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FINANZA E MERCATI

DERIVATI
Mark Rubinstein
University of California at Berkeley

Derivati
Futures, opzioni e strategie dinamiche
con CD

A cura di Luca Barone


Goldman Sachs International
ISBN 88 8363 695 3
Titolo originale: Rubinstein on Derivatives
© Mark Rubinstein 1999
Published by Risk Books, a division of Risk Publications.
© 2005 Il Sole 24 Ore S.p.A.
Sede legale - Direzione e Redazione: via Monte Rosa, 91 - 20149 Milano
Servizio Clienti: tel. 3022.5680 (prefisso 02 oppure 06);
fax 3022.5400 (prefisso 02 oppure 06);
e-mail: servizioclienti.libri@ilsole24ore.com
Traduzione: Luca Barone
Prima edizione: novembre 2005
L’Autore

Mark Rubinstein è Paul Stephens Professor of Applied Investment


Analysis alla Haas School of Business della University of California
at Berkeley. Si è laureato alla Harvard University, alla Stanford Uni-
versity e alla University of California at Los Angeles. Il Prof. Rubin-
stein è noto per i suoi lavori sul modello binomiale per la valutazione
delle opzioni (detto anche modello di Cox, Ross e Rubinstein). Tra le
sue pubblicazioni figurano il libro Options Markets e oltre 50 articoli
in primarie riviste di economia e finanza. Attualmente è associate
editor di 10 riviste in queste aree. Ha avuto numerosi premi e rico-
noscimenti per le sue ricerche sui derivati, tra cui l’International Fi-
nancial Engineer of the Year per il 1995. Nel 1993 è stato Presi-
dente dell’American Finance Association.
A Gladys e Sam Rubinstein
Indice

Prefazione all’edizione italiana xi


Prefazione all’edizione originale xiii
1 Attività, derivati e mercati 1
1.1 Concetti base 2
1.2 Attività sottostanti 22
1.3 Categorie di derivati 28
1.4 Esempi di derivati 36
1.5 Mercati 53
2 Forwards e futures 71
2.1 Attività e moneta 71
2.2 Valutazione e replica 91
2.3 Esempi di forwards e futures 109
2.4 Coperture mediante futures 125
2.5 Swaps 131
3 Introduzione alle opzioni 141
3.1 Posizioni elementari 141
3.2 Posizioni combinate 158
3.3 Valutazione 172
3.4 Replica dinamica e replica statica 181
4 Modello binomiale 195
4.1 Modello ad uno stadio 199
4.2 Modello a più stadi 208
4.3 Lettere greche 231
4.4 Estensioni 238
4.5 Opzioni su obbligazioni 247
5 Formula Black-Scholes 263
5.1 Derivazione 263
5.2 Parametri per le coperture 279
5.3 Estensioni 290
6 Volatilità 299
6.1 Volatilità storica 299
6.2 Volatilità implicita 313
7 Strategie dinamiche 323
7.1 Diversificazione dinamica 323
7.2 Assicurazione di portafoglio 329
7.3 Simulazione 342
Glossario 355
Bibliografia annotata 427
Bibliografia delle applicazioni 449
Indice degli autori e degli argomenti 461
Software 473
Prefazione all’edizione italiana

Sono lieto di festeggiare la pubblicazione della versione italiana di Rubin-


stein on Derivatives. Mi sono chiesto a lungo come sarebbe apparso il mio
cognome in italiano [è stato tolto dal titolo, ndt ...] ed ora lo so!
È per me un onore che il traduttore, Luca Barone, sia stato uno dei no-
stri laureati. Luca, che ha solo 24 anni, ha seguito il Masters of Financial
Engineering Program (MFE, classe 2005) a Berkeley e lavora ora alla
Goldman Sachs di Londra. Lo avevo incontrato alcuni anni fa, tramite suo
padre, quando mia moglie ed io siamo stati a Roma. I contatti sono ripresi
più tardi quando Luca, a very impressive student, ha seguito i miei due cor-
si al MFE, un programma che ha avuto purtroppo pochissimi studenti di
lingua madre italiana. Il suo entusiasmo per la finanza lo ha portato recen-
temente a tradurre in inglese un complesso lavoro, rimasto a lungo poco
conosciuto, scritto da Bruno de Finetti, matematico italiano del XX secolo.
L’articolo, la cui versione inglese verrà pubblicata prossimamente, anticipa
in molti punti la mean-variance portfolio theory. Luca si è poi dedicato alla
traduzione di Rubinstein on Derivatives, accrescendone il valore per
l’audience italiana.
Il mio libro si occupa dei principali aspetti della teoria finanziaria dei
derivati. Questa teoria ha preso gradatamente forma dopo il fondamentale
articolo di Black e Scholes sulle opzioni (1973) e si era già ben consolidata
prima del 1999, quando Rubinstein on Derivatives è stato pubblicato per la
prima volta da Risk Books. Dato che tratta di argomenti base che proba-
bilmente non muteranno in modo apprezzabile, questo libro continua a
mantenersi nuovo e attuale. Come ho scritto nella prefazione alla versione
inglese, il mio obiettivo era quello di far meglio degli altri nello spiegare le
fondamenta economiche dei derivati. Spero di esserci riuscito, ma lascio a
voi giudicare.

Mark Rubinstein
5 settembre, 2005
Corte Madera, California

xi
Prefazione all’edizione originale

Abbiamo davvero bisogno di un’altro libro sui derivati? Quando John Cox
ed io abbiamo scritto il nostro libro Options Markets circa 20 anni fa, il
miglior libro allora disponibile era The Stock Options Manual di Gary Ga-
stineau. Dato che il nostro libro era il primo figlio della moderna era
Black-Scholes, colmava una lacuna importante. Ma oggi, a quanto pare, ci
sono infiniti libri sui derivati, inclusi alcuni eccellenti come Options, Fu-
tures and Other Derivatives di John Hull e l’enciclopedico Derivatives:
The Theory and Practice of Financial Engineering di Paul Wilmott.
Ma pochissimi di questi nuovi libri esaminano i derivati con l’intento di
spiegare la teoria economica sottostante e le sue limitazioni pratiche. È ve-
ro, in altri libri vedrete la matematica e verrete aiutati da numerosi esempi,
ma riuscirete davvero a capire la “sostanza” della questione? Questo libro
fa del suo meglio per farvela intuire. Prendendo un esempio da un’altra di-
sciplina, le regole geometriche di Keplero per prevedere il moto dei pianeti
rappresentano un modo coerente di vedere i fenomeni ma non hanno il po-
tere esplicativo della legge di gravità di Newton. Si potrebbe dire che la
legge di Newton guardava oltre le regole di Keplero, mirando ad una rela-
zione più concisa e fondamentale. Inoltre, la sua legge era universale, es-
sendo valida in generale, prevedeva leggere differenze nel moto dei pianeti
che furono più tardi osservate e suggeriva che altre forze, oltre alla gravità,
potevano a volte essere importanti.
Ecco un test per chi ha letto altri libri sui derivati: qual è l’idea economica
fondamentale che sta dietro la moderna teoria della valutazione delle opzioni e
non dietro, ad es., la precedente teoria di valutazione delle attività finanziarie?
È questa: sotto certe condizioni potete supplire ad un mercato incompleto (os-
sia, ad un mercato in cui certi profili di rendimento non sono direttamente os-
servabili) se ribilanciate nel tempo i pesi di un portafoglio composto dai titoli
presenti sul mercato. Il classico esempio è dato dalla replica Black-Scholes di
una call con l’attività sottostante e il contante. E chi ha pensato per primo a
questa possibilità? Black e Scholes nel 1973? No, la proposizione generale è
apparsa in un lavoro pubblicato 20 anni prima dall’economista Kenneth Arrow.
Questa idea è ora nota come “terzo teorema fondamentale dell’econo-
mia finanziaria”. Il primo e il secondo teorema – anche questi scoperti più
o meno da Arrow nello stesso lavoro – formano la base per la precedente
teoria di valutazione delle attività finanziarie (ossia il capital asset pricing
model, sviluppato in parte da William Sharpe).

xiii
DERIVATI

Derivati è diverso dalla maggior parte degli altri libri, sotto diversi a-
spetti. Innanzitutto, è stato scritto con uno stile personale e discorsivo. A
tratti, vi verrà ricordato che l’autore è un essere umano e non un robot.
Secondo: il libro include una rassegna generale di tutti i tipi di derivati.
Si inizia nel Capitolo 1 con l’esempio di una polizza assicurativa contro i
terremoti e si prosegue con una carrellata di numerose applicazioni a cose
che potreste non aver mai considerato come derivati. Segue poi un detta-
gliato capitolo dedicato a forwards, futures e swaps. Questi contratti ven-
gono studiati per primi perché rappresentano casi particolari di derivati più
complessi, noti come “opzioni”. Ad esempio, se non vi siete mai chiesti
perché il tasso di rendimento atteso del sottostante non figura nella formula
Black-Scholes per le opzioni europee, è utile comprendere prima perché i
prezzi dei futures finanziari non dipendono direttamente dalle aspettative
dei futuri prezzi spot delle attività sottostanti.
Terzo: mentre molti altri libri sulle opzioni utilizzano il calcolo stoca-
stico o si limitano a trattazioni superficiali, questo libro non si conforma a
nessuna delle due prassi. Si avvale invece del modello binomiale di valuta-
zione delle opzioni per sviluppare la formula di Black e Scholes, ricavare i
parametri per le coperture – come il delta e il gamma – e determinare il va-
lore delle opzioni su futures, valute e obbligazioni. Questo approccio ri-
chiede solo algebra e statistica elementare e rivela le basi economiche della
valutazione delle opzioni nella forma matematicamente più semplice.
Quarto: per applicare la teoria è necessario misurare certe variabili, in
particolare la volatilità. Pertanto, un intero capitolo è stato dedicato alla
stima di questo parametro.
Quinto: il libro enfatizza i limiti cui è soggetto il terzo teorema fonda-
mentale (e quindi anche la formula Black-Scholes) , che si basa su “certe con-
dizioni”. Se queste condizioni non vengono soddisfatte, le conclusioni sono, al
meglio, buone approssimazioni e, al peggio, possono portare a disastri finan-
ziari (se seguite pedissequamente). Pertanto, l’ultimo capitolo descrive in det-
taglio un caso concreto che utilizza molti dei concetti sviluppati nel libro. Si
è cercato di portare l’esempio ai limiti della prassi corrente, mostrando cosa
può andare storto con le strategie di replica dinamica (e come possono essere
modificate per ridurre i danni). I lettori sono quindi avvertiti: leggere questo
libro senza l’ultimo capitolo potrebbe far male alla loro salute finanziaria.
Sesto: il libro include due bibliografie uniche. La prima elenca, in ordine
cronologico, circa 150 lavori, tra articoli e libri, scritti nell’ultimo secolo,
ognuno corredato da un’annotazione che descrive quello che – a mio avviso
– è il suo principale contributo. Questa parte può essere letta come
un’introduzione alla storia della ricerca nel campo dei derivati, dove si mo-
stra il modo in cui le idee sono state elaborate ed estese. La seconda biblio-
grafia elenca circa 175 applicazioni della teoria dei derivati e raccomanda,
per ciascun caso, un articolo da leggere. Il lettore può quindi utilizzare la bi-
bliografia fornita dagli autori per approfondire ulteriormente gli argomenti.

xiv
PREFAZIONE ALL’EDIZIONE ORIGINALE

Infine, al libro è allegato un CD con centinaia di megabytes di softwa-


re, disegnato espressamente per essere da complemento al libro. Il CD
comprende 342 diapositive in PowerPoint che possono essere utilizzate per
migliorare l’apprendimento o facilitare l’insegnamento della materia. Vi
trovate inoltre quattro applicativi per PC (inclusi MATLAB for Derivatives
e parte del Rubinstein’s Options Calculator), molti esempi numerici con le
relative soluzioni, esercizi su computer ed altri documenti, un glossario,
con oltre 600 voci collegate ad indirizzi Internet, e 100 files audio con mi-
ni-lezioni di 1-12 minuti tratte da lezioni svolte in aula a Berkeley.
A questo punto è d’obbligo ringraziare tutti quelli che mi hanno aiutato
e giurare che senza di loro questa meravigliosa creatura non avrebbe mai
visto la luce. Dato che questo libro si basa su Derivatives: A PowerPlus
Picture Book (un’alternativa alle lezioni in aula, pubblicata da me e dispo-
nibile nel sito www.in-the-money.com), non ringrazierò nuovamente tutti
quelli che sono lì menzionati. Tuttavia, nella sua corrente forma, questo
libro deve la sua esistenza principalmente all’incoraggiamento di Bill Fal-
loon di Risk Publications, per cui desidero estendere formalmente anche a
lui i miei ringraziamenti.

Mark Rubinstein
19 novembre, 1999
Corte Madera, California

xv
1
Attività, derivati e mercati

Per molti, la parola “derivati” è misteriosa ed è un po’ il simbolo del buio ed


apparentemente impenetrabile mondo della finanza moderna. In realtà, le basi
dei derivati sono facili da capire, in parte perché molte persone che vivono nei
Paesi industrializzati, lo sappiano o no, possiedono almeno un derivato.

I derivati sono contratti tra due soggetti che specificano le condizioni − in par-
ticolare, le date e i valori delle variabili fondamentali – in base alle quali si de-
terminano i pagamenti, o payoffs, che verranno effettuati tra le controparti.

Ad esempio, gli schemi della previdenza sociale sono derivati che impegnano
gli individui ad una serie di pagamenti a favore dello Stato fino all’età di 65
anni, e impegnano lo Stato a payoffs a favore degli individui dopo i 65 anni e
finché essi restano in vita. In questo caso, i payoffs vengono effettuati a date
prestabilite e dipendono dalla sopravvivenza degli individui. Chi ha contratto
un mutuo ipotecario, con diritto ad estinguerlo in via anticipata, si è imbattuto
− forse inconsapevolmente − in un derivato. Per fare un esempio più dramma-
tico, le polizze assicurative contro i terremoti sono derivati che impegnano gli
individui a regolari pagamenti annuali e le compagnie di assicurazioni a pay-
offs potenzialmente molto più rilevanti se un terremoto dovesse distruggere le
loro proprietà. I derivati sono anche noti come diritti contingenti dato che i
loro payoffs dipendono da eventi relativi alle variabili sottostanti.
I derivati con variabili sottostanti rappresentate da specifici eventi o da
merci esistono da molto tempo. Tuttavia, la forte esplosione di interesse per i
derivati si è manifestata solo dopo che sono apparsi i derivati finanziari, con
variabili sottostanti rappresentate da prezzi di azioni, indici azionari, tassi di
cambio, prezzi di obbligazioni e tassi di interesse. Gli storici alla ricerca di una
data iniziale guardino al 1972, quando è stato costituito l’International Mone-
tary Market (IMM), una divisione della Chicago Mercantile Exchange (CME),
o all’aprile 1973, quando è stata aperta la Chicago Board Options Exchange
(CBOE), le prime due borse moderne per la negoziazione di derivati finanziari.
Parlando filosoficamente (in conformità con lo spirito del libro), considera-
re qualcosa alla stregua di un derivato dipende dal proprio punto di vista. Ad
esempio, si è soliti considerare le azioni ordinarie come attività che potrebbero

1
DERIVATI

Tavola 1.1 Tavola dei payoffs

Scala
Scaladi
diRichter
Richter Danno
Danno Payoff
Payoff
($)
($)
00––4,9
4,9 Nessuno
Nessuno 00
5,0
5,0––5,4
5,4 Lieve
Lieve 750
750
5,5
5,5––5,9
5,9 Piccolo
Piccolo 10.000
10.000
6,0
6,0––6,9
6,9 Medio
Medio 25.000
25.000
7,0
7,0––8,9
8,9 Grande
Grande 50.000
50.000

essere alla base di derivati, ma generalmente non sono esse stesse considerate
come derivati. Eppure, se si pensa che il payoff di un’azione dipende da qual-
che altra variabile sottostante, come il reddito operativo della società, le stesse
azioni possono essere interpretate come derivati. Se questa interpretazione sia
necessaria o meno, dipende dal particolare obiettivo che si intende perseguire.
Prendiamo un classico esempio da un altro campo di studi. Per certi fini è me-
glio pensare al sole come se fosse fisso nello spazio e alla terra come ad un pia-
neta che ruota intorno ad esso, ma per altri fini è utile adottare la prospettiva
aristotelica della terra fissa nello spazio con il sole che ruota intorno ad essa.

1.1 CONCETTI BASE


Tavole dei payoffs e grafici
Forse il modo più semplice per descrivere un derivato è rappresentato dalla
tavola dei suoi payoffs. La Tavola 1.1 contiene, oltre ad una colonna inter-
media, due colonne principali che riportano il valore della variabile sotto-
stante ed il payoff corrisposto da una delle controparti.
In questa tavola utilizziamo la polizza assicurativa contro i terremoti come
esempio estremamente semplificato. Qui le due controparti sono il proprietario
di un immobile e la compagnia di assicurazione. La prima colonna definisce gli
eventi in termini di intensità del terremoto (misurata con la scala Richter).1
Ogni evento rappresenta uno dei possibili futuri stati del mondo, che ne rias-
sumono gli aspetti rilevanti. La terza colonna riporta il valore atteso del payoff
corrisposto dalla compagnia di assicurazione, che dipende dall’intensità del
terremoto. Ad esempio, se non c’è terremoto (scala Richter = 0,0) o si verifica-
no solo scosse di bassa intensità (scala Richter < 5,0), non ci sono danni e quin-

2
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

Figura 1.1 Payoff diagram

PAYOFF (X) DELLA POLIZZA ASSICURATIVA


A FAVORE DEL PROPRIETARIO
USD 50.000
50.000

USD 25.000
25.000

USD 10.000
Nessuna perdita
se i terremoti non si verificano
o sono di minima entità USD 750

3 4 6 7 SCALA DI RICHTER

-25.000

di la compagnia di assicurazione non effettua indennizzi. Salendo lungo la sca-


la, i terremoti nel campo 5,0 – 5,4 sono sufficientemente piccoli da causare
danni ad una casa per importi che di solito non superano i $1.000. Nel caso più
estremo, con terremoti di 7,0 gradi o più secondo la scala Richter, i proprietari
saranno probabilmente felici di ricevere $50.000 a copertura dei danni subiti.
Un altro modo per descrivere un derivato è rappresentato dal grafico
del payoff, come nella Figura 1.1. Il payoff è riportato sull’asse verticale e
la variabile sottostante sull’asse orizzontale. Si tratta solo di un altro modo
per illustrare le informazioni che già figuravano nella tavola del payoff.
Il grafico del payoff illustra una proprietà comune a molti derivati.
Spesso l’attività di riferimento (in questo caso la casa) non viene scambia-
ta, ma viene scambiata solo la variazione di valore dell’attività. La com-
pagnia di assicurazione non compra la casa, ma corrisponde al proprietario
la variazione di valore determinata dal danno subito a causa del terremoto.
Alcuni derivati sono semplici accordi in cui una parte si impegna a pa-
gare all’altra la variazione di valore, qualunque essa sia. Se la variazione è
positiva, è la prima parte che paga alla seconda; se la variazione è negativa,
è la seconda che paga alla prima. I derivati con payoffs così semplici sono
spesso chiamati forwards, futures o swaps; i derivati con payoffs più com-
plessi, come le polizze assicurative, sono spesso chiamati opzioni, e in par-
ticolare calls e puts.

Probabilità soggettive
Da soli, la tavola o il grafico del payoff raccontano solo una parte della storia.
Supponiamo che dobbiate decidere se acquistare la polizza assicurativa contro i

3
DERIVATI

Figura 1.2 Probabilità soggettive

0,90 85%
0,80

0,70
Probabilità (Q )

0,60

0,50

0,40

0,30

0,20
10%
0,10
3% 1,5% 0,5%
0,00
2 o meno 3 4 5 6 7 8 o più
Scala di Richter

terremoti. La decisione dipende da quella che, secondo voi, è la probabilità di


un terremoto. Se vivete negli Stati del Midwest, potete concludere che le pro-
babilità sono così remote che non avete bisogno di un’assicurazione. Se invece
vivete in California, è possibile che vediate la polizza assicurativa contro i ter-
remoti come una delle componenti necessarie del costo della vita.

Un modo sistematico per tener conto di questa seconda dimensione del deri-
vato è quello di assegnare una probabilità soggettiva a tutti i possibili stati
futuri. Perché si tratti di probabilità, questi numeri devono essere non-negativi
e la loro somma deve essere pari a 1. Ogni probabilità soggettiva misura il
grado di confidenza dell’individuo nei confronti del relativo evento.

Ad esempio, se una probabilità soggettiva è il doppio di un’altra, l’individuo


crede che il primo evento sia due volte più probabile del secondo. La Figura
1.2 riporta le probabilità soggettive che si verifichi un terremoto. Nell’esempio,
la probabilità soggettiva di un terremoto di 4,9 gradi o meno, secondo la scala
Richter, è pari all’85% (ossia a 0,85). All’altro estremo, la probabilità soggetti-
va di un terremoto di 7,0 gradi o più è pari solo allo 0,5% (0,005).2
Si noti che la somma delle probabilità è pari a 1 (= 0,85 + 0,10 + 0,03 +
0,015 + 0,005).
A volte parlerò come se i prezzi venissero fissati dallo stesso mercato in
base a un solo insieme di probabilità soggettive. Questa finzione, che è piutto-
sto conveniente, è però difficile da giustificare con argomentazioni rigorose.
Possiamo ora combinare le informazioni riportate nel grafico del payoff
(Figura 1.1) e nel grafico delle probabilità soggettive (Figura 1.2) per cal-

4
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

Tavola 1.2 Payoff atteso: definizione

‰ Payoff della polizza (X1, X2, …, Xj, …, Xn)


‰ Probabilità soggettive (Q1, Q2, …, Qj, …, Qn)

0 ≤ Qj ≤ per tutte le j
e
Q 1 + Q2 + … + Qj + … + Qn = 1

Payoff atteso = Q1 X1 + Q2 X2 + … + Qj Xj + … + Qn Xn

In
In alternativa: E(X) ≡≡ΣΣj jQ
alternativa:E(X) Qj jXXj j

colare un solo numero che misuri la convenienza della polizza. Il modo


naturale per farlo è di determinare il payoff atteso. La Tavola 1.2 mostra il
modo in cui effettuare i calcoli. Se il payoff atteso è maggiore del premio
assicurativo, forse dovremmo comprare la polizza; se è minore, forse non
dovremmo.
Per calcolare il payoff atteso (o medio) occorre moltiplicare il payoff,
Xj, relativo ad ogni futuro stato, j, per la corrispondente probabilità sogget-
tiva, Qj. Perché siano probabilità, le Qj devono essere comprese tra 0 e 1 e
la loro somma deve essere pari a 1.
Il payoff atteso è poi la somma dei prodotti tra Qj e Xj. Questa tecnica
ha la virtù di dare più peso agli stati con probabilità più alte e agli stati cui
corrispondono i payoffs più elevati.
Per rappresentare questa somma, possiamo scrivere i vari termini uno
dopo l’altro oppure usare la notazione abbreviata con il simbolo di somma-
toria Σ. Infine, possiamo indicare il risultato semplicemente con E(X), il
valore atteso di X.
Anche se non ne abbiamo per ora bisogno, il concetto di deviazione
standard si dimostrerà utile più avanti. Mentre il payoff atteso misura la
tendenza centrale della polizza assicurativa, il payoff effettivo non sarà in
genere uguale al valore atteso. In alcuni casi vogliamo sapere di quanto è
probabile che il valore effettivo si discosti dal valore atteso. La deviazione
standard rappresenta un modo per misurare questa possibilità di scostamento.
La varianza è definita come il valore atteso del quadrato della diffe-
renza tra il payoff effettivo e il payoff atteso. Per ogni futuro stato j:

5
DERIVATI

(1) dapprima calcoliamo la differenza tra il payoff effettivo, Xj, e il payoff


atteso, E(X): Xj − E(X);
(2) quindi eleviamo questa differenza al quadrato: [Xj − E(X)]2;
(3) poi ponderiamo il quadrato di ogni differenza con la corrispondente
probabilità soggettiva: Qj [Xj − E(X)]2 .
Infine, per ottenere la varianza, sommiamo i quadrati ponderati delle diffe-
renze relative ai diversi stati:

[
var ( X ) = ∑ j Q j X j − E ( X ) ] 2

Notate che senza l’elevazione al quadrato del punto (2), avremmo ottenuto:

∑ j Q j [X j − E ( X )]2 = (∑ j Q j X j ) − E ( X )(∑ j Q j )
= E(X ) − E (X ) = 0

indipendentemente dagli effettivi valori di Xj. L’elevazione al quadrato non


solo consente di distinguere tra diverse sequenze di Xj ma assicura anche
che, se le Xj non sono tutte uguali, var(X) > 0.
Grazie all’elevazione al quadrato, la varianza assegna un peso più che
proporzionale alle «osservazioni distanti dal valore atteso» (outliers). Per-
tanto gli outliers possono avere un effetto significativo sulla varianza. Inol-
tre, l’elevazione al quadrato implica che gli scarti negativi dal valore atteso
[Xj < E(X)] tendono a contare tanto quanto gli scarti positivi [Xj > E(X)] di
uguale dimensione. Infine, dato che i quadrati delle differenze vengono
ponderati con le probabilità, come nel calcolo del valore atteso, le osserva-
zioni con probabilità più alta ottengono maggior peso.
Comunque, la varianza ha almeno un significativo inconveniente: men-
tre il payoff atteso è denominato in dollari, la varianza – a causa
dell’elevazione al quadrato – è espressa in dollari al quadrato ($2). Di con-
seguenza, è difficile confrontare i valori attesi con le varianze. Per superare
questo problema, di solito si fa un ultimo calcolo: si prende la radice qua-
drata (positiva) della varianza. Il valore che si ottiene – espresso in $ – è
noto come deviazione standard, std(X).
Ad esempio, come presto vedremo, il payoff atteso della polizza assicu-
rativa è pari a $1.000, e la deviazione standard del payoff è pari a $4.892.
Per finire, consideriamo il concetto statistico che misura l’intensità del-
la relazione tra due variabili casuali. Supponiamo di poter osservare, oltre
ai payoffs effettivi della polizza assicurativa, (X1, X2, ..., Xj, ..., Xn), anche i
payoffs, (Y1, Y2, ..., Yj, ..., Yn), di un investimento in un portafoglio diversi-
ficato di titoli costruito in modo da riflettere i rendimenti dell’intero merca-
to. In tal caso Qj è la probabilità soggettiva associata all’osservazione si-
multanea (Xj, Yj).

6
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

La covarianza cattura in un solo numero l’intensità con cui queste due


variabili si muovono insieme. Per ogni futuro stato j:
(1) innanzitutto calcoliamo la differenza tra la prima variabile casuale e il
suo valore atteso: Xj − E(X);
(2) quindi calcoliamo la differenza tra la seconda variabile casuale e il suo
valore atteso: Yj − E(Y);
(3) poi moltiplichiamo tra loro le due differenze: [Xj − E(X)][ Yj − E(Y)];
(4) quindi ponderiamo questo prodotto con la corrispondente probabilità
soggettiva: Qj [Xj − E(X)][ Yj − E(Y)].
Infine, per ottenere la covarianza, sommiamo i prodotti ponderati relativi a
tutti i futuri stati j:

cov( X , Y ) = ∑ j Q j [X j − E (X )][Y j − E (Y )]
Cov(X, Y) può essere positiva, negativa o nulla. La covarianza sarà positiva se
Xj e Yj tendono a muoversi insieme; ovvero, negli stati in cui Xj > E(X), tende
anche ad essere vero che Yj > E(Y); e quando Xj < E(X), tendiamo ad osservare
Yj < E(Y). Di conseguenza, il prodotto tra [Xj − E(X)] e [Yj − E(Y)] tende ad es-
sere il prodotto tra due numeri positivi o tra due numeri negativi − un prodotto
che è comunque positivo. D’altra parte, la covarianza sarà negativa se Xj e Yj
tendono a muoversi in direzioni opposte. In tal caso il prodotto tra [Xj − E(X)] e
[Yj − E(Y)] tende ad essere negativo, essendo il prodotto tra un numero negati-
vo ed un numero positivo. Come ultima possibilità, la covarianza sarà nulla se
non c’è nessuna tendenza da parte delle due variabili a muoversi insieme, in un
modo o nell’altro. In alcuni stati [Xj − E(X)][Yj − E(Y)] > 0, ma in altri [Xj −
E(X)][Yj − E(Y)] < 0. Naturalmente, quando si è in condizioni di certezza, per
tutti gli stati si ha Xj = E(X) e Yj = E(Y), ed anche la covarianza è nulla.
Analogamente alla varianza, la covarianza ha l’inconveniente di essere
espressa in $2. Il modo più comune per riproporzionarla è di dividerla per il
prodotto tra le deviazioni standard delle due variabili casuali. Questa misura
“scalata” di covarianza è stata chiamata correlazione tra le due variabili:
cov( X , Y )
corr( X , Y ) =
std( X ) × std(Y )

Si può dimostrare che la correlazione è sempre compresa tra −1 e +1 e che è


rappresentata da un numero puro, essendo definita come rapporto tra $2 e $2.
La Tavola 1.3 riporta il calcolo esatto del payoff atteso per il nostro e-
sempio dell’assicurazione contro i terremoti. Moltiplicando tra loro i valori
della terza e quarta colonna otteniamo la quinta, e quindi, sommando tra
loro i valori della quinta colonna, otteniamo il payoff atteso.
Nell’esempio, il payoff atteso è di $1.000. In altri termini, la compagnia
di assicurazione deve fissare un premio annuo di $1.000 per aspettarsi di
finire in pareggio. In pratica, la società fisserà un premio più alto per copri-

7
DERIVATI

Tavola 1.3 Valore attuale del payoff atteso

POLIZZA ASSICURATIVA CONTRO I TERREMOTI

Scala
Scala Danno
Danno Payoff
Payoff Probabilità
Probabilità Probabilità
Probabilità
di
diRichter
Richter ($)
($) ××Payoff
Payoff($)
($)
00––4,9
4,9 Nessuno
Nessuno 00 0,850
0,850 00
5,0
5,0––5,4
5,4 Lieve
Lieve 750
750 0,100
0,100 75
75
5,5
5,5––5,9
5,9 Piccolo
Piccolo 10.000
10.000 0,030
0,030 300
300
6,0 – 6,9
6,0 – 6,9 Medio
Medio 25.000
25.000 0,015
0,015 375
375
7,0
7,0––8,9
8,9 Grande
Grande 50.000
50.000 0,005
0,005 250
250
Payoff
Payoffatteso:
atteso:$1.000
$1.000

Σj Qj Xj = 0,850×0 + 0,100×750 + 0,030×10.000 + 0,015×25.000 + 0,005×50.000 = 1.000


Il valore attuale del payoff atteso, con r = 1,05, è pari a $952,38 [= $1.000 / 1,05]

re le spese amministrative e offrire un utile agli azionisti. Come vedremo, è


possibile che il proprietario dell’immobile, a causa del suo atteggiamento
verso il rischio di terremoti, sia comunque ancora disposto ad acquistare la
polizza assicurativa. Ossia, è spesso disposto a comprare la polizza anche
se il costo è maggiore del payoff atteso.
Un’altra considerazione che abbiamo ignorato è la «tempistica» (tim-
ing) dei pagamenti. In molti casi il proprietario pagherà l’intero premio in
anticipo, all’inizio dell’anno, mentre i potenziali benefici dell’assicura-
zione potranno manifestarsi solo dopo che il premio è stato pagato. Se è
così, la polizza assicurativa sarà più interessante per la compagnia di assi-
curazione, che potrà percepire un ulteriore introito: l’interesse sull’investi-
mento del premio incassato. Per evitare questa complicazione è meglio
pensare che il premio venga pagato gradualmente nel corso dell’anno.
Supponiamo però che il proprietario non sia così fortunato e che paghi
l’intero premio in anticipo, all’inizio dell’anno, mentre i danni da terremo-
to gli vengono rimborsati solo alla fine dell’anno, anche se si sono verifica-
ti a metà anno. In alternativa, il proprietario avrebbe potuto tenersi i suoi
$1.000 e depositarli in un conto corrente bancario. In tal caso, alla fine
dell’anno, invece di avere $1.000, avrebbe avuto $1.000 più gli interessi ad
un tasso, ad es., del 5%. Assumendo che la banca non fallisca, il montante
(o ritorno) a fine anno sarebbe stato pari a $1.050 (= $1.000 × 1,05). Pos-
siamo considerare 1,05 come il « ritorno privo di rischio» (riskless return).
Pertanto, affinché sia il proprietario sia la compagnia di assicurazione fini-
scano in pareggio, e tenendo ora conto anche del timing dei pagamenti,
possiamo correggere i calcoli riducendo il premio della polizza assicurativa

8
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

da $1.000 a $952,38 (= $1.000/1,05), per poi procedere come prima. Tro-


veremmo allora che il proprietario si aspetterebbe lo stesso payoff sia se
depositasse i suoi $952,38 in banca [il payoff atteso è di $1.000 (= $952,38
× 1,05)] sia se acquistasse la polizza.
Possiamo inoltre utilizzare le informazioni della Tavola 1.3 per calcola-
re la deviazione standard del payoff della polizza:

∑ j Q j [X j − E ( X )]2 = 0,850 × (0 − 1.000)2 + 0,100 × (750 − 1.000)2 +


0,030 × (10.000 − 1.000 ) + 0,015 × (25.000 − 1.000) +
2 2

0,005 × (50.000 − 1.000)


2

= 23.931.250

std( X ) = 23.931.250 = $4.892

Probabilità neutrali verso il rischio e valori attuali


Per ricapitolare, il payoff atteso della polizza è di $1.000. Tuttavia, non è que-
sto il premio assicurativo, perché trascura la collocazione temporale del payoff.
Il payoff è nel futuro, mentre il premio viene pagato ora. Per tenerne conto, il
payoff atteso va attualizzato: il valore attuale è di $952,38. Notate che anche la
compagnia di assicurazione può fare lo stesso calcolo. Sia la compagnia di as-
sicurazione sia il proprietario dovrebbero convenire che con questo premio en-
trambi finirebbero in pareggio. Ma sarà davvero questo il premio fissato dal
mercato? Forse no, perché non abbiamo tenuto conto del rischio.
Se il premio fosse pari a questo valore di equilibrio, il proprietario sareb-
be disposto ad acquistare la polizza o sarebbe semplicemente indifferente?
Chiedetevi se voi l’acquistereste. Pagando un premio di $952,38, vi proteg-
gereste contro le perdite – a bassa probabilità ma rilevanti – che potreste su-
bire in caso di terremoto. In particolare, vi proteggereste contro una perdita
di $25.000, con probabilità dell’1,5%, e contro una perdita di $50.000, con
probabilità dello 0,5%. Supponiamo, ai fini dell’argomentazione, che queste
cifre siano sostanziali in rapporto al vostro patrimonio. Dato che la maggior
parte degli individui è avversa al rischio, essa è in genere disposta a pagare il
premio. Anzi, sarebbe anche disposta a pagare più di $952,38.

Dietro questa osservazione c’è l’idea della “utilità marginale decrescente”. Se siete
già ricchi, un dollaro in più non è altrettanto prezioso per voi (in termini di benesse-
re o utilità) quanto un dollaro in più se siete poveri. Supponiamo che il vostro pa-
trimonio sia di $100.000. Prendendo un caso estremo, la possibilità di guadagnare
altri $100.000 non ha per voi valore se è controbilanciata dalla possibilità di perde-
re $100.000 (che vi lascerebbe senza un soldo). Gli economisti chiamano avver-
sione al rischio questo atteggiamento insito nella natura umana. Come vedete,
gli economisti sono psicologi in poltrona, come la maggior parte della gente!

9
DERIVATI

Tavola 1.4 Valore attuale aggiustato per il rischio

Probabilità neutrale verso il rischio = probabilità soggettiva × avversione al rischio

Probabilità Prob.
Prob.neutrale
neutrale
Scala
Scala Payoff Probabilità Avversione
Payoff neutrale verso
versoililrischio
rischio
di
diRichter
Richter Danno
Danno ($)
($) soggettiva al rischio verso il rischio ×× Payoff($)
Payoff ($)
00––4,9
4,9 Nessuno
Nessuno 00 0,850 × 0,9939 = 0,845 00
5,0
5,0––5,4
5,4 Lieve
Lieve 750
750 0,100 × 0,9976 = 0,100 75
75
5,5
5,5––5,9
5,9 Piccolo
Piccolo 10.000
10.000 0,030 × 1,0472 = 0,031 310
310
6,0
6,0––6,9
6,9 Medio
Medio 25.000
25.000 0,015 × 1,1430 = 0,017 425
425
7,0
7,0––8,9
8,9 Grande
Grande 50.000
50.000 0,005 × 1,3787 = 0,007 350
350
Valore
Valoreatteso:
atteso:$1.160
$1.160

Σj Pj Xj = 0,850×0 + 0,100×750 + 0,031×10.000 + 0,017×25.000 + 0,007×50.000 = 1.160


Il valore attuale aggiustato per il rischio, con r = 1,05, è pari a $1.104,76 [= $1.160 / 1,05]

Un modo molto semplice per tener conto dell’avversione al rischio è quello


di ponderare i dollari in modo che valgano meno negli stati “ricchi” e più
negli stati “poveri”. È quello che fa la Tavola 1.4. Ad esempio, nello stato
“ricco” rappresentato da un terremoto di intensità compresa tra 0 e 4,9 gra-
di della scala Richter, il peso dei dollari viene ridotto da 0,850 a 0,845 per
mezzo di un fattore moltiplicativo di avversione al rischio pari a 0,9939.
Invece, nello stato “povero” rappresentato da un terremoto di intensità
compresa tra 7,0 e 8,9 gradi della scala Richter, il peso dei dollari viene
aumentato da 0,005 a 0,007 moltiplicandolo per 1,3787.
Utilizzando i pesi aggiustati per il rischio (0,845; 0,100; 0,031; 0,017;
0,007) relativi ai cinque gruppi di terremoti (e di danni), il valore atteso della
polizza risulta pari a $1.160 ed il valore attuale a $1.104,76 (= $1.160 / 1,05).
Conferiamo dignità a questo importo – utilizzando il termine “valore” – perché
esso riflette sia la collocazione temporale sia il rischio dei payoffs della polizza.
I pesi aggiustati per il rischio non sono arbitrari ma riflettono il grado di
avversione al rischio del proprietario. Più è avverso al rischio, più alti sono i
fattori di rettifica per gli stati poveri e più bassi quelli per gli stati ricchi. Co-
munque, quali che siano i fattori di rettifica che finiremo per usare, essi devono
godere di due proprietà: devono essere numeri positivi e sommare ad uno.
Devono essere positivi perché il proprietario sarà felice di ricevere un pay-
off positivo, quale che sia lo stato. Sarà quindi disposto a pagare ora un importo
positivo per quel payoff. Ad esempio, sarà disposto a pagare ora $299,21 [=
$10.000 (0,030 × 1,04723)/1,05] per ricevere $10.000 nel caso di un terremoto di
5,5-5,9 gradi della scala Richter. In questo calcolo abbiamo tenuto conto simulta-
neamente delle probabilità soggettive, dell’avversione al rischio e del tempo.

10
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

Nel nostro esempio i pesi aggiustati sono 0,845; 0,100; 0,031; 0,017 e 0,007.
Non è un caso che la loro somma sia pari a 1. Per capirne il motivo, considera-
te di nuovo l’alternativa consistente nel lasciare i soldi in banca per ritrovarsi,
senza correre rischi, con un ritorno di 1,05. Un ritorno sicuro di $1,05 deve ave-
re un valore attuale di $1. Per non correre rischi, il proprietario deve ricevere
$1,05 in ogni futuro stato. Supponiamo che i pesi aggiustati per il rischio siano
P1, P2, P3, P4 e P5. Il valore attuale di $1,05 verrebbe così calcolato:

(P1 × 1,05 + P2 × 1,05 + P3 × 1,05 + P4 × 1,05 + P5 × 1,05)/1,05 = 1


Mettendo in evidenza 1,05 si ottiene

1,05 × (P1 + P2 + P3 + P4 + P5 ) / 1,05 = P1 + P2 + P3 + P4 + P5 = 1

Pertanto, quali che siano i pesi, la loro somma deve essere pari a 1.
Dato che devono essere tutti positivi e sommare ad uno, i pesi rappresen-
tano probabilità. Ma non dobbiamo portare troppo lontano questa corrispon-
denza tra pesi e probabilità. Non dobbiamo pensare che siano probabilità
soggettive. Per essere soggettive, devono misurare gradi di giudizio. Come
ricorderete, le probabilità soggettive erano pari a 0,850; 0,100; 0,030; 0,015 e
0,005. Invece, le probabilità aggiustate per il rischio che abbiamo calcolato
sono un misto dei gradi di giudizio e dell’avversione al rischio.

Possiamo dare alle probabilità aggiustate per il rischio un’altra interpretazione.


Se il proprietario non è avverso ma, piuttosto, indifferente al rischio, diciamo
che è neutrale verso il rischio. In tal caso, i fattori di rettifica che appliche-
rebbe ad ogni stato sarebbero tutti uguale a 1; in effetti, non starebbe facendo
nessun aggiustamento per il rischio. Potremmo ora chiederci quali probabilità
soggettive lo porterebbero a calcolare un valore attuale di $1.104,76. In que-
sto caso speciale, le probabilità aggiustate per il rischio sarebbero uguali alle
probabilità soggettive. Per questo motivo, è diventato comune chiamarle pro-
babilità neutrali verso il rischio.

Anche se il proprietario fosse disposto a pagare $1.104,76, è probabile che


la compagnia di assicurazione sarebbe disposta a chiedere di meno. La
compagnia di assicurazione sarebbe disposta a farlo perché ha un vantag-
gio che il proprietario di una sola casa non ha: essa può diversificare il ri-
schio, assicurando molte case in parti diverse del Paese. Volendo formaliz-
zare, supponiamo che Ri sia il ritorno casuale sulla i-esima casa (i = 1, 2...,
m). Ri è il rapporto tra il payoff corrisposto al proprietario ed il premio as-
sicurativo. Utilizzando la varianza per misurare il rischio, supponiamo che
la società assicuri m case di uguale valore, ciascuna con varianza del ritor-
no pari a σ2. Se, a causa della diversificazione geografica, i payoffs sono
indipendenti, la varianza del ritorno del portafoglio di case è pari a:

11
DERIVATI

var[(1 / m )R1 + (1 / m )R2 + ... + (1 / m )Rm ]


( ) ( ) ( )
= 1 / m 2 var(R1 ) + 1 / m 2 var(R2 ) + ... + 1 / m 2 var(Rm )
= (1 / m )mσ
2 2
=σ /m
2

Notate che i termini di covarianza che normalmente fanno parte di questa


espressione sono tutti nulli, data l’assunzione che i payoffs delle polizze
dei diversi proprietari siano indipendenti l’uno dall’altro.
Al crescere di m − ossia, al crescere del numero di case assicurate − il ri-
schio sostenuto dalla compagnia di assicurazione diventa sempre più piccolo.
Con un numero sufficientemente elevato, il rischio diventa trascurabile. Questa
è una illustrazione di quella regolarità che gli statistici chiamano “legge dei
grandi numeri”.
Dal punto di vista della compagnia di assicurazione, le polizze sulle ca-
se non comportano rischi sostanziali; il suo fattore di aggiustamento per il
rischio sarà pari a 1 per ogni stato. Nel nostro esempio sui terremoti, se ha
le stesse probabilità soggettive del proprietario, la compagnia di assicura-
zione calcolerà un valore attuale di $952,38. Questo sarà il premio più bas-
so che sarà disposta a chiedere.
Chiaramente, con un premio annuale di $952,38, la polizza rappresenta
un buon affare per il proprietario. Però, sapendo che il cliente è disposto a
pagare fino a $1.104,76, la compagnia di assicurazione potrebbe tentare di
aumentare il prezzo. Tuttavia, in un’industria competitiva questa strategia
non funzionerà. Supponiamo che una compagnia di assicurazione tenti di
addebitare un premio di $1.100. Una società concorrente, vedendo che può
fare profitti anche a $1.050, tenterà di togliere affari alla prima società ab-
bassando il costo delle sue polizze. La spirale al ribasso continuerà finché
il premio non raggiungerà il livello di equilibrio, pari a $952,38. Queste
sono le virtù della concorrenza.
Spostiamo ora il nostro esempio in un’altra direzione. Invece di pensare
ad un’assicurazione contro i terremoti, pensiamo ad un’assicurazione contro
le “calamità nazionali”. Per definizione, le calamità nazionali − ad esempio
una forte recessione − colpiscono negativamente e simultaneamente tutti i
soggetti economici. In questi casi, la compagnia di assicurazione non è in
grado di diversificare il rischio. È come se, anche se riuscisse ad assicurare
molte case, i rendimenti delle polizze fossero perfettamente correlati: tutte le
case verrebbero simultaneamente danneggiate da un terremoto.
Ciò non è così ridicolo come può sembrare. Dal 1983 è possibile acqui-
stare in borsa opzioni su indici. Queste opzioni offrono protezione contro i
ribassi estremi del mercato azionario, che sono a volte correlati col ciclo
economico. Anche le assicurazioni contro le calamità naturali ad ampia lo-
calizzazione hanno un mercato. Dal settembre 1995 è possibile acquistare
al Chicago Board of Trade (CBOT) opzioni che offrono protezione contro
le catastrofi (CAT), sia nazionali sia regionali.

12
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

Nel caso di calamità nazionali, non è sufficiente assicurare molti soggetti;


la varianza del ritorno del portafoglio della compagnia di assicurazione è:

(
var[(1 / m )R1 + (1 / m )R2 + ... + (1 / m )Rm ] = 1 / m 2 )∑ ∑ cov(R , R )
j k j k

(
= 1/ m 2
)m σ
2 2
=σ 2

La compagnia di assicurazione dovrà addebitare un premio di $1.104,76 se


(direttamente o, indirettamente, tramite i suoi azionisti) ha le stesse proba-
bilità soggettive e la stessa avversione al rischio dell’assicurato.
Più in generale, se si assicurano molti individui il rischio può essere
parzialmente ma non completamente diversificato. Di conseguenza, il pre-
mio assicurativo che verrà addebitato sarà compreso tra il valore attuale
minimo per il caso di piena diversificazione ($952,38) ed il valore attuale
massimo per il caso di diversificazione nulla ($1.104,76). Corrispondente-
mente, i fattori di rettifica delle probabilità soggettive oscilleranno meno
(saranno più vicini all’unità). Le probabilità neutrali verso il rischio saran-
no tanto più vicine alle probabilità soggettive quanto maggiore è la ridu-
zione del rischio risultante dalla diversificazione.3

Il problema inverso e il completamento dei mercati


Per determinare il valore attuale della polizza assicurativa, dobbiamo cono-
scere le probabilità neutrali verso il rischio relative ai diversi stati. Come si è
visto, possiamo calcolarle aggiustando le probabilità soggettive per tener
conto dell’avversione al rischio. Non abbiamo però affrontato il difficile pro-
blema di come procedere per trarre le nostre conclusioni circa i futuri stati.
Inoltre, il prezzo della polizza fissato dal mercato dipenderà, non dalle vo-
stre probabilità soggettive e dalla vostra avversione al rischio, ma dalle proba-
bilità neutrali verso il rischio risultanti dall’aggregazione operata dal mercato
su tutti i soggetti che vi partecipano. È come se il mercato fosse uno strumento
di sintesi che interroga continuamente milioni di persone sui loro atteggiamenti
e poi compendia i risultati del sondaggio sotto forma di prezzi di mercato. Dato
che gli altri investitori hanno in genere informazioni che voi non avete, questa
aggregazione può incorporare nei prezzi probabilità soggettive migliori delle
vostre. Se ciò vale per tutti gli investitori, gli economisti finanziari dicono che
il mercato è efficiente da un punto di vista informativo. Inoltre, i prezzi di
mercato non rifletteranno necessariamente la vostra avversione al rischio, ma
piuttosto l’avversione al rischio di investitori − forse meglio posizionati di voi
− che possono diversificare il rischio in modi a voi non accessibili. Se ciò è
vero, l’acquisto di una polizza assicurativa o di un altro derivato vi sembrerà un
buon affare. A parte questa considerazione, dato che i diversi investitori hanno
diversi atteggiamenti nei confronti del rischio, i prezzi di mercato saranno an-
che il risultato dell’aggregazione di questi diversi atteggiamenti.
Fortunatamente, c’è un modo per scoprire facilmente le probabilità neutrali
verso il rischio che il mercato utilizza per fissare i prezzi dei derivati.

13
DERIVATI

Dato che i prezzi dei derivati dipendono dalle probabilità neutrali verso il ri-
schio fissate dal mercato, possiamo capovolgere la questione e affermare che
le probabilità neutrali verso il rischio fissate dal mercato dipendono dai prezzi
dei derivati. Questo è il cosiddetto problema inverso.

Ogni che volta che incontriamo un nuovo derivato, impariamo qualcosa in


più sulle probabilità neutrali verso il rischio fissate dal mercato. L’arte della
moderna valutazione dei derivati consiste nell’imparare quanto più è possibi-
le circa queste probabilità in base al minor numero possibile di derivati.
Ci sono due casi estremi. Nel primo, assumiamo di avere a disposizione
tanti prezzi di attività finanziarie o di derivati quanti sono gli stati. Nel secon-
do, non sappiamo il prezzo di neanche un derivato! È stata la soluzione inge-
gnosa del secondo caso da parte di Fischer Black, Robert Merton e Myron
Scholes che ha delineato l’approccio moderno alla valutazione dei derivati e ha
fatto vincere a Merton e Scholes, nel 1997, il premio Nobel per l’Economia
(Black lo avrebbe vinto certamente anche lui se non fosse morto nel 1995).
Nel nostro esempio sulla polizza c’erano cinque stati, e abbiamo visto
tre modi per realizzare un payoff in funzione degli stati. Il primo era quello
di possedere una casa e non assicurarla; il secondo quello di possedere una
casa e assicurarla; ed il terzo quello di depositare i soldi in banca in modo
da avere un ritorno privo di rischio, lo stesso per ogni stato.
Piuttosto che estendere quello stesso esempio, per illustrare il fatto che
esistano tanti diversi modi per realizzare un payoff quanti sono i possibili
stati, esaminiamo una situazione ancora più semplice. Supponiamo che ci
siano tre possibili stati ed una sola attività, il cui payoff – in funzione degli
stati – è rappresentato dal vettore [1 2 3]. Se questa attività può essere
comprata o venduta per qualsiasi quantità, acquistandone a unità ricevere-
mo il payoff [a 2a 3a]. Quindi, se ne comprassimo tre unità, riceveremmo
il payoff [3 6 9]; oppure se ne vendessimo tre unità avremmo il payoff [–3
–6 –9]. Ma supponiamo di volere il payoff [0 1 2]. Non sarebbe possibile.
Supponiamo ora che, oltre all’attività, sia disponibile anche la moneta. La
caratteristica peculiare della moneta è che il suo payoff è lo stesso in ogni stato:
[1 1 1]. Quindi, se ne compriamo c unità, riceveremo il payoff [c c c]. Ora po-
tremo realizzare il payoff desiderato [0 1 2] se compriamo una unità dell’attivi-
tà e vendiamo (prendiamo in prestito) una unità di moneta; il payoff sarebbe:

[1 2 3] − [1 1 1] = [0 1 2]

Questo è un esempio di cos’è un portafoglio.

I portafogli sono combinazioni di titoli (o attività). Il payoff di un portafoglio è


uguale alla media ponderata dei payoffs dei titoli da cui è il portafoglio è com-
posto, con pesi pari al corrispondente numero di unità di ciascuno dei titoli.4

14
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

In questo caso, il portafoglio è composto da una unità dell’attività e da me-


no una unità di moneta. Più in generale, se abbiamo a disposizione solo
l’attività e la moneta, i payoffs che possiamo realizzare sono:

a[1 2 3] + c[1 1 1] = [a + c 2a + c 3a + c]

dove, nel caso in esame, a = 1 e c = –1. Ma ci sono ancora payoffs che non
possiamo realizzare, come [1 0 0]. Ciò deriva dal fatto che non ci sono va-
lori di a e c tali per cui:

[a + c 2a + c 3a + c] = [1 0 0]

Supponiamo che esista anche un derivato con payoff [1 1 0], così che com-
prando d unità del derivato si realizzi il payoff [d d 0]. Questo derivato è simile
ad una polizza assicurativa che paga un certo importo solo nei peggiori stati.
Utilizzando questo derivato possiamo realizzare qualsiasi payoff della forma:

[a + c + d 2a + c + d 3a + c]

Possiamo ora realizzare il payoff [1 0 0] vendendo una unità dell’attività,


comprando tre unità di moneta e vendendo una unità del derivato:

[1 2 3] + 3[1 1 1] – [1 1 0] = [1 0 0]

Possiamo anche ottenere il payoff [0 1 0] usando la seguente soluzione:

[1 2 3] + 3[1 1 1] + 2[1 1 0] = [0 1 0]

Infine, per realizzare il payoff [0 0 1] si può procedere nel seguente modo:

[1 1 1] – [1 1 0] = [0 0 1]

Questo implica che, per costruire tutti i possibili payoffs, possiamo imma-
ginare che i payoffs dei titoli disponibili siano [1 0 0], [0 1 0] e [0 0 1]. Per
ottenere il payoff arbitrario [x y z] è sufficiente combinare i titoli nel modo
seguente:

x[1 0 0] + y[0 1 0] + z[0 0 1] = [x y z]

Utilizzando questi “titoli base”, è molto facile vedere come si possa co-
struire un qualsiasi payoff arbitrario.

I “titoli base” sono chiamati “diritti stato-dipendenti” (state-contingent claims)


perché pagano 1 in un solo stato e 0 negli altri.
Per riassumere, se abbiamo a disposizione un’attività, la moneta ed un deri-
vato, possiamo ottenere un qualsiasi payoff costruendo un appropriato portafo-
glio. Più in generale, se il numero dei modi per ottenere i possibili payoffs ugua-
glia il numero di stati, possiamo realizzare un qualsiasi payoff. In queste circo-
stanze, gli economisti finanziari dicono che il mercato è completo.

