restrizione che vale anche per il nome derivato refusai
camente specificate (tramite regole dette wor/bfonemiche più per (cfr. Scalise, 1983, p. 30; 1984, p. 17).
inerzia lessicale che per convincimento teorico dell’esistenza di un li­ Riflessioni successive hanno però portato a ipotizzare che la for­
vello morfo-”). Come è stato osservato da diversi autori impegnati mazione di almeno alcuni lessemi derivati non fosse spiegabile facen­
nella ricerca in morfologia (cfr. almeno Anderson, 1982, p. 571), in do ricorso allo stesso tipo di regole responsabili della formazioni di
questo primo modello di grammatica generativa tutta l’informazione sintagmi e frasi. Chomsky (1970) ha osservato che dai verbi inglesi è
morfologica era ripartita tra sintassi (regole di struttura sintagmatica e possibile derivare due tipi di nomi, o meglio che sono possibili, a
trasformazioni) e fonologia (regole morfofonemiche), e non esisteva
partire da verbi inglesi, due tipi di nominalizzazioni, che egli ha de­
un insieme specifico e autonomo di regole morfologiche.
nominato rispettivamente “nominali gerundivi” e “nominali derivati”.
I due tipi di deverbali differiscono per diverse proprietà. In particola­
6 -3 re, mentre quasi ad ogni frase con verbo corrisponde un possibile no­
Il parziale ritorno della morfologia nei modelli generativi
minale gerundivo, non ad ogni frase con verbo corrisponde un possi­
bile nominale derivato: un esempio citato da Chomsky (ivi, p. 268) è
Negli anni immediatamente successivi alla fondazione della grammati­
ca generativa, l’inesistenza di un confine tra disposizione e manipola­ il contrasto tra (7a-b) e (70):
zione trasformazionale di entità al di sotto della parola e disposizione
e manipolazione trasformazionale di entità al di sopra della parola (7) a. John amused (interested) thè children with his stories
non è messa in discussione. Un’opera classica sviluppata nell’ambito “John divertì (interessò) i bambini con le sue storie”
di questo modello è lo studio di Lees sui lessemi composti dell’in­ b. John’s amusing (interesting) thè children with his stories
“ Il divertire (interessare) i bam bini con le sue storie d a parte d i J o h n ”
glese, pubblicato per la prima volta nel i960 e poi riedito varie vol­
c. * John’s amusement (interest) o f thè children with his stories
te I2. In questo lavoro, Lees propone di derivare composti come
John-di divertimento (interesse) di i bambini con le-sue storie
steam boat battello a vapore” o oil well “pozzo petrolifero” attra­
verso una serie di trasformazioni come le seguenti: The well yields oil
—> well which yields oil —> well yielding oil —> oil-yielding well —> oil- Dunque ci sono delle limitazioni sulla produttività della derivazione
w ellI3. L ’ultimo passaggio si compie «simply by deleting thè partici- di nominali derivati, mentre la derivazione di nominali gerundivi,
ple» (cfr. Lees, 1966, pp. 144-5). Un’impostazione di questo genere come altre regole sintattiche, ha produttività quasi illimitata 14.
ha presto suscitato critiche, volte soprattutto contro l’eccesso di pote­ Inoltre, mentre i nominali gerundivi si formano sempre con il suf­
re delle trasformazioni che questo modello di grammatica implicava fisso -ing, i n o m in ali derivati si formano con una varietà di suffissi, la
(cfr. Booij, 1977, pp. 7-9; Scalise, 1983, pp. 24-6). cui distribuzione non è predicibile in base a principi di ordine esclu­
Nei primi modelli di grammatica generativa, non solo i lessemi sivamente sintattico (ad esempio, dal verbo to arrive “arrivare” deriva
il nome arrivai “arrivo”, e non * arrivare, mentre dal verbo to depart
“partire” deriva departure “partenza” , e non *departal). Infine, si han­
di un modello a entità e processi, ed evita artefatti quali i “morii sostitutivi” necessari no anche casi di esistenza di nominali derivati la cui sintassi non cor-
in un modello a entità e disposizioni.
12. Per una rapida sintesi del lavoro di Lees e considerazioni critiche cfr. Scalise
(1983, pp. 21-9).
13. Il pozzo produce petrolio”—>“pozzo che produce petrolio”—>“pozzo produ­ 14. Per alcune restrizioni su questa regola sintattica cfr. Chomsky (1970, p. 268,
cente petrolio ” —»“petrolifero pozzo”—>“pozzo petrolifero”. nota 1).

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risponde a quella di frasi ben formate né di nominalizzazioni gerundi­ 6.4


ve possibili, come mostrano gli esempi in (8a-e): Morfologia flessiva e sintassi

(8) a. John’s doubts about their proposai Nel paragrafo precedente abbiamo visto che, dopo 1 impulso dato alla
John-di dubbi su la-loro proposta ricerca dalle osservazioni di Chomsky (1970), si è ipotizzato che le
“I dubbi di John sulla loro proposta” regole che permettono di generare nuovi lessemi siano di natura di­
b. *John doubts about their proposai
versa dalle regole sintattiche che generano sintagmi e frasi. ^
John dubita su la-loro proposta
Una questione non affrontata da Chomsky (1970) è però se anche
c. John doubts their proposai
le regole che generano le diverse forme flesse dei lessemi siano di na­
John dubita la-loro proposta
“John dubita della loro proposta” tura diversa dalle regole sintattiche o meno.
d. *John’s doubting about their proposai
Nei lavori pubblicati negli anni immediatamente successivi all’u­
John-di dubitare su la-loro proposta scita di Chomsky (1970), le opinioni su questo punto divergono radi­
e. John’s doubting their proposai calmente. Jackendoff (1972), mentre ammette che le trasformazioni
John-di dubitare la-loro proposta non possano formare nuovi lessemi (derivati o composti), le considera
“Il dubitare della loro proposta da parte di John” ancora lo strumento per la formazione di forme flesse: «thè only
change that transformations can make to lexical items is to add in-
In (8a) vediamo che il nome doubt regge un complemento introdotto flectional affìxes» (Jackendoff, 1972, p. 13, cit. in Scalise, 1983, p.
dalla preposizione about, mentre in (8c) e (8e) vediamo che il verbo 32). Al contrario, Halle (1973). forse il primo ad introdurre la deno­
to doubt e il nominale gerundivo doubting reggono un oggetto diret­ minazione di «rules of word formation or morphology» (ivi, p. 3),
to, e le strutture nelle quali sono seguiti da un sintagma preposiziona­ ritiene che «thè rules of word formation should [...] also include ru­
le con about ((8b) e (8d)) sono agrammaticali. Dunque non è possibi­ les for positioning thè inflectional affìxes appropriately or for han-
le che una struttura come (8c) sia la base dalla quale derivare tra- dling [...] other inflectional phenomena» (ivi, p. 6). Aronoff (1976), il
sformazionalmente (8a), dato che (8c) non contiene about, e non ci lavoro più influente tra tutti gli studi di morfologia usciti dopo il
sarebbe modo di render conto trasformazionalmente dell’apparire di 1970 e fino all’inizio degli anni novanta, restringe esplicitamente il
questo elemento. suo campo di indagine alla formazione di nuovi lessemi, e identifica
Osservazioni di questo tipo portano a concludere che almeno al­ le “word formation rules” (letteralmente, regole di formazione di pa­
cuni nomi derivati da verbi non possono essere generati attraverso rola, con tutta l’ambiguità del termine parola ) esclusivamente con
regole dello stesso tipo di quelle che rendono conto della generazione regole di formazione di nuovi lessemi. Aronoff nota brevemente nelle
di frasi (cioè le trasformazioni, nel modello dell’epoca). pagine introduttive del suo volume che la formazione di forme flesse
Poco dopo 1 uscita di Chomsky (1970), e di altre opere che mo­ è di “natura” sintattica (cfr. Aronoff, 1976, p. 4), e la esclude dal suo
strano come alcune parole morfologicamente complesse rappresenti­ campo d’indagine.
La risposta alla questione se la formazione di forme flesse e la
no un problema per il modello di grammatica allora corrente, si fa
formazione di lessemi avvengano grazie allo stesso tipo di meccani­
strada 1 idea che i lessemi derivati debbano essere generati non attra­
smo, e nello stesso componente della grammatica, o invece attraverso
verso trasformazioni, ma attraverso regole di un altro tipo, che hanno
meccanismi diversi e in componenti diversi della grammatica, non è
il compito di espandere il numero di lessemi di una lingua, quindi di
però affatto scontata. Infatti la formazione di nuovi lessemi e la for­
generare lessemi, non di generare frasi. A queste regole possiamo
mazione di forme flesse di lessemi (nuovi o già esistenti) condividono
dare il nome di regole di formazione di lessemi 15. Le tratteremo nel
CAP. 8. alcune caratteristiche superficiali, ma differiscono per aspetti molto
significativi. Ciò che i due tipi di processi hanno in comune è il tipo

r 5 - bielle prime formulazioni, queste regole sono state dette regole di formazione questa terminologia a causa della nota ambiguità del termine parola e del suo equi­
delle parole (in inglese, word-formation rules). Seguendo Aronoff (1994), evitiamo qui valente inglese “word” .

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di mezzi formali con i quali si opera un’aggiunta di tratti a un ele­ sia obbligatorio usarlo in una forma che esprime un determinato va­
mento di base: sia nella formazione di lessemi che nella formazione di lore di numero (singolare casa o plurale case), e un determinato gene­
forme flesse si usano procedimenti quali l’affissazione, la reduplicazio­ re (che per i nomi italiani, come abbiamo visto, ha un valore fisso,
ne, la manipolazione della struttura prosodica ecc. l6. non variabile in base alla scelta del parlante).
Ciò in cui i due processi differiscono è però la ragione stessa del Ma se scegliere di usare c a s a al singolare o al plurale è una libera
oro esistere. Abbiamo già visto (cfr. c a p . 4) che nuovi lessemi si for­ scelta del parlante tanto quanto è libera la scelta di usare, invece di
mano per denominare nuovi concetti o per riferirsi a uno stato di c a s a , c a s e t t a o e d i f i c i o , cioè se questa scelta non è dettata da una

cose complesso con un unico lessema o con un lessema appartenente regola della sintassi (come invece è dettata da una regola della sintassi
a una determinata parte del discorso, mentre le forme flesse di un la scelta di le e rosse una volta scelto case), come mantenere una di­
lessema si formano per esprimere certi valori di categorie grammati­ stinzione tra forme flesse di un lessema e lessemi derivati? Sembra
cali obbligatoriamente presenti in una lingua. infatti che sia l’uso della forma flessa case che 1 uso del lessema deri­
Questa obbligatorietà di espressione di certe categorie e di certi vato c a s e t t a siano determinati da libera scelta del parlante, e non da
valori distingue la formazione di forme flesse di un lessema dalla for­ regole della sintassi. Alcuni studiosi hanno quindi proposto di distin­
mazione di nuovi lessemi. La formazione di un nuovo lessema, e l’uso guere due sottotipi di flessione, denominati flessione inerente e fles­
di un lessema derivato (o composto) in un certo contesto sintattico, sione contestuale: la flessione inerente «is thè kind of inflection that
non sono mai obbligatori: non ci sono regole di reggenza o di accor­ is not required by thè syntactic context, although it may have syntac-
do che richiedano l’occorrenza di un lessema derivato o composto 17, tic relevance», mentre la flessione contestuale «is that kind of inflec­
mentre regole di questo tipo richiedono sempre l’occorrenza di una tion that is dictated by syntax», cioè da regole di accordo o di reg­
determinata forma flessa di un lessema invece che di un’altra. genza (Booij, 1996, p. 2, cui si rimanda anche per una rassegna delle
Ma non tutte le forme flesse usate in una frase sono scelte obbli­ diverse fonti che propongono una distinzione analoga; cfr. anche su-
gatoriamente in base a regole sintattiche. In un sintagma come le case pra, p a r . 4.2). È importante rilevare che non è possibile definire come
rosse, la sintassi (in particolare, una regola di accordo dell’italiano) inerente o contestuale una certa categoria grammaticale in assoluto,
obbliga a scegliere il femminile plurale dell’articolo i l e dell’aggettivo ma solo una certa relazione fra una categoria grammaticale e una
Rosso, cioè a scegliere le forme flesse le e rosse-, ma la scelta di case, classe di parole: il numero in italiano è flessione inerente nei nomi,
un nome femminile usato al plurale, invece di casa, lo stesso nome mentre è contestuale negli articoli, negli aggettivi e nei verbi (dipende
usato al singolare, o invece di ed ifici, un nome dal significato parzial­ cioè dall’accordo con la testa del s n o con il soggetto). D i solito,
mente sovrapponibile a quello di c a s a , ma maschile, non è dettata da come abbiamo in parte già visto nel c a p . 4, nelle lingue si presentano
alcuna regola della sintassi. La scelta di usare al singolare o al plurale come inerenti le categorie di genere e numero nei nomi, di grado ne­
un nome che è testa di un sintagma nominale è una libera scelta del gli aggettivi, di aspetto e tempo nei verbi (con 1 eccezione di casi di
parlante, così come è una libera scelta del parlante scegliere di usare c o n se c u tio tem p o ru m , nei quali il tempo del verbo in una frase subor­
un lessema semplice o un lessema complesso (derivato o composto), e dinata dipende dal tempo della principale, e si configura quindi come
anche usare uno specifico lessema invece di un altro. Ciò non toglie, caso di flessione contestuale, cioè determinata da una regola sintatti­
però, che una volta selezionato un lessema, ad esempio il nome c a s a , ca); si presentano invece come flessione contestuale la categoria di
caso nel nome (almeno per quanto riguarda i casi che contrassegnano
le funzioni sintattiche fondamentali di soggetto e oggetto di una fra­
j 6' V ” accurata presentazione dei diversi procedimenti si ha in Booij, Lehmann se), le categorie per le quali gli aggettivi sono target di accordo (quin­
Mugdan (2000, cap. vili, pp. 523-94). ’ di genere e numero in italiano, genere, numero e caso in greco ecc.),
17. Matthews (1991, pp. 50-1) insiste molto sul fatto che un lessema derivato le categorie di persona e numero nel verbo (che in italiano, ad esem­
entra sempre m costruzioni nelle quali potrebbe comparire anche un lessema non de­
rivato. Ad esempio nei due sintagmi John’s hook “il libro di John” e John’s computer
pio, concorda in numero e persona con il soggetto; in altre lingue, si
1 computer di John”, il genitivo sassone John’s modifica rispettivamente un nome può avere anche accordo in numero, persona, ed eventualmente ge­
non derivato (hook) e uno derivato (computer, dal verbo to compute “calcolare”). nere, con l’oggetto o anche con 1 oggetto indiretto).

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re che almeno i valori di tipo contestuale, che non sono inerenti a un


6 -5
Split Morphology lessema, né sono ad esso associati per una libera scelta del parlante,
sono assegnati al lessema da regole della sintassi, e non da regole di
Stabilita una distinzione tra flessione inerente e flessione contestuale, altro tipo, che si applichino ai lessemi prima che questi siano inseriti
possiamo tornare a un problema lasciato aperto poco fa, e cioè se la in una struttura sintattica.
formazione di forme flesse si attui attraverso regole specifiche, o inve­ Un modello che prevede la generazione delle forme flesse dei les­
ce tramite regole della stessa natura di quelle della sintassi. Abbiamo semi con lo stesso tipo di regole usate per generare sintagmi e frasi è
visto che a partire da Chomsky (1970) si è riconosciuto che la forma­ però d iffic ilm e n te sostenibile, a causa di un certo tipo di caratteristi­
zione di nuovi lessemi non sembra poter essere effettuata dallo stesso che che le forme flesse possono presentare, parte delle quali è stata
tipo di regole che permettono la formazione di sintagmi e frasi, e che illustrata nel p a r . 5.10. Ad esempio, nel caso di amalgami, uno stesso
è preferibile supporre che esistano specifiche regole di formazione di morfo introduce contemporaneamente due o più tratti che in una
lessemi. Abbiamo anche visto che una parte delle regole di formazio­ struttura sintattica sarebbero invece distinti, e quindi necessariamente
ne di forme flesse, quelle che abbiamo chiamato flessione inerente, disposti in un certo ordine l’uno rispetto all altro. Anche casi di se­
condivide una caratteristica fondamentale con le regole di formazione gnalazione molteplice sono problematici: un dato tratto dovrebbe ap­
di lessemi: la loro applicazione è determinata da una libera scelta dei parire una sola volta nella struttura sintattica, ma appare due o più
parlanti, e non richiesta da regole sintattiche. Si potrebbe quindi sup­ volte nel significante di una forma flessa.
porre che anche la formazione di forme flesse che portano informa­ Altri problemi che si presentano a modelli che vogliano ridurre la
zione flessiva (cioè obbligatoria) di tipo inerente si attui tramite rego­ generazione di forme flesse a meccanismi di tipo sintattico sono do­
le diverse da quelle della sintassi, e in tutto simili alle regole di for­ vuti non tanto alla mancata biunivocità di corrispondenza tra un va­
mazione dei lessemi, cioè regole che si applicano prima dell’inseri­ lore e un suo esponente (biunivocità che può essere presente o
mento di una parola in una struttura sintattica. Resta però da vedere meno), ma all’ordine di apparizione degli esponenti di certi valori al­
se anche la formazione di forme flesse che portano informazione fles­ l’interno di una forma flessa. Passeremo ora brevemente in rassegna
siva di tipo contestuale sia attuata tramite regole diverse da quelle alcuni problemi di questo secondo tipo.
della sintassi: la flessione contestuale è infatti definita proprio come
quel tipo di flessione che è determinata da regole sintattiche, e quindi 6.6
sarebbe molto plausibile che la formazione di forme flesse che porta­ Ordine di apparizione tra morii
no informazione flessiva contestuale fosse attuata da regole sintatti­
che. 6.6.1. Ordine di apparizione tra morii flessivi e morii derivazionali
In effetti 1 ipotesi che la formazione di nuovi lessemi si attui attra­
verso regole che operano prima dell’inserzione di un lessema in una Un primo caso da esaminare è quello dell’ordine di apparizione tra
struttura sintattica, mentre la formazione di forme flesse si attua nella morii flessivi e morii derivazionali.
stessa fase in cui si applicano le altre regole sintattiche, è sostenuta da Se i morii derivazionali segnalano la formazione di un nuovo les­
diversi autori. Questa ipotesi è nota con il nome di split morphology, sema, derivato da un altro lessema precedentemente attestato, essi
cioè morfologia spaccata , spaccata a metà tra un componente lessi­ dovrebbero apparire nelle forme flesse del nuovo lessema più vicino
cale, dove si formano nuovi lessemi, e un componente sintattico, alla radice dei morii flessivi. Infatti si suppone che si attui prima una
dove si formano le loro forme flesse. Nella sua versione più forte, regola che forma il nuovo lessema, aggiungendo un morfema deriva-
l’ipotesi della split morphology non tiene neppure conto della distin­ zionale a un lessema precedentemente esistente, e poi si formino le
zione tra flessione inerente e flessione contestuale, e sostiene che le forme flesse del nuovo lessema, aggiungendo alla sua radice dei morfi
forme flesse dei lessemi sono generate interamente con lo stesso tipo flessivi. Come minimo, i morfi derivazionali dovrebbero apparire più
di meccanismo con cui si generano sintagmi e frasi. In una versione vicino alla radice dei morfi flessivi di tipo contestuale, che segnalano
più debole, questa ipotesi può essere riformulata in modo da sostene­ valori che possono essere determinati solo quando il lessema entra in

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una relazione (di accordo o di reggenza) con altri elementi della frase chiaramente, il profilo è apparso chiaramente/*chiaromente). Dunque si
in cui compare. Un modello di split morphology, secondo il quale la può argomentare che la -a che compare nelle forme in (9C) non sia
derivazione di nuovi lessemi è un’operazione che avviene prima della un morfo cumulativo di femminile singolare, ma qualche altra entità.
generazione di forme flesse, e solo quest’ultima avviene con meccani­ Anche senza dedicarci a scoprire di che tipo di entità si trattil8, pos-
smi sintattici, predice necessariamente che i morfi derivazionali ap­ siamo concludere che gli avverbi in -utente rappresentano un con
paiano sempre più vicini alla radice dei morfi flessivi. troesempio solo apparente all’universale n. 28: la forma cui si attacca
Di fatto, questa predizione è confermata da molti dati. Nella lista il suffisso derivazionale è solo omofona della forma flessa di femmini-
di universali linguistici stilata nel 1963 dal linguista nordamericano le singolare, ma non è una forma flessa femminile singolare, dato che
Joseph Greenberg (1913-2001), l’universale n. 28 è il seguente: «Se l’avverbio non comprende nel suo significato i tratti di femminile e di
tanto la derivazione quanto la flessione seguono il radicale, o se esse singolare.
precedono entrambe il radicale, la derivazione si trova sempre tra il Un altro tipo di controesempio all’universale n. 28 spesso citato
radicale e la flessione» (Greenberg, 1976, p. 136). riguarda il fatto che in diversi tipi di lessemi derivati un affisso deri­
Nei decenni che hanno seguito i pionieristici studi di Greenberg vazionale può attaccarsi a un nome plurale. Vediamo alcuni esempi
sugli universali, però, sono stati scoperti diversi controesempi, reali o da diverse lingue germaniche in (io):
apparenti, a questa generalizzazione. Ne analizzeremo ora alcuni (cfr.
Rainer, 1996, per ulteriori esempi e una lucida discussione del feno­ to ) a. olandese (dati da Booij, 1996, p. 6)
meno). held “ eroe” helden “eroi” held-en-dom “ eroismo”
Un controesempio solo apparente è dato dagli avverbi deaggetti­ eroe-PL-NQUALiTATis
vali in -mente dell’italiano e di altre lingue romanze, come lo spa­
b. yiddish (lingua germanica parlata da comunità ebraiche nell’Euro­
gnolo e il portoghese. Si osservino le forme in (9):
pa orientale, in Israele e negli Stati Uniti; dati da Perlmutter,