15
DERIVATI

Nel nostro esempio sull’assicurazione, la polizza sarebbe stata uno state-


contingent claim se avesse pagato solo nel caso della perdita totale della
casa.
Un mercato completo è la cosa più vicina al paradiso degli economisti fi-
nanziari. In un mercato completo, si può realizzare un qualsiasi payoff sem-
plicemente acquistando un portafoglio di state-contingent claims. Oltre ad
offrire agli investitori il maggior numero possibile di scelte, il mercato com-
pleto gode di un’ulteriore proprietà: consente di stimare dai prezzi correnti
dei titoli disponibili un unico insieme di probabilità neutrali verso il rischio.
Se conosciamo i prezzi correnti dell’attività, della moneta e del derivato,
possiamo risolvere il problema inverso della determinazione delle probabilità
neutrali verso il rischio. Siano S, (1/r2) e C, rispettivamente, i loro prezzi cor-
renti, dove r2 è il riskless return.5 Inoltre, siano P1, P2, e P3 le probabilità
neutrali verso il rischio corrispondenti ad ognuno dei tre stati. Ne segue che:

S = (1 × P1 + 2 × P2 + 3 × P3 ) / r 2 , 1 / r 2 = (1 × P1 + 1 × P2 + 1 × P3 ) / r 2
C = (1 × P1 + 1 × P2 + 0 × P3 ) / r 2

Dato che P1 + P2 + P3= 1, il prezzo corrente della moneta è pari a 1/r2:


(1 × P1 + 1 × P2 + 1 × P3 )/ r 2 = 1 × (P1 + P2 + P3 )/ r 2 = 1/ r 2
In alternativa, l’equazione per la moneta può essere interpretata come se richie-
desse che la somma delle probabilità neutrali verso il rischio sia pari ad uno.
Come si è visto, nel problema inverso si assume che siano noti i prezzi dei
titoli e si torna all’indietro per ottenere le probabilità neutrali verso il rischio.
Dato che abbiamo tre equazioni in tre incognite (le probabilità neutrali verso il
rischio P1, P2, P3), possiamo sperare di risolverle per determinare le probabili-
tà. Effettivamente è così. Con qualche passaggio algebrico si ottiene:

P1 = 3 − r 2 (S + C ), P2 = r 2 (S + 2C ) − 3, P3 = 1 − r 2C

Questo esempio mostra che se conosciamo i prezzi di tanti diversi titoli


quanti sono gli stati – ovvero, se il mercato è completo – possiamo sempre
risolvere il problema inverso.
C’è comunque un’importante condizione: per procedere in questo modo
occorre che non ci siano opportunità di arbitraggio tra i titoli.

C’è un’opportunità di arbitraggio se e solo se:


(1) si possono creare due portafogli con uguali payoffs in ogni stato ma con
costi diversi; o
(2) si possono creare due portafogli con costi uguali, ma il primo portafoglio ha
gli stessi payoffs del secondo in tutti gli stati ed un payoff maggiore in al-
meno uno stato; o
(3) si può creare un portafoglio a costo nullo che ha payoffs non-negativi in
tutti gli stati ed un payoff positivo in almeno uno stato.6

16
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

Matematicamente, la non-esistenza delle opportunità di arbitraggio equiva-


le alla condizione che le tre equazioni simultanee abbiano una soluzione in
cui P1, P2, P3 > 0 e P1 + P2 + P3 = 1. In altre parole, le probabilità neutrali
verso il rischio “esistono”. Ad esempio, supponiamo che C > S. Questa si-
tuazione violerebbe la condizione secondo cui, dati due portafogli con lo
stesso costo, uno non può avere payoffs più alti dell’altro in ogni stato. Per
verifica, costruiamo due portafogli con lo stesso costo comprando un’unità
di S e S/C unità di C. Entrambi costano S, ma il payoff del primo è [1 2 3] e
quello del secondo è (S/C)[1 1 0]. Chiaramente, dato che S/C < 1, il payoff
[1 2 3] è sempre più alto del payoff (S/C)[1 1 0]. È chiaro che esiste
un’opportunità di arbitraggio.
Si può dimostrare che, in questo caso, la soluzione comporta P1 + P2 +
P3 > 1. Dato che C > S:
P1 = 3 − r 2 (S + C ) > 3 − 2r 2 S
P2 = r 2 (S + 2C ) − 3 > 3r 2 S − 3
P3 = 1 − r 2 C > 1 − r 2 S
da cui
( ) ( ) ( )
P1 + P2 + P3 > 3 − 2r 2 S + 3r 2 S − 3 + 1 − r 2 S = 1
Possiamo riassumere queste idee con quello che è ora chiamato primo teo-
rema fondamentale dell’economia finanziaria:
Le probabilità neutrali verso il rischio esistono se e solo se non ci
sono opportunità di arbitraggio.
In genere, anche se le probabilità neutrali verso il rischio esistono, sono
molti i possibili insiemi di probabilità neutrali verso il rischio che risultano
coerenti con i prezzi dei titoli disponibili. Ad esempio, se fossero disponi-
bili solo l’attività e la moneta, ma non il derivato, avremmo due equazioni
in tre incognite e quindi molteplici soluzioni.
Comunque, nel nostro esempio di tre titoli (l’attività, la moneta e il de-
rivato) con tre stati, il mercato è completo. In questo caso, esiste una sola
soluzione alle tre equazioni simultanee:
P1 = 3 − r 2 (S + C ), P2 = r 2 (S + 2C ) − 3, P3 = 1 − r 2C
per cui diciamo che le probabilità neutrali verso il rischio sono “uniche”.
Possiamo riassumere questa considerazione con quello che è ora chiamato
secondo teorema fondamentale dell’economia finanziaria:
Le probabilità neutrali verso il rischio sono uniche se e solo se il mercato
è completo.
Consideriamo la situazione in cui sono disponibili solo l’attività e la mone-
ta. In questo caso, le probabilità neutrali verso il rischio esistono, ma non
sono uniche. Per capirne il motivo, risolviamo il sistema

17
DERIVATI

S = (1 × P1 + 2 × P2 + 3 × P3 ) / r 2
1 / r 2 = (1 × P1 + 1 × P2 + 1 × P3 ) / r 2

Si tratta di un sistema di due equazioni in tre incognite che ammette molte


soluzioni.
Sfortunatamente, gli effettivi mercati dei titoli sono come questo − incom-
pleti − per cui sembrerebbe che non riusciremo a risolvere il problema inverso;
ossia, anche se è possibile che le probabilità neutrali verso il rischio esistano,
non sono uniche. Tuttavia, nel 1953, l’economista Kenneth Arrow trovò la so-
luzione provando il terzo teorema fondamentale dell’economia finanziaria
– l’idea critica che sta dietro la moderna teoria di valutazione dei derivati:
Sotto certe condizioni, la possibilità di modificare il portafoglio dei
titoli disponibili, col passare del tempo, può porre rimedio alla
mancanza di alcuni titoli e completare efficacemente il mercato.
Per capirne il motivo supponiamo nuovamente che gli unici titoli disponi-
bili siano l’attività e la moneta, con payoffs [1 2 3] e [1 1 1], ma che prima
della data di scadenza ci sia la possibilità di modificare la composizione
del nostro portafoglio. Possiamo ora utilizzare questi titoli per realizzare il
payoff [1 1 0] del derivato mancante?
Assumiamo che il prezzo dell’attività si modifichi nel tempo nel modo
indicato dal seguente albero a due stadi:

3
2,5
S 2
1,5
1

Ossia, ci vogliono due variazioni di prezzo prima che l’attività giunga a


scadenza. Il prezzo iniziale è pari a S e poi scende a 1,5 o sale a 2,5. Se
scende a 1,5, può poi arrivare a 1 o 2; se invece sale a 2,5, può poi arrivare
a 2 o 3. La moneta si muove da 1/r2 al suo payoff finale, 1, portandosi pri-
ma a 1/r e quindi a 1. Per semplificare il nostro esempio, supponiamo che
sia r = 1 cosicché la moneta resta a 1 in entrambi i periodi. L’esempio è
illustrato nella Figura 1.3.
Proviamo la seguente strategia: vendiamo 0,5 unità dell’attività e diamo
in prestito 1,75 dollari.
Alla fine del primo periodo, se il prezzo dell’attività sale a 2,5 il portafoglio
vale 0,5 (= −0,5 × 2,5 + 1,75 × 1). A questo punto, modifichiamo la sua com-
posizione vendendo altre 0,5 unità dell’attività e dando in prestito il ricavato di
1,25 (= 0,5 × 2,5). Se il prezzo dell’attività sale a 3, il portafoglio vale 0 [=
(−0,5 − 0,5) × 3 + (1,75 + 1,25) × 1]; se invece il prezzo dell’attività scende a

18
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

Figura 1.3 Replica dinamica

Unici titoli disponibili: [1 2 3] e [1 1 1].


Possiamo creare il titolo [1 1 0] per completare il mercato?
Sia r = 1. Supponiamo che S passi per 1,5 o 2,5.
PREZZO
PREZZO STRATEGIA
STRATEGIADI DIREPLICA
REPLICA
DELL’ATTIVITÀ
DELL’ATTIVITÀ (unità
(unitàdell’attività;
dell’attività;quantità
quantitàdi
dimoneta)
moneta)
33 ¨
¨ payoff
payoff==00
2,5
2,5 (–1;
(–1;3)
3)
SS 22 (–0,5;
(–0,5;1,75)
1,75) ¨
¨ payoff
payoff==11
1,5
1,5 (0;
(0;1)
1)
11 ¨
¨ payoff
payoff==11

S = 1,5: (0 – –0,5)(1,5) + (1 – 1,75) = 0


Autofinanziamento
S = 2,5: (–1 – –0,5)(2,5) + (3 – 1,75) = 0

2, il portafoglio vale 1 [= (−0,5 − 0,5) × 2 + (1,75 + 1,25) × 1]. In entrambi i


casi, la strategia riproduce esattamente il payoff del derivato mancante.
Supponiamo ora che alla fine del primo periodo il prezzo dell’attività
scenda a 1,5, per cui il nostro portafoglio vale 1 (= −0,5 × 1,5 + 1,75 × 1).
A questo punto, modifichiamo la sua composizione riducendo il nostro
prestito da 1,75 a 1 e ricomprando con il ricavato 0,5 unità dell’attività. Se
poi il prezzo dell’attività sale a 2, il portafoglio vale 1 [(−0,5 + 0,5) × 2 +
(1,75 − 0,75) × 1]; anche se scende a 1, il portafoglio vale comunque 1 [=
(−0,5 + 0,5) × 1 + (1,75 − 0,75) × 1]. In entrambi i casi, la strategia ha of-
ferto precisamente lo stesso payoff del derivato mancante.
Pertanto, seguendo questa strategia, riusciamo a realizzare lo stesso pay-
off del derivato, [1 1 0], anche se avevamo a disposizione solo l’attività e la
moneta. Questa strategia, che replica il payoff del derivato e ci riesce modifi-
cando la composizione del portafoglio, è chiamata strategia di replica di-
namica del portafoglio − “di replica” perché realizza lo stesso payoff del
derivato e “dinamica” perché comporta la revisione del portafoglio.
Si dice che questa strategia si auto-finanzia perché richiede solo un in-
vestimento iniziale di (−0,5S + 1,75 × 1) e nessun finanziamento successivo.
Per verificare che la strategia si auto-finanzia, vediamo cosa succede se il
prezzo dell’attività scende a 1,5. Il valore del portafoglio è pari a 1 (= −0,5 ×
1,5 + 1,75 × 1), esattamente quello che ci serve per azzerare la posizione
sull’attività e restare con una unità di moneta. Se invece il prezzo dell’attività
sale a 2,5, il valore del portafoglio è pari a 0,5 (= −0,5 × 2,5 + 1,75 × 1), e-
sattamente quello che ci serve per passare a −1 unità dell’attività e a tre unità
di moneta, il cui costo è appunto pari a 0,5 (= −1 × 2,5 + 3 × 1).

19
DERIVATI

Uno sguardo in avanti


Abbiamo visto come utilizzare le probabilità neutrali verso il rischio ed il risk-
less return per risolvere il problema diretto della valutazione dei derivati. Ab-
biamo anche visto come risolvere il problema inverso che consiste nello stima-
re le probabilità neutrali verso il rischio in base al riskless return e ai prezzi
correnti dell’attività e del derivato. Nella maggior parte delle applicazioni del
mondo reale, si utilizza una combinazione del metodo diretto e del metodo in-
verso. Si fanno assunzioni su alcune delle caratteristiche della distribuzione
delle probabilità neutrali verso il rischio (metodo diretto) e si stimano le altre in
base ai prezzi dei derivati più attivamente negoziati (metodo inverso). Questo
approccio consente di disporre di tutte le informazioni necessarie sulle probabi-
lità neutrali verso il rischio per valutare i derivati che si vogliono negoziare.
In fisica, il principio di Einstein della relatività speciale – secondo cui le
leggi della fisica sono le stesse in tutti i campi di riferimento in cui c’è moto
uniforme − è piuttosto facile da enunciare. È molto più difficile anticiparne le
sorprendenti conseguenze. Analogamente, il terzo teorema fondamentale
dell’economia finanziaria − secondo cui, sotto certe condizioni, la possibilità di
modificare il portafoglio dei titoli disponibili, col passare del tempo, può porre
rimedio alla mancanza di alcuni titoli e completare efficacemente il mercato −
può sembrare facile da capire. Ma non è facile afferrarne rapidamente le con-
seguenze o i limiti. Pertanto, questo libro non finisce qui ma continua per di-
verse centinaia di pagine. Per ora, è sufficiente un breve sguardo in avanti.
Per quanto riguarda le conseguenze, data la possibilità di negoziare
l’attività e la moneta, il teorema suggerisce che:

‰ i derivati scritti sull’attività sono in un certo senso ridondanti;


‰ il valore di ogni derivato dovrebbe essere uguale al valore del portafo-
glio equivalente, composto esclusivamente dall’attività e dalla moneta;
‰ ci si può perfettamente proteggere dai rischi di un derivato mettendo in
atto una strategia di replica dinamica che ne compensi i payoffs;
‰ questa strategia di «copertura» (hedging) può essere a volte difficile da
realizzare, quando il portafoglio equivalente richiede forti cambiamenti;
‰ la rischiosità di un derivato nel prossimo intervallo di tempo è uguale a
quella del portafoglio equivalente;
‰ si può accertare la conformità di un derivato alle inclinazioni di un investi-
tore verificando se egli è pronto a seguirne la strategia di replica dinamica.

Un’altra importante conseguenza del teorema è la famosa formula Black-


Scholes per la valutazione delle opzioni.
Per quanto riguarda i limiti del teorema, affinché la modifica della com-
posizione del portafoglio funzioni nel modo descritto, occorre che ci siano:

‰ assenza di costi di transazione (ad esempio, commissioni, bid-ask


spreads, impatti sui prezzi di mercato) per l’attività e la moneta;
‰ conoscenza anticipata del futuro riskless return;

20
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

‰ conoscenza anticipata della dimensione dei futuri movimenti del prezzo


dell’attività;
‰ due soli possibili stati tra successive date di revisione del portafoglio.

Se queste condizioni sono soddisfatte solo in via approssimativa o sono


violate apertamente, in certi modi e per certi tipi di derivati, come ne
risultano influenzate le nostre conclusioni?
Per comprendere la moderna teoria della valutazione e della copertura delle
opzioni si deve capire come funzionano le strategie di replica dinamica e quali
ne sono le conseguenze e i limiti − che è ciò di cui si occupa questo libro.

Sommario: concetti base


In genere, le più importanti caratteristiche di un derivato possono essere
sintetizzate da una tavola (payoff table) che ne elenca i payoffs concordati
tra le controparti per ogni futuro stato. Le informazioni contenute in questa
tavola possono anche essere riportate in un apposito grafico (payoff dia-
gram).
Come esempio di derivato, abbiamo usato la polizza assicurativa contro i
terremoti. Le controparti sono il proprietario e la compagnia di assicurazione,
e i futuri stati sono le intensità dei terremoti, misurate sulla scala Richter.
Negli stati senza scosse o con scosse molto piccole, la compagnia di assicu-
razione riceve dal proprietario il premio di assicurazione. Negli stati con
scosse rilevanti, in cui l’assicurato subisce un danno, la compagnia riconosce
al proprietario un indennizzo che può essere di considerevoli dimensioni.
Oltre ai payoffs, stato-dipendenti, è anche importante conoscere le pro-
babilità soggettive associate ad ogni futuro stato. Anche queste possono
essere utilmente sintetizzate in un grafico.
Queste informazioni possono essere poi utilizzate per calcolare il pay-
off atteso del derivato (abbiamo anche brevemente visto come si calcola la
varianza del payoff nonché la sua covarianza e la sua correlazione con un
altra variabile). Tuttavia, il payoff atteso non rappresenta il valore corrente
del derivato perché trascura due complicazioni:

‰ un dollaro ricevuto, con certezza, domani vale meno di un dollaro rice-


vuto, con certezza, oggi;
‰ un dollaro ricevuto in un futuro stato non ha necessariamente lo stesso
valore corrente di un dollaro ricevuto in un altro stato.

La prima complicazione può essere superata attualizzando i payoffs in


base al riskless return. La seconda può essere superata calcolando il payoff
atteso in base alle probabilità aggiustate per il rischio, chiamate anche –
con un termine alla moda – “probabilità neutrali verso il rischio”.
Anche se un proprietario avverso al rischio è disposto a pagare per
l’assicurazione più del suo valore attuale, il premio fissato dal mercato può
essere comunque pari al valore attuale della polizza. Questo potrebbe essere

21
DERIVATI

il risultato di un mercato concorrenziale nel quale gli assicuratori possono


eliminare il rischio attraverso la diversificazione per regioni geografiche.
Tuttavia, la diversificazione non sarebbe possibile per le assicurazioni contro
le calamità nazionali che colpiscono simultaneamente tutti gli individui. In
tal caso il premio dovrebbe tener conto dell’avversione al rischio.
Il problema può essere capovolto. Se assumiamo che i prezzi dei derivati
fissati dal mercato corrispondano ai loro valori attuali, possiamo utilizzare
questi prezzi per stimare le probabilità neutrali verso il rischio. Questo è il
cosiddetto “problema inverso”, che ci ha indotto a presentare i concetti di
state-contingent claims, mercati completi, opportunità di arbitraggio, replica
dinamica, strategie che si auto-finanziano nonché il primo, secondo e terzo
teorema fondamentale dell’economia finanziaria − tutte idee che sono alla
base della moderna teoria della valutazione e della copertura dei derivati.

1.2 ATTIVITÀ SOTTOSTANTI

Più comunemente, oltre che da eventi come i terremoti, i derivati dipendono dai
prezzi (o da altre caratteristiche) di titoli o altre attività. Queste attività vengono in
genere chiamate «attività sottostanti» (underlying assets).

Gli underlying assets dei primi derivati di borsa (negoziati al Chicago


Board of Trade) erano rappresentati da merci. Nella Tavola 1.5 è riportato
un campione di attività sottostanti, che fa riferimento ai derivati negoziati
nelle borse statunitensi. Non è un caso che le categorie di underlying assets
incluse in questo campione siano popolari, perché riflettono i rischi comu-
nemente sopportati da molti soggetti economici.

Merci
Con la creazione del Chicago Board of Trade (CBOT) nel 1848, le merci agri-
cole – in particolare grano e frumento – divennero le prime attività sottostanti
dei futures negoziati negli Stati Uniti. Fino a venti anni fa, questi erano i de-
rivati più attivamente negoziati. L’interesse per questi contratti è determinato
principalmente dai coltivatori che hanno necessità di eliminare l’incertezza
dei costi e dei ricavi. Inoltre, questi derivati vengono anche utilizzati dalle
imprese alimentari, dalle ditte di stoccaggio, dagli esportatori nazionali e da-
gli importatori stranieri che intendono coprire le loro esposizioni ai prezzi.
L’ampia disponibilità di sottostanti rappresentati da merci consente di
coprire diversi punti del processo produttivo. Ad esempio, esistono futures
e opzioni scritti su petrolio greggio e raffinato (gasolio o benzina). Ciò
permette alle imprese di raffinazione di coprirsi sia dal lato dei costi (com-
prando futures) sia dal lato dei ricavi (vendendo futures).
Fin dal luglio del 1992, vengono negoziati alla Chicago Mercantile Ex-
change (CME) i futures scritti sul Goldman Sachs Commodity Index
(GSCI), che si basa su un portafoglio di 22 merci, con pesi proporzionali alla

22
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

Tavola 1.5 Derivati: esempi di attività sottostanti

Merci
Grano, avena, semi di soia, farina di soia, olio di soia, frumento, olio di
canola, orzo, mangime per bestiame, bestiame da macello, suini,
pancetta di maiale, cacao, caffé, zucchero-internazionale, zucchero-
domestico, cotone, succo d’arancia, rame, oro, platino, argento,
petrolio grezzo, nafta, benzina, gas naturale, elettricità, GSCI.

Molte sottostanti sono essi stessi rappresentati da titoli negoziabili,


portafogli o caratteristiche di titoli (ad es. tassi d’interesse):

Azioni
AXP, T, CHV, KO, DOW, DO, EK, XON, GE, GM, IBM, IP, JNJ, MRK,
MMM, MOB, MO, PG, S, X (circa 2.700 azioni su cui sono state scritte
opzioni).

Indici azionari
Nasdaq-100, Russell 2000, S&P 100, S&P 500, S&P Midcap, Value
Line Index, Major Market Index, Indici di azioni estere (Messico, Hong
Kong, Giappone, Francia, Germania, Regno Unito), Indici settoriali
(tecnologici, bancari, ciclici, servizi di pubblica utilità, servizi diversi, hi-
tech, computer, Internet).

Titoli a reddito fisso


T-bills, T-notes a 2 anni, T-notes a 5 anni, T-bonds, Federal funds a 30
giorni, obbligazioni di enti territoriali, Libor, Eurodollaro, Euroyen,
Euroswiss, titoli di Stato esteri (Regno Unito, Germania, Francia,
Canada).

L’ultima categoria comprende i derivati di borsa che hanno per


sottostante il tasso di cambio delle valute di altri Paesi rispetto al
dollaro statunitense:

Valute
Euro, yen, sterlina inglese, dollaro canadese, franco svizzero, dollaro
australiano, peso messicano, real brasiliano.

23
DERIVATI

loro produzione mondiale. Attualmente, il valore dell’indice è formato per


il 55% da prodotti energetici, per il 25% da prodotti agricoli, per il 10% da
metalli e per il 10% da bestiame.
Lungo un’altra dimensione, i prezzi di molte merci – come il succo
d’arancia – dipendono in gran parte da elementi congiunturali, come le
previsioni del tempo a breve termine. Al contrario, i prezzi degli indici a-
zionari e delle azioni ordinarie scontano previsioni di lungo periodo e sono
relativamente meno influenzati dalle variazioni a breve termine degli utili.

Azioni e indici azionari


I derivati su indici più negoziati in borsa hanno lo S&P500 Index come at-
tività sottostante. Questi sono tra i derivati più semplici e più liquidi e sono
perciò di notevole interesse.
Lo Standard & Poor’s (S&P) 500 Index si basa su un paniere di 500 a-
zioni a grande capitalizzazione, che coprono circa l’80-85% del valore di
mercato di tutte le azioni quotate alla New York Stock Exchange (NYSE).
L’indice viene costruito calcolando, per ciascun titolo, la capitalizzazione
corrente (definita come prodotto tra il prezzo di mercato e il numero delle
azioni in circolazione) e sommando poi i valori ottenuti. Il valore complessi-
vo è stato riproporzionato in modo da risultare pari a 10 nel periodo 1941-43.
Col tempo, il fattore di scala è stato cambiato per evitare che l’indice fosse
influenzato dalle modifiche nella composizione del paniere (per come è co-
struito, lo S&P500 non ha bisogno di rettifiche in occasione dei fraziona-
menti). La sua serie storica giornaliera è disponibile dal 1928. Questo indice
misura solo i «guadagni in conto capitale» (capital gains). Fortunatamente,
la Standard & Poor’s ha rilevato, fin da 1928, anche i dividendi (ma la serie
storica giornaliera inizia dal 1988) per cui è possibile calcolare un indice del
rendimento complessivo (capital gains più dividendi), al lordo delle imposte.
Lo S&P500 è il benchmark del mercato azionario che viene più utilizzato per
confrontare la performance ottenuta dagli investitori istituzionali.
Un altro indice piuttosto diffuso come base per i derivati è lo S&P100
Index. Si tratta di un indice composto da 100 azioni che sono in gran parte
rappresentate dai titoli a maggiore capitalizzazione presenti nello S&P500.
Il Major Market Index (MMI) è un altro indice ben noto nel mercato
azionario statunitense. La sua base è più ristretta di quella dello S&P100,
essendo rappresentata da 20 titoli, molti dei quali fanno parte del paniere di
30 titoli su cui si basa il Dow Jones Industrial Average (DJIA), il più antico
e più noto indice azionario. Diversamente dallo S&P500 e dallo S&P100, il
Major Market Index viene calcolato semplicemente sommando i prezzi di
mercato dei suoi 20 titoli senza ponderarli per il numero delle azioni in cir-
colazione. L’MMI rispecchia da vicino il DJIA, che è calcolato nello stesso
modo. L’MMI è stato creato perché la Dow Jones & Company, che è pro-
prietaria del marchio DJIA, non ha dato il suo benestare, fino al 1997, alla
negoziazione di derivati basati sul suo indice.

24
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

La composizione dei panieri su cui si basano tutti questi indici viene a volte
aggiustata a seguito di fusioni, fallimenti o semplicemente a causa di modifiche
significative nella rilevanza economica delle azioni. Gli indici che non sono
ponderati per le quantità di azioni in circolazione vengono anche aggiustati a
seguito di eventi significativi che ne cambierebbero il livello senza modificare
il valore del portafoglio sottostante. I più rilevanti fra questi eventi sono i fra-
zionamenti, che possono avere l’effetto di ridurre sostanzialmente le quotazioni
senza però incidere in maniera significativa sulla capitalizzazione della società.

Obbligazioni
Nel mondo moderno, l’archetipo della “moneta” è rappresentato dal Trea-
sury bill (o semplicemente T-bill). Questi titoli, emessi e garantiti dal go-
verno degli Stati Uniti, sono zero-coupon bonds dato che non hanno cedo-
le e offrono solo il rimborso del capitale alla scadenza. Attualmente, ogni
lunedì (non festivo) il Tesoro offre all’asta T-bills di nuova emissione a 13
settimane (tre mesi) o 26 settimane (sei mesi), che vengono regolati (pagati
e consegnati) il giovedì successivo. Il quarto giovedì del mese il Tesoro
offre all’asta T-bills a 52 settimane (12 mesi) che vengono regolati il gio-
vedì successivo. Ad esempio, se compriamo un T-bill con vita residua di
50 giorni, tra 50 giorni riceveremo $100.000 in unica soluzione. Se il prez-
zo corrente è $98.000, il ritorno annualizzato è pari a ($100.000 /
$98.000)365/52 = 1,15.
Tra tutte le istituzioni del mondo, il governo statunitense è quello che ha
forse le più basse probabilità di risultare insolvente sulle sue obbligazioni. Per-
tanto, il ritorno sul T-bill viene spesso usato come proxy per il riskless return.
Tuttavia, dato che sono esenti dalle imposte statali (ma non da quelle fede-
rali) sul reddito, probabilmente i T-bills sottostimano il riskless return al lordo
delle tasse. I repurchase agreements, o repos, sono altri strumenti candidati a
svolgere il ruolo di moneta. Questi contratti combinano una vendita a pronti
con un riacquisto a termine, ovvero un prestito di denaro contro un prestito di
titoli. Entrambi i contraenti (riportato e riportatore) sono garantiti e le perdite
sono minime in caso d’insolvenza. In genere, la scadenza dei repos è di un solo
giorno. Se i titoli scambiati sono T-bills, il riportato tenderà a riacquistarli ad
un prezzo più alto. In effetti, sta dando in prestito i titoli e prendendo in prestito
denaro ad un giorno. Il tasso repo overnight su base annua viene così calcolato:

⎛ Tasso repo ⎞
Prezzo a termine = Prezzo a pronti × ⎜1 + ⎟
⎝ 360 ⎠

Altri strumenti candidati a svolgere il ruolo di moneta sono i depositi in


eurodollari. Si tratta di depositi di dollari effettuati presso banche che non
si trovano negli Stati Uniti. Il centro di questo mercato è a Londra. Il Lon-
don interbank offer rate (Libor) è il tasso d’interesse standard sugli euro-
dollari.

25
DERIVATI

Il Tesoro degli Stati Uniti emette due tipi di obbligazioni a tasso fisso prov-
viste di cedole: le Treasury notes (che all’origine hanno una scadenza di 10
anni o meno) e i Treasury bonds (che all’origine hanno una scadenza di oltre
10 anni). Alla fine di ogni mese vengono vendute all’asta le T-notes a 2 e a 5
anni, che verranno poi rimborsate nell’ultimo giorno lavorativo del mese di
scadenza. Le T-notes a 3 e a 10 anni vengono vendute all’asta all’inizio di feb-
braio, marzo, agosto e novembre; i T-bonds a 30 anni sono emessi all’inizio di
febbraio ed agosto. Per tutti questi titoli il regolamento del prezzo di acquisto
cade il 15 del mese, le cedole vengono pagate ad intervalli semestrali il 15 del
mese (la prima cedola viene pagata 6 mesi dopo il collocamento) e i titoli ven-
gono rimborsati il 15 del mese di scadenza. Ad esempio, se il tasso cedolare è
pari all’8% e il valore nominale o facciale è di $100.000, l’acquirente riceverà
ogni sei mesi una cedola di importo pari a $100.000 × 0,08 / 2 = $4.000.
Quando le T-notes o i T-bonds vengono acquistati sul mercato secondario,
l’acquirente deve pagare – oltre al prezzo quotato – anche gli interessi matu-
rati. Ad esempio, supponiamo di aver acquistato una T-note con valore nomi-
nale di $100.000 e tasso cedolare dell’8% quando mancano 122 alla prossima
cedola e sono passati 61 giorni dal pagamento dell’ultima. Il venditore non solo
rinuncia al titolo ma anche ai primi 2 mesi di interessi che avrebbe ricevuto se
avesse mantenuto il possesso del titolo per altri 4 mesi. Per convenzione, gli
interessi maturati sarebbero pari a $1.333 [= $100.000 × (0,08 / 2) × (61 / 183)].

Valute
I più grandi mercati a pronti delle valute estere sono quelli per l’euro, lo yen,
la sterlina, il franco svizzero e il dollaro canadese. Le negoziazioni avvengo-
no soprattutto sul mercato over the counter dove le banche offrono i loro ser-
vizi di intermediazione. I trasferimenti vengono in genere effettuati attraver-
so scritture contabili e non con lo spostamento fisico della valuta.
I tassi di cambio delle valute estere possono creare confusione perché
alcuni sono definiti come rapporto tra valuta interna e valuta estera mentre
altri sono definiti come rapporto tra valuta estera e valuta interna. Ad e-
sempio, il tasso di cambio della sterlina è quasi sempre definito in termini
di dollari per sterlina; se occorrono $1,70 per comprare una sola sterlina, il
tasso di cambio è 1,70. Molte altre valute sono invece quotate in termini di
valuta estera per dollaro. Un esempio è dato dal dollaro canadese, quotato
come CAD/USD. Così, se occorrono 5 USD per comprare 7 CAD, il tasso
di cambio è 1,40 (= 7 / 5). Ai nostri fini, per evitare confusione, useremo la
prima convenzione – e questa è la convenzione che adotteremo per tutte le
valute nel resto del libro.
Naturalmente, possiamo anche quotare una valuta estera in termini di
un’altra valuta estera. Questi «tassi di cambio incrociati» (cross exchange
rates) possono essere ricavati in base ai tassi di cambio basati sul dollaro.
Ad esempio, se si conosce il tasso di cambio $/£ ed il tasso di cambio $/€,
possiamo calcolare il cross exchange rate €/£ nel modo seguente:

26
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

€ / £ = ($ / £ ) ÷ ($ / € )

Se $/£ = 1,70 e $/€ = 1,13, ne segue che €/£ = 1,70/1,13 = 1,50.


Nel lungo termine, i tassi di cambio dipendono dalla parità dei poteri
d’acquisto, che mette in relazione i tassi di cambio con l’inflazione. Se i
prezzi degli stessi beni in due Paesi diversi aumentano a tassi diversi, alla
fine il tasso di cambio dovrebbe aggiustarsi in modo che il costo reale dei
beni rimanga lo stesso indipendentemente da quale valuta si usa per comprar-
li. Se X è il tasso di cambio corrente e X* è il tasso di cambio futuro, i è il ri-
torno d’inflazione domestico e if è il ritorno d’inflazione estero, X* dovrebbe
risultare pari a X(i / if). Inoltre, in ciascuno dei due Paesi dovrebbe valere
l’equazione di Fisher, che mette in relazione il riskless return nominale con il
riskless return reale e il ritorno atteso d’inflazione. Se r è il riskless return
nominale domestico, rf è il riskless return nominale estero ed entrambi i Pae-
si hanno lo stesso riskless return reale, ρ (come dovrebbe essere se i mercati
finanziari fossero efficienti e completamente integrati), si avrebbe r = ρ i e rf
= ρ if. Mettendo insieme le due relazioni, dovremmo aspettarci X* = X (r / rf).
Anche se questa teoria può risultare attraente, in pratica le variazioni del
tasso di cambio nel medio termine dipendono poco dai differenziali tra i ri-
skless returns e più da altre variabili quali le variazioni nella bilancia dei pa-
gamenti e le politiche di stabilizzazione perseguite dai governi.

Sommario: attività sottostanti


Le attività sottostanti dei derivati negoziati in borsa possono essere classi-
ficate in quattro categorie: merci, azioni e indici azionari, obbligazioni e
valute.
In questo paragrafo abbiamo dato un breve sguardo ai tipi di attività
comprese in queste categorie.
Nei capitoli successivi presenteremo un approccio generale alla valuta-
zione dei derivati e molte conclusioni saranno valide indipendentemente dal-
le specifiche caratteristiche delle attività sottostanti. Tuttavia, per ottenere
risultati precisi, dobbiamo tener conto delle peculiarità delle diverse attività.
Per analizzare i derivati è importante capire la dinamica del prezzo
dell’attività sottostante. Nel caso delle azioni e degli indici azionari, spesso si
assume che il prezzo segua una «passeggiata casuale» (random walk). Ossia,
la variazione di prezzo nel prossimo periodo non dipende dalla direzione del-
le precedenti variazioni. I prezzi possono vagare liberamente scostandosi dai
livelli precedenti. Per molte merci, la cui offerta aggregata è flessibile ma
controllabile, le regole che governano le variazioni di prezzo sono più com-
plesse. Se il prezzo di una merce aumenta, l’accresciuta redditività fa aumen-
tare la produzione (forse con qualche ritardo) e ciò scoraggia ulteriori au-
menti oppure costringe il prezzo a tornare sui livelli precedenti. In alcuni ca-
si, l’offerta aggregata della merce è in qualche modo vincolata ma esistono
beni succedanei. Se il prezzo della merce aumenta, gli utenti o i consumatori

27
DERIVATI

si sposteranno verso i beni succedanei, scoraggiando l’aumento di prezzo.


Un caso ancora più estremo di «ritorno verso la media» (mean reversion) è
rappresentato dalle obbligazioni, i cui prezzi – incerti nel breve periodo – alla
scadenza devono risultare pari al valore nominale. Un modello plausibile per
molte valute è quello della passeggiata casuale con barriere di riflessione in
alto e in basso. Questo modello cattura la tendenza delle banche centrali a
mantenere i tassi di cambio all’interno di una fascia predefinita.

1.3 CATEGORIE DI DERIVATI


I derivati sono definiti dal timing dei loro payoffs e dalle altre condizioni
previste contrattualmente. La Figura 1.4 ne illustra il timing.
Gli schemi temporali logicamente possibili per i pagamenti e gli incassi
relativi ad un’attività sono quattro. Nelle compravendite a pronti, l’attività
viene pagata ora e ricevuta simultaneamente. Invece, quando si prende in
prestito denaro, l’attività viene acquistata ora (con i fondi presi in prestito)
ma è pagata in futuro (quando si rimborsa il prestito). Quando si dà in pre-
stito denaro accade l’opposto (si noti che in entrambi i casi i pagamenti e le
date di pagamento sono determinati in anticipo). Infine, nei «contratti a
termine» (forwards) e, nominalmente, anche nei futures, il pagamento e
l’incasso vengono differiti nel tempo fino ad una stessa data, ma (ed è que-
sto il punto critico) il prezzo che sarà pagato e la data di pagamento vengo-
no entrambi fissati ora.
I forwards sono dappertutto. Se avete mai preso in affitto un apparta-
mento, avete comprato un forward. Avete infatti convenuto di prendere in
affitto un appartamento per un certo mese fissando ora sia il canone sia il
periodo di utilizzo. Se avete mai ordinato una pizza con consegna a domi-
cilio, avete comprato un forward con scadenza – verosimilmente – molto
breve. Anche l’acquisto di azioni viene effettuato con un contratto forward,
con scadenza dopo tre giorni. Quando date l’ordine di acquisto vi impegna-
te a pagare il prezzo corrente dell’azione nel terzo giorno lavorativo suc-
cessivo, che è la stessa data in cui l’azione vi verrà consegnata.
Perché si effettuano operazioni a termine invece che a pronti? Supponia-
mo che una società petrolifera si sia impegnata a consegnare 1.000 barili di
petrolio greggio tra un anno al prezzo che si determinerà sul mercato spot tra
un anno. La società è giustamente preoccupata che i prezzi spot possano
scendere e che quindi i ricavi non coprano i costi di produzione. Se invece
vende il petrolio con un forward, la società fissa già da ora il prezzo di ven-
dita, eliminando il rischio. I soggetti che operano in questo modo sono detti
hedgers. Prima di vendere il forward, gli hedgers già possiedono l’attività
sottostante (o sanno che la riceveranno). Il forward elimina o attenua l’espo-
sizione nei confronti dell’attività che già si possiede (o che si dovrà ricevere).
Al contrario, gli speculatori utilizzano i forwards per assumere rischi.
Quando entrano in un forward, essi non hanno posizioni pre-esistenti
sull’attività sottostante.

28
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

Figura 1.4 Matrice della classificazione dei titoli

INCASSI
Presente Futuro

Spot Dare
Presente
a prestito
PAGAMENTI

Futuro Prendere Forward


a prestito (Futures)

Forwards e futures
I forwards sono i derivati più semplici.

I contratti forward sono accordi per comprare o vendere l’attività sottostante


ad un certo prezzo e ad una certa data. Le condizioni contrattuali vengono fis-
sate in modo che il contratto non comporti, all’origine, alcun costo.

Quando si entra in un forward non c’è alcun passaggio di denaro; l’effetti-


va compravendita viene posticipata fino alla data indicata nel contratto ed è
solo allora che si consegna l’attività sottostante al prezzo pattuito.
Ad esempio, nel caso di un forward sul grano, si può convenire oggi di
pagare $10.000 tra 6 mesi (la scadenza) in cambio di 5.000 stai di grano –
di una certa qualità – da consegnare in una località prestabilita. Il prezzo
prefissato di $10.000 è chiamato prezzo di consegna. Questo prezzo non
va confuso con il valore iniziale del contratto forward. Ci sono due contro-
parti: un compratore ed un venditore. Il compratore si impegna a pagare
al venditore $10.000 tra 6 mesi; in cambio, il venditore si impegna a con-
segnare al compratore – nella località prestabilita – 5.000 stai di grano del-
la qualità convenuta.
In genere, quando si entra in un forward, il prezzo di consegna viene fis-
sato in modo che il valore corrente del contratto sia nullo. In altri termini, le
controparti fissano il prezzo di consegna in modo che, sulla base delle infor-
mazioni disponibili, il futuro scambio sia equo e non ci sia bisogno di un pa-
gamento compensativo immediato. Il prezzo di consegna che annulla il valo-
re corrente del contratto è chiamato prezzo forward. Pertanto, all’origine, il

29
DERIVATI

prezzo di consegna è pari al prezzo forward. Con l’avvicinarsi della data di


consegna, mentre il prezzo di consegna resta immutato, il prezzo forward
tende a muoversi in linea con il prezzo spot dell’attività sottostante.
Il forward ha un valore nullo solo all’origine, quando il contratto viene
stipulato. Successivamente, col cambiare del prezzo dell’attività sottostan-
te, cambia anche il valore del forward. In particolare, il prezzo dell’attività
sottostante ed il valore della posizione lunga sul forward si muovono nella
stessa direzione.

I futures sono analoghi ai forwards, fatta eccezione per il fatto che vengono
liquidati giornalmente. Ogni giorno, alla chiusura delle negoziazioni, il mercato
fissa un prezzo di liquidazione (settlement price) che azzera il valore del
contratto. Le differenze tra i successivi settlement prices vengono accreditate
ad una parte e addebitate alla controparte.

Pertanto, se il prezzo futures aumenta, la differenza viene accreditata al


compratore e addebitata al venditore; se invece il prezzo futures scende,
viene accreditata al venditore e addebitata al compratore.

Swaps
I forwards sono contratti con i quali ci si impegna a scambiare in futuro un
certo importo di denaro con una certa attività il cui futuro valore è incerto.

Gli swaps sono contratti con i quali ci si impegna a scambiare i redditi di due
attività, senza necessariamente scambiare le stesse attività. In altri termini, gli
swaps rappresentano portafogli di forwards con diverse date di consegna.

Il mercato degli swaps si è sviluppato a seguito della domanda degli inve-


stitori, che pur avendo un vantaggio comparato nel prendere in prestito de-
naro in un certo mercato, desiderano in realtà finanziarsi nel mercato che è
per loro relativamente svantaggioso. Attraverso gli swaps, questi investitori
riescono ad ottenere condizioni migliori di quelle altrimenti disponibili.
I plain-vanilla interest rate swaps sono contratti con i quali si scam-
biano interessi fissi con interessi variabili, determinati in base al Libor
(London interbank offer rate). Il tasso d’interesse fisso, quotato in genere
come spread rispetto al tasso sui Treasuries di una certa scadenza, è chia-
mato «tasso swap» (swap rate). In genere, il tasso variabile pagato alla fine
di ciascun periodo si basa sul Libor osservato all’inizio del periodo. Le da-
te nelle quali si determina il nuovo tasso variabile sono chiamate reset da-
tes. I due flussi di pagamento degli swaps rappresentano la «gamba fissa»
(fixed leg) e la «gamba variabile» (floating leg) del contratto. La vita di
uno swap è detta tenor. Nel caso degli interest rate swaps si scambiano so-
lo gli interessi e non i capitali. La dimensione degli swaps è misurata dal
capitale nozionale.

30
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

Ad esempio, una delle due parti (“il compratore”) si impegna a pagare


un tasso d’interesse fisso – pari al tasso cedolare sulle T-notes a 5 anni
maggiorato di 65 punti base (0,65%) – mentre la controparte (“il vendito-
re”) si impegna a pagare semestralmente – per gli stessi 5 anni – il Libor a
6 mesi. Entrambi i pagamenti vengono effettuati facendo riferimento ad un
capitale di $1.000.000. In questo caso, il capitale nozionale è di $1.000.000
ed il tenor dello swap è di 5 anni. Lo spread sui Treasuries fa sì che lo
swap quoti «alla pari» (flat), analogamente ai forwards, per cui all’origine
non vengono effettuati pagamenti compensativi da una parte all’altra.
Di solito, i pagamenti a tasso fisso e a tasso variabile previsti dallo swap
cadono nelle stesse date. In tal caso, una delle due parti paga la differenza tra
i due importi. Un vantaggio chiave della maggior parte degli swaps è che
l’esposizione creditizia è molto bassa, dato che i capitali non vengono scam-
biati (e non devono essere quindi restituiti) e c’è simultaneità tra i pagamenti.
Tuttavia, il problema cruciale degli swaps resta quello dal «merito di credi-
to» (creditworthiness) delle controparti. Le istituzioni con rating di ottimo
livello ritengono di poter trasformare il loro standing creditizio in una fonte
di profitto attraverso un’attiva presenza nel mercato degli swaps.

Opzioni
Le opzioni rappresentano una classe più complessa di derivati.

Le opzioni ordinarie sono contratti per comprare o vendere l’attività sottostan-


te ad un prezzo predeterminato e ad una certa data (o entro una certa data),
nei quali una delle controparti ha la facoltà di annullare l’accordo.

Le opzioni ordinarie sono simili ai forwards dato che hanno per oggetto una
futura compravendita il cui prezzo viene fissato ora. Nel caso delle opzioni,
questo prezzo viene chiamato «prezzo d’esercizio» (strike price). Il tempo
mancante alla scadenza dell’opzione è la «vita residua» (time to expiration).
Le opzioni differiscono dai forwards perché una delle controparti – il com-
pratore – può annullare il contratto. Invece, la parte che ha “scritto” l’op-
zione – il venditore – è tenuta ad onorare il suo impegno. Dato che l’opzione
rappresenta per lui un diritto, e non un obbligo, il compratore deciderà di an-
nullare il contratto se ciò è nel suo interesse. Invece, il venditore non ha que-
sta facoltà e deve onorare il contratto se il compratore decide di esercitare
l’opzione. La facoltà di annullare il contratto ha in genere un valore. Pertan-
to, il compratore deve pagare un corrispettivo (il prezzo dell’opzione o
premio) al venditore nel momento in cui l’opzione viene negoziata, anche se
la compravendita sottostante avverrà, eventualmente, in futuro.
Esistono due tipi fondamentali di opzioni, a seconda che il diritto di
annullare il contratto spetti alla controparte che deve ricevere l’attività sot-
tostante o a quella che la deve consegnare.

31
DERIVATI

Se il diritto di annullare il contratto spetta alla parte che deve ricevere l’attività
sottostante, l’opzione è di tipo call; se invece il diritto spetta alla parte che de-
ve consegnare l’attività sottostante, la opzione è di tipo put.

Ad esempio, si consideri una call negoziata in borsa che consente di acqui-


stare, tra 1 anno (vita residua), 100 azioni General Motors (GM) a $50 l’una
(prezzo d’esercizio). Tra 1 anno, il compratore dell’opzione deciderà se uti-
lizzare la call per comprare le azioni oppure annullare il contratto. Se il prez-
zo dell’azione GM sarà maggiore di $50 – ad es. $70 – deciderà senza dub-
bio di esercitare l’opzione, costringendo così il venditore dell’opzione a ce-
dergli le azioni a $50 l’una. Potrà poi vendere le azioni realizzando un profit-
to di $20 (= $70 – $50) per ogni azione venduta. Il profitto totale sarà pari a
100 volte questo importo, ossia a $2.000 (= $20 × 100), dato che le calls ne-
goziate in borsa gli permettono di comprare 100 azioni. Invece, se il prezzo
dell’azione sarà minore di $50, il compratore della call annullerà il contratto
semplicemente limitandosi a non esercitare l’opzione. Se davvero volesse
comprare le azioni GM, gli converrebbe acquistarle direttamente sul mercato.
Si noti che, se invece di una call avesse comprato un forward, il com-
pratore avrebbe dovuto pagare $50 per ogni azione anche nel caso in cui il
loro prezzo di mercato fosse risultato molto più basso, ad es. $30.
Si consideri ora una put negoziata in borsa che consente di vendere, tra
1 anno, 100 azioni GM a $50 l’una. Tra 1 anno, il compratore dell’opzione
deciderà se utilizzare la put per vendere le azioni oppure annullare il con-
tratto. Se il prezzo dell’azione GM sarà minore di $50 – ad es. $30 – potrà
comprare le azioni sul mercato a $30 ed esercitare l’opzione, costringendo
così il venditore dell’opzione a comprargli le azioni a $50 l’una. Realizzerà
così un profitto di $20 (= $50 – $30) per ogni azione. Il profitto totale sarà
pari a 100 volte questo importo, ossia a $2.000 (= $20 × 100), dato che le
puts negoziate in borsa gli permettono di vendere 100 azioni. Invece, se il
prezzo dell’azione sarà maggiore di $50, il compratore della put annullerà
il contratto semplicemente limitandosi a non esercitare l’opzione. Se dav-
vero volesse vendere le azioni GM, gli converrebbe venderle direttamente
sul mercato.
Si noti che, se invece di comprare una put avesse venduto un forward, il
venditore del forward avrebbe dovuto cedere ogni azione a $50 l’una anche
nel caso in cui il loro prezzo di mercato fosse risultato molto più alto, ad es.
$70.
Gli strani nomi “call” e “put” derivano dalle operazioni che possono
essere effettuate da chi compra un’opzione. Il compratore di una call può
“richiedere” il sottostante al venditore mentre il compratore della put può
“collocare” il sottostante presso il venditore.
Spesso viene negoziata un’ampia varietà di opzioni, con diversi prezzi
d’esercizio e diverse scadenze, scritte sullo stesso sottostante.

32
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

Una call (put) con prezzo d’esercizio più basso (più alto) del prezzo
dell’attività sottostante è detta in the money perché, se il prezzo dell’attività
sottostante resta immutato, l’opzione verrà esercitata. Invece, una call (put)
con prezzo d’esercizio più alto (più basso) del prezzo dell’attività sottostante è
detta out of the money perché, se il prezzo dell’attività sottostante resta im-
mutato, l’opzione non verrà esercitata. Nel caso intermedio in cui il prezzo
d’esercizio e il prezzo dell’attività sottostante sono uguali, l’opzione è detta at
the money.

Per riassumere, gli elementi che caratterizzano le opzioni ordinarie sono:


‰ l’attività sottostante;
‰ il diritto (call o put) spettante al compratore;
‰ il prezzo d’esercizio;
‰ la data di scadenza.
Invece, gli elementi che caratterizzano i contratti forward sono:
‰ l’attività sottostante;
‰ il prezzo di consegna (determinato in modo tale che il valore iniziale
del contratto sia nullo);
‰ la data di scadenza.

Gioco a somma zero


Un importante aspetto da tener presente quando si negoziano derivati è che
le parti in gioco sono due.

Non tenendo conto dei brokers, dei dealers e dello Stato, ciascuna delle due
parti può guadagnare solo a spese dell’altra. È un gioco a somma zero in cui,
indipendentemente dal risultato, i dollari guadagnati da una parte sono esat-
tamente compensati dai dollari persi dall’altra.

Se pensate che sia una buona idea acquistare un forward, una call o una
put, ricordatevi che qualcun altro deve ritenere che la vendita dello stesso
derivato rappresenti un buon affare. Se è importante la percezione del per-
ché volete comprare il derivato, altrettanto importante è capire perché la
controparte voglia vendere. Ad esempio, supponiamo che voi riteniate pro-
babile che i prezzi delle azioni aumentino, o che siano incerti ed estrema-
mente volatili. Pensate quindi che sia tempo di comprare una call. Prima di
farlo, riflettete e ricordatevi che la vostra controparte può saperne quanto
voi. Di conseguenza, soprattutto se avete ragione, è possibile che il prezzo
della call sia già abbastanza alto da riflettere queste informazioni. Se il
prezzo sembra basso, implicitamente dovete credere di essere più informa-
to o più intelligente del venditore.

33
DERIVATI

Se queste considerazioni non bastano a distogliervi dall’idea di comprare


la call, tenete presente il suggerimento offerto dalla regolarità empirica se-
condo cui l’individuo medio crede di essere più intelligente della media. E-
videntemente, la persona media (che potreste anche essere voi) si sbaglia.
Ricordatevi inoltre che, se si considerano i costi di transazione, il “gio-
co” tra voi e la controparte diventa a somma negativa. Questi costi vanno a
favore dei brokers e forse anche di altri soggetti, lasciando meno di zero
per voi e la vostra controparte.
Detto questo, anche se non avete informazioni privilegiate e vi considera-
te di intelligenza media, ci sono comunque diversi motivi per negoziare deri-
vati. Forse il primo è che i derivati consentono di trasferire i rischi dai sog-
getti che sono meno in grado di sopportarli a quelli che ne sono maggiormen-
te capaci, come si è visto per il caso dell’assicurazione contro i terremoti.

Perché utilizzare i derivati?


Perché gli investitori dovrebbero comprare e vendere i derivati piuttosto
che le attività sottostanti? E quelli che decidono di utilizzare i derivati, co-
me fanno a scegliere tra forwards, futures e swaps, da un lato, e opzioni
call e put, dall’altro? A queste domande si daranno più avanti risposte det-
tagliate, che è qui opportuno sintetizzare.
I derivati offrono diversi vantaggi rispetto alle attività sottostanti.
‰ A volte, i derivati sono scritti su attività che non vengono negoziate; in
tal caso, essi rappresentano l’unico modo per assumere una posizione
nei confronti della variabile sottostante o per coprire la propria esposi-
zione.
‰ I derivati possono offrire payoffs personalizzati che si adattano meglio
alle preferenze degli investitori.
‰ Spesso i derivati consentono agli investitori di sfruttare meglio certe
informazioni, come quelle sui pagamenti che verranno effettuati (ad es.,
sui dividendi nel caso delle opzioni su azioni).
‰ Spesso i derivati offrono una «leva finanziaria» (leverage) molto mag-
giore di quella consentita dal sistema degli acquisti a credito; in altri
termini, con importi più contenuti rispetto ai prezzi delle attività sotto-
stanti, è possibile assumere esposizioni commisurate ai livelli dei prez-
zi delle attività sottostanti.
‰ I derivati consentono di assumere esposizioni commisurate ai livelli dei
prezzi delle attività sottostanti ma a costi di transazione contenuti, an-
che se questo vale, in genere, solo per brevi periodi.
‰ I tassi d’interesse a cui vengono regolati i prestiti di denaro impliciti
nei portafogli dinamici replicati dai derivati sono più favorevoli di
quelli che sarebbero altrimenti disponibili ai normali investitori.
‰ I derivati possono offrire particolari vantaggi fiscali o consentire agli
investitori di realizzare payoffs che non potrebbero essere ottenuti – per
divieti regolamentari – operando sulle loro attività sottostanti.

34
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

Tavola 1.6 Quotazioni ($)

Futures e opzioni sullo S&P 500


Martedì 5 novembre 1996
Prezzo di chiusura ($) dello S&P 500: 713,60

Mese
Mesedidiconsegna
consegna/ /scadenza
scadenza
Tipo
Tipo Strike
Strike nov
nov dic
dic gen
gen mar
mar giu
giu
Futures
Futures 717,60
717,60 724,20
724,20 730,00
730,00
Call
Call 700
700 15,10
15,10 22,30
22,30 30,70
30,70
Call
Call 710
710 8,35
8,35 15,95
15,95 24,05
24,05
Call
Call 720
720 3,60
3,60 10,65
10,65 18,10
18,10
Put
Put 700
700 3,85
3,85 11,15
11,15 13,35
13,35
Put
Put 710
710 7,10
7,10 14,70
14,70 16,60
16,60
Put
Put 720
720 12,35
12,35 19,35
19,35 20,50
20,50

L’utilizzo delle opzioni, in alternativa a forwards, futures e swaps, risulta


appropriato nelle seguenti circostanze.
‰ L’investitore preferisce payoffs non-simmetrici, ossia contratti i cui pa-
yoffs reagiscono diversamente ai rialzi e ai ribassi dell’attività sotto-
stante.
‰ L’investitore ha informazioni particolari circa la forma della distribuzio-
ne di probabilità soggettiva del futuro prezzo spot dell’attività sottostante
(anche se non ha informazioni particolari circa la media della distribu-
zione – il valore atteso del futuro prezzo spot); ovvero l’investitore desi-
dera coprirsi contro variazioni nella forma della distribuzione.

Quotazioni di mercato
La Tavola 1.6 riporta le quotazioni di chiusura dei futures e delle opzioni
sullo S&P500, rilevate in occasione delle elezioni presidenziali statunitensi
del 1996. Un obiettivo importante di questo libro è quello di spiegare que-
ste cifre. In particolare, vogliamo rispondere alle seguenti domande:
‰ Perché i prezzi futures (717,60; 724,20; 730,00) sono maggiori del prez-
zo spot dell’attività sottostante (713,60)?
‰ Perché i prezzi futures aumentano con l’allungarsi della scadenza del
contratto (717,60 < 724,20 < 730,00)?
‰ Perché i prezzi delle opzioni call (put) di qualsiasi scadenza diminui-
scono (aumentano) con l’aumentare dei prezzi d’esercizio?
‰ Perché i prezzi delle opzioni, call e put, con un dato prezzo d’esercizio
aumentano con l’aumentare della scadenza?

35
DERIVATI

‰ Cos’è che determina l’esatta relazione tra il prezzo di una call e il prez-
zo della put con stesso prezzo d’esercizio e stessa scadenza?
‰ Più in generale, quali sono le variabili che influiscono sui derivati, e
come interagiscono tra loro per determinarne i livelli di prezzo?

Ecco però un’importante domanda a cui non cercheremo di rispondere:


cos’è che determina il prezzo spot dell’attività sottostante? Nel rispondere
alle precedenti domande, assumeremo che questo prezzo sia una delle va-
riabili che contribuiscono a determinare i prezzi dei derivati.7

Sommario: categorie di derivati


In genere, i derivati rientrano nella categoria dei forwards, futures e swaps o
in quella delle opzioni, call e put. I primi comportano obblighi simmetrici tra
le controparti, tali da rendere nullo il valore iniziale del contratto. Le opzioni
invece comportano obblighi asimmetrici, dato che solo una delle due parti –
il compratore – può decidere l’annullamento del contratto. Di conseguenza, il
valore iniziale delle opzioni è positivo. Quale che sia la categoria di apparte-
nenza, i derivati rappresentano un “gioco a somma zero”, nel senso che i pro-
fitti di una delle due parti sono compensati dalle perdite della controparte. I
derivati, pur se hanno payoffs che dipendono dal prezzo spot dell’attività sot-
tostante, offrono agli investitori diversi vantaggi rispetto alle posizioni dirette
sull’attività sottostante. Inoltre, a seconda delle circostanze, i payoffs asim-
metrici delle opzioni possono conformarsi meglio alle preferenze degli inve-
stitori rispetto ai payoffs simmetrici di forwards, futures e swaps.

1.4 ESEMPI DI DERIVATI


Effettueremo ora un’ampia rassegna di derivati, che testimonia la loro sor-
prendente ubiquità.

Forwards e futures
In genere, quando gli investitori pensano ai derivati, il mercato che viene
prima in mente è quello dei futures negoziati in borsa, ad esempio i futures
sullo S&P500 quotati alla Chicago Mercantile Exchange (CME). Chi compra
questi futures si impegna nominalmente a pagare un certo prezzo per ricevere
un importo in dollari pari a 250 volte il prezzo di chiusura dello S&P500 alla
scadenza del contratto. Ad esempio, supponiamo che il prezzo futures di oggi
sia pari a $1.000. Alla scadenza, se il prezzo spot dello S&P500 è di $1.020,
il compratore realizzerà un profitto pari a $5.000 [= 250 × ($1.020 –
$1.000)]. Il venditore, che rappresenta l’altro lato della transazione, si è im-
pegnato a pagare un importo in dollari pari a 250 volte il prezzo spot
dell’indice; pertanto, il venditore finirà per perdere $5.000.
Le caratteristiche di alcuni futures sono piuttosto complesse. Ad esempio,
i futures su T-bonds sono contratti che prevedono la consegna – in un certo
mese – di un T-bond con tasso cedolare e scadenza prefissati. Se il prezzo

36
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

corrente di un futures a 6 mesi è di $102, chi compra si impegna a pagare


$102.000 per avere tra 6 mesi un T-bond nozionale con valore facciale di
$100.000, scadenza di 15 anni e tasso cedolare del 6%. In realtà, il venditore
può decidere di consegnare un qualsiasi T-bond, purché abbia una scadenza
superiore ai 15 anni. Dato che ogni titolo consegnabile ha un valore diverso,
il prezzo che il compratore riceve viene aggiustato in base ad un fattore di
correzione prefissato, diverso per ogni titolo, che tende ad equiparare il valo-
re dei T-bonds consegnabili a quello del titolo nozionale. Tuttavia, in genere,
dato che questo aggiustamento è approssimativo, un solo titolo risulterà «più
conveniente da consegnare» (cheapest to deliver). Il venditore, avendo il di-
ritto di scegliere il titolo, possiede una quality option, il cui valore va consi-
derato quando si determina il prezzo futures del contratto.
I forwards non vengono trattati in borsa e possono essere personalizza-
ti, come ad esempio i forwards di volatilità. La volatilità osservata è una
misura statistica della dispersione giornaliera dei ritorni di un’attività. Più
è alta, più l’attività ha sperimentato significative oscillazioni da un giorno
all’altro. I forwards di volatilità pagano il prodotto tra un importo noziona-
le, ad es. $100, e la differenza (misurata in centesimi) tra la volatilità os-
servata durante la vita del contratto e quella definita inizialmente. Il livello
iniziale della volatilità è scelto in modo che il valore iniziale del forward
sia nullo. Ad esempio, supponiamo che la volatilità dello S&P500 (misura-
ta come radice quadrata annualizzata della somma del quadrato degli scarti
tra i ritorni giornalieri e il loro valore atteso) sia risultata pari al 16% su
base annua durante la vita di un forward ad 1 anno, mentre quella definita
inizialmente era del 14%. Alla scadenza, il compratore del forward riceve-
rà dal venditore $200 [= $100 × (16 – 14)].

Swaps
Gli swaps sono un’evoluzione dei «prestiti paralleli» (parallel loan agree-
ments) in voga negli anni ‘70. Supponiamo, ad esempio, che una società sta-
tunitense prenda in prestito $10.000.000 collocando un’obbligazione negli
Stati Uniti e che una società britannica prenda in prestito l’equivalente di
$10.000.000 in sterline, collocando un’obbligazione in Inghilterra. Le due
società si scambiano poi i titoli. Dapprima si scambiano i capitali incassati
con il collocamento (dollari contro sterline) e poi la società statunitense paga
gli interessi in sterline previsti dal titolo della società britannica, mentre la
società britannica paga gli interessi in dollari previsti dal titolo della società
statunitense. Infine, alla scadenza, le società si scambiano di nuovo i capitali.
La società statunitense è così riuscita a prendere in prestito sterline alle con-
dizioni praticate alla società britannica, mentre la società britannica è riuscita
a prendere in prestito dollari alle condizioni praticate alla società statuniten-
se. Sfortunatamente, questo accordo può comportare un rilevante rischio di
credito. Ad esempio, se la società britannica fallisce, la società statunitense
dovrà continuare a pagare gli interessi ai possessori del titolo britannico.

37
DERIVATI

Nel primo swap, uno «swap su valute» (currency swap) negoziato nel
1981 tra IBM e World Bank, il rischio di credito venne sostanzialmente
ridotto. In questo swap, non solo i capitali non venivano scambiati ma
l’insolvenza di una delle due parti avrebbe posto fine al contratto. Il primo
swap su tassi d’interesse (interest rate swap) – fisso contro variabile – vide
la luce a metà del 1982. Da allora, il mercato degli swaps è cresciuto note-
volmente ed esistono oggi diverse varianti. Le modifiche riguardano:
‰ le attività sottostanti;
‰ il capitale nozionale;
‰ i pagamenti intermedi.
Al primo tipo di variante appartengono gli equity swaps, i commodity
swaps e i basis swaps. Negli «swaps su azioni» (equity swaps), i dividendi
e i capital gains relativi ad un indice azionario vengono scambiati con gli
interessi fissi o variabili. Negli «swaps su merci» (commodity swaps), i
capital gains relativi ad una merce vengono scambiati con gli interessi fissi
o variabili. Negli «swaps di base» (basis swaps), gli interessi variabili su
un certo titolo vengono scambiati con gli interessi variabili su un altro tito-
lo, in genere di diversa scadenza.
Al secondo tipo di variante appartengono gli amortising swaps, gli ac-
creting swaps e i roller-coaster swaps. Negli «swaps con ammortamento»
(amortising swaps), il capitale nozionale diminuisce col passare del tempo,
ad un tasso determinato dalle estinzioni anticipate dei mutui ipotecari. Negli
«swaps ad accumulazione» (accreting swaps), il capitale nozionale aumenta
col passare del tempo. Negli «swaps a montagne russe» (roller-coaster
swaps), il capitale nozionale aumenta o diminuisce col passare del tempo.
Al terzo tipo di variante appartengono gli «swaps di titoli a cedola nulla»
(zero-coupon interest rate swaps). In questi swaps, viene effettuato solo un
pagamento alla scadenza quando una delle due parti corrisponde all’altra la
differenza tra un ritorno fisso e un ritorno variabile, dove quest’ultimo è pari
a quello ottenibile investendo al Libor durante la vita dello swap.
Molti swaps contengono opzioni. Ad esempio, un interest rate swap
con cap (floor) pone un limite massimo (minimo) al tasso d’interesse va-
riabile. Quando lo swap prevede sia un cap sia un floor, si dice che contie-
ne un collar.

Calls e puts negoziate in borsa


Le opzioni su singole azioni sono state le prime opzioni ad essere negozia-
te in borsa. La Chicago Board Options Exchange (CBOE) ha quotato dap-
prima le calls, nell’aprile del 1973, e poi le puts, nel giugno del 1976.
Alla CBOE, l’esercizio di un’opzione dà luogo alla consegna di 100 a-
zioni in cambio di 100 volte il prezzo d’esercizio. Le opzioni negoziate in
borsa non sono «protette contro lo stacco di dividendi» (payout-protected),
ossia, i dividendi pagati agli azionisti durante la vita dell’opzione non spet-

38
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

tano al compratore o al venditore dell’opzione. Per aver diritto ai dividen-


di, il compratore di una call deve esercitare l’opzione e assumere una posi-
zione sull’azione sottostante. Fino a poco tempo fa, erano disponibili solo
opzioni con scadenze inferiori all’anno. Ora, per le azioni più diffuse, sono
disponibili anche opzioni a più lungo termine, chiamate LEAPS (Long-
term Equity AnticiPation Securities), con vita residua fino a 3 anni.
Le opzioni sullo S&P500 negoziate alla CBOE sono un importante e-
sempio di «opzioni su indici» (index options). Queste opzioni sono simili
ai futures sullo S&P500, ma il compratore della call ha il diritto, non
l’obbligo, di ricevere un importo pari a 100 volte la differenza tra il prezzo
spot dello S&P500 alla scadenza e il prezzo d’esercizio dell’opzione. Ad
esempio, se il prezzo d’esercizio è di $1.000 e il prezzo spot dello S&P500
alla scadenza è di $1.020, il compratore esercita la call e riceve $2.000 [=
100 × ($1.020– $1.000)]. Se invece il prezzo spot dello S&P500 alla sca-
denza è di $990, il compratore della call non esercita e nessun pagamento
viene effettuato. Egli, tuttavia, subisce una perdita (ed il venditore realizza
un profitto) dato che non recupera il prezzo pagato per l’opzione.
Le opzioni su indici, negoziate in borsa, hanno caratteristiche particola-
ri. Ad esempio, le opzioni sullo S&P500 possono essere esercitate solo alla
scadenza mentre le opzioni sullo S&P100 possono essere esercitate, alla
chiusura del mercato, in qualsiasi giorno lavorativo prima della scadenza e
alla data di scadenza. Le opzioni sullo S&P500, esercitabili solo alla sca-
denza, sono dette “europee”, mentre quelle sullo S&P100 (così come le
opzioni su singole azioni), esercitabili anche prima della scadenza, sono
dette “americane.”
In genere, i futures e le opzioni, se esercitate, danno luogo alla conse-
gna dell’attività sottostante. Invece, nel caso delle opzioni sugli indici S&P
(100 o 500) si ha la «liquidazione per contanti» (cash settlement) perché
non è pratico consegnare tutte le azioni presenti nei panieri su cui si basano
gli indici. Il cash settlement consiste nel fatto che il compratore della call
riceve un importo pari a 100 volte la differenza tra il prezzo corrente
dell’indice e il prezzo d’esercizio.
Le opzioni sullo S&P100 hanno anche un’altra particolarità. Alla CBOE,
le contrattazioni terminano alle 15:15 (ora di Chicago), ma quelle sull’attività
sottostante (i titoli appartenenti al paniere) terminano alle 15. I compratori
delle opzioni possono aspettare fino alle 15:20 per decidere se esercitare.
Tuttavia, il prezzo di liquidazione è quello rilevato 20 minuti prima, alle 15.
Di conseguenza, nei contratti c’è un’«opzione incorporata» (embedded op-
tion), chiamata wildcard, a favore dei compratori. Supponiamo, ad esempio,
che il prezzo spot di chiusura dell’indice, alle 15, sia pari a $1.005. Notizie
negative giungono sul mercato tra le 15 e le 15,20. Gli operatori sono sicuri
che il giorno dopo l’indice aprirà in ribasso, a $995. Il compratore di una call
con prezzo d’esercizio di $1.000 potrebbe utilizzare queste informazioni per
esercitare l’opzione entro le 15:20, in modo da bloccare il prezzo di $1.005.

39
DERIVATI

Opzioni emesse da società


Di solito, le opzioni negoziate in borsa vengono emesse (vendute) da banche
d’investimento, investitori istituzionali (fondi pensione, fondi comuni, ecc.)
o singoli individui. Esistono anche altre opzioni, che le società emettono per
raccogliere capitali o remunerare i dipendenti. Queste opzioni vengono col-
locate individualmente o inglobate in altri titoli a carattere non opzionale.
I warrants e le employee stock options appartengono a questa categoria
di opzioni. I warrants vengono collocati dalle società, spesso insieme ad
altri titoli, per raccogliere capitali. Di solito, incorporano il diritto a com-
prare – dalla stessa società – un certo numero di azioni, ad un prezzo pre-
fissato, entro 5-10 anni. In genere, i warrants non sono protetti contro lo
stacco dei dividendi. Pertanto, il loro valore può significativamente ridursi
in seguito al pagamento dei dividendi. Di conseguenza, dato che i portatori
dei warrants non hanno influenza sulle politiche di distribuzione degli uti-
li, a volte vengono introdotte clausole di “anti-diluizione”. Queste clausole
possono comportare la riduzione dei prezzi d’esercizio se i dividendi di-
stribuiti eccedono un certo livello. Inoltre, diversamente dalle opzioni ne-
goziate in borsa, l’esercizio dei warrants comporta l’emissione di nuove
azioni che diluiscono il valore sia dei warrants che vengono esercitati sia
di quelli che non vengono esercitati. Rispetto alle opzioni negoziate in bor-
sa, i warrants sono di solito più difficili da valutare, non solo a causa di
questa potenziale diluizione ma anche perché hanno scadenze molto più
lunghe e possono essere quindi più colpiti dal pagamento dei dividendi.
Le «opzioni di incentivazione per i dipendenti» (employee stock options
- ESOs) vengono emesse dalle società per remunerare i dipendenti. Come i
warrants, danno diritto a comprare – dalla stessa società – un certo numero
di azioni, ad un prezzo prefissato, entro 5-10 anni. Rispetto ai warrants, han-
no però peculiarità che ne rendono più complessa la valutazione. Il prezzo
d’esercizio viene definito nella «data di assegnazione» (grant date), ma gli
assegnatari non possono esercitare le opzioni prima della «data di vestizio-
ne» (vesting date), che cade di solito 2-3 anni dopo l’assegnazione. Se la-
sciano la società prima della vesting date, gli assegnatari devono abbandona-
re le opzioni non vestite. Dopo la vesting date, sono liberi di esercitarle ma,
se lasciano la società, sono costretti a scegliere tra l’abbandono e l’esercizio
immediato. Ciò che rende le employee stock options difficili da valutare è
che non possono essere cedute ad altri né prima né dopo la vesting date (fatta
eccezione per i casi di divorzio o morte, quando diventano parte dell’asse
ereditario). Le società pongono queste restrizioni per far sì che le opzioni non
perdano la loro funzione di incentivazione. L’intrasferibilità delle ESOs ren-
de queste opzioni molto diverse dalle opzioni trattate in borsa e dai warrants.

Obbligazioni emesse da società


Le società emettono altri titoli a contenuto opzionale. Un buon esempio è
rappresentato dalle «opzioni d’insolvenza» (options to default) incorporate

40
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

nelle obbligazioni emesse dalle società. Queste opzioni vengono implicita-


mente esercitate quando la società non onora gli impegni sul debito in essere.
In caso d’insolvenza, anche se gli obbligazionisti hanno nominalmente il di-
ritto di assumere il controllo dell’impresa, spesso le società vengono ristrut-
turate e i vecchi azionisti continuano ad esercitare una certa influenza.
La maggior parte delle obbligazioni contiene un’«opzione di riacquisto»
(call provision), a favore della società, esercitabile ad un prezzo prefissato e a
date prefissate. Gli obbligazionisti hanno quindi venduto alla società una call
che è particolarmente preziosa in caso di ribasso dei tassi d’interesse. La socie-
tà può infatti riacquistare le obbligazioni al prezzo prefissato e rifinanziarsi a
tassi più bassi. In molti casi, gli obbligazionisti hanno un «diritto di conversio-
ne» (conversion right), che consente loro di convertire i titoli in azioni della
società, ad un prezzo prefissato. Questa caratteristica permette agli obbligazio-
nisti di partecipare alle fortune della società se il prezzo dell’azione dovesse
aumentare. Se le obbligazioni contengono entrambe le opzioni, la società può
esercitare l’opzione di riacquisto per forzare la conversione in azioni. Altri-
menti, dato che i dividend yields sono in genere più bassi dei tassi d’interesse,
gli obbligazionisti tenderanno a rinviare la conversione fino alla scadenza.
La valutazione delle obbligazioni in presenza di queste tre opzioni
(d’insolvenza, di riacquisto e di conversione) può sembrare già abbastanza
difficile ma ci sono, a volte, altre caratteristiche che la rendono ancor più
complessa. Tra queste figurano: le «clausole di salvaguardia» (safety cove-
nants) che possono provocare il fallimento della società anche in caso di
regolare servizio del debito; i «diritti di precedenza» (priority rules) che
regolano l’ordine di priorità dei pagamenti in caso di fallimento; i «vincoli
alla distribuzione degli utili» (payout restrictions) che limitano i pagamen-
ti dei dividendi per ridurre i conflitti tra azionisti e obbligazionisti; i «fondi
di ammortamento» (sinking funds) dove le società devono gradualmente
accumulare risorse per far fronte al rimborso dei capitali presi in prestito; e
le «garanzie» (guarantees) che possono essere liquidate, in caso di neces-
sità, per far fronte ai pagamenti.
I «titoli ad indicizzazione reale» (inflation-indexed bonds), emessi dal
Tesoro degli Stati Uniti per la prima volta nel 1997, hanno cedole e capitale
che vengono rivalutati in base all’inflazione osservata. I titoli ad indicizza-
zione reale emessi dalle società, e quindi soggetti alla possibile insolvenza
dell’emittente, contengono un’opzione con prezzo d’esercizio incerto pari al
valore nominale rivalutato.
Le «azioni privilegiate» (preferred stocks) promettono un dividendo fis-
so per un periodo di tempo illimitato. Se la società non paga uno dei dividen-
di, gli azionisti privilegiati non possono costringere la società al fallimento,
diversamente da quanto può accadere per le obbligazioni perpetue. Tuttavia,
la società non può distribuire dividendi agli azionisti ordinari finché non pa-
ga i dividendi arretrati agli azionisti privilegiati. Anche se non ha l’opzione
d’insolvenza, la società ha però l’opzione di non pagare i dividendi. Le «a-

41
DERIVATI

zioni privilegiate convertibili» (convertible preferred stocks) contengono


un’altra opzione, dato che i possessori possono convertire le azioni privile-
giate in azioni ordinarie in base ad un fattore di conversione prefissato.
Le «obbligazioni ibride o strutturate» (hybrid or structured debt) esisto-
no almeno dai tempi della Guerra civile. Nel 1863, la Confederazione – per
contenere le paure d’inflazione e d’insolvenza – emise un dual-currency cot-
ton-indexed bond a 20 anni (un titolo denominato in sterline e franchi france-
si, convertibile in cotone). Dai primi anni ‘80 le società statunitensi hanno
cominciato ad emettere obbligazioni ibride. Eccone alcuni esempi. I LYONs
(Liquid Yield Option Notes − marchio di Merrill Lynch) offrono non solo
l’opzione di conversione ma anche l’opzione (put) di rimborso anticipato ad
un prezzo prefissato. Le PERLS (Principal Exchange Rate-Linked Securities)
pagano ala scadenza un importo in dollari pari ad un certo numero di unità di
valuta estera. Le ICONs (Indexed Currency Option Notes) combinano
un’obbligazione ordinaria con un’opzione europea scritta su una valuta este-
ra. I PERCS (Preferred Equity Redemption Cumulative Stocks), al pari delle
azioni privilegiate, promettono un dividendo fisso (ma significativamente più
elevato). Come nel caso delle azioni privilegiate, il mancato pagamento di un
dividendo non comporta il fallimento della società. Tuttavia, diversamente
dalle azioni privilegiate convertibili, questi titoli devono essere comunque
convertiti in azioni ordinarie entro una certa data. Il numero delle azioni or-
dinarie ricevute in cambio è funzione inversa del loro prezzo di mercato.
Spesso, i contratti di leasing possono essere annullati dal locatario poco
prima del pagamento del canone. Pertanto, ad ogni scadenza, il locatario
non paga solo per l’affitto ma anche per l’opzione di rinnovo del contratto.
Spesso, i contratti di leasing contengono anche altre opzioni, come
l’opzione per l’acquisto dell’attività sottostante, ad un prezzo prefissato,
alla scadenza del contratto (opzione europea) o entro la scadenza del con-
tratto (opzione americana).

Titoli di Stato
Può sorprendere che anche il Treasury bill – il più elementare di tutti i tito-
li – possa essere analizzato con gli strumenti della teoria di valutazione dei
derivati. Anche se, in genere, si assume che il prezzo di questo titolo sia
noto alla scadenza, tuttavia esso varia prima di tale data in funzione dei
tassi di interesse. All’aumentare (al ridursi) dei tassi d’interesse a breve, il
suo prezzo scende (aumenta). Prima della scadenza, i T-bills possono esse-
re visti come derivati che dipendono dal livello dei tassi d’interesse a breve
termine.
Alcune delle «obbligazioni di risparmio» (saving bonds) emesse negli
Stati Uniti, nel Regno Unito ed in Canada consentono ai possessori il rimbor-
so anticipato alla pari; altre consentono il rimborso anticipato ad un prezzo
che cresce in funzione del tempo. Questi ultimi titoli cercano di offrire un
rendimento tanto più elevato quanto maggiore è il periodo di detenzione.

42
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

I «programmi federali di sostegno dei prezzi agricoli» (Federal farm


price supports) sono sussidi statali in forma di opzioni put gratuitamente
assegnate ai coltivatori. Queste opzioni consentono ai coltivatori di vende-
re il loro raccolto allo Stato, ad un prezzo fisso, garantendo un incasso mi-
nimo. Ci si potrebbe chiedere qual è il costo per il contribuente di questi
sussidi, ossia quanto valgono le opzioni put. Il problema è molto più com-
plesso di quello della valutazione delle opzioni negoziate in borsa. Lo stes-
so numero delle opzioni assegnate è incerto: dipende dalla dimensione del
raccolto ed è correlato negativamente col prezzo che sarebbe altrimenti
prevalso nel mercato in assenza di sussidi.
I payoffs dei derivati su titoli di Stato possono essere definiti in termini
di prezzi o di tassi di rendimento (di T-bills o T-bonds). Nel primo caso
dipendono dalla differenza tra un futuro prezzo spot ed un prezzo d’eserci-
zio, mentre nel secondo dalla differenza tra un futuro tasso di rendimento
ed uno strike rappresentato da un tasso di rendimento.
In alcune nazioni, ad es. Taiwan, esistono vincoli alle esportazioni e gli
esportatori sono obbligati a comprare dallo Stato opzioni di esportazione.
Queste opzioni sono attivamente negoziate sul mercato secondario.
La Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC) vende alle banche
opzioni put che consentono di cedere allo Stato – a certe condizioni – le
loro passività per depositi a vista e di risparmio. Anche se tutte le banche
pagano per avere queste opzioni, non è chiaro perché il premio debba esse-
re uguale per tutte, dato che alcune banche sono più rischiose di altre.

Mutui e assicurazioni
I mutui ipotecari rappresentano la quota più importante del mercato crediti-
zio statunitense, maggiore anche di quella del debito statale e federale. In
genere, le rate dei mutui – che contengono una quota interessi ed una quota
capitale – sono costanti. Con l’avvicinarsi della scadenza del mutuo, il debito
residuo e la quota interessi diminuiscono mentre la quota capitale aumenta.
Spesso, al fine di liberare risorse per nuovi impieghi, con un processo di
«cartolarizzazione» (securitization), i mutui vengono raggruppati in un fon-
do (pool) così da formare la base per un solo titolo. I pagamenti effettuati dai
mutuatari vengono aggregati e “passati” all’«obbligazione garantita da ipote-
ca» (mortgage-backed security o pass trough). La prima agenzia governati-
va che ha creato questi pools, con garanzie statali, è stata la Government Na-
tional Mortgage Association (GNMA), nel 1970. Successivamente, anche
agenzie quasi-governative, come la Federal National Mortgage Association
(FNMA) e la Federal Home Loan Mortgage Corporation (FHLMC), hanno
cominciato ad offrire pass-throughs ma senza chiare garanzie statali.
Il principale derivato associato a questi titoli è l’«opzione di estinzione
anticipata» (pre-payment option). Quando i tassi di interesse diminuiscono
ed i mutuatari si attendono un loro rialzo, alcuni dei mutui presenti nel pool
vengono estinti e i possessori delle mortgage-backed securities ricevono un

43
DERIVATI

flusso di cassa pari ai pagamenti per rimborsi anticipati. I rimborsi anticipati


non sono influenzati solo dai tassi d’interesse ma possono anche essere de-
terminati dalla vendita degli immobili sottostanti. Un altro fattore critico che
influenza le scelte dei mutuatari è rappresentato dal costo dei rifinanziamenti.
Tutto questo complica il problema di prevedere accuratamente la dinamica
delle estinzioni anticipate, che ha un importante impatto sul valore delle
mortgage-backed securities.
L’opzione di estinzione anticipata colpisce – pro rata – tutti gli investito-
ri. Invece, nelle collateralised mortgage obligations (CMOs), una variante
delle mortgage-backed securities, il pool di mutui è ripartito in tranches che
assegnano agli investitori diritti sequenziali, piuttosto che pro rata, rispetto
al rimborso del capitale investito. All’interno di ogni tranche, gli investitori
ricevono gli interessi pro rata, ma il rimborso del capitale viene innanzitutto
effettuato a favore della prima tranche, finché il debito non è estinto, poi a
favore della seconda tranche, quindi a favore della terza, e così via.
Tra le altre varianti figurano le mortgage-backed securities nelle quali
una tranche – la principal only, POs – riceve tutto il capitale ed una
tranche – la interest only, IOs – riceve tutto l’interesse. Le planned amor-
tisation classes (PACs) seguono uno schema di ammortamento prefissato
fin tanto che le estinzioni anticipate si mantengono all’interno di un certo
intervallo. Negli adjustable-rate mortgages (ARMs), gli interessi variano
in funzione di un indice ma nei limiti consentiti dalla presenza di opzioni
call e put in forma di caps e floors.
Alla CBOT sono quotati contratti il cui payoff dipende da un indice del
Property Claim Services che misura le perdite subite dalle compagnie
d’assicurazione statunitensi a seguito di catastrofi (uragani, terremoti, ecc.).

Titoli di istituzioni finanziarie


I «fondi comuni d’investimento chiusi» (closed-end investment funds) so-
no portafogli gestiti che vengono trattati come attività a sé stanti. Sono di
solito quotati in borsa al pari delle azioni e spesso la loro quotazione è in-
feriore al valore patrimoniale delle attività. Uno dei motivi per cui possono
quotare a sconto rispetto al patrimonio netto è che essi offrono agli investi-
tori opzioni fiscali di minor valore rispetto a quelle disponibili nel caso di
un investimento diretto nelle azioni del fondo. In quest’ultimo caso, gli in-
vestitori possono dedurre le perdite sulle singole azioni, mentre nel primo
possono dedurre solo le perdite sull’intero portafoglio. Siamo di fronte ad
una verità generale in tema di opzioni: un portafoglio di opzioni su singoli
titoli vale più di un’opzione sull’intero portafoglio.
Anche i «fondi comuni d’investimento aperti» (open-end mutual funds)
sono portafogli gestiti che vengono trattati come attività a sé stanti. Tuttavia,
questi fondi non vengono negoziati in borsa. Sono le stesse società di gestio-
ne che fanno mercato sui propri fondi, alla chiusura dei giorni lavorativi, es-
sendo pronte a comprare o vendere le loro quote in base al valore patrimonia-

44
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

le netto. I fondi comuni aperti che prevedono «commissioni d’entrata e di


uscita» (loads) sono detti load funds e vengono acquistati e venduti a prezzi,
rispettivamente, superiori e inferiori al loro valore patrimoniale netto.
Le forze della competizione, e l’incapacità dei load funds di generare
performance tali da giustificare le commissioni, hanno fatto crescere la popo-
larità dei no-load funds, che non sono gravati da oneri di sottoscrizione. Par-
ticolarmente importanti, in questa categoria, sono i «fondi indice» (index
funds), che seguono strategie d’investimento passive. Ad esempio, l’Index
Trust-500 Portfolio della Vanguard è composto da titoli che replicano la
composizione dello S&P500. Questo fondo presenta diversi vantaggi rispetto
ai load funds ed anche rispetto ai no-load funds che seguono strategie attive.
Non dovendo stipendiare analisti che cercano di “battere il mercato”, le
commissioni di gestione sono molto basse (0,19% all’anno); inoltre, avendo
raramente bisogno di comprare o vendere, ha bassi costi di transazione. Fin-
ché continuerà a crescere, la sua strategia di bassa «rotazione» (turnover)
comporterà guadagni e perdite in conto capitale minori rispetto ai fondi atti-
vi, lasciando così inalterato il valore delle opzioni fiscali per gli investitori.
Questo fondo è il secondo al mondo per dimensioni ed ha una delle migliori
performance al lordo delle imposte, pur essendosi semplicemente limitato a
seguire lo S&P500. Nel periodo 1995-99, ha realizzato la migliore perfor-
mance tra tutti i 60 fondi d’investimento del comparto azionario domestico
statunitense specializzati in società ad «elevata capitalizzazione» (large cap).
Nel 1986, l’anno prima del crollo dei mercati azionari, la Chase Manhat-
tan Bank ha offerto i primi «certificati di deposito legati ai prezzi delle azio-
ni» (equity-linked certificates of deposit). Ad esempio, il tasso di rendimento
dei certificati ad 1 anno era pari al maggiore tra il 4% (livello inferiore ai tas-
si d’interesse ad 1 anno) e il 90% del tasso di rendimento dello S&P500. Nel
1996, la Chicago Board Options Exchange ha iniziato a trattare le S&P500
Equity-Linked Notes e i Technology Market Index Target-Term Securities
(MITTS). Le S&P500 Equity-Linked Notes pagano alla scadenza un importo
prefissato più una quota basata sull’eventuale apprezzamento dello S&P500.
I MITTS pagano alla scadenza un importo prefissato più una quota che au-
menta fino ad un certo massimo, in funzione dell’apprezzamento del CBOT
Technology Index.

Opzioni esotiche
Anche se le calls e le puts negoziate in borsa continuano ad essere le op-
zioni più attivamente trattate, si è recentemente sviluppato il mercato over
the counter delle «opzioni esotiche» (exotic options). Queste opzioni sono
di solito simili alle opzioni standard ma hanno qualche particolarità.
I «pacchetti» (packages) rappresentano il tipo più semplice di opzione
esotica, dato che i loro payoffs possono essere replicati da portafogli con-
tenenti obbligazioni, azioni e opzioni standard. Un esempio è dato dal
«colletto» (collar) che ha lo stesso payoff dell’azione sottostante ma con un

45
DERIVATI

minimo (floor) ed un massimo (cap). Il collar può essere replicato com-


prando uno zero-coupon bond con valore nominale pari al floor, compran-
do una call con prezzo d’esercizio pari al floor e vendendo una call con
prezzo d’esercizio pari al cap.
Le «opzioni con decorrenza posticipata» (forward-start options) vengono
pagate, come quelle standard, alla data di negoziazione ma il prezzo
d’esercizio viene determinato successivamente, prima della scadenza.
Le «opzioni a premio contingente» (contingent-premium options) pos-
sono essere di due tipi: le «opzioni con rimborso» (money-back options) e
le «opzioni a premio differito» (pay-later options). Il compratore di una
money-back call riceve lo stesso payoff di una call ordinaria, ma, se la call
ha un payoff positivo, riceve anche un rimborso pari al premio pagato. Il
compratore di una pay-later call paga il premio (alla scadenza) solo se il
payoff della corrispondente call ordinaria è positivo.
Le opzioni composte (compound options) hanno per sottostante altre
opzioni. Ad esempio, una call su call è una compound option.
Le «opzioni a scelta» (chooser options) hanno un’identità incerta, al-
meno inizialmente. Quando vengono acquistate non si sa se saranno opzio-
ni call o put. Ad una data prefissata, prima della scadenza, il compratore
(o, in altri casi, il venditore) deve decidere se l’opzione è una call o una put.
Molte «opzioni con barriera» (barrier options) assomigliano inizialmente
a calls o puts standard. Tuttavia, se il prezzo del sottostante colpisce una cer-
ta barriera, queste opzioni vengono cancellate e il loro payoff è nullo. Se in-
vece il prezzo non raggiunge mai il livello di «cancellazione» (knock-out), le
opzioni con barriera hanno lo stesso payoff delle opzioni standard. Le barrier
options sono opzioni «sentiero-dipendenti» (path dependent), dato che il loro
payoff dipende non solo dal prezzo del sottostante alla scadenza ma anche
dal sentiero seguito dai prezzi prima della scadenza.
Il «warrant per le fasi di ribasso» (bear-market warrant) è simile ad una
put ordinaria, ma se il prezzo dell’azione ad una certa data risulta maggiore
del prezzo d’esercizio, lo strike viene rivisto e posto uguale al prezzo corren-
te dell’azione. In tal modo, il put warrant continua ad essere interessante.
Le «opzioni retrospettive» (lookback options) sono path-dependent
come le barrier options. Hanno però caratteristiche diverse. Il prezzo
d’esercizio, invece di essere fissato all’origine, viene determinato alla sca-
denza. Se l’opzione è di tipo call (put), lo strike è pari al prezzo minimo
(massimo) raggiunto dal prezzo dell’azione durante la vita dell’opzione. In
tal modo, il compratore ha la certezza di comprare (vendere) al prezzo mi-
nimo (massimo). Le «opzioni asiatiche» (Asian options) sono simili ma lo
strike, invece di essere pari al prezzo minimo (massimo), è pari alla media
aritmetica dei prezzi dell’azione osservati durante la vita dell’opzione.
Alcune opzioni esotiche consentono al compratore di bloccare l’utile rea-
lizzabile con il tempestivo esercizio di un’opzione ordinaria. Queste opzioni
pongono quindi un «limite inferiore» (floor) al payoff. Nelle «calls a scala»

46
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

(ladder calls) il floor è pari alla differenza tra il «prezzo obiettivo» (target
price) e lo strike se il prezzo dell’azione ad una certa data è maggiore del
target. Nelle «opzioni a grimagliera» (cliquet options) e nelle «opzioni gri-
date» (shout options) il floor è pari alla differenza tra il prezzo dell’azione e
lo strike: nel caso delle cliquets il floor viene determinato ad una data prefis-
sata mentre nel caso delle shouts è il compratore che decide quando “grida-
re” il prezzo corrente per fissare il livello del floor.
Nelle «opzioni di scambio» (exchange options) lo strike è sostituito dal
prezzo di una seconda attività sottostante. Pertanto, queste opzioni consen-
tano di scambiare un’attività con un’altra. Simili sono le «opzioni di mas-
sima performance» (outperformance options) che offrono alla scadenza,
tra le due attività sottostanti, quella di maggior valore.
Le «opzioni su attività in valuta estera e payoff in valuta interna» (cur-
rency-translated options) consentono di investire nei mercati azionari esteri
e di graduare il rischio di cambio. In una delle varianti, il payoff viene tradot-
to nella valuta domestica in base al tasso di cambio corrente alla data di sca-
denza. Ad esempio, l’investitore statunitense che acquista una call sull’indice
inglese FTSE si espone al rischio che la sterlina si deprezzi rispetto al dolla-
ro. Se l’esercizio dell’opzione risulterà conveniente, i profitti in dollari po-
tranno essere sostanzialmente minori a causa del deprezzamento della sterli-
na. In un’altra variante, l’acquirente di un’«opzione quanto» (quanto option)
non è esposto al rischio di cambio, in quanto il payoff dell’opzione viene
convertito nella valuta domestica in base ad un tasso di cambio prefissato.
Le «opzioni arcobaleno» (rainbow options) sono opzioni il cui valore di-
pende da più di un’attività sottostante. Ad esempio, le opzioni sullo S&P500
possono anche essere interpretate come opzioni scritte su 500 attività sotto-
stanti. A volte queste opzioni sono dette «opzioni paniere» (basket options).
Tra gli altri esempi di rainbow options figurano le «opzioni differenziali»
(spread options), che sono scritte sulla «differenza» (spread) tra i prezzi di
due attività.
I «certificati corridoio» (range notes) pagano un tasso d’interesse pari al
prodotto tra il tasso di riferimento osservato ad inizio periodo e la quota dei
giorni nei quali questo tasso resta all’interno di un certo corridoio.

Altre opzioni finanziarie


I market makers quotano due prezzi, uno al quale sono disposti a comprare
(il «prezzo denaro» o bid price) e l’altro al quale sono disposti a vendere (il
«prezzo lettera» o ask price). Ad esempio, quando viaggiate all’estero e vole-
te scambiare la vostra valuta con la valuta del Paese in cui siete, avrete notato
che il «mediatore» (dealer) compra e vende a prezzi diversi e che il prezzo a
cui vende è sempre maggiore del prezzo a cui acquista. La differenza tra
questi due prezzi è il bid-ask spread. Il dealer vi sta offrendo una put che vi
consente di vendere al suo bid ed una call che vi consente di comprare al suo
ask. Il prezzo che vi addebita per queste due opzioni è il bid-ask spread.

47
DERIVATI

La teoria di valutazione delle opzioni vi consente anche di calcolare il va-


lore della capacità di «entrare e uscire in tempo dal mercato» (market tim-
ing). Per fare un esempio, supponiamo che siate contattati da un gestore che
vi dice di essere in grado di prevedere se la performance annuale del mercato
azionario sarà maggiore di quella del mercato obbligazionario. All’inizio
dell’anno il gestore investirà il 100% dei fondi in uno solo dei due portafogli
(azionario o obbligazionario). Anche se credete a quel che vi dice, qual è il
massimo che dovreste pagare per il servizio? Ecco dove si insinuano le op-
zioni. Il payoff promesso può essere visto come il risultato di un investimento
in obbligazioni assistito da una call, con prezzo d’esercizio pari al payoff del
portafoglio obbligazionario, scritta sul portafoglio azionario.
Negli Stati Uniti, la normativa federale in tema di imposte sui redditi of-
fre diverse opzioni ai contribuenti. Ad esempio, alla fine di ogni anno fiscale,
gli azionisti possono decidere di monetizzare i guadagni (le perdite) venden-
do le azioni e pagando le tasse sul ricavato (deducendo le perdite), oppure
possono rinviare le imposte continuando a mantenere le posizioni. Alla fine i
guadagni in conto capitale verranno tassati (a meno che il contribuente
muoia, nel qual caso l’imposta viene abbonata o la proprietà viene data in
beneficenza), ma il valore attuale delle imposte può essere notevolmente ri-
dotto monetizzando solo le perdite e rinviando la realizzazione dei guadagni.
A sua volta, il governo degli Stati Uniti ha una preziosa call per tassare
i cittadini. Il prezzo d’esercizio è pari al reddito minimo imponibile. Il pa-
yoff è più complesso di quello delle opzioni standard perché l’aliquota fi-
scale non solo è inferiore al 100% ma è graduata in modo da essere più e-
levata per i redditi più alti. Anche la scadenza è più complessa perché la
call è scritta sui redditi misurati in esercizi successivi. La teoria di valuta-
zione delle opzioni può essere utilizzata per confrontare il valore di questa
opzione sotto diversi regimi fiscali.
Alcuni anni fa l’American Stock Exchange (Amex) ha quotato alcune
«unità» (units) rappresentative di diritti nei confronti di azioni ad alta capita-
lizzazione negoziate alla New York Stock Exchange. Le units vennero nego-
ziate a fronte delle azioni, ad es. Exxon, depositate da alcuni investitori in un
apposito «fondo patrimoniale» (trust). Alla scadenza del trust (inizialmente 5
anni), le units venivano riscattate dal trust in cambio delle azioni Exxon. Nel
frattempo ogni unit poteva essere suddivisa in una call, con scadenza pari a
quella del trust, scritta sulle Exxon e in un secondo titolo con payoff pari alla
differenza tra il valore delle azioni Exxon alla scadenza del trust e il payoff
della call. La call venne chiamata Score e il titolo residuale Prime.
I «piani di risparmio con differimento delle imposte» (deferred-tax savings
plans) identificati dalla sigla 401 (k) consentono di investire in esenzione fi-
scale parte del reddito imponibile e di percepire redditi esenti da imposte. Solo
in caso di prelevamenti (di solito, all’atto del pensionamento) l’investimento
iniziale e i redditi reinvestiti vengono assoggettati a tassazione, con un’aliquota
che è in genere inferiore a quella che sarebbe stata applicata in precedenza. I-

48
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

noltre, molti datori di lavoro contribuiscono ai piani con «fondi a proprio cari-
co» (matching funds). I prelevamenti effettuati prima dei 59,5 anni di età sono
penalizzati. I fondi possono essere «trasferiti» (rolled over) in altri piani, senza
oneri fiscali o di altro genere. Dato che alcuni piani vengono valutati annual-
mente, il loro valore al momento del rollover potrebbe anche basarsi su stime
effettuate un anno fa. Pertanto, se il valore si è ridotto rispetto all’ultima data di
valutazione, il rollover può essere conveniente. Questo è un altro esempio di
wildcard option, simile a quella che è incorporata nelle opzioni sullo S&P100.
Esistono opzioni su tassi di interesse trattate in borsa ma, a ben vedere, la
stessa «moneta» (money) è un’opzione. In base all’equazione di Fisher, il tasso
d’interesse nominale è pari alla somma tra il tasso d’interesse reale e il tasso
d’inflazione atteso. Anche se il tasso nominale non può essere negativo (dato
che i soldi possono essere comunque “investiti” sotto un materasso), il tasso
reale e il tasso d’inflazione possono essere negativi. La moneta può quindi es-
sere considerata alla stregua di una call, dato che il suo tasso di rendimento è
pari al maggiore tra zero e la somma tra il tasso reale e il tasso d’inflazione.
L’«assicurazione di portafoglio» (portfolio insurance) è una strategia
d’investimento che è giunta all’apice della sua popolarità poco prima del crash
azionario del 1987. Seguendo questa strategia, i fondi pensione di grandi di-
mensioni, preoccupati di possibili perdite sulla componente azionaria, si assi-
curano contro i ribassi del mercato azionario. Contando su questa strategia,
molti fondi pensione potrebbero aumentare la loro esposizione attesa nei con-
fronti dei prezzi delle azioni. Quest’assicurazione, simile ad un put sul portafo-
glio azionario, verrà estesamente analizzata nel Capitolo 7.

Risorse naturali viste come opzioni


Le risorse naturali, come le miniere di rame o d’oro e i pozzi petroliferi, posso-
no essere viste come opzioni. Consideriamo, ad esempio, un pozzo petrolifero
e supponiamo di conoscere il costo d’estrazione e le dimensioni del giacimen-
to. Se il prezzo del petrolio supera il costo d’estrazione, conviene estrarre; al-
trimenti, è meglio aspettare. Il pozzo può essere paragonato ad una call, con
prezzo d’esercizio pari al costo d’estrazione, scritta sul prezzo del petrolio.
Quest’analogia con le opzioni implica un paradosso che è bene illustrare
con l’esempio di una miniera d’oro. Rispetto alle riserve mondiali, l’oro che
viene impiegato in processi produttivi rappresenta solo una piccola quota. In
genere, l’oro viene richiesto soprattutto perché rappresenta una riserva di va-
lore, con bassi costi di custodia. Ma, se possedete una miniera d’oro, che dif-
ferenza ci sarebbe se, invece di esercitare l’opzione d’estrazione, decideste di
lasciare l’oro sotto terra? Se i costi d’estrazione crescono ad un tasso inferio-
re al tasso d’interesse (un’assunzione che di solito è ragionevole), sembre-
rebbe sempre conveniente procrastinare l’estrazione. Questa situazione è
analoga al risultato secondo cui non conviene mai esercitare un’opzione a-
mericana perpetua scritta su un titolo che non paga dividendi (come verrà
dimostrato più avanti). Nonostante ciò, l’oro viene continuamente estratto in

49
DERIVATI

tutto il mondo. Una possibile spiegazione è data dalla paura che le miniere
vengano espropriate da governi ostili. Un’altra, forse più interessante, è che
l’atto costoso di estrarre il metallo è il modo migliore per convincere il mer-
cato che la miniera ha bassi costi d’estrazione, con conseguenze positive sul-
la suo valutazione da parte degli operatori.
È molto più facile capire perché si estraggono le altre risorse naturali, come
petrolio e rame. Diversamente dall’oro, queste merci vengono acquistate so-
prattutto per fini di consumo. Chiaramente, senza l’estrazione non ci potrebbe
essere consumo. Questa situazione è analoga al risultato secondo cui conviene
esercitare anticipatamente un’opzione americana perpetua scritta su un titolo
che paga dividendi sufficientemente alti. Nel caso delle risorse naturali, i “divi-
dendi” sono dati dal valore supplementare della merce in quanto bene consu-
mabile. Questo vantaggio è detto «tasso di convenienza» (convenience yield).
La proprietà di un terreno comporta alcune opzioni, che consentono di sce-
gliere il momento ottimale per lo sviluppo della proprietà, l’intensità dello svi-
luppo e il momento dell’abbandono. Gran parte dello sconto concesso a chi
prende in affitto un terreno è spesso dovuto alla perdita dell’opzione di svilup-
po, un’opzione che spetta al locatore (il proprietario) ma non all’affittuario.
Le risorse naturali e le nostre due prossime categorie (i progetti
d’investimento e le altre opzioni non finanziarie) non possono essere con-
siderate derivati perché manca una controparte esplicita. Tuttavia, vengono
discusse qui perché spesso possono essere utilmente analizzate con gli
stessi metodi che vengono usati per i derivati.

Progetti d’investimento visti come opzioni


Spesso i progetti industriali incorporano alcune opzioni. Ad esempio, se si
costruisce una nuova fabbrica si rinuncia all’opportunità di rinviarne la co-
struzione per attendere ulteriori informazioni sul mercato dei suoi prodotti. Il
rinvio rappresenterebbe l’esercizio dell’«opzione di posticipazione» (option
to postpone). Quest’opzione equivale ad una call americana, con prezzo
d’esercizio pari al costo di costruzione della fabbrica, scritta sul valore attua-
le dei profitti della fabbrica. Quanto più incerto è il livello dei profitti, tanto
maggiore è il valore dell’opzione. Una fabbrica che può essere posticipata
vale più di una fabbrica, altrimenti identica, la cui costruzione non può essere
rinviata nel tempo. Questo valore aggiuntivo è dato dal valore dell’opzione.
La costruzione di una nuova fabbrica comporta l’acquisto di un’«opzione
di abbandono» (option to abandon) ossia di un’opzione di chiusura tempora-
nea degli impianti o di espansione / contrazione delle loro dimensioni. Que-
sta opzione equivale ad una put americana, con prezzo d’esercizio pari al va-
lore risultante dalla liquidazione o dalla vendita della fabbrica.
L’«opzione di sostituzione» (option to switch) equivale ad una doppia
opzione: l’opzione di abbandono e l’«opzione di avvio» (option to start).
Le scorte di materie prime incorporano l’opzione di conversione in
prodotti finiti e di successiva vendita.

50
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

Le decisioni sui progetti d’investimento assunte senza considerare le em-


bedded options possono essere troppo conservative, facendo così perdere si-
gnificative opportunità d’investimento. Se queste opzioni vengono trascurate,
le imprese possono seriamente sottovalutare i progetti. Quando le embedded
options si susseguono nel tempo, può essere un errore esercitare una delle
prime opzioni se ciò preclude l’esercizio di un’opzione successiva. In questi
casi, per prendere una decisione ottimale, è necessario considerare simulta-
neamente le implicazioni di tutte le opzioni incorporate nei progetti.
La valutazione di queste «opzioni reali» (real options) può essere molto
più difficile della maggior parte delle altre opzioni che abbiamo visto fino-
ra. Ad esempio, diversamente dalle opzioni su azioni, le opzioni reali han-
no attività sottostanti che non sono facilmente negoziabili o divisibili. Per-
tanto, può darsi che non siano utilizzabili le strategie di replica dinamica,
dato che esse richiedono acquisti o vendite delle attività sottostanti per im-
porti frazionari.

Altre opzioni non finanziarie


L’istruzione scolastica offre l’opzione di posticipare l’ingresso nel mondo
del lavoro. Com’è tipico delle opzioni, maggiore è l’incertezza circa i risulta-
ti della propria carriera lavorativa, maggiore è il valore dell’opzione e più
lungo è il periodo che precede l’esercizio (ed il tempo trascorso a scuola).
Esistono poi opzioni a favore del mondo politico, imprenditoriale o sociale
che consentono di incoraggiare l’istruzione o di orientare le forze di lavoro
verso determinati mestieri. Con spese d’istruzione aggiuntive è possibile as-
segnare alla popolazione, istruita in modo flessibile, l’opzione di cambiare
lavoro e adattarsi alle nuove tecnologie o alle nuove realtà economiche.
Siete stati offesi. Oggi, la tipica reazione è quella di querelare. Ma la que-
rela può anche essere meglio di quanto pensate se tenete conto delle opzioni
incorporate. Ad esempio, avviata la procedura, il querelante ha l’opzione di
andare in giudizio o di trovare una soluzione extragiudiziale. Nelle «opzioni
legali» (legal options) c’è un elemento di complessità che non è presente nel-
le calls negoziate in borsa. Di solito, chi acquista una call non è in grado di
influenzarne il payoff. Invece, nelle cause legali, i querelanti possono in-
fluenzare con le proprie azioni (la scelta dell’avvocato, il tempo dedicato alla
causa, ecc.) il payoff dell’opzione, ossia il risarcimento dei danni.
Chi ha la passione dei derivati vede gran parte della vita in termini di
opzioni. L’esercizio di un’opzione lega tra loro incertezza, tempismo ed
irrevocabilità. Il prezzo dell’attività sottostante alla scadenza è incerto; la
scelta della data di esercizio di un’opzione americana è una questione di
tempismo; e l’esercizio è irrevocabile, anche se di solito è possibile acqui-
stare una nuova opzione.
Il matrimonio è simile. Se guardate in avanti, non sapete chi deciderete
di sposare (incertezza). Se vi sposate ora, rinunciate alla possibilità di spo-
sarvi più tardi con qualcuno che vi piace di più (tempismo); e, a causa di

51
DERIVATI

alimenti, spese di mantenimento, custodia dei minori e fatica emotiva, non


è facile ottenere il divorzio (irrevocabilità).
Il suicidio ci offre un altro esempio. Se non vi suicidate, non saprete in
anticipo quanto misera o felice sarà la vostra vita (incertezza). Potete sui-
cidarvi ora – in un momento di disperazione – o potete aspettare finché non
sarete in grado di riflettere in modo più obiettivo (tempismo). E probabil-
mente la morte è il più irrevocabile tra gli eventi umani.
Per quanto “fredda”, la teoria di valutazione dei derivati può essere im-
piegata per ottimizzare anche queste decisioni. Spesso l’economista ne va
fiero, perché questi ragionamenti gli consentono di superare l’emotività della
vita di ogni giorno e di puntare nobilmente ad un’esistenza ottimizzata.
Queste considerazioni chiudono la nostra breve rassegna dei diversi tipi
di derivati. Se avevate poca dimestichezza con questi temi, si spera che sia-
te ora in grado di apprezzarne l’ampia portata.

Sommario: esempi di derivati


Il vero appassionato di derivati li scova dappertutto, sotto le rocce e in cielo.
Le cose più sorprendenti possono essere viste come derivati e la stessa vita
può essere interpretata alla luce della teoria di valutazione delle opzioni.
Sebbene gli esempi presenti in questo libro si basino solo sui derivati più
comuni, va comunque apprezzata la vasta portata dei temi che verranno trat-
tati. Questo è il motivo per cui ho deciso di elencare e di discutere brevemen-
te, proprio all’inizio, i diversi tipi di derivati. Sono stati divisi in 13 catego-
rie:
‰ forwards e futures;
‰ swaps;
‰ calls e puts negoziate in borsa;
‰ opzioni emesse da società;
‰ obbligazioni emesse da società;
‰ titoli di Stato;
‰ mutui e assicurazioni;
‰ titoli di istituzioni finanziarie;
‰ opzioni esotiche;
‰ altre opzioni finanziarie;
‰ risorse naturali viste come opzioni;
‰ progetti d’investimento visti come opzioni;
‰ altre opzioni non finanziarie.
Solo quando arriviamo alle ultime tre categorie possiamo cominciare ad
apprezzare l’ubiquità dei derivati. Quasi ogni giorno, nuovi derivati ven-
gono scoperti o inventati dagli «ingegneri finanziari» (financial engine-
ers).
La Bibliografia delle Applicazioni elenca i riferimenti bibliografici a
circa 175 applicazioni dei metodi esposti in questo libro.