(9) a. forma di citazione 1988, p. 80)


b. forma femminile singolare c. avverbio
dell’aggettivo dell’aggettivo kind “bam bino” kinder “bam bini” kind-er-lex “bam binetti”
deaggettivale
bambino-PL-DiM
strano strana stranamente guf “ corpo” gufirn “corpi” guf-im-lex “ corpicini”
giusto giusta giustamente corpo-PL-DiM
chiaro chiara chiaramente
Per analizzare questi esempi, è importante osservare che gli affissi de­
Apparentemente, gli avverbi vengono formati a partire dalla forma
rivazionali - -dom, che forma nomi di qualità, nei dati olandesi in
femminile singolare degli aggettivi: se è così, un morfo derivazionale,
(ioa), e -lex, che forma diminutivi, nei dati yiddish in (iob) - qui si
il suffisso avverbiale -mente, viene a trovarsi in posizione più esterna
attaccano a forme di nomi flesse al plurale '9. Il plurale, come abbia­
di un morfo flessivo, l’amalgama di femminile singolare -a.
mo visto (cfr. p a r r . 4.2 e 6.4), nel nome è un tratto inerente, nel sen­
Osserviamo però che gli avverbi in -mente, lessemi che apparten­
so che la scelta di usare un nome al singolare o al plurale è una libe­
gono a parti del discorso dette invariabili, che non presentano forme
ra scelta del parlante, non governata da regole della sintassi. I tratti
flesse, non comprendono, come parte del loro significato, né il valore
inerenti sono di natura più simile all’informazione che può essere ag­
femminile della categoria di genere né quello singolare della categoria
giunta da affissi derivazionali che a quella acquisita per via contestua­
di numero. Gli avverbi di fatto non hanno alcun valore né di genere
né di numero, né inerentemente né come effetto di assegnazione con­
testuale, per accordo: ne è prova il fatto che presentano la stessa for­
18. Su questo torneremo nel par . 8.7.
ma sia che modifichino verbi al singolare che verbi al plurale (agisce
19. L ’analisi di questi dati proposta da Perlmutter (1988) è formulata in un qua­
giustamente, agiscono giustamente/*giustimente/*giustemente), e sia dro teorico precendente l’introduzione della distinzione tra flessione inerente e flessio­
che modifichino forme femminili che maschili (l’immagine è apparsa ne contestuale, ed è un po’ diversa da quella proposta qui.
M O R F O L O G IA 6 . M O R F O L O G IA E SIN TASSI

le. Dunque i dati in (io) rappresentano un controesempio solo per morfo flessivo che segnala genere e numero sull aggettivo (informa­
una versione forte di split morphology, secondo la quale ogni tipo di zione di tipo contestuale, in quanto frutto dell accordo con il nome)
tratto flessivo è assegnato da regole sintattiche; in una versione debo­ appare solo una volta nelle forme flesse dell’aggettivo, dopo il suffisso
le di split morphology, nella quale solo i tratti contestuali sono asse­ diminutivo -in-, e quindi in accordo con l’universale n. 28, in porto­
gnati in sintassi, lessemi derivati come quelli in (io) non costituiscono ghese un morfo che porta (amalgamate) le informazioni di genere e
un problema. numero appare due volte nell’aggettivo diminutivo, una volta prima e
Gli studiosi che si sono occupati approfonditamente della distin­ una volta dopo il morfo derivazionale di diminutivo -zinh-. Qui ab­
zione tra flessione inerente e flessione contestuale (cfr. in particolare biamo un vero controesempio all’universale n. 28, tanto più grave in
Booij, 1994; i 99<5) hanno osservato che i controesempi all’universale quanto il morfo derivazionale di diminutivo appare dopo un morfo
n. 28 riguardano quasi sempre casi in cui si hanno morii flessivi di flessivo non inerente, ma contestuale, cioè un morfo che porta tratti
tipo inerente che precedono morii derivazionali in un lessema deriva­ posseduti dalla forma dell’aggettivo in quanto frutto di accordo. È
to. Si ha tuttavia anche qualche raro esempio di casi in cui a precede­ importante osservare che i tratti di accordo appaiono, nelle forme in
re un morfo derivazionale sono morii flessivi di tipo contestuale. Uno (nc-d), anche dopo il suffisso diminutivo, cioè nella posizione più
di questi casi è illustrato dai dati del portoghese riportati in (11) (dati esterna della parola: la seconda occorrenza dell’amalgama di genere e
da Rainer, 1996, p. 89): numero nelle forme in (nc-d) è quindi compatibile con una teoria
che ipotizzi un’assegnazione di questa informazione tramite regole
(11) a. um rapaz séri-o
sintattiche; la prima occorrenza dell’amalgama di genere e numero
ART.INDET.MASCH.SG. ragazZO.MASCH.SG Serio-MASCH.SG
non è però spiegabile in una teoria split morphology, che non prevede
b· urna rapariga séri-a la possibilità che l’informazione flessiva, soprattutto di tipo contestua­
ART.INDET.FEMM.SG. ragaZZa.FEMM.SG Serio-FEMM.SG le, sia aggiunta a un lessema prima di formare da esso un lessema
c- um rapaz seri-o-zinh-o derivato.
ART.INDET.MASCH.SG. ragazZO.MASCH.SG Serio-MASCH.SG-DIM-MASCH.SG

d· urna rapariga seri-a-zinh-a


6.6.2. Amalgami tra morii flessivi e derivazionali
ART.INDET.FEMM.SG. ragaZZa.FEMM.SG Serio-FEMM.SG-DIM-FEMM.SG
Un altro problema per un modello di split morphology è costituito da
In (na-b) osserviamo due sintagmi nominali del portoghese, dove ar­ casi di morii che rappresentano amalgami tra (valori di) una categoria
ticolo indeterminativo e aggettivo si accordano in genere e numero flessiva e una categoria derivazionale. Un caso del genere può essere
con il nome; in (nc-d) si hanno analoghi sintagmi nominali nei quali illustrato considerando gli aggettivi italiani come quelli in (13), sui
1 aggettivo si presenta derivato con un suffisso diminutivo. La partico­ quali ha attirato l’attenzione Ricca (2003):
larità di questi derivati diminutivi sta nel fatto che il suffisso diminu­
tivo si attacca a una forma dell’aggettivo flessa per genere e numero, (13) verbo aggettivo
diversamente da quanto accade per esempio in italiano, dove abbia­ rivelare rivela- tor- e
mo derivati diminutivi da aggettivi come quelli in (12): rivelare (V-*A). masch SING

(12) ragazzo bell-o rivela- tric- e


ragazza bell-a rivelare (V—>A).femm SING
ragazzo bell-in-o/*bell-o-in-o
ragazza bell-in-a/*bell-a-in-a In questi dati vediamo che i suffissi -tor- e -tric- cumulano in sé sia
la funzione di segnalare la derivazione di un aggettivo da un verbo,
Sia in italiano che in portoghese l’aggettivo diminutivo si accorda in sia quella di segnalare il genere della forma in cui compaiono (e ri­
genere e numero con il nome che modifica; ma mentre in italiano il cordiamo che negli aggettivi il genere è una categoria attribuita in

106 107
M O R F O L O G IA 6 . M O R F O L O G IA E SIN TASSI

modo contestuale, per accordo, e non inerente). Ovviamente, que­ turco: forme del lessema ev “casa”
sto tipo di forme risulta inspiegabile se si assume un modello di C aso singolare plurale
spiti morphology. “la casa/le case” (soggetto)
nominativo ev evler
genitivo evin evlerin “della casa/delle case”
evlere “alla casa/alle case”
6 ,7 dativo eve
Ordine tra morii flessivi accusativo evi evleri “la casa/le case” (oggetto)
ablativo evden evlerden “dalla casa/dalle case”
Nel paragrafo precedente abbiamo esaminato alcuni casi problematici
per 1 ipotesi della split morphology, derivanti dalla presenza (che a Ancor più attraenti sono i dati in (15), dove vediamo forme dello
volte si è rivelata solo apparente) di morii flessivi prima di morii deri- stesso lessema turco e v che presentano anche un morfo flessivo di
vazionali (o amalgamati con essi) all’interno di alcune forme flesse di possessivo di prima persona singolare, che esprime persona e numero
lessemi derivati.
del possessore20. Il possessivo è una categoria inerente dei nomi,
Un’altra area di fenomeni che merita un esame, nel quadro del
quanto il numero, e anche in questo caso vediamo che il morfo che
tentativo di stabilire se sia possibile sostenere l’ipotesi della split mor­
porta un valore della categoria inerente precede il morfo che porta
phology, in una versione più o meno forte, è quella relativa all’ordine
un valore della categoria contestuale di caso:
rispettivo di apparizione, all’interno delle forme flesse, di diversi mor­
ii flessivi.
(15) turco: forme del lessema ev casa con possessivo di prima persona
I problemi relativi all’ordine di apparizione di morii flessivi sono
di due tipi: da una parte, riguardano l’ordine tra morii con valori ine­ singolare
renti e morfi con valori contestuali all’interno di parole di una singola Caso singolare plurale
lingua, dall altra, riguardano l’esistenza di ordini opposti tra morii la mia casa/le mie case” (soggetto)
nominativo evim evlerim
dello stesso tipo in lingue diverse.
genitivo evimin evlerimin ‘della mia casa/delle mie case”
Nell ipotesi che si debba tener conto di una distinzione fra tratti evlerime ‘alla mia casa/alle mie case”
dativo eviine
inerenti e tratti contestuali (adottando quindi, eventualmente, una evlerimi ‘la mia casa/le mie case” (oggetto)
accusativo evimi
versione debole della split morphology), si può ipotizzare che i tratti evimden evlerimden ‘dalla mia casa/dalle mie case”
ablativo
inerenti, che hanno a che fare con informazioni di natura semantico-
concettuale, siano generati e assegnati alle forme di un lessema prima
Tuttavia, la situazione illustrata dal turco, che è perfettamente com­
dei tratti contestuali, che possono essere assegnati solo quando il les­
patibile con una versione debole di split morphology, che distingua
sema è inserito in un preciso contesto sintattico. Nel caso in cui i
morii portatori dei due tipi di tratti non siano amalgamati, dunque, ci tra morfi flessivi di tipo inerente e di tipo contestuale, non si ritrova
aspetteremmo, nella forma lineare di parole che contengano entrambi in tutte le lingue che presentino nelle loro forme flesse nominali mor­
i tipi di tratti, di trovare prima (cioè più vicino al morfo lessicale) i fi dei due tipi non amalgamati. Vediamo i dati del finlandese (lingua
morii portatori di tratti inerenti e poi (cioè meno vicino al morfo les­ uralica ugrofinnica parlata in Finlandia e in alcune regioni confinanti)
sicale) i morii portatori di tratti contestuali. in (16) 2I:
Questa aspettativa sembra soddisfatta da dati come quelli in (14),
dove si presentano forme flesse di nomi del turco (lingua altaica par­
lata in Turchia e in alcune regioni confinanti). In turco il morfo di 20 I possessivi del turco non esprimono invece, diversamente da quelli italiani, il
numero non è amalgamato al morfo di caso (come invece avviene in numero del posseduto, che è espresso solo dal suffisso di plurale: si osservi infatti che
russo e in latino, cfr. i dati visti nei p a r k . 5 .4 e 5.10.1), e il morfo che le forme che significano “la mia casa” e “le mie case” presentano lo stesso morto di
possessivo -im, attaccato alle forme che significano rispettivamente “la casa e le
porta un valore inerente, cioè quello di numero, appare più vicino
case” . ..
alla radice di quello che porta un valore contestuale, cioè quello di a i. Ringrazio Krista Ojutkangas per avermi aiutato a raccogliere e analizzare 1
caso: dati finlandesi presentati nel testo.

108 109
M O R F O L O G IA 6 . M O R F O L O G IA E SIN TASSI

(16 ) fin la n d e s e : a lc u n e f o r m e d e l le s s e m a t a l o “ c a s a ” vo. Questo ordine è diverso da quello esibito dalle forme flesse para­
Caso singolare plurale gonabili del turco, riportate in (15).
L ’ordine esibito dalle forme finlandesi è un problema per versioni
nominativo talo talo-t anche deboli di split morphology, perché presenta morii con tratti conte­
genitivo talo-n talo-j-en
stuali più vicini alla radice di morii con tratti inerenti. Inoltre, il fatto che
partitivo22 talo-a talo-j-a
turco e finlandese presentino, per valori paragonabili, ordini diversi di
Le forme illustrate presentano qualche complicazione in più di quelle apparizione dei morii è un problema per i modelli che ritengono che
turche: il morfo del plurale è -t- nel nominativo, e -j- nel genitivo e nel questi morii vengano attaccati alla radice da regole di tipo sintattico.
partitivo, si ha cioè un allomorfia di tipo suppletivo, paradigmaticamen- Per capire meglio perché la presenza di ordini alternativi tra morii
te condizionata; inoltre, come in turco, il morfo del nominativo è un che esprimono le stesse categorie grammaticali rappresenti un proble­
morfo zero. Per il resto, però, osserviamo una situazione simile a quella ma, dobbiamo illustrare un po’ più in dettaglio i modelli che ipo­
del turco: i morii di numero e di caso non sono amalgamati, e quello tizzano che le forme flesse siano generate nello stesso modo dei sin­
di numero precede quello di caso. Se in finlandese può esserci un mor- tagmi e delle frasi.
fo di possessivo legato alle forme dei lessemi di categoria nominale, ci In questi modelli le categorie grammaticali sono interpretate come
aspetteremmo quindi di trovarlo, come in turco, più vicino alla radice veri e propri elementi (detti teste funzionali) costitutivi della struttura
di quello di caso. Invece non è così, come vediamo dai dati in (17): di una frase, al pari dei lessemi che in essa appaiono (detti teste lessi­
cali) 2;i. Una forma flessa come camminava è generata da una struttura
(17) fin la n d e s e : a lc u n e f o r m e d e l le s s e m a t a l o casa” con possessivo di sintattica come quella in (19):
prima persona singolare
Caso singolare plurale
nominativo taloni taloni
genitivo taloni talojeni
partitivo taloani talojani

Per analizzare le forme in (17) è necessario sapere che a causa di re­


gole fonologiche, /n/ e /t/ non possono occorrere prima dei suffissi
possessivi: questo spiega perché il nominativo plurale è taloni e non
*talotm, il genitivo plurale è talojeni e non *talojenni, e il genitivo
singolare è taloni e non *talonm. L ’ordine fra i morii di numero, pos­
sessivo e caso appare al suo meglio nella forma del partitivo plurale,
dove appare evidente che la segmentazione è quella riportata in (18):
(18 ) t a lo j a ni
casa pl p art po ss.is g

In (18) appare evidente che l’ordine di apparizione dei morii che se­
guono il morfo lessicale è il seguente: numero - caso - possessivo.
Abbiamo quindi un morfo che porta informazione di carattere conte­
Legenda·. AgrSP = Subject Agreement Phrase “sintagma dell’accordo con il soggetto^ A g rS -S u b je ct
stuale, quello di caso, che si colloca tra due morii che portano infor­ Agreement “ accordo con il soggetto” ; T P = Tem e Phrase “sintagma del tempo ; T = Tense tempo ,
mazione di carattere inerente, quello di numero e quello di possessi­ V P = Verb Phrase “ sintagma verbale” ; V = Verb verbo .

22. Il partitivo è un caso usato in finlandese per marcare l’oggetto diretto in al- 23. Come osserva anche Pollock (1989), questo modello è in totale continuità
cuni tipi di costruzioni (per esempio, in frasi negative; cfr. Branch, 1990, p. 609). con quello di Chomsky (1957). nel quale, come abbiamo visto, i valori delle categorie

no
M O R F O L O G IA 6 . M O R F O L O G IA E SIN TASSI

Il lessema verbale (rappresentato in (19) dal tema del verbo) si arric­ (20)
chisce di informazione flessiva (un tratto di tempo, e tratti di persona
e numero in accordo con il soggetto) spostandosi dal basso verso l’al­
T AgrSP
to e da destra a sinistra all’interno della struttura sintattica in cui è
inserito, e raccogliendo ad ogni tappa un morfo che segnala determi­
nati valori di determinate categorie grammaticali, qui considerate te­
ste funzionali.
In questo modello, si torna in un certo senso all’idea che esistano
dei morfemi intesi come entità biplanari: una certa testa funzionale
(livello del significato) è espressa da un certo morfo (livello del si­
gnificante) che appare nella struttura della frase al pari dei morii les­
sicali.
I modelli in esame incorporano il cosidetto mirror principle,
cioè principio del rispecchiamento (proposto da Baker, 1985), se­
condo il quale l ’ordine di apparizione dei morii flessivi all’interno
di una forma flessa rispecchia l ’ordine in cui essi sono aggiunti
nella derivazione sintattica. È sulla base di questo principio, ad
esempio, che Belletti (1990) ha proposto che nella struttura sintat­
tica il nodo AgrSP (che domina i morfi che esprimono accordo Esistono però sia lingue nelle quali i morfi di persona/numero si pre­
tra verbo e soggetto) domini il nodo TP (che domina i morfi di sentano dopo quelli di tempo, come in italiano, sia lingue nelle quali
tempo verbale), contrariamente a quanto si era sostenuto in pre­ avviene il contrario (cfr. Stump, 1998, p. 37)· Dobbiamo quindi ipo­
cedenza (cfr. Pollock, 1989) sulla base di dati riguardanti solo tizzare che i nodi di tempo e di accordo con il soggetto abbiano col-
1 ordine delle parole in una frase, e non l’ordine dei morfi in una locazioni reciproche diverse in diverse lingue? Questo naturalmente è
parola. In modelli che ipotizzano la formazione delle forme flesse possibile, ma non sembra esserci una motivazione di tipo esclusiva-
in sintassi, attraverso un meccanismo di movimento del morfo les­ mente sintattico per questa ipotesi.
sicale verbale cammina- che si sposta verso l’alto nella struttura Ancora più problematico è il caso in cui morfi che rappresentano
ad albero raccogliendo sulla sua strada, via via che li incontra, i una stessa categoria grammaticale appaiono in ordini diversi all inter­
morfi di tempo (-v-) e di persona/numero (-a), una forma come no di forme flesse diverse di una stessa lingua. Ad esempio, in geor­
camminava si può spiegare solo se la struttura è quella in (19). giano (lingua caucasica parlata in Georgia) si trovano morfi che espri­
Una struttura come quella in (20) genererebbe la forma non atte­ mono accordo di persona con il soggetto e/o con 1 oggetto attaccati
stata *camminaav. alla radice verbale come prefissi in certe forme flesse e come suffissi
in altre forme, come si vede dai dati in (21) (dati da Aronoff, i 9 9 9 >
p. 329):

(21) a. g-xedav-s
OGG.2SG - vedere - SOGG.3SG
grammaticali, quali ad esempio Passato, erano componenti autonomi della struttura “egli vede te”
sintagmatica di una frase al pari degli elementi lessicali, e non previamente legati ad
essi (in quanto l ’unione di formativi lessicali e grammaticali si compiva solo al termine b. v-xedav-t
della derivazione di una frase, con l’operare di trasformazioni e regole morfofonemi- - vedere - 0GG.3PL
S O G G .i p l
che).
“noi vediamo loro”
M O R F O L O G IA 6 . M O R F O L O G IA E SIN TASSI

In (2ia) il soggetto è espresso dal suffisso -s, mentre in U ib) il sog­ morii discontinui, morii soprasegmentali, morii non completamente
getto è espresso dal prefisso v-; l’oggetto è espresso dal prefisso g- in specificati, segnalazione molteplice ecc., non costituisce un problema,
(2ia) e dal suffisso -t in (2ib). Casi analoghi si hanno in ebraico (cfr. in quanto il significante della forma flessa non deve essere costituito
Borer, 1998, p. 172). tramite il suo movimento sintattico: si devono solo confrontare i tratti
Sembra indesiderabile postulare, per una stessa lingua, posizioni morfosintattici che essa contiene con i tratti morfosintattici contenuti
diverse dei nodi che dominano i morii di accordo con il soggetto e nell’albero, e verificare che i due insiemi coincidano, indipendente­
con l’oggetto a seconda della persone e del numero di soggetto e og­ mente dall’ordine in cui questi tratti si presentano e dal modo in cui
getto. L ’unica conclusione che possiamo trarre da dati di questo tipo sono espressi nel significante della forma flessa.
è che bisogna rinunciare a un modello nel quale la relazione tra un Anche in un modello di questo tipo, però, rimane da specificare
certo valore di una categoria grammaticale e il suo rappresentante al­ come si costituiscano le forme flesse dei lessemi. Abbiamo visto che
l’interno del significante di una forma flessa portatrice di quel valore non sono sostenibili modelli che prevedono la generazione di queste
è diretta, come quella tra le due facce (significato e significante) di un forme con un meccanismo a entità e disposizioni o a entità e pro­
segno saussuriano, e optare per modelli nei quali questa relazione è cessi; nel prossimo capitolo illustreremo dunque le caratteristiche di
indiretta, cioè è mediata da un livello intermedio, che è il livello pro­ un modello a parole e paradigmi.
priamente morfologico.
Recentemente sono stati sviluppati almeno due tipi di modelli che
riconoscono l’impossibilità di generare le forme flesse dei lessemi
come disposizione di entità bifacciali. Un primo modello, quello della
distributed morphology (Halle, Marantz, 1993), ipotizza che nell’albe­
ro sintattico vengano generati solo i valori delle categorie grammati­
cali associati a una certa forma flessa, e che l’accoppiamento tra un
certo insieme di significati lessicali e valori (ad esempio, [ v e d e r e ]
[presente] [sogg 1 pi] [ogg 3 pi]) avvenga in seguito, in un compo­
nente post-sintattico che è responsabile di accoppiare un appropriato
significante a ciascun insieme di significati e valori. Un altro modello,
quello della checking theory (Chomsky, 1993), ha in comune con il
primo l’idea che nell’albero sintattico siano generati i diversi valori
delle categorie grammaticali portati dalle forme flesse che dovranno
comparire in una frase; l’associazione tra questi valori e un determi­
nato significante si compie però in modo diverso. In sostanza, una
forma flessa selezionata dal paradigma di un lessema si sposta lungo i
vari nodi dell’albero, verificando (ingl. checking) se i tratti morfosin-
tattici di cui è dotata corrispondono a quelli rappresentati nell’albero.
Solo le forme i cui tratti corrispondono in pieno a quelli presenti nel­
l’albero possono emergere in superficie. Il meccanismo è un po’ simi­
le a quello dei modelli come quello in (19), nel quale il morfo lessica­
le si spostava lungo l’albero per arricchirsi di morii flessivi presenti
sotto i diversi nodi: solo che nella checking theory a spostarsi è un’in­
tera forma flessa, che non deve raccogliere morii flessivi, ma solo ve­
rificare che l’informazione che essa contiene sia uguale a quella che la
sintassi richiede. In questo caso, l’ordine di apparizione dei morii nel­
la singola forma flessa, e l’eventuale presenza in essa di amalgami,
7

Il modello a parole e paradigmi

In un modello a parole e paradigmi - che come abbiamo già osserva­


to sarebbe meglio denominare modello a lessemi e paradigmi, per di­
sambiguare il senso del termine parola in questo contesto - l’oggetto
primario di interesse non è tanto il modo in cui avviene la formazio­
ne di ciascuna singola forma flessa di un lessema, ma la struttura del
paradigma di un lessema. Il paradigma presenta infatti caratteristiche
che possono spiegare la struttura di singole forme, ma che non pos­
sono essere colte esaminando le singole forme individualmente.
Il modello a parole e paradigmi prevede naturalmente dei mecca­
nismi di generazione delle singole forme flesse di un lessema. Questi
meccanismi sono detti regole di realizzazione, e condividono in parte
le proprietà dei processi utilizzati in un modello a entità e processi.
Tuttavia, le regole di realizzazione hanno anche delle caratteristiche
diverse dai processi: mentre questi ultimi sono essenzialmente opera­
zioni fonologiche che hanno luogo su entità concepite come morfemi
biplanari, le regole di realizzazione creano un’entità biplanare (una
forma flessa) a parure da altre entità in cui componenti di significato
(il significato lessicale di un lessema e un certo insieme di tratti mor-
fosintattici) e componenti di significante (la forma fonologica che rap­
presenta il lessema e i tratti nella forma flessa) sono ancora disgiunte.
Una regola di realizzazione non implica quindi la formazione di
un’entità che presenti un isomorfismo tra componenti di significato e
componenti di significante: non è necessario, cioè, che nella forma
flessa sia presente e identificabile un morfo specifico per ogni tratto
morfosintattico e un morfo specifico per il significato lessicale del les­
sema. La relazione di biplanarità tra significato e significante, in un
modello a parole e paradigmi, è concepita come una relazione valida
per ciascuna forma flessa nella sua interezza, ma non per ciascuno dei
singoli elementi che la compongono. In questo modo, non costitui­
scono più un problema fenomeni come l’amalgama, i morii zero e
vuoti, i morii non completamente specificati ecc.

117
M O R F O L O G IA 7 . IL M O D E L L O A PA R O L E E PA R A D IG M I

Un aspetto della formazione delle forme flesse che si coglie molto l’impossibilità delle forme in (ib) sia di ordine fonologico. Tuttavia,
bene in un modello a parole e paradigmi, mentre presenta difficoltà sembra difficile sostenerlo: sia /od/ che /ud/ terminano m /d/, quindi
in modelli fondati su morfemi intesi come entità biplanari, riguarda la la loro distribuzione in relazione a /o/ e /ite/ non può spiegarsi certo
distribuzione degli allomorfi cosiddetti suppletivi, sia dei lessemi che con la necessità di evitare incontri di fonemi non permessi dalle rego­
delle desinenze. le fonotattiche dell’italiano h Anche *ame e veda non violano alcuna
In un modello a entità e disposizioni o a entità e processi, nessun restrizione fonotattica dell’italiano, come è facilmente dimostrato dal
meccanismo permette di spiegare perché sono attestati i dati in (ia) fatto che veda è una forma attestata in un diverso significato, e che
ma non quelli in (ib): sono attestate forme come lame, teme, seme, esprime, chiome, come,
desume, nelle quali si ha una Im i preceduta da vocale e seguita da
a. odo b. *udo “ i a sg . p r e s . in d . d i u d i r e ” /e/ come in *ame.
u d it e * o d it e “ 2 a p lu r . p r e s . in d . d i u d i r e ’ I dati in (1) si possono spiegare solo facendo ricorso a due pro­
am a *am e “ 3 a s g . p r e s . in d . d i a m a r e ” prietà dei lessemi che non sono né di ordine semantico né di ordine
vede *veda 1 “ 3 a sg . p r e s . in d . d i v e d e r e ”
fonologico, e che, seguendo la proposta di Aronoff (1994). definiamo
come proprie di un livello autonomo di organizzazione di una lingua,
Infatti, in un modello a entità e disposizioni sia i morii lessicali che i
il livello propriamente morfologico. Queste due proprietà sono le se­
morii grammaticali individuabili nelle forme flesse in (i) sono conce­
piti come significanti di morfemi come quelli in (2): guenti:

(3) a. i lessemi appartengono a una classe di flessione;


b. il paradigma di un lessema può presentare una partizione.

Illustreremo ora più in dettaglio ciascuna di queste due proprietà.