52
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

1.5 MERCATI
Borse
I derivati vengono negoziati nelle «borse» (exchanges) e nei «mercati pa-
ralleli» (over the counter markets). In genere, le borse sono organismi
centralizzati nei cui «recinti» (trading pits) gli acquirenti e i venditori (o i
loro rappresentanti) si incontrano per effettuare transazioni. Di solito, i de-
rivati di borsa sono estremamente standardizzati. Ad esempio, le opzioni
sullo S&P500 trattate al CBOE vengono negoziate solo per un ristretto
numero di scadenze e di prezzi d’esercizio. Ne trae vantaggio la liquidità
(con positivi riflessi sui costi di transazione) e la velocità degli scambi (da-
to che il numero dei contratti è contenuto). Gli operatori devono necessa-
riamente convenire di aver negoziato al miglior prezzo possibile.
Negli Stati Uniti, le principali borse che trattano derivati sono quattro.
La più antica è il Chicago Board of Trade (CBOT), costituito nel 1848.
Al CBOT e alla Chicago Mercantile Exchange (CME), che deriva dal
Chicago Butter and Egg Board costituito nel 1874, si negoziano futures e
opzioni su futures. Per molti anni, queste borse hanno trattato solo futures
su merci. Più di recente, nel 1972, hanno cominciato a trattare anche futu-
res puramente finanziari e quindi futures su indici azionari, obbligazioni e
valute. Ancora più di recente, nel 1982, hanno cominciato a negoziare op-
zioni su futures (che erano stati vietati dal Commodity Exchange Act del
1936).
La Chicago Board Options Exchange (CBOE) è stata la prima borsa a
negoziare opzioni standard ed è ora la più grande. Aprì cautamente nel
1973 trattando calls su 16 azioni ordinarie. Subito dopo iniziò a trattare
anche le puts, ampliò sostanzialmente il numero delle azioni sottostanti e
cominciò a trattare le opzioni su indici azionari. Anche l’American Stock
Exchange (Amex) tratta opzioni su azioni e su indici azionari.
Il pannello che si trova nelle prossime due pagine riporta un elenco del-
le principali borse del mondo che trattano futures e opzioni.
Le borse vendono i propri «seggi» (seats) e chi li acquista ha diritto a
negoziare sul suo «parterre» (floor). Ogni seggio può essere intestato ad
un solo floor trader. In ultima analisi, le due controparti delle operazioni
concluse in borsa sono in genere rappresentate da un «socio» (member) che
acquista e da un altro socio che vende. Esiste un mercato secondario dei
seggi, per cui i soci possono facilmente vendere i loro seggi ad altri soci.
Negli anni più recenti, il prezzo dei seggi delle principali borse è oscillato
tra $500.000 e $1.500.000.
Gli exchange members possono essere suddivisi in cinque tipologie:
‰ i floor brokers o commission brokers, che negoziano solo per conto del
pubblico;
‰ i market-makers o locals, che negoziano solo per proprio conto ed hanno
l’obbligo di “fare mercato” (in altri termini, devono essere pronti a far
da contropartita agli ordini del pubblico);

53
DERIVATI

BORSE DI FUTURES E OPZIONI


(dicembre 1996)

(Le cifre indicate tra parentesi quadre rappresentano il numero dei


diversi tipi di contratti che sono quotati nella borsa)

Australia Australian Stock Exchange [2]. Sydney Futures


Exchange (SFE) [18]
Austria Austrian Futures and Options Exchange (ÖTOB) [4]
Belgio Belgian Futures and Options Exchange (Belfox) [6]
Brasile Bolsa de Mercadorias & Futuros (BM & F) [19]
Canada ME [7], TSE [6], WCE [6]
Cile Santiago Stock Exchange [3]
Danimarca Copenhagen Stock Exchange e FUTOP Clearing
Centre [6]
Filippine Manila International Futures Exchange (MIFE) [11]
Finlandia Finnish Options Exchange [12], SOM Finnish
Securities and Derivatives Exchange [8]
Francia Marché à terme Internationale de France (Matif)
[13], MONEP [4]
Germania Deutsche Terminbörse (DTB) [7]
Giappone C-COM [8], KANEK, KRE, KSE, NSE, OSE, TIFFE
[4], TGE [5] [5], TOCOM [7], TSE [5]
(*) Fonte: Futures 1997 Sourcebook. Tutti i derivati scritti su singole azioni sono
considerati come un unico contratto.

‰ gli specialists, che possono negoziare per proprio conto o per conto del
pubblico e che hanno l’obbligo di “fare mercato”;
‰ i registered options traders, che possono negoziare per proprio conto o
per conto del pubblico e che non hanno l’obbligo di “fare mercato”;
‰ i proprietary traders, che negoziano per proprio conto, in genere pas-
sando gli ordini per via elettronica lontano dal floor, e che non hanno
l’obbligo di “fare mercato”.

Alcuni market makers, detti scalpers, cercano di guadagnare il bid-ask spre-


ad comprando ad un prezzo un po’ più basso di quello a cui vendono. In ge-
nere, questi operatori sono day traders, nel senso che chiudono le posizioni
nello stesso giorno in cui le aprono, in modo da essere «pareggiati» (flat) do-
po la chiusura. Nonostante il margine d’intermediazione su ogni coppia di
transazioni, questi operatori migliorano la liquidità del mercato.

54
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

Hong Kong Hong Kong Futures Exchange (HFKE) [10]. Stock


Exchange of Hong Kong (SEHK) [1]
Israele Tel Aviv Stock Exchange (TASE) [2]
Italia Italian Stock Exchange [2]
Malesia Kuala Lumpur Commodity Exchange (KLCE) [1]
Norvegia Oslo Stock Exchange (OSLO) [4]
Olanda European Options Exchange (EOE) [8], Financiele
Termijnmarkt Amsterdam (FTA) [5]
Regno Unito International Petroleum Exchange (IPE) [2], London
International Futures and Options Exchange
(LIFFE) [24], London Metal Exchange (LME) [7],
London Securities and Derivatives Exchange
(OMLX) [4]
Singapore Singapore Commodity Exchange, Singapore
International Monetary Exchange (Simex) [12]
Spagna Meff RF [7], Meff RV [3]
Stati Uniti Amex, CBOE, CBOT [53], CHX, CME [42], CSCE,
KCBT, MGE, New York Cotton Exchange (NYCE),
Nymex, PSE, Philadelphia Stock Exchange (PHLX)
Sud Africa South Africa Futures Exchange (SAFEX) [8]
Svezia OM Stockholm AB (OMS) [19]
Svizzera Swiss Options and Financial Futures Exchange
(Soffex) [5]
Ungheria Budapest Commodity Exchange [17], Budapest
Stock Exchange [8]

Alcuni traders, detti spreaders, non avendo opinioni sulla direzione in cui
muoverà il sottostante, cercano di fare profitti comprando e vendendo con-
tratti i cui prezzi sembrano essere relativamente «disallineati» (mispriced).
Infine, alcuni market makers, detti position traders, assumono posizioni
nella speranza di trarre profitto da un disallineamento dell’attività sotto-
stante che sarà forse corretto solo dopo molte settimane. In genere, gli ope-
ratori che intendono negoziare frequentemente e per quantità rilevanti si
comprano un seggio. In tal modo hanno accesso ad informazioni privilegia-
te sugli ordini del pubblico e possono negoziare a costi molto più bassi ri-
spetto a quelli previsti per il pubblico e con depositi di garanzia sensibil-
mente inferiori.
I metodi utilizzati dalle borse per organizzare gli scambi sono due: il
sistema degli specialists e quello dei market makers. Gli specialists gesti-
scono il libro degli «ordini con limite di prezzo» (limit orders), ossia degli

55
DERIVATI

ordini di acquisto o di vendita al prezzo specificato o migliore. In genere,


gli specialists eseguono gli «ordini al meglio» (market orders), ossia gli
ordini di acquisto o di vendita senza indicazioni di prezzo, mettendosi in
diretta contropartita oppure associandoli ad ordini di segno opposto presen-
ti nel «libro ordini» (order book), ossia nel libro che contiene gli ordini con
limite di prezzo non ancora eseguiti. Nel sistema dei market makers, gli
ordini del pubblico vengono passati ai floor brokers che, mediante «aste
alle grida» (open outcry auctions) condotte in «recinti» (trading pits), li
associano ad ordini di segno opposto di altri floor brokers o di market ma-
kers. Diversamente dal sistema degli specialists, in cui – per ogni trading
pit – c’è un solo specialist, nel sistema dei market makers diversi operatori
competono l’uno contro l’altro. Le informazioni relative agli ordini con
limite di prezzo vengono curate da un «funzionario addetto al libro ordini»
(order book official), che le rende disponibili a tutti i traders.
Una regola controversa è quella che vieta le negoziazioni a prezzi che si
discostano troppo dall’ultimo prezzo di liquidazione. Ad esempio, se i «limiti
di prezzo» (price limits) sono pari a ±20 punti (centesimi o dollari, a seconda
dei casi), non si possono effettuare negoziazioni a prezzi maggiori o minori
di 20 punti rispetto all’ultimo prezzo di liquidazione. Gli «scarti limite» (limit
moves) sono le variazioni, positive o negative, pari al limite giornaliero. Se il
prezzo scende o sale in misura pari al limite fissato, si dice che il contratto è
«limitato in basso» (limit down) o che è «limitato in alto» (limit up).
Le posizioni su derivati non possono eccedere certi limiti. I «limiti di
posizione» (position limits) fissano il numero massimo dei contratti che gli
speculatori, agendo da soli o in gruppo, possono detenere. Essi tendono ad
impedire che gli speculatori esercitino un’indebita influenza sul mercato.
Gli altri traders possono essere esonerati da questi limiti se vengono con-
siderati «hedgers in buona fede» (bona fide hedgers).
Nel caso delle opzioni sono previsti anche limiti al numero dei contrat-
ti, scritti sulla stessa attività sottostante, che possono essere esercitati da un
solo investitore o da un gruppo di investitori che agiscono insieme. I «limi-
ti di esercizio» (exercise limits) e i limiti di posizione possono risultare
particolarmente vessatori per gli investitori istituzionali (come i fondi pen-
sione da molti miliardi di dollari) ma attenuano gli incentivi a manipolare i
prezzi o a sfruttare in modo illegale le informazioni riservate.
Dato che gli indici sono più difficili da manipolare rispetto alle singole
azioni e dato che è più difficile ottenere informazioni riservate sugli indici,
i limiti di posizione per le opzioni su indici sono molto più elevati di quelli
previsti per le opzioni su singole azioni.

Stanze di compensazione
Tra il cliente e l’exchange member che esegue l’ordine c’è sempre un sog-
getto che si interpone: si tratta del futures commission merchant (FCM) nei
mercati dei futures e del registered option principal (ROP) nei mercati del-

56
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

Figura 1.5 FCMs, APs, ROPs, RRs e clearinghouses

‰ FCMs, APs, ROPs, RRs


‰ Clearing houses
– compensano gli ordini
– regolano i pagamenti tra le controparti
– ricevono i depositi di garanzia
– garantiscono le transazioni

Floor Floor
Compratore Broker Borsa Broker Venditore
broker broker

Clearing Clearing Clearing


member house member

le opzioni. Alle dipendenze di ogni FCM e di ogni ROP si trovano, rispet-


tivamente, le associated persons (APs) e i registered representatives (RRs)
che operano direttamente col cliente. Le associated persons e i registered
representatives sono chiamati meno formalmente «mediatori» (brokers).
Sono loro che trasmettono gli ordini dei clienti ai propri «tavoli operativi»
(desks) presenti sul floor della borsa. Se l’ordine non è stato trasmesso per
via elettronica al limit order book, curato dallo specialist o dall’order book
official, un commesso provvede a consegnarlo a mano ad uno dei floor /
commission brokers dell’appropriato trading pit.
I contratti che vengono negoziati sul floor della borsa sono garantiti da
una «stanza di compensazione» (clearing house), controllata da una o più
borse. I soci della clearing house possono «compensare le negoziazioni»
(clear trades), ossia inoltrare le transazioni alla clearing house. La clearing
house abbina gli ordini di acquisto e di vendita dello stesso contratto. Le ne-
goziazioni le cui descrizioni, inoltrate dalle due controparti, non collimano
sono chiamate out trades. Queste discordanze vengono in genere riconciliate
prima dell’apertura del mercato. I regolamenti per contanti tra le controparti
avvengono attraverso la clearing house, che si comporta come un interme-
diario. Dato che ad ogni acquisto corrisponde sempre una vendita, il saldo
dei pagamenti effettuati attraverso la clearing house è sempre nullo, se si tra-
scura una piccola «commissione di compensazione» (clearing fee) e si assu-
me che non vi siano insolvenze. La Figura 1.5 illustra l’intera procedura.
Una volta che la negoziazione è stata effettuata, la clearing house si in-
terpone tra i due contraenti sollevando entrambi dal rischio che la controparte
risulti insolvente. La solvibilità della clearing house è assicurata, oltre che

57
DERIVATI

dalle sue attività, dai «depositi di garanzia» (clearing margins) che i clear-
ing members sono tenuti ad effettuare, da un fondo di garanzia e dai «diritti
di prelievo» (drawing rights) nei confronti dei clearing members. Nei casi di
forti variazioni dei prezzi, la clearing house può richiedere ai soci più esposti
di integrare i depositi di garanzia. In genere, i versamenti devono essere ef-
fettuati entro un’ora dalla «richiesta di integrazione» (margin call). Anche
l’importo che va depositato all’apertura di nuova posizione, detto «margine
iniziale» (initial margin), può essere modificato con breve preavviso. Queste
procedure assicurano ai derivati di borsa una notevole integrità finanziaria.
Deve crollare l’intero mercato prima che un’operazione su derivati non
venga onorata. A volte qualche clearing member fallisce ma finora non è
mai fallita nessuna clearing house, pur se la possibilità esiste. La solidità
delle clearing houses può essere minata da forti ed improvvise variazioni
nei prezzi delle attività sottostanti. Tuttavia, le clearing houses sono so-
pravvissute al crollo del mercato azionario del 1987, quando lo S&P500
scese del 20 per cento in un solo giorno e il futures sullo S&P500 scese del
29 per cento.
Negli Stati Uniti, ognuna delle principali borse dove si negoziano futu-
res ha la sua clearing house. La prima venne creata dal Chicago Board of
Trade negli anni ‘20. Invece le quattro borse dove si negoziano opzioni,
incluse due borse regionali (la Pacific Exchange e la Philadelphia Stock
Exchange), controllano congiuntamente una sola clearing house, la Op-
tions Clearing Corporation (OCC).

Depositi di garanzia e commissioni


Gli importi dei depositi di garanzia variano in funzione dei derivati e le rego-
le utilizzate per determinarli possono essere particolarmente complesse nel
caso di portafogli di più derivati. Per capirle occorre contattare le singole
borse. Qui vedremo solo lo schema dei principi economici che ne sono alla
base e ci occuperemo solo di azioni e di opzioni su azioni e su indici.
Spesso gli investitori possono finanziare parte delle loro posizioni sulle
attività sottostanti prendendo a prestito denaro, di solito dai loro brokers.
Ad esempio, negli Stati Uniti, per acquistare azioni attraverso brokers regi-
strati è sufficiente disporre di non più della metà del prezzo d’acquisto. Sa-
rà il broker a fare in modo che l’investitore possa disporre di un finanzia-
mento per l’altra metà del prezzo. Il versamento del 50 per cento effettuato
dall’investitore rappresenta il margine iniziale. Ad esempio, nel caso di
un’azione con prezzo corrente di $100, il margine iniziale è di $50. Pertan-
to, in termini percentuali, il margine iniziale è del 50% ( = $50/$100).
Successivamente, il prezzo di mercato dell’azione potrà cambiare
(Tavola 1.7). Supponiamo che salga a $125. L’investitore potrebbe chiudere
la posizione vendendo l’azione e rimborsando il prestito. Trascurando il pa-
gamento degli interessi, l’investitore si ritroverebbe con $75 (= $125 – $50).
Questo valore di liquidazione è detto account equity. In qualsiasi momento,

58
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

Tavola 1.7 Azioni: depositi di garanzia

Margine corrente = Valore di liquidazione / Valore di mercato


Per le azioni: Margine iniziale = 50%, Margine di mantenimento = 25%

Supponiamo di comprare un’azione a $100, finanziandone l’acquisto per


metà con fondi propri e per metà con denaro preso a prestito (r = 1)
Margine corrente = 50% (= $50 / $100)

Se l’azione sale a $125 ¨ Margine corrente = 60% (=$75 / $125)


[prelevando $12,5 il margine corrente diventa pari al 50% (= $62,5 / $125)]
Se l’azione scende a $75 ¨ Margine corrente = 33,3% (= $25 / $75)
[il deposito di garanzia è “bloccato”; nessun prelevamento è consentito]
Se l’azione scende a $60 ¨ Margine corrente = 16,7% (= $10 / $60)
[dobbiamo versare $5 per portare il margine corrente al 25% (= $15 / $60)]

l’investitore può calcolare il suo margine corrente, in termini percentuali,


dividendo l’account equity per il prezzo di mercato dell’azione. Se il prezzo
dell’azione è pari a $125, il margine è pari al 60% (=$75/$125).
Il mercato può anche prevedere regole che costringano l’investitore a
mantenere un certo margine percentuale minimo. Questo «margine di man-
tenimento» (maintenance margin) è di solito più basso del margine inizia-
le. Ad esempio, se il prezzo dell’azione scende a $75, il margine corrente
passa al 33,33% (= $25/$75). Se questo livello è minore del maintenance
margin richiesto, l’investitore deve integrare il suo deposito o vendere
l’azione entro pochi giorni.
I depositi di garanzia mirano ad assicurare che gli investitori mantengano
i propri impegni. Nel caso delle azioni acquistate «a credito» (on margin), il
margine garantisce il broker dall’insolvenza del cliente. La garanzia è rap-
presentata non solo dall’azione ma anche dal deposito effettuato dall’investi-
tore. Di conseguenza, il prezzo dell’azione può scendere in misura pari
all’importo del deposito di garanzia senza che si verifichi alcuna insolvenza.
Nel caso dei derivati, i livelli dei depositi di garanzia implicano che, a
parità di esposizione verso l’attività sottostante, l’investitore può finanziar-
si per importi più elevati di quelli che avrebbe altrimenti potuto ricevere se
avesse scelto di investire direttamente nell’attività sottostante.
I livelli minimi dei depositi di garanzia che gli investitori sono tenuti ad
effettuare vengono fissati dalle borse e dipendono dalla volatilità dell’attività
sottostante: i margini crescono al crescere della volatilità (Tavola 1.8). Nel
caso dei futures, dato che gli obblighi sono simmetrici, il margine è lo stesso
per gli acquirenti e i venditori, oscillando in genere tra il 3% e l’8% dell’e-

59
DERIVATI

Tavola 1.8 Derivati: depositi di garanzia

Acquisto / vendita di futures Margine iniziale: 3-8% del prezzo


dell’attività sottostante. Margine di mantenimento: da metà a 3/4
quarti del margine iniziale.
Acquisto di call o put Pagamento integrale dei premi; non sono richiesti
ulteriori versamenti.
Vendita di call o put su azioni (indici) Il 100% del ricavato della vendita
più il 20% (15%) del prezzo dell’attività sottostante [ridotto in misura
pari all’importo per il quale l’opzione è out of the money. In ogni caso,
il deposito deve essere almeno pari al 10% del prezzo dell’attività].
Opzioni più attività sottostante Nessun deposito per le opzioni vendute
se sono coperte dall’attività sottostante (ad esempio, vendita di call e
acquisto del sottostante).
Opzioni più opzioni (sulla stessa attività sottostante) Se un’opzione
copre un’altra opzione sullo stesso sottostante, il margine è minore
della somma dei margini che sarebbero stati altrimenti richiesti.

sposizione verso l’attività sottostante. Il margine iniziale è quasi sempre più


alto del margine di mantenimento. Sulla base di una procedura che differisce
da quella in uso nel mercato spot, quando il margine scende al di sotto del
livello di mantenimento, la posizione sui futures deve essere liquidata o il
margine va ripristinato al livello iniziale. Invece, nel mercato spot è suffi-
ciente ripristinare il margine al livello di mantenimento.
Nel caso delle opzioni, i livelli minimi dei depositi di garanzia seguono
una propria logica. L’acquisto di opzioni deve essere interamente finanzia-
to dall’investitore, che non può in tal caso prendere denaro in prestito dal
suo broker. Il motivo è che le opzioni sono già di per sé piuttosto rischiose
rispetto all’attività sottostante. È molto più facile perdere il 100% dell’in-
vestimento (se l’opzione dovesse finire out of the money). Naturalmente,
non c’è bisogno che il compratore effettui un versamento superiore al costo
dell’opzione, dato che in nessun caso sarà tenuto a pagare di più.
Invece, il venditore può perdere un importo maggiore del premio inizial-
mente incassato. Ad esempio, la vendita di una call effettuata senza possede-
re l’azione sottostante è detta vendita di una «call scoperta» (uncovered
call). Se la call finisce in the money, il venditore è costretto a comprare
l’azione per consegnarla al compratore ed il costo dell’azione, al netto del
prezzo d’esercizio incassato, potrà risultare superiore al premio. Pertanto, il
venditore non solo è tenuto a lasciare al broker il ricavato della vendita della
call, ma deve anche effettuare un versamento integrativo. Questo versamento
è maggiore nel caso delle singole azioni rispetto al caso delle opzioni su in-
dici, dato che le singole azioni sono tipicamente più rischiose (volatili) ri-
spetto agli indici, che godono dei benefici della diversificazione.

60
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

Fin dal giugno 1988, la vendita di opzioni at the money o in the money
è soggetta a un deposito pari al 20% del prezzo dell’attività sottostante, ol-
tre al versamento del 100% del ricavato. Nel caso delle opzioni out of the
money, il deposito del 20% del prezzo dell’attività sottostante è ridotto in
misura pari all’importo per il quale l’opzione è out of the money; in ogni
caso, il deposito deve essere almeno pari al 10% del prezzo dell’attività. Le
opzioni su indici richiedono depositi di minore importo: il 15% invece del
20%. Nel caso delle opzioni su azioni e su indici non si fa nessuna distin-
zione tra margine iniziale e margine di mantenimento.
Invece, se la call venduta è «coperta» (covered), per cui il venditore de-
tiene l’azione sottostante, non è richiesto alcun deposito. In questo caso il
broker è indifferente dato che, se la call termina in the money, il venditore
già possiede l’azione che deve consegnare. In effetti, le attuali regole con-
sentono al venditore della covered call di prendere in prestito fino al 50%
del costo dell’azione e di utilizzare il ricavato della vendita della call per
coprire un’ulteriore quota del costo dell’azione.
Ora che sono negoziabili (mentre fino al 1° maggio 1975 erano fisse),
le commissioni su futures e opzioni variano notevolmente da broker a bro-
ker. Per farsi un’idea delle commissioni su opzioni che ci si può aspettare
da un discount broker, si veda la seguente tavola:

Valore della transazione ($) Commissione ($)


2.500 o meno $29 + 1,6% del valore della transazione
2.501-10.000 $49 + 0,8% del valore della transazione
Oltre 10.000 $99 + 0,3% del valore della transazione

Di solito, le commissioni su opzioni vanno pagate sia quando la posizione


viene aperta sia quando viene chiusa (con la vendita o l’esercizio). Invece,
le commissioni su futures vanno pagate solo se la posizione viene chiusa.
Le commissioni rappresentano solo la parte più visibile ed esplicita dei
costi di transazione. Forse ancor più significativi sono i bid-ask spreads e gli
impatti sfavorevoli sui prezzi di mercato. Nel caso degli ordini di piccola di-
mensione, il limite superiore è rappresentato dai bid ask spreads quotati, sia
perché gli spreads effettivamente addebitati dai market makers vengono in
genere ridotti, sotto le spinte concorrenziali, sia perché gli ordini del pubbli-
co possono incrociarsi direttamente senza che intervenga un market maker.
Se si vuole creare un’esposizione a breve termine su una certa attività,
è in genere molto più conveniente – in termini di costi di transazione – uti-
lizzare il mercato dei derivati. Per le esposizioni di più lungo-termine, da
tenere in vita per diversi anni, i derivati di lunga durata non esistono o non
sono molto liquidi. In questi casi è meglio utilizzare i derivati più liquidi,
di breve durata, e rinnovarli alla scadenza. Tuttavia, i costi di transazione
possono essere alla fine rilevanti, dato che vengono pagati ad ogni «data di
rinnovo» (rollover date). Esiste quindi un orizzonte temporale al di là del

61
DERIVATI

quale conviene comprare direttamente l’attività sottostante e mantenerne la


proprietà fino alla fine del periodo.
Le opzioni su azioni detenute da investitori individuali per meno (più) di
un anno sono tassate in base alle aliquote previste per «i guadagni o le perdi-
te in conto capitale» (capital gains or losses) a breve (lungo) termine. Se una
call venduta viene poi esercitata, il prezzo di vendita fiscale dell’azione è
pari allo strike più il premio. I profitti su opzioni scritte su indici, obbligazio-
ni e valute vengono tassati annualmente mentre le perdite sono deducibili
solo se realizzate. Il 60% degli utili è tassato in base all’aliquota prevista per
i capital gains a lungo termine e il 40% in base all’aliquota prevista per i
capital gains a breve termine. Anche nel caso dei futures si ipotizza che le
operazioni vengano liquidate a fine anno per determinare guadagni o perdite
in conto capitale. I futures su valute rappresentano un’eccezione, dato che i
profitti e le perdite vanno riportati nella dichiarazione ordinaria dei redditi.

Organi di controllo
La Securities and Exchange Commission (SEC) venne creata con il Securi-
ties Exchange Act del 1933 per regolare le negoziazioni di azioni ed obbliga-
zioni. Nel 1973 le sue responsabilità vennero estese anche al settore delle
opzioni negoziate in borsa. Tra le prerogative della SEC figurano la registra-
zione degli operatori, l’approvazione dei nuovi contratti e l’informativa sui
rischi delle operazioni. Uno dei principali obiettivi è quello di prevenire abu-
si a danno degli investitori con operazioni non appropriate e negoziazioni
eccessive. Gli investitori che intendono utilizzare i derivati negoziati in borsa
devono prima firmare una dichiarazione, richiesta dalla SEC, nella quale af-
fermano di essere a conoscenza dei rischi che le operazioni comportano.
La Commodity Futures Trading Commission (CFTC) venne creata nel
1974, in base ad emendamenti del Commodity Futures Trading Act. La
CFTC ha la responsabilità del funzionamento dei mercati dei futures ma
non è lei che fissa i livelli minimi dei depositi di garanzia, materia che re-
sta di competenza delle singole borse.
La National Futures Association (NFA), un’associazione privata creata
nel 1982, fissa gli standards per la registrazione di chi opera sui mercati dei
futures ed ha l’autorità per imporre multe ai propri associati in caso di con-
dotte non conformi ai principi di deontologia professionale.

Mercati over the counter


Le operazioni di maggiore dimensione su derivati tendono ad essere nego-
ziate nei «mercati paralleli» (over-the-counter markets) piuttosto che in
borsa. Esse vengono spesso negoziate e concluse per telefono sulla base
dei prezzi bid e ask indicati dai dealers sui propri schermi. Il vostro bro-
ker/dealer è tenuto ad eseguire gli ordini d’acquisto al più basso prezzo
ask, o migliore, e ad eseguire gli ordini di vendita al più alto prezzo bid, o
migliore. Quando discute i vostri ordini al telefono con un altro dealer, può

62
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

anche riuscire ad ottenere prezzi migliori rispetto a quelli esposti sul suo
schermo. È questo il cosiddetto «miglioramento di prezzo» (price impro-
vement). Il vostro broker/dealer può anche eseguire lui stesso il vostro or-
dine, assumendo per proprio conto una posizione di segno opposto oppure
incrociando il vostro ordine con quello di un altro cliente. In ogni caso, è
tenuto ad applicarvi un prezzo non peggiore del miglior prezzo disponibile
sul suo schermo.
I forwards e gli swaps vengono negoziati nei mercati over the counter.
Invece, tutti i futures vengono negoziati – per legge – in borsa e le opzioni
in entrambi i mercati. La maggior parte delle operazioni su derivati valutari
si svolge nel «mercato interbancario» (interbank market), una rete che le-
ga le principali banche del mondo. Le singole banche agiscono da broker
per la clientela e negoziano con altre banche. Le banche più attive svolgo-
no anche il ruolo di market maker e dispongono di «sale operative» (dea-
ling rooms) con «postazioni» (desks) diverse a seconda delle attività sotto-
stanti e della tipologia di contratti (spot, forwards, opzioni, ecc.).
Dato che le negoziazioni dei mercati over the counter non vengono rego-
late da una clearing house, il rischio di credito può rappresentare un proble-
ma. I dealers con il miglior standing creditizio ne risultano avvantaggiati. A
volte le operazioni vengono garantite da una terza parte (il “garante”).
Diversamente dai derivati di borsa, le condizioni dei contratti negoziati
nei mercati over the counter possono essere personalizzate per andare in-
contro alle necessità delle controparti. Tuttavia, anche l’American Stock
Exchange ha reso possibile la personalizzazione di alcuni opzioni su indi-
ci, le cosiddette FLEX, che consentono alle controparti di scegliere i prezzi
d’esercizio e le date di scadenza (fino a cinque anni).
Invece di comprare futures e opzioni direttamente, è possibile acquistare
appositi fondi a gestione attiva. È bene che gli investitori si avvicinino a que-
sti fondi con attenzione. In particolare, i «fondi di futures su merci» (com-
modity futures funds) sono gravati da elevate commissioni di gestione, pari
a circa il 19% annuo. La performance anche dei migliori tra questi fondi è
difficile da giudicare a causa di una forte «distorsione da sopravvivenza»
(survivorship bias). Infatti, i fondi offerti agli investitori sono quelli che han-
no avuto i migliori risultati, forse solo per caso. Di quelli meno fortunati non
se ne sente parlare perché escono dal mondo degli affari. Pertanto, la perfor-
mance osservata in passato può essere una guida pericolosa per il futuro.

Abusi a danno degli investitori


Ogni medaglia ha il suo rovescio. A mio avviso, il lato peggiore del merca-
to dei derivati è rappresentato dai possibili abusi a danno degli investitori.
In particolare, le opzioni possono determinare diversi conflitti d’interesse
tra investitori e brokers.
Supponiamo che un investitore possieda un’azione. Il suo broker po-
trebbe cercare di convincerlo a vendere una call perché così l’investitore

63
DERIVATI

riceverebbe un reddito immediato e nello stesso tempo si coprirebbe dal


rischio. Tuttavia, se il prezzo dell’azione terminasse al di sopra del prezzo
d’esercizio, l’investitore dovrebbe rinunciare anche ai relativi profitti.
Chiaramente, la vendita della call presenta vantaggi e svantaggi.
In realtà, la call venduta potrebbe risultare conveniente solo al broker.
Vendendo la call a fronte dell’azione acquistata in precedenza, il broker
guadagna una seconda commissione e, dato che l’azione dà sufficienti ga-
ranzie, non assorbe altro capitale. Anzi, il ricavato della vendita dell’op-
zione va ad incrementare il capitale disponibile per nuovi investimenti.
Pertanto, la vendita di covered calls comporta un aumento delle commis-
sioni e fa aumentare il capitale disponibile. Ma soprattutto, se l’opzione
finisce in the money, il broker può guadagnare una terza commissione
quando è costretto a ricomprare la call per chiudere la posizione in essere.
Infine, il broker potrebbe sostenere che l’opzione scaduta deve essere so-
stituita con una nuova e, dato che le opzioni negoziate in borsa hanno in
genere durate molto brevi, il ciclo ricomincerebbe dopo pochi mesi.
Per fare un altro esempio, il broker potrebbe suggerire la vendita di op-
zioni out of the money che scadono in genere senza essere state esercitate e
generano quindi profitti pari ai premi incassati. Tuttavia, se le opzioni termi-
nano in the money, le perdite per il venditore possono essere notevoli, specie
in confronto ai premi iniziali. I rischi possono essere enormi ed il venditore
potrebbe non essere in grado di rendersene conto prima che sia troppo tardi.
Per scoraggiare questi comportamenti, la Commodities Futures Trading
Commission e la Securities Exchange Commission richiedono che vengano
applicati i principi di «idoneità del cliente» (customer suitability) e siano
rispettati gli obblighi di «informativa» (disclosure).
Verso la fine degli anni ‘80, alcuni intermediari finanziari hanno offer-
to piani d’investimento che prevedevano commissioni su opzioni pari al
25%-40% dei premi e la rotazione dei portafogli ogni 2-10 settimane. Sono
così incorsi nei reati di «eccesso di oneri di negoziazione» (trading with
excessive costs) e di «eccesso di rotazione» (churning). Ad esempio, un
cliente con un piano da $5.000 e commissioni pari al 25%, avrebbe pagato
$1.000 in commissioni, investendo in effetti solo $4.000. Se fosse riuscito
ad andare in pari, due settimane dopo avrebbe pagato altri $800 in commis-
sioni, reinvestendo solo $3.200. Per riavere a fine anno i $5.000 iniziali, il
tasso di rendimento avrebbe dovuto essere pari al 21.000%! Tale fu
l’ingenuità dei clienti e l’ambiguità delle tecniche di marketing che decine
di migliaia di investitori persero centinaia di milioni di dollari.
L’avidità umana non conosce limiti. La Tavola 1.9 riporta un elenco
delle diverse tipologie di comportamenti fraudolenti.
Gli ordini dei clienti devono essere portati in borsa in modo da poter
essere eseguiti ai migliori prezzi, bid o ask. Se il broker non rispetta
quest’obbligo, «monopolizzando» (bucketing) gli ordini ed eseguendoli
internamente, per il proprio tornaconto, commette un reato.

64
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

Tavola 1.9 Abusi a danno degli investitori

Alligator spreading Eseguire uno spread che “si magia vivo


l’investitore” a causa dell’elevato costo delle commissioni.

Bucketing Eseguire un ordine internamente (senza portarlo in borsa)


assumendo la posizione opposta a quella del cliente.

Capping Manipolare il prezzo dell’attività sottostante in modo da


forzare un’opzione a finire out of the money.

Cherry picking Attribuire le operazioni più proficue ad un cliente


piuttosto che agli altri.

Chumming Effettuare negoziazioni incrociate, che gonfiano i volumi


scambiati, per creare una parvenza di liquidità.

Churning Eccedere nella rotazione dei titoli di un cliente per


aumentare le commissioni.

Cross-trading Acquistare e vendere lo stesso contratto per lo stesso


importo e lo stesso prezzo.

Cuffing Rinviare l’esecuzione di un ordine per favorire un altro


trader.

Elbow trading Eseguire privatamente un ordine senza mostrarlo agli


altri traders presenti sul trading pit.

Front running Comprare o vendere – prima del cliente – lo stesso


titolo che il cliente vuole comprare o vendere. Si ha cross-market front
running quando il titolo in questione è correlato con quello del cliente.

Ghosting Agire in modo coordinato con altri market makers per


spingere il prezzo di un’attività in una certa direzione.

Pegging Manipolare il prezzo dell’attività sottostante in modo da


forzare un’opzione a finire in the money.

Piggy-backing Comprare o vendere un’attività seguendo l’esempio di


un cliente con informazioni riservate.

Ponzi scheming Utilizzare gli investimenti degli ultimi investitori per


rimborsare i primi (facendo passare i nuovi fondi per “utili
conseguiti”).

Pre-arranging Eseguire un ordine in modo non concorrenziale sulla


base di accordi presi al di fuori del trading pit.

Trading with excessive costs Caricare commissioni eccessive o


negoziare a bid-ask spreads troppo elevati.

Wash selling Effettuare una vendita fittizia per ridurre gli oneri fiscali.

65
DERIVATI

Le manipolazioni del prezzo dell’attività sottostante che forzano un’op-


zione a finire out of the money o in the money sono dette, rispettivamente,
capping e pegging. Se un investitore ha una posizione molto rilevante
sull’opzione, le perdite sul mercato spot che la manipolazione può causar-
gli sono più che compensate dai profitti sull’opzione. È questo uno dei mo-
tivi che giustificano i limiti di posizione e di esercizio.
I market makers o i locals hanno interesse ad attrarre gli ordini del
pubblico sui titoli a loro assegnati. Un modo per farlo è di creare una par-
venza di liquidità con negoziazioni incrociate che gonfiano i volumi scam-
biati. Una volta che gli ordini arrivano, i floor traders possono incassare il
bid-ask spread. Questa pratica è nota come «inciucio» (chumming).
Com’è stato riportato dalla stampa, Hillary Clinton – prima che suo
marito diventasse Presidente degli Stati Uniti – ha realizzato profitti molto
elevati utilizzando i futures su merci. Il suo broker negoziava gli stessi fu-
tures per molti clienti nello stesso giorno. Si disse che avrebbe potuto av-
vantaggiarla «cogliendo» (cherry-picking) le operazioni più proficue per
attribuirle a lei piuttosto che agli altri clienti.
Gli ordini che giungono al trading pit dovrebbero essere eseguiti in
un’asta alle grida aperta a tutti i traders. Un modo per privare il cliente del
prezzo equo risultante da questo meccanismo competitivo è quello di par-
tecipare ad una «negoziazione disgiunta» (elbow trade), in cui due traders
vicini l’un l’altro nel trading pit eseguono privatamente l’ordine senza mo-
strarlo agli altri.
Tra le regole volte a proteggere gli investitori figura la proibizione delle
«giocate in anticipo» (front running). Questa fattispecie si verifica quando
un broker, sapendo che il suo cliente sta per comprare o per vendere, compra
o vende – prima del cliente – lo stesso titolo (o un titolo ad esso legato). C’è
un chiaro conflitto di interessi, dato che il broker sa che l’ordine del cliente
spingerà la quotazione in una certa direzione. Pertanto, il broker comprerà (o
venderà) ad un prezzo minore (o maggiore) di quello del cliente ed il cliente
otterrà un prezzo meno vantaggioso proprio a causa della negoziazione effet-
tuata dal broker. Le regole relative al front running sono ancora in corso di
affinamento ma un altro tipo di front running, chiaramente illegale negli Stati
Uniti, è rappresentato dalla negoziazione di opzioni effettuata sulla base di
informazioni riservate sull’imminente scambio di un pacchetto di titoli di
grosse dimensioni. L’operazione consentirà di realizzare un profitto quando
il mercato delle opzioni recepirà il prezzo a cui il pacchetto è stato negoziato.

Mercati dei derivati: dimensioni


Come si misura la dimensione del mercato dei derivati? Una possibilità è
quella di misurare – ad una certa data – il valore dei derivati in circolazio-
ne. Tuttavia, questa misura non funziona dato che i futures – un’importante
componente di questo mercato – vengono liquidati ogni giorno ed il loro
valore viene quotidianamente azzerato.

66
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

Tavola 1.10 Dimensioni del mercato globale

DERIVATI: OPEN INTEREST (valori nozionali in miliardi di dollari)


Borse Over the counter
Futures Opzioni Forwards Opzioni Swaps
Reddito fisso 6.440 3.390 3.500 2.000 8.000
Indici azionari 150 390
Valute 28 250 9.000 800 1.000
Azioni 50
Totale 6.618 4.080 12.500 2.800 9.000
MERCATI SPOT: TITOLI IN CIRCOLAZIONE (miliardi di dollari)
Obbligazioni 18.600
Depositi 15.500 Stime tratte dal Wall Street Journal
Azioni 13.700 per fine 1993 e metà 1994
Totale 47.800

L’«open interest» è il numero dei contratti in essere. Nei mercati dei


futures e delle opzioni, l’open interest è il numero dei contratti detenuti dai
compratori. Naturalmente, dato che ci sono tanti compratori quanti vendi-
tori, l’open interest può anche essere definito come il numero dei contratti
detenuti dai venditori. Questa misura non tiene conto delle differenze so-
stanziali tra i vari contratti per quanto riguarda il numero di unità o il prez-
zo dell’attività sottostante.
Un’altra misura è rappresentata dal «valore nozionale» (notional value)
delle attività sottostanti. Ad esempio, il futures sullo S&P500 obbliga il
compratore ad acquistare 250 unità dello S&P500. Se il prezzo spot
dell’indice è pari a $1.000, il futures è simile ad un investimento di
$250.000 (= 250 × $1.000) nel portafoglio a cui si riferisce lo S&P500. Il
valore nozionale dell’attività sottostante il futures è di $250.000. Moltipli-
cando il valore nozionale per l’open interest si ottiene il valore complessi-
vo delle attività sottostanti i contratti futures in essere.
Ad esempio, il 7 aprile 1998 il prezzo di chiusura dello S&P500 fu di
$1.109,55 e l’open interest del futures sullo S&P500 trattato alla Chicago
Mercantile Exchange fu di 362.111 contratti. Pertanto, il valore complessi-
vo delle attività sottostanti i contratti futures in essere era di $100,5 miliar-
di (= 250 × 362.111 × $1109,55).
La Tavola 1.10 riporta alcune stime sulla dimensione del mercato inter-
nazionale dei derivati, misurata in termini del valore nozionale delle attività
sottostanti. L’industria dei derivati risulta essere enorme, potendo vantare
dimensioni simili a quelle dei mercati a pronti. Il mercato dei derivati sta cre-
scendo rapidamente e dovrebbe presto superare, se non lo ha già fatto, la di-

67
DERIVATI

mensione del mercato a pronti. In realtà, secondo le stime della Bank for In-
ternational Settlements con sede a Basilea, la dimensione del mercato over
the counter a fine marzo 1995 era già pari a $47,5 migliaia di miliardi. La
spaccatura per settore mostra che la maggior parte delle operazioni è rappre-
sentata dai derivati su tassi d’interesse e che l’open interest dei futures e dei
forwards tende ad essere maggiore di quello delle opzioni.
Un’altra misura della dimensione dei mercati dei derivati è rappresentata
dal «volume degli scambi» (trading volume), anch’esso determinato in base
al valore nozionale delle attività sottostanti. Assumendo per difetto che il
rapporto tra il volume giornaliero degli scambi e l’open interest sia pari a
8,5, e supponendo che ci siano 252 giorni lavorativi in un anno, il volume
annuo degli scambi è pari a $1.040.000 miliardi [= $35.000 miliardi ×
(252/8,5)], poco più di un milione di miliardi!

Sommario: mercati
I derivati vengono negoziati in due diversi ambienti: le borse e i mercati
over the counter. Ad esempio, i futures sono trattati in borsa mentre i for-
wards e gli swaps vengono negoziati nei mercati over the counter.
Le borse differiscono tra loro nel modo in cui si avvalgono di specia-
lists e di market makers per l’esecuzione degli ordini e nel modo in cui
trattano gli ordini al meglio e quelli con limite di prezzo.
Oltre ad accrescere la liquidità attraverso la standardizzazione dei con-
tratti, le borse riescono di fatto ad annullare il rischio d’insolvenza attra-
verso la regolazione di tutte le operazioni con un’unica clearing house.
I derivati di borsa sono soggetti a specifiche limitazioni (depositi di ga-
ranzia e divieto degli acquisti a credito di opzioni) volte a proteggere i bro-
kers dall’insolvenza dei clienti. Ciò nonostante, gli investitori possono di
fatto indebitarsi di più nei mercati dei derivati che non in quelli a pronti. La
struttura tipica delle commissioni previste per i derivati implica che questi
strumenti sono meno costosi di quelli a pronti se l’orizzonte temporale
dell’investimento non è eccessivamente lungo.
Negli Stati Uniti, il CBOT, la CME, la CBOE e l’Amex rappresentano le
più importanti borse per la negoziazione di derivati. I futures e le opzioni su
futures vengono regolamentati dalla CFTC, mentre le opzioni su spot rien-
trano nella giurisdizione della SEC. La principale clearing house per le op-
zioni è la OCC.
I mercati over the counter contano sulle quotazioni bid e ask riportate
sugli schermi dei computer e sulle comunicazioni telefoniche per offrire ai
clienti prezzi vantaggiosi. Questi sistemi si contrappongono a quelli delle
borse, nelle quali i rappresentanti di compratori e venditori negoziano di
persona sul floor. Per quanto riguarda i derivati valutari, la maggior parte
delle negoziazioni avviene nel mercato interbancario dei forwards. I clienti
possono anche assumere posizioni indirette sui derivati sottoscrivendo le
quote dei commodity futures funds.

68
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI

Inoltre, in questi mercati esistono numerose regole volte a prevenire gli


abusi a danno degli investitori. Nonostante queste regole, gli abusi conti-
nuano a verificarsi.
Il mercato internazionale dei derivati è enorme, sia in termini di open
interest sia in termini di volume degli scambi. La maggior parte delle ope-
razioni è rappresentata dai derivati su tassi d’interesse mentre le negozia-
zioni di futures e forwards eccedono quelle di opzioni.

CONCLUSIONI
Questo capitolo introduttivo si è avvalso dell’esempio della polizza assicu-
rativa contro il rischio di terremoti. L’esempio si presta ad illustrare gran
parte dei ragionamenti economici che vengono utilizzati per analizzare i
derivati (e che saranno discussi più avanti in maggior dettaglio). La carat-
teristica più importante di un derivato è la forma del payoff, che può essere
descritta da una tavola, un grafico o una formula. Per determinare il valore
di un derivato, è necessario assegnare ai payoffs le probabilità soggettive,
attualizzarli e tener conto dei rischi che non possono essere diversificati.
Questo compito può essere portato a termine con l’utilizzo delle probabilità
neutrali verso il rischio.
Il problema della valutazione dei derivati può essere “capovolto”. As-
sumendo che il valore dei derivati sia ben rappresentato dai prezzi di mer-
cato, si possono utilizzare le quotazioni per inferire le probabilità neutrali
verso il rischio che determinano il valore dei derivati. Questo è il cosiddet-
to «problema inverso», che ci ha indotto a presentare i concetti di state-
contingent claims, mercati completi, opportunità di arbitraggio prive di ri-
schio, replica dinamica, strategie d’investimento che si auto-finanziano ed i
primi tre teoremi fondamentali dell’economia finanziaria – tutte idee che
sono alla base della moderna teoria di valutazione dei derivati e delle co-
perture mediante derivati.
Le attività sottostanti i derivati possono essere diverse: merci, azioni,
indici, obbligazioni, valute, ecc. Il mercato globale dei derivati è straordi-
nariamente grande e continua a crescere ad un ritmo elevato.

1 Per rendere semplice l’esempio, abbiamo implicitamente assunto che i danni alla casa possano
dipendere solo dalla magnitudo del terremoto. Si noti che gli eventi di magnitudo diversa da
quelle indicate nella tavola (ad es. 5,45) non sono possibili, dato che tutte le magnitudo vengo-
no ufficialmente arrotondate al primo decimale più vicino.
2 Anche se è possibile che la maggior parte degli individui non pensi direttamente in termini di
probabilità soggettive, si può dimostrare che gli individui razionali agiscono come se usassero
le probabilità soggettive. La convincente dimostrazione si trova in Leonard J. Savage, The
Foundations of Statistics, Dover, 1954.
3 Il principale messaggio economico del capital asset pricing model è presente nella nostra
discussione: il valore corrente di un’attività dovrebbe essere influenzato solo dal rischio che
non può essere diversificato.
4 Questa definizione implica che il ritorno di un portafoglio è pari alla media ponderata dei ri-

69
DERIVATI

torni dei singoli titoli, con pesi pari alla quota del valore del portafoglio spiegata da ogni titolo.
5 In questo libro, il ritorno privo di rischio su un singolo periodo è indicato con r. La notazione
che stiamo usando ora anticipa l’estensione che faremo più avanti, nella quale il tempo man-
cante alla scadenza viene suddiviso in due periodi.
6 In realtà, le prime due condizioni implicano la terza. Ad esempio, se vale la seconda condizio-
ne, è possibile costruire un terzo portafoglio andando lunghi sul primo e corti sul secondo. Il
costo di questo terzo portafoglio sarà pari a zero ma i payoffs saranno nulli in alcuni stati e po-
sitivi in tutti gli altri (e questa è precisamente la terza condizione).
7 Un modo abbastanza generale per caratterizzare il nostro obiettivo è il seguente. Dati:
(1) f (x, t), dove x è il futuro prezzo spot dell’attività sottostante al tempo t e f (x, t) è il pa-
yoff di un derivato
(2) il valore corrente (o prezzo corrente) di x
(3) il ritorno privo di rischio, r
vogliamo determinare il valore attuale di f (x, t). I contratti forward sono esempi di contratti
con funzioni di payoff che sono lineari in x, mentre le opzioni sono esempi di contratti con
funzioni di payoff che non sono lineari in x.

70
2
Forwards e futures

2.1 ATTIVITÀ E MONETA


Due domande
Questo libro cerca di rispondere a due domande sui derivati: come si valu-
tano? come si replicano? In genere questo è “tutto quello che si vorrebbe
chiedere e che si vorrebbe sapere”. La valutazione aiuta gli investitori a
determinare il prezzo che è giusto pagare mentre la replica li aiuta a coprire
posizioni in essere o a creare nuovi derivati per i quali non esistono mercati
attivi.
Non ci chiederemo qual è il valore assoluto di un derivato ma qual è il
valore del derivato in relazione al prezzo corrente dell’attività sottostante.
Determineremo questo “valore relativo” ma lasceremo aperta la domanda
su come si determina il prezzo dell’attività sottostante. Ad esempio, ve-
dremo in dettaglio come si valuta un’opzione scritta su un’azione di cui
conosciamo il prezzo corrente ma non vedremo come si determina il prez-
zo dell’azione. Assumeremo invece che il prezzo dell’attività sottostante,
quale esso sia, abbia una dinamica che gode di certe proprietà statistiche.
In realtà, per rispondere alle più fondamentali domande circa i prezzi spot
delle attività, gli economisti finanziari hanno elaborato per diversi decenni
una teoria nota come capital asset pricing model, la cui trattazione ci
porterebbe oltre i limiti che ci siamo posti.

Nello stesso spirito, determineremo la tecnica appropriata per replicare i deri-


vati con l’«attività sottostante» (underlying asset) e la «moneta» (cash), ossia
un’obbligazione priva del rischio d’insolvenza. In altri termini, individueremo la
cosiddetta «strategia del portafoglio equivalente» (replicating portfolio stra-
tegy).

Da questo punto di vista, l’attività sottostante e la moneta rappresentano gli


ingredienti che, miscelati tra loro in un certo modo, determinano gli stessi
risultati ottenibili con l’acquisto del derivato. In alcuni casi le nostre ricette
saranno complesse perché dovremo cambiare le proporzioni dell’attività
sottostante e della moneta durante la vita del derivato da replicare. In que-
sti casi, si dice che la strategia è “dinamica” per contrapporla al semplice

71
DERIVATI

caso “statico” in cui le proporzioni dell’attività sottostante e della moneta


restano immutate.
Divideremo i derivati in due categorie: quelli che possono essere repli-
cati da strategie statiche e quelli che richiedono strategie dinamiche. I pri-
mi sono detti “forwards”; i secondi “opzioni”.
Vedremo che le risposte alle due domande circa la valutazione e la re-
plica dei derivati sono strettamente legate tra loro: se siamo in grado di re-
plicare un derivato, siamo anche in grado di determinare il suo valore rela-
tivo.
Consideriamo due possibili strategie di investimento. La prima consiste
semplicemente nell’acquisto di un derivato. Se ne esaminiamo le implica-
zioni in termini di pagamenti, vediamo che la strategia comporta un inve-
stimento iniziale, nessun introito o esborso per diversi mesi e infine, alla
data di scadenza del derivato, un introito o un esborso a seconda di quello
che è successo al prezzo dell’attività sottostante.
Consideriamo poi la strategia del portafoglio equivalente. Prendiamo
inizialmente una certa posizione sull’attività sottostante e sulla moneta e
poi la gestiamo nel corso del tempo in modo che il valore del nostro porta-
foglio alla scadenza del derivato sia esattamente pari al valore del derivato
stesso.

Per fare in modo che la seconda strategia sia identica alla prima, occorre che –
tra la data iniziale e la scadenza – gli introiti siano esattamente pari agli esborsi.
Questa è la cosiddetta condizione di «autofinanziamento» (self financing).

Fatta forse eccezione per la data iniziale, gli introiti o gli esborsi delle due
strategie sono sempre uguali. Anzi, ci sono buoni motivi per ritenere che
esse richiedano inizialmente lo stesso investimento. Le forze di mercato
tendono ad uguagliarne i costi iniziali, nello stesso modo in cui fanno sì
che – in due negozi simili vicino a casa nostra – il prezzo di un dentifricio
della stessa marca sia pressoché lo stesso. In effetti, assumeremo in genere
che ciò sia vero e – per descrivere questa situazione – utilizzeremo la se-
guente frase: “non esistono opportunità di arbitraggio prive di rischio”.
Se così è, il costo iniziale della strategia del portafoglio equivalente è
pari al valore iniziale del derivato.
Per capire quindi un derivato, dobbiamo prima studiare la sua attività
sottostante e tener conto della possibilità di ricevere interessi sulla moneta.

Diagrammi per l’attività e la moneta


I «diagrammi dei valori finali» (payoff diagrams) e i «diagrammi di profit-
ti e perdite» (profit/loss diagrams) sono strumenti molto utili per capire le
implicazioni delle posizioni su derivati. In entrambi i tipi, l’asse orizzonta-
le è centrato sul prezzo corrente dell’attività sottostante e rappresenta i
possibili prezzi dell’attività sottostante alla scadenza del derivato.

72
FORWARDS E FUTURES

Figura 2.1 Buy Asset: payoff diagram

S = 100 Payoff
t =1
D = 10

125 Buy Asset


(ex-payout)
Buy Asset
(cum-payout)
50 75 125 150

Futuro Prezzo Spot

75

Nei payoff diagrams l’asse verticale rappresenta il valore finale di un certo


portafoglio. Invece, nei profit/loss diagrams l’asse verticale rappresenta i
profitti e le perdite del portafoglio.8
La data a cui i grafici si riferiscono è genericamente chiamata «data di
pagamento» (payoff date). Per le obbligazioni il termine più usato è «data
di rimborso» (maturity date), per i forwards e i futures «data di consegna»
(delivery date) e per le opzioni «data di scadenza» (expiration date).
Il payoff diagram più semplice è quello relativo all’attività sottostante.
In tal caso, il valore finale «al netto dei dividendi staccati» (ex-payout) è
pari al prezzo dell’attività ed è rappresentato da una linea inclinata di 45°
che passa per l’origine. Il valore finale «comprensivo dei dividendi stacca-
ti» (cum-payout) è invece rappresentato da una linea che, rispetto alla pre-
cedente, è spostata verso l’alto in misura pari ai dividendi staccati.
Il payoff diagram della Figura 2.1 illustra il seguente scenario: il prezzo
corrente, S, di un’azione è pari a $100, il tempo, t, mancante alla scadenza è
pari ad 1 anno e i dividendi, D, pagati nel corso dell’anno sono pari a $10.
Il profit/loss diagram più semplice è quello relativo all’attività sottostante
(Figura 2.2). In tal caso, i profitti e le perdite ex-payout sono pari al prezzo
finale dell’attività meno il prezzo corrente e sono rappresentati da una linea
inclinata di 45° che passa per l’origine. Ad esempio, se il prezzo finale
dell’azione è di $125, il profitto è pari a $25 (= $125 – $100). I profitti e le
perdite cum-payout sono invece rappresentati da una linea che, rispetto alla
precedente, è spostata verso l’alto in misura pari ai dividendi staccati.
Si dice che le attività acquistate sono «lunghe» (long) e che le attività
vendute – da chi non le possiede – sono «corte» (short).

73
DERIVATI

Figura 2.2 Buy Asset: profit and loss diagram

S = 100 Profit
t =1
D = 10

25
Buy Asset
(ex-payout)
Buy Asset
(cum-payout)
50 75 125 150

Futuro Prezzo Spot

-25
Loss

Le «vendite allo scoperto» (short sales) sono vendite effettuate dopo aver
preso in prestito i titoli da vendere.

Il venditore allo scoperto prende in prestito l’attività da chi già la possiede


(A) e quindi la vende ad un secondo soggetto (B). La «chiusura» (cove-
ring) della posizione verrà poi effettuata comprando l’attività da un terzo
soggetto (C) e consegnandola al soggetto A. L’aspetto saliente delle vendi-
te allo scoperto è il seguente: la posizione viene chiusa consegnando lo
stesso numero di unità prese in prestito, indipendentemente dall’evoluzione
del prezzo dell’attività presa in prestito. In particolare, il venditore allo
scoperto non restituisce titoli dello stesso valore. Supponiamo, ad esempio,
che un investitore venda allo scoperto un’azione che vale $100. Successi-
vamente il prezzo precipita a $60. L’investitore chiude la posizione com-
prando l’azione a $60 e restituendola ad A. Ha così realizzato un profitto di
$40 (= $100 – $60), sfruttando il ribasso del prezzo dell’azione.
La data in cui il venditore allo scoperto deve restituire l’attività presa in
prestito non è in genere definita. Per A è sufficiente che il venditore allo
scoperto continui ad essere finanziariamente affidabile. Comunque, se A
vuole rientrare in possesso dell’attività, il venditore allo scoperto può far-
gliela avere dopo averla presa in prestito da un altro investitore. Manter-
rebbe così invariata la sua posizione.
La vendita allo scoperto di un’azione è assimilabile all’emissione di una
nuova azione. In effetti, essa comporta più diritti di quante non siano le azio-
ni in circolazione. In particolare, sia A sia B vorranno ricevere i dividendi
distribuiti, A come proprietario dell’azione e B come acquirente dell’azione

74
FORWARDS E FUTURES

Figura 2.3 Short Asset: profit and loss diagram

S = 100 Profit
t =1
r = 1.15
D = 10
25
Short Asset
Short Asset (con interessi sul ricavato)

50 75 125 150

Futuro Prezzo Spot

-25
Loss

venduta allo scoperto. Comunque la società che ha emesso l’azione vedrà


solo B come proprietario e pagherà solo a lui il dividendo. È il venditore allo
scoperto che deve pagare il dividendo ad A. Anche da ciò si vede che la ven-
dita allo scoperto è l’immagine speculare dell’acquisto, dato che il comprato-
re riceve il dividendo, mentre il venditore lo paga.
Quando il venditore allo scoperto riceve da B il prezzo pattuito, il dena-
ro viene di solito reinvestito in titoli a reddito fisso. Gli interessi percepiti
su questi titoli vengono ripartiti tra il soggetto (A) che ha dato in prestito i
titoli, il broker ed il venditore allo scoperto. Di solito, il soggetto che ha
dato in prestito i titoli non riceve nulla se è uno dei clienti del broker, men-
tre incassa la maggior parte degli interessi se è una compagnia di assicura-
zione o un fondo comune d’investimento. In genere, il soggetto che vende
allo scoperto non riceve nulla se è un piccolo investitore mentre incassa
gran parte degli interessi se è un investitore di grosse dimensioni, ad esem-
pio un market maker. Spesso la quota degli interessi che spetta al venditore
rappresenta un fattore critico per giudicare la convenienza della vendita
allo scoperto.
La Figura 2.3 mostra che la vendita allo scoperto è l’immagine specula-
re dell’acquisto.
Negli Stati Uniti, chi vende allo scoperto non solo è costretto a lasciare
in garanzia al broker l’intero ricavato della vendita, ma deve anche versare
un margine iniziale pari al 50 per cento del prezzo di vendita del titolo. È
possibile che il ricavato della vendita non gli frutti interessi, ma il deposito
di garanzia dovrebbe fruttargli un tasso d’interesse prossimo a quello di
mercato.

75
DERIVATI

Figura 2.4 Lend Cash: profit and loss diagram

S = 100 Profit
t =1
r = 1,15

25

50 75 125 150

Futuro Prezzo Spot

-25
Loss

Nonostante le proprietà di immagine speculare, le vendite allo scoperto


hanno caratteristiche diverse rispetto agli acquisti di azioni. In molti casi può
essere difficile individuare i possessori di azioni che siano disposti a darle in
prestito. Ad esempio, quando Netscape è stata collocata sul mercato, la rela-
zione senza precedenti tra il suo prezzo stratosferico e gli utili passati ha in-
dotto alcuni investitori a cercare di vendere le azioni allo scoperto. Per molti
non è stato comunque possibile individuare un soggetto da cui riuscire a
prendere in prestito le azioni.
Inoltre, chi vende allo scoperto può essere costretto a chiudere in anticipo
la sua posizione se chi gli ha dato in prestito le azioni le rivuole indietro e se
non è possibile trovare un altro soggetto che sia disposto a prestarle. Ciò ac-
cade spesso nel caso delle azioni di società a bassa capitalizzazione negoziate
nei mercati over the counter. Chi vende allo scoperto può anche rimanere
«schiacciato» (short squeezed) se i prestiti di azioni vengono intenzional-
mente monopolizzati per costringerlo a chiudere la sua posizione con acqui-
sti a prezzi esorbitanti.9 Si pensi a cosa potrebbe accadere se A, B e C fosse-
ro lo stesso soggetto e A decidesse di vendere le sue azioni!
Negli Stati Uniti, le vendite allo scoperto non sono consentite quando
l’ultima variazione di prezzo durante la giornata è negativa. Per eseguire la
vendita, il venditore allo scoperto deve aspettare che il prezzo dell’azione
si muova al rialzo. Questa è la cosiddetta «regola dell’up-tick».
In effetti, uno dei motivi del successo dei derivati è che essi consentono
di perseguire gli obiettivi delle vendite allo scoperto senza incorrere negli
inconvenienti che le accompagnano: la perdita degli interessi sul ricavato
della vendita, la forzata chiusura anticipata e la regola dell’up-tick.

76
FORWARDS E FUTURES

Un altro semplice profit/loss diagram è quello relativo alla moneta


(Figura 2.4). Dato che la moneta si presume sia priva di rischio, il ritorno
non dipende dal prezzo dell’attività. Pertanto, i profitti e le perdite di un
investimento di $100 sono rappresentati da una linea orizzontale che attra-
versa l’asse verticale in corrispondenza dell’importo degli interessi ricevu-
ti. Nella Figura 2.4, il tasso d’interesse privo di rischio, r – 1, è pari al
15%; ne segue che il ritorno privo di rischio, r, pari a uno più il tasso di
interesse, è di 1,15. Dopo un anno, quale che sia il prezzo dell’azione,
l’interesse ricevuto sarà pari a $15 [= ($100 × 1,151) – $100].
Come si è visto, il tasso d’interesse a breve termine, privo di rischio,
può essere approssimato dal tasso sui T-bills, sui repurchase agreements o
sugli eurodollari.
In tutto il libro assumeremo che sia r > 1, dove r è il ritorno nominale. In
base all’equazione di Fisher, r è il prodotto tra il ritorno reale e il ritorno da
inflazione. Anche se il ritorno reale e il ritorno da inflazione fossero entrambi
minori di 1, è difficile immaginare che i ritorni nominali possano essere ne-
gativi, dato che un ritorno pari a 1 può essere sempre realizzato (ignorando il
furto) con la “strategia del materasso” (tenendosi i soldi senza darli in presti-
to). Ne segue che l’equazione di Fisher andrebbe probabilmente rivista: il
ritorno nominale è pari al massimo tra uno e il prodotto tra il ritorno reale ed
il ritorno da inflazione. In effetti, come si è già visto, quest’interpretazione fa
sì che la moneta possa essere considerata alla stregua di una call! Anche se è
possibile che sia r = 1, questa possibilità verrà però trascurata.
Come abbiamo già detto, per capire i derivati dovremo esaminare le
implicazioni dei portafogli composti da attività e moneta.
I profit/loss diagrams possono essere utilizzati per rappresentare queste
posizioni. Nella Figura 2.5, $50 sono stati investiti in un’attività e $50 in
moneta. Le linee tratteggiate rappresentano i profitti e le perdite di questi
investimenti. I $50 investiti nell’attività hanno consentito di acquistarne
mezza unità. Pertanto, se il prezzo dell’attività passa da $100 a $125, il va-
lore dell’investimento passa da $50 a $62,50. La linea dei profitti e delle
perdite ha quindi una pendenza pari a 0,5. I $50 investiti in moneta fruttano
interessi, al tasso del 15%, pari a $7,50 (= $50 × 0,15). Pertanto, la linea
orizzontale dei profitti e delle perdite interseca l’asse verticale a 7,50.
I profitti e le perdite del portafoglio vanno calcolati sommando le di-
stanze verticali delle due linee tratteggiate dall’asse orizzontale. Ad esem-
pio, se il prezzo dell’attività sottostante passa a $125, il profitto complessi-
vo del portafoglio sarà pari a $20,00 (= $12,50 + $7,50).
La Figura 2.6 illustra il principio della «leva finanziaria» (financial le-
verage). Rispetto ad un investimento di $100 nell’attività, investendo di
meno e prestando il resto dei $100 si riducono sia i profitti in caso di rialzo
sia le perdite in caso di ribasso. Pertanto, se si dà parte del denaro in presti-
to, il rischio si riduce. Analogamente, investendo $100 nell’attività e pren-
dendo in prestito altro denaro per finanziarne ulteriori acquisti si aumenta-

77
DERIVATI

Figura 2.5 Asset e Cash: profit and loss diagram

S = 100 Profit
t =1
r = 1,15 50% Asset, 50% Cash
D=0
25
Buy Asset

Lend Cash
50 75 125 150

Futuro Prezzo Spot

Principio di additività:
aggiungere all’asse orizzontale
-25 le distanze verticali delle linee
Loss tratteggiate

no i profitti in caso di rialzo e le perdite in caso di ribasso. Pertanto, se si


prende denaro in prestito, il rischio aumenta.
Se non esistono opportunità di arbitraggio, le linee dei profitti e delle
perdite basate sullo stesso investimento iniziale devono intersecarsi. In altri
termini, non è possibile che un investimento sia sempre migliore di un al-
tro. Nella Figura 2.6 ogni linea è generata dallo stesso investimento, pari a
$100. Non ci sono opportunità di arbitraggio perché le tre linee si interse-
cano in corrispondenza di un unico punto, quello in cui tutte e tre compor-
tano lo stesso profitto dell’investimento del 100% in moneta.

La struttura per scadenza dei ritorni privi di rischio


Un titolo è privo di rischio se il suo payoff è certo in termini della valuta
interna. Di solito, i T-bills sono considerati privi di rischio o «privi del ri-
schio d’insolvenza» (default-free). Comunque, non è che i T-bills siano
“certi” nel senso che sappiamo quali saranno i loro futuri prezzi. Sappiamo
che – alle date di rimborso – i prezzi saranno pari ai valori nominali, ma i
prezzi prima di quelle date sono “incerti”.
Le principali caratteristiche dei titoli privi del rischio d’insolvenza sono
(1) la collocazione temporale dei payoffs e (2) la valuta di denominazione
di capitale e interessi. Esamineremo ora i titoli con la stessa valuta di de-
nominazione ma con diversa collocazione temporale dei payoffs. I più ele-
mentari sono i «titoli a cedola nulla» (zero-coupon bonds), che pagano $1
alla scadenza e non prevedono altri payoffs, né prima né dopo. Sia Bk(t) il
prezzo al tempo k (anni da ora) di uno zero-coupon bond che scade al tem-
po t – k. Pertanto, Bt(t) = 1. A volte semplificheremo la notazione per il

78
FORWARDS E FUTURES

Figura 2.6 Asset e Cash: profit and loss diagram

Profit 100% Asset


S = 100
t =1
r = 1,15
D=0
25

50 75 125 150

Futuro Prezzo Spot


50% Asset, 50% Cash
(Lending) 150% Asset, -50% Cash
(Borrowing)

-25
Loss

prezzo corrente, B0(t), omettendo il pedice e scrivendo semplicemente B(t).


Per convenienza del lettore, la notazione sulla «struttura per scadenza»
(term structure) è stata riportata nella Tavola 2.1.
Analogamente, rk(t) indica il «ritorno a pronti» (spot return), su base an-
nua, di uno zero-coupon bond con scadenza al tempo t, osservato al tempo k:

rk (t ) ≡ [1 / Bk (t )]1 / (t −k )

Di nuovo, per semplificare la notazione, indicheremo con r(t) lo spot re-


turn corrente di uno zero-coupon bond con scadenza al tempo t. Ad esempio,
se B(2) = 0,85, allora r(2) = [1/0,85] 1/2 = 1,085. Quando non è necessario
identificare la data di scadenza useremo semplicemente r, che verrà indica-
to, se non c’è ambiguità, come “ritorno privo di rischio”.
La term structure corrente degli spot returns fino alla scadenza t è defini-
ta dalla sequenza dei ritorni degli zero-coupon bonds con scadenze via via
più lunghe:
r (1), r (2 ), r (3), ..., r (t )

Nella term structure degli spot returns è implicita la term structure dei «ri-
torni a termine» (forward returns). Il forward return, fk(t, T), su base an-
nua osservato al tempo k per il periodo (t, T), con t ≥ k e T ≥ t, è definito da:
1 / (T −t ) 1 / (T −t )
⎡ B (t ) ⎤ ⎧⎪ [r (T )]T ⎫⎪
f k (t , T ) ≡ ⎢ k ⎥ cosicché f 0 (t , T ) = ⎨ ⎬
⎣ Bk (T ) ⎦ ⎪⎩ [r (t )]t ⎪⎭

79
DERIVATI

Tavola 2.1 Term Structure: simbologia

Ora Asse
... ... ... del
0 1 k t t+1 T tempo

Bk(t) prezzo al tempo k di uno zero-coupon bond con valore


nominale di $1 e scadenza al tempo t ≥ k
rk(t) spot return annuo al tempo k di uno zero-coupon bond
con scadenza al tempo t ≥ k [r(t) ≡ r0(t)]
fk(t,T) forward return annuo al tempo k, implicito nella term
structure, relativo al periodo che inizia al tempo t ≥ k
e finisce al tempo T ≥ t [f(t,T) ≡ f0(t,T); f(t) ≡ f(t-1,t)]

(t)≡≡[1/B (t,T)≡≡[B
1/(t-k) 1/(T-t)
rrkk(t) [1/Bkk(t)]
(t)]1/(t-k) ffkk(t,T) [Bkk(t)/B
(t)/Bkk(T)]
(T)]1/(T-t)
r(1), r(2), r(3),…,r(t) ≡ term structure corrente degli spot returns
f(1), f(2), f(3),…,f(t) ≡ term structure corrente dei forward returns

Di nuovo, per semplificare la notazione, indicheremo con f (t, T) il forward


return corrente. Si noti che f (0, T) = r(T). Inoltre, i forward returns uniperio-
dali, f (t − 1, t), verranno indicati semplicemente con f (t). Pertanto, la term
structure dei forward returns uniperiodali fino alla scadenza t è definita da:

f (1), f (2), f (3), ..., f (t )

In genere, avremo a disposizione solo i prezzi di «obbligazioni con cedole»


(coupon bonds). Come possiamo utilizzarli per ricavare i prezzi degli zero
coupon bonds, ovvero la term structure degli spot returns?
Ad esempio, in base ai dati della Tavola 2.2, è possibile ricavare la term
structure dai prezzi di tre coupon bonds con tasso cedolare del 10% e sca-
denza tra 1, 2 e 3 anni. Il «tasso di rendimento a scadenza» (yield to matu-
rity) o «tasso interno di rendimento» (internal rate of return) è quel tasso di
attualizzazione che uguaglia il valore attuale dei coupon bonds al loro prezzo
corrente. Ad esempio, per determinare il tasso di rendimento del coupon
bond a 2 anni occorre risolvere la seguente equazione rispetto a y:

922,70 = 100 / y + 1.100 / y 2

La soluzione è y = 1,1474, per cui lo yield to maturity è pari al 14,74%.


Per ricavare la term structure degli spot returns dai prezzi dei coupon
bonds occorre procedere per via iterativa. In base al prezzo del titolo (A) a
più breve termine, si ottiene:

1.000 = 1.100 / r (1) cosicché r (1) = 1,10

80
FORWARDS E FUTURES

Tavola 2.2 Term Structure: stima dai coupon bonds

Stima della term structure dai prezzi correnti dei coupon bonds di
diversa scadenza (metodo bootstrap):
Bond Scadenza Cedola Prezzo TIR
(anni) (%) ($) (%)
A 1 10 1.000,00 10,00
B 2 10 922,70 14,74
C 3 10 803,10 19,23

Si utilizza il bond A per stimare r(1):


1.000 = 1.100/r(1) ⇒ r(1) = 1,10
Si utilizza il bond B e r(1) per stimare r(2):
922,70 = 100/r(1) + 1.100/[r(2)]2 ⇒ r(2) = 1,15
Si utilizza il bond C, r(1) e r(2) per stimare r(3):
803,10 = 100/r(1) + 100/[r(2)]2 + 1.100/[r(3)]3 ⇒ r(3) = 1,20

Poi, utilizzando questo risultato ed il prezzo del titolo (B) con la scadenza
intermedia, possiamo ricavare r(2) da un’equazione ad una incognita:

da cui r (2 ) = 1,15
100 1.100 100 1.100
922,70 = + = +
r (1) [r (2 )]2 1,10 [r (2 )]2

Infine, utilizzando r(1), r(2) e il prezzo del titolo (C) con la scadenza più
lontana possiamo ricavare r(3). Questo procedimento iterativo è noto come
«metodo bootstrap».
Si noti che, nel caso degli zero-coupon bonds, il rate of return coincide
con lo yield to maturity. Ciò non è vero nel caso dei coupon bonds, a meno
che la term structure sia piatta. Di conseguenza, bisogna fare attenzione a
non confondere la term structure dei rate of returns con la term structure
degli yields to maturity.
Continuando il nostro esempio, possiamo così calcolare i forward re-
turns ad 1 anno:

f (1) = r (1) = 1,10


r (2)2 1,15 2
f (2 ) = = = 1,20
r (1) 1,10
r (3)3 1,20 3
f (3) = = = 1,31
r (2)2 1,15 2

La Tavola 2.3 consente di comprendere meglio il significato dei forward


returns. In sostanza, si tratta di ritorni che possono essere concordati oggi

81
DERIVATI

Tavola 2.3 Forward Returns e Futuri Spot Returns

Il forward return f(t) corrisponde al ritorno che può essere negoziato


oggi per un prestito privo di rischio dal tempo t – 1 al tempo t.
0 t–1 t
Vendere un bond con B(t – 1) –1
scadenza t – 1
Comprare B(t – 1)/B(t) – [B(t – 1)/B(t)]B(t) B(t – 1)/B(t)
bonds con scadenza t
Pagamenti complessivi 0 –1 B(t – 1)/B(t) = f(t)

I contratti che bloccano il forward return sono detti forward rate agreements.
Se si assume: ‰ assenza di opportunità di arbitraggio
‰ mercati perfetti
‰ certezza dei futuri spot returns
allora: rt –1(t) = f(t)

per prestiti relativi a periodi futuri. Questi accordi sono chiamati «forward
rate agreements». Ad esempio, utilizzando i T-bonds, è possibile mettersi
d’accordo per ricevere un certo tasso di interesse nel periodo che inizia tra
3 anni e termina un anno dopo. La tavola mostra che questo risultato può
essere ottenuto vendendo i titoli a 3 anni e acquistando i titoli a 4 anni. Con
la vendita delle obbligazioni a 3 anni si compensano tutte le cedole incas-
sate sul titolo a 4 anni, per cui restano solo i payoffs relativi al quarto anno.
Quando effettivamente arriveremo alla fine del terzo anno, il mercato
quoterà uno spot return ad 1 anno. Potremo riceverlo comprando uno zero-
coupon bond ad 1 anno. Abbiamo quindi la possibilità di scegliere. O bloc-
chiamo fin da ora il forward return, f (4), per il quarto anno oppure aspet-
tiamo fino alla fine del terzo anno e accettiamo lo spot return, r3(4), quota-
to dal mercato.
Una domanda che ha interessato gli economisti finanziari per gran parte
del XX secolo è stata la seguente: come sono legati tra loro il forward
return e il futuro spot return? Un utile punto di partenza, sul quale c’è
completo accordo, è rappresentato dal seguente scenario:
(1) supponiamo che gli investitori fissino i prezzi dei titoli in modo che
non ci siano opportunità di arbitraggio prive di rischio. In questo caso,
vogliamo dire che due investimenti (o due piani d’investimento) privi
di rischio, iniziati contemporaneamente e allo stesso costo, devono ave-
re lo stesso valore in qualsiasi futuro istante;
(2) quando compriamo e vendiamo titoli, paghiamo i costi di transazione
(commissioni, bid-ask spreads e impatto sul mercato); supponiamo in-
vece che i costi di transazione siano nulli. Inoltre, supponiamo di poter

82
FORWARDS E FUTURES

trascurare le imposte, ricevere gli interessi sulle vendite allo scoperto,


prendere e dare in prestito qualsiasi importo frazionario allo stesso spot
return, negoziare per importi frazionari ed ignorare il rischio
d’insolvenza delle controparti. Nella terminologia degli economisti fi-
nanziari questo è un «mercato perfetto» (perfect market);
(3) assumiamo che gli spot returns futuri siano già noti oggi. In realtà, non
sappiamo quali sono i prezzi dei T-bills che leggeremo sul giornale tra
un anno, ma supponiamo di saperlo.
In questo scenario, i forward returns e i futuri spot returns devono essere
uguali. È facile capire il perché. Se i ritorni prodotti dalle strategie del for-
ward return e del futuro spot return fossero diversi, i prezzi correnti dei
titoli a 3 e a 4 anni ed il prezzo tra 3 anni del titolo ad 1 anno (già noto ora
per via dell’assunzione di certezza) consentirebbero un’opportunità di arbi-
traggio priva di rischio.
Supponiamo di voler avere [r(3)] 3 dopo 3 anni. Un semplice modo per
farlo è quello di investire $1 in zero-coupon bonds a 3 anni. Supponiamo
però che questi titoli non siano trattati. È invece possibile rinnovare alla
fine di ogni anno un investimento in zero-coupon bonds ad 1 anno. C’è
modo di utilizzare questi titoli per raggiungere il nostro obiettivo?
In base alle nostre assunzioni, non esistono opportunità di arbitraggio, i
mercati sono perfetti e i futuri spot returns sono certi.
È facile vedere che, sotto queste condizioni, è possibile utilizzare una se-
quenza di zero-coupon bonds (o zeros) per raggiungere il nostro obiettivo.
Investiamo oggi $1 in uno zero ad 1 anno, così da ricevere r0(1) tra 1 anno.
Quindi re-investiamo il ricavato in uno zero ad 1 anno, con ritorno rl(2), di-
sponibile alla fine del primo anno. Pertanto, alla fine del secondo anno il no-
stro investimento di $1 diventerà pari a r0(1) × rl(2). Procedendo nello stesso
modo, ossia re-investendo il ricavato in uno zero ad 1 anno, con ritorno r2(3),
il valore dell’investimento alla fine del terzo anno sarà pari a r0(1) × r1(2) ×
r2(3). Questa strategia ha un costo iniziale pari a quella dell’investimento di
$1 in uno zero-coupon bond a 3 anni, si autofinanzia e produce un ritorno
certo. Pertanto, in base alle nostre assunzioni, deve risultare [r(3)]3 = r0(1) ×
r1(2) × r2(3). Ne segue che, il ritorno dello zero-coupon bond a 3 anni deve
essere legato ai futuri spot returns dalla seguente relazione:

r (3) = [r0 (1)× r1 (2 )× r2 (3)]1 / 3

Anche se dipende da tre assunzioni non riscontrabili nella pratica, la stra-


tegia di replica che prevede il «rotolamento» (rollover) sugli zero-coupon
bonds risulta sufficientemente valida, seppure non perfetta. Questo può es-
sere il motivo per cui volume ed open interest tendono a concentrarsi sui
contratti con scadenze molto brevi: gli investitori che desiderano payoffs a
più lungo termine possono riuscire a realizzarli attraverso strategie di rol-
lover su contratti a breve termine.

83
DERIVATI

Figura 2.7 Spot Rates e Forward Rates

T-Bonds: 30 giugno 1988


11

10
Tasso d’interesse (%)

Forward rate
9
Spot rate
8

6
0,08 0,25 0,5 0,75 1 1,5 2 3 4 5 7 10 15 20

Vita residua (anni)

La Figura 2.7 riporta le curve dei tassi di rendimento – spot e forward –


dei T-bonds al 30 giugno 1988. La configurazione è quella tipica, perché le
due term structures sono entrambe inclinate verso l’alto.
Affinché non esistano opportunità di arbitraggio prive di rischio, i tassi
forward devono essere tutti positivi. Si noti però che una curva sempre cre-
scente di tassi spot non implica necessariamente che la curva dei tassi for-
ward sia anch’essa monotonamente crescente. In effetti, nella Figura 2.7 i
tassi forward diminuiscono lievemente tra 1,5 e 2 anni anche se i tassi spot
aumentano nello stesso intervallo. I tassi forward aumentano solo se i tassi
spot corrispondenti aumentano sufficientemente in fretta.
Nel mondo reale, contrariamente alla nostra asserzione circa l’equiva-
lenza tra i titoli a lungo termine e il rollover sui titoli a breve, i tassi a breve
termine su base annua sono in genere più bassi dei tassi a lungo termine. Di
conseguenza, rinnovando gli investimenti in zero-coupon bonds a breve ter-
mine si ottengono in media ritorni più bassi di quelli realizzabili con gli zero-
coupon bonds a più lungo termine. La principale differenza tra la realtà ed il
nostro modello è che i futuri tassi spot non sono noti in anticipo. Ne segue
che gli zero-coupon bonds a breve termine hanno almeno due vantaggi:
(1) offrono protezione contro le variazioni dei futuri tassi spot. Infatti, se la
term structure si sposta verso l’alto, i prezzi dei titoli a lungo termine
diminuiscono. Al contrario, chi effettua un rollover sui titoli a breve
termine può trarre beneficio dall’aumento dei futuri tassi spot;
(2) si può dimostrare che, in un’economia caratterizzata da individui av-
versi al rischio, da incertezza riguardo alla tempistica del consumo ag-
gregato, da parziale irreversibilità degli investimenti e da superiorità

84
FORWARDS E FUTURES

tecnologica degli investimenti di più lungo periodo, le attività reali a


fecondità ravvicinata tendono ad avere vantaggi di “liquidità”. In ag-
gregato, questi vantaggi vengono trasmessi ai titoli a più breve termine.

Anche se è vero che la term structure dei tassi spot tende ad essere inclinata
verso l’alto, ci sono periodi in cui è meno inclinata o in cui è inclinata verso
il basso. Uno dei principali motivi di queste variazioni è rappresentato dal
cambiamento delle previsioni d’inflazione. Per determinare la term structure
dei tassi d’interesse, il mercato si interroga sui tassi d’inflazione. Maggiore è
il tasso atteso d’inflazione, più elevato è il tasso di rendimento richiesto dai
compratori delle obbligazioni (che vogliono essere compensati per le future
perdite di potere d’acquisto). Al contrario, le aspettative di riduzione del tas-
so d’inflazione potrebbero contrastare la tendenza dei tassi d’interesse ad
aumentare con la scadenza. Un secondo motivo che può spiegare le variazio-
ni di forma della term structure è rappresentato dal cambiamento delle aspet-
tative sulla crescita del reddito. Ad esempio, se si aspettano che il reddito
cresca a tassi più elevati rispetto al passato, gli individui tenderanno ad inde-
bitarsi per consumare ora parte dei più elevati redditi futuri. L’accresciuta
domanda di finanziamenti comporterà un aumento dei livelli correnti dei tas-
si d’interesse spot rispetto a quelli futuri.

Duration
Il rischio di un’azione è comunemente misurato dal suo beta, ossia dalla
sensibilità dell’extra rendimento dell’azione rispetto all’extra rendimento
di un indice di borsa. Ad esempio, se un’azione ha un beta pari a 2 e ci si
attende che il rendimento del mercato azionario sarà maggiore dell’x% ri-
spetto al tasso d’interesse privo di rischio, il valore atteso dell’extra rendi-
mento dell’azione è pari a 2 × x%.
Il rischio di un derivato è in genere misurato dal suo delta, ossia dalla
sensibilità del prezzo in dollari del derivato rispetto al prezzo in dollari del-
la sua attività sottostante. Ad esempio, se il delta è di 0,5, una (piccola) va-
riazione di $1 nel prezzo dell’attività sottostante darà luogo ad una varia-
zione di $0,50 nel prezzo del derivato.
Anche i titoli obbligazionari hanno la loro misura di rischio, la «durata
finanziaria» (duration). La duration misura la sensibilità del prezzo del titolo
rispetto al livello generale dei tassi di interesse. Prima però di vedere la dura-
tion come misura di rischio, la definiremo come misura di durata.
La duration è una misura del tempo medio mancante ai pagamenti pre-
visti da un’obbligazione. Consideriamo il caso più semplice di uno zero-
coupon bond con scadenza al tempo T. Se la duration è definita in modo
ragionevole, dovremmo aspettarci che essa sia pari a T (dato che l’unico
pagamento verrà effettuato al tempo T) e, in effetti, vedremo che così è.
Consideriamo ora il caso più complesso di un coupon bond, come quel-
lo riportato nella Tavola 2.4, in cui gli interessi vengono pagati alla fine del

85
DERIVATI

Tavola 2.4 Duration: definizione

La duration (D) è una media ponderata del tempo mancante ai


pagamenti previsti da un’obbligazione, con pesi (Xt / y t) pari al valore
attuale dei corrispondenti pagamenti. B
T
⎛ X t /y t ⎞ T
X
D= ∑ ⎜⎜ B
⎟×t
⎟ dove B = ∑ y tt
t =1 ⎝ ⎠ t =1

Anno Pagamento Xt / y t (Xt / y t)/B Anno × (Xt / y t)/B


1 100 90,91 0,0909 0,0909
2 100 82,65 0,0826 0,1653
3 100 75,13 0,0751 0,2254
4 1.100 751,31 0,7513 3,0052
Totale B = 1.000,00 1,0000 D = 3,4868

1°, 2°, 3° e 4° anno mentre il capitale viene rimborsato alla fine del 4° an-
no. Chiaramente, il tempo medio mancante ai pagamenti dovrebbe essere
compreso tra 1 e 4 anni. Inoltre, vorremmo che venisse dato più peso alla
data (la fine del 4° anno) nella quale il pagamento è relativamente più
grande. In altri termini, ci aspettiamo che il tempo medio sia più vicino a 4
che a 1.
La formula della duration gode di questa proprietà. Più precisamente,
ogni data viene ponderata con la frazione del valore attuale del titolo che è
rappresentata dal pagamento effettuato in quella data. Utilizzando la simbo-
logia della Tavola 2.4, il valore attuale, B, del titolo è dato da ∑t Xt /yt, dove
Xt è il pagamento al tempo t e y il tasso di rendimento effettivo. Pertanto, il
peso utilizzato per la data t è (Xt /yt)/B. Nell’esempio, la duration, D, è pari a:

⎛ 100 / y ⎞ ⎛⎜ 100 / y 2 ⎞ ⎛ 100 / y 3 ⎞ ⎛ 1.100 / y 4 ⎞


D=⎜ × 1⎟ + × 2⎟ + ⎜ × 3⎟ + ⎜ × 4⎟
⎝ B ⎠ ⎝ ⎜ B ⎟ ⎜ B ⎟ ⎜ B ⎟
⎠ ⎝ ⎠ ⎝ ⎠

ossia a 3,5 anni – una cifra molto più prossima a 4 che a 1.


La «duration modificata» (modified duration), che tornerà utile più a-
vanti, è pari al rapporto tra la duration e lo spot return: D/y.
La duration è una misura ben costruita di rischio che gode di molte utili
proprietà. Innanzitutto, come abbiamo già visto, la duration di uno zero-
coupon bond è pari alla sua vita residua. Questa proprietà deriva dal fatto
che, in questo semplice caso, tutto il peso si concentra sull’ultimo termine
presente nella formula della duration.

86
FORWARDS E FUTURES

Una caratteristica molto utile che ci si aspetta da ogni misura di rischio


finanziario è la «proprietà di portafoglio» (portfolio property). Ad esem-
pio, il beta di un portafoglio azionario è la media ponderata dei beta delle
singole azioni in portafoglio. Il delta di un portafoglio di derivati scritti
sulla stessa attività sottostante è la media ponderata dei delta dei singoli
derivati in portafoglio. In altri termini, se siamo in grado di calcolare i beta
delle singole azioni, o i delta dei singoli derivati, possiamo anche facilmen-
te calcolare queste stesse misure per i rispettivi portafogli.
Analogamente, la duration di un portafoglio obbligazionario è la media
ponderata delle durations dei singoli titoli in portafoglio. Per fare un e-
sempio, si consideri un portafoglio che contiene due zero-coupon bonds, a
tre e a quattro anni. Il valore corrente dei due titoli è pari, rispettivamente,
a B1 = 1000/y3 e B2 = 1000/y4. Per definizione, ponendo B = B1+ B2, la du-
ration del portafoglio è pari a:
D = (B1 / B )× 3 + (B2 / B )× 4
Come si può notare, la duration del portafoglio è una media ponderata del-
le durations (3 e 4 anni) dei singoli titoli in portafoglio.
Supponiamo che la duration in questione sia pari a 3,5 anni. Sarebbe bel-
lo che, se nulla cambiasse fatta eccezione per il passare del tempo, la dura-
tion si riducesse in misura pari al tempo trascorso. In particolare, se nei pros-
simi 6 mesi i forward returns non cambiano e non viene effettuato alcun pa-
gamento, la duration dovrebbe ridursi da 3,5 a 3,0 (= 3,5 – 0,5) anni. Effet-
tivamente, si può dimostrare che la duration gode di questa proprietà.
Vediamo ora la duration come misura di rischio. In particolare, si può
dimostrare che:
∂B / B = − D (∂ y / y )

dove ∂y indica un piccolo incremento di y e ∂B indica la risultante varia-


zione di B. Questa equazione consente di prevedere come si modificherà il
prezzo di un titolo, nota la sua duration, se lo spot return cambia. In parti-
colare, se lo spot return aumenta, il prezzo del titolo – a causa del segno
negativo presente nell’equazione – diminuisce, e la riduzione è tanto più
accentuata quanto maggiore è la duration. Ecco una breve dimostrazione:

B= ∑t X t y −t per cui ∂B / ∂y = −∑t tX t y −t −1. Questo implica che


∂B = − y −1 ( ∑t t X t y ) ∂y. Dividendo entrambi i lati per B si ottiene
−t

∂B / B = − y −1 [∑ t (X t y −t )/ B ] ∂y. Sostituendo la definizione


t
di duration, ne segue che ∂B / B = − D(∂y / y ).

Vediamo ora come si effettuano i calcoli. Consideriamo un titolo a 25 anni


con tasso cedolare del 6% e tasso di rendimento effettivo del 9%. Il prezzo
corrente del titolo è pari a:

87
DERIVATI

∑t =1 1,09t + 1,09 25 = 705,32


24 60 1.060
B=

La duration è pari a:

D=
( ) ( ) (
1× (60 / 1,09) + 2 × 60 / 1,09 2 + ... + 24 × 60 / 1,09 24 + 25 × 1.060 / 1,09 25 )
705,32
= 11,49

e la modified duration è quindi pari a D/y = 11,49/1,09 = 10,54. Siamo


ora pronti per chiederci cosa accadrebbe al prezzo del titolo se lo spot re-
turn aumentasse dello 0,1% portandosi a 1,091. In base alla nostra equa-
zione, la variazione del prezzo del titolo dovrebbe essere pari a:

∂B / B = −(D / y )∂y = −10,54 × 0,0001 = −0,01054 = −1,054%

Applicando questa variazione al prezzo iniziale del titolo, il nuovo prezzo


sarebbe pari a:

B + ∂B = B + B (− D / y ) ∂y = 705,32 + 705,32 × (− 0,01054 ) = 697,89

Questo risultato è frutto di un’approssimazione di prim’ordine. Per deter-


minare il valore esatto, possiamo semplicemente ricalcolare il valore attua-
le del titolo in base al nuovo tasso di rendimento effettivo:

⎡ 60 ⎤
∑t =1 1,091t ⎥⎦ + 1,09 25 = 697,95
24 1.060
B=⎢

Si noti come questo valore sia vicino a quello calcolato in base alla duration.
Supponiamo ora che il tasso di rendimento effettivo passi dal 9%
all’11%. In quel caso, il calcolo basato sulla duration ci suggerisce che il
prezzo del titolo dovrebbe diminuire di circa il 21%:

∂B / B = −(D / y )∂y = −10,54 × 0,02 = −0,2108 = −21,08%

In realtà, il prezzo si ridurrebbe effettivamente del 18%. La distanza tra i


due valori ci segnala che l’approssimazione basata sulla duration funziona
bene solo per piccole variazioni dei tassi di interesse. La nostra equazione
non tiene conto del fatto che la stessa duration cambia quando cambia il
tasso di rendimento effettivo. Ciò può dare origine ad errori di approssima-
zione rilevanti.
Un modo per migliorare la nostra approssimazione è quello di tener conto
della sensibilità della duration rispetto al tasso di rendimento effettivo. In
base all’espansione in serie di Taylor, si ha che ∂B è pari a:

( )
∂B = (∂B / ∂y )∂y + ½ ∂ 2 B / ∂y 2 (∂y )2 + ...

88
FORWARDS E FUTURES

Dividendo entrambi i lati per B, si ottiene:

( )
∂B / B = (∂B / ∂y )(1 / B )∂y + ½ ∂ 2 B / ∂y 2 (1 / B )(∂y )2 + ...

Il termine (∂2B/∂y2)(1/B), chiamato «convessità» (convexity), misura la


sensibilità della duration rispetto al tasso di rendimento effettivo. Pertanto:

∂B / B = (− Modified duration )∂y + ½ (Convexity )(∂y )2 + ...

Per calcolare la convexity differenziamo ancora una volta il prezzo del tito-
lo rispetto al tasso di rendimento effettivo:

∂2B 1
=
∑t t (t + 1)X t y −t −2
∂y 2 B B

Se utilizziamo anche questo termine di second’ordine per misurare la sen-


sibilità di B rispetto a y, riusciamo ad ottenere risultati più accurati di quelli
ottenibili sulla base della sola duration.
La duration viene spesso utilizzata per “calibrare” le coperture dei por-
tafogli obbligazionari. Ad esempio, supponiamo di voler coprire la posi-
zione su un titolo con prezzo Bl e duration D1 assumendo una posizione su
un titolo con prezzo B2 e duration D2. Le variazioni di prezzo conseguenti
ad una piccola variazione, ∂y, dei tassi di rendimento effettivi saranno:
D1 D
∂B1 = − B1 ∂y e ∂B2 = − B2 2 ∂y
y y

Il problema del «ricopertista» (hedger) è quello di determinare il numero,


n, dei titoli del secondo tipo che renderebbe nulla la variazione di valore
osservabile in seguito ad una variazione dei tassi di rendimento. In altri
termini, occorre determinare il valore di n che soddisfa l’equazione:
∂B1 + n∂B2 = 0

Sostituendo:

D1 ⎛ D ⎞
− B1 ∂y + n⎜⎜ − B2 2 ∂y ⎟⎟ = 0
y ⎝ y ⎠
Risolvendo quest’equazione rispetto a n:
B1D1
n=−
B2 D2

Questo valore è detto «rapporto di copertura basato sulla duration» (dura-


tion-based hedge ratio). Fa sì che la duration dell’intera posizione sia nulla.
Sfortunatamente, quest’analisi è soggetta ad un limite importante. Come
abbiamo già visto, la duration cambia con il variare del tasso di rendimento

89
DERIVATI

effettivo. Pertanto, anche se può essere adeguato per variazioni modeste dei
tassi di rendimento, il duration-based hedge ratio non funziona per variazio-
ni più rilevanti. Un modo per risolvere questo problema è quello di utilizzare
un terzo titolo che tenga conto della convessità del portafoglio.
Riesamineremo questa problematica in maggior dettaglio nei Capitoli 4
e 5 quando ci occuperemo delle stesse misure di rischio (il delta e il gam-
ma) utilizzate per le opzioni.

Sommario: attività e moneta


Dato che i payoffs dei derivati dipendono dai futuri prezzi delle attività sot-
tostanti, è evidente che i valori correnti dei derivati devono dipendere dai
prezzi correnti delle attività sottostanti. Inoltre, dato che i payoffs si riferi-
scono a date future, i valori correnti dei derivati devono dipendere dal tasso
di sostituzione tra dollari futuri e dollari correnti, ossia dal tasso d’interesse
privo di rischio. Non sorprende quindi che le tecniche utilizzate per repli-
care i payoffs dei derivati si basino su posizioni rappresentate da attività e
moneta. È per questo motivo che dobbiamo comprendere le caratteristiche
delle attività sottostanti e della moneta prima di capire come si valutano e
si coprono (o si replicano) i derivati.
I diagrammi dei profitti e delle perdite sono utili strumenti per capire le
implicazioni del possesso di attività, moneta e derivati. Ogni posizione ha
la sua propria “firma” in termini di profitti e perdite. L’acquisto di un’at-
tività è rappresentato da una retta inclinata di 45° passante per l’origine. La
vendita di un’attività è l’immagine speculare dell’acquisto ed è rappresen-
tata da una retta inclinata negativamente passante per l’origine. La moneta
è rappresentata da una retta orizzontale che interseca l’asse delle ordinate
in corrispondenza degli interessi privi di rischio. Una posizione congiunta
su attività e moneta ha la sua propria firma: una retta diagonale che inter-
seca l’asse delle ordinate in corrispondenza degli interessi privi di rischio.
La principale caratteristica dei titoli privi del rischio d’insolvenza è la
collocazione temporale dei payoffs. I payoffs possono essere descritti dalla
term structure dei riskless returns – in termini di spot returns su base an-
nua o in termini di forward returns su base annua. I returns possono essere
stimati sulla base dei prezzi o dei tassi di rendimento effettivi di coupon
bonds di diversa durata.
Sotto certe condizioni, il rollover su una serie di titoli a breve termine
può offrire lo stesso payoff di un titolo a lungo termine. Inoltre, i tassi for-
ward correnti possono essere eccellenti previsori dei futuri tassi spot.
Il rischio delle obbligazioni viene in genere misurato con la duration,
definita come tempo medio mancante ai pagamenti previsti dal titolo. La
duration gode della “proprietà di portafoglio”. Inoltre, essa consente di an-
ticipare i cambiamenti di prezzo determinati da piccole variazioni del tasso
di rendimento effettivo. Maggiore è la durata, più è sensibile il prezzo alle
variazioni del tasso di rendimento e, quindi, più rischioso è il titolo.

90
FORWARDS E FUTURES

Tavola 2.5 Contratti Forward: definizione

I contratti forward sono accordi in cui il «compratore» (buyer) si


impegna ad acquistare dal «venditore» (seller) un’«attività
sottostante» (underlying asset) ad un certo prezzo, detto «prezzo di
consegna» (delivery price), durante un certo periodo, detto «periodo
di consegna» (delivery period). Le condizioni contrattuali sono
fissate in modo che il valore iniziale del contratto sia nullo.
S ≡ prezzo spot corrente dell’attività sottostante
S* ≡ prezzo spot dell’attività sottostante alla scadenza
K ≡ prezzo di consegna
t ≡ vita residua del contratto (anni)
r ≡ riskless return (su base annua)
d ≡ payout return (su base annua)
F ≡ prezzo forward corrente [fa sì che PV0(S* – F) = 0]
Payoff
Payoff == S*
S*––KK
dove
doveKKviene
vienefissato
fissatoin
inmodo
modoche PV00(S*
chePV (S*––K)
K)==00

2.2 VALUTAZIONE E REPLICA


Forwards e futures
Per esaminare le proprietà di forwards e futures avremo bisogno di ulterio-
re simbologia. I nuovi simboli e quelli che già stiamo utilizzando sono ri-
portati nella Tavola 2.5. Come prima, S continua a indicare il prezzo cor-
rente dell’attività sottostante, r il riskless return e t il tempo mancante alla
data di pagamento, che nel caso di forwards e futures è il tempo mancante
alla consegna dell’attività sottostante. Nel contesto di forwards e futures, S
è spesso chiamato «prezzo a pronti» (spot price).
Quando passeremo gradualmente alle formulazioni più quantitative, a-
vremo bisogno di S* per indicare il prezzo dell’attività sottostante alla data
del payoff.
Altrove abbiamo usato il simbolo D per indicare l’importo dei dividen-
di pagati a favore degli azionisti durante la vita del derivato. Un altro modo
per tener conto dei dividendi distribuiti è quello di definire il «ritorno da
dividendi» (payout return), d. Il «tasso di rendimento da dividendi» (pa-
yout yield), d – 1, è la quota del prezzo spot che verrà distribuita. Se assu-
miamo che tutti i dividendi vengano pagati alla scadenza, dopo t anni, i
simboli d e D sono legati tra loro dalla seguente relazione: d t = 1 + D / S.
Si noti che se D = 0, allora si ha d = 1.
Questa simbologia si dimostrerà utile per quasi tutti i tipi di derivati.
Inoltre, nel caso specifico dei forwards, utilizzeremo il simbolo K per indi-
care il prezzo di consegna. Alla data di consegna il compratore riceve S* −
K ed il venditore riceve K − S*. La somma dei due payoffs è nulla, dato che
il forward è un altro esempio di «gioco a somma zero» (zero-sum game).

91
DERIVATI

Figura 2.8 Buy Forward: profit and loss diagram

S = 100 Profit
t =1
r = 1,15
d = 1,00
25

50 75 125 150

Futuro Prezzo Spot

-25 F = S(r/d)t
= 100 × (1,15/1,00)1 = 115
Loss

Quando il contratto forward viene negoziato, il prezzo di consegna vie-


ne di solito determinato in modo che il valore attuale del payoff sia nullo. Il
«prezzo a termine» (forward price), F, è quel prezzo di consegna che, ad
una data generica (all’inizio o dopo l’inizio del contratto), annullerebbe il
valore attuale del payoff. Pertanto, all’inizio del contratto il prezzo for-
ward, F, è uguale al prezzo di consegna, K, ma dopo quella data, mentre K
rimane immutato, F cambia giorno dopo giorno fino alla data di consegna.
Ad esempio, se il prezzo spot aumenta, anche il prezzo forward tende ad
aumentare. Inoltre, anche se il forward è disegnato in modo da avere un
valore iniziale nullo, sarà solo per caso che potrà avere un valore nullo
successivamente alla data iniziale.
Fate attenzione a non confondere il prezzo di consegna oppure il prezzo
forward con il valore del contratto forward. In effetti, il forward è disegna-
to in modo che il suo valore iniziale sia nullo. In altri termini, il prezzo di
consegna, K, viene fissato in modo che il valore attuale del payoff, S* − K,
sia inizialmente nullo. Presto utilizzeremo questa proprietà per ricavare
un’equazione che lega il prezzo forward, F, a S, t, r e d.
All’origine, i profitti e le perdite di un forward lungo sono rappresenta-
ti da una retta inclinata di 45° che interseca F sull’asse delle ascisse. La
retta è parallela rispetto a quella che esprime il payoff dell’attività sotto-
stante ma risulta spostata verso destra.
Dati il prezzo spot corrente, S, il tempo mancante alla consegna, t, il ri-
skless return, r, ed il payout return, d, vedremo che il prezzo forward non
può essere determinato in modo arbitrario. In effetti, il prezzo forward è

92
FORWARDS E FUTURES

completamente determinato da questi variabili dovendo risultare


dall’equazione F = S (r/d) t. Nella Figura 2.8 il prezzo forward è di $115.
I forwards vengono trattati nei mercati over the counter mentre i futures
sono contratti simili che vengono negoziati in borsa. Una delle principali dif-
ferenze è che i profitti e le perdite sui futures, rispetto al giorno lavorativo
precedente, vengono accreditati e addebitati all’inizio di ogni giornata di bor-
sa. Pertanto, ogni giorno le posizioni vengono riportate in pareggio.
Le posizioni sui futures vengono chiuse in uno dei tre seguenti modi:
‰ prima del (o durante il) periodo di consegna, mediante «compensazio-
ne» (offset), ossia negoziando un contratto di segno opposto. Il compra-
tore vende ed il venditore compra lo stesso contratto originario;
‰ prima del periodo di consegna, mediante «scambio» (exchange for
physicals - EFP). Mediante l’EFP, i futures possono essere chiusi con
la consegna del sottostante anche prima del periodo previsto dalla borsa
(se c’è accordo tra compratore e venditore). Inoltre, le due parti posso-
no convenire che la consegna venga effettuata in una località diversa da
quella standard e che la qualità sia diversa da quella standard. Spesso
gli EFPs sono più diffusi delle consegne standard;
‰ durante il periodo di consegna, con la «consegna» (delivery) o, in alcu-
ni casi, con la «liquidazione per contanti» (cash settlement).
Ad esempio, un trader che è corto sul silver futures del Comex (Commodity
Exchange of New York) deve consegnare lingotti d’argento puro al 99,9%
per 5.000 once troy. Ogni lingotto deve avere un peso di 1.000-1.100 once ed
essere identificato dal numero di serie e dal marchio di una ditta autorizzata
dal Comex. Anche se l’argento va consegnato in un magazzino di New York
autorizzato dalla borsa, spesso il venditore del futures lo avrà già in deposito
presso un magazzino autorizzato, per cui deve solo trasferirne il diritto di
proprietà. A causa dei costi di consegna (immagazzinamento, assicurazione e
spedizione) e dato che spesso il compratore del futures non è effettivamente
interessato alla disponibilità dell’argento ma solo a speculare sul prezzo o a
coprirsi dalle sue variazioni, solamente una piccola parte delle posizioni sui
futures (di solito circa l’1%) viene chiusa con la consegna del sottostante.
Altri futures, come quelli sullo S&P500, prevedono il cash settlement.
Dato che tutti i profitti e le perdite realizzati prima dell’ultimo giorno di
negoziazione sono già stati regolati, occorre solo regolare i profitti e le
perdite determinati dalla variazione del prezzo futures nell’ultimo giorno.
Il prezzo finale di liquidazione viene fissato in base ad una speciale proce-
dura sul floor della Chicago Mercantile Exchange all’apertura della seduta
borsistica che segue l’ultimo giorno di negoziazione. In genere, l’ultimo
giorno di negoziazione è il giovedì che precede il terzo venerdì del mese di
consegna. Nei forwards, invece, è previsto un unico pagamento alla data di
consegna, quando i profitti e le perdite giornalieri vengono compensati tra
loro ed il saldo viene pagato da una parte all’altra.

93
DERIVATI

Tavola 2.6 Forwards e Futures: pagamenti

Tempo Forward Futures


0 0 0
1 0 F1 – F
2 0 F2 – F1
3 0 F3 – F2
· · ·
· · ·
· · ·
t–1 0 Ft – 1 – Ft – 2
t S*– F S* – Ft – 1
Totale S*– F S* – F

Differenze tra forwards e futures


Fortunatamente, la somiglianza tra i forwards e i futures è tale che molti
dei nostri risultati per i forwards varranno anche per i futures. In particola-
re, le formule di valutazione dei forwards funzioneranno in prima appros-
simazione anche per i futures.
Per dare una spiegazione intuitiva di questa equivalenza, la Tavola 2.6
mette a confronto i payoffs di un forward con quelli di un futures altrimenti
identico. Continueremo ad utilizzare il simbolo F per il prezzo forward
mentre useremo F per il prezzo futures. Analogamente ai forwards, il prez-
zo futures è quel prezzo che rende nullo il valore attuale del contratto futu-
res. I profitti e le perdite determinati dalle variazioni del prezzo futures
vengono quotidianamente regolati tra compratori e venditori. Grazie a que-
sta procedura, ogni giorno il prezzo di consegna nominale viene modificato
ed il valore del contratto viene azzerato. Pertanto, nel caso dei contratti fu-
tures, i prezzi futures e i prezzi di consegna nominali sono identici alla
chiusura di ogni giorno lavorativo.
La Tavola 2.6 mostra che, come nei forwards, anche nei futures non c’è
alcuno scambio di denaro nel momento in cui il contratto viene concluso.
Però, il prezzo futures, F, inizialmente negoziato viene modificato in Fl a
fine giornata. In particolare, se il prezzo spot è aumentato durante il giorno,
Fl sarà di solito più elevato di F. La differenza F1 − F, se positiva, viene
pagata dal venditore al compratore; se negativa, è invece pagata dal com-
pratore al venditore. Nella data di consegna, t, il compratore riceve un sal-
do finale pari alla differenza S* − Ft-1. Questo saldo lega il futures alla per-
formance dell’attività sottostante.