7 ,1
Classi di flessione

Si osservino i dati in (4):

Se la formazione di una forma flessa si ottenesse semplicemente tra­ (4) Presente indicativo dei verbi am are e tem ere

mite disposizione di entità dotate di significato, in modo che l’unione


dei significati delle due entità dia il significato della forma flessa, non ia 2a 3a
ia 2a 3a
si spiegherebbe perché non si possa formare *udo con il significato singolare singolare singolare plurale plurale plurale
“ i.sg di udire ” o *ame con il significato “3.sg di am are ” 12.
ami ama amiamo amate amano
L impossibilità delle forme in (ib) non è certo spiegabile in base AMARE amo
temono
temo temi teme temiamo temete
a fattori di ordine semantico. Si potrebbe ipotizzare che la causa del­ TEMERE

Possiamo confrontare i dati in (4) con gli ipotetici dati in (5).


1. Naturalmente, veda è attestato come forma del presente congiuntivo di vede ­
re, ma non come forma di terza persona singolare del presente indicativo (parallela a
ama e vede), che è il senso che ci interessa in questo esempio. 3. Secondo molti studiosi, la distribuzione di /od/ e /ud/ si spiega in base: a cri­
2. Per una caratterizzazione più accurata di queste forme, si può ipotizzare che teri fonologici di ordine prosodico: /od/ occorrerebbe con desinenze atone, /ud/ con
entri in gioco anche un morfo zero per il tempo presente e un altro morfo zero per il desinenze toniche. Questa analisi implica però considerare la vocale tematica m -ite
modo indicativo. Non li abbiamo considerati per non allungare la trattazione; ma anche come parte della desinenza, soluzione che si presta a critiche (cfr. la discussione svolta
ipotizzandone la presenza, la sostanza dell’argomentazione non cambia: cosa impedisce supra, par . 5.3). Per una critica più generale a qualunque tentativo di spiegare questi
la formazione di *am -0-0-e con il significato di “3sg presente indicativo di amare ”? fatti di distribuzione con criteri di ordine fonologico, cfr. Maiden (2003, pp. 12-4).

118
M O R F O L O G IA 7 . IL M O D E L L O A PA R O L E E PA R A D IG M I

(5 ) Ipotetici presenti indicativi dei verbi am are e tem ere flesse di quel lessema, ed è un fattore che costituisce informazione
propriamente morfologica, non riducibile a informazione di tipo né
Ia 2a semantico né sintattico né fonologico.
3a ra 2a 3a
singolare singolare singolare plurale plurale Il plurale
a. *
7·2
amo ami ame
b. •k
amiamo amate amano Partizione dei paradigmi
amo ami ama amiamo amate amono
c. temo temi tema temiamo temete temono
d. * temo temi teme temiamo Mentre l’appartenenza di un lessema a una classe di flessione permet­
temete temano
te di spiegare fenomeni di suppletivismo fra morfemi grammaticali, la
seconda componente della morfologia intesa come livello autonomo
Il fatto che distribuzioni di forme come quelle in (5) non siano atte­ di organizzazione delle lingue permette di spiegare fatti di suppletivi­
state ci dice qualcosa di nuovo rispetto a quanto avevamo già visto smo debole o forte, o comunque di allomorfia non fonologicamente
nel paragrafo precedente. I dati in (4) e (5) mostrano che c e una governata, tra morfemi lessicali.
cooccorrenza regolare tra la presenza di una certa desinenza in una Il paradigma di un lessema può presentare una partizione, cioè
certa cella del paradigma e la presenza di un’altra desinenza in un’al­ una suddivisione in raggruppamenti di celle intermedi tra le singole
tra cella del paradigma (ad esempio, tra -e nella terza persona singo­ celle e il paradigma intero. Certe celle (non accomunate né dal fatto
lare e -orto nella terza plurale). La scelta tra due desinenze sinonime, di contenere forme con determinati tratti morfosintattici in comune,
benché non governata fonologicamente, non è casuale: essa è mediata né dal fatto di contenere forme che presentino desinenze con tratti
da una caratteristica di ogni specifico lessema verbale, che è la sua fonologici comuni) sono accomunate dal fatto che nelle forme in esse
appartenenza a una determinata classe di flessione. L ’informazione contenute il lessema è rappresentato da una stringa di fonemi diversa
sulla coniugazione cui appartiene un verbo è indispensabile per gene- da quella usata in altri gruppi di celle. Ciascun insieme di celle così
rare correttamente le sue forme flesse. L ’appartenenza di un lessema accomunate rappresenta una classe di partizione del paradigma di un
verbale a una coniugazione non correla con nessun fattore sintattico, lessema (secondo la terminologia di Pirrelli e Battista, 2000, e Pirrelli,
semantico, o fonologico: ad esempio, appartengono alla prima coniu­ 20°0). . . . .
gazione verbi di qualunque valenza (cfr. nevicare, camminare, amare, Si considerino i dati in (6), cioè le forme del presente indicativo
regalare), con i significati più svariati, e con ogni tipo di forma fono- di due verbi italiani:
logica 4. p altra parte, solo 1 appartenenza del lessema a una coniuga-
zione può spiegare la distribuzione in (5) delle desinenze di terza per­ (6) P aradigm a del presente in dicativo d i d u e verb i italiani
sona: se un verbo seleziona -a nella terza singolare seleziona -ano nel­
la terza plurale, e se seleziona -e nella terza singolare seleziona -ono ia 2a 3 a ia 2“ 3a
nella terza plurale; altre combinazioni (-a nella terza singolare e -ono singolare singolare singolare plurale plurale plurale
nella terza plurale, o -e nella terza singolare e -ano nella terza plurale)
siedi sitile· sediamo sedete siedono
non sono attestate. Dunque la coniugazione cui appartiene un verbo SEDERE siedo
(più in generale, la classe di flessione cui appartiene un lessema) è un orlo odi ode udiamo udite 1 odono
UDIRE
fattore che ha un ruolo ineliminabile nella generazione delle forme

Ciascuno dei verbi in (6) è rappresentato, nelle forme del presente indi­
4. Le radici di verbi della prima coniugazione possono terminare in quasi qua­ cativo, da due diverse stringhe fonologiche, come riepilogato in (7):
lunque fonema dell’italiano: cfr. creare, striare, abituare, rubare, bucare, baciare, lascia­
re, badare, tifare, pagare, plagiare, calare, ragliare, amare, sanare, sognare, rapare, arare (7) verb o stringa 1 stringa 2
rasare, tritare, lavare, schizzare, utilizzare, cambiare, arcuare. Mancano verbi della pri­
ma coniugazione la cui radice termini in -a e in -o, ma verbi con radice terminante in SEDERE sied- sed-e-
-a e in -o non si hanno neanche nelle altre coniugazioni. UDIRE od- ud-i-

120
M O R F O L O G IA 7 . IL M O D E L L O A PA R O L E E PA R A D IG M I

Le celle di prima, seconda e terza persona singolare e terza persona criteri semantici, nel caso in cui ogni stringa portasse, oltre al signifi­
plurale del presente indicativo di questi verbi (e di numerosi altri ver- cato lessicale del verbo, anche un qualche significato grammaticale
bi dell’italiano) costituiscono una classe di partizione all’interno del aggiuntivo (ad esempio, un certo valore della categoria di persona, o
paradigma del verbo, diversa da quella (o quelle) alla quale apparten­ di quella di numero), darebbe luogo a paradigmi come quelli ipotetici
gono le celle di prima e seconda persona plurale del presente indica­ illustrati in (8):
tivo e altre celle del paradigma.
Abbiamo già visto che la distribuzione delle desinenze di terza (8) Ipotetici paradigmi con distribuzione delle stringhe governata semanti­
persona singolare -a ed -e non è spiegabile in base a fattori di ordine camente (esemplificati sul verbo u d ir e )

semantico o fonologico, ma solo attraverso il ricorso a un fattore pro­


a. stringa 1 per il singolare, stringa 2 per il plurale
priamente morfologico, cioè 1 appartenenza del lessema a una data
classe di flessione. Vedremo ora che anche la distribuzione delle due ode udiamo udite udono
UDIRE odo i odi
stringhe in (7) all’interno del paradigma di ciascun verbo non è spie­
gabile in base a fattori fonologici o semantici, ma in base a un altro
fattore propriamente morfologico, cioè il tipo di partizione presentata b. stringa 1 per la prima persona, stringa 2 per le altre persone
dal paradigma del lessema verbale.
odo udì ude odiamo udite udono
Secondo alcuni autori, sarebbe possibile spiegare come dovuta a UDIRE 1
un fattore fonologico l’alternanza tra sied- e sed-: sied- compare infat­
ti in forme in cui la vocale è accentata, sed- in forme in cui la vocale c. stringa 1 per la terza persona, stringa 2 per le altre persone
è atona. Tuttavia questa regolarità (che è frutto di un mutamento fo­
netico, di dittongazione delle vocali medie in sillaba aperta, che ha udi 1 ode udiamo udite odono
UDIRE udo
avuto luogo agli albori della lingua italiana) non è descrivibile come
dovuta a una regola sincronicamente produttiva nella fonologia del­
l’italiano contemporaneo: essa non si applica a tutti i verbi che pre­ Una distribuzione del tipo di quelle illustrate in (8) non è attestata in
sentino una vocale media, come si vede dal fatto che il verbo sedare , alcun verbo italiano.
che ha una radice sed- omofona di quella di sedere , non presenta Dunque la distribuzione delle diverse stringhe non è spiegabile ne
1 alternanza tra sed- e sied- (le sue forme di presente indicativo sono in base a criteri di ordine fonologico né in base a criteri di ordine se­
sedo, sedi ecc.). L ’alternanza tra una forma con vocale -e- atona e una mantico. Eppure non si tratta di una distribuzione casuale: se la distri­
con dittongo ascendente -ie- tonico si ha solo in determinati verbi, e buzione fosse casuale, avremmo distribuzioni diverse in verbi diversi, e
costituisce quindi una proprietà specifica di certi lessemi, non il ri­ anche qualche caso di distribuzioni come quelle esemplificate in (9):
sultato di una regola fonologica produttiva dell’italiano contempora­
(9) Distribuzioni non attestate (esemplificate sul verbo u d ir e )
neo (cfr. anche Maiden, 1992; Pirrelli, 2000, pp. 86-90). Un’alternan­
za come quella tra od- e ud-, poi, è specifica del solo verbo udire : odono
nessun altro verbo dell’italiano presenta forme con vocale -o- alter­
UDIRE I udo odi lldc udiamo Podi tv
nanti con forme con vocale -u-. “ — --- — “
udì ode udiamo | od ite: udono
UDIRE odo
La distribuzione in (6) non è spiegabile neppure in base a fatti di
ordine semantico. Le due stringhe di ciascun verbo rappresentano al­
trettanto bene il significato lessicale del verbo, né è possibile ipotizza­ Invece, ogni verbo italiano che presenti due diverse stringhe nelle
re che ciascuna di esse porti anche un significato aggiuntivo: non c’è forme del presente indicativo presenta una distribuzione delle due
infatti alcun elemento di significato comune alle tre persone del sin­ stringhe come quella in (6); altre ipotetiche distribuzioni possibili,
golare e alla terza persona plurale, ma che escluda prima e seconda come quelle casuali in (9) e quelle governate semanticamente in (8),
persona plurale, né c’è alcun significato comune alle prime due per­ non sono attestate.
sone del plurale ad esclusione della terza. Una distribuzione basata su Dunque il tipo di partizione che il paradigma di un determinato

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verbo presenta non è casuale, ma è una proprietà specifica del singo­ più per indicare una sequenza di radice + vocale tematica, mentre
lo lessema verbale (tanto quanto la sua appartenenza a una certa clas­ molte delle entità che stiamo esaminando non contengono una vocale
se di flessione). La partizione non si spiega né attraverso l’agire di tematica. Un’altra alternativa poco raccomandabile è chiamare queste
regole fonologiche, né come correlata a specifiche proprietà morfo- forme radici: infatti normalmente si intende con radice un’entità sem­
sintattiche o semantiche delle celle che rientrano in una stessa classe plice, non dotata di complessità interna, mentre alcune delle entità
di partizione: si tratta dunque di un’altra proprietà del livello di ana­ qui in questione sembrano più complesse di altre, e possono essere
lisi propriamente morfologico, un livello che, seguendo una proposta analizzate come derivate da altre: ad esempio, veng- sembra costruito
di Aronoff (1994), viene oggi denominato livello morfomico. per aggiunta di /g/ a veri-; chiamare sia ven- che veng- radici di veni
E importante osservare che non tutti i verbi italiani (e, in genera­ re potrebbe generare confusione. Per lo stesso motivo, sembra poco

le, non tutti i lessemi di una certa parte del discorso) hanno la stessa raccomandabile anche chiamare queste diverse entità allomorfi5. Aro­
partizione del loro paradigma. Ad esempio, i tre verbi co n o sc er e , noff (1994) propone il termine morfoma per designare ciascuna delle
venire e DOLERE hanno partizioni via via più articolate nel presente stringhe che può rappresentare un certo lessema e che ha una distri­
indicativo, come mostra la t a b . 7.1 (ispirata alla presentazione di Pir- buzione ben definita all’interno del suo paradigma.
relli, 2000, p. 64). In italiano la terminologia usata per designare queste entità è va­
ria, non ancora stabilizzata nell’uso, e non sempre univoca anche in
TABELLA 7.1
uno stesso autore. Uno dei termini che presenta minori inconvenienti
Form e del presente indicativo dei verbi co n o sc e r e , venire e dolere
sembra essere base, e quindi d’ora in poi lo adotteremo per designare
ciascuna delle diverse stringhe che possono rappresentare un lessema
CONOSCERE VENIRE DOLERE nelle diverse classi di partizione del suo paradigma.
cono/sk/o vengo dolgo Possiamo definire una base di un lessema come una forma del les­
cono/Lf/i sema sulla quale operano determinate regole di realizzazione per for­
mare determinate forme flesse. Le regole di realizzazione possono
cono/fJVe
semplicemente aggiungere un affisso a una base, o mettere in gioco
cono/ff/am o veniamo dogliamo processi di tipo diverso dall’affissazione, quali il raddoppiamento di
cono/J'J'/ete venite dolete una sottoparte della base, la sottrazione di una sua parte ecc.
cono/sk/ono
Come abbiamo visto, spesso un lessema presenta più di una base.
vengono dolgono
Limitandoci ad esaminare le sole forme del presente indicativo, ab­
biamo visto che i tre verbi italiani co n o sc er e , venire e dolere pre­
Nella tab . 7.1 vediamo che il paradigma del presente indicativo di sentano rispettivamente due, tre e quattro basi. Pirrelli e Battista
co no scer e presenta due sole classi di partizione, con alternanza tra (2000; cfr. anche Pirrelli, 2000) hanno condotto uno studio appro­
forme basate su /konosk/ e forme basate su /konoJJV, mentre il pa­ fondito della flessione verbale italiana, dal quale risulta che un singo­
radigma del presente indicativo di venire presenta tre classi di parti­ lo verbo italiano può presentare al massimo sei basi (è il caso di d o ­
zione, con alternanza tra forme basate su veng-, vien- e ven -; il para­ lere , che presenta, oltre alle quattro basi che abbiamo già visto, dols-

digma del presente indicativo di dolere presenta addirittura quattro in alcune forme del passato remoto e dolu- nel participio passato).
classi di partizione, con alternanza tra dolg-, duol-, /doW e dal-. Alle diverse basi di un verbo può essere assegnato un indice nu­
Come possiamo chiamare le diverse stringhe che rappresentano il merico per indicare la classe di partizione del paradigma nella quale
lessema verbale nelle diverse classi di partizione del suo paradigma? sono utilizzate. Ad esempio, i paradigmi del presente indicativo visti
In inglese queste stringhe sono comunemente chiamate stems (cfr.
Aronoff, 1994; Pirrelli e Battista, 2000; Stump, 2001). Questa parola
5. Si pronuncia contro questa ipotesi anche Aronoff (1994, p. 180, nota 40), che
inglese, in contesti diversi da quello qui in esame, è normalmente tra­ scrive: «we may do severe damage to thè notion of allomorph if we always treat as
dotta in italiano con tema; ma il termine tema appare poco adatto a allomorphs thè different forms of a single lexeme that may be selected as stems. This
designare le entità in questione, perché in italiano tema è usato per lo is because some stems are morphologically complex, while others are not».

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M O R F O L O G IA
7. IL MODELLO A PAROLE E PARADIGMI

in t a b . 7.1 possono essere schematizzati nel modo illustrato in t a b .


senta, rispetto alla B i, raggiunta di /isk/, mentre la B2 di v e n i r e
7.2, dove in ogni cella del paradigma è presente una variabile che
presenta aggiunta di /g/ e sostituzione di /e/ con /ε/. Dunque non
indica la base sulla quale sono costruite le forme che occupano quella
c’è rapporto di implicazione tra forma di una base e classe di parti­
cella e la classe di partizione cui la cella appartiene 6.
zione in cui compare 7.
Un’altra caratteristica importante della partizione dei paradigmi è
TABELLA 7.2
Schemi di distribuzione delle basi in tre diverse
che le partizioni che presentano meno classi sembrano essere sempre
possibili partizioni del paradigma
del presente indicativo in italiano derivabili da partizioni più ricche di classi tramite un’operazione di
unione di due o più classi di partizione (con conseguente neutralizza­
CONOSCERE VENIRE DOLERE zione dell’opposizione tra due o più basi). Ad esempio, da una parti­
B2
b 2 b 2 zione del presente indicativo come quella esemplificata da dolere , si
B! può giungere a una partizione come quella esemplificata da venire
Bl tramite unione della classe di partizione 4 con la classe di partizione
Bi
1; e si può giungere a una partizione come quella esemplificata da
Hi
conoscere tramite l’unione della classe 3 con la classe 1. Per questo
Bi B i
B i in nessun verbo italiano sono attestate distribuzioni come quelle
B2 Β2 esemplificate in (8) e (9): i lettori interessati potranno verificare che
B2
F o n te·, basato su Pirrelli, 2000, p. 64. esse non sono derivabili da nessuna operazione di unione di classi, a
partire da una delle partizioni illustrate in tab . 7.2 (che esauriscono
le possibili partizioni del presente indicativo di un verbo italiano).
C i sono diverse caratteristiche importanti da rilevare nello schema il­ Una terza caratteristica da rilevare è che in ciascun verbo la Bi
lustrato dalla tab . 7.2. Innanzitutto, non c e una corrispondenza di­ rappresenta la base fonologicamente meno complessa, dalla quale
retta e necessaria tra la classe di partizione che una base occupa e la spesso le altre possono essere derivate tramite aggiunta o manipola­
sua torma. Ad esempio, i due verbi f i n i r e e v e n i r e hanno la stessa zione di elementi, e verso la quale convergono eventuali semplifica­
partizione nel paradigma del presente indicativo, una partizione in tre zioni della partizione di un paradigma (in diacronia, o nelle varietà di
classi, e quindi hanno (nel presente indicativo) tre basi ciascuno apprendenti una L i o una L 2 )8.
come illustrato in (io):
Un’altra caratteristica importante delle classi di partizione è che
(io ) FINIRE VENIRE
esse si comportano come entità attive nell’organizzazione dei paradig­
Bi fin ven mi (con le parole di Maiden, 1992, p. 285: «an active, abstract struc-
B2 fin/isk/ /veng/ tural property of morphological systems»). La prova di ciò è data da
B3 fini/J’JV vien una serie di fatti diacronici. Consideriamo ad esempio il verbo italia­
no u s c i r e : esso deriva dal latino e x i r e ; dal punto di vista dell’evolu-
Le tre basi di ciascun verbo hanno un indice che rimanda alla classe
di partizione in cui compaiono, ma come si vede la B2 di f i n i r e pre­
7. In alcuni casi, basi con caratteristiche fonologiche opposte possono occupare
la stessa classe di partizione nel paradigma di lessemi diversi. Ad esempio, la maggior
parte dei nomi latini presenta un paradigma bipartito (cfr. Di Pietro, 2004), con una
6. Le TABB. 7.1 e 7.2 illustrano partizioni relative al solo presente indicativo Cia­
base (B2) usata nelle forme del nominativo e vocativo singolare e un’altra base (Bi)
scuna delle partizioni qui illustrate è in realtà parte di una partizione più ampia- ad
usata in tutte le altre forme: nel nome animàl “animale” B2 ha vocale breve e B i
esemplo la partizione 2 comprende anche le prime tre persone singolari e la terza
vocale lunga (nominativo sg. animai, genitivo sg. animàl-is), mentre nel nome sàl
purale del presente congiuntivo, la 3 comprende anche l’imperativo singolare la 1
“sale” accade il contrario (nominativo sg. sài, genitivo sg. sàl-is).
uno , T o t tU" e f T u deU’lmPerfetto indicativo e congiuntivo e alcune altre. Per 8. Non possiamo qui approfondire questi punti per motivi di spazio. Una tratta­
uno schema comp eto delle partizioni possibili nei verbi italiani si veda Pirrelli e Bat­
tista (2000, p. 339). zione dettagliata di questi argomenti si ha in Pirrelli (2000) e in Pirrelli e Battista
(2000).

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zio n e fo n e tica , le fo rm e ch e p rese n tan o la b a se usci- so n o in sp iegabili; più di una, le basi aggiuntive in alcuni casi sono derivabili dalla B i
una rego lare ev o lu zio n e fo n e tica a v re b b e p o tu to p ro d u rre so lo fo rm e tramite un processo fonologico, in altri casi devono essere elencate (e
co m e * esclamo, *escite, *esche ecc. L o sv ilu p p o d i u na b a se ch e p r e ­ memorizzate dai parlanti). Ad esempio, di solito la B2 di un verbo
senta /u/ al p o sto d i / ε / si sp iega p e r e ffe tto d e ll’in flu sso d el n o m e della terza coniugazione è derivabile dalla B i tramite 1 aggiunta di
u s c i o ( < lat. tard o u s t iu m < lat. o s t iu m “ p o rta , a p e rtu ra ” ): il sign i­ /isk/, mentre la B2 di u d i r e deve essere memorizzata, in quanto,
ficato d el v e rb o u s c ir e , “ an d are fu o r i” , è in fatti strettam en te co n n es­ come abbiamo già osservato, intrattiene con la B i un rapporto che
so c o n q u ello d el n o m e u s c io , “ p o rta , ap ertu ra attraverso cu i si p u ò non ha paralleli in nessun altro verbo italiano. Infine, l’informazione
an d are fu o r i” (“si esce p e r l ’uscio”, nella fo rm u la z io n e d i T ek a v c ic , morfologica riguarda la classe di flessione cui un lessema appartiene,
I 9 7 2 a , p. 2 73 ). C o m e sp iegare, p e rò , ch e il n o m e u s c i o n o n a b b ia la partizione del suo paradigma e l’indicizzazione delle sue basi (cioè
avu to e ffe tto su ll’in tero lessem a v e rb a le, m a so lo su a lc u n e sue fo r ­ l’associazione tra una base e una classe di partizione del paradigma).
m e? P e rc h é co n tin u iam o a d ire esco, esci, esce, escono, e n o n d iciam o L ’informazione del livello morfologico quindi media l’associazione
*uscio, *usci, *usce, *uscionoì II fa tto si sp ie ga so lo fa c e n d o ricorso tra significato e significante, almeno in tutti i casi in cui ad un lesse­
alla n o zio n e d i classe d i p a rtizio n e: l ’in c ro c io co n il n o m e u s c io è ma non è associato un singolo significante, ma una serie di basi.
stato sfru ttato , n el p a ra d igm a d el v e r b o u s c ir e , p e r la creazio n e d i
una b a se c h e po tesse essere im p iegata in u n a certa classe d i p a rtizio ­ 74
ne, e n o n n e ll’in tero p a ra d ig m a d e l lessem a ve rb a le (cfr. M aid en , Regole di realizzazione
1995)·
Maiden (2003; in stampa) mostra che le classi di partizione spie­ Abbiamo detto che in un modello a parole e paradigmi le forme fles­
gano anche la distribuzione di basi suppletive che hanno o r ig in e dalla se di un lessema vengono costruite attraverso regole di realizzazione.
fusione in un solo paradigma di forme derivanti da lessemi diversi, Vediamo ora un po’ più in dettaglio che cosa sono queste regole
come i prosecutori di lat. v a d e r e , a m b i t a r e e a m b u l a r e nel para­ di realizzazione. La trattazione che segue sarà piuttosto informale e
digma di ANDARE. generale. Non esiste infatti un modello formale unico per l’espressio­
ne delle regole di realizzazione, che sia condiviso da tutti gli studiosi
7-3 che adottano un modello a parole e paradigmi (tra i quali vanno ri­
Organizzazione delle entrate lessicali cordati almeno Arnold M. Zwicky, Mark Aronoff, e Gregory T.
Stump). Stump (2001) presenta una versione altamente formalizzata
D a q u a n to a b b ia m o v isto n ei p arag rafi p reced en ti, si d e d u c e ch e l ’in ­ del modello, con applicazioni che descrivono in modo esaustivo para­
fo rm a zio n e c h e un p a rla n te h a a d isp o sizio n e sui lessem i d ella sua digmi verbali e nominali di diverse lingue, che non è possibile qui
lin g u a va b e n o ltre la co n o sc en za d i u na se m p lice a sso cia zio n e tra u n illustrare nel dettaglio per motivi di spazio. Ci limiteremo quindi a
significato e u n significante. presentare alcune idee chiave condivise da qualunque approccio a pa­
L ’in fo rm a zio n e co lleg a ta a ciascu n lessem a rigu ard a alm en o q u a t­ role e paradigmi che adotti regole di realizzazione.
tro d iversi livelli: q u ello sem an tico, q u ello fo n o lo g ic o , q u e llo sin tatti­ Innanzitutto, dobbiamo dire che ci sono diversi tipi di regole di
co e q u ello m o rfo lo g ico . realizzazione: regole di formazione delle basi, regole di formazione
L ’in fo rm azio n e sem an tica rig u ard a il sign ificato lessicale d el lesse­ delle forme flesse, e forse anche un altro tipo di regole, le regole di
m a 9. L ’in fo rm azio n e sin tattica rig u ard a tratti m o rfo sin ta ttici in eren ti rimando (inglese rules o f re}errai).
(quali ad esem p io il g e n e re d ei nom i) e altre ca ratteristich e d el lesse­ Le regole di formazione delle basi assumono sempre come input
m a, co m e la va len za d i u n v e rb o . L ’in fo rm azio n e fo n o lo g ic a rigu ard a la base fonologicamente meno ricca del paradigma (la B i negli esem­
le b asi d el lessem a; o g n i lessem a h a alm en o u n a b a se ( B i) : se ne h a pi italiani che abbiamo visto), e permettono di derivare da essa altre
basi tramite l’aggiunta di segmenti, o la manipolazione della struttura
prosodica (per esempio con l’assegnazione di accento a una data silla­
9. Per un’introduzione sull’argomento cfr. Casadei (2003). ba della base, o con l’eliminazione di un accento esistente).

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La regola che abbiamo già ricordato, che deriva la B2 dalla B i in deve corrispondere la B3 /finiJJ/; per verbi che non presentano par­
verbi come finire, ha la forma in (n): tizioni nel presente indicativo, come vedere, (12) ci dice che alla X
in (13) corrisponde la B i, che è la base cosiddetta di default, cioè
(n ) Verbo [dasseIIAia] [partMoneX]: B2 = Bi/isk/ quella che si utilizza quando nessuna regola più specifica richiede la
selezione di un’altra base.
Altre regole rendono conto della distribuzione delle diverse basi di Da (13) si vede bene anche un’altra caratteristica della flessione
un lessema nelle classi di partizione (cp ) del paradigma. Ad esempio,
verbale italiana, e cioè che la scelta di una desinenza di persona/nu-
per i verbi italiani si ha una regola del tipo di (12):
mero (ad esempio, quella di terza singolare) dipende dalla classe di
(12) Verbo [classeIIAia] [partizioneX]; B2 in CP2, B3 in CP3, ... Bi altrove flessione cui il verbo appartiene, ma non dal tipo di partizione che il
suo paradigma presenta: finire e vedere, i cui paradigmi hanno par­
In (12), CP2, CP3 ecc. sono abbreviazioni per l’elenco delle celle in tizioni diverse, formano la terza persona singolare del presente indi­
cui compaiono rispettivamente le basi B2, B3 ecc. (l’abbreviazione se­ cativo attivo nello stesso modo, seguendo entrambi la regola (13). In
gue un uso adottato da Maiden, 2003). (13) le partizioni non sono specificate perché non svolgono un ruolo
Si osservi, in (12), che per la base B i non è indicata una specifica nella selezione della desinenza di persona/numero. Si noterà anche
classe di partizione in cui essa compaia: la base B i è per ogni verbo che in (13) la classe di flessione è stata specificata come [classe 11]:
la base cosiddetta di default, che compare nelle celle che non siano questa specificazione segue un modello dell’organizzazione delle classi
parte di una classe di partizione esplicitamente definita: lo spazio oc­ di flessione del verbo italiano che non riconosce le tre coniugazioni
cupato da B i è quindi diverso nei paradigmi di diversi verbi, ed è tradizionali, ma ipotizza che i verbi italiani si raggruppino essenzial­
maggiore quanto minore è il numero di classi in cui è ripartito un mente in due macroclassi, corrispondenti alla tradizionale prima co­
certo paradigma (come si vede anche osservando la tab . 7.2). niugazione e all’insieme delle altre: ciascuna macroclasse è poi divisa
Vediamo ora una regola di realizzazione che genera forme flesse, in diverse sottoclassi. Il fatto che la desinenza di terza persona singo­
ad esempio quella che genera forme come vede o finisce, schematizza­ lare del presente indicativo sia uguale in verbi tradizionalmente consi­
ta in (13): derati della 11 coniugazione e verbi tradizionalmente considerati della
m coniugazione è una delle prove in favore di questa classificazione
(13) Verbo [classe: II][persona: 3-sg][tempo: presente][modo: indicativo][voce: attivo]· [X]—>[Xe] alternativa delle classi di flessione del verbo italiano, che raggruppa
queste due coniugazioni in una stessa macroclasse Ir.
In (13), X è una variabile che sta per una base: quale delle diverse Una regola di realizzazione può anche essere più specifica di (13),
basi di un lessema verbale debba essere selezionata è regolato da nel caso di verbi molto irregolari: ad esempio, la terza persona singo­
(12). Ad esempio, per un verbo come finire, che ha nel presente in­ lare del presente indicativo del verbo essere richiede una regola del
dicativo la stessa partizione di venire, (12) ci dirà che alla X di (13)io
.* tipo di (14):

(14) VerbO[ESSERE][persona. 3.sg][tempo: presente][modo: indicativo][voce: attivo]· [X]—>[è]


io. Nella formula abbiamo utilizzato, per indicare la classe di flessione cui il ver­
bo appartiene, la numerazione proposta in Dressler, Kilani-Schoch, Spina, Thornton Per evitare che al verbo essere si applichi per errore la regola (13), si
(2003); per indicare la partizione del paradigma abbiamo utilizzato la variabile generi­ fa riferimento a una convenzione ben nota in linguistica, detta con­
ca X , dato che non è in uso un sistema di numerazione o di denominazione delle
dizione altrove” o “condizione altrimenti” (in inglese elsewhere condi-
partizioni possibili (ma per una prima proposta si veda Maiden, 2003). Un’altra que­
stione è se la B i di un verbo italiano contenga o meno la vocale tematica: su questo
punto si hanno pareri diversi (per posizioni opposte si vedano Dressler, Thornton,
1991 e Pirrelli, Battista, 2000); ciascuna delle due scelte possibili ha sia conseguenze 11. L ’ipotesi che la flessione verbale italiana sia organizzata in due macroclassi di
positive che conseguenze indesiderabili, che non possiamo qui esplorare per motivi di flessione si trova in Vincent (1988), Dressler, Thornton (1991), e Dressler, Kilani-
spazio; nella formulazione della regola in (11) abbiamo ipotizzato che la B i non con­ Schoch, Spina, Thornton (2003). In quest’ultimo lavoro è presentata una classificazio­
tenga la vocale tematica. ne dettagliata delle diverse sottoclassi di ciascuna macroclasse.

130
7 . IL M O D E L L O A PA R O L E E P A R A D IG M I
M O R F O L O G IA

tion), o anche “principio di Panini”. Secondo questo principio, se u n a caratteristica d e l m o d e llo a p a ro le e p a ra d igm i è la p a ri d ign ità
una regola più specifica si applica in un contesto che è incluso in tra tu tte le fo rm e d i un p a ra d igm a (a d ifferen za , ad esem p io , d i u n
m o d e llo a en tità e p rocessi, ch e p re v e d e fo rm e so g g ia cen ti e torm e
quello di una regola più generale, la regola più specifica ha la prece­
d erivate). Q u in d i ch i v u o le evitare il ric o rso a re g o le d i rim a n d o p r o ­
denza. Tra (14) e (13) il caso è proprio di questo tipo: il contesto di
p o n e d i fo rm u lare g en era lizza zio n i co m e q u ella in (13) in m o d o n on
applicazione di (13) include quello di (14), dato che il verbo essere è
un verbo della 11 classe; poiché (14) è più specifica di (13) (si applica d irezion ale, co m e in (16) (cfr. A r o n o ff, 1994» P· 8 d ):
al solo verbo essere, non a qualunque verbo della 11 classe), sarà (14)
(16) [indicativo] = [congiuntivo] / [persona: i.pl] [tempo: presen te]-------
ad essere applicata per generare la terza persona singolare del pre­
sente indicativo di essere, e non (13) I2.
Un ultimo tipo di regole di realizzazione che secondo alcuni stu­
diosi devono essere incluse nell’insieme di regole possibili in un mo­
dello a parole e paradigmi è costituito dalle regole di rimando (inglese
rules o f referrai, cfr. Zwicky (1983, p. 372)). Una regola di rimando
non descrive direttamente la realizzazione di una data forma flessa, ma
rimanda per la sua generazione alla regola di realizzazione di un’altra
forma, in tutto o in parte.
Vediamo in (13) un esempio di possibile regola di rimando, che
potrebbe essere utilizzata per generare le prime persone plurali del
presente indicativo di tutti i verbi italiani:

VerbO[persona. Tp|] [tempo: presente] [modo: indicativo] [voce: attivo]· ( X ) “


VerbO[persona. rp|] [tempo: presente] [modo: congiuntivo] [voce: attivo]

La regola (15) permette di esprimere un fatto ben noto, e cioè che la


prima persona plurale del presente indicativo di un verbo italiano è
sempre uguale alla prima persona plurale del presente congiuntivo
dello stesso verbo 13. Questa generalizzazione è valida per verbi di
ogni classe e anche per verbi molto irregolari, quali essere, avere,
SAPERE, ANDARE.
Tuttavia alcuni studiosi preferiscono non fare ricorso a regole di
rimando, perché queste regole implicano una direzionalità dalla gene­
razione di una forma a quella di un’altra: in (13), la forma del con­
giuntivo appare prioritaria rispetto a quella dell’indicativo, mentre

12. L ’applicazione di (13) genererebbe, presumibilmente, una forma come *sie,


ammesso che si- possa essere considerata la B i del verbo essere. Pirrelli e Battista
(2000, p. 338) osservano che le generalizzazioni sulla distribuzione delle basi nelle par­
tizioni dei paradigmi rendono conto di tutti i verbi italiani ad esclusione di otto verbi
estremamente irregolari: avere , essere, andare , dare , fare , stare , dire , sapere.
13. Qusta identità trova spiegazione nel fatto che diacronicamente si è avuto un
processo di sostituzione delle forme del congiuntivo a quelle dell’indicativo: cfr. Vin­
cent (1980).

132 133
8

Il lessico e la formazione dei lessemi

Nel cap . i abbiamo introdotto la nozione di lessema, e abbiamo dato


per scontato che i parlanti conoscano i lessemi della loro lingua. In
questo capitolo approfondiremo la natura di questa conoscenza dei
lessemi da parte dei parlanti, e vedremo come essi procedono per
formare nuovi lessemi.

8.1
Il lessico mentale

Innanzitutto potremmo chiederci: quanti lessemi conoscono i parlanti


di una lingua? Sappiamo che non c’è una risposta univoca: l’estensio­
ne delle conoscenze lessicali di un parlante dipende da molti fattori,
quali la sua età, il suo grado di istruzione, le sue competenze pro­
fessionali. Possiamo dire che ogni parlante ha un suo lessico mentale,
e il contenuto e l’estensione dei lessici mentali di parlanti diversi pos­
sono essere anche abbastanza diversi. Il numero di lessemi conosciuti
da un parlante adulto è solitamente stimato in qualche decina di mi­
gliaia (mentre in un dizionario che aspiri alla massima completezza
possono essere registrate anche alcune centinaia di migliaia di lesse­
mi: cfr. De Mauro, 2oo3b, p. n 6 ).
Che informazioni contiene il lessico mentale di un parlante riguar­
do a un lessema? Come minimo, dobbiamo ipotizzare che per ogni
lessema siano contenute informazioni sulla parte del discorso cui il
lessema appartiene, sul suo significato, e sul suo significante - o me­
glio, sulle diverse basi che vengono utilizzate per costruire i signifi­
canti delle diverse forme del lessema (cfr. cap . 7) \ 1

1. Gli psicolinguisti da anni studiano molto dettagliatamente la natura e l’orga­


nizzazione delle informazioni contenute nel lessico mentale dei parlanti. Q ui non pos­
siamo per motivi di spazio render conto dei risultati di queste ricerche (si veda per
una presentazione generale Laudanna, Burani, 1999).

135
M O R F O L O G IA 8. IL LE SSIC O E L A F O R M A Z IO N E D EI LESSEM I

Un aspetto importante del lessico mentale di qualunque parlante leale” , scontento significa “non contento” , sgradevole significa “non
è che esso non è statico, ma si arricchisce continuamente di nuove gradevole” , dunque sfiducioso significherà “non fiducioso”. Io stessa,
entità. Infatti nuovi lessemi di una lingua vengono creati continua- qualche giorno dopo aver incontrato questo neologismo 2 per la pri­
mente, ogni giorno. Uno studio di Baayen e Renouf (1996) ha mo­ ma volta, mi sono trovata ad usarlo spontaneamente in una conversa­
strato che in un quotidiano come il “Times” di Londra appaiono zione con un collega, e non saprei dire se lo ho riconiato secondo il
ogni giorno diversi nuovi lessemi mai precedentemente utilizzati nello bisogno comunicativo del momento o ho attinto al mio lessico menta­
stesso giornale, né registrati dai vocabolari dell’inglese. Si tratta di le, che si era recentemente arricchito di questo nuovo elemento.
nuovi lessemi formati da coloro che scrivono su questo giornale (gior­ ’ La competenza di un parlante comprende dunque non solo la co­
nalisti, ma anche cittadini comuni, come i lettori che inviano lettere noscenza di lessemi esistenti, ma anche la capacità di formare e capi­
al giornale). re nuovi lessemi secondo certe regole. L insieme di queste due realtà
Per l’italiano, esempi di lessemi che si incontrano tra le pagine di (lessemi e regole di formazione dei lessemi) costituisce quello che a
un giornale ( La Stampa di Torino) ma non sono registrati neppure partire da Chomsky (1970; cfr. cap . 6) è stato chiamato componente
nella più ricca e più recente fonte lessicografica dell’italiano, il gra- lessicale di una grammatica.
dit (De Mauro, 1999, 2003C), sono autoreclusione, criptazione, amma-
nettamento (Gaeta, Ricca, 2002, p. 229), parole che vengono facil­ 8.2
mente create e altrettanto facilmente capite dai lettori del giornale. I Modi per formare nuovi lessemi
parlanti di una lingua quindi evidentemente dispongono non solo di
conoscenze statiche sui lessemi della loro lingua (cioè hanno memo­ Nuovi lessemi possono essere formati secondo diversi tipi di proce­
rizzato, nel corso del processo di acquisizione della lingua, un elenco dimenti.
più o meno vasto di lessemi), ma anche di meccanismi che permetto­ In primo luogo, si possono formare per composizione di due o
no loro di produrre e comprendere lessemi sempre nuovi. Cioè i par­ più lessemi esistenti. Ad esempio, sono lessemi composti dell italiano
caposquadra, apripista, buttafuori, cassaforte, altopiano, cassapanca, pe­
lanti non conoscono solo i lessemi esistenti della loro lingua, ma san­
sce spada, e migliaia di altri3. Si possono formare lessemi anche con il
no anche valutare quali lessemi siano possibili nella loro lingua, e
possano quindi essere prodotti all’occorrenza. procedimento cosiddetto della composizione neoclassica: in questo
caso vengono uniti non due o più lessemi esistenti, ma due o più ele­
Ad esempio, mentre scrivevo questo capitolo, ho sentito in un
menti che hanno significati della stessa natura di quelli dei lessemi
servizio del TG2 del 2 ottobre 2004 l’enunciato (1):
(dunque non sono affissi), ma non condividono un altra caratteristica
(1) i carabinieri sono sfiduciasi di poterlo rintracciare essenziale dei lessemi, quella di poter essere utilizzati, nelle loro for­
me flesse, come costituenti di sintagmi e frasi. Esempi di questi ele­
Non avevo mai incontrato prima il lessema sfiducioso: questo lesse­ menti neoclassici sono entità come cardio - o nefro -, che hanno un
ma non è elencato nel gradit e una ricerca in Internet effettuata con significato coincidente con quello dei lessemi cuore e rene, e posso­
Google.it (sempre il 2 ottobre 2004) ha permesso di reperire una sola no entrare in composizione, ad esempio, con elementi come -lo g ia ,
altra sua occorrenza, che riporto in (2): -patia , dando luogo a composti come cardiologia , nefropatia , ma
non possono essere utilizzati in costruzioni sintattiche (non diciamo
(2) le persone ancora preferiscono andare nel negozio e sono sfiduciose con *mi fa male un nefro, *senti come mi batte il cardio). Questi elementi
la carta di credito on-line (intervento su Mlist, una lista di discussione sono detti neoclassici perché hanno origine da lessemi delle lingue
dedicata a tutti gli aspetti del marketing on line) classiche, greco e latino. La composizione neoclassica è utilizzata so-

Nonostante la novità di questo lessema, non abbiamo difficoltà a


2. Si chiama “neologismo” un lessema coniato di recente rispetto all’epoca consi­
comprendere gli enunciati in (r) e (2): come parlanti dell’italiano, in­
derata. Quindi sfiducioso è un neologismo alla fine del 2004, mentre, ad esempio, i
fatti, sappiamo che un aggettivo Y formato per prefissazione di s- ad lessemi coniati da Dante erano neologismi nel primo quarto del xiv secolo.
un altro aggettivo X ha il significato “non X ” : sleale significa “non 3. Sui composti in italiano cfr. almeno Dardano (1978, cap. 4) e Bisetto (2004).

136 137
m o r f o l o g ia 8. IL LE SSIC O E L A F O R M A ZIO N E D EI LESSEM I

prattutto per la formazione di termini tecnici di diverse scienze e di­ nomi come arrivo, sosta (rispettivamente dai verbi arrivare e sostare) e
scipline, alcuni dei quali però possono denominare referenti molto verbi come martellare, cestinare, stancare, snellire 6.
comuni e conosciuti e divenire quindi vocaboli ben noti alla totalità Combinando prefissazione e conversione si formano i verbi cosid­
dei parlanti (si pensi a lessemi come frigorifero o gin ecologo ) 4. detti parasintetici, cioè verbi come abbottonare, imburrare, abbellire,
Un po’ a metà strada tra i composti e i sintagmi si collocano i inaridire. Si tratta di verbi prefissati che derivano da nomi e aggettivi
lessemi polirematici. Si tratta di strutture che, come i composti, sono senza che sia attestato né un verbo denominale o deaggettivale non
costituite da due o più lessemi; a differenza dei composti, però, i les­ prefissato formato per conversione dalle stesse basi Sbottonare, *bu-
semi polirematici hanno la struttura interna di un sintagma, ma il rarre, *bellire, *aridire), né un corrispondente nome o aggettivo pre­
loro significato (a differenza di quello dei sintagmi) non è riducibile fissato (*abbottono, * imburro, *abbello, * inarido). Si può ipotizzare
alla semplice combinazione dei significati dei costituenti. I lessemi quindi che la derivazione di questi verbi avvenga per simultanea pre­
polirematici sono sentiti dai parlanti come singole unità lessicali, e fissazione e conversione 7.
possono appartenere a qualsiasi parte del discorso; i più numerosi Suffissazione, prefissazione, composizione e conversione sono i
sono quelli nominali (come anima gemella, carro armato, scala mobile, procedimenti più frequentemente utilizzati in italiano per la formazio­
ordine del giorno), verbali (come dare i numeri, andare in onda, fare ne di nuovi lessemi, ma non esauriscono i modi in cui è possibile
fuori, perdere la testa, e i cosiddetti “verbi sintagmatici”, costituiti da arricchire il lessico di una lingua (cioè aumentare il numero di lesse­
un verbo e un avverbio con significato spaziale, come buttare giù, ti­ mi utilizzabili dai suoi parlanti).
rare su) e avverbiali (come a caldo, al verde, di punto in bianco) 5. Va ricordato infatti un altro metodo cui si fa frequentemente ri­
Inoltre, i lessemi possono formarsi per aggiunta di un affisso a un corso per arricchire il lessico, che consiste nel prendere a prestito les­
lessema già esistente: la formazione di lessemi per aggiunta di affissi è semi di una lingua straniera. Nell’italiano di oggi è molto frequente
detta derivazione, e i tipi di derivazione più diffusi sono la suffissa­ l’utilizzo di parole dell’inglese (si pensi a parole come computer, mou­
zione e la prefissazione. Sono esempi di lessemi italiani suffissati fio­ se, e-mail), ma in ogni epoca il lessico della lingua italiana si è arric­
raio, autista, postino, libreria, bestiame, stupidità, bellezza, sentimento, chito di prestiti tratti da numerose altre lingue: sono prestiti da lin­
organizzazione, lavatrice, venditore, nazionale·, sono esempi di prefissa­ gue più o meno lontane lessemi di uso quotidiano come carciofo, di­
ti autogestione, copilota, maxischermo, microfilm, miniabito, supereroe, vano, tè, patata, banana. Un altro modo di sfruttare il lessico di una
amorale, disonesto, inutile, antisismico, extraparlamentare, internazio­ lingua straniera per arricchire quello della propria lingua consiste nel
nale, multietnico, plurisecolare, transalpino, destabilizzare, prefabbrica­ procedimento del calco: in questo caso, invece di utilizzare diretta-
re, rifare, scucire, sottopagare, sovrapporre. Una differenza importante mente un lessema straniero, se ne copia la struttura: sono calchi lesse­
tra suffissazione e prefissazione in italiano consiste nel fatto che men­ mi come grattacielo e retroterra,, modellati rispettivamente sull’inglese
tre molti suffissi possono creare lessemi appartenenti a parti del di­ sky-scraper e sul tedesco Hinterland.
scorso diverse da quella del lessema di partenza (ad esempio, stupido Altri procedimenti a volte utilizzati per la formazione di nuovi
è un aggettivo ma stupidità è un nome), i prefissi non cambiano mai lessemi, di uso assai meno frequente di quelli finora elencati, sono la
la parte del discorso del lessema cui si applicano, come si può verifi­ retroformazione, la riduzione e la formazione di cosiddette parole
care esaminando gli esempi di lessemi prefissati appena citati. macedonia. La retroformazione è un fenomeno analogico che porta
Un altro modo per formare nuovi lessemi è la conversione, un alla creazione di un nuovo lessema, erroneamente ricostruito dai par­
procedimento che consiste nel creare un nuovo lessema appartenente lanti in quanto considerato fonte di un lessema già esistente, che è
a una certa parte del discorso a partire da un lessema esistente appar­ invece frutto di un diverso processo di formazione: ad esempio, in
tenente a una parte del discorso diversa, senza però utilizzare alcun italiano è una retroformazione il verbo compravendere, formato a par­
affisso. Sono esempi di lessemi formati per conversione in italiano tire da compravendita, che non è, come si potrebbe credere, un nome
deverbale derivato da compravendere, ma un composto di due nomi:

4. Sulla composizione neoclassica in italiano, cfr. Iacobini (20043.). 6. Sulla conversione cfr. Grossmann, Rainer (a cura di) (2004, cap. 7).
5. Sui lessemi polirematici in italiano cfr. almeno Voghera (2004). 7. Sui parasintetici in italiano cfr. Iacobini (2oo4b).