94
FORWARDS E FUTURES

Tavola 2.7 Futures: marking-to-the-market

Acquisto di 2 futures sullo S&P500. Prezzo futures corrente: $1.000


Valore del sottostante: $500.000 (= 2 × 250 × $1.000)
Initial margin: $25.000 ($12.500 per contratto)
Maintenance margin: $20.000 ($10.000 per contratto)
Pagamenti e Deposito di garanzia (flussi e consistenze in $)
Prezzo Cash Deposito / Deposito
Giorno futures Azione flow Prelevamento di garanzia
0 1.000,00 Acquisto di 2 futures 0 25.000 25.000
1 1.005,00 Il venditore paga 2.500 27.500
2 1.015,00 Il venditore paga 5.000 -1.000* 31.500
3 995,00 Il compratore paga -10.000 21.500
4 985,00 Il compratore paga -5.000 8.500† 25.000
5 990,00 Il venditore paga 2.500 27.500
* Prelevamento volontario † necessario per reintegrare l’initial margin

Inoltre, la tavola mostra che i prezzi futures intermedi si elidono, per


cui il risultato netto è pari alla differenza tra il prezzo spot finale e il prez-
zo futures iniziale.
Se il prezzo di consegna, K = F, del forward ed il prezzo futures inizia-
le, F, fossero uguali, allora gli importi complessivi ricevuti sulla base dei
due contratti sarebbero anch’essi uguali. I due contratti continuerebbero
però ad essere diversi in quanto tali importi verrebbero erogati «in unica
soluzione» (in a lump sum) alla scadenza nel caso del forward e a «rate»
(instalments) giornaliere nel caso del futures.
Il metodo dei pagamenti rateali utilizzato nel caso dei futures è chiama-
to «aggancio al mercato» (marking-to-the-market). La Tavola 2.7 ne illu-
stra il funzionamento ipotizzando che vengano acquistati due futures sullo
S&P500 ad un prezzo di $1.000. Dato che ogni contratto è scritto sul pro-
dotto tra 250 ed il prezzo in dollari dell’indice, l’acquisto dei due futures
comporta un’esposizione analoga a quella dell’investimento di $500.000 (=
2 × 250 × $1.000) nel sottostante. Supponiamo che il margine iniziale sia
di $12.500 per ogni contratto, così che compratore e venditore devono en-
trambi effettuare un deposito pari al doppio di quest’importo. Parte del
margine viene, a sua volta, depositato presso la clearing house dal futures
commission merchant (FCM). All’inizio, il giorno 0, il prezzo futures è pa-
ri a $1.000 e non vengono realizzati profitti o perdite. Pertanto, l’account
equity del compratore è pari al margine iniziale di $25.000.
Supponiamo che il prezzo futures alla fine del giorno 1 sia pari a
$1.005. Questo è il «prezzo di liquidazione» (settlement price), scelto da
un apposito comitato di borsa tra i prezzi rilevati a fine giornata. Si proce-

95
DERIVATI

de quindi al marking-to-the-market. Il profitto del compratore è di $2.500


[= 2 × 250 × ($1.005 – $1.000)] e la perdita del venditore è di –$2.500 [= 2
× 250 × ($1.000 – $1.005)]. Il venditore paga immediatamente (entro un
giorno lavorativo) un «margine di variazione» (variation margin) di $2.500
al compratore. Il compratore può prelevare $2.500 o, come nel nostro e-
sempio, lasciare i soldi sul conto di deposito, il cui saldo passa a $27.500.
Alla fine del giorno 2 il prezzo futures finisce a $1.015. Pertanto, il
compratore riceve altri $5.000 [= 2 × 250 × ($1.015 – $1.005)] dal vendito-
re. A questo punto, supponiamo che il compratore prelevi $1.000 e lasci
$31.500 (= $27.500 + $5.000 – $1.000) sul conto. Se avesse voluto, avreb-
be potuto prelevare fino a $7.500, in modo da lasciare comunque un impor-
to pari al margine iniziale.
Supponiamo ora che alla fine del giorno 3 il prezzo futures passi a
$995, determinando una perdita di $10.000 [= 2 × 250 × ($995 – $1.015)]
per il compratore. Dopo che tale importo è stato pagato, il saldo del conto
di deposito del compratore passa a $21.500 (= $31.500 – $10.000). Anche
se il saldo è inferiore al margine iniziale, il compratore non è tenuto ad ef-
fettuare un nuovo versamento perché il saldo è comunque maggiore del
margine di mantenimento ($20.000).
Alla fine del giorno 4, quando il prezzo futures passa a $985, il com-
pratore subisce una perdita di $5.000 [= 2 × 250 × ($995– $985)] che porta
il saldo del conto a $16.500 (= $21.500 – $5.000), sotto il livello di margi-
ne di mantenimento ($20.000). Il compratore del futures deve ora effettua-
re un nuovo versamento, in modo da ripristinare il livello del margine ini-
ziale ($25.000). È quindi necessario un versamento di $8.500 (= $25.000 –
$16.500).
Invece di ripristinare il livello del margine iniziale, il compratore po-
trebbe chiudere la posizione vendendo il futures (se non è in grado di effet-
tuare l’ulteriore versamento, il suo FCM liquiderà comunque la posizione).
La maggior parte delle posizioni su futures – soprattutto quelle sui contratti
non soggetti al cash settlement – viene chiusa attraverso operazioni di se-
gno opposto, piuttosto che con la consegna del sottostante.
Il marking-to-the-market, pur se può creare qualche fastidio agli opera-
tori, limita le insolvenze. Si paragoni questa procedura con quanto può ac-
cadere nel caso dei forwards, dove la liquidazione dei profitti e delle perdi-
te viene posticipata fino alla data di consegna. Grazie al marking-to-the-
market, i depositi di garanzia richiesti per i futures possono essere molto
bassi.
Chiedetevi ora se, ceteris paribus, preferireste entrare in un forward o
in un futures. A prima vista, sembrerebbe che il futures sia meglio. Con il
futures, realizziamo i profitti via via che si determinano, senza aspettare la
data di scadenza del contratto, come invece accade nel caso dei forwards.
Dato che possiamo reinvestire prima i profitti, e guadagnare ulteriori inte-
ressi, i futures sembrano essere più convenienti.

96
FORWARDS E FUTURES

Tavola 2.8 Prezzi Forward e Prezzi Futures

Strategia forward: acquistare r t forwards al tempo 0


Strategia futures: acquistare r k futures al tempo k – 1 e reinvestire il ricavato
fino alla scadenza t
Tempo Strategia forward Strategia futures
0 0 0
1 0 r (F1 – F)r t – 1
2 0 r 2 (F2 – F1)r t – 2
3 0 r 3 (F3 – F2)r t – 3
... ... ...
t–1 0 r t – 1(Ft – 1 – Ft – 2)r1
t r t (S* – F) r t (S* – Ft – 1)
Totale r t (S* – F) r t (S* – F)

⇒ F = F

Dobbiamo però ricordarci che potremmo anche perdere, se il prezzo


spot diminuisce. In tal caso, l’argomentazione cambia. Nel caso dei futures
le perdite verrebbero pagate prima rispetto ai forwards.
Si può dimostrare che, in base alle nostre tre ipotesi (assenza di oppor-
tunità di arbitraggio, mercati perfetti e certezza sui futuri spot returns), i
prezzi futures e i prezzi forward devono essere uguali (ossia, F = F).
Quest’affermazione è dimostrata matematicamente nella Tavola 2.8,
ma eccone una spiegazione intuitiva. Se il prezzo del sottostante tende a
salire, il compratore preferirà il futures al forward perché il futures gli con-
sente di anticipare i profitti, reinvestirli e ricevere interessi. Il contrario ac-
cade se il prezzo del sottostante tende a scendere. In tal caso, il compratore
preferirà il forward al futures. Dato che entrambe le fattispecie sono possi-
bili, gli effetti sugli interessi tendono a compensarsi, lasciando sia i futures
sia i forwards con un valore attuale nullo solo se F = F.
Supponiamo ora che i futuri tassi d’interesse siano incerti e, in partico-
lare, che le variazioni del prezzo spot siano correlate positivamente con le
variazioni dei tassi d’interesse. In tal caso, quando il prezzo futures aumen-
ta (all’aumentare del prezzo spot e dei tassi d’interesse), i profitti che il
compratore del futures realizza in base alla procedura di marking-to-the-
market potrebbero essere reinvestiti a tassi d’interesse relativamente alti.
Al contrario, quando il prezzo futures diminuisce (al ridursi del prezzo spot
e dei tassi d’interesse), le perdite che il compratore del futures subisce po-
trebbero essere finanziate a tassi d’interesse relativamente bassi. Quindi, il
compratore si troverebbe meglio, a parità di altre condizioni, con un futu-
res piuttosto che con un forward. Di conseguenza, le forze di mercato

97
DERIVATI

spingerebbero il prezzo futures ad un livello più alto di quello del prezzo


forward.
Fortunatamente, i prezzi delle attività sottostanti non sono sufficiente-
mente correlati (positivamente o negativamente) con i tassi d’interesse da
rendere questo effetto significativo. Ne approfitteremo per assumere che, a
parità di altre condizioni, i prezzi futures e i prezzi forward siano uguali.10
La Tavola 2.8 offre la dimostrazione di questa uguaglianza:

Se non esistono opportunità di arbitraggio, se i mercati sono perfetti e se i fu-


turi spot returns sono certi, il prezzo futures e il prezzo forward di due contratti
futures e forward altrimenti identici sono uguali.

L’idea è quella di confrontare due strategie d’investimento che iniziano e


finiscono alle stesse date e si basano la prima esclusivamente sui forwards
e la seconda esclusivamente sui futures. Entrambe le strategie richiedono
lo stesso investimento iniziale, vale a dire zero, e – fatta eccezione per un
numero costante di dollari (F per la strategia forward e F per la strategia
futures) – hanno altrimenti lo stesso valore finale. Dato che le due strategie
richiedono lo stesso investimento iniziale e si autofinanziano, per essere
coerenti con l’ipotesi di assenza di opportunità di arbitraggio i due importi
in dollari, F e F, devono essere uguali.
Vediamo ora come sono state definite le due strategie. Solo ai fini di
quest’argomentazione, supponiamo che r sia lo spot return giornaliero e t
sia misurato in giorni. La strategia forward è molto semplice: compriamo
un numero di contratti forward pari a rt. Questa strategia ha un costo ini-
ziale nullo e un payoff pari a rt(S* − F) alla data di consegna, dove F = K è
il prezzo forward all’origine.
La strategia futures è più complessa perché dobbiamo tener conto dei
pagamenti intermedi dovuti al marking-to-the-market. All’origine, com-
priamo un numero di contratti futures pari a r, con prezzo futures F. Alla
fine del primo giorno riceviamo r (F1 − F). Chiudiamo la posizione e inve-
stiamo r (F1 − F) allo spot return fino alla data di consegna. Il valore fina-
le di questo primo investimento intermedio sarà pari a r (F1 − F) r t-1. Si-
multaneamente assumiamo un’altra posizione sui futures. Questa volta
compriamo un numero di contratti pari a r2, con prezzo futures F1. Il gior-
no dopo chiudiamo la posizione e investiamo r2 (F2 − F1) allo spot return
fino alla data di consegna. Il valore finale di questo secondo investimento
intermedio sarà pari a r2 (F2 − F1) r t-2. Continuiamo così fino al tempo t −
1 quando compriamo un numero di contratti pari a rt, con prezzo futures
Ft-1. Il giorno dopo, alla data di consegna, riceveremo rt (S* − Ft-1). Per
riassumere, i valori finali degli investimenti intermedi saranno rt (F1 − F),
r t (F2 − F1), r t (F3 − F2) e così via fino a rt (S* − Ft-1). Se sommiamo tutti
questi termini, molti si elidono tra loro lasciando un valore finale comples-
sivo pari a rt (S* − F).

98
FORWARDS E FUTURES

Tavola 2.9 Forward-Spot Parity: esempio numerico

Assunzioni: S = 100
‰ assenza di opportunità di arbitraggio t =1
‰ mercati perfetti r = 1,15
‰ attività sottostante non detenuta per fini di consumo o di produzione d = 1,00

Data corrente Data di consegna


Contratto forward lungo 0 S* – F
Contratto spot lungo – 100 S*
Finanziamento (PV0 di F) F / 1,15 –F
Totale – 100 + F / 1,15 S* – F

– 100 + F / 1,15 = 0 ⇒ F = 115

Confrontando queste due strategie, ricordiamoci che richiedono un in-


vestimento iniziale nullo e che si autofinanziano. La prima finisce con un
payoff di rt (S* − F) alla data di consegna e l’altra con un payoff di rt (S* −
F). I payoffs sono uguali a parte le costanti F e F. Di conseguenza, in as-
senza di opportunità di arbitraggio, deve risultare F = F.

Forward-spot parity
Avendo stabilito che futures e forwards altrimenti identici devono avere gli
stessi prezzi, limiteremo d’ora in poi le nostra analisi al più facile contesto
dei forwards. Useremo quindi il simbolo F per indicare sia i prezzi forward
sia i prezzi futures.
L’analisi che segue richiede solo due delle nostre tre consuete assun-
zioni:
‰ assenza di opportunità di arbitraggio;
‰ mercati perfetti.
I nostri prossimi risultati valgono anche se i futuri spot returns non sono noti.
Avremo però bisogno di un’altra assunzione, che discuteremo più avanti:
‰ l’attività sottostante non viene detenuta per fini di consumo o di produ-
zione.
Inoltre, assumeremo implicitamente che il payout return dell’attività sotto-
stante, durante la vita del forward, sia noto in anticipo.
L’esempio numerico della Tavola 2.9 mostra come si calcola il prezzo
forward in base al prezzo spot corrente ($100) e al riskless return su base

99
DERIVATI

Figura 2.9 Forward Sintetico: asset + borrowing

S = 100 Profit
t =1 Buy Asset
r = 1,15
d = 1,00
25 Forward sintetico

50 75 125 150

Futuro Prezzo Spot

Borrowing
-25
Valore iniziale del forward
Loss = $100 – ($115/1,15)1 = $0

annua (1,15) quando non ci sono payouts durante la vita del contratto for-
ward.
Consideriamo un contratto forward con scadenza tra 1 anno:
(1) il payoff del contratto forward può essere replicato formando un porta-
foglio che contiene un’unità dell’attività sottostante, il cui acquisto è
stato interamente finanziato prendendo a prestito un importo pari al va-
lore attuale, PV0, del prezzo forward. Si noti che il prestito comporta
l’obbligo di restituire alla data di consegna un importo pari a
(F /1,15)×1,15 = F
a titolo sia di interessi sia di capitale;
(2) dato che il portafoglio equivalente ha sempre lo stesso payoff del con-
tratto forward, il suo costo corrente in assenza di opportunità di arbi-
traggio deve essere uguale al costo corrente del contratto forward;
(3) dato che il costo corrente del contratto forward è nullo, il costo corrente
del portafoglio equivalente deve essere anch’esso nullo; ne segue quindi
che deve valere l’equazione riportata nella tavola: –$100 + F/1,15 = 0;
(4) risolvendo quest’equazione rispetto a F si ottiene che il prezzo forward
deve essere pari a $115.
Il diagramma di profitti e perdite riportato nella Figura 2.9 rappresenta un
altro modo per illustrare la «relazione d’arbitraggio tra prezzo forward e
prezzo spot» (forward-spot parity). Essa mostra che il payoff di un contrat-
to forward può essere replicato prendendo denaro a prestito per comprare
spot l’attività sottostante.

100
FORWARDS E FUTURES

Tavola 2.10 Forward-Spot Parity: arbitrage table

Data corrente Data di consegna


Contratto forward lungo 0 S* – F
Contratto spot lungo (d–t unità) – Sd–t S*
Finanziamento (PV0 di F) F r–t –F
Totale – Sd–t +F r–t S* – F

– Sd–t + Fr–t = 0 ⇒ F = S(r/d) t

[I payouts ricevuti tra la data corrente e la data di consegna vengono reinvestiti


nell’azione sottostante che ha un payout return pari a d. Il valore finale dell’ in-
vestimento, cum payouts, è pari a S* + (d – 1) S* = dS*. Per avere tra un anno
solo il capitale è sufficiente acquistare ora solo d–1 azioni: il valore finale di un
investimento di (d –1)S è infatti pari a (d –1) (dS*) = S*].

Dato che la retta dei profitti e delle perdite del forward sintetico inter-
seca l’asse delle ascisse a 115, il prezzo forward deve essere pari a $115, a
conferma della nostra analisi numerica. Invece, il valore iniziale del con-
tratto forward deve essere pari a zero.
Una dimostrazione algebrica del nostro esempio, payouts inclusi, è ripor-
tata nell’apposita «tavola d’arbitraggio» (arbitrage table). La Tavola 2.10
mostra che il prezzo forward (fissato in modo che il valore attuale del con-
tratto forward sia nullo) deve essere pari al prezzo spot corrente, S, moltipli-
cato per la t-esima potenza del rapporto tra il riskless return, r, e il payout
return, d. La dimostrazione si basa sull’assunzione che non esistano oppor-
tunità di arbitraggio e che i mercati siano perfetti (e, implicitamente, che
l’attività sottostante non sia detenuta per fini di consumo o di produzione).11
Il filo logico della dimostrazione è il seguente:

(1) il forward viene replicato formando un portafoglio che contiene d -t uni-


tà dell’attività sottostante (esattamente un’unità se non ci sono pa-
youts). Il costo d’acquisto, –Sd -t, viene finanziato prendendo in prestito
il valore attuale del prezzo forward, Fr -t. Alla data di consegna, per e-
stinguere il prestito, dovremo pagare (Fr -t) × r t = F;
(2) il payoff di questo portafoglio alla data di consegna è sempre uguale a
quello del forward, S* − F. Pertanto, affinché non esistano opportunità
d’arbitraggio, il suo costo corrente deve essere uguale al costo corrente
del forward;
(3) dato che il costo corrente del forward è nullo, il costo corrente del por-
tafoglio equivalente deve essere anch’esso nullo; ne segue quindi che

101
DERIVATI

deve valere l’equazione riportata nella Tavola 2.10: −Sd -t + Fr -t = 0;


(4) risolvendo questa equazione rispetto a F si ottiene il prezzo forward
compatibile con l’assenza di opportunità di arbitraggio.

È bene capire perché il valore attuale dell’attività sottostante deve essere


pari a S. Il prezzo corrente è l’importo che l’investitore deve pagare per
ricevere il payout return, d, e il prezzo finale S* alla data di consegna. Il
valore attuale dell’attività sottostante può quindi essere scomposto in due
parti: il valore attuale dei payouts, S(1 − d-t), ed il valore attuale del prezzo
finale, Sd-t. È solamente questa ultima parte che influenza il prezzo for-
ward, dato che il compratore del forward non ha diritto a ricevere i payouts
distribuiti dall’attività sottostante durante la vita del contratto.
Probabilmente il fatto più importante di un forward lungo è che ha lo
stesso payoff di una posizione sull’attività sottostante interamente finanzia-
ta con denaro preso a prestito. Di conseguenza, i forwards (e i futures) of-
frono implicitamente agli investitori un leverage maggiore di quello che
potrebbero di solito ottenere. In effetti, nei mercati futures gli investitori
devono costituire un deposito di garanzia; ma questo è di solito piuttosto
modesto, dell’ordine del 3%-8% del prezzo corrente dell’attività sottostan-
te. Nei mercati dei forwards a volte si richiede un deposito di garanzia più
elevato o una fideiussione di una terza parte a favore del compratore o del
venditore. Chi investe in futures può preoccuparsi molto meno del rischio
di credito grazie alla procedura giornaliera del marking-to-the market. Si
noti inoltre che combinando i forwards con altre operazioni possiamo re-
plicare sinteticamente una vendita allo scoperto (forward corto + repo) o
un reverse repo (forward corto + acquisto spot).
Si potrebbe pensare che il prezzo forward sia molto prossimo al valore
atteso del prezzo spot che verrà osservato alla data di consegna. Si potreb-
be quindi supporre che, noti S, r, d e t, quanto maggiore è il valore atteso,
tanto maggiore è il prezzo forward. Questa supposizione non è esatta.
L’equazione che abbiamo visto mostra che il prezzo forward è interamente
determinato dal prezzo spot corrente, dal riskless return, dal payout return
e dal tempo mancante alla scadenza. Il valore atteso del futuro prezzo spot
non svolge alcun ruolo diretto nella determinazione del prezzo forward.
Semmai, le aspettative possono svolgere un ruolo indiretto, attraverso la
loro influenza su S, r, d e t.
La nostra analisi è soggetta ad un importante limite che non abbiamo
enfatizzato. Abbiamo assunto che il sottostante non sia detenuto, durante la
vita del forward, per fini di consumo o di produzione. Se così non fosse, la
tavola di arbitraggio sarebbe errata. Nella tavola abbiamo implicitamente
assunto che il valore corrente del sottostante derivi esclusivamente dal va-
lore alla data di consegna e dai payouts distribuiti prima della data di con-
segna. Invece, se il sottostante venisse detenuto per fini di consumo o di
produzione, il valore attuale di S* non sarebbe più pari a Sd -t ma a un po’

102
FORWARDS E FUTURES

di meno perché, per ottenere S* alla data di consegna, l’attività non do-
vrebbe essere utilizzata per fini di consumo o di produzione. Pertanto, il
prezzo forward sarà tanto minore quanto maggiore è il valore del sottostan-
te per fini di consumo o di produzione. In altri termini, quando paghiamo S
per l’attività sottostante stiamo in effetti comprando tre cose:
‰ il valore del bene alla data di consegna;
‰ i futuri payouts (al netto dei costi di immagazzinamento);
‰ l’opzione di consumo o di produzione.
In pratica, gli indici azionari, i tassi d’interesse, le valute, l’oro e l’argento
non vengono utilizzati per fini di consumo o di produzione, per cui la no-
stra analisi rimane valida. Però, non lo è in altri casi, come quando il sotto-
stante è rappresentato da petrolio, frumento o soia, tutte merci che vengono
utilizzate per fini di consumo o di produzione. In questi casi, il valore
dell’opzione di consumo o di produzione può essere tale da far scendere il
prezzo forward al di sotto del prezzo spot.

Terminologia propria dei futures


Come tutti i settori specialistici, anche i mercati di forwards e futures han-
no la loro specifica terminologia.
La «base» (basis) è la differenza tra prezzo futures e prezzo spot, diffe-
renza che tende a restringersi, fino ad annullarsi alla data di consegna.12
L’incertezza circa l’ampiezza della base è chiamata «rischio base» (basis
risk). Questo rischio può essere rilevante se l’investitore vuole chiudere la
sua posizione prima della data di consegna, o se intende attuare una strategia
di rollover su una serie di contratti. In questo secondo caso, l’investitore so-
stiene il rischio base ogni volta che sostituisce il contratto sotto scadenza con
un nuovo contratto che prevede una data di consegna più lontana nel tempo.
Se la base è positiva (F > S), si dice che il futures è in «riporto» (contan-
go). Questa è la situazione normale sia per i metalli preziosi, dato che F = Sr t
e r > 1, sia per gli indici azionari, dato che F = S (r/d) t e r > d. Se la base è
negativa (F < S), si dice che il futures è in «forte deporto» (strong backwar-
dation). Questa è la situazione normale sia per il petrolio sia per molte valu-
te. Assumendo che sia r > d, si dice che il futures è in «debole deporto» (we-
ak backwardation) quando il prezzo futures, pur essendo maggiore del prez-
zo spot, è minore del prezzo teorico [S (r/d) t nel caso dei futures su indici
azionari]. Questi stessi termini vengono a volte utilizzati con riferimento
all’intera term structure dei prezzi futures. Ad esempio, se la term structure è
inclinata positivamente, si dice che il mercato è in riporto.
Una posizione su due futures altrimenti identici ma con diverse date di
consegna è detta interdelivery spread (o anche straddle o time spread).
Una posizione su due futures altrimenti identici ma con diverse attività sot-
tostanti è detta intercommodity spread. Tra gli esempi di intercommodity
spreads figurano il NOB spread (Notes Over Bonds), il MOB spread (Mu-

103
DERIVATI

Tavola 2.11 Mercato Normale e Mercato Inverso

Prezzi di chiusura (13 febbraio 1997)


Mese
Mese S&P
S&P500
500 Oro
Oro Grano
Grano Petrolio
Petrolio
(CME)
(CME) (CMX)
(CMX) (CBT)
(CBT) (NYM)
(NYM)
Cash
Cash 811,82
811,82 284,50
284,50
mar 97 814,15 (182.140) 342,50
mar 97 814,15 (182.140) 342,50 (65) 274,50
(65) 274,50(104.675)
(104.675) 22,02
22,02 (58.307)
(58.307)
apr
apr97
97 343,00
343,00(99.536)
(99.536) 21,74
21,74 (72.104)
(72.104)
mag
mag9797 273,75
273,75 (87.014)
(87.014) 21,44
21,44 (40.178)
(40.178)
giu 97
giu 97 821,65 (11.206) 345,20 (25.247)
821,65 (11.206) 345,20 (25.247) 21,19
21,19 (35.422)
(35.422)
lug
lug97
97 271,75
271,75 (72.954)
(72.954) 20,96
20,96 (16.839)
(16.839)
ago
ago97
97 347,60
347,60(10.496)
(10.496) 20,75
20,75 (15.868)
(15.868)
set
set97
97 829,55
829,55 (1.652)
(1.652) 267,75
267,75 (10.852)
(10.852) 20,56
20,56 (15.740)
(15.740)
dic
dic97
97 837,75 (1.597) 352,50
837,75 (1.597) (18.494) 268,25
352,50(18.494) 268,25 (46.821)
(46.821) 20,14
20,14 (24.312)
(24.312)
dic
dic98
98 867,30
867,30 (5.016)
(5.016) 263.25
263.25 (1.534)
(1.534) 19,81
19,81 (10.971)
(10.971)
Tra parentesi è riportato l’open interest.

nicipals Over Bonds), il crush spread (tra olio di soia e farina di soia), il
crack spread (tra petrolio grezzo e benzina o gasolio), il gold-silver spread
(tra oro e argento) ed il Ted spread (tra T-bills ed eurodollari).
In generale, siano Fl e S1* il prezzo futures ed il prezzo spot alla data di
consegna della prima merce. Inoltre, siano F2 e S2* il prezzo futures ed il
prezzo spot alla data di consegna della prima merce. L’intercommodity
spread viene creato comprando nl (nl > 0) futures sulla prima merce e ven-
dendo n2 (n2 < 0) futures sulla seconda. I due contratti hanno la stessa data
di consegna, per cui il payoff dello spread è pari a:
( ) ( ) ( )
n1 S1* − F1 + n2 S 2* − F2 = n1S1* + n2 S 2* − (n1 F1 + n2 F2 )
Pertanto, lo spread equivale ad un futures scritto sulla somma ponderata
delle due attività sottostanti, con prezzo futures pari a nlF1 + n2F2.
La Tavola 2.11 riporta i prezzi futures di contratti scritti su quattro di-
verse attività − lo S&P500, l’oro, il grano ed il petrolio greggio.
Lo S&P500 è chiaramente in riporto − ossia, la base è positiva per tutte
le scadenze. Inoltre, il prezzo futures dello S&P500 aumenta con la sca-
denza − una situazione che è nota come «mercato normale» (normal mar-
ket). Questo è quanto dovremmo attenderci, dato che di solito, su questo
mercato, si ha r > d. Per comprare un interdelivery spread potremmo
comprare il futures con scadenza giugno e vendere il futures con scadenza
marzo.
Anche i prezzi futures dell’oro crescono con la scadenza. È quanto do-
vremmo attenderci dato che l’oro non ha payouts, ha costi di immagazzi-
namento trascurabili ed è detenuto soprattutto per fini d’investimento.

104
FORWARDS E FUTURES

Figura 2.10 Cost of Carry e Implied Repo Return

‰ Cost of Carry: tutti i costi al netto dei benefici rivenienti dal possesso
dell’attività sottostante fino alla data di consegna
‰ Implied Repo Return: F = S(r/d) t ⇒ r = d(F/S)1/ t
111
Prezzo spot / futures ($)

109
r = 1,08 d = 1,03
107
105
Prezzo futures
103
101
Prezzo spot
99
97
90 84 78 72 66 60 54 48 42 36 30 24 18 12 6 0
Vita residua (giorni)

Il grano è detenuto soprattutto per fini di consumo. Di conseguenza,


non dovremmo sorprenderci che i suoi prezzi futures siano in forte deporto.
Inoltre, il prezzo futures del grano diminuisce con la scadenza − una situa-
zione che è nota come «mercato inverso» (inverted market).
In genere, è previsto un periodo di diversi giorni durante il quale il ven-
ditore del futures può effettuare la consegna. In caso di mercato normale –
quando i benefici derivanti dalla disponibilità del sottostante (payout re-
turn e opzione di consumo / produzione) sono minori dei costi di detenzio-
ne (riskless return e costi d’immagazzinamento) – il venditore deciderà di
effettuare la consegna nella parte iniziale del periodo. Invece, in caso di
mercato inverso, quando i costi sono minori dei benefici, il venditore a-
spetterà la fine del periodo per effettuare la consegna.
Si noti, inoltre, una caratteristica sulla quale torneremo più avanti: l’open
interest (il numero dei contratti in essere, che nella tavola è riportato tra pa-
rentesi) tende a concentrarsi sui futures con la scadenza più vicina. Il feno-
meno è particolarmente pronunciato nel caso dei futures su indici azionari.
Per coprire una posizione corta su futures si può comprare a pronti
l’attività sottostante. I costi connessi con la posizione spot, inclusi gli interes-
si e i costi d’immagazzinamento, rappresentano il cosiddetto «costo di trasfe-
rimento» (cost of carry). I payouts vanno a compensare il cost of carry.
Un utile modo per valutare i prezzi futures è quello di risolvere la for-
ward-spot parity, F = S(r/d) t , rispetto al tasso d’interesse privo di rischio,
r – 1, da cui r − 1 = d(F/S)l/t − 1. Questo è il cosiddetto «tasso di riporto
implicito» (implied repo rate). Grosso modo, tassi impliciti elevati indica-
no prezzi futures elevati, e viceversa. Il prezzo futures dipende dal tipo di

105
DERIVATI

Tavola 2.12 Prezzo Forward troppo alto?

Data corrente Data di consegna


Contratto forward corto 0 – S* + F
Contratto spot lungo (d–t unità) – Sd–t S*
Finanziamento (PV0 di F) F r–t –F
Totale – Sd–t +F r–t 0

F > S(r/d)t ⇒ – Sd–t + F r–t > 0

‰ Le vendite del contratto forward tenderanno a far ridurre il prezzo forward e


gli acquisti del sottostante tenderanno a far aumentare il prezzo spot. Gli
arbitraggi continueranno finché non risulterà F ≤ S(r/d)t.
‰ Si è ipotizzato che gli arbitraggisti possano finanziarsi al tasso r – 1.

sottostante e dall’unità di misura in cui è espressa la quotazione. Quindi le


quotazioni dei futures scritti su diversi sottostanti non sono facilmente
comparabili. La comparazione non è agevole neppure quando si confronta-
no contratti sullo stesso sottostante ma con diverse scadenze. Anche la base
(la differenza tra prezzo futures e prezzo spot) cambia col trascorrere del
tempo, diventando sempre più piccola all’avvicinarsi della data di conse-
gna. Invece, gli implied repo rates consentono di fare facili confronti dato
che tendono a rimanere relativamente stabili fino alle scadenze dei contrat-
ti, anche se in prossimità delle date di consegna i loro valori diventano
molto sensibili a piccoli errori in F, S e t. Gli interdelivery spreads sono
spesso motivati dal convincimento che i due futures convergeranno verso i
prezzi spot sulla base di tassi impliciti diversi.
La Figura 2.10 riporta un esempio nel quale il prezzo futures, che è ini-
zialmente maggiore del prezzo spot, tende a convergere verso il prezzo
spot ad un tasso implicito costante (pari all’8% su base annua) via via che
si avvicina la data di consegna.
Gli implied repo rates relativi a futures scritti su diversi sottostanti ma
con uguali scadenze dovrebbero essere all’incirca uguali, altrimenti un in-
vestitore potrebbe realizzare un profitto d’arbitraggio assumendo una posi-
zione su un intercommodity spread.

Riesame della forward-spot parity


Abbiamo sostenuto che, se non ci sono opportunità d’arbitraggio prive di
rischio, due portafogli che si auto finanziano e hanno sempre lo stesso
payoff devono avere anche lo stesso valore corrente. Nel caso dei forwards,

106
FORWARDS E FUTURES

Tavola 2.13 Prezzo Forward troppo basso?

Data corrente Data di consegna


Contratto forward lungo 0 S* – F
Contratto spot corto (d–t unità) Sd–t – S*
Investimento (PV0 di F) – F r–t F
Totale Sd–t – F r–t 0

F < S(r/d)t ⇒ Sd–t – F r–t > 0

‰ Gli acquisti del contratto forward tenderanno a far aumentare il prezzo


forward e le vendite del sottostante tenderanno a ridurre il prezzo spot. Gli
arbitraggi continueranno finché non risulterà F ≥ S(r/d)t.
‰ Si è ipotizzato che gli arbitraggisti possano vendere il sottostante allo
scoperto ed investano il ricavato al tasso r – 1.

questa argomentazione ci ha condotto alla forward-spot parity, F = S (r/d)t.


È ora opportuno riesaminare la nostra argomentazione.
Supponiamo innanzitutto che, contrariamente a quanto abbiamo soste-
nuto, risulti F > S (r/d)t. Dato che il prezzo forward è troppo alto, possiamo
approfittare di questa opportunità vendendo il forward ma, dato che do-
vremo consegnare il sottostante, dobbiamo coprirci acquistandolo a pronti
dopo aver preso in prestito il denaro occorrente per l’acquisto. La Tavola
2.12 mostra che il nostro portafoglio ha un valore corrente pari a −Sd –t +
Fr –t ed un valore nullo alla scadenza. Dato che (per ipotesi) F > S (r/d)t, il
valore corrente del portafoglio è positivo, per cui realizziamo un profitto
immediato. In effetti, veniamo pagati per nulla. Se davvero osservassimo F
> S (r/d)t, sarebbero in molti a cercare di vendere il forward. Così facendo
ne farebbero scendere il prezzo. Affinché questo eccesso di vendite abbia
fine, occorre che il prezzo forward scenda fino a che F ≤ S (r/d)t. In effetti,
l’ipotesi che risulti F > S (r/d)t è indifendibile e non potrà mai realizzarsi.
Si noti però che, affinché quest’argomentazione sia valida, occorre che
gli investitori siano in grado di coprirsi e, in particolare, di prendere in pre-
stito denaro al tasso d’interesse privo di rischio, r – 1.
Abbiamo eliminato la possibilità che risulti F > S (r/d)t. restano da veri-
ficare le altre due possibilità: F < S (r/d)t e F = S (r/d)t.
Esaminiamo innanzitutto il caso F < S (r/d)t. Dato che il prezzo forward
è troppo basso, possiamo approfittare di questa opportunità comprando il
forward ma, dato che dovremo ricevere il sottostante, dobbiamo coprirci
vendendolo a pronti (allo scoperto se non ne abbiamo la disponibilità) e
dando in prestito il ricavato della vendita. La Tavola 2.13 mostra che il no-

107
DERIVATI

stro portafoglio ha un valore corrente pari a Sd –t − Fr –t ed un valore nullo


alla scadenza. Dato che (per ipotesi) F < S (r/d)t, il valore corrente del por-
tafoglio è positivo, per cui realizziamo un profitto immediato. In effetti,
veniamo pagati per nulla. Se davvero osservassimo F < S (r/d)t, sarebbero
in molti a cercare di comprare il forward. Così facendo ne farebbero salire
il prezzo. Affinché questo eccesso di acquisti abbia fine, occorre che il
prezzo forward salga fino a che F ≥ S (r/d)t. In effetti, l’ipotesi che risulti F
< S (r/d)t è indifendibile e non potrà mai realizzarsi.
Si noti però che, affinché quest’argomentazione risulti valida, occorre
che gli investitori abbiano la possibilità di vendere allo scoperto e di rice-
vere sul ricavato della vendita il tasso d’interesse privo di rischio, r – 1.
Abbiamo dimostrato che, per sfruttare le opportunità di arbitraggio, gli
investitori fanno in modo che risulti F ≤ S(r/d)t quando il forward è so-
pravvalutato e F ≥ S(r/d)t quando il forward è sottovalutato. Ne segue che
l’unico possibile risultato coerente è l’uguaglianza: F = S (r/d)t. Solo in tal
caso non ci sono opportunità di arbitraggio, perché il prezzo forward non è
né sopravvalutato né sottovalutato.
Se questo è il prezzo forward di mercato, gli investitori possono impli-
citamente dare e prendere in prestito denaro a condizioni più favorevoli di
quelle che altrimenti sarebbero stati in grado di ottenere. Ecco quindi altri
due motivi per cui gli investitori utilizzano i mercati dei forwards e dei fu-
tures.
La nostra argomentazione di arbitraggio assume implicitamente che i
mercati siano perfetti – in particolare che gli investitori possano dare e
prendere in prestito denaro al tasso d’interesse privo di rischio, r – 1. Ci si
potrebbe chiedere cosa accadrebbe nel caso in cui l’investitore, pur poten-
do prendere in prestito denaro al tasso privo di rischio, non percepisca inte-
ressi sul ricavato della vendita allo scoperto. In altri termini, il suo tasso
passivo è r – 1 ma il tasso attivo è 0. In tal caso, ripetendo l’argomenta-
zione di arbitraggio, dovremmo di nuovo concludere che F ≤ S(r/d)t, dato
che questa conclusione non dipende dalla vendita allo scoperto, ma po-
tremmo solo concludere che F ≥ S (1/d)t, dove r è stato sostituito da 1, dato
che questa conclusione dipende dalla vendita allo scoperto e l’investitore
non riceve interessi sul ricavato della vendita.
In breve, nella situazione estrema in cui non si ricevono interessi sul ri-
cavato delle vendite allo scoperto, le argomentazioni di arbitraggio ci per-
mettono di individuare solo l’intervallo S(1/d)t ≤ F ≤ S(r/d)t in cui deve es-
sere compreso il prezzo forward e non più un unico valore.
È chiaro che il prezzo forward di mercato assumerà un certo valore, ma
in tal caso non siamo in grado di determinarlo. Per farlo, avremmo bisogno
di altre informazioni, come il ritorno atteso dell’attività sottostante ed una
teoria su come gli investitori utilizzano questa informazione per determina-
re il prezzo forward – una teoria che può essere piuttosto complessa e che
va oltre quello che possiamo considerare in questa sede.

108
FORWARDS E FUTURES

Sommario: valutazione e replica


Alla data di scadenza, i forwards pagano la differenza tra il prezzo spot
dell’attività sottostante ed il prezzo di consegna. Il prezzo di consegna vie-
ne fissato all’origine in modo che il valore corrente del contratto sia nullo.
Il prezzo forward è quel prezzo di consegna che renderebbe nullo il valore
corrente del contratto anche successivamente alla data in cui il contratto è
stato stipulato. In genere, il prezzo di consegna ed il prezzo forward sono
uguali solo all’inizio.
I futures sono simili ai forwards ma il loro valore viene liquidato alla fine
di ogni giorno lavorativo, quando si regolano i profitti e le perdite rispetto al
giorno precedente e quando ai contratti viene assegnato un nuovo prezzo fu-
tures. Il totale dei pagamenti in dollari su forwards e futures è lo stesso ma la
loro collocazione temporale è diversa. Tuttavia, sotto l’ipotesi che non esi-
stano opportunità di arbitraggio, che i mercati siano perfetti e che gli spot
returns siano certi, i prezzi forward e futures di contratti altrimenti identici
devono essere uguali tra loro. Di conseguenza, la maggior parte delle nostre
analisi sui forwards sarà approssimativamente valida anche per i futures.
Probabilmente, il fatto più importante da ricordare per quanto riguarda i
forwards è questo: il payoff di un forward è lo stesso di un portafoglio con-
sistente nell’acquisto dell’attività sottostante con denaro interamente preso
a prestito. Il portafoglio è detto «portafoglio equivalente» (replicating por-
tfolio). Questo risultato vale sotto l’ipotesi che non esistano opportunità di
arbitraggio, che i mercati siano perfetti e che l’attività sottostante non sia
detenuta per fini di consumo o di produzione.
In questo caso, il prezzo forward può essere determinato in base ad una
semplice formula, la cosiddetta forward-spot parity, nella quale risulta
funzione di quattro variabili: il prezzo spot dell’attività sottostante, il tem-
po mancante alla scadenza, il riskless return ed il payout return. Si noti che
tra queste variabili non figura il ritorno atteso dell’attività sottostante.
Da un’attenta analisi delle argomentazioni di arbitraggio si evince che
questi contratti consentono di dare e prendere in prestito denaro a tassi in
linea con quelli impliciti nei contratti di riporto. Se invece l’investitore
marginale che replica un futures corto non riceve interessi sul ricavato del-
la vendita allo scoperto (in violazione dell’ipotesi di mercati perfetti), le
nostre assunzioni ci consentono solo di individuare l’intervallo nel quale
deve trovarsi il prezzo forward ma non di determinare il suo esatto valore.

2.3 ESEMPI DI FORWARDS E FUTURES


Forwards su Treasury bills
Consideriamo un forward in cui il compratore riceve un Treasury bill alla
data di consegna. Nella Tavola 2.14, B* è il prezzo spot del T-bill alla sca-
denza del forward e B è il prezzo spot corrente dello stesso T-bill.
Dobbiamo distinguere tra la data di scadenza, T, del T-bill e la data di
scadenza, t, del forward scritto sul T-bill (t < T). Ad esempio, il T-bill po-

109
DERIVATI

Tavola 2.14 Forwards su T-Bills: simbologia

B ≡ prezzo spot corrente di un T-bill con vita residua T


B* ≡ prezzo spot dello stesso T-bill alla scadenza del forward
F ≡ prezzo forward corrente
t ≡ vita residua del forward (in anni)
T ≡ vita residua del T-bill (in anni)
r(t) ≡ spot return al tempo t (su base annua)
r(T) ≡ spot return al tempo T (su base annua)

Contratto forward lungo: impegnarsi ora a pagare il prezzo F per un


T-bill al tempo t, quando la vita residua del T-bill sarà pari a T – t

B, F B* T–t

0 t T

Esempio: t = 6 mesi, T = 9 mesi, T – t = 3 mesi

trebbe scadere tra nove mesi e il forward tra sei mesi. Alla data di scadenza
del forward il T-bill che verrà consegnato avrà una vita residua pari a T – t,
ossia a 3 mesi (= 9 mesi – 6 mesi).
Sia r(T) lo spot return corrente su base annua per la scadenza T. Il tasso
di rendimento su base annua del T-bill a T anni è pari a r(T) – 1. Pertanto,
se il T-bill paga $1 alla data di scadenza, allora B = [r(T)]−T. Analogamen-
te, r(t) indica lo spot return corrente su base annua per la scadenza t.
Le quotazioni dei T-bills sono espresse in termini di «tassi di sconto»
(discount rates) percentuali, calcolati in base alla regola di calcolo giorni
«effettivi / 360» (actual / 360). Se B è il prezzo spot di un T-bill con scaden-
za tra n giorni e valore nominale $100, la quotazione spot del T-bill è pari a:

(100 − B )× (360 / n )
Ad esempio, se il prezzo spot corrente di un T-bill, con scadenza tra 90 gior-
ni e valore nominale $100, è pari a $98, la quotazione spot del T-bill è pari a:

(100 − 98)× (360 / 90) = 8,00


ossia all’8,00 per cento. Com’è noto, il tasso di sconto è più basso del tasso
d’interesse, che nel caso in esame è pari all’8,53 per cento:

(100 / 98)365 / 90 − 1 = 8,53%


I futures sui T-bills a 90 giorni sono negoziati alla CME. Ogni contratto
obbliga il venditore a consegnare titoli con valore nominale di $1.000.000

110
FORWARDS E FUTURES

Tavola 2.15 Forwards su T-Bills: arbitrage table

Data corrente Data di consegna


Forward lungo su T-bills a T – t anni 0 B* – F
Spot lungo su T-bills a T anni – B = – [r(T)]– T B*
Finanziamento a t anni (PV0 di F) F [r(t)]– t –F
Totale – B + F [r(t)]– t B* – F

– B + F [r(t)]–t = 0 ⇒ F = B[r(t)] t = [r(T)]– T / [r(t)]– t = f(t, T)– (T – t)

‰ Il prezzo forward, F, non contiene altre informazioni circa i futuri spot returns oltre a
quelle già contenute nel forward return corrente, f(t,T), relativo al periodo tra t e T.
‰ Se la term structure è inclinata positivamente (ossia i forward returns correnti cre-
scono con t), quanto più lontana è la scadenza del forward, tanto minore è il prezzo
forward, F.

in uno qualsiasi di tre giorni lavorativi consecutivi. Le quotazioni futures


dei T-bills sono pari alla differenza tra 100 e il tasso di sconto futures (e-
spresso su base annua e in percentuale). Pertanto, se F è il prezzo futures
effettivo di un T-bill con scadenza tra n giorni e valore nominale $100, il
tasso di sconto futures è pari a [($100 – F) / $100 × (360 / 90) × 100] e il
prezzo futures quotato del T-bill è pari alla differenza tra 100 e questo tas-
so di sconto futures. Ad esempio, se il prezzo futures effettivo del T-bill è
pari a $98,5, il tasso di sconto futures è pari al 6 per cento [= ($100 –
$98,5) / $100 × (360 / 90) × 100] e il prezzo futures quotato è pari a:

100 − (360 / 90)× (100 − 98,50) = 94,00

L’acquisto di un forward su T-bills non costa nulla ora ed ha un payoff pari


a B* − F alla scadenza, dove F è il prezzo forward corrente (che rende nul-
lo il valore attuale del payoff). Il compratore realizza un profitto quando B*
è maggiore di F e subisce una perdita quando B* è minore di F.
Per essere più concreti, supponiamo che il forward scada tra 6 mesi e
che alla scadenza venga consegnato un T-bill a 3 mesi. Per replicare il pa-
yoff di questo forward, prendiamo a prestito un importo in denaro pari al
valore attuale del prezzo forward e compriamo un T-bill a 9 mesi (che tra 6
mesi avrà una vita residua di 3 mesi). Il valore corrente della posizione è
pari a Fr −t − B. Come mostra la tavola d’arbitraggio (Tavola 2.15), il no-
stro portafoglio replica davvero il payoff del forward. Dato che il valore
iniziale del forward è nullo, anche il valore corrente del nostro portafoglio
deve essere nullo. Pertanto, deve risultare Fr −t − B = 0, da cui F = Br t.

111
DERIVATI

In alternativa, possiamo esprimere questi risultati in termini delle term


structures degli spot returns o dei forward returns. Supponiamo che il T-
bill abbia un valore nominale pari a $1. Pertanto, B = [r(T)]–T e F = B [r (t)] t,
dove abbiamo utilizzato r(t) invece della notazione semplificata r. Possia-
mo ora sostituire la prima equazione nella seconda e concludere che F =
[r(T)]−T/[r(t)]−t. Ma questa espressione non è altro che il forward return
non annualizzato relativo al periodo (t, T), che indichiamo con f (t, T)−(T−t).
Possiamo finalmente concludere che F = f (t, T)−(T−t), ossia che il prezzo
forward è identico al reciproco del forward return non annualizzato relati-
vo al periodo (t, T). Si noti che i T-bills possono facilmente trovarsi in una
situazione di mercato inverso (con prezzi forward che diminuiscono via via
che si allunga la scadenza del contratto): ciò accade quando la term struc-
ture dei forward returns è crescente.
Volendo generalizzare, consideriamo un forward scritto su un T-bond.
Per replicare il payoff di questo forward, oltre ad acquistare il T-bond sul
mercato spot e a prendere in prestito un importo in denaro pari al valore
attuale del prezzo forward, dobbiamo farci concedere una serie di finan-
ziamenti che rimborseremo con le cedole del T-bond.

Forwards su valute
Consideriamo ora i «forwards su valute» (currency forwards o FX forwards),
il cui sottostante è rappresentato da una valuta estera. Il nostro esempio stan-
dard sarà quello di un investitore statunitense che compra sterline. Il forward
che prenderemo in esame prevede la consegna di una sterlina contro il paga-
mento di un importo pari a F dollari. Cos’è che determina F in questo caso?
Faremo uso della seguente simbologia. Sia X il tasso di cambio corrente
spot del dollaro rispetto alla sterlina ($/£) e sia X* il tasso di cambio spot
alla scadenza del contratto. Si noti che X è noto ma X* no. Si noti, inoltre,
che abbiamo definito il tasso di cambio come unità di valuta interna per
unità di valuta estera, ossia come quantità di dollari da scambiare con
un’unità della valuta estera. In pratica, questa convenzione viene utilizzata
per alcune valute mentre per altre (come, ad esempio, lo yen giapponese) si
usa la convenzione opposta (unità di valuta estera per unità di valuta inter-
na). In questo libro, per evitare confusione, useremo sempre la prima con-
venzione. In tal modo renderemo i nostri risultati più facilmente compara-
bili con quelli relativi ad altre attività sottostanti, il cui prezzo spot è quota-
to in dollari per unità dell’attività sottostante (e non, ad esempio, in azioni
per dollaro).
Ad esempio, se F = $2, il compratore del forward si impegna a pagare $2,00
per ricevere una sterlina (£1) alla scadenza del contratto. Se alla scadenza il
tasso di cambio spot $/£ è pari a X* = $2,5, il compratore del forward potrà
rivendere la sterlina sul mercato spot ricevendo in cambio $2,50. Così facen-
do, realizzerà un profitto pari a X* − F, ossia a $0,50 ($2,50 – $2,00).

112
FORWARDS E FUTURES

Tavola 2.16 Forwards su valute: arbitrage table

Data corrente Data di consegna


Forward lungo su una valuta 0 B* – F
Spot lungo su una valuta –X rf– t X*
Finanziamento a t anni (PV0 di F) F r– t –F
Totale – X rf– t + F r– t X* – F

– X rf– t + F r–t = 0 ⇒ F = X (r / rf) t

‰ Rispetto al modello standard per il forward, sostituiamo S con X e d con rf.


‰ A seconda che sia r > rf o r < rf, la term structure dei tassi di cambio forward risulterà
inclinata positivamente o negativamente.

Per analizzare i forwards su valute avremo bisogno non solo del risk-
less return interno, r, ma anche del riskless return estero, rf. Quest’ultimo è
il ritorno privo di rischio che un investitore statunitense può realizzare
dando a prestito sterline nel Regno Unito (si noti che questo investimento è
privo di rischio in termini di sterline ma non in termini di dollari).
Le posizioni lunghe su un FX forward hanno un valore iniziale nullo ed
un valore finale pari a X* − F, che sarà positivo o negativo a seconda che il
tasso di cambio alla scadenza (X*) sia maggiore o minore del tasso di cam-
bio forward, F, fissato all’origine. Per definizione, F è stato scelto in modo
da rendere nullo il valore attuale del payoff, X* − F.
Per replicare il payoff di un FX forward possiamo costruire un portafo-
glio composto da un’obbligazione lunga in valuta estera e da un’obbliga-
zione corta in valuta interna (Tavola 2.16). In altri termini, compriamo un
bond in sterline con un riskless return pari a rf e vendiamo un bond in dol-
lari con un riskless return pari a r.
Ad esempio, supponiamo che il tasso di cambio corrente, X, sia pari a
$2,00, che il riskless return in sterline, rf, sia pari a 1,1 e che la vita resi-
dua, t, del forward sia pari ad 1 anno. Se investiamo Xrf−t dollari (ossia
$2,00/1,1 = £1/1,1) su uno zero-coupon bond in sterline, tra un anno rice-
veremo £1 [= (£1/1,1) × 1,1]. A quella data, se convertiamo £1 in base al
tasso di cambio spot X*, il payoff del nostro investimento sarà pari a X* dol-
lari.
Analogamente, se prendiamo in prestito Fr−t dollari emettendo uno ze-
ro-coupon bond in dollari, dovremo pagare l’importo (−Fr−t)rt = −F alla
data di scadenza.

113
DERIVATI

Tavola 2.17 Forwards su merci: arbitrage table

Data corrente Data di consegna


Forward lungo su una merce 0 S* – F
Spot lungo su una merce (c t unità) – S ct S*
Finanziamento a t anni (PV0 di F) F r–t –F
Totale – S ct + F r–t S* – F

– S ct + F r–t = 0 ⇒ F = S (r c) t

‰ Si è indicato con c – 1 lo storage cost annuo in rapporto al prezzo spot della merce.
Lo storage cost è trascurabile nel caso dei metalli preziosi (oro, argento, ecc.).
‰ Si è ipotizzato che il convenience yield, y, sia nullo.

Mettendo insieme le due operazioni, il payoff (netto) sarà X* − F, che è


uguale al payoff del FX forward lungo. Se non esistono opportunità di arbi-
traggio, il costo del nostro portafoglio deve essere uguale al costo (nullo) di
un FX forward lungo. Pertanto, −Xrf−t + Fr−t = 0. Risolvendo questa equa-
zione rispetto a F si ottiene F = X (r/rf)t. Questa è la «parità degli interessi
coperti» (covered interest rate parity), ben nota in finanza internazionale.
Si confronti questa equazione con il nostro precedente risultato, secondo
cui F = S(r/d)t. Se sostituiamo S con X e d con rf, le due formule si equival-
gono − come dovevamo aspettarci. Nel contesto valutario, X e rf rappresen-
tano, rispettivamente, il prezzo corrente spot e il payout return del sottostante
(£1), ossia il prezzo in dollari di £1 e il suo ritorno su base annua.