138 139
M O R F O L O G IA 8 . IL LE SSIC O E L A F O R M A Z IO N E DEI LESSEM I

compra, formato per conversione da comprare, e vendita, formato per deve essere specificata la classe di lessemi cui la regola può applicarsi,
suffissazione da vendere. Con riduzione si indica un insieme di proce­ il tipo di operazione che si effettua applicando la regola, e il tipo di
dimenti che portano alla formazione di varianti più brevi di lessemi lessemi cui la regola dà luogo.
esistenti, che a volte però divengono così frequenti nell’uso da essere La classe di lessemi cui una rfl si applica è detta dominio o base
da molti parlanti percepite come lessemi autonomi: sono riduzioni della regola io. Vedremo tra breve che una rfl non può applicarsi
parole come auto, frigo, foto, moto (rispettivamente da automobile, indifferentemente a qualunque lessema, ma e sensibile a delle restri­
frigorifero, fotografia, motocicletta)·, rientra nell’ambito della riduzione zioni.
anche la formazione di sigle, come c a i (Club alpino italiano), cd L ’operazione che si effettua applicando la regola può essere di di­
(compact disc). Infine, sono detti nella tradizione italiana parole ma­ versi tipi. Un caso molto comune è la semplice aggiunta di un affisso
cedonia i lessemi formati unendo elementi di altri lessemi già esistenti a un membro del dominio, ma anche nella formazione dei lessemi si
che non sono però dei morii, ma solo sottoparti di un lessema (estese hanno tutti quei fenomeni non riconducibili a un modello a entità e
più o meno di un morfo): sono esempi di parole macedonia vocaboli disposizioni, che nel capitolo 5 abbiamo esemplificato soprattutto con
come quallina e zebrallo, che indicano animali ibridi (rispettivamente casi riguardanti la formazione di forme flesse.
tra una quaglia e una gallina e tra una zebra e un cavallo). Anche nella formazione di lessemi si hanno casi che in un mo­
Nel resto di questo capitolo ci concentreremo soprattutto sulla dello a entità e disposizioni dovrebbero essere descritti ricorrendo a
suffissazione, che è il procedimento più usato per la formazione di nozioni quali morii zero - cfr. (3) -, morii sottrattivi - cfr. (4); dati
nuovi lessemi in italiano 8.
da Dressler, 19873, p. 104 - , morii soprasegmentali - cfr. (5); dati da
Bauer, 1983, p. 123 -, morii discontinui - cfr. (6):
S.3
Le regole di formazione dei lessemi inglese cut “tagliare” cut “taglio”
(3)
talk “parlare” talk “conferenza, discorso
La capacità di produrre e comprendere sempre nuovi lessemi è stata
modellata ipotizzando che i parlanti abbiano a disposizione (appren­ russo logika “logica” logik “logico”
(4)
dano nel corso dell’acquisizione della loro lingua) delle regole di for­ matematika “matematica” matematik “matematico”
mazione dei lessemi (d’ora in poi, k f l ) 9 .
Una rfl può essere, come abbiamo già detto, una regola di com­ inglese per'mit “permettere” 'permit “permesso”
(5)
posizione, di derivazione o di conversione. Per descrivere una rfl 'segment “segmento” segment “segmentare”

(6 ) arabo kataba “scrivere” kitdb “libro”


8. Una trattazione ricchissima dei diversi procedimenti di formazione dei lessemi
oggi usati in italiano si ha nel volume a cura di Grossmann e Rainer (2004), dal quale È bene quindi concepire l’operazione effettuata da una rfl come
abbiamo tratto la maggior parte degli esempi utilizzati nel testo di questo paragrafo. una regola di realizzazione, che permette di derivare un nuovo lesse­
9 · Alcuni studiosi ipotizzano che la formazione di nuovi lessemi non avvenga se­
ma effettuando un qualche tipo di operazione (non necessariamente
guendo regole, ma per via analogica, formando nuovi lessemi sul modello di determi­
nati lessemi esistenti. Sono stati sviluppati infatti modelli della competenza linguistica
che fanno a meno della nozione di regola, e rendono conto della formazione di strut­
ture complesse tramite 1 ipotesi dell adeguamento a uno schema astratto costruito a io. Aronoff (1976, p. 22) definisce base di una regola di formazione di lessemi
partire dalle somiglianze tra un insieme di forme esistenti che fanno da modello per la l’insieme dei lessemi sui cui la regola può operare, o un qualunque membro di questo
creazione di forme nuove. Su questo tipo di modelli in morfologia cfr. Bybee (1988, insieme: egli non utilizza quindi termini distinti per designare il singolo lessema cui
1:995). Ù dibattito tra fautori di modelli basati su regole e modelli in cui il ruolo prin­ una rfl si applica in una data circostanza, e l’intera classe di lessemi cui una rfl può
cipale è giocato non da regole ma da rappresentazioni e da requisiti di buona forma­ potenzialmente applicarsi. Utilizzare il termine dominio per designare la classe delle
zione cui ogni nuovo elemento deve obbedire travalica i confini della morfologia, e si basi cui una rfl può applicarsi permette di esprimere un utile distinzione tra classe e
ritrova anche in fonologia e in sintassi. In questo libro, abbiamo adottato l’ipotesi che individuo. Inoltre, questa soluzione terminologica permette di minimizzare in questo
la competenza dei parlanti di una lingua comprenda regole (ad esempio, rfl e regole contesto l’uso del termine base, che in italiano presenta una fastidiosa coincidenza
di realizzazione per la generazione di forme flesse). terminologica con base nel senso in cui questo vocabolo è stato usato nel ca p . 7.

140
M O R F O L O G IA 8. IL LE SSIC O E L A F O R M A ZIO N E D E I LESSEM I

riducibile alla pura aggiunta di un affisso) su un rappresentante fo­ nom i di strum ento bistecch iera, lavatrice, frullatore, annaffiatoio, d i­
nologicamente specificato (una base, nel senso che abbiamo dato a sinfettante, cancellino...
questa nozione nel cap . 7) di un lessema appartenente al dominio n om i di lu o g o abbeveratoio, stireria...
della regola. nom i collettivi pollam e, ragazzaglia, posateria, ossatura...

I lessemi che una rfl può creare sono detti uscita della regola (in
Le r f l sono soggette a delle restrizioni. Possiamo distinguere due or­
inglese, output). L ’uscita di una rfl possiede determinate caratteristi­ dini di restrizioni: restrizioni di carattere generale, dette a volte anche
che categoriali e semantiche. Una certa regola forma cioè tipicamente condizioni, e restrizioni che riguardano specificamente una singola
lessemi appartenenti a una determinata parte del discorso, e aventi r f l I3. Nei paragrafi seguenti illustreremo brevemente questi feno­
una componente di significato in comune. Questa componente di si­
meni.
gnificato comune a tutte le uscite di una regola è stata denominata da
diversi studiosi con il termine tedesco Wortbildungsbedeutung, lette­ 8 .4
ralmente significato della formazione della parola”, e va distinta dal Condizioni sulle rfl
semplice significato lessicale di un lessema derivato o composto Ir.
Ad esempio, potremmo dire che la Wortbildungsbedeutung della re­ 8.4.1. Il blocco
gola che forma nomi derivati con i suffissi -tore e -trice in italiano
consiste nel formare nomi che possono essere i soggetti del verbo cui Tra le condizioni di carattere generale, particolarmente importante è
i suffissi si aggiungono: una lavatrice lava, una stiratrice stira, un frul­ il cosiddetto principio del blocco: questo principio rende conto del
latore frulla, un lavoratore lavora. Solo il significato lessicale dei sin­ fatto che un lessema, che sarebbe possibile formare secondo una r f l
goli derivati ci dirà poi se l’entità designata è una macchina o appa­ esistente, non viene formato se nella lingua in questione (o meglio,
recchio, come nel caso di lavatrice e frullatore, o una persona, come come osserva Rainer (in stampa), nel lessico mentale di un parlante)
nel caso di lavoratore', in alcuni casi, poi, uno stesso lessema, come esiste già una parola con lo stesso significato. Un esempio spessissimo
stiratrice, può designare sia la macchina che la persona in grado di citato dell’operare di questo principio ci è offerto dai dati in (8):
compiere l ’azione designata dal verbo I2.
verb o nom e d ’agente derivato dal verb o nom e sinonim o
E stato osservato (cfr. Szymanek, 1988) che i tipi di significati del­ •k
write writer
le regole di formazione dei lessemi si raggruppano per lo più in cate­ “ scritto re”
“ scrivere”
gorie generali: ad esempio, le regole che formano nomi possono esse­ k
read reader
re raggruppate secondo il tipo di uscita almeno nelle categorie elen­ “ leg ge re ” “ le tto re ”
cate in (7), dove per ogni categoria diamo anche qualche esempio di steal ?stealer thief
derivato italiano: “ ru b are” “ ru b ato re” “ la d ro ”

(7) nom i d ’azione organizzazione, ricongiungim ento, p ulitura, lavag­ L ’esistenza del lessema thief “ladro” blocca la formazione di un les­
gio, arrivo... sema stealer, derivato dal verbo τ ο steal “rubare con il suffisso
nom i d i qualità stupidità, bellezza, codardia, balordaggine... -ER che forma nomi di agente: non c è nulla di semanticamente ne
nom i d ’agente fioraio, barbiere, autista, postin o, educatore, p ar­ fonologicamente anomalo in un vocabolo come stealer, formato con
lante, m angione... la stessa rfl che forma lessemi molto comuni come reader e writer
l’unico motivo per cui stealer non viene formato è che i parlanti
non sentono il bisogno di formarlo, in quanto per esprimere il signifi-
11. Rainer (2004, p. 13) propone di tradurre in italiano W ortbildungsbedeutung
con significato morfologico” o “significato derivazionale”: la seconda proposta appa­
re preferibile. I 3. Nella letteratura in lingua inglese, si trovano usati quasi intercambiabilmente
12. Si potrebbe discutere in questo caso se si tratta dello stesso lessema o di due i termini condition, restriction e constraint\ Rainer (in stampa) sembra applicare una
lessemi diversi. distinzione tra universal constraints e language-specific restnctions.

142 143
M O R F O L O G IA 8 . IL LE SSIC O E L A F O R M A ZIO N E DEI LESSEM I

cato di “chi ruba” dispongono già di t h i e f . In realtà però il blocco è v a lid e al m assim o co m e in d ica zio n e d ella p a rte d el d isco rso p re v a ­
una tendenza, non una legge assoluta. Infatti, se cerchiamo su Inter­ len te tra i lessem i ch e co stitu isco n o il d om in io d ella regola, e c h e e c ­
net occorrenze di stealer, ne troviamo un certo numero: ad esempio, cez io n i si tro va n o quasi sem p re. A d esem p io , M o n te rm in i (2001) m o ­
c’è un sito chiamato The girlfriend stealer’s homepage, e si pubblicizza stra ch e su circa x. 100 a ggettivi in -oso elen cati in u n d izio n ario italia­
un programma chiamato password stealer. Possiamo ipotizzare che i n o , b e n c h é la m ag g io ran za sian o d en om in ali, o ltre 60 n o n so n o d e ri­
diversi parlanti che hanno voluto coniare questa parola, che sono va ti d a n o m i, m a d a ve rb i (pensoso, precipitoso, scivoloso...) o d a a g ­
persone palesemente schierate in favore di determinate attività di g ettivi (serioso). D iv e rs i a u to ri (R ainer, 1989» P· 4 7 ) P L g , in stam p a a)
stealing, cioè di furto, abbiano voluto coniare un lessema che descri­ h a n n o q u in d i p ro p o s to ch e la ve ra caratteristica ch e ren d e u n ic o il
vesse meglio la loro figura di attivi “rubatori” di cose che nella loro d om in io d i una r fl n o n sia l ’ a p p a rten en za d ei lessem i cu i la r fl si
filosofia di vita è bello rubare, quali le fidanzate e le password altrui. a p p lica a u na d eterm in ata p a rte d el d isco rso, m a la lo ro co n d ivisio n e
Usare stealer invece di thief, parola usata anche come ingiuria e dota­ d i d eterm in ate ca ratteristich e sem an tich e, che ren d a n o p o ssib ile la
ta di connotazioni negative, è parte di un’ideologia di affermazione lo ro c o m b in a zio n e co n la 'Wortbildungsbedeutung in tro d o tta d all affis­
del diritto a certi tipi di furto: lo stealer non si considera un semplice so. A d esem p io , R ain er (1989) p ro p o n e ch e il d o m in io d e l suffisso
thief\ e dunque si denomina in modo diverso. Da questo punto di italian o -aggine sia co stitu ito d a lessem i ch e in d ica n o qualità um an e
vista, potremmo anche sostenere che in realtà il principio del blocco n e g a tiv e ” : q u esta ca ratterizza zio n e è d i n atu ra sem antica, m a sem b ra
non è stato violato: forse stealer non è veramente sinonimo di thief ren d er c o n to d e i d ati m eg lio d i u n a caratterizza zio n e b a sa ta esclusiva-
nel lessico mentale di chi ha coniato e di chi usa questa parola. m en te sulla p a rte d el d isco rso , ch e cla ssifich e reb b e -aggine co m e su f­
fisso d eaggettivale. A b b ia m o in fatti d erivati co n -aggine sia d e a g g e tti­
8.4.2. L ’ipotesi della base unica v a li ch e d en o m in ali, co m e si v e d e in (9):

(9) a. deaggettivali b. denominali


Nel corso di almeno trent’anni di ricerca sulle caratteristiche delle
R F L , sono state proposte diverse condizioni di carattere generale I4. In ridicolaggine orsaggine
molti casi, però, il procedere della ricerca ha mostrato che condizioni cocciutaggine birbantaggine
di supposta validità universale non erano in realtà tali, e si trattava al sbadataggine
massimo di tendenze, violabili in determinate circostanze.
Le basi dei nomi in (9b) indicano, letteralmente o metaforicamente,
Una condizione di carattere generale su cui si è molto discusso è
esseri umani considerati negativamente dal punto di vista del parlan­
la cosiddetta ipotesi della base unica ( i b u ) , secondo la quale ogni r f l
te, e quindi rientrano perfettamente in un dominio definito non dal­
si^ applica a lessemi appartenenti ad una sola parte del discorso 15.
l’appartenenza a una parte del discorso, ma dalla condivisione di al­
L ’osservazione che spesso le r f l operino su un insieme di lessemi de­
cuni tratti semantici.
finito dall’appartenenza a una determinata parte del discorso ha an­
che implicitamente dato luogo a una certa classificazione tradizionale
dei suffissi, spesso suddivisi in denominali, deverbali e deaggettivali. 8-5
Restrizioni sulle rfl
Ad esempio, si dice che -tore è un suffisso deverbale, -oso un suffisso
denominale, -ita un suffisso deaggettivale. Descrizioni approfondite di
Nel paragrafo precedente abbiamo brevemente illustrato due condi­
singoli affissi, però, hanno mostrato che spesso queste etichette sono
zioni che sono state ipotizzate come condizioni di validità generale,
che si applicano a qualunque possibile r f l . In questo paragrafo ve­
dremo invece restrizioni più specifiche, che vanno descritte separata-
14. Per una rassegna, si veda Scalise (1994, cap. vin).
mente per ciascuna singola r f l di una specifica lingua.
15. L ’ipotesi è stata formulata originariamente da Aronoff (1976, pp. 47-8); per
l’italiano è stata ripresa e approfondita da Scalise (1983, pp. 273-82; 1990, pp. 203-15; Le restrizioni sulle r f l vengono di solito ricondotte ai diversi li­
Ϊ994, pp. 210-7). velli di analisi linguistica: si possono individuare restrizioni fonologi­

144 Ί 45
M O R F O L O G IA 8 . IL LE SSIC O E L A F O R M A ZIO N E D E I LESSEM I

che, morfologiche, sintattiche e semantiche (cfr. Aronoff, 1976, p. 47 Questa restrizione ha evidentemente una base fonetica nella tendenza
ss., Booij, 1977, pp. 120-43; Scalise, 1994 pp. 108-18). In sostanza, alla dissimilazione, cioè a non ripetere a poca distanza all interno di
qualunque informazione associata alla base può essere oggetto di re­ una stessa parola due suoni identici.
strizioni. Un altro esempio di restrizione fonologica si osserva nei dati in (11):

8.5.1. Restrizioni fonologiche (11) [s+ [X] a1a


a. contento scontento
Vediamo in (io) alcuni dati che ci permettono di verificare l’esistenza leale sleale
di una restrizione di carattere fonologico, riguardante la formazione fiducioso sfiducioso
di aggettivi con il suffisso -ale a partire da nomi: b. utile *sutile
onesto *sonesto
(io) 16 [[X ]N + ale]A
In (u à) vediamo che il prefisso r- si aggiunge normalmente ad agget­
a. dente dentale tivi per formare altri aggettivi di significato contrario: perché non si
palato palatale formano dunque i derivati in (n b )? Anche in questo caso, la causa
naso nasale
dell’inesistenza di lessemi come *sutile e * sonesto non e di natura se­
dorso dorsale
mantica (esistono lessemi come inutile e disonesto), ma fonologica: il
b. alveolo *alveolale prefisso s- non si aggiunge a lessemi che iniziano in vocale I16
I7.
velo *velale In (12) vediamo infine un caso in cui una restrizione di natura
c. alveolo fonologica non riguarda la costituzione in fonemi dei significanti dei
alveolare
velo velare
lessemi del dominio, ma la loro struttura prosodica. Il suffisso inglese
-y, che forma ipocoristici di nomi propri, si aggiunge solo a basi mo­
I dati in (ioa) mostrano che da nomi che indicano determinate parti nosillabiche (i2a), non a basi più lunghe (i2b):
del corpo (qui esemplificate solo con organi appartenenti all’apparato
(12) a. John Johnny
fonatorio) è possibile derivare aggettivi in -ale che segnalano una rela­
Bill Billy
zione con la parte del corpo in questione. Dal punto di vista semanti­
Jim Jimmy
co, nulla dovrebbe impedire la formazione dei lessemi in (iob): eppu­ b. Jason *Jasony
re sappiamo, come parlanti dell’italiano, che gli aggettivi derivati da Nicholas *Nicholasy
alveolo e velo non sono quelli in (iob), ma quelli in (ioc). Come
spiegare questa differenza? Essa è dovuta al fatto che i lessemi alveo­ 8.5.2. Restrizioni morfologiche
lo e velo contengono come ultimo fonema della radice una /l/: lesse­
mi che presentano questa caratteristica non rientrano nel dominio del Sono comunemente definite restrizioni morfologiche le restrizioni che
suffisso -ale, ma possono essere derivati con il suo allomorfo fonolo­ riguardano la possibilità di combinazione tra determinati affissi, in
gicamente condizionato -are. Siamo quindi in presenza di una restri­ lessemi formati attraverso l’applicazione di più di una r f l . In (13) si
zione di carattere fonologico: un certo suffisso, -ale, si aggiunge solo presentano esempi e dati sui nomi d azione derivati con il suffisso
a basi che non presentino una determinata caratteristica fonologica. -zione da tre diversi tipi di verbi italiani, a loro volta derivati con i tre
suffissi -izzare, -ificare e -eggiare.

16. Nella formula in (io), [X] sta per qualunque base appartenente al dominio;
N (= nome) e A (= aggettivo) indicano la parte del discorso cui appartengono ri­ 17. Per un’approfondita analisi delle motivazioni fonologiche di questa restrizio­
spettivamente la base e l’uscita della regola di suffissazione di -ale illustrata. ne cfr. Passino (in stampa).

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M O R F O L O G IA 8 . IL L E S S IC O E L A F O R M A Z IO N E D E I L E S S E M I

(13) t[X]y + zione]N pio, possiamo distinguere tra elementi di origine latina entrati in ita­
lottizzare lottizzazione 1.021 lemmi in -izxazione in De Mauro liano per trafila popolare, e elementi di origine dotta; inoltre, possia­
(I999> 20030) mo distinguere elementi di tipo non nativo, cioè di origine non latina,
fluidificare fluidificazione 214 lemmi in -ideazione in De Mauro entrati in italiano come prestiti. I lessemi e gli affissi appartenenti a
(1:999, 20030) strati diversi si distinguono di solito per caratteristiche fonologiche,
danneggiare "danneggiazione o lemmi in -eggiazione in De Mauro ad esempio, in italiano solo parole dello strato non nativo contengo­
(1999, 2003C) no sequenze di fonemi come /gm/ o /ps/ (cfr. i prestiti greci sintag­
ma, dogma, paradigma, psicologia..), e solo le parole dello strato non
Come si vede, i verbi derivati con -eggiare non rientrano nel dominio nativo hanno una forma di citazione che termina in ostruente (cfr.
della rfl che forma nomi dazione in -zione. Anche in questo caso, la prestiti come sport, yogurt, griffe..). Un esempio di restrizione che si
causa dell incompatibilità tra i verbi in -eggiare e il suffisso -zione non spiega considerando i tratti di strato degli elementi coinvolti è la se­
è di natura semantica: questi verbi hanno comunemente derivati con guente: in inglese il suffisso -ity, che è di origine latino-romanza, ed è
il suffisso -mento (per es. danneggiamento), che ha un significato del definito nel sistema di Aronoff dal tratto di strato [ + latinate], forma
tutto paragonabile a quello di -zione. Si ha però una restrizione mor­ nomi di qualità a partire da aggettivi, e si attacca solo ad aggettivi
fologica che impedisce l’aggiunta di -zione a verbi in -eggiare. Al con­ che siano anch’essi [+ latinate]; invece il suffisso -ness, di origine
trario, -zione si aggiunge con particolare frequenza a verbi in -izzare: germanica, semanticamente paragonabile a -ity, si attacca sia a basi
in De Mauro (1999, 2003C) si hanno 1.146 verbi in -izzare e 1.021 [+ latinate] che a basi dello strato nativo, cioè a parole di origine
derivati in -izxazione, dunque oltre 1 89% dei verbi in -izzare ha un germanica. Esempi dell’operare di questa restrizione sono i diversi va­
derivato in -zione. Un rapporto di solidarietà tra due affissi come
lori di grammaticalità dei derivati in (14):
quello tra -izzare e -zione è detto potenziamento: la presenza di -izza-
re in un verbo potenzia la possibilità che da questo verbo sia formato (14) a. aggettivo [ - latinate] happy “felice”
un derivato in -zione. derivato con il suffisso [ + latinate] -ity happity “felicità”
Le restrizioni morfologiche esemplificate costituiscono nel primo derivato con il suffisso [ - latinate] -ness happ in ess “felicità”
caso una restrizione morfologica negativa {-zione non si attacca a ver­ “stupido”
b. aggettivo [ + latinate] stu p id
bi che contengono un determinato suffisso, -eggiare), nel secondo una derivato con il suffisso [ + latinate] -ity stupidity “stupidità”
restrizione positiva {-zione predilige verbi che contengono un deter­ derivato con il suffisso [— latinate] -ness stu p id n ess “stupidità”
minato suffisso, -izzare).
Le restrizioni morfologiche possono riguardare non solo la pre­ Dunque possiamo concludere che in inglese il suffisso -ity si lega solo
senza di uno specifico elemento nella base, ma la struttura stessa del­ a basi [+ latinate], mentre il suffisso -ness non è soggetto a restrizio­
la base: ad esempio, sembra che in italiano i verbi parasintetici in -ire ni di strato.
formino nomi d azione con il suffisso -mento e escludano -zione,
come mostrano i diversi valori di grammaticalità di approfondimento, 8.3.3. Restrizioni sintattico-semantiche
inasprimento, impoverimento, sfoltimento e *approfondizione, *inaspri-
zione, *impoverizione, *sfoltizione (cfr. Scalise, 1983, pp. 207-8). Trattiamo insieme delle restrizioni di carattere sintattico e di quelle di
Aronoff (1976, pp. 31-2) classifica tra le restrizioni morfologiche carattere semantico perché spesso è difficile distinguere tra informa­
anche quelle che hanno a che fare con i cosiddetti tratti di strato l8. I zioni appartenenti a questi due livelli (per un approfondimento su
tratti di strato sono proprietà dei lessemi e degli affissi di una lingua questo punto, cfr. Dovetto, Thornton, Burani, 1998).
che questi elementi hanno per il fatto di essere entrati a far parte Un primo tipo di restrizione di carattere sintattico riguarda il fat­
della lingua secondo una certa trafila diacronica. In italiano, ad esem­ to che, benché I’ibu non possa essere considerata una condizione che
ha validità assoluta per ogni possibile r f l , esistono pur sempre affissi
18. Così anche Booij (1977, pp. I3 I-9); Scalise (1994, pp. 115-6) considera inve­ che effettivamente selezionano un dominio costituito da lessemi ap­
ce le restrizioni che riguardano i tratti di strato un tipo di restrizione a sé. partenenti a un’unica parte del discorso: ad esempio, il prefisso ri- si