Forwards su merci
I «forwards su merci» (commodity forwards) hanno due peculiarità: il costo
di immagazzinamento e il «tasso di convenienza» (convenience yield).
Diversamente dai titoli, le merci comportano costi significativi per il nolo
del magazzino, il deterioramento o l’invecchiamento, l’assicurazione e il tra-
sporto. L’insieme di questi costi è detto «costo di immagazzinamento» (sto-
rage cost). Lo storage cost annuo in rapporto al prezzo spot della merce ver-
rà indicato con c – 1. Nel caso dei metalli preziosi, come oro e argento, lo
storage cost è molto basso in rapporto al valore dei metalli e quindi influenza
poco i prezzi forward. All’estremo opposto, ci sono merci – come l’elettricità
– che non possono essere facilmente immagazzinate. Il modo più efficiente è
quello di utilizzare l’energia per trasportare acqua in cima agli impianti idro-
elettrici. Se ne spreca così circa il 40%. Altre merci, come il frumento, hanno

114
FORWARDS E FUTURES

Tavola 2.18 Forwards su merci: arbitrage table (segue)

Data corrente Data di consegna


Forward lungo sulla merce 0 S* – F
Spot corto sulla merce [(c / y) t unità] S (c / y) t – S*
Investimento a t anni (PV0 di F) – F r–t F
Totale S (c / y) t –F r–t 0

F ≥ S (r c / y) t ⇒ S (c / y) t – F r – t ≤ 0
‰ Si è ipotizzato che il convenience yield, y, non sia nullo.
‰ Il convenience yield, y, misura i benefici che derivano dal possesso della merce
ossia dalla sua disponibilità. Chi possiede la merce ha la facoltà di venderla per fini
di consumo o di utilizzarla nel processo produttivo. Supponiamo, ad esempio, che il
raccolto di frumento sia stato magro quest’anno ma che si preveda abbondante nel
prossimo anno. Forse tutte le scorte di frumento andrebbero consumate piuttosto
che mantenute fino al prossimo raccolto. Chi vende allo scoperto deve prendere in
prestito la merce da chi già la detiene. Se viene data in prestito, la merce non potrà
più essere proficuamente utilizzata per fini di consumo. Chi la dà in prestito sa che,
quando la riavrà (dopo il prossimo raccolto), la merce avrà un valore minore di quello
odierno. Pertanto, chi intende vendere allo scoperto deve versare a chi gli dà in
prestito la merce un corrispettivo come compenso per questa perdita di valore. Il
corrispettivo è diverso dal versamento del payout, dato che chi mantiene la merce
fino alla data di consegna non riceve alcun payout. Pertanto: S (r c / y) t ≤ F ≤ S(rc) t

storage costs piuttosto elevati, per cui vengono immagazzinate solo per brevi
periodi. Forse le merci più interessanti sono quelle, come il petrolio, per le
quali gli storage costs annui in rapporto ai prezzi delle merci (escludendo i
costi di trasporto) rappresentano una percentuale intermedia, dell’ordine del
20%.
L’arbitraggio presentato nella Tavola 2.17 introduce i costi di imma-
gazzinamento nella nostra precedente analisi. Questi costi possono essere
considerati come redditi negativi. Invece di ricevere un reddito, chi possie-
de la merce sostiene un costo ma ha la disponibilità immediata della merce.
Pertanto, il risultato netto (come ci si dovrebbe aspettare) è che occorre so-
stituire d con 1/c nella formula per il prezzo forward. In altri termini, inve-
ce di F = S(r/d)t, abbiamo ora F = S(rc)t.
Diversamente dai titoli, molte merci vengono consumate o utilizzate
nei processi produttivi. Finora abbiamo ipotizzato che l’attività sottostante
non avesse valore ai fini di consumo o di produzione. In altri termini, ab-
biamo ipotizzato che il valore corrente di una merce fosse determinato solo
dal suo prezzo spot alla data di scadenza del contratto forward (dedotti gli
storage costs). Se invece parte del prezzo spot della merce è dovuto
all’opzione di consumo o di produzione, il valore attuale di S* non è più Sct
ma qualcosa di meno dato che, per avere S* alla data di scadenza del con-

115
DERIVATI

tratto forward, potremo compensare parte degli storage costs con i benefici
derivanti dall’utilizzo della merce per fini di consumo o di produzione.
Comunque, S(rc)t rappresenta un limite superiore per il prezzo forward,
giustificato dal fatto che è sempre possibile tenere la merce in magazzino e
rinunciare ai benefici derivanti dal suo utilizzo per fini di consumo o di
produzione. Tuttavia, affinché risulti F ≤ S(rc)t occorre poter vendere la
merce allo scoperto. In tal caso, dobbiamo prendere in prestito la merce,
privando così il proprietario dei benefici derivanti dal suo utilizzo per fini
di consumo o di produzione, per venderla sul mercato spot. Di conseguen-
za, quando restituiremo la merce al proprietario da cui l’abbiamo presa in
prestito, lo dovremo compensare per la sua rinuncia ai benefici che la di-
sponibilità della merce comporta. Il compenso annuo, per unità di merce
presa in prestito, è detto convenience yield (lo indicheremo con y – 1). Per-
tanto, per ogni unità di merce presa in prestito, dovremo restituire y t unità
alla scadenza. In alternativa, per restituire un’unità di merce alla scadenza,
dovremo prendere in prestito 1/y t unità di merce.
L’arbitraggio presentato nella Tavola 2.18 mostra che il convenience
yield fa abbassare il limite inferiore del prezzo forward a S(rc/y)t. Pertanto,
in presenza del convenience yield e affinché non esistano opportunità di
arbitraggio, occorre che il prezzo forward cada nel seguente intervallo:
S(rc/y)t ≤ F ≤ S(rc)t. Un problema pratico con il limite inferiore è rappre-
sentato dalla difficoltà di stimare il convenience yield. Nel caso di alcune
merci – come l’elettricità – per le quali sia il convenience yield sia lo sto-
rage cost sono molto elevati, gli intervalli sono così ampi che poco si può
dire circa i loro prezzi forward e futures basandosi solo su considerazioni
di assenza di opportunità di arbitraggio.13

Sommario: contratti forward


Possiamo così riassumere i nostri risultati sui diversi tipi di forwards.
La relazione fondamentale F = S(r/d)t può essere immediatamente ap-
plicata ai forwards su indici azionari (o anche ai forwards su singole azio-
ni, trattati ad es. in Brasile). La relazione è giustificata dalla possibilità di
replicare il contratto forward con una posizione lunga sul portafoglio sotto-
stante l’indice interamente finanziata con denaro preso a prestito.
Invece, il prezzo forward dei Treasury bills può essere determinato sul-
la base della stessa formula ma il payout return, d, deve essere posto ugua-
le a 1. In questo caso, il portafoglio equivalente è composto da uno zero-
coupon bond lungo, che scade alcuni mesi dopo il forward, e da uno zero-
coupon bond corto che scade alla stessa data del forward. Analogamente,
per replicare i forwards su Treasury bonds, oltre ad acquistare il Treasury
bond sul mercato spot e a prendere in prestito un importo in denaro pari al
valore attuale del prezzo forward, dovremo assumere una posizione corta
su una serie di zero-coupon bonds che rimborseremo con le cedole del
Treasury bond.

116
FORWARDS E FUTURES

Tavola 2.19 Futures sul grano

Le specifiche contrattuali del futures sul grano trattato alla Chicago Board of
Trade sono le seguenti:
‰ basic trading unit: 5.000 bushels
‰ deliverable grade: US #2 yellow corn (con spread in caso di sostituzione)
‰ price quotation: cents per bushel (minimo: un quarto di cent per bushel)
‰ daily price limit: 12 cents per bushel (nessun limite nel mese di consegna)
‰ contract months: marzo, maggio, luglio, settembre e dicembre
‰ last trading day: il giorno prima degli ultimi 7 giorni del mese di scadenza
‰ last delivery day: l’ultimo giorno lavorativo del mese di scadenza
‰ speculator margin: $600 (iniziale), $400 (di mantenimento)
‰ first listed: 2 gennaio 1877

Fonte: Contract Specifications, CBOT, 1997 .

I forwards su valute rispettano la stessa forward-spot parity dei for-


wards su indici ma il prezzo spot, S, va sostituito con il tasso di cambio, X,
ed il payout return, d, va sostituito con il riskless return estero, rf. Il porta-
foglio equivalente contiene uno zero-coupon bond in valuta estera il cui
acquisto va interamente finanziato con l’emissione di uno zero-coupon
bond in dollari (entrambi i titoli hanno la stessa scadenza del forward).
I forwards su metalli preziosi, come oro e argento, sono ancora più
semplici. Non essendoci pagamenti intermedi, possiamo porre d = 1. Inol-
tre, diversamente da molte altre merci, gli storage costs non complicano la
valutazione perché sono trascurabili in rapporto al valore del metallo.
Gli altri forwards su merci si distinguono per gli storage costs e il conve-
nience yield. Gli storage costs possono essere trattati come redditi negativi.
Nella forward-spot parity, il payout return, d, va sostituito con 1/c, dove c –
1 è il rapporto tra storage cost annuo e prezzo spot della merce. Il con-
venience yield, y – 1, misura la quota del valore della merce dovuta ai bene-
fici che la sua disponibilità comporta per fini di consumo o di produzione. La
presenza di y porta a determinare un limite inferiore per il prezzo forward.

Futures sul grano


Le caratteristiche dei «futures sul grano» (corn futures) negoziati al Chicago
Board of Trade sono riportate nella Tavola 2.19. Il grano è stata una delle
prime merci ad essere oggetto di un contratto futures. Il contratto specifica la
qualità di grano, il mese di consegna e il luogo dove il grano può essere con-
segnato. In particolare, la qualità standard è il “n. 2 giallo” e la consegna de-
ve essere effettuata durante l’ultimo mese di vita del contratto. La decisione

117
DERIVATI

Tavola 2.20 Futures sull’oro

Le specifiche contrattuali del futures sull’oro trattato al Comex sono le seguenti:

‰ basic trading unit: 100 troy ounces


‰ deliverable grade: oro raffinato in forma di lingotto da 100 once o tre lingotti
da 1 chilo con saggio non inferiore a 0,995; il totale non può differire dal peso
di 100 troy ounce per più del 5%
‰ price quotation: dollari per troy ounce (minimo: $10 per contratto)
‰ daily price limit: $50 per troy ounce ($5.000 per contratto)
‰ contract months: il mese in corso e i due mesi successivi. Inoltre, tutti i mesi
di febbraio, aprile, agosto e ottobre compresi nei prossimi 23 mesi e tutti i
mesi di giugno e dicembre compresi nei prossimi 60 mesi
‰ last trading day: il terzo giorno prima dell’ultimo giorno lavorativo del mese
‰ delivery: ricevuta emessa da un deposito autorizzato di Chicago o New York

sul giorno di consegna spetta al venditore. Il contratto specifica «il primo e


l’ultimo giorno di avviso» (first and last notice day) che definiscono il pe-
riodo nel quale il venditore può inviare alla clearinghouse un «avviso della
intenzione di effettuare la consegna» (notice of intention to deliver). L’ul-
timo giorno di contrattazione cade qualche giorno primo del last notice day.
Quando riceve l’avviso, la clearinghouse sceglie il compratore, con la posi-
zione in essere da più tempo, che dovrà accettare la consegna. Nel giorno di
consegna, il venditore trasferisce la proprietà del grano al compratore, dietro
pagamento del corrispettivo.

Data First Ultimo giorno Last Finisce


di acquisto notice di negoziazione notice il periodo
del contratto day Inizia il periodo di consegna day di consegna

Spesso il venditore può scegliere la qualità della merce da consegnare. Se


la qualità differisce da quella standard, il prezzo di consegna viene aggiu-
stato di conseguenza. La possibilità di scelta dà flessibilità al venditore ma
accresce l’incertezza del compratore circa il valore della merce. Queste
«opzioni di consegna» (delivery options) rendono meno probabili i tentati-
vi di manipolare i prezzi spot con l’accaparramento della merce consegna-
bile.
Nel caso dei futures sul grano, i limiti di prezzo sono pari a ± 12 cente-
simi per staio. Ad esempio, supponiamo che oggi il prezzo di liquidazione
sia di ¢250 per staio. I prezzi di domani potranno oscillare tra ¢238 (=

118
FORWARDS E FUTURES

Tavola 2.21 Futures sul petrolio

Le specifiche contrattuali del futures sul petrolio trattato alla New York
Mercantile Exchange sono le seguenti:
‰ basic trading unit: 1.000 barili (42.000 galloni)
‰ deliverable grade: grezzo (par crude); West Texas Intermediate 0,4% sulfur, 40
API gravity (con spread in caso di sostituzione)
‰ price quotation: centesimi per barile ($10 per contratto)
‰ daily price limit: $1 per barile (minimo: $10 per contratto)
‰ contract months: i prossimi 30 mesi. Inoltre, tutti i mesi relativi ai futures
originariamente quotati con scadenze dopo 36, 48, 60, 72 e 84 mesi.
‰ last trading day: il terzo giorno lavorativo prima del 25-esimo giorno del mese
che precede il mese di scadenza
‰ speculator margin: $3.000 (iniziale), $2.100 (di mantenimento)
‰ first listed: 1983

¢250 – ¢12) e ¢262 (= ¢250 + ¢12). Se, nel corso della giornata, le quota-
zioni raggiungono il limite inferiore di ¢238, il mercato viene chiuso e il
giorno dopo i prezzi potranno oscillare all’interno dell’intervallo compreso
tra ¢226 (= ¢238 – ¢12) e ¢250 (= ¢238 + ¢12).

Futures sull’oro
L’oro, l’archetipo dei metalli preziosi, viene detenuto soprattutto come ri-
serva di valore. Storicamente, è stato spesso la moneta di riserva in tempi
d’instabilità politica o economica. Dato che la maggior parte dell’oro esi-
stente al mondo giace in sale blindate piuttosto che nel sottosuolo e dato
che non può essere ancora prodotto artificialmente (nonostante una lunga
storia di alchimisti, tra cui Isaac Newton) ed è immune dall’usura del tem-
po, la sua offerta è più o meno stabile.14 La stabilità dell’offerta tende ad
accrescere la stabilità del prezzo (aggiustato per tener conto dell’inflazio-
ne) e la stabilità del prezzo giustifica il ruolo svolto storicamente dall’oro.
L’oro è anche l’archetipo delle attività utili per diversificare i rischi, poiché
si ritiene che il suo ritorno sia correlato negativamente con i ritorni di altre
importanti categorie di attività, come le azioni. Inoltre, l’oro è stato stori-
camente uno dei beni-rifugio più efficaci contro l’inflazione.
Anche se il suo convenience yield è basso, la disponibilità immediata di
oro offre qualche beneficio, dato che l’oro protegge contro il rischio di di-
sastri, a livello nazionale o mondiale. Questo può spiegare il tasso dell’1%
tipico dei prestiti di oro (necessari per le vendite allo scoperto).
Le caratteristiche dei «futures sull’oro» (gold futures) negoziati alla New
York Commodity Exchange sono riportate nella Tavola 2.20.

119
DERIVATI

Tavola 2.22 Futures su indici azionari

Le specifiche contrattuali del futures sullo S&P500 trattato alla Chicago


Mercantile Exchange sono le seguenti:
‰ basic trading unit: il prodotto tra 250 e il prezzo in dollari dello S&P 500
‰ deliverable grade: liquidato per contanti
‰ price quotation: punti indice [minimo: 0,05 punti indice ($25)]
‰ daily price limit: variabile
‰ contract months: marzo, giugno, settembre e dicembre
‰ last trading day: terzo giovedì del mese di scadenza
‰ final settlement price: il livello di apertura dello S&P 500 (rilevato il venerdì
successivo al last trading day)
‰ speculator margin: $12.500 (iniziale), $10.000 (di mantenimento)
‰ first listed: 21 aprile 1982

Futures sul petrolio


Il petrolio è la merce più attivamente negoziata sui mercati spot. Negli ultimi
trent’anni, il mercato spot del petrolio è stato significativamente influenzato
dal cartello dell’OPEC e da quanto è successo in alcuni Paesi tra i maggiori
produttori di petrolio come l’Iran (la rivoluzione politica del 1978-9) e l’Iraq
(la Guerra del Golfo del 1990). Le società di raffinazione hanno utilizzato il
mercato spot in misura sempre maggiore per i loro approvvigionamenti di
greggio. Fino a poco tempo fa il mercato è stato notevolmente volatile, in
concomitanza con l’attenuazione dei controlli sui prezzi da parte dell’OPEC.
Le caratteristiche dei «futures sul petrolio» (crude oil futures) negoziati
alla New York Mercantile Exchange sono riportate nella Tavola 2.21.
Nel corso degli ultimi 15 anni, i futures sul petrolio sono stati tipicamente
in strong backwardation (F < S); meno spesso in weak backwardation [S < F
< S(r/d)t]. Secondo il principio di Hotelling, nell’ipotesi di certezza sui futu-
ri prezzi e di concorrenza perfetta tra i diversi produttori, il prezzo netto di
una risorsa esauribile, ossia il prezzo di mercato meno i costi di estrazione,
dovrebbe crescere nel tempo in base al ritorno privo di rischio, fintanto che
risulta conveniente estrarla solo in parte e lasciarne il resto nel sottosuolo.
Questo principio presuppone che ogni produttore sia indifferente tra produ-
zione corrente e futura. Per capirne il motivo, supponiamo che il prezzo della
risorsa aumenti ad un tasso maggiore del tasso privo di rischio. In tal caso, i
produttori la lascerebbero nel sottosuolo perché avrebbe un rendimento mag-
giore di quello ottenibile con il ricavato della vendita. Supponiamo ora che il
prezzo della risorsa aumenti ad un tasso minore del tasso privo di rischio. In

120
FORWARDS E FUTURES

tal caso, la risorsa verrebbe totalmente estratta perché il ricavato della vendi-
ta potrebbe essere investito ad un tasso di rendimento maggiore di quello ot-
tenibile lasciando la risorsa nel sottosuolo. In entrambi i casi l’assunzione di
indifferenza tra estrazione immediata e ritardata verrebbe violata.
Sfortunatamente, il principio di Hotelling non riesce a spiegare la ba-
ckwardation che si osserva sui mercati del petrolio senza assumere che i
costi di estrazione crescano a tassi irrealisticamente elevati. Probabilmente,
la backwardation è dovuta in parte all’incertezza sui futuri prezzi spot. In
mancanza di informazioni sui futuri prezzi del petrolio, il proprietario di un
pozzo petrolifero possiede una preziosa «opzione di differimento» (option
to delay) che gli consente di differire l’estrazione. Questa opzione fa au-
mentare il prezzo spot rispetto al prezzo futures perché spetta solo a chi ha
un pozzo petrolifero e non a chi ha comprato un futures. Il valore dell’op-
zione può essere sufficientemente elevato da far sì che il prezzo spot del
petrolio sia maggiore del prezzo futures.
Dato che, come vedremo, il valore di un’opzione è tanto più elevato
quanto maggiore è l’incertezza circa i futuri prezzi dell’attività sottostante,
questa teoria suggerisce che la strong backwardation tenderà ad essere os-
servata nei periodi di maggiore incertezza sui futuri prezzi del petrolio.

Futures su indici azionari


Le caratteristiche dei «futures su indici azionari» (stock index futures) nego-
ziati alla Chicago Mercantile Exchange sono riportate nella Tavola 2.22.
I futures su indici presentano due particolarità:
(1) la liquidazione − alla data di consegna − avviene per contanti. Il vendi-
tore versa al compratore la differenza tra il prezzo di chiusura dell’in-
dice e il prezzo futures.15 La «liquidazione per contanti» (cash settle-
ment) sostituisce la consegna del portafoglio su cui è basato l’indice,
che risulterebbe poco pratica. In realtà, la consegna sarebbe a volte im-
possibile; ad esempio, quando il sottostante non è un’attività ma solo
un numero, come nel caso dei futures sull’indice dei prezzi al consumo
(un contratto introdotto nel 1985 dalla Coffee, Sugar and Cocoa Ex-
change e ora non più trattato) o dei futures su un indice delle catastrofi
(il Property Claims Services National Catastrophe Index);
(2) la determinazione dei prezzi futures dipende dalla stima dei dividendi
che verranno pagati sui titoli del portafoglio sottostante l’indice. Le
stime ad 1 anno non sono difficili perché i dividendi dei singoli titoli
dipendono in misura molto rilevante dai livelli precedenti e perché gli
errori di previsione tendono a compensarsi. Tuttavia, nel più breve ter-
mine, le stime dei dividendi dei titoli statunitensi sono più ostiche. In
particolare, le date di stacco tendono a concentrarsi nelle prime due set-
timane del mese intermedio di ogni trimestre (febbraio, maggio, agosto,
novembre) − un fatto che merita attenta considerazione ai fini di
un’accurata valutazione dei prezzi futures.

121
DERIVATI

Tavola 2.23 Futures su eurodollari

Le specifiche contrattuali del futures su Eurodollari trattato all’International


Monetary Market (Divisione della Chicago Mercantile Exchange ) sono le
seguenti:

‰ basic trading unit: $1.000.000


‰ deliverable grade: liquidato per contanti
‰ price quotation: punti base [minimo = 1 punto base ($25)]
‰ contract months: marzo, giugno, settembre e dicembre
‰ last trading day: secondo giorno lavorativo (calendario di Londra) prima del
terzo mercoledì del mese di scadenza
‰ delivery date: ultimo giorno di contrattazione
‰ speculator margin: $800 (iniziale), $500 (di mantenimento)
‰ first listed: dicembre 1981

Tra le «operazioni programmate» (programme trading) figura l’acquisto


o la vendita di un portafoglio a copertura della vendita o dell’acquisto di un
index future. In pratica, la non simultaneità delle operazioni lascia esposti
al «rischio di imprevisti» (legging-in risk). Pertanto, anche se l’operazione
appare redditizia sulla base delle ultime quotazioni, i ritardi nell’esecuzio-
ne possono comportare prezzi inattesi. Spesso, non essendo conveniente ne-
goziare tutti i titoli presenti nel paniere sottostante l’indice, perché alcuni so-
no molto poco liquidi, il programme trading su indici a larga base azionaria
come lo S&P500 viene effettuato utilizzando un paniere fortemente corre-
lato con l’indice ma composto da non più di 100 titoli.

Futures su eurodollari
Gli eurodollari sono dollari statunitensi depositati dalle banche presso ban-
che estere, soprattutto a Londra e nell’Europa continentale. I «futures su eu-
rodollari» (Eurodollar futures) sono i contratti futures più attivamente nego-
ziati in tutto il mondo. Le caratteristiche di questi contratti, negoziati alla
Chicago Mercantile Exchange, sono riportate nella Tavola 2.23.
Diversamente dai T-bills, che quotano a sconto, i depositi di eurodollari
prevedono il pagamento posticipato degli interessi. Supponiamo di investi-
re $1.000.000 a 90 giorni in eurodollari, ad un Libor dell’8 per cento. Dopo
90 giorni, il payoff sarà pari a:
1.000.000 + 1.000.000 × 0,08 × (90 / 360) = 1.020.000

Si noti che il tasso di rendimento effettivo dell’investimento è diverso dal


Libor. È infatti pari a:

122
FORWARDS E FUTURES

Tavola 2.24 Futures su T-Bonds

Le specifiche contrattuali del futures su T-Bonds trattato al Chicago Board of


Trade sono le seguenti:
‰ basic trading unit: Treasury Bonds con valore nominale di $100.000
‰ deliverable grade: T-bonds che nel 1° giorno del mese di consegna hanno una
vita residua superiore a 15 anni e non siano rimborsabili anticipatamente
‰ delivery method: sistema telematico gestito dalla Federal Reserve
‰ price quotation: in $1.000 “punti” (minimo: un trentaduesimo di punto)
‰ daily price limit: 3 punti ($3.000 per contratto).
‰ contract months: marzo, giugno, settembre e dicembre
‰ last trading day: il giorno prima degli ultimi 7 giorni del mese di scadenza
‰ delivery period: in qualsiasi momento durante il mese di scadenza
‰ speculator margin: $2.025 (iniziale), $1.500 (di mantenimento)
‰ first listed: 22 agosto 1977
Fonte: Contract Specifications, CBOT, 1997 .

(1.020.000 / 1.000.000 )365 / 90 − 1 = 8,36%


Il venditore di un futures su eurodollari, con scadenza tra 180 giorni, si im-
pegna nominalmente a consegnare tra 180 giorni il valore di un deposito di
1.000.000 di eurodollari a 90 giorni.
Analogamente ai futures su Treasury bills, i prezzi dei futures su euro-
dollari sono quotati a sconto. Ad esempio, se il prezzo futures effettivo fos-
se pari a 98,50, il prezzo futures quotato sarebbe pari a:
100 − (360 / 90)× (100 − 98,50) = 94,00
Si noti che, diversamente dai futures su T-bills, che sono scritti sulla diffe-
renza tra 100 e il tasso di sconto futures [(100 – prezzo) / 100], i futures su
eurodollari sono scritti sulla differenza tra 100 e il tasso d’interesse futures
[(100 – prezzo) / prezzo].
Nonostante l’apparente similarità, i futures su eurodollari differiscono
dai futures su T-bills per un altro importante aspetto. Il futures si conclude
con la consegna di un T-bill a 90 giorni. Invece, il futures su eurodollari
viene liquidato per contanti sulla base di un prezzo futures effettivo pari a:
100 − (90 / 360)R
dove R è il Libor a 90 giorni rilevato alla scadenza del contratto.

Futures su Treasury bonds


I futures su T-bonds figurano tra i derivati più trattati al mondo. Le caratte-
ristiche di questi contratti, negoziati al Chicago Board of Trade, sono ripor-

123
DERIVATI

tate nella Tavola 2.24. I futures su T-bonds si concludono con la consegna


di un T-bond. Se fosse stata prevista la consegna di un singolo T-bond, la
quantità in circolazione poteva essere insufficiente a soddisfare la domanda
al momento della consegna. Il contratto prevede quindi che possa essere
consegnato un qualsiasi T-bond che nel primo giorno del mese di consegna
abbia una vita residua superiore a 15 anni e non sia rimborsabile anticipa-
tamente prima di 15 anni.
Tuttavia, questa maggiore flessibilità comporta una maggiore comples-
sità. Se le condizioni per la consegna non venissero aggiustate, il compra-
tore sarebbe doppiamente incerto circa il valore del titolo che riceverà, dato
che esso dipende anche da quali saranno i titoli consegnabili alla scadenza
del contratto. Per correggere questo inconveniente, il prezzo futures viene
aggiustato verso il basso o verso l’alto a seconda che vengano consegnati
titoli di minor valore o di maggior valore rispetto al titolo standard, rappre-
sentato da un T-bond a 20 anni con tasso cedolare del 6%. Pertanto, ogni
titolo consegnabile ha un suo fattore di conversione, noto in anticipo, e il
«prezzo fatturato» (invoice price) che viene incassato dal venditore alla
data di consegna è pari a:
prezzo futures quotato × fattore di conversione + interesse maturato
dove il fattore di conversione è il rapporto tra il prezzo che il titolo conse-
gnato avrebbe nel primo giorno del mese di consegna se fosse attualizzato
in base al 6% annuo composto semestralmente (ossia al 3% semestrale) e il
suo «valore nominale» (principal o face value).
Anche se tende a pareggiare il valore dei titoli consegnabili, questa cor-
rezione non funziona perfettamente. In pratica, dato che la conversione si
basa su una term structure piatta al 6%, uno dei titoli risulterà «più conve-
niente da consegnare» (cheapest to deliver). Di conseguenza, i prezzi dei
futures su T-bonds tendono ad essere fissati con riferimento al cheapest to
deliver, ossia a quello che al momento si ritiene sarà il titolo più conve-
niente da consegnare. Questo accorgimento non è però pienamente soddi-
sfacente. Se la term structure dei tassi d’interesse cambia, può cambiare
anche il cheapest to deliver. È come se il venditore del futures avesse
un’«opzione qualitativa» (quality option) per scambiare il cheapest to deli-
ver corrente con un altro titolo. A causa di questa opzione, il prezzo futures
è minore di quello che sarebbe stato altrimenti.
La quality option non è l’unica opzione a favore del venditore. C’è an-
che l’«opzione di consegna» (delivery option) che permette al venditore di
consegnare i titoli in uno qualsiasi degli ultimi 7 giorni lavorativi del mese
di consegna. Nell’ultimo giorno di negoziazione il futures si trasforma in
un forward a sette giorni.
Una terza opzione a favore del venditore è la wildcard option. Il prezzo
futures su cui si basa l’invoice price viene fissato alle 14 ma il venditore
può ritardare fino alle 20 l’avviso dell’intenzione di effettuare la consegna.

124
FORWARDS E FUTURES

Sommario: esempi di forwards e futures


Fatta eccezione per i forwards e i futures scritti su merci detenute per fini
di consumo o di produzione, l’approccio del Paragrafo 2.2 per la determi-
nazione dei prezzi forward e futures continua ad essere valido.
In ogni caso continuiamo ad assumere che non ci siano opportunità di
arbitraggio e che i mercati siano perfetti. Per comprendere ogni tipo di con-
tratto bisogna definire bene l’attività sottostante. Nel caso dei forwards e
dei futures su indici azionari, il sottostante non è che il prezzo spot
dell’indice di riferimento. Nel caso dei forwards e dei futures su T-bills, il
sottostante è uno zero-coupon bond che scade dopo la data di consegna.
Nel caso dei FX forwards e dei FX futures, il sottostante è uno zero-coupon
bond denominato in valuta estera. In tutti i casi, il portafoglio equivalente
richiede l’acquisto del sottostante con denaro preso a prestito mediante la
vendita di uno zero-coupon bond in dollari che scade alla data di consegna.
Per valutare i forwards e i futures su merci, è importante distinguere le
merci che sono detenute per fini di consumo o di produzione da quelle de-
tenute per fini d’investimento. L’oro e l’argento sono detenuti soprattutto
per fini d’investimento. Solo una piccola parte delle loro scorte viene tra-
sformata in prodotti consumabili. In questo caso, per determinare i prezzi
forward e futures, continua ad essere valido l’approccio base. In altri casi
simili occorre tener conto degli storage costs. Invece, quando la merce è
detenuta soprattutto per fini di consumo o di produzione, non possiamo tra-
scurare il convenience yield. In tal caso, le argomentazioni di arbitraggio ci
consentono di individuare solo l’intervallo nel quale il prezzo forward deve
risultare compreso.
Abbiamo esaminato le particolarità dei futures scritti su grano, oro, pe-
trolio, indici azionari, eurodollari e Treasury bonds. Abbiamo anche tratta-
to i limiti di prezzo, la liquidazione per contanti e le opzioni di consegna.

2.4 COPERTURE MEDIANTE FUTURES


Si può immaginare che i futures siano stati inventati per coprirsi da eventi
sfavorevoli. Presentano però alcuni limiti, come verrà messo in luce dai
seguenti esempi.

Strip hedge
Supponiamo di dover prendere in prestito $1.000.000 per i prossimi 12 me-
si e di ottenere da una banca un «prestito a tasso variabile» (floating rate
loan) con pagamenti trimestrali determinati in base al Libor a 3 mesi mag-
giorato dell’1%. Il finanziamento viene erogato a dicembre quando il Libor
è pari al 6% annuo. Dopo 3 mesi, a marzo, dovremo quindi pagare il 7%
annuo. A marzo, il Libor a 3 mesi risulterà pari all’x%, per cui tre mesi do-
po, a giugno, dovremo pagare l’equivalente trimestrale dell’(x + 1)%. Il
Libor a 3 mesi osservato a giugno e a settembre determinerà i pagamenti
cui saremo tenuti a settembre e a dicembre, rispettivamente.

125
DERIVATI

Temiamo però che i tassi d’interesse possano aumentare, obbligandoci


a pagare più del 7% corrente. Per coprirci da questo rischio possiamo uti-
lizzare una «copertura a strisce» (strip hedge) vendendo ora (a dicembre):
‰ un futures su eurodollari con scadenza marzo;
‰ un futures su eurodollari con scadenza giugno;
‰ un futures su eurodollari con scadenza settembre.
Ogni futures blocca il Libor relativo ai 90 giorni che seguono la sua sca-
denza. Pertanto lo strip hedge blocca tre Libor a 3 mesi, per ciascuno dei
tre trimestri da marzo a dicembre. Supponiamo che il Libor a 3 mesi di
marzo risulti pari all’8%, con un costo aggiuntivo sul floating rate loan
pari all’equivalente trimestrale dell’1% (= 8% – 7%). Tale costo verrà
compensato dal guadagno sull’Eurodollar futures con scadenza marzo.
Analogamente, i futures con scadenza giugno e settembre offrono prote-
zione contro eventuali rialzi del Libor a giugno e a settembre.

Rolling strip hedge


Quando gli investitori hanno orizzonti temporali particolarmente lunghi, è
possibile che gli strip hedges non siano praticabili perché i futures con
scadenze lunghe non sono trattati o non hanno sufficiente liquidità. In tal
caso, sarebbe utile poter replicare i futures a più lungo termine mettendo in
atto strategie basate sui futures a breve termine. Abbiamo già visto come
l’investimento in un’obbligazione a lungo termine possa essere replicato
dal rollover su una serie di obbligazioni a breve termine. Un risultato simi-
le può essere ottenuto, per quanto riguarda i forwards o i futures, attuando
una strategia di «rinnovo dello strip hedge» (rolling strip hedge).
Tale risultato richiede le consuete ipotesi:
‰ assenza di opportunità di arbitraggio;
‰ mercati perfetti;
‰ attività sottostante non detenuta per fini di consumo o di produzione;
‰ certezza dei futuri spot returns.
Grazie alle prime tre ipotesi possiamo contare sulla forward-spot parity, F
= S(r/d) t. La quarta ipotesi (certezza dei futuri spot returns) ci consente di
conoscere in anticipo quali saranno gli spot returns a breve termine durante
la vita del forward.
Il fatto che il payoff di un futures a lungo termine possa essere spesso
replicato da un rollover su una serie di futures a breve termine può contri-
buire a spiegare perché la liquidità (volume e open interest) dei futures a
breve termine è quasi sempre più elevata di quella dei futures a più lungo
termine, indipendentemente da quale sia il loro sottostante. La superiore
liquidità dei futures a breve termine può volere significare che questi con-
tratti rappresentano davvero il miglior modo per creare – attraverso un rol-
lover – il payoff di un futures a lungo-termine.

126
FORWARDS E FUTURES

Per illustrare il funzionamento del rolling strip hedge, cerchiamo di re-


plicare un forward a 3 anni con 3 forwards ad 1 anno. Per semplificare
l’esposizione, supponiamo di poter trascurare i payouts (d = 1).
L’acquisto del primo forward comporterà tra 1 anno un profitto o una
perdita pari a S1 − F0(1), dove S1 è il prezzo dell’attività sottostante alla fi-
ne del primo anno e F0(1) è il prezzo forward concordato all’inizio del
primo anno per consegna dopo 1 anno. Il profitto o la perdita possono esse-
re capitalizzati fino alla fine del terzo anno in base agli spot returns annui
r1(2) e r2(3). Pertanto, alla fine del terzo anno, il valore finale del primo
forward sarà pari a [S1 − F0(1)] × r1(2) × r2(3).
All’inizio del secondo anno compriamo un altro forward, con prezzo
forward F1(2) e scadenza dopo 1 anno. Il payoff di questo contratto alla fine
del secondo anno sarà S2 − F1(2). Il profitto o la perdita possono essere ca-
pitalizzati fino alla fine del terzo anno in base allo spot return annuo r2(3).
Pertanto, alla fine del terzo anno, il valore finale del secondo forward sarà
pari a [S2 − F1(2)] × r2(3).
Infine, all’inizio del terzo anno compriamo l’ultimo forward, con prez-
zo forward F2(3) e scadenza dopo 1 anno. Il payoff di questo contratto alla
fine del terzo anno sarà pari a S3 − F2(3).
Riassumendo, il valore dei 3 contratti forward alla fine del terzo anno è
pari a:

[S1 − F0 (1)]× r1 (2)× r2 (3) + [S 2 − F1 (2)]× r2 (3) + [S3 − F2 (3)]


In base alle nostre ipotesi, sappiamo che devono valere le tre seguenti for-
ward-spot parities:

F0 (1) = S 0 × r0 (1), F1 (2) = S1 × r1 (1), F2 (3) = S 2 × r2 (1)

Sostituendo queste tre espressioni nella precedente, possiamo esprimere il


payoff del rolling strip hedge in funzione dei prezzi spot del sottostante e
degli spot riskless returns. Cancellando i termini che si elidono tra loro,
otteniamo:

S 3 − [S 0 × r0 (1)× r1 (2)× r2 (3)]

Utilizzando nuovamente la forward-spot parity − questa volta per un for-


ward, stipulato all’inizio del primo anno, con prezzo forward F0(3) e sca-
denza dopo 3 anni − otteniamo F0(3) = So × ro(1) × r1(2) × r2(3). Pertanto,
il payoff del rolling strip hedge è pari a S3 − F0(3) e risulta esattamente
uguale al payoff di un forward a 3 anni.
Questa dimostrazione, secondo cui l’acquisto di un forward a lungo
termine può essere approssimato da un rollover su una serie di forwards a
breve termine, è esposta sinteticamente nella Tavola 2.25.

127
DERIVATI

Tavola 2.25 Rolling Strip Hedge: dimostrazione

F0(1) F1(2) F2(3)


S0 S1 S2 S3

0 r0(1) 1 r1(2) 2 r2(3) 3


F0(3)

Dimostrazione: consideriamo il rollover su 3 periodi. Il cash flow finale


ottenuto rinnovando una serie di forwards uniperiodali è:
[S1 – F0(1)] × r1(2) × r2(3) + [S2 – F1(2)] × r2(3) + [S3 – F2(3)]
dato che F0(1) = S0 × r0(1), F1(2) = S1 × r1(2), F2(3) = S2 × r2(3)
[S1 – S0 × r0(1)] × r1(2) × r2(3) + [S2 – S1 × r1(2)] × r2(3) + [S3 – S2 × r2(3)]
= S3 – S0 × r0(1) × r1(2) × r2(3) = S3 – F0(3)

Stack hedge
Sfortunatamente, il rolling strip hedge non funziona bene se ci sono varia-
zione inattese nei tassi d’interesse o se la base (F – S) cambia in modo im-
prevedibile – ad es. perché l’attività sottostante viene detenuta per fini di
consumo o di produzione. In tal caso ci troviamo nella difficile situazione
in cui non solo i futures a lungo termine non sono disponibili o sono poco
liquidi ma non possiamo neppure contare sulle ipotesi che sono alla base
del rolling strip hedge. Cosa possiamo fare?
Anche se una copertura perfetta non esiste, possiamo cercare di miglio-
rarne l’efficacia rispetto a quella offerta dal rolling strip hedge se adottia-
mo una «copertura a pacchetti» (stack hedge). Questo schema consente di
approfittare del fatto che i futures con le scadenze più vicine sono spesso i
più liquidi. Consideriamo nuovamente lo strip hedge precedente in cui – a
dicembre – vendevamo 3 futures con scadenza, rispettivamente, a marzo,
giugno e settembre dell’anno successivo. Supponiamo che i futures per
marzo e giugno siano sufficientemente liquidi mentre il futures per settem-
bre sarà liquido solo a marzo. Date queste condizioni, possiamo realizzare
uno stack hedge se ora (a dicembre)
‰ vendiamo 1 futures su eurodollari con scadenza marzo;
‰ vendiamo 2 futures su eurodollari con scadenza giugno;
e a marzo
‰ ricompriamo 1 futures su eurodollari con scadenza giugno;
‰ vendiamo 1 futures su eurodollari con scadenza settembre.

128
FORWARDS E FUTURES

Tavola 2.26 Attenzione!

‰ Quando una posizione corta su forwards a lungo termine viene


coperta con il rollover di posizioni lunghe su una serie di futures o
forwards a più breve termine, l’hedger deve essere in grado di
sostenere gli esborsi che si verificheranno se il prezzo spot diminuirà
significativamente prima della scadenza dei forwards a lungo termine.
‰ Inoltre, se la base dei futures cambia di segno, passando dalla strong
backwardation al contango, l’hedger può subire perdite anche se il
prezzo spot non cambia.
‰ Infine, l’hedger deve essere pronto a far fronte alle difficoltà sopra
citate e continuare il rollover. Altrimenti, se la copertura viene
interrotta ed il prezzo spot aumenta, l’hedger potrebbe sperimentare
significative perdite sulla posizione corta su forwards a lungo
termine.

Affinché la copertura funzioni bene, dobbiamo sperare che il secondo dei 2


futures per giugno si comporti in modo simile al futures per settembre e
che quindi la variazione di prezzo nel periodo dicembre - marzo sia presso-
ché la stessa. Chiaramente non sarà proprio così, ed ecco perché questa co-
pertura non è perfetta. A marzo, quando la liquidità del futures per settem-
bre migliorerà, potremo crearci una copertura perfetta da quel punto in poi
ricomprando il secondo futures per giugno e sostituendolo con un futures
corto per settembre.

Attenzione!
Negli anni ‘90, l’avvertimento contenuto nella Tavola 2.26 non venne segui-
to dalla società tedesca Metallgesellschaft. In breve, la società si era impe-
gnata a consegnare un certo numero di barili di petrolio al mese, ad un certo
prezzo, per un periodo di 10 anni. Per coprire la sua esposizione, decise di
entrare in una serie di futures ad 1 mese, in modo tale che ogni mese il nume-
ro dei contratti in essere compensasse esattamente la sua esposizione residua.
Ad esempio, se l’accordo era quello di consegnare 1.000.000 di barili al me-
se per 10 anni, la Metallgesellschaft avrebbe inizialmente comprato futures
ad 1 mese scritti su 120.000.000 (= 10 × 12 × 1.000.000) di barili. Alla fine
del primo mese, dopo aver consegnato 1.000.000 di barili, avrebbe ricompra-
to futures ad 1 mese scritti su 119.000.000 di barili; e così via.
Metallgesellschaft credeva di essersi completamente coperta. Inoltre, da-
to che in precedenza il mercato dei futures sul petrolio era stato “normale”
(ossia con prezzi futures a lungo termine maggiori dei prezzi futures a bre-
ve), la società si aspettava di poter guadagnare la differenza tra i due prezzi:

129
DERIVATI

per 10 anni avrebbe comprato a prezzi bassi (con l’acquisto dei futures a bre-
ve) e avrebbe venduto a prezzi alti (in base al contratto di fornitura).
Sfortunatamente, si realizzarono tutte le circostanze negative menzionate
nella tavola. Il prezzo spot del petrolio scese, causando enormi perdite sui
futures a breve. Le plusvalenze sul contratto di fornitura a lungo termine re-
starono per la maggior parte sulla carta, non potendo essere realizzate. Inol-
tre, il mercato futures cambiò inclinazione, passando da “normale” ad “in-
verso” e le perdite divennero insostenibili. La società non rinnovò i futures in
scadenza e dovette poi constatare i successivi aumenti dei prezzi spot ed il
ripristino della normale configurazione dei prezzi sul mercato futures.

Perché si utilizzano i futures?


I vantaggi dell’utilizzo dei futures sono:
(1) l’acquisto di un futures equivale all’acquisto dell’attività sottostante
interamente finanziato con denaro preso a prestito. I futures consentono
quindi un leverage che sarebbe altrimenti difficile da ottenere. Anche
se l’investitore fosse in grado di procurarsi da solo lo stesso leverage, i
futures possono implicitamente offrire tassi d’interesse più bassi sul fi-
nanziamento. Il tasso d’interesse implicito è quel livello di r che ugua-
glia F a S(r/d)t, il «tasso di riporto implicito» (implied repo rate);
(2) a parità di esposizione verso l’attività sottostante, i futures consentono
di contenere i costi per commissioni, bid-ask spreads e impatto sul
mercato. Alcuni operatori sostengono che, nel caso dello S&P500, que-
sti costi sono pari a un decimo di quelli presenti sul mercato spot;
(3) se si mettesse insieme, azione per azione, il portafoglio dello S&P500, si
correrebbe il rischio che i prezzi dei titoli siano ben diversi da quelli atte-
si sulla base delle ultime quotazioni. È questo il «rischio di esecuzione»
(execution risk). Nel caso dei futures sullo S&P500, il rischio di esecu-
zione è in genere minore di un tick, ossia circa un punto base (0,01%);
(4) la vendita di un futures equivale a vendere l’attività sottostante e a dare
in prestito il ricavato. I futures possono implicitamente offrire tassi
d’interesse più alti di quelli altrimenti disponibili. Inoltre (com’è stato
già detto), i futures non sono soggetti alla regola dell’up-tick, diversa-
mente dalle vendite allo scoperto, e se vengono regolati per contanti,
non fanno correre i rischi di uno short squeeze.
Gli svantaggi dei contratti futures rispetto ai contratti spot sono:
(1) il prezzo futures potrebbe non rispettare la forward-spot parity, F =
S(r/d)t. Questa circostanza potrebbe dimostrarsi particolarmente sfortu-
nata nei casi di rollover, quando si utilizza una serie di futures a breve
per replicare un futures a lungo termine;
(2) spesso non è possibile trovare un futures scritto sull’attività che si vuole
proteggere. In tal caso, possiamo utilizzare un futures scritto su un’attivi-
tà fortemente correlata con l’attività da coprire, ma ci esponiamo al «ri-
schio incrociato» (cross-hedge risk). Ad esempio, dato che non ci sono

130
FORWARDS E FUTURES

futures sullo S&P100, se vogliamo coprirci dallo S&P100 possiamo uti-


lizzare i futures sullo S&P500;
(3) la dimensione dei contratti futures può essere eccessiva per i piccoli
investitori. Ad esempio, i futures sullo S&P500 comportano un’esposi-
zione di circa $250.000 (= 250 × $1.000) per ogni contratto negoziato;
(4) le persone fisiche, soggette alle imposte sui redditi da capitale, tendono
a posticipare la realizzazione dei guadagni e ad accelerare la realizza-
zione delle perdite sui loro investimenti spot, al fine di ridurre il valore
attuale delle imposte. Invece, i futures non offrono nessuna «opzione
temporale» (timing option), dato che i guadagni e le perdite, realizzati o
no, vengono comunque tassati alla fine dell’anno;
(5) anche se i futures richiedono inizialmente solo un piccolo investimento,
per far fronte al deposito di garanzia, la procedura di liquidazione gior-
naliera dei contratti può comportare successivamente significativi e-
sborsi in caso di evoluzione sfavorevole dei prezzi;
(6) gli investitori con grosse posizioni su futures regolati per contanti (come i
futures sullo S&P500) potrebbero tentare di manipolare il mercato spot,
in prossimità della consegna, per muoverne il prezzo a proprio favore.
Questo non dovrebbe rappresentare un problema per i futures che richie-
dono la consegna fisica, a meno che non sia possibile uno short squeeze.
(7) bisogna ricordarsi che l’acquisto di un futures non comporta la proprie-
tà dell’attività sottostante ed è soggetto ad un certo rischio di credito.
Pur con tutte le garanzie offerte dalla clearing house, le insolvenze, an-
che se improbabili, sono comunque possibili.16

Sommario: coperture mediante futures


Gli strip hedges possono essere utilizzati per coprire una serie di impegni
ripartiti nel tempo. Se i futures a lungo termine necessari per queste coper-
ture non sono sufficientemente liquidi, possiamo approssimare i loro pa-
yoffs «rinnovando» (rolling over) una serie di futures a più breve termine.
Altrimenti, possiamo mettere in atto uno stack hedge. Infine, abbiamo visto
quali possono essere le ragioni che inducono gli investitori ad utilizzare i
futures invece di investire direttamente nelle attività sottostanti.

2.5 SWAPS
Swaps su tassi d’interesse
Gli «swaps su tassi d’interesse» (interest rate swaps) sono contratti con i
quali due controparti si impegnano a scambiarsi gli interessi per un certo
periodo, il cosiddetto tenor. Le condizioni contrattuali vengono concordate
in modo che il valore attuale dello swap sia nullo.
Il plain-vanilla interest rate swap, che è il tipo più comune di swap su
tassi d’interesse, prevede lo scambio – alle date t = 1, 2, 3, ..., T – di interessi
variabili contro interessi fissi, calcolati facendo riferimento ad uno stesso
«capitale nozionale» (notional principal), X. Gli interessi fissi vengono cal-

131
DERIVATI

colati in base al «tasso swap» (swap rate) mentre gli interessi variabili ven-
gono calcolati in base al Libor osservato alle date t – 1 = 0, 1, 2, ..., T – 1.
Continueremo ad usare il simbolo rk(t) per indicare lo spot return tra il
tempo k e il tempo t. Pertanto, ro(1) è lo spot return corrente, relativo al pri-
mo periodo unitario, mentre rt−1(t), per t = 2, 3,..., T, indica gli spot returns
relativi ai futuri periodi unitari. Il tasso swap, y − 1, è quel tasso cedolare che
rende nullo il valore iniziale dello swap. Gli interessi fissi sono pari a X(y −
1), mentre gli interessi variabili sono pari a X[rt−1(t) − 1].
I payoffs di un interest rate swap possono essere così sintetizzati:

Payofft = X [ y − rt −1 (t )] in ogni istante t = 1, 2, ..., T

dove y viene fissato all’origine in modo che il valore attuale, PV0, dei pa-
yoffs risulti nullo [PV0(∑t Payofft) = 0].
Anche se, all’origine, il valore attuale dei payoffs dello swap è nullo, il
valore attuale di ogni payoff non deve essere necessariamente nullo.
Consideriamo il seguente esempio. La società A entra in uno swap con
scadenza dopo 2 anni e capitale nozionale di $1.000.000. Ogni sei mesi
riceve dalla società B l’equivalente semestrale del 5% annuo e paga alla so-
cietà B il Libor a 6 mesi:

Libor
Società A Società B
5,0%

Il riquadro in basso illustra lo scambio degli interessi tra le due società, dal
punto di vista di A. Lo swap ha origine il 1° luglio 1998. Non c’è alcuno
scambio di denaro fino a 6 mesi dopo (il 1° gennaio 1999), quando A riceve
l’equivalente semestrale del 5% annuo sul capitale nozionale, ossia
$25.000 (= ½ × 0,05 × $1.000.000). In cambio, dato che il Libor a 6 mesi
osservato 6 mesi prima (il 1° luglio 1998) è pari al 4,5%, A paga il 4,5%
sul capitale nozionale, ossia $22.500 (= ½ × 0,045 × $1.000.000). In prati-

Plain-vanilla interest rate swap (fisso-per-variabile)


nell’ottica della Società A (valore nominale: $1.000.000; tenor: 2 anni)
Tasso Entrate Libor Uscite Saldo
Data fisso (%) ($) (%) ($) ($)

1° lug 1998 4,5

1° gen 1999 5,0 25.000 4,7 22.500 (=½ × 0,045 × 1.000.000) 2.500

1° lug 1999 5,0 25.000 4,9 23.500 (=½ × 0,047 × 1.000.000) 1.500

1° gen 2000 5,0 25.000 5,2 24.500 (=½ × 0,049 × 1.000.000) 500

1° lug 2000 5,0 25.000 - 26.000 (=½ × 0,052 × 1.000.000) -1.000

132
FORWARDS E FUTURES

ca, le due società si scambiano solo il saldo tra i due pagamenti. Pertanto, A
riceve da B $2.500 (= $25.000 − $22.500). Lo scambio successivo ha luogo
6 mesi dopo (il 1° luglio 1999). Anche in questo caso A riceve $25.000 ma
questa volta paga $23.500 (= ½ × 0,047 × US$1,000,000), dato che il Libor
a 6 mesi osservato 6 mesi prima (il 1° gennaio 1999) è pari al 4,7%. Il sal-
do tra i due pagamenti, ancora a favore di A, è di $1.500 (= $25.000 −
$23.500).
Di solito, gli swaps vengono negoziati con l’intermediazione di una
banca, che tipicamente viene compensata con una provvigione pari a 3
punti base (0,03%) del capitale nozionale dello swap.

Libor Libor
Società A Banca Società B
4,985% 5,015%

La figura in alto mostra lo swap precedente dopo l’interposizione della ban-


ca. Come si vede, la banca trasferisce il Libor da A a B e, poiché prende in
prestito da A al 4,985% annuo e dà in prestito a B al 5,015%, si trattiene i 3
punti base di differenza (0,03% = 5,015% – 4,985%). Dato che la banca fun-
ge da clearing house, le due società non conoscono l’identità dell’effettiva
controparte. Se una delle due società fallisce, l’altra società non ne subirà le
conseguenze. È la banca che si assume il rischio di credito nei confronti sia
di A sia di B. Spesso, le banche entrano in uno swap con una certa contropar-
te (A) e lo mettono temporaneamente in «magazzino» (warehouse), in attesa
di trovare un’altra controparte (B) che desideri prendere la posizione opposta
nello swap. Così facendo, le banche si assumono temporaneamente un ri-
schio d’interesse. Sono questi due rischi (di credito e d’interesse) che contri-
buiscono a giustificare il margine d’intermediazione per la banca.
Gli interest rate swaps vengono di solito quotati in termini di spread ri-
spetto al tasso dei Treasury notes di uguale scadenza, come si vede nel se-
guente riquadro:
Plain-vanilla interest rate swap (fisso-per-variabile):
quotazioni indicative
Tasso corrente
Tenor La banca paga il fisso La banca riceve il fisso
sulle T-notes (%)
2 anni TN a 2 anni + 17 p.b. TN a 2 anni + 20 p.b. 5,00
3 anni TN a 3 anni + 19 p.b. TN a 3 anni + 22 p.b. 5,42
4 anni TN a 4 anni + 21 p.b. TN a 4 anni + 24 p.b. 5,70
5 anni TN a 5 anni + 23 p.b. TN a 5 anni + 26 p.b. 5,93
7 anni TN a 7 anni + 27 p.b. TN a 7 anni + 30 p.b. 6,50
10 anni TN a 10 anni + 31 p.b. TN a 10 anni + 34 p.b. 7,15

TN, Treasury note; p.b., punti base.

133
DERIVATI

Valutazione
Per valutare gli interest rate swaps seguiremo l’approccio più ricorrente in
questo libro: ci chiediamo qual è il portafoglio che replica lo swap. A que-
sto fine, possiamo considerare lo swap in due diversi modi:
‰ come portafoglio composto da due posizioni, di segno opposto, su un ti-
tolo a tasso fisso e su un titolo a tasso variabile;
‰ come portafoglio composto da contratti forward con varie scadenze.
Consideriamo innanzitutto il primo portafoglio. Dato che il valore iniziale
dello swap è nullo, le due gambe devono avere lo stesso valore. Sia:
BFL≡ valore corrente del titolo a tasso variabile con valore nominale X;
BFX≡ valore corrente del titolo a tasso fisso con valore nominale X e
tasso di rendimento y – 1.
Immediatamente dopo il pagamento di una cedola, il valore del titolo a tas-
so variabile deve essere uguale al valore nominale, dato che la cedola rela-
tiva al prossimo intervallo viene fissata in base al tasso corrente di merca-
to. Pertanto, in ogni data di revisione delle cedole, deve risultare BFL = X.
Supponiamo, per semplicità, che lo swap scada dopo 2 anni e che il tas-
so variabile venga rivisto una sola volta, alla fine del primo anno. Il titolo a
tasso fisso paga due cedole annuali, entrambe pari a X(y − 1). Ne segue che
il valore attuale del titolo a tasso fisso è pari a:
y −1 y −1 1
BFX = X +X +X
r (1) r (2 )2
r (2 )2

dove i pagamenti vengono attualizzati sulla base della term structure cor-
rente (stimata, con il metodo bootstrap, sulla base dei prezzi di coupon
bonds di diversa scadenza). All’origine, il valore dello swap è nullo, per
cui BFX − BFL deve essere pari a zero. Pertanto:

⎡ y −1 y −1 1 ⎤
X − ⎢X +X +X ⎥=0
⎣⎢ r (1) r (2)2
r (2)2 ⎦⎥

In altri termini, il tasso cedolare del titolo a tasso fisso deve essere deter-
minato in modo che il titolo quoti alla pari. Dato che l’equazione è lineare
in y, possiamo risolverla e ricavare il tasso swap, y − 1:

r (2 )2 − 1
y − 1 = r (1)
r (2 )2 + r (1)

Questo valore è stato ottenuto trascurando sia le spese a favore


dell’intermediario che organizza lo swap sia il rischio d’insolvenza delle
controparti. L’analisi può essere facilmente generalizzata per scadenze più
lunghe e revisioni più frequenti del tasso variabile.