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a§§iunge solo a verbi, e il prefisso vice- solo a nomi (Montermini, mai stata in italiano: l’unico lessema italiano analizzabile come agget­
2001). tivo deverbale formato con questo suffisso, caduco, è in realta un pre­
Inoltre, spesso il dominio di una r fl è specificato in modo da re­ stito dal latino, attestato in italiano fin dal xrv secolo, e la sua esi­
stringere il campo dei lessemi cui la regola si può applicare, selezio­ stenza non ha mai fatto da modello per la formazione di altri derivati
nando solo lessemi dotati di certi tratti sintattici e semantici. Si consi­ con un suffisso -uco.
derino i dati in (15), relativi al suffisso -(ore: La nozione di produttività comprende due aspetti, uno di caratte­
re qualitativo e uno di carattere quantitativo. Dal punto di vista qua­
(15) ItXly + tore]N litativo, la questione è se una certa rfl è produttiva o no: una regola
a. scoprire scopritore può essere produttiva o non esserlo, senza vie di mezzo. Ma è ben
b. morire *moritore noto che diverse r fl produttive non lo sono in uguale misura: da un
punto di vista quantitativo, una r fl può avere maggiore o minore
Abbiamo già visto che -tore si aggiunge a verbiI9, e abbiamo detto produttività. Bauer (2001) distingue quindi due componenti della no­
che la Wortbildungsbedeutung della r fl che introduce questo suffisso zione di produttività: quella qualitativa, che chiama availabihty (che
è la formazione di nomi che possono essere soggetto del verbo. Il potremmo tradurre con “disponibilità”), e quella quantitativa, che
dato in (i^b) ci mostra però che questa caratterizzazione non è suffi­ chiama proftability (che potremmo tradurre con “rendimento”). Due
ciente: il verbo morire può avere un soggetto, ma il lessema *moritore r fl disponibili, cioè entrambe utilizzabili in un dato stadio sincronico

è mal formato. Si è osservato infatti (cfr. Bisetto, 1995) che nel domi­ di una lingua per formare nuovi lessemi, possono avere diverso rendi­
nio della r fl che forma derivati con il suffisso -tore non rientrano i mento, cioè formare un numero di lessemi molto diverso.
verbi il cui soggetto non ha le caratteristiche di Agente (tra cui mori­ Quali fattori influenzano il rendimento di una r f l ?
re, il cui soggetto ha il ruolo semantico di Esperiente, non di Agen­ Un fattore primario è senza dubbio la ^Wortbddungsbedeutung dei
te). Dunque una r fl può presentare restrizioni riguardanti non solo lessemi che la r fl forma. Ricordiamo che nuovi lessemi vengono for­
la parte del discorso cui appartengono i lessemi che rientrano nel suo mati per due tipi principali di scopi: da una parte, per poter esprime­
dominio, ma anche diversi tratti sintattici e/o semantici presentati da re un certo significato attraverso una certa parte del discorso, cioè
questi lessemi. per trasporre significati da una parte del discorso a un altra; dall altra,
per denominare nuovi referenti. Un esempio di trasposizione è la for­
8.6 mazione di nomi d’azione: lessemi come ammanettamento, spupazza-
Produttività delle rfl mento, frullamento, risucchiamento (documentati da Gaeta, Ricca,
2002, p. 229) non servono a denominare nuovi referenti, ma esprimo­
Le r fl hanno diversa produttività, cioè sono usate con diversa fre­ no con un nome, per lo più in funzione di ripresa anaforica, il si­
quenza per formare nuove parole. Diciamo che una rfl è produttiva gnificato dei verbi ammanettare, spupazzare, frullare, risucchiare. Sono
quando, in un determinato stadio sincronico di una l i n g u a , i parlanti invece coniati per denominare nuovi referenti i nomi di strumento:
possono utilizzare quella regola per formare nuovi lessemi. Ad esem­ ad esempio, i due nomi di strumento strizzatore “attrezzo che, abbi­
pio, evidentemente la rfl che forma aggettivi derivati con il prefisso nato a un secchio o a un contenitore dotato spec. di rotelle, serve a
r- è produttiva nell’italiano contemporaneo, dato che i parlanti hanno strizzare l’acqua dagli stracci per lavare il pavimento” e deambulatore
recentemente formato il nuovo lessema sfiducioso, di cui abbiamo “attrezzo che aiuta i disabili a muoversi autonomamente, spec. con
parlato all inizio di questo capitolo. Invece, una r fl che formi agget­ riferimento a quelli di struttura metallica, muniti inferiormente di
tivi deverbali con il suffisso -uco non è affatto produttiva, e non lo è quattro piedini di gomma o di rotelle, ai cui sostegni superiori ci si
appoggia con le mani” , sono stati coniati (rispettivamente nel 2001 e
nel 2002, secondo De Mauro, 2003C), per denominare classi di ogget­
19. Ma anche con questo suffisso si hanno alcuni derivati denominali, come roc­
ti di relativamente recente costruzione. Evidentemente, una r fl che
ciatore e il neologismo ghiacciatore “chi pratica l’arrampicata su cascate di ghiaccio”
(datato 2 0 0 1 da De Mauro, 2 0 0 3 C , e probabilmente formato in stretta analogia con ha un significato che torna spesso utile per denominare nuovi refe­
rocciatore). renti avrà maggior rendimento di altre. Un caso spesso citato è quello

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M O R F O L O G IA 8 . IL L E S S IC O E L A F O R M A Z IO N E D E I L E S S E M I

del suffisso polacco -ówka, che può essere attaccato a nomi di mate­ Il continuo formarsi di nuovi lessemi con una certa r fl è prova della
rie organiche per derivare nomi di tipi di vodka (cfr. Szymanek, disponibilità di quella r f l .
rp88, p. i i 4; Bauer, 2001, ρ. 2οδ); la frequenza con cui nascono nuo­ Per il calcolo della produttività di una r fl sono stati sviluppati
vi tipi di vodka da denominare è minore di quella con cui nascono negli ultimi anni, a partire dalle proposte di Harald Baayen (1992),
nuovi strumenti, e dunque questo suffisso avrà rendimento minore di diversi metodi basati su calcoli matematici e statistici; questi metodi
un suffisso che forma nomi di strumento. sono però applicabili solo a lingue per le quali si possa disporre di
La produttività di una rfl non va confusa con due altre caratteri­ amplissimi corpora testuali (dell’ordine delle decine di milioni di oc­
stiche, e cioè la numerosità dei lessemi formati con questa regola, e correnze) interrogabili automaticamente, dunque a una assoluta mi­
la frequenza di occorrenza di questi lessemi. Una r fl può essere non noranza delle lingue del mondo. Per una presentazione generale di
più disponibile in un dato stadio sincronico di una lingua, ma può questi metodi quantitativi di studio della produttività, si veda Bauer
essere stata disponibile ed aver avuto un alto rendimento in passato, (2001, pp. 143-61); per studi approfonditi sulla produttività di diver­
cosicché nella lingua si trovano molti lessemi formati con essa; e una se r f l dell’italiano si vedano i lavori di Gaeta e Ricca (2002, 20033,
r fl poco o per nulla produttiva in un dato stadio sincronico può 2oo3b, 2004). Per altri metodi quantitativi di studio della produttivi­
aver dato luogo in passato a qualche lessema molto frequente. Que­ tà, basati non solo su corpora ma anche su materiale lessicografico, si
st’ultimo è il caso, per esempio, della r fl che forma in italiano deri­ vedano Thornton (1998) e Plag (in stampa b).
vati in -izia: con questo suffisso si hanno solo 22 lessemi diversi nel
corpus di 75 milioni di occorrenze della “Stampa” di Torino (annate 8,7.
1996-98) analizzato da Gaeta e Ricca (20030), ma questi lessemi han­ Aspetti morfomici delle rfl

no un totale di 38.263 occorrenze nel corpus. La frequenza totale dei


derivati in -izia è superiore a quella dei derivati con -tana, ma le In tutta la trattazione fin qui condotta in questo capitolo, abbiamo
36.820 occorrenze dei derivati con questo suffisso sono distribuite su volutamente lasciato in ombra un aspetto del funzionamento delle
ben 1.415 lessemi diversi, a fronte dei soli 22 lessemi diversi con r f l , e cioè la costruzione del significante dei lessemi derivati e com­

-izid. L ’alta frequenza di occorrenza dei derivati in -izia si spiega qua­ posti. Questo tema è stato ampiamente dibattuto in tutti i quadri teo­
si completamente per l ’alta frequenza di un paio di lessemi contenen­ rici che si sono succeduti almeno dalla seconda metà del x x secolo.
ti questo suffisso, giustizia e amicizia. Invece l’alta frequenza dei deri­ Qui ripercorreremo brevissimamente alcuni aspetti della trattazione
vati in -iano è dovuta all’esistenza di molti derivati di frequenza me­ di questo punto in diversi modelli, per concentrarci poi un po’ più
dio-bassa: in particolare, nel corpus di Gaeta e Ricca si hanno ben approfonditamente su come può essere impostata la descrizione della
613 derivati in -iano diversi che occorrono una sola volta. I derivati formazione dei significanti dei lessemi derivati e composti in un qua­
che occorrono una sola volta in un ampio corpus sono detti, esten­ dro teorico che preveda l’esistenza di un livello morfologico autono­
dendo il significato di un termine tecnico della filologia, hapax (nella mo da quello fonologico e da quello semantico e sintattico.
terminologia della filologia classica, con l’espressione greca hàpaks le- In un modello a entità e disposizioni, idealmente la costruzione
gómenon “detto una sola volta” si designano le parole di cui si ha del significante di un derivato o di un composto dovrebbe scaturire
una sola occorrenza in tutto il corpus di testi tramandati di una certa dalla semplice concatenazione delle entità da disporre: due lessemi
lingua). Il numero di hapax tra i derivati con un certo affisso, e più nel caso dei composti, un lessema e un affisso nel caso dei derivati.
in generale, con una certa r f l , è un buon indicatore della produttivi­ Come abbiamo già visto, però, anche nella formazione dei lesse­
tà dell’affisso o della r f l . Infatti, Baayen e Renouf (1996) hanno mo­ mi si presentano tutti i problemi di allomorfie e di morii anomali
strato che c’è un’alta correlazione tra numero di hapax formati con che abbiamo già esemplificato in riferimento alla formazione di for­
una certa rfl in un corpus giornalistico e numero di nuovi lessemi me flesse, e che rendono insostenibile un modello a entità e dispo­
formati con quella rfl incontrati all’accrescersi del corpus di mese in sizioni. . . .
mese (cioè di neologismi formati con la r f l ), anche dopo anni di In riferimento alla formazione dei lessemi, inoltre, e in particolare
campionamento, quando praticamente tutti i lessemi da tempo esi­ in relazione a una lingua come l’italiano, in cui i morii lessicali tipica­
stenti formati con una certa rfl sono già occorsi più volte nel corpus. mente non coincidono con forme Ubere, acquista particolare rilievo il

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m o r f o l o g ia
8 . IL L E S S IC O E L A F O R M A Z IO N E D E I L E S S E M I

problema di definire quale tipo di entità costituisca la base cui si ap­ mente tutti i nomi italiani hanno una forma di citazione che termina
plica una r f l . ^
in vocale e tutti i suffissi italiani che si attaccano a nomi iniziano per
Alcuni studiosi (per l’italiano, in particolare Scalise, 1983, 1984 vocale, si viene a creare una sequenza di due vocali atone, quella ter­
1990, 1994) hanno tentato di costruire un modello nel quale la co­ minale della forma di citazione del nome e quella iniziale del suffisso
struitone del significante di un lessema derivato si effettua a partire (per esempio, *giornaleaio). Interviene allora una regola di cancella­
dalla torma di citazione di un lessema esistente. In un modello a enti­
zione di vocale (r c v ) che cancella la vocale terminale del nome. Que­
tà e processi, questa scelta dà luogo al proliferare di una serie di ipo-
sta regola ha la formulazione riportata in (18):
tetiche regole necessarie per render conto della forma del significante
del derivato. Illustreremo ora brevemente il funzionamento di un tale
(18) Regola di cancellazione di vocale (rcv)
modello esemplificandolo su alcuni fenomeni dell’italiano: la deriva­
Vt. acc] -> 0 / _ + V
zione di nomi da nomi e di nomi da verbi per suffissazione, la forma­ “una vocale atona si cancella se è seguita da un confine di morfema e
zione di composti verbo-nome, la derivazione di avverbi deaggettivali da un’altra vocale”
in -mente. Esempi dei fenomeni da trattare sono dati in (16):

(16) a. derivazione di nomi da nomi giornale ^ giornalaio


Prima di commentare l’ipotesi che nella derivazione di un nome
b. derivazione di nomi da verbi vendere -> venditore
come giornalaio si applichi la r c v , vediamo come analizza Scalise gli
c. composti verbo-nome appendere , abito -1 appendiabiti altri lessemi derivati e composti esemplificati in (i7b-d).
d. derivazione di avverbi in -m ente chiaro -a chiaramente Nella derivazione di nomi da verbi e nella composizione con ver­
bi, l’analisi di Scalise è più complessa. Partire dalla forma di citazione
L ’analisi di questi fenomeni secondo il modello a entità e processi del verbo, cioè l’infinito, appare anche a lui intuitivamente poco plau­
adottato da Scalise (1983, 1984, 1990, 1994) è riportata in (17). sibile. Scalise sostiene allora in questo caso che si debba partire da
una “parola astratta”, che si ottiene dalla parola concreta, cioè dalla
(17) Analisi secondo il modello di Scalise:
forma di citazione del lessema verbale, secondo la formula in (19):
a. base giornale
aggiunta di suffisso + aio (19) infinito meno -re
RCV 0
uscita giornalaio
È evidente che l’introduzione di “parole astratte” di questo tipo è un
b. base vende puro artificio che permette di salvare nominalmente l’ipotesi che le
aggiunta di suffisso + tore rfl siano “basate su parole” anche quando non è possibile sostenere
rr e ~ )i i che il significante di certi derivati e composti sia derivato a partire da
uscita venditore
una parola intesa come “forma libera”. Lasciando da parte questo
c. base appende aspetto, vediamo come funziona tecnicamente nel modello di Scalise
base + abiti la formazione di lessemi come quelli in (i7b-c). Con parole astratte
RR e - > i i di questo tipo, la derivazione di nomi da verbi della prima e della
uscita appendiabiti terza coniugazione non presenta problemi: da “parole astratte” come
d. base chiaro lavora-, senti- si derivano nomi come lavoratore, sentimento. Con i
aggiunta di suffisso + mente verbi della seconda coniugazione si ha però un problema: la formula
RR 0 — a in (19) produce una “parola astratta” che termina in -e (vendere —»
uscita chiaramente vende), mentre nei derivati il lessema verbale si presenta terminante
in -i: si ha venditore, non *vendetore. Per risolvere questo problema,
Secondo la proposta di Scalise, nella derivazione di nomi da nomi si Scalise ipotizza che nella derivazione da verbi in -ere si applichi una
parte dalla forma di citazione del lessema nominale. Poiché pratica­ regola di riaggiustamento (rr ) come (20) (Scalise, 1983, p. 79):

τ54
155
m o r f o l o g ia 8 . IL L E S S IC O E LA FO R M A Z IO N E D E I L E S S E M I

(20) e —»i che i lessemi che rientrano nel dominio di una regola siano rappre­
sentati nell’applicazione della regola da una delle loro molteplici basi,
Scalise non precisa ulteriormente i fattori condizionanti questa regola, che non coinciderà necessariamente con la forma di citazione del les­
ma dall’insieme della sua discussione del problema si può ipotizzare sema o con la sua base di default.
che si debba intendere che una /e/ che rappresenta la vocale finale di Questo punto di vista permette di risolvere una vexata quaestio,
una “parola astratta” di categoria verbo diventa /i/ se seguita da un che abbiamo in parte già illustrato nel p a r . 6.6.1, e cioè la natura
confine di morfema e da un suffisso derivazionale deverbale. La stes­ della base aggettivale degli avverbi derivati con il suffisso -mente. In
sa regola si applica anche quando il verbo è seguito da un secondo questi derivati, l’aggettivo si presenta in una forma coincidente fono­
membro di composto verbo + nome (cfr. (170)). logicamente con la forma flessa femminile (cfr. i6d e i7d). Ipotizzare
Anche nella derivazione di avverbi in -mente a partire dalla forma che la suffissazione di -mente abbia come dominio forme femminili
di citazione di aggettivi si applica secondo Scalise una regola di riag­ non è soddisfacente, dato che nel derivato non si riscontra un tratto
giustamento condizionata dal suffisso -mente, quale quella in (21) 2°: né semantico né morfosintattico di femminile; d’altra parte, neppure
ipotizzare che i derivati siano formati a partire dalla forma di citazio­
(21) o —>a /__ + mente
ne dell’aggettivo, con il successivo intervento di una regola di riaggiu­
stamento come (21), è soddisfacente, perché questa regola appare del
La r c v (18) e le regole di riaggiustamento (20) e (21) sono abbastan­
tutto ad hoc e senza paralleli nel resto della fonologia e della morfolo­
za diverse fra loro. La r c v , che cancella una vocale atona seguita da
gia dell’italiano. Una soluzione più soddisfacente consiste invece nel-
un’altra vocale, ha una motivazione fonetica, quella di evitare una se­
l’ipotizzare che gli aggettivi italiani (come i verbi e i nomi) possano
quenza di due vocali atone, rendendo i significanti più vicini all’ideale
essere rappresentati in diversi contesti da diverse basi, e che una delle
articolatorio e acustico costituito da alternanze tra vocali e consonanti
loro basi (che potremmo chiamare B2), quella utilizzata nella deriva­
(sillabe cv), e si applica in tanti altri casi in italiano. Essa si applica,
zione con -mente, coincida formalmente con la forma flessa femminile
ad esempio, nei contesti in cui si ha elisione dell’articolo, come quelli
in (22): singolare dell’aggettivo (eventualmente, la B2 e la forma femminile
singolare potrebbero essere collegate tra loro da una regola di ri­
(22) la opera —¥ l’opera mando).
la amica -> l’amica Se si adotta questa ipotesi, un lessema come ch iar o ha le due
la edera —» l’edera basi in (23), e la regola di suffissazione di -mente seleziona la B2,
la isola —> l’isola mentre altre rfl (ad esempio, quella che forma nomi di qualità con il
suffisso -ezxa) selezionano la Bi:
Regole come quelle in (20) e (21) non hanno invece alcuna motiva­
zione fonetica, e sembrano postulate ad hoc, solo per render conto (23) c h ia r o Bi chiar
della forma di certi derivati o composti in un modello che assume la B2 chiara
derivazione a partire da una forma soggiacente unica, e non prevede
la possibilità che un certo lessema sia rappresentato in contesti diversi Inoltre se, oltre ai verbi, anche gli aggettivi e i nomi italiani possono
da significanti diversi e non riducibili ad allomorfi fonologicamente essere rappresentati da diverse basi in diverse loro forme flesse e in
condizionati. diversi loro derivati, non è più necessario postulare neppure una re­
Abbiamo visto nel c a p . 7 che un tale modello non è sostenibile gola di riaggiustamento come la rcv (18): derivati come g io r n a la io
per la formazione delle forme flesse; non stupirà quindi verificare che o ch iarezza possono essere infatti analizzati come basati su una B i
anche per la formazione di derivati e composti è necessario ipotizzare coincidente con la radice dei lessemi g io r n a le e c h ia r o , senza biso­
gno dell’intervento di alcun tipo di riaggiustamento.
Secondo linee analoghe si possono analizzare anche i casi dei de­
20. Anche di questa regola non si trova una formulazione esplicita nelle opere di
Scalise, ma dalla discussione condotta in Scalise et di. (1990; 1991) si può evincere rivati deverbali come (i6b) e dei composti verbo-)-nome come (i6c).
che quella in (21) dovrebbe essere la formulazione della regola che egli ha in mente. Abbiamo già visto nel c a p . 7 che i verbi italiani possono avere di-

156 157
M O R F O L O G IA 8 . IL L E S S IC O E LA F O R M A Z IO N E D E I L E S S E M I

FIGURA 8.1 che i composti verbo + nome fossero formati a partire dalla forma
Rapporti tra diverse basi e diverse forme flesse in alcuni verbi italiani appartenenti flessa di imperativo singolare del verbo, ipotesi che presenta però una
a diverse classi di flessione
difficoltà analoga a quella incontrata dall’ipotesi che gli avverbi in
Bi
-mente si formino a partire dalla forma flessa femminile dell’aggettivo:
Lessema B dei derivati B dei composti 3.sg.pres.ind. imperativo
(con esempio (con esempio di (con esempio di singolare
è evidente infatti che nei composti verbo + nome non è presente il
di forma flessa) derivato) composto) significato di “imperativo”. Una soluzione che individui nell’elemento
PORTARE porta porla porta porta porta
che rappresenta il verbo nei composti non una specifica forma flessa
portavo portatore portabagagli del verbo, ma un morfema che ha una sua specifica distribuzione,
permette di evitare questa difficoltà. Evidentemente, i verbi italiani
TENDERE tende tendi tendi tende tendi hanno una B che ha la seguente distribuzione: realizza l’imperativo
tendevo tenditore tendicinghia
singolare senza aggiunta di affissi, e compare seguita da un nome nei
COPRIRE copri copri copri O >|UV copri composti. La distribuzione di questa B è regolata da fattori esclusiva-
coprivo copritore copricapo mente paradigmatici: non ci sono infatti elementi né semantici né fo­
PULIRE pulì pilli pulisci pulisce pulisci
nologici in comune tra i due contesti in cui questa B appare. In mo­
pulivo pulitore puliscipenne delli che non comprendono la nozione di morfema, l’identità tra for­
ma dell’imperativo singolare e B dei composti può essere solo con­
statata e considerata una mera coincidenza. Ma l’identità tra queste
due entità è parte della competenza dei parlanti nativi dell’italiano,
verse basi: ogni verbo ha una B i composta da radice e vocale temati­ come è dimostrato tra l’altro dal fatto che bambini che non hanno
ca, che appare almeno nella seconda persona plurale del presente in­ ancora completato l’acquisizione del lessico coniano forme come
dicativo, e in tutte le forme dell’imperfetto indicativo; altre basi ap­ quelle in (243) e non come quelle in Uqb):
paiono se il paradigma presenta partizioni; inoltre, ogni lessema ver­
bale ha una base che funziona come forma cui si attaccano i suffissi (24) a. fa p p olen ta
derivazionali, e una base che costituisce la forma del lessema verbale “paiolo dotato di dispositivo automatico per rimestare la polenta”
(Elisabetta, it anni e 3 mesi)
che entra in composizione con i nomi. Queste ultime due basi a volte
tien ile d
coincidono tra loro, e/o con la B i, e/o con determinate forme flesse
“filo di ferro usato per tenere in posizione un led durante un
del verbo, quali la terza singolare del presente indicativo e l’imperati­
esperimento”
vo singolare; ma questa coincidenza non si ha in tutte le classi di fles­ (Francesco, io anni e 9 mesi)
sione, come si vede dalla f i g . 8.1 (tratta da Rainer, 2001, con aggiun­
te e adattamenti). b. *fa cip olen ta , * te n ile d

Se si esamina solo un verbo come p o r t a r e , si può pensare che si c. fa cim en to , ten ib ile...
abbia un’unica base che funziona in tutti i contesti presentati nella
f i g . 8.1 e realizza sia la terza singolare del presente indicativo che Come dimostra anche il confronto tra i dati in (243) e quelli in (24C),
l’imperativo singolare; ma gli altri verbi ci mostrano che le basi in una B diversa da quella dei composti appare nei derivati deverbali
gioco sono almeno tre: un verbo come t e n d e r e mostra infatti che la suffissati, anche se la differenza tra queste due B è osservabile solo
B i può essere diversa dalla B dei derivati, e un verbo come pu lir e nel caso di certi verbi, come quelli del tipo di pu lir e (e i pochi verbi
mostra che la B dei derivati può essere diversa dalla B dei composti. a dittongo mobile come t e n e r e e irregolari come f a r e ). Volendo
Esaminando i dati contenuti nella f i g . 8.1 si vede che l’unica coinci­ estendere la nozione di paradigma dalla flessione alla formazione dei
denza che rimane stabile in tutti i verbi (che esemplificano le princi­ lessemi, si potrebbe al limite ipotizzare che verbi come pu lir e pre­
pali classi di flessione verbale dell’italiano) è quella tra la B dei com­ sentano una partizione nel paradigma dei loro derivati e composti di­
posti e la forma dell’imperativo singolare. Questa coincidenza, notata versa da quella presentata dai verbi delle altre classi: infatti in pu lir e
da molto tempo, aveva portato alcuni studiosi a sostenere l’ipotesi la B dei derivati e la B dei composti non coincidono, mentre nei ver­

158 159
M O R F O L O G IA
9
bi delle altre classi sì. Un’analisi secondo queste linee non è però an­
cora stata sviluppata nel dettaglio, né possiamo farlo qui per motivi La morfologia
di spazio: la citiamo solo come suggerimento per possibili ricerche
future.
tra naturalezza e patologia
Se si accetta che anche nella formazione dei lessemi, come nella
formazione di forme flesse, un lessema possa essere rappresentato in
contesti diversi da diverse basi, viene a cadere la necessità di ipotizza­
re regole di riaggiustamento come (20), che avevano la sola funzione
di conciliare le differenze attestate nei dati con l’ipotesi che un lesse­
ma debba essere sempre rappresentato da una stessa forma soggia­
cente in tutte le sue forme flesse e in tutti i suoi derivati e composti.
Nei capitoli precedenti abbiamo illustrato i principali temi di discus­
sione nell’ambito della morfologia. In questo capitolo conclusivo vo­
gliamo illustrare due diversi punti di vista sul ruolo della morfologia
nell’organizzazione delle lingue: il punto di vista che considera la
morfologia “inerentemente innaturale” , e quello opposto, secondo il
quale le lingue tenderebbero a presentare una “morfologia naturale”.

9 -i
La morfologia come patologia:
tipi di lingue più o meno malate

Il primo punto di vista considera la morfologia come una “malattia”


delle lingue. Questo punto di vista è espresso con chiarezza nella se­
guente affermazione di Mark Aronoff (1998, p. 413):

morphology is inherently unnatural. It’s a disease, a pathology of language.


This fact is demonstrated very simply by thè fact that there are languages,
though not very many, that manage without it —you don’t need morphology
- and by thè perhaps more widely recognized fact that some languages like
West Greenlandic or Navajo have morphology much worse than others do.Il

Il riferimento di Aronoff al fatto che ci sono lingue che non hanno


morfologia, e lingue che hanno una morfologia peggiore di altre, va
approfondito.
Fin dal xix secolo i linguisti hanno proposto una classificazione
delle lingue in base al tipo di struttura interna presentata dalle paro­
le. Diversi autori hanno proposto criteri di classificazione e termino­
logie parzialmente diverse; la proposta più diffusa distingue almeno
tre tipi principali di lingue, detti rispettivamente isolante, agglutinante
e fusivo.
Le lingue isolanti sono quelle di cui si può dire che non hanno

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“contratto la malattia” della morfologia. In una lingua isolante, tipi­ agglutinante (cfr. latino gluten «colla»), è come se i diversi affissi
camente, ogni parola è composta da un solo morfo, e non è quindi fossero incollati l’uno dietro l’altro» (Comrie, 1983, p. 79). Presen­
analizzabile in un morfo lessicale e uno o più morii grammaticali. tiamo un esempio di forma flessa del turco con glossa morfo per
Lingue isolanti al 100%, cioè del tutto prive di parole (forme o les­ morfo in (2):
semi) polimorfemiche, non esistono. Gli studi specialistici considera­
no il vietnamita (lingua austroasiatica parlata in Vietnam, Cambogia, (2) ev - ler - im - e
casa - pl - poss . is g . - DAT
Laos) la lingua che più si avvicina al modello ideale di lingua iso­
“alle mie case”
lante. Un esempio di frase in vietnamita con glossa morfo per morfo
è riportato in (i) (dati da Comrie 1983, pp. 77-8):
Anche le lingue fusive 1 presentano tipicamente parole contenenti più
di un morfo; ma a differenza delle lingue agglutinanti, tipicamente
(1) Khi tò i d e n nhà ban t ó i, chù ng tò i bat dàu
nelle lingue fusive una forma flessa è costituita da due soU morfi: un
quando 1 venire casa amico 1 plurale i afferrare testa
morfo lessicale e un morfo grammaticale che porta amalgamati i valo­
là m bài
fare lezione
ri di diverse categorie grammaticali. Esempi abbastanza tipici di lin­
“Quando giunsi alla casa del mio amico, cominciammo a preparare la gue fusive sono il latino e il russo: abbiamo visto esempi di forme
lezione” flesse di queste lingue nei par r . 3.4 e 5.10 2.
I tre tipi di lingue ora brevemente illustrati rappresentano casi di
Comrie commenta questo esempio nel modo seguente (ivi, p. 78): crescente “gravità” della “malattia” rappresentata dalla morfologia:
sviluppando la metafora di Aronoff, possiamo dire che le lingue iso­
lanti sono lingue sane, e le lingue agglutinanti hanno la malattia in
Ogni parola di questa frase è invariabile, dato che non c’è alcuna variazione
morfologica per, poniamo, il tempo [...] o il caso (si noti che il vietnamita ha forma meno grave delle lingue fusive. Ma in base a quali principi
t ó i sia per «io» che per «mio»); forse ancor più sorprendente è il fatto che, possiamo dire che le lingue agglutinanti rappresentano casi “meno
nel caso dei pronomi, il plurale è indicato dall’aggiunta di una parola separa­ gravi” delle lingue fusive? Non si tratta di un giudizio puramente in­
ta e non con mezzi morfologici, cosicché il plurale di t ò i «io» è c h ù n g t ó i tuitivo. Le parole delle lingue agglutinanti sono costruite in modo da
«noi». Inoltre, in generale, è vero che ogni parola consiste di un unico mor­ rispettare una serie di principi che le rendono per certi aspetti più
fema, con la possibile eccezione di b à t d à u «cominciare», che può essere facili dal punto di vista dei parlanti che devono usarle 3.
considerata una parola in base a certi criteri, per esempio l’unità di significa­
to, benché possa essere segmentata, almeno dal punto di vista etimologico,
in due morfemi: b a t «afferrare» e d à u «testa».
1. «Invece del termine fusivo si trova talvolta il termine flessivo, che [...] non
useremo al fine di evitare una potenziale confusione terminologica: sia le lingue agglu­
Una lingua isolante è ben descrivibile con un modello a entità e di­ tinanti che quelle fusive hanno delle flessioni, opponendosi in questo alle lingue iso­
sposizioni: le entità in gioco sono contemporaneamente morfemi e lanti, e quindi l’uso di un termine basato su flessione per riferirsi solo a uno di questi
parole, e non c’è distinzione tra morfologia e sintassi; le unità che si due tipi può trarre in inganno. La disponibilità del termine alternativo, cioè fusivo,
risolve egregiamente questo dilemma terminologico» (Comrie, 1983, p. 80).
susseguono in un enunciato sono contemporaneamente segni lingui­ 2. La letteratura sulla tipologia morfologica delle lingue è ampia, e contiene pro­
stici minimi (morfemi) e forme Ubere (parole). poste di classificazione ben più raffinate di quella rapidamente presentata nel testo. Ai
Nelle lingue agglutinanti, invece, le parole sono tipicamente poli- fini del discorso che stiamo sviluppando, però, non è necessario approfondire ulte­
riormente la trattazione. I lettori interessati troveranno utile la lettura di Comrie
morfemiche. La lingua più spesso citata come esempio di lingua ag­
(1983, pp. 77-89), Croft (1990, pp. 39-43) e Skalicka (1976).
glutinante è il turco. Abbiamo visto esempi di forme flesse del turco 3. Secondo alcuni studiosi, è possibile sostenere che i diversi modelli di analisi
nel p a r . 6.7: come ricorderemo, in queste forme ogni valore di una della struttura delle parole che abbiamo presentato (cfr. p a r . 3.6) siano adatti a de­
categoria grammaticale è espresso da un morfo specifico, ben identi­ scrivere tipi diversi di lingue: il modello a entità e disposizioni per lingue isolanti, lo
stesso modello o quello a entità e processi per lingue agglutinanti, il modello a parole
ficabile all’interno della parola: «come suggerisce il termine stesso di
e paradigmi per le lingue fusive.

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9.2 laba nel caso del turco, di un fonema nel caso dell’inglese); le forme
I principi della Morfologia Naturale in (30) non sono iconiche, in quanto la lunghezza del singolare e del
plurale è la stessa; le forme in (3d) sono addirittura anti-iconiche, in
Un’intera scuola di linguistica, attiva soprattutto in Europa nell’ulti­ quanto la forma plurale è più breve, e non più lunga di quella sin­
mo ventennio del xx secolo, ha cercato di stabilire quali fossero i golare.
principi di una “morfologia naturale”, cioè quali caratteristiche ren­ In base al principio di uniformità di codifica, sono più naturali le
dessero una parola più facile da produrre e comprendere per i par­ situazioni nelle quali a uno stesso significato corrisponde uno stesso
lanti di una lingua Il4. Secondo la scuola della Morfologia Naturale, le significante: questo principio quindi valuta come innaturali la sinoni­
parole morfologicamente complesse sono tanto più naturali quanto mia e l’omonimia, dunque il suppletivismo e le allomorfie, in partico­
più sono facili da usare per i parlanti. La facilità di utilizzo si ha lare quelle lessicalmente o paradigmaticamente condizionate 5. Non
quando le parole presentano certe caratteristiche che le rendono fa­ riportiamo qui esempi specifici perché di questi argomenti si è tratta­
cilmente producibili e processabili in base a principi cognitivi genera­ to ampiamente in tutto il volume.
li, validi anche al di fuori del dominio linguistico, e universali, fondati Il principio di trasparenza si articola in due componenti: traspa­
sulle caratteristiche biologiche, psicologiche e sociali della specie renza morfotattica e trasparenza morfosemantica. Una forma è tra­
umana. sparente morfotatticamente se nella struttura morfologica del signifi­
La scuola della Morfologia Naturale ha individuato tre principi di cante si individuano morii che corrispondono a componenti del si­
naturalezza universali, validi per ogni lingua: si tratta dei principi di gnificato. Ad esempio, le due forme di terza persona singolare del
iconicità di costruzione, di uniformità di codifica e di trasparenza. presente indicativo dei verbi italiani parlare e essere in (4) hanno
In base al principio di iconicità di costruzione sono più naturali diversi valori di trasparenza morfotattica:
le forme nelle quali la struttura del significante è in qualche modo
parallela a quella del significato. Ad esempio, sono più naturali le for­ (4) a. parla cfr. cammin-a, am-a, lav-a...
me flesse plurali che sono fonologicamente più lunghe di quelle b. è cfr. legg-e, scriv-e...
singolari, in quanto a una maggiore lunghezza del significante corri­
sponde una maggiore quantità di referenti. Le forme di plurale elen­ Mentre la forma in {43) è trasparente, perché in essa si individuano
cate in (3) hanno quindi un grado di iconicità di costruzione decre­ bene un morfo pari- che corrisponde al significato lessicale “parlare”
scente: e un morfo -a che corrisponde al significato grammaticale “terza per­
sona singolare”, nella forma (qb) non si individuano morii corrispon­
(3) a. indonesiano (lingua maleo-polinesiana parlata in Indonesia) denti alle diverse componenti di significato, che sono espresse in
oratig/orarig-orang “uomo/uomini” modo amalgamato dall’unico fonema /ε/: una forma come è è quindi
b. turco adam/adamlar “uomo/uomini”, inglese book/books “libro/libri” morfotatticamente opaca, non trasparente.
c. italiano cane/cani, inglese foot/feet “piede/piedi” Dressler ha proposto una scala di trasparenza morfotattica, nella
d. murle (lingua nilotico-sahariana parlata nel Sudan meridionale e in quale è possibile classificare forme flesse e lessemi derivati in base al
Etiopia) grado decrescente di riconoscibilità degli elementi che li costituisco­
nyoon/nyoo “agnello/agnelli” (dati da Haspelmath 2002, p. 24)
no, in particolare della base, all’interno della parola complessa. Nelle
sue versioni più elaborate la scala presenta otto gradi, che vanno dal­
Il plurale in (3a) è massimamente iconico, in quanto si ottiene rad­
la massima trasparenza (pura agglutinazione di un affisso a una base,
doppiando la forma del singolare; le forme di plurale in (3W sono
come in it. bar + ista), ad allomorfie che modificano la base (come in
iconiche, in quanto si presentano più lunghe del singolare (di una sil-

4. I principali studiosi che hanno contribuito allo sviluppo della Morfologia Na­ 5. Il principio di uniformità di codifica è noto anche sotto altri nomi, quali “one
turale sono l’austriaco Wolfgang U. Dressler, e i tedeschi Willi Mayerthaler (1945- form - one meaning” (una forma - un significato), “principio di biunivocità” , “princi­
2002) e Wolfgang U. Wurzel (1940-2001). Un’introduzione alla morfologia naturale si pio di evitamento dell’allomorfia”, o “universale di Humboldt” (cfr. Mayerthaler,
ha nel volume a cura di Dressler (198711), e in Kilani-Schoch (1988). 1987, p. 49).

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Marte—^marziano) o oscurano il confine tra base ed affisso (come nel­ che le compongono. È per questo che bambini o apprendenti stranie­
l’inglese conclude-ìconclusion), alla massima opacità (la base si pre­ ri producono forme come aprito o distruggiato invece di aperto e di­
senta sotto forma suppletiva, come in it. partenopeo rispetto alla base strutto (cfr. Berretta, 2002, p. 76): queste ultime forme devono essere
Napoli) 6. imparate a memoria, mentre le prime sono generabili conoscendo le
Dal punto di vista morfosemantico, una forma è trasparente se a regole di realizzazione di default della morfologia verbale italiana.
determinati morii corrispondono determinate componenti di significa­ Aperto e distrutto sono forme che occupano gradi abbastanza bassi
to: quindi i due nomi in (5) hanno diversi gradi di trasparenza mor- della scala di trasparenza morfotattica, mentre aprito e distruggiato
fosemantica: sono forme molto trasparenti in rapporto alle basi di default dei verbi
APRIRE e DISTRUGGERE.
(5) a. fo n d a zio n e “atto di fondare” D ’altra parte, abbiamo visto nel corso di tutto il volume che il
b. fo n d a zio n e “istituzione senza fini di lucro che ha a disposizione un
principio di uniformità di codifica è spessissimo violato nella morfo­
patrimonio”
logia (soprattutto flessiva) delle lingue. Ogni lingua che presenti di­
verse classi di flessione, e partizioni dei paradigmi, con distribuzione
Mentre in (5 a) si possono riconsocere le componenti di significato
paradigmaticamente condizionata di diverse basi nelle diverse forme
“atto” e “fondare” rispettivamente nel suffisso -zione e nella base fon­
flesse di un lessema e/o nei suoi derivati e composti, viola in qualche
da-, in (^b) le diverse componenti del significato non possono essere
misura questo principio (e lo viola in misura tanto maggiore quante
messe in corripondenza con specifici morii presenti nel significante: la
più classi di flessione presenta, e quante più basi i lessemi presenta­
forma in (jb) è quindi morfosemanticamente opaca.
no). Gli studiosi appartenenti alla scuola della Morfologia Naturale
I tre principi ora illustrati sono, secondo gli studiosi che si rico­
sono ovviamente ben consapevoli di questo stato di cose, e propon­
noscono nella scuola della Morfologia Naturale, fondati su caratteristi­
gono diversi argomenti per spiegarlo. Ne illustreremo alcuni nel pros­
che bio-psico-sociologiche della specie umana: il cervello umano pre­
simo paragrafo.
ferirebbe dover gestire (percepire e produrre) oggetti iconici e co­
stanti (cioè significati uniformemente codificati e costruzioni semanti­
camente composizionali; cfr. Mayerthaler, 1987). 9-3
Naturalezza universale e adeguatezza al sistema:
Secondo la scuola della Morfologia Naturale, nelle lingue del mon­
conflitti tra principi diversi
do considerate nel loro insieme, e in ogni singola lingua, le forme
costruite iconicamente, trasparenti e uniformi nella codifica sono
La prima considerazione da fare è che i tre principi sopra illustrati
quantitativamente superiori a quelle non iconiche, opache e che pre­
(di iconicità di costruzione, uniformità di codifica e trasparenza) sono
sentano disuniformità nella codifica. Questa affermazione ha lo statu­
principi di naturalezza universali, cosiddetti “indipendenti dal siste­
to di un’ipotesi da verificare. Diversi studi di carattere interlinguisti­
ma” di una lingua specifica; ma a questi principi si affiancano dei
co, o condotti su determinati fenomeni di una specifica lingua, hanno
principi di naturalezza “dipendenti dal sistema”. I due ordini di prin­
per lo più convalidato l’ipotesi. Ad esempio, è senz’altro vero che
cipi possono entrare in conflitto, e in tal caso di solito è la forma che
forme di plurale anti-iconiche, realizzate per sottrazione di materiale
rispetta il principio dipendente dal sistema che prevale. W. U. Wur-
fonologico rispetto alla forma del singolare, sono decisamente più
zel (1987, pp. 61-2) osserva:
rare nelle lingue del mondo di forme di plurale iconiche.
Anche le forme trasparenti superano le forme opache: le forme speakers of a language always favour those morphological phenomena [...]
trasparenti (casi di “arbitrarietà relativa” in senso saussuriano) favori­ which are intuitively more ‘normal’ for them than others [...]. But what is
scono i parlanti perché si presentano come comprensibili e produci­ considered ‘normal’ by thè speakers of a language depends on far more than
bili anche se non sono state memorizzate, in quanto il loro significato on principles independent of thè individuai language System such as con-
e il loro significante sono ricostruibili in base a quelli degli elementi structional iconicity, uniformity, and transparency [...]. The range of ‘nor-
malcy’ is only partly covered by system-independent naturalness. It is not
hard to understand that thè consideration of ‘normalcy’ by a speaker de­
6. Cfr., per una presentazione sintetica, Dressler (198ya, p. 103). pends on his/her linguistic experience, i.e. on thè respective language-speci-

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fic strutturai properties. In this sense, ‘normal’ for thè speakers of a langua- flitto con un principio di adeguatezza al sistema specifico della lingua
ge is that which dominates in their language and which determines thè struc- italiana, cioè solo tra i prestiti. Il sistema della lingua italiana richiede
tural typology o£ thè language. che i nomi la cui forma di citazione termina in -a, -e ο -o atone for­
mino il plurale sostituendo questa vocale con un’altra, determinata
Facciamo un esempio, prendendo come terreno d’indagine il plurale dalla classe di flessione cui appartengono (cfr. p a r . 2.2), e gli altri
dei nomi in italiano. Abbiamo detto che una forma plurale è iconica nomi (cioè quelli terminanti in -i, -u, in vocale tonica o in consonan­
se è più lunga del singolare corrispondente. Il plurale dei nomi italia­ te) siano invariabili, cioè abbiano il plurale uguale al singolare. Ora,
ni, dunque, non è iconico 7. Esistono però in italiano alcune forme di un plurale uguale al singolare è decisamente non iconico. Eppure,
plurale iconico: in primo luogo, la forma u o m in i rispetto al singolare nell’italiano contemporaneo, la regola che prevede la realizzazione di
uom o (più lunga di una sillaba), e poi alcuni plurali di lessemi presi a
un plurale uguale al singolare è in espansione (cfr. D ’Achille, Thorn­
prestito dall’inglese, come fans. Se il principio universale di iconicità ton, 2003): i prestiti terminanti in consonante, dall’inglese e da altre
di costruzione prevalesse su principi specifici dell’italiano, dovremmo lingue, sono per lo più trattati come invariabili, anche laddove sareb­
verificare, nella diacronia della nostra lingua e nell’uso degli appren­ be possibile formare un plurale iconico in -s; addirittura, nel caso di
denti, una tendenza ad applicare queste regole di realizzazione che fa n s, si assiste a un livellamento delle due forme del lessema sulla for­
formano plurali iconici anche ad altri lessemi. Questo però non acca­
ma originariamente plurale (la più frequente nell’uso), con la ricrea­
de: ad esempio, in varietà di acquisizione è ben documentata l’occor-
zione di un lessema invariabile. Nel corpus del lip (Lessico d i fr e ­
renza di forme plurali come i lo m i “gli uomini” (a partire da un sin­
quenza d e ll’italiano parlato : De Mauro, Mancini, Vedovelli, Voghera,
golare lom o, con concrezione dell’articolo; cfr. Chini, 1995, p. 143),
1993) si hanno le quattro occorrenze di questo lessema riportate in
in cui anche l’unica forma di plurale italiano dello strato nativo di
(6), due singolari e due plurali, tutte della forma fans:
tipo iconico è sostituita da una forma non iconica ma più coerente
con il resto del sistema della lingua italiana. E non c’è alcuna tenden­ (6) a. e vabbe’ quindi sei una fans
za ad estendere il plurale iconico in -in i ad altri lessemi: anzi, il lesse­ b. siccome che sei una fans
ma v ir a g o , che nell’uso colto ha un plurale viragini, è sempre più c. la richiesta dei fans
spesso usato come invariabile. Vediamo come stanno le cose anche d. tutto è alla portata dei fans
per quanto riguarda il plurale in -s, entrato in italiano come prestito
dall’inglese. Anche qui, trattandosi di un modo di realizzare il plurale Dunque sembra che anche nel settore dei prestiti, tra la tendenza
di tipo iconico, se prevalessero tendenze universali dovremmo aspet­ universale a realizzare plurali iconici (che ha avuto in qualche mo­
tarci un’espansione di questo tipo di realizzazione del plurale. E in mento una debole affermazione, testimoniata dalla creazione di forme
effetti, in minima parte un’espansione del plurale in -s si è realizzata come soviets) e la tendenza specifica della lingua italiana a realizzare
in italiano: sono documentate estensioni di questo modo di realizzare come uguali al singolare i plurali di lessemi terminanti in consonante,
il plurale a lessemi che non sono prestiti dall’inglese, bensì da altre stia prevalendo la tendenza interna al sistema, e non quella universa­
lingue, con la creazione di forme come soviets, diktats (mentre i plu­ le. Anche in relazione al principio di uniformità di codifica, il plurale
rali di questi lessemi sono, rispettivamente in russo e in tedesco, so- dei nomi italiani offre un buon esempio del prevalere del principio di
viety e D iktate). Ma questa espansione si è avuta solo verso altri lesse­ adeguatezza al sistema su un principio universale. A parte il caso dei
mi dello strato non nativo: non abbiamo lessemi dello strato nativo rarissimi plurali in -in i e dei rari plurali in -r, in italiano si hanno
italiano a cui sia stato esteso il plurale in -s. Questo significa che la almeno tre modi di realizzare il plurale: con una forma uguale al sin­
tendenza universale a formare plurali di tipo iconico ha potuto affer­ golare (nel caso di lessemi invariabili), o con una forma in -i (per
marsi, in italiano, solo nella limitata area in cui non entrava in con­ nomi delle classi 1, 3 e 4), o con una forma in -e (per nomi della
classe 2): la codifica del plurale non è dunque uniforme, ma mediata
dalla classe di flessione cui i nomi appartengono. Anche in questo
7. In italiano ha operato invece una tendenza alla costruzione di forme iconiche
di purale nei verbi, almeno per quanto riguarda la terza persona: cfr. Thornton
caso, non si registrano forti tendenze al declino di uno dei tre modi
(1999). principali di formare il plurale, a favore di uno degli altri e al servizio

168 169
M O R F O L O G IA 9 . LA M O R F O L O G IA TRA N A T U R A L E Z Z A E P A T O L O G IA

del principio di uniformità di codifica, perché la disuniformità della Infine, i principi che regolano la morfologia di una lingua (princi­
codifica del plurale in diverse classi di flessione è parte delle condi­ pi universali di naturalezza e principi di adeguatezza al sistema di una
zioni definitorie del sistema della morfologia dell’italiano. In generale, lingua specifica) possono entrare in conflitto con fattori che agiscono
si è osservato che se si ha conflitto tra un principio di naturalezza ad altri livelli dell’organizzazione della lingua: ad esempio, principi
universale e un principio di adeguatezza al sistema di una lingua spe­ che mirano alla facilità articolatoria a livello fonetico possono agire
cifica, prevalgono le forme che si adeguano al secondo principio nel senso di eliminare dal significante delle parole certi fonemi o cer­
(Wurzel, 19 8 7 ). te sillabe; se i fonemi eliminati rappresentano morii o sottoparti im­
Casi di conflitto si possono avere non solo tra i principi universali portanti di morii, il mutamento fonetico ha l’effetto di oscurare la
e il principio di adeguatezza al sistema di una specifica lingua, ma trasparenza morfotattica della parola colpita.
anche tra diversi principi di carattere universale. Ad esempio, il prin­ Vediamo un caso specifico di interazione tra fonetica e morfologia
cipio di trasparenza entra in conflitto con un altro principio, secondo nella storia della lingua italiana. In latino, le tre forme singolari del­
il quale la lunghezza ottimale di una parola è corrispondente a quella l’imperfetto indicativo avevano le desinenze in Qa), come si vede dal­
di un piede metrico della lingua, e quindi spazia da una a tre sillabe. l’esame delle forme in Qb):
In italiano si hanno piedi bisillabici o trisillabici (Marotta, 1 9 9 9 ), e
quindi la lunghezza ottimale delle parole dovrebbe essere di due o tre (7) a. -barn b. amàbam, monébam, legébam, audiébam
sillabe. Tra i nomi e gli aggettivi del vocabolario di base dell’italiano, “amavo, ammonivo, leggevo, udivo”
oltre il 9 0 % dei lessemi semplici, non composti o derivati, ha una -bas amàbas, monébas, legèbas, audiébas
“amavi, ammonivi, leggevi, udivi”
lunghezza minore di o uguale a tre sillabe; invece tra i nomi e gli
-bat amabat, monébat, legébat, audiebat
aggettivi del vocabolario di base suffissati solo il 3 5 % circa ha una “amava, ammoniva, leggeva, udiva”
lunghezza non superiore a tre sillabe, la maggioranza ha una lunghez­
za di quattro sillabe o più; la lunghezza media di nomi e aggettivi Le desinenze erano tali da rispettare il principio di uniformità di co­
semplici è di 2 ,5 sillabe, quella di nomi e aggettivi suffissati è di 3,9 difica (almeno nell’ambito del sistema dell’imperfetto): -m codificava
sillabe (cfr. Thornton, Iacobini, Burani, 1 9 9 7 , pp. 9 6 -7 ). Questo si la prima persona, -s la seconda e -t la terza. Un mutamento fonetico
deve al fatto che quasi tutti i suffissi dell’italiano sono bisillabici, dun­ intervenuto nel passaggio dal latino all’italiano ebbe l’effetto di elimi­
que un lessema suffissato sarà quasi sempre due sillabe più lungo del­ nare le consonanti diverse da /s/ finali di parola: questo mutamento
la sua base, quindi di lunghezza non ottimale (quattro o cinque silla­ era determinato senz’altro da tendenze fonetiche naturali (cioè volte
be). D ’altra parte, un lessema derivato è più trasparente di uno non alla realizzazione di forme sentite come in qualche senso “più facili”
derivato: rubatore è più trasparente di l a d r o , perché un parlante per i parlanti), in particolare dalla tendenza a preferire sillabe di tipo
può capire il significato di rubatore anche se non ha mai incontrato cv. Il mutamento ha avuto come effetto sul piano fonetico un rispar­
questa parola ma conosce il significato del verbo rubare e del suffis­ mio di sforzo articolatorio da parte dei parlanti, ma sul piano morfo­
so -t o r e , mentre non può capire il significato di ladro se non ha mai logico ha distrutto l’uniformità di codifica della persona: in una certa
incontrato questa parola. Ladro e rubatore sono dunque parole che fase del latino tardo le desinenze di prima e terza persona sono dive­
soddisfano ciascuna un certo principio di naturalezza a spese di un nute omonime 8. L ’omonimia tra desinenze di prima e terza persona
altro: rubatore è trasparente ma di lunghezza non ottimale (quattro dell’imperfetto indicativo nell’italiano letterario si è mantenuta fino al
sillabe invece di due o tre), ladro è di lunghezza ottimale (corrispon­ xdc secolo; solo nella seconda metà di quel secolo si è diffuso anche
de a un piede bisillabico trocaico, che è il tipo di piede più comune nello scritto l’uso di una prima persona in -o, cioè il tipo io amavo vs.
in italiano) ma è del tutto opaco, non trasparente. La forma di gran io amava, che ha ripristinato in italiano l’uniformità di codifica della
lunga prevalente nell’uso è ladro: una ricerca effettuata con Google.it persona nel singolare dell’imperfetto, uniformità che era già esistita in
il 22 novembre 2004 ha individuato circa 18 1.0 0 0 occorrenze di la­
dro, e solo 1 5 8 di rubatore. Dunque in questo caso il principio della
lunghezza ottimale sembra aver prevalso sul principio di trasparenza 8. Sulle cause che hanno portato alla formazione di una desinenza di seconda
(per altri fattori in gioco, cfr. anche par . 8 .4 .1). persona in /i/ si è molto discusso: cfr. Tekavcic (19728, parr. 152; 257-69; 937; 950).

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M O R F O L O G IA

latino e che era stata distrutta da un mutamento fonetico. In latino


l’uniformità di codifica della persona nel singolare dell’imperfetto era
Bibliografia
realizzata dall’opposizione tra -m, -s e -t, mentre in italiano si realizza
oggi tramite l’opposizione tra -o, -i e -a\ cambia il materiale fonologi­
co utilizzato per realizzare la codifica, ma il principio di uniformità di
codifica è nuovamente rispettato. Tra le due fasi in cui tale principio
è rispettato, quella latina classica e quella italiana contemporanea,
però, sono intervenute fasi nelle quali nell’ambito del singolare del­
l’imperfetto non si aveva uniformità di codifica della persona, a causa
dell’effetto di un mutamento fonetico. Wurzel (1987) ha osservato
che il mutamento fonetico è la principale causa dell’innaturalezza
(misurata soprattutto in relazione ai principi di naturalezza universali) acquavtva p . (2002), I I p lu r a le in -a c o m e d e r iv a z io n e le ss ic a le , in “Lingue e
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Baker M., 112 Dardano Μ., 137η
Battista M., 121, 124-5, 126η, 127η,
De Dominicis A., 38η, 77η
130η, 132η
De Mauro T., 16η, 22nn, 34 e n, 70,
Baudouin de Courtenay J., 34
89η, 135-6, 148, 150η, 151, 169
Bauer L., 141, 151-3
Di Pietro I , 127η
Belletti A., 112
Donati C., 12η
Berretta M., 167
Berruto G., 22nn, 72η Dovette F., 149
Dressler W. U., 65, 130η, 131η, 141,
Bisetto A., 137η, 150
Blake B., 55 164η, 165, ι66η
Bloomfield L., 34, 43, 64, 76, 88
Boas F., 50
Booij G., 96, ioon, 101, 105-6, 146, Firth J. R., 65
148η
Borer H., 114
Brandi M., non Gaeta L., 49η, 136, 151-3
Broselow E., 73 e n Graffi G., 22nn, 55
Burani C., 135η, 149, 170 Greenberg J., 104
Bybee J., 140η Grossmann Μ., 139η, 140η

Carstairs A., 78, 85


Casadei F., 128η Halle M., 99, 114
Chini M., 168 Haspelmath Μ., 23η, 42, 164
Chomsky N., 89-95, 97-9, 102, i n , Hockett C. F., 38η, 75, 76η, 77,
114, 0 7 87-8, 90

180
M O R F O L O G IA

Iacobini C., 138η, 139η, 170 Plag I·, 145, 153


Pollock J.-Y., i i in, 112
Indice delle lingue*
Prince A., 72
Jackendoff R., 99
Jakobson R , 50-1
Quarantotto C., 49η

Katamba F., 37
Kilani-Schoch Μ., 130η, 131η, 164η Rainer F., 104, 106, 139η, 140η,
142η, i43 e n>1 4 5 , 158
Ricca D., 49η, io7, 136, 151-3
Laudanna A., 135η Robins R. Η., 26η
Lees R. B., 96 e n Roca I., 77 arabo, 14, 72 e n, 141 polacco, 152
Lucidi M., 34 portoghese, 104, 106-7
Luschiitzky H.-C., 34, 38η
Safarewicz J., 81 e n cinese, 56
Lyons C., 55 qafar, 57
Lyons J., 12η, 53n, 55 Saussure F. de, 34, 70, 88-9
Scalise S., 22nn, 33, 96 e n, 97, 99, ebraico, 114
i44nn, 146, 148 e n, 154-3, 156 russo, 50-1, 69-71, 80, 94η, io8,
Maiden Μ., 119η, 122, 127-8, 130 en 141, 163, 168
Serianni L., 15η, 22nn finlandese, 109-11
en
Siewierska A., 55 francese, 76-7
Mancini F., 169 samoano, 73
Marantz A., 114 Simone R., 12η, 22nn, 55, 72η
sanscrito, 59
Marotta G., 170 Skalicka V., 163η georgiano, 113 spagnolo, 104
Martinet A., 34, 35η Spina R., 130η, 131η greco, 13, 74, 82-5, 101, 137 sursurunga, 58-9
Stump G. T., 16η, 55 e n, 113, 124, indonesiano, 164
Matthews P. H., 22-3, 26η, 51η, 79,
129 inglese, 15-7, 35, 37-42. 4 4 ' 7 . 5 °. 5 6,
82, 84, 85η, 9on, 100η
Szymanek B., 142, 152 63-5, 70-1, 74-6, 91-8, 136, 139, tamil, 56-7
Mayerthaler W., 164η, 163η, ι66
141, 143-4. x47> x49> 164-6, tedesco, 27η, 53-4, 7 1. 9 4 n> x3 9 .
McCarthy J., 72, 73 e n
168-9 168
Montermini F., 36 e n, 145, 130 Tekavcic P., 128, 171η
Thornton A. M., 25, 51η, 130η,
131η, 149, 153, 168η, 169-70 latino, 13, 25, 26 e η, 27η, 54, 6o, tiv, 77-8
Nespor Μ., 38η, 77η 79-82, 84, 108, 127 e n, 137, 149, turco, 56, 108-11, 162-5
Nida E. A., 38η, 41η, 64η 151, 163, 171-2
Vedovelli M., 169 ungherese, 56
Vincent N., 131η, 132η lihir, 58-9
Palmer F. R., 55 Voghera Μ., 138η, 169
Passino D., 147η vietnamita, 162
Payne Th. E., 35η, 6o murle, 164
Perlmutter D. M., 103 e n Wurzel W. U., 164η, 167, 170, 172 yiddish, 105
Pieraccioni D., 82η olandese, 105 yup’ik, 60-1
Pirrelli V., 121-2, 124-5, I2^ e n,
127η, 130η, 132η Zwicky A., 16η, 129, 132
* Non è stato indicizzato l’italiano, le è utilizzato per l’esemplificazione più di
ogni altra lingua.

182 183
Indice analitico

ablativo, 54, 79-82, 109 aspetto, 22, 30, 33, 82, 84, 95, 101
accordo, 52-4, 58, 100-1, 104, 107-8, associativi, rapporti, 88-9; cfr. anche
111-4 sintagmatici, rapporti; paradigmati­
accrescitivo, 55η ci, rapporti
accusativo, 60, 69 e n, 79-80, 109 assolutivo, 60
adeguatezza al sistema, 167, 169-71 availability, 131
affisso, 35, 88, 90, 92, 94-5, 105,
125, 137-8, 1 4 1 - 2 , 1 4 4 - 3 , 1 4 7 - 9 ,
132-3, 139, 163, 163-6 base, 77-8, 123-31, 132η, i33, 139,
affix hopping, 93 141 e n, 142, 146 e n, 147-9, 154,
agglutinante, lingua, 161-2, 163 e 137-60, 165-6; cfr. anche ipotesi
nn, 172 della base unica
allofono, 38 biunivocità, 78-80, 84-5, 103, 165η
allomorfia, 39-42, 43-6, 73, 79, 83, blocco, 143-4
no, 121, 165 e n
condizionata fonologicamente, 40, calco, 139
44, 46, 66, 146, 156 caso, 53-6, 59-61, 69 e n, 70 e n,
condizionata lessicalmente, 41-2, 79-81, 84, 101, 108-10
79, 163 categorie
condizionata grammaticalmente, flessionali, 22η, 23η
42, 7 9 , 85 flessive, 107
condizionata paradigmaticamente, derivazionali, 107, 142
42, 85, no, 165, 167 grammaticali, 22 e nn, 49-61, 53η,
allomorfo, 37-47, 66, 68, 75, 94 e n, 55nn, 69 e n, 70, 77-85, 100-1,
118, 125, 146, 156 104, 111-4, 163
principale, 45-6 lessicali, 21-3, 25, 27, 32, 33η, 41,
amalgama, 79-80, 84-3, 103-4, io7> 51-2, 91-2
114, 117 morfosintattiche, 22, 23 e n
ambifisso, 72η sintattiche, 21, 22 e n
analisi grammaticale, 20-1, 23 cella, 28, 42, 71, 120-2, 124, 126,
animatezza, gerarchia di, 36 e n, 58 130
arciallomorfo, 94 e n checking theory, 114
arcifonema, 94η circonfisso, 72η

i 85
M O R F O L O G IA IN D IC E A N A L IT IC O

classi di flessione, 24-6, 27η, 32, disposizioni, cfr. entità e disposizioni formazione lessema e paradigma, cfr. parole e
46-7, 56, 68, 82, 119-22, i24, I29> distributed morphology, 114 delle forme flesse, 112, 118, 129, paradigma
130η, 131, 158, 167, 169-70; cfr. distribuzione complementare, 23, 156 lessico, 1 3 , 1 5 , 1 3 5 , 1 3 9 , 1 5 9
anche macroclasse 37-40, 41η dei lessemi, 36, 49, 51, 97, 99-100, mentale, 1 3 5 - 7 , 1 4 3 - 4
classi di parole, 13, 21, 22η, ιοί dominio, 141 e n, 142, 145-50, 157 102-3, *35. Ϊ 3 7 -4 3 , t 4 6, 150-1, locativo, 61
composizione, 36, 137, 138η, duale, 59 153-6, 159-60; cfr. anche regole lunghezza ottimale, 170
139-40, 153, di formazione dei lessemi
neoclassica, 137, 138 e n frequenza, 148, 150, 152
composti, 51, 96-7, 99-100, 137-9, funzioni macedonia, parole, 139-40
elsewhere condition, 131-2
142, 153-60, 167, 170 macroclasse, 131 e n
entità e disposizioni (modello a), 29, grammaticali, 22η
concatenazione, 44, 67, 77, 153 mirror principle, 112
38 e n, 40, 42-4, 46-7, 67-78, 82, sintattiche, 22η, 59-61, ιοί
condizione altrove, 131 modalità, 55
87 , 9 0 , 93, iti, tt8, 141, 153, fusiva, lingua, 161, 163 e n
condizioni sulle k f l , 143-5, 149 modo, 22, 49-50, 55, 82, 85, n8n,
162, 163η, 172
confisso, 72η 130-2
entità e processi (modello a), 45-6, molteplice, segnalazione, 79, 82, 84,
coniugazione, 24-6, 68, 78, 120 e n, 68n, 74, 76-7, 82, 87, 90, 93, 96η, genere, 20-3, 27-8, 50-2, 54-9, 101,
129, 131, 155 104, 106-7
103, 1 1 5
ii7 , 133, t5 4 , 16 3 η
monema, 34, 35η, 89η
contestuale, flessione, 51-5, 101-n ergativo, 60 genitivo, 27η, 6i, 69-71, 79-80,
controllore, 52-3, 57 morfema, 33-49, 63-81, 88, 90-1,
estesa, segnalazione, 79, 82, 84 roon, 109-10, 127η 93-5, 112, 117-8, 155-6, 162
conversione, 138-40 governare, cfr. reggenza
extended exponence, cfr. estesa, se­ derivazionale, 36, 49, 103
coperto, 58 grado, 22, 55, 101
gnalazione flessivo, 36, 49
covert, cfr. coperto
cumulativo (esponente, morfo), grammaticale, 35 e n, 36, 40, 42-4,
79-80, 83-4, 105 49, 91, 121
facilità articolatoria, 171 hapax, 152 legato, 34-5, 88
flessione, 36, 47, 49-55, 78, 101-2, lessicale, 35 e n, 36, 40, 42, 44,
104-6, 159, 163η; cfr. anche classi 68, 80, 121
dativo, 17, 51, 53, 61, 69 e n, 79-82, iconicità di costruzione, 164-9
109 di flessione libero, 34-5, 88
flessiva, lingua, 163η imperativo, 126η, 158-9 morfo, 38-9, 40-6, 57, 63-85, 89η,
deaggettivale, 104, 139, 144-5, 154 inerente, flessione, 51-5, 58, 61,
declinazione, 24-6, 81 fonestema, 65 96η, 103-18, 140-1, 153, 162-3,
form, 16 101-n, 128 165-6, 171
default, 130-1, 157, 167
forma, 13-8 infisso, 74-6 derivazionale, 103-8
definitezza, 50, 53η, 55
denominale, 139, 144-5, 150η basilare, 45 interfisso, 72η discontinuo, 71-2, 74-6, 78, 115,
contestuale, 14, 16-9, 23, 28 invariabile, 18, 22-3, 25, 46η, 104, 141
derivati, 49, 51, 88, 97-101, 103,
di citazione, 13-4, 26, 33η, 41, 94, i 6 2 , 168-9 flessivo, 79, 103-9, 112, 114
105-8, 139, 142-3, 145-60, 165,
167, 170 104, 149, 154-7, 169 iposema, 34 grammaticale, 43, 65-78, 85, 89η,
derivazione, 36, 97, 104, 107, 138, flessa, 13-32, 35-6, 41-4, 49-54, ipotesi della base unica, 144-5 n8, 162-3
140, 154-7 56, 58, 63, 67, 69-71, 74-5, isolante, lingua, 161-3, 17 2 lessicale 42-3, 45, 63, 65-78, 85,
desinenza, 28, 31-5, 51η, 69η, 82-3, 77-85, 88, 90-1, 92η, 93, 95, items and arrangement, cfr. entità e 89η, io8, no, 112, 114, 118,
85 e n, 118-22, 131, 171 e n 99-105, 107-9, m - 5 > 117-8, disposizioni 153, 162-3
deverbale, 97, 139, 144, 150-1, 120, 125, 129-30, 132, 137, non completamente specificato,
156-7, 159 140η, 141, 153, 156-60, 162-5, 73-4, 78, 115, 117
diatesi, 22, 55 rÓ7 lemma, 13, 148 soprasegmentale, 77-8, 115, 141
difettivo, 49-50 soggiacente, 45-6, 77, 133, 156, lessema, 13-28, 31-3, 35 e n, 36-7, sostitutivo, 74-6, 78, 96η
dimensions, inflectional, 23η 160 40-3, 46-52, 54-8, 63-5, 69, 71, sottrattivo, 76-7, 141
diminutivo, 55η, 105-7 sottostante, cfr. forma soggiacente 73-4, 79-82, 85, 88, 91, 93, unico, 63-4
disponibilità, 151-3 formativi, 90-1, 94-6, 112η 95-130, 135-60, 162, 165, 167-70 vuoto, 65, 67, 69, 117

i86 187
M O R F O L O G IA IN D IC E A N A L IT IC O

zero, 69-71, 75, 78, no, 117, paradigma, 26-9, 42, 50, 71, 79-82, 72η, 74, 8o-i, 84-5, 88, 103-4, cfr. anche associativi, rapporti·, pa­
118η, 141 114, X17-33, 158-9, 167; cfr. an­ 108, 110-1, 113, 120η, 122, 125, radigmatici, rapporti
morfologia naturale, 161, 164-72 che parole e paradigma 146, 157-8 sintagmatici, verbi, 138
morfema, 125, 159 paradigmatici, rapporti, 78-9, 85; cfr. reduplicant, 73 somiglianza fonologica, 40, 42-3
morfomico, 124, 153, 172 anche associativi, rapporti; sintag­ referrai, rules of, cfr. regole di ri­ sostantivo, 20 e n
morfosintassi, 89η matici, rapporti mando sovrapposta, segnalazione, 84
morfosintattico, 23; cfr. anche cate­ parasintetico, 139 e n, 148 reggenza, 53-4, 100-1, 104 split morphology, 102-11
gorie morfosintattiche, proprietà parola regola di cancellazione di vocale, stem, 124, 125η
morfosintatfiche, tratti morfosintat- grafica, 12-4, 16-7 stipulativo, 44-6
154-7
tici, valori grammaticale, 17 regole strato, 148-9, 168
parole e paradigma (modello a), 26, di formazione delle basi, 129-30 strumentale, 61, 69
multiple exponence, cfr. molteplice,
28-9, 43, 47, 68, 71, 76, 81-2, 115, di formazione delle forme flesse, struttura
segnalazione
117-33, 163η 129-30; cfr. anche formazione profonda, 91
parti del discorso, 18, 21-3, 26, 28, delle forme flesse superficiale, 91
49-51- 55, 100, 104, 124, 135, 138, di formazione dei lessemi, 98-9, submorfema, 64-5
neoclassico, cfr. composizione neo­
classica 142, 144-5, 146η, 149-51 100, 102, 135-60; cfr. anche for­ subtractive, 77
partitivo, n o e n suffissazione, 138-40, 154, 157
neologismo, 137 e η, 150η, 152 mazione dei lessemi
partizione, 119, 121-32, 158-9, 167 suffisso, 31-6, 51η, 70η, 72η, 75, 8o,
nomi di realizzazione, 117, 125, 129-33,
paucale, 59 97, 104-7, 109η, no, 113-4, 138,
collettivi, 143 140η, 141, 167-8
persona, 13-4, 17, 21-2, 24, 42, 142-58, 170
d’agente, 51η, 142-3 di riaggiustamento, 155-7, 160
49-50, 53 e n, 54-5, 56η, 65-8, 71, suppletivismo, 42, 43 e n, 47, 110,
d’azione, 142, 147-8, 151 di rimando, 129, 132-3, 157
77-8, 82 e n, 83-5, 94-5, 101, 118, 121, 128, 165-6
di luogo, 143 di riscrittura, 90-1, 94-5 debole, 43, 121
di qualità, 105, 142, 149, 157 112-4, n8n, 120, 122-3, 126η, di struttura sintagmatica, 90-1, 96
130-3, 158, 165, i68n, 171 e n, forte, 43, 121
di strumento, 143, 151-2 morfofonemiche, 90-6, 112η
nominale gerundivo, 97-8 172 relazioni grammaticali, 22η
pluralia tantum, 49
nominativo, 27η, 6o, 69, 71, 79, 109, rendimento, 151-2 target, 52-3, 57, 101
polirematico, 138 e n
no, 127η replacive morph, 75 tema, 68 e n, 77-8, 112, 124
possessivo, 54, 91, 109 e n, n o
numero, 14, 21, 22 e n, 23 e n, 27-8, restrizioni, 97 e n, 119, 141, 143, tempo, 22 e n, 23, 49-50, 55, 82, 84,
possesso, 55
50, 52, 53η, 54-5, 58-9, 69 e n, 75, 145-50 101, 111-3, 118η, 130-3, 162
potenziamento, 148
79-82, 84, 85 e n, 101, 104, prefissazione, 73η, 136, 138-9 di strato, 148-9 tipologia morfologica, 161-3
ro6-io, 112-4, 123, 131 prefisso, 31-3, 35, 36 e η, 70η, 72η, fonologiche, 146-7 transfisso, 72η
numerosità, 152 84-5, II3-4, 138, 147, 149-50 morfologiche, 147-8 trasformazioni, 90-1, 93, 95-9, 112η
prepositivo, 69 e n sintattico-semantiche, 149-50 trasparenza, 164-7, 170-1
prestito, 15, 139, 149, 151, 168-9 retroformazione, 139 morfosemantica, 165-6
occorrenza, 12, 14, 18-20, 32, 70, principi per l’identificazione dei riduzione, 139-40 morfotattica, 165-7, I7I
107, 136, 144, 152-3, 169-70 morfemi, 41η, 64η ruoli semantici, 59-61, 150 tratti morfosintattici, 23 e n, 28, 36,
omofonia, 17, 37, 105, 122 processi, cfr. entità e processi 39-40, 54, 78, 83-4, 91, 94, 114-5.
omografia, 17 produttività, 97, 150-3 117, 121, 128, 157
omonimia, 16-8, 32-3, 69η, 79-81, profitability, 151 scoperto, 58 triale, 59
165, 171 proprietà morfosintattiche, 23 e n, semantema, 35η
opacità, 165-6, 170 68, 82η, i24 shape, 16
ordine tra morii, 92, 95, 103-15 sigle, 140 underlying representation, cfr. forma
overlapping exponence, cfr. sovrappo­ sinonimia, 37, 40, 44, 120, 143-4, soggiacente
sta, segnalazione raddoppiamento, 73, 84, 125 165 uniformità di codifica, 164-7, 169-72
overt, cfr. scoperto radice, 28, 31-5, 42, 51η, 68, 71, sintagmatici, rapporti, 78-9, 88-9; unità, 34, 88, 89 e n, 162

i88 189
M O R F O L O G IA

universale n. 28 di Greenberg, vocativo, 79-80, 127η


104-7 voce, 22, 55, 82-5, 130-2
uscita, 142, 146η, i54

word and paradigm, cfr. parole e pa­


valori (di categorie grammaticali), radigma
14, 21-3, 27, 40, 42, 46, 49-61, word formation rules, 98η, 99
69-70, 72, 75, 77-85, 94 e n, 95, Wortbildungsbedeutung, 142 e n,
100-1, 103-4, r°7-9, 111-2, 114, 145, 150-1
123, 162-3
vocale tematica, 67-8, 78, 119η, 125,
r3on, 158 zero, cfr. morfo zero

190

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