134
FORWARDS E FUTURES

Fissato y, il valore dello swap successivamente all’origine non sarà nullo.


Ad ogni data di revisione delle cedole, il valore del titolo a tasso variabile,
BFL, continuerà ad essere uguale a X, mentre il valore del titolo a tasso fis-
so, BFX, sarà in genere diverso da X. Sarà quindi BFX − BFL ≠ 0.
Consideriamo ora il secondo portafoglio equivalente. I pagamenti netti
dello swap in esame, alla fine del primo e del secondo anno, sono pari a:

X [ y − r0 (1)] ricevuto al tempo 1


X [ y − r1 (2 )] ricevuto al tempo 2

Dobbiamo fare attenzione a distinguere gli spot returns noti, r0(1) e ro(2),
dallo spot return non noto, r1(2). Scritti in questo modo, i payoffs dello swap
sono uguali a quelli di un portafoglio composto da due forwards. Dato che il
primo payoff è noto all’origine, il suo valore attuale è semplicemente pari a:

X [ y − r0 (1)] Xy
= −X
r0 (1) r0 (1)

Il valore attuale del secondo payoff è pari a:

Xy / r0 (2 )2 − PV0 [Xr1 (2 )]

dato che Xy è noto all’origine e, sotto l’ipotesi di assenza di opportunità di


arbitraggio e di mercati perfetti, il valore attuale della somma di due paga-
menti deve essere uguale alla somma dei valori attuali.
Possiamo dire qualcosa circa PVo[Xr1(2)]? Si tratta del valore attuale di
un contratto stipulato al tempo t = 0 per ricevere al tempo t = 2, su un capi-
tale X, lo spot return r1(2) fissato al tempo t = 1. Chiediamoci innanzitutto
quale sarebbe il valore attuale di Xr1(2) al tempo t = 1. Dato che r1(2) è lo
spot return di mercato, il valore attuale di Xr1(2) al tempo t = 1 deve essere
pari a X [= Xr1(2)/r1(2)]. Inoltre, il valore attuale di X al tempo t = 0 deve
essere pari a X/r0(1). Pertanto, si ha:

PV0 [Xr1 (2)] = PV0 {PV1 [Xr1 (2)]} = PV0 ( X ) = X / r0 (1)

Infine, sommando i valori attuali dei due payoffs, otteniamo il valore cor-
rente dello swap:

Xy Xy X
−X+ − =0
r0 (1) r0 (2)2 r0 (1)

che deve essere necessariamente uguale a zero perché il tasso swap y − 1


viene determinato in modo da rendere nullo il valore iniziale dello swap.

135
DERIVATI

Riarrangiando i termini che figurano nell’ultima equazione si ottiene:

X ( y − 1) X ( y − 1) X
X− + + =0
r0 (1) r0 (2 )2 r0 (2 )2

che è identica all’equazione che abbiamo risolto in precedenza rispetto a y – 1.

Currency swaps
Diversamente dai plain-vanilla interest rate swaps, gli «swaps su valute»
(currency swaps) prevedono non solo lo scambio degli interessi ma anche dei
capitali. Supponiamo che la società americana A voglia finanziarsi in sterline
e che la società inglese B voglia finanziarsi in dollari. Essendo ben nota negli
Stati Uniti, A può finanziarsi in dollari ad un tasso più basso di B, mentre B,
essendo ben nota nel Regno Unito, può finanziarsi in sterline ad un tasso più
basso di A. Pertanto, se A e B, dopo essersi finanziate rispettivamente in dol-
lari e in sterline, entrano in uno swap in cui pagano, rispettivamente, sterline
e dollari, entrambe le società possono trarre beneficio dalle migliori condi-
zioni ottenute sui finanziamenti denominati nelle rispettive valute.
Per essere più specifici, supponiamo che A voglia prendere in prestito
£10.000.000 per 2 anni, che B voglia prendere in prestito $16.000.000 per 2
anni e che il tasso di cambio corrente $/£ sia pari a $1,6. Supponiamo che A
possa finanziarsi in dollari all’8% e che B possa finanziarsi in sterline al
10%.
All’origine, A prende in prestito $16.000.000 nel suo mercato domesti-
co, quello statunitense, e B prende in prestito £10.000.000 nel suo mercato
domestico, quello inglese. Immediatamente, A paga a B $16.000.000 e B
paga ad A £10.000.000.
Alla fine del primo e del secondo anno, A paga a B £1.000.000 (=
£10.000.000 × 0,1), che B gira alla banca inglese presso la quale si è finan-
ziata. Inoltre, B paga ad A $1.248.000 (= $16.000.000 × 0,08), che A gira
alla banca statunitense presso la quale si è finanziata.
Inoltre, alla fine del secondo anno, A restituisce £10.000.000 a B men-
tre B restituisce $16.000.000 ad A. Entrambi gli importi vengono girati alle
banche presso le quali A e B si sono finanziate.
In genere, le condizioni dello swap vengono determinate in modo tale
che il valore iniziale del contratto sia nullo. Nel nostro esempio, il valore
iniziale è effettivamente nullo, dato il tasso di cambio corrente. Si ha infatti
$16.000.000 − ($1,6/£1) × £1.000.000 = 0. Tuttavia, entrambe le controparti
traggono beneficio dal contratto, dato che finiscono col finanziarsi a tassi
più bassi di quelli altrimenti disponibili.
In molti casi, anche se una delle due società non ha un vantaggio asso-
luto rispetto all’altra nel proprio mercato domestico, lo swap può ancora
essere vantaggioso per entrambe le parti. La condizione necessaria è che
ognuna delle due società abbia un vantaggio comparato nel proprio merca-

136
FORWARDS E FUTURES

to domestico. Supponiamo, ad esempio, che A possa finanziarsi in dollari


all’8% e in sterline all’11%, mentre B può finanziarsi in dollari al 10% e
in sterline all’11,5%. Pertanto, A paga sempre meno di B, sia in dollari sia
in sterline, e B paga sempre più di A. Tuttavia, A ha un vantaggio compara-
to in dollari e B ha un vantaggio comparato in sterline, perché il differen-
ziale tra i tassi in dollari praticati alle due società è pari al 3% (= 11% –
8%) mentre il differenziale tra i tassi in sterline è pari allo 0,5% (= 11,5% –
11%).

Sommario: swaps
Gli interest rate swaps sono contratti con i quali due controparti si impe-
gnano a scambiarsi gli interessi per un certo periodo, il cosiddetto tenor.
Le condizioni contrattuali vengono concordate in modo che il valore attua-
le dello swap sia nullo. Il plain-vanilla interest rate swap, che è il tipo più
comune di swap su tassi d’interesse, prevede lo scambio di interessi variabili
contro interessi fissi. Di solito, gli swaps vengono negoziati con l’inter-
mediazione di una banca, piuttosto che direttamente tra le parti. La banca
svolge un ruolo simile a quello svolto dalla clearing house per i derivati di
borsa. Al pari della clearing house, la banca imputa alle controparti una
commissione sotto forma di spread tra il tasso fisso che riceve e il tasso
fisso che paga. Diversamente dalla clearing house, la banca può detenere
temporaneamente un magazzino di swaps, in attesa di trovare le controparti
interessate ad assumere le posizioni opposte.
Il problema fondamentale per la valutazione di questi swaps è quello
della determinazione dello swap rate, ossia del tasso d’interesse fisso che
rende nullo il valore iniziale dello swap. Gli swaps possono essere repli-
cati sia con un portafoglio di due titoli, uno a tasso fisso e l’altro a tasso
variabile, sia con un portafoglio di forwards. Le strategie di replica posso-
no essere utilizzate per determinare lo swap rate.
Gli swaps più diffusi dopo gli interest rate swaps sono i currency
swaps. In genere, questi contratti vengono conclusi tra due società di due
diversi Paesi quando entrambe hanno un vantaggio comparato a finanziarsi
nella valuta interna ma desiderano prendere in prestito la valuta estera. Ti-
picamente nei currency swaps si scambiano sia gli interessi sia i capitali.

CONCLUSIONI
In questo capitolo abbiamo affrontato il tema della valutazione dei derivati
e della loro copertura. Sotto questo secondo aspetto, abbiamo esaminato le
strategie che replicano i payoffs dei derivati e che si autofinanziano. Per
sviluppare questi argomenti, abbiamo ritenuto utile descrivere i singoli de-
rivati con i diagrammi dei profitti e delle perdite. I diagrammi più elemen-
tari si riferiscono alle posizioni, lunghe o corte, sul sottostante e sulla mo-
neta, disgiuntamente o congiuntamente. I titoli privi del rischio d’insol-
venza sono stati distinti principalmente in base alla duration, che misura il

137
DERIVATI

tempo medio mancante ai pagamenti previsti da un’obbligazione. I prezzi


dei titoli privi del rischio d’insolvenza possono essere sintetizzati con le
term structures degli spot returns o dei forward returns.
I forwards e i futures sono contratti molto simili tra loro. A parità di al-
tre condizioni, i prezzi forward e i prezzi futures sono all’incirca uguali.
Assumendo che non esistano opportunità di arbitraggio, che i mercati siano
perfetti e che l’attività sottostante non sia detenuta per fini di consumo o di
produzione, il portafoglio equivalente di un forward lungo è rappresentato
dall’acquisto spot del sottostante, interamente finanziato con denaro preso
a prestito. Questa è la principale chiave di lettura per comprendere il signi-
ficato dei forwards e dei futures. Inoltre, esiste una semplice formula, la
forward-spot parity, che lega il prezzo forward al prezzo spot dell’attività
sottostante.
Abbiamo esaminato tre tipi di forwards: su T-bills, su valute e su mer-
ci. Per ottenere il portafoglio equivalente ed il prezzo forward è stata suffi-
ciente una semplice reinterpretazione della nostra precedente analisi. Ab-
biamo preso in esame anche sei contratti futures: su grano, oro, petrolio,
indici azionari, eurodollari e T-bonds.
Abbiamo visto come coprire una serie di pagamenti a tasso variabile
con uno strip hedge, come replicare un forward a lungo termine con un
rolling strip hedge e come migliorare la performance di queste strategie
con uno stack hedge. Ci siamo chiesti perché gli investitori preferiscono a
volte utilizzare i forwards e i futures piuttosto che i contratti spot.
Gli swaps rappresentano uno degli sviluppi relativamente più recenti
del mercato dei derivati. In sostanza, gli swaps possono essere replicati da
un portafoglio di obbligazioni o di forwards. Questi portafogli equivalenti
possono essere utilizzati per determinare lo swap rate che annulla il valore
iniziale dello swap. Gli swaps più diffusi sono scritti sui tassi d’interesse e
sulle valute.

8
Le cifre indicate sugli assi verticali dei due tipi di diagramma non rappresentano il valore at-
tuale dei payoffs o il valore attuale dei profitti e delle perdite. I dollari futuri vengono confron-
tati con i dollari correnti senza essere prima attualizzati.
9
Più in generale, quando un gruppo di investitori tenta di monopolizzare l’offerta di una merce
per poterne controllare il prezzo, si dice che essi cercano di «mettere il mercato alle corde»
(cornering the market). Negli anni più recenti, l’esempio più famoso di un tentativo del genere
è stato quello dei fratelli Hunt. Verso la fine degli anni ‘70, i fratelli Hunt accumularono enor-
mi posizioni lunghe sui mercati spot e futures dell’argento. Da un livello di circa $9 per oncia
nel luglio 1979, il prezzo dell’argento passò a $35 entro la fine dell’anno, mentre i fratelli
Hunt controllavano circa 195 milioni di once, ossia circa il 15% delle riserve mondiali. Verso
la metà di gennaio del 1980, il prezzo futures raggiunse un massimo di oltre $50. Sfortunata-
mente per loro, i fratelli Hunt non furono in grado di mantenere il controllo del mercato e per-
sero miliardi di dollari. Alla fine di marzo del 1980 il prezzo scese a $11 e i fratelli Hunt do-
vettero far ricorso alla procedura fallimentare.
10
Naturalmente, se ci discostiamo dall’assunzione di mercati perfetti, i prezzi forward e i prezzi
futures di contratti altrimenti identici possono essere diversi. Ad esempio, uno dei due mercati

138
FORWARDS E FUTURES

può essere più liquido dell’altro, così da diventare il mercato preferito dagli investitori.
11
Se il payout return non è costante durante la vita del contratto forward, è facile dimostrare
che la forward-spot parity F = S (r/d) t continua ad essere valida. In tal caso, d è una media dei
payout returns nel periodo di vita del forward. Inoltre, se è noto il valore assoluto dei payouts,
piuttosto che il livello dei payout returns, la forward-spot parity diventa F = Srt − D, dove D è
il valore attuale dei payouts.
12
La base è stata qui definita come F − S. Altrove viene invece definita come differenza tra il
prezzo spot e il prezzo futures: S − F.
13
Alcuni autori definiscono il convenience yield come il livello di y in base al quale risulta F
= S ( rc/y ) t . In tal caso, y deve anche riflettere l’avversione al rischio del mercato e il valore
atteso di S * . Il concetto di convenience yield che è stato qui utilizzato è indipendente da queste
variabili.
14
La produzione annuale di oro, che è all’incirca uguale al consumo annuo (monete, medaglie,
gioielli, utilizzi in odontoiatria, ecc.), rappresenta l’1%-2% delle riserve mondiali.
15
A volte, i futures su indici azionari esteri vengono liquidati in dollari e il valore dell’indice
estero viene semplicemente definito in dollari senza trasformarlo sulla base del tasso di cam-
bio. In tal caso, l’attività su cui è scritto il futures non è un bene negoziabile e le nostre argo-
mentazioni di arbitraggio devono essere riviste.
16
Finora, la performance è stata eccellente. Citiamo una pubblicazione della CME ( The Finan-
cial Safeguard System of the Chicago Mercantile Exchange, 1996):
«Nei quasi 100 anni di storia della Chicago Mercantile Exchange e dell’organizzazione che
l’ha preceduta, non si è mai verificato che un clearing member non abbia adempiuto
all’obbligo di versare alla Clearing House i margini di variazione; (...) non si è mai verifica-
to che un clearing member non abbia adempiuto agli obblighi derivanti dall’esercizio di un
contratto d’opzione; (...) e non si è mai verificato che l’insolvenza di un clearing member
abbia comportato perdite per la clientela».

139
3
Introduzione alle opzioni

3.1 POSIZIONI ELEMENTARI


Definizioni
Tra i derivati più diffusi figurano le calls. In genere, il sottostante è rappre-
sentato da una merce, un’azione, un indice, una valuta o un titolo obbliga-
zionario.
Il valore corrente, C, di una call è spiegato da 6 variabili.17 Tre si riferi-
scono all’attività sottostante:
‰ il prezzo corrente spot dell’attività sottostante, S;
‰ il payout return dell’attività sottostante, d;
‰ la «volatilità» (volatility) dell’attività sottostante, σ.
La volatilità, una statistica simile alla deviazione standard, misura
l’incertezza del ritorno su base annua dell’attività sottostante. Come ve-
dremo, la volatilità è la deviazione standard, su base annua, del logaritmo
naturale del ritorno dell’attività sottostante. A parità di altre condizioni,
maggiore è la volatilità, più è probabile che, alla scadenza della call, il
prezzo dell’attività sottostante si muova lontano dal prezzo corrente. Di-
versi metodi sono stati proposti per stimare la volatilità, e avremo molte
cose da dire al riguardo.
Due delle sei variabili si riferiscono alla stessa call: 18, 19
‰ il «prezzo d’esercizio» (strike price), K;
‰ la «vita residua» (time-to-expiration), t.
L’ultima variabile si riferisce al mercato:
‰ il riskless return, r.

Il valore finale di una call verrà indicato con C*. È molto semplice da deter-
minare, essendo funzione solo del prezzo finale, S*, dell’attività sottostante e
dal prezzo d’esercizio, K, dell’opzione: C* = max[0, S* − K]. In altri termini,
se S* < K la call scade priva di valore, dato che è più conveniente acquistare
sul mercato spot l’attività sottostante al prezzo S*, piuttosto che al prezzo più
elevato, K, previsto dalla call. Se invece risulta S* > K, il possessore della
call si trova nell’invidiabile posizione di poter comprare l’attività sottostante

141
DERIVATI

a buon mercato. Comprandola al prezzo K e rivendendola immediatamente al


prezzo più elevato S*, può incassare un importo pari a S* − K.

Il payoff della call dipende dal prezzo finale dell’attività sottostante e nessun
compenso è previsto per eventuali payouts, come i dividendi, distribuiti durante
la vita dell’opzione. In questo caso, che è tipico delle opzioni trattate in borsa, si
dice che l’opzione non è payout-protected ossia che è unprotected.

Se invece la call fosse completamente protetta dai payouts, allora il payout


return, d, non svolgerebbe alcun ruolo nella determinazione del valore cor-
rente. Dato che le previsioni dei dividendi sono particolarmente difficili nel
caso delle opzioni su azioni che, come i warrants, hanno lunghe scadenze e
dato che i dividendi possono avere importanti effetti sul loro valore, spesso
le opzioni di lunga durata sono protette, almeno in parte, dai payouts.
Le puts sono simili alle calls fatta eccezione per il fatto che il compratore
ha il diritto di vendere l’attività sottostante. Il valore corrente di una put verrà
indicato con P. Alla scadenza, se S* > K, la put scade priva di valore, dato
che conviene vendere il sottostante sul mercato spot al prezzo S*, piuttosto
che al prezzo più basso, K, previsto dalla put. Se invece risulta S* < K, il pos-
sessore della put si trova nell’invidiabile posizione di poter vendere ad un
buon prezzo. Comprando il sottostante sul mercato spot al prezzo S* e riven-
dendolo immediatamente al prezzo più elevato K, può incassare un importo
pari a K − S*. Pertanto, il valore finale della put è P* = max[0, K − S*].
Al pari delle calls, le puts negoziate in borsa non sono protette dai payouts.

Di solito, le calls e le puts sono americane; in altri termini, possono essere e-


sercitate in qualsiasi momento della loro vita. Ad esempio, le calls americane,
possono essere esercitate in qualsiasi giorno lavorativo della loro vita, e in tal ca-
so hanno un valore pari a S − K, oppure il loro esercizio può essere rinviato. E-
sistono però altre opzioni trattate in borsa, ad esempio quelle scritte sullo
S&P500 alla Chicago Board Options Exchange, che possono essere esercitate
solo alla scadenza. Queste opzioni sono dette europee.

Le opzioni europee sono, per loro natura, più facili da valutare rispetto alle
opzioni americane e il compratore non deve sempre preoccuparsi se sia
meglio esercitarle oppure lasciarle in vita. Tuttavia, la possibilità dell’e-
sercizio anticipato assicura al possessore di un’opzione americana che la
quotazione dell’opzione non scenderà mai al di sotto di un certo limite (S −
K per le calls e K − S per le puts).
Sul mercato over the counter è possibile trovare opzioni con stili
d’esercizio “esotici”. Le opzioni che possono essere esercitate solo durante
una parte specifica della loro vita sono dette Bermuda. Questa caratteristi-
ca è condivisa dalle employee stock options, che di solito sono esercitabili
solo nell’ultima parte della loro vita. Se le date d’esercizio non sono prefis-

142
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI

Tavola 3.1 Opzioni Ordinarie: un esempio

8 novembre 1976
compriamo 1 call, con strike $50 e scadenza gennaio, scritta su ALCOA a $312,50

dall’8 novembre 1976 al 21 gennaio 1977


vendiamo la call al suo prezzo di mercato
o
esercitiamo la call pagando $5.000
e ricevendo in cambio 100 azioni
o
conserviamo la call e non facciamo nulla

21 gennaio 1977: 2:00 p.m. Central Time


cessano le contrattazioni sul mercato secondario

22 gennaio 1977: 10:59 p.m. Central Time


la call scade

sate ma dipendono dal prezzo dell’attività sottostante, le opzioni sono dette


atlantiche. Questa caratteristica è condivisa dalle knock-in options che
possono essere esercitate solo se il prezzo dell’attività sottostante oltrepas-
sa una certa barriera e dalle cap options che forzano l’esercizio prima della
scadenza non appena il prezzo dell’attività sottostante colpisce la barriera.
Le negoziazioni di opzioni sono dette opening transactions o closing
transactions a seconda che aprano o chiudano una posizione in essere. Se
compriamo un’opzione che non abbiamo venduto in precedenza stiamo a-
prendo una posizione. Poi la dovremo chiudere vendendo l’opzione, eserci-
tandola o lasciandola scadere senza esercitarla (ossia abbandonandola).
La Tavola 3.1 riporta un esempio relativo ad una call trattata in borsa.
L’8 novembre 1976, la quotazione di chiusura della call alla Chicago Board
Options Exchange era di $3⅛. Dava al compratore il diritto di comprare 100
azioni Alcoa a $50 per azione entro il 22 gennaio 1977 (il sabato successivo
al terzo venerdì di gennaio). In qualsiasi giorno lavorativo prima di questa
data, il compratore avrebbe potuto vendere la call sul mercato, esercitarla
oppure continuare a tenerla in vita. La prima possibilità scadeva il 21 gen-
naio alle 14 (ora di Chicago) e la seconda il 22 gennaio alle 24 (ora di New
York). Dopo quest’ultima data, la call non aveva alcun valore.

Diagrammi dei profitti e delle perdite


Il diagramma dei profitti e delle perdite mostrato nella Figura 3.1 si riferi-
sce ad una call lunga con K = S. Dati i seguenti valori delle 6 variabili:
‰ prezzo spot dell’attività sottostante, S = $100;
‰ prezzo d’esercizio, K = $100;

143
DERIVATI

Figura 3.1 Buy Call: profit and loss diagram

S = 100 Profit
K = 100
t =1
r = 1,15
d = 1,00 25
σ = 0,3

50 75 125 150

Futuro Prezzo Spot


Valore della call = $18,84
Strategia:
Strategia:buy
buyasset
asset
-25 ma
macon
condownside
downsidelimitato
limitato

Loss

‰ vita residua, t = 1 anno;


‰ riskless return, r = 1,15 su base annua;
‰ payout return, d = 1,00 su base annua;
‰ volatilità, σ = 30% su base annua;

il prezzo corrente della call, secondo la formula di Black e Scholes, è di


$18,84.20 La formula di Black e Scholes, che esamineremo più avanti, ha
contribuito a rivoluzionare l’utilizzo delle opzioni.
In caso di ribasso (S* < K), la call scade priva di valore ed il comprato-
re non recupera il costo iniziale dell’opzione. In caso di rialzo (S* > K), il
compratore della call dapprima compensa gradualmente il costo iniziale
con un ricavo, che è, dollaro per dollaro, uguale al profitto di chi ha com-
prato il sottostante. Se il prezzo si porta a S* = $118,84 (= $100 + $18,84),
il compratore della call finisce in pareggio, dato che il ricavo copre esatta-
mente il costo dell’opzione. Per S* > $118,84, il compratore della call rea-
lizza un profitto.
L’acquisto di una call può essere assimilato all’acquisto dell’attività
sottostante, ma con perdite più contenute in caso di ribasso. Il costo di que-
sta protezione è rappresentato dal fatto che, in caso di rialzo, il profitto è
minore di $18,84 rispetto a quello del compratore dell’attività sottostante.
Infine, si noti che le posizioni assunte utilizzando solo l’attività sotto-
stante e la moneta (e così includiamo anche i forwards) hanno payoffs
lineari. Invece, i payoffs delle opzioni sono “spezzati”. È questo il motivo
per cui le opzioni arricchiscono il menu delle strategie d’investimento di-
sponibili: le opzioni rendono possibili obiettivi non raggiungibili da qual-
siasi posizione «statica» (buy and hold) su attività sottostante e moneta.

144
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI

Figura 3.2 Sell Call: profit and loss diagram

Profit S = 100
K = 100
t =1
r = 1,15
25 d = 1,00
σ = 0,3
Valore della call = $18,84
50 75 125 150

Futuro Prezzo Spot

Strategia:
Strategia:vendere
venderel’upside
l’upside
dell’attività
dell’attivitàsottostante
sottostante -25

Loss

Il diagramma dei profitti e delle perdite della Figura 3.2 mostra che la
vendita di una call è l’immagine speculare dell’acquisto di una call. I gua-
dagni di chi compra la call sono uguali alle perdite di chi la vende, e vicever-
sa. Le opzioni sono «giochi a somma zero» (zero-sum games).
Nei veri mercati ci sono altri due giocatori: il broker e lo Stato. I pro-
fitti vengono decurtati dei costi di transazione e possono aumentare o ri-
dursi a seconda delle norme fiscali.
La vendita di una call può essere assimilata all’incasso di un importo fis-
so ($18,84) in cambio della cessione dei profitti realizzabili in caso di rialzo.
La Figura 3.3 mostra invece i profitti e le perdite di una put lunga con
K = S. Dati i seguenti valori delle 6 variabili:
‰ prezzo spot dell’attività sottostante, S = $100;
‰ prezzo d’esercizio, K = $100;
‰ vita residua, t = 1 anno;
‰ riskless return, r = 1,15 su base annua;
‰ payout return, d = 1,00 su base annua;
‰ volatilità, σ = 30% su base annua;
il prezzo corrente della put, secondo la formula Black-Scholes, è di $5,80.
In caso di rialzo (S* > K) la put scade priva di valore ed il compratore non
recupera il costo iniziale dell’opzione. In caso di ribasso (S* < K), il compra-
tore della put dapprima compensa gradualmente il costo iniziale con un rica-
vo, che è, dollaro per dollaro, uguale al profitto di chi ha venduto allo scoper-
to il sottostante. Se il prezzo si porta a S* = $94,20 (= $100 – $5,80), il com-
pratore della put finisce in pareggio, dato che il ricavo copre esattamente il
costo dell’opzione. Per S* < $94,20, il compratore della put realizza un profitto.

145
DERIVATI

Figura 3.3 Buy Put: profit and loss diagram

S = 100 Profit
K = 100
t =1
r = 1,15
d = 1,00 25
σ = 0,3

50 75 125 150
Futuro Prezzo Spot

Valore della put = $5,80


Strategia:
Strategia:short
shortasset
asset
ma
macon
condownside
downsidelimitato
limitato -25

Loss

L’acquisto di una put può essere assimilato alla vendita allo scoperto
dell’attività sottostante, ma con perdite più contenute in caso di rialzo. Il
costo di questa protezione è rappresentato dal fatto che, in caso di ribasso,
il profitto è minore di $5,80 rispetto a quello di chi vende allo scoperto.
Il diagramma dei profitti e delle perdite della Figura 3.4 mostra che la
vendita di una put è l’immagine speculare dell’acquisto di una put. I gua-

Figura 3.4 Sell Put: profit and loss diagram

S = 100 Profit
K = 100
t =1
r = 1,15
d = 1,00 25
σ = 0,3
Valore della put = $5,80
50 75 125 150

Futuro Prezzo Spot

Strategia:
Strategia:assumersi
assumersiilil
downside
downside delsottostante
del sottostante
-25

Loss

146
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI

Tavola 3.2 Put-Call Parity: un esempio

Prezzo spot del sottostante = S = $100 Prezzo della put = P = $5,80


Riskless return = r = 1,15 Vita residua = 1 anno
Data corrente Data di scadenza
S * < 100 100 ≤ S *
Buy Call –C 0 S * – 100
Buy Put – 5,80 100 – S* 0
Buy Asset (1 unità) – 100 S* S*
Finanziamento (PV0 di K) 100/1,15 – 100 – 100
Totale – 18,84 0 S * – 100

CC==5,80
5,80++100
100––100/1,15
100/1,15==18,84
18,84
Per semplicità, si è ipotizzato che non vengano distribuiti payouts.

dagni di chi compra la put sono uguali alle perdite di chi la vende, e vicever-
sa. La vendita di una put può essere assimilata all’incasso di un importo fisso
($5,80) a fronte dell’impegno ad accollarsi le perdite in caso di ribasso.

Put-call parity
La Tavola 3.2 mostra come si può ricavare il prezzo di una call europea se
si conosce il prezzo dell’attività sottostante, il riskless return e il prezzo di
una put altrimenti identica. Nell’esempio il prezzo corrente dell’attività
sottostante è di $100, il riskless return è di 1,15 su base annua e il prezzo
corrente della put è di $5,80.
Consideriamo una call europea con scadenza tra 1 anno.
(1) il payoff della call può essere replicato da un portafoglio che contiene
una posizione lunga sulla put, una posizione lunga sull’attività sotto-
stante e una posizione corta su uno zero-coupon bond con valore nomi-
nale pari al prezzo d’esercizio delle opzioni. Alla scadenza, il rimborso
dello zero-coupon bond comporterà un’uscita pari a:
(100 / 1,15)×1,15 = 100
per capitale e interessi. Per quanto riguarda le opzioni, dobbiamo di-
stinguere tra il caso di ribasso (S* < 100) e il caso di rialzo (S* > 100);
(2) dato che il payoff di questo portafoglio è sempre uguale a quello della
call, in assenza di opportunità di arbitraggio il valore corrente del por-
tafoglio deve essere uguale al valore corrente della call; si ha quindi
l’equazione: C = $5,80 + $100 − $100/1,15;
(3) questa equazione fornisce il valore, C , della call: $18,84.

147
DERIVATI

Figura 3.5 Synthetic Call

S = 100 Profit
K = 100
t =1
r = 1,15 Buy Asset
d = 1,00 Synthetic Call
25
σ = 0,3
Buy Put

50 75 125 150
Futuro Prezzo Spot

Borrowing
-25
CC==$5,80
$5,80++$100
$100––$100
$100/ /1,15
1,15
==$18,84
$18,84
Loss

La Figura 3.5 mostra che è possibile illustrare la put-call parity avvalendo-


si del diagramma dei profitti e delle perdite. Il payoff della call può essere
replicato comprando la put, comprando l’attività sottostante e prendendo
a prestito un importo pari al valore attuale del prezzo d’esercizio delle
due opzioni. Se si sommano le distanze verticali delle linee tratteggiate si
ottiene la spezzata che rappresenta i profitti e le perdite della call.

Tavola 3.3 Put-Call Parity: arbitrage table

Data corrente Data di scadenza


S* < K K ≤ S*
Buy Call –C 0 S* – K
Buy Put –P K – S* 0
Buy Asset (1 unità) – Sd–t S* S*
Finanziamento (PV0 di K) Kr–t –K –K
Totale – P – Sd–t + Kr–t 0 S* – K

CC==PP++Sd –t –t
Sd–t––Kr
Kr–t
Vale solo nel caso di opzioni europee con payout returns noti.

148
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI

L’esempio numerico riportato nella Tavola 3.3 illustra un risultato ben


più generale. Nell’esempio, vengono confrontati il payoff di una call eu-
ropea lunga e il payoff di un portafoglio composto da una posizione lunga
sulla put corrispondente e su d−t unità dell’attività sottostante, parzialmente
finanziata prendendo in prestito un importo pari a Kr−t. L’investimento in
un’unità dell’attività sottostante costa S e vale S*d t alla scadenza, capitaliz-
zando i payouts. Pertanto, l’investimento in d−t unità dell’attività sottostan-
te costa Sd−t e vale (S*d t)d−t = S* alla scadenza. Analogamente, il denaro
ricevuto in prestito, Kr−t, diventa pari a K [= (Kr−t)rt] alla scadenza, capita-
lizzando gli interessi. Per quanto riguarda le opzioni, dobbiamo distinguere
tra il caso di ribasso (S* < 100) e il caso di rialzo (S* > 100).
Il payoff (netto) del portafoglio è uguale a quello della call, quale che sia
il prezzo dell’attività sottostante alla scadenza delle opzioni. Pertanto, in as-
senza di opportunità di arbitraggio, il valore corrente del portafoglio deve
essere uguale al valore corrente della call.

Si ottiene così l’equazione:


C = P + Sd−t − Kr−t
che è nota come put-call parity.

Invece di utilizzare la tavola d’arbitraggio, la put-call parity può anche es-


sere dimostrata algebricamente sulla base del payoff. Dato che:
max[0, S* − K] = max[0, K − S*] + S* − K
ne segue che, in assenza di opportunità di arbitraggio, i valori attuali dei
payoffs devono essere uguali.
La put-call parity si basa solo su due assunzioni:
‰ assenza di opportunità d’arbitraggio;
‰ mercati perfetti.
Inoltre, si assume implicitamente che S, K, t, r e d siano noti. In pratica,
l’unica di queste variabili che presenta qualche problema di misura è d, il
payout return su base annua dell’attività sottostante, che verrà osserva-
to durante la vita delle opzioni.
La put-call parity ha diverse implicazioni (Tavola 3.4). Ad esempio, il
portafoglio equivalente ad una put è P = C − Sd−t + Kr−t. Prima del 1976 −
l’anno in cui iniziarono ad essere quotate − le puts venivano create sinteti-
camente sulla base di questo portafoglio, utilizzando un processo di «tra-
sformazione» (conversion).
La put-call parity mostra anche come prendere in prestito denaro utiliz-
zando il mercato delle opzioni. Esplicitando il termine –Kr−t, si vede che
possiamo finanziarci vendendo una put, comprando una call e vendendo allo
scoperto d−t unità dell’attività sottostante. Analogamente, esplicitando il ter-

149
DERIVATI

Tavola 3.4 Put-Call Parity: implicazioni

‰ Creare le puts dalle calls:


P = C – Sd–t+ Kr–t
‰ Replicare i finanziamenti utilizzando le opzioni:
– Kr–t = – P + C – Sd–t (borrowing implicito al riskless return r)
‰ Replicare le vendite allo scoperto utilizzando le opzioni:
– Sd–t = P – C – Kr–t (lending implicito al riskless return r)
‰ Implied riskless return:
r = [(P – C + Sd–t )/K]–1/t
‰ Protective put = Fiduciary call (Asset + Put = Call + Cash)
Sd–t + P = C + Kr–t
‰ Differenza tra i prezzi di call e put determinata solo da S, K, t, r, d:
C – P = Sd–t – Kr–t

mine –Sd−t, si vede che possiamo vendere allo scoperto il sottostante com-
prando una put, vendendo una call e prendendo in prestito un importo pari a
Kr−t. Quest’alternativa è utile se non siamo in grado di ricevere interessi sul
ricavato della vendita allo scoperto. In effetti, se utilizziamo il mercato delle
opzioni, il ricavato della vendita allo scoperto ci frutta interessi al tasso r − 1.
La put-call parity ci dice anche qual è il riskless return utilizzato dagli
operatori per determinare il prezzo delle opzioni. Esplicitando r, otteniamo
il cosiddetto option-implied riskless return. Le coppie di calls e puts, con
uguale strike e uguale scadenza, scritte sullo stesso sottostante dovrebbero
avere lo stesso riskless return implicito. In effetti, analogamente al repo
rate implicito nei forwards, ci dovremmo attendere che il riskless return
implicito sia lo stesso anche se le opzioni sono scritte su sottostanti diversi.
Dalla put-call parity si desume anche che il portafoglio composto da
una put e dal sottostante – noto come «put difensiva» (protective put) – e-
quivale al portafoglio composto da una call e dalla moneta [noto come
«call fiduciaria» (fiduciary call)].
Probabilmente, l’implicazione più interessante della put-call parity è
l’ultima, per il suo significato circa le determinanti dei prezzi delle opzioni.
Esplicitando C – P, si vede che le uniche determinanti della differenza tra i
prezzi di una call e una put, altrimenti identiche, sono rappresentate da 5
variabili: il prezzo spot del sottostante, S, il prezzo d’esercizio, K, la vita re-
sidua, t, il riskless return, r, e il payout return, d. Anche se possono esserci
altre determinanti, queste cinque variabili devono influenzare i prezzi delle
calls e delle puts europee nella stessa direzione e per gli stessi importi. Ad
esempio, la volatilità, che misura l’incertezza circa il return del sottostante,

150
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI

è chiaramente un’altra variabile che influenza i prezzi delle opzioni. Ma


sappiamo dalla put-call parity che, tenendo ferme le altre 5 variabili, se un
aumento di volatilità fa aumentare il valore di una call deve far aumentare
anche il valore della corrispondente put, per lo stesso importo.
I tentativi di trarre profitto dalle violazioni della put-call parity tengono
occupati diversi traders. La possibilità di fare un po’ di soldi non sparisce
mai completamente perché, in pratica, la strategia di arbitraggio non è così
facile come potrebbe sembrare, perché i traders:
(1) devono pagare i bid-ask spreads e le commissioni (nel caso dei market
makers su opzioni, i costi per le operazioni sul sottostante possono es-
sere significativi);
(2) potrebbero ricevere sul ricavato delle vendite allo scoperto un tasso
d’interesse inferiore a quello di mercato (le vendite allo scoperto sono
necessarie per sfruttare i bassi prezzi delle calls rispetto alle puts quan-
do i traders non hanno il sottostante in portafoglio);
(3) devono sostenere il legging-in risk, ossia il rischio di non riuscire ad
eseguire simultaneamente gli ordini su tutti e tre i titoli (call, put e sot-
tostante);
(4) sono soggetti a «requisiti patrimoniali» (capital requirements), che – so-
prattutto nel caso di operazioni sul sottostante – possono essere rilevanti.
Alcune di queste difficoltà potrebbero essere superate se ci fosse modo di
sfruttare le violazioni della put-call parity senza assumere posizioni sul
sottostante. È questo il caso del box spread, un’operazione che coinvolge
due coppie di opzioni, formate ognuna da una put e una call (le opzioni han-
no tutte la stessa scadenza ma ogni coppia ha un prezzo d’esercizio diver-
so). Le put-call parities relative a ciascuna coppia possono essere sommate
algebricamente dando origine ad un’unica equazione dove i termini in S si
elidono tra loro. Si ottiene così la seguente equazione:
C (K1 ) − P (K1 ) − C (K 2 ) + P (K 2 ) = (K 2 − K1 )r −t
che deve valere in assenza di opportunità di arbitraggio. Supponiamo che la
put-call parity relativa alla prima delle due coppie venga violata e che risulti:
C (K1 ) > P (K1 ) + Sd − t − K1r − t
Pertanto, C(K1) − P(K1) − C(K2) + P(K2) > (K2 − K1)r−t. Per realizzare un
profitto d’arbitraggio dobbiamo vendere C(K1) e P(K2) e comprare C(K2) e
P(K1). L’operazione coinvolge quattro opzioni ma non il sottostante.

Terminologia specifica delle opzioni


Il mercato delle opzioni ha il suo proprio gergo. Il prezzo di un’opzione
americana può essere diviso in due componenti (Tavola 3.5):
‰ il ricavo in caso di immediato esercizio;
‰ il valore aggiuntivo dovuto al fatto che l’esercizio può essere rinviato.

151
DERIVATI

Tavola 3.5 Exercisable Value

Valore
Valoredell’opzione
dell’opzione== Exercisable
Exercisablevalue
value++Premio
Premiorispetto
rispettoall’Exercisable
all’ExercisableValue
Value

Valore corrente in caso d’esercizio


max[ 0, S – K ] per la call, max[ 0, K – S ] per la put

Premio rispetto all’exercisable value


C – max[ 0, S – K ] per la call, P – max[ 0, K – S ] per la put
Valore minimo
Call europea = max[ 0, Sd–t – Kr–t ] (valore in caso di volatilità nulla)
Call americana = max[ 0, S – K, Sd–t – Kr–t ]

Put europea = max[ 0, Kr–t – Sd–t ] (valore in caso di volatilità nulla)


Put americana = max[ 0, K – S, Kr–t – Sd–t ]

La prima componente rappresenta il «valore intrinseco» (intrinsic value) e la


seconda il «valore temporale» (time value). È facile capire perché il time
value debba essere positivo. Consideriamo un’opzione che ha uno strike
pari al prezzo corrente del sottostante (S = K). Il suo valore intrinseco è nul-
lo. Eppure gli investitori pagheranno certamente un prezzo positivo per
l’opzione, dato che non hanno nulla da perdere ma possibilmente qualcosa
da guadagnare. Inoltre, il time value di un’opzione americana non può mai
essere negativo perché, attraverso l’esercizio, il possessore dell’opzione
può impedire che ciò accada. Tuttavia, come vedremo, il time value può
essere nullo e ciò indica che è giunto il tempo di esercitare l’opzione.21
Il valore minimo di un’opzione europea è quello che l’opzione avrebbe
se la volatilità fosse nulla. In base alla put-call parity si ha:

C = P + Sd −t − Kr −t
Dato che il valore minimo di una put è 0, la call deve valere almeno Sd−t −
Kr−t. Inoltre, dato che la call non può avere un valore negativo, il suo valo-
re minimo è max[0, Sd−t − Kr−t]. Questo è anche il valore di una call scritta
su un sottostante privo di rischio, ossia su un’attività con volatilità nulla.
Un altro modo per verificare questo limite inferiore è quello di argomenta-
re che, se il sottostante avesse una volatilità nulla, il suo prezzo spot alla
scadenza sarebbe già noto, per cui il compratore della call già saprebbe se
esercitare l’opzione oppure no. Se eserciterà l’opzione, riceverà S* in cam-
bio dello strike, K, e quindi il valore corrente della call sarà Sd−t − Kr−t,
dato che il valore attuale di S* è Sd−t ed il valore attuale di K è Kr−t. Se non
eserciterà l’opzione, il valore corrente della call sarà 0. Dato che vorrà

152
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI

sempre adottare una strategia d’esercizio ottimale, che massimizzi il valore


dell’opzione, il valore corrente della call sarà pari a max[0, Sd−t − Kr−t].
Un’argomentazione simile si applica alle puts.
Le stesse considerazioni valgono anche per le opzioni americane, fatta
eccezione per il fatto che, nel caso risulti 0 < Sd−t − Kr−t < S − K, il valore
minimo della call è S − K.
Altro gergo è stato mutuato dalle corse dei cavalli. Si dice che un’op-
zione è in-the-money se il suo valore intrinseco è positivo e che è out-of-
the-money se il suo valore intrinseco è nullo. Nella scommessa tris del trot-
to, si dice che i primi tre cavalli classificati sono in-the-money perché chi
ha indovinato la combinazione vincente passa all’incasso; tutti gli altri ca-
valli finiscono out-of-the-money.
Nel mercato delle opzioni si utilizza anche un altro termine, at-the-
money, per descrivere la situazione in cui le opzioni hanno un valore nullo.
I traders parlano anche di opzioni deep out-of-the-money o deep in-
the-money per riferirsi ad opzioni i cui prezzi d’esercizio sono molto lontani
dal prezzo spot dell’attività sottostante.
Un inconveniente di queste misure di «danarosità» (moneyness) è che
confrontano mele con pere − ossia, dollari ora (S) con dollari in futuro (K).
Un modo un po’ più sofisticato di misurare la moneyness è quello di confron-
tare il valore attuale, Sd−t, del prezzo del sottostante che verrà osservato alla
scadenza con il valore attuale, Kr−t, dello strike che verrà pagato alla scaden-
za. In tal caso, dovremmo dire che l’opzione è realmente at-the-money se Sd-t
= Kr−t. Allora, in base alla put-call parity, C = P + Sd−t − Kr−t, otterremmo il
risultato esteticamente gratificante secondo cui una call europea realmente at
the money ha lo stesso valore della corrispondente put.

Coperture elementari

Tra le posizioni che combinano opzioni con altre opzioni, o con l’attività sotto-
stante, la più diffusa è la vendita di una call combinata con l’acquisto del sotto-
stante. Questa posizione è detta «call coperta» (covered call), per distinguerla
dalla «call scoperta» (uncovered call), che è semplicemente la vendita della call.

Non è accidentale che i diagrammi dei profitti e delle perdite della covered
call e della put corta siano simili, con l’unica differenza che il primo è più
spostato verso l’alto. In base alla put-call parity, la covered call equivale
ad una put corta più un prestito privo di rischio.
La strategia consistente nella vendita di una call a fronte di un’attività
che si intende comunque acquistare è detta option overwriting.
Questa strategia viene spesso suggerita perché produce un incasso im-
mediato pari al prezzo della call. Tuttavia, la vendita della call comporta la
rinuncia ai possibili profitti che si sarebbero potuti realizzare sul sottostan-
te, in caso di rialzo. Se il mercato delle opzioni valuta la call correttamen-

153
DERIVATI

Figura 3.6 Covered Call

Profit
Buy Asset

25

Sell Call Covered Call


50 75 125 150

Futuro Prezzo Spot


S = 100
K = 100
t =1
r = 1,15 -25
d = 1,00 Strategia:
Strategia:simile
similealla
allavendita
vendita
σ = 0,3 didiuna
unapolizza
polizzaassicurativa,
assicurativa,
trae
traebeneficio
beneficiodai
daireversals
reversals
Loss

te, il premio incassato è esattamente compensato dalla rinuncia ai possibili


profitti e quindi la transazione è equa.
Occorre però mettere in guardia gli investitori dai brokers che suggeri-
scono l’option overwriting. Questa strategia genera due commissioni (sul
sottostante e sulla call) al posto di una sola (sul sottostante) e assorbe meno
capitale, dato che i proventi della call possono essere utilizzati per com-
pensare parte del costo di acquisto del sottostante.
Comunque, la strategia può rivelarsi utile. In effetti, le covered calls
sono simili alla vendita di una polizza assicurativa. Se le cose vanno male
(i prezzi scendono), l’investitore può compensare parte delle perdite con il
premio incassato; se le cose vanno bene (i prezzi salgono), l’investitore
incassa comunque il premio. La situazione è analoga a quella tipica di una
compagnia d’assicurazione.
Se è probabile che il prezzo del sottostante sia soggetto a «inversioni»
(reversals), ossia a rialzi seguiti da ribassi, seguiti a loro volta da nuovi
rialzi, il prezzo tenderà ad oscillare in un campo relativamente stretto. Se
così è, le covered calls possono risultare redditizie. Si veda la Figura 3.6.

Al secondo posto per diffusione, tra le posizioni che combinano opzioni con altre
opzioni, o con l’attività sottostante, figura l’acquisto di una put combinato con
l’acquisto del sottostante. Questa posizione è detta «put difensiva» (protective
put) per distinguerla dal semplice acquisto di una put.

Le protective puts sono simili all’acquisto di una polizza assicurativa. Se le


cose vanno male (i prezzi scendono), l’investitore può esercitare la put e

154
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI

Figura 3.7 Protective Put

S = 100 Profit
K = 100
t =1 Buy Asset
r = 1,15
Protective Put
d = 1,00 25
σ = 0,3

50 75 125 150
Futuro Prezzo Spot

Buy Put

-25
Strategia:
Strategia:simile
simileall’acquisto
all’acquisto
didiuna
unapolizza
polizzaassicurativa,
assicurativa,
trae
traebeneficio
beneficiodai
daitrends
trends
Loss

compensare le perdite sul sottostante; se le cose vanno bene (i prezzi sal-


gono), l’investitore trae beneficio dal rialzo del prezzo del sottostante e so-
stiene solo il costo della put. La situazione è analoga a quella tipica di un
soggetto che ha acquistato una polizza assicurativa.
Se è probabile che il prezzo del sottostante sia soggetto a «tendenze»
(trends), ossia a rialzi seguiti da rialzi e a ribassi seguiti da ribassi, il prezzo
tenderà ad allontanarsi dal livello corrente. Se così è, le protective puts
possono risultare redditizie. Si veda la Figura 3.7.
Mentre le covered calls mettono un «tetto» (ceiling) ai profitti, le pro-
tective puts mettono un «pavimento» (floor) alle perdite. Pertanto, l’investi-
tore incassa il premio della call in cambio degli svantaggi legati al ceiling e
paga il premio della put in cambio dei vantaggi determinati dal floor.

Forwards e opzioni
Quando si confrontano i forwards con le opzioni europee, emerge
un’interessante asimmetria: mentre è possibile replicare il payoff di un for-
ward con un portafoglio statico di opzioni europee, non è invece possibile
fare il contrario. In particolare, la Tavola 3.6 mostra che un contratto for-
ward lungo può essere replicato da un portafoglio composto da una call
lunga e da una put corta, con prezzi d’esercizio pari al prezzo forward cor-
rente e scadenze pari a quella del forward.
L’equivalenza tra il forward lungo ed il portafoglio composto da una
call lunga e da una put corta è anche illustrata dal diagramma dei profitti e
delle perdite mostrato nella Figura 3.8. Il diagramma spiega anche perché
non sia possibile replicare le opzioni con i forwards. I profitti e le perdite

155
DERIVATI

Tavola 3.6 Forwards e Opzioni: arbitrage table

Data corrente Data di scadenza


S* < F F ≤ S*
Buy forward 0 S* – F S* – F
Buy call (K = F) –C 0 S* – F
Sell put (K = F) P S* – F 0
Totale –C+P S* –F S* –F

Il contratto forward equivale ad un portafoglio composto da una posizione lunga


su una call europea e da una posizione corta su una put europea. Le due opzioni
sono scritte sullo stesso sottostante del forward, hanno la sua stessa scadenza
ed il loro prezzo d’esercizio è uguale al prezzo di consegna del forward.

del forward sono rappresentati da una linea retta, mentre i profitti e le per-
dite delle opzioni sono rappresentati da una spezzata. Allineando i «punti
di discontinuità» (kinks) della call lunga e della put corta (con lo stesso
strike), i kinks si elidono e la risultante è una linea retta. Invece, i forwards
(come pure l’attività e la moneta, anch’esse caratterizzate da payoffs linea-
ri) non possono essere sommati tra loro per generare una linea spezzata.
Si noti che la call e la put della Figura 3.8 hanno lo stesso valore
($11,92) e che quindi il valore corrente del portafoglio equivalente è nullo,
così come il valore iniziale del forward.
Questa stretta relazione tra opzioni e forwards (e quindi anche futures)
ha avuto importanti conseguenze sullo sviluppo della regolamentazione dei
mercati dei derivati. Il Chicago Board of Trade (CBOT), che cominciò a
trattare i primi futures nel 1848, ha preceduto di 125 anni la Chicago Board
Options Exchange (CBOE), la prima borsa per la negoziazione di opzioni.
Anche quando la CBOE iniziò ad operare, nel 1973, gli strumenti trattati
nei mercati dei futures sembravano avere poco in comune con le opzioni. Il
CBOT si era specializzato soprattutto sui futures scritti su merci e la CBOE
negoziava solo calls su azioni. Non sembrò quindi strano, allora, che i
mercati dei futures e delle opzioni venissero regolati, rispettivamente, dal-
la Commodity Futures Trading Commission (CFTC) e dalla Securities Ex-
change Commission (SEC), che controllava anche il mercato azionario.
Ora però vengono trattati futures e opzioni scritti su attività che si so-
vrappongono (indici, obbligazioni e valute). Attualmente, le futures op-
tions sono sotto il controllo della CFTC mentre le spot options sono sotto il
controllo della SEC.22 Questo stato di fatto, e la forte somiglianza (illustra-

156
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI

Figura 3.8 Synthetic Futures

S = 100 Profit
K = 115
t =1
r = 1,15 Synthetic Futures
d = 1,00 25
σ = 0,3

Sell Put
50 75 125 150

Futuro Prezzo Spot


Buy Call

-25
CC––PP==$11,92
$11,92––$11,92
$11,92==$0
$0
Loss

ta nella Figura 3.8) tra le posizioni che si possono assumere nei due merca-
ti, ha dato origine ad una significativa competizione tra organi di vigilanza.
Nel complesso, questa competizione ha probabilmente accelerato l’inno-
vazione sui mercati dei derivati.

Sommario: posizioni fondamentali


I payoffs di calls e puts possono essere espressi algebricamente. Ogni opzio-
ne ha un suo proprio “stile” per quanto riguarda le modalità di esercizio − in
genere, di tipo europeo o americano. I payoffs possono essere illustrati grafi-
camente. Diversamente dai contratti “lineari” (spot, forward, ecc.), i payoffs
delle opzioni sono rappresentati da linee spezzate. I diagrammi delle posizio-
ni lunghe e corte ci ricordano che le opzioni sono giochi a somma zero.
La put-call parity è la relazione che intercorre tra i valori di puts e calls
europee, altrimenti identiche. La relazione è stata ricavata dimostrando che
il payoff di un portafoglio composto da una put europea, dal sottostante e
da un finanziamento in denaro è uguale a quello della corrispondente call. I
termini che figurano nella put-call parity possono essere sistemati in modo
da mostrare come si possono utilizzare le opzioni per creare vendite allo
scoperto e finanziamenti sintetici. Inoltre, la relazione mostra che la diffe-
renza tra i valori di call e put europee altrimenti identiche dipende solo dal
prezzo spot del sottostante, dal suo payout return, dal prezzo d’esercizio,
dalla vita residua dell’opzione e dal riskless return.
I box spreads mostrano che i prezzi di due coppie di calls e puts eu-
ropee si determinano congiuntamente, senza che il prezzo spot dell’attività
sottostante eserciti la minima influenza.

157
DERIVATI

Le opzioni hanno il proprio gergo: intrinsic value, time value, out-of-


the-money, at-the-money e in-the-money.
Le opzioni possono essere combinate con il sottostante in modo da
formare una «copertura» (hedge). In particolare, la covered call consiste
nell’acquisto del sottostante e nella vendita di una call; la protective put
consiste nell’acquisto del sottostante e nell’acquisto di una put. Queste po-
sizioni sono simili, rispettivamente, alla vendita e all’acquisto di una poliz-
za assicurativa.
Esiste poi una relazione di uguaglianza tra puts e calls altrimenti iden-
tiche ed il loro corrispondente forward: all’origine, il payoff di un forward
è uguale al payoff di un portafoglio composto da una call europea lunga e
da una put europea corta scritte sullo stesso sottostante, con uguale scaden-
za e con un prezzo d’esercizio pari al prezzo forward.

3.2 POSIZIONI COMBINATE


Combinando tra le loro le opzioni, si può ottenere un’ampia varietà di pay-
offs (Tavola 3.7). Come si è già visto (Figura 3.8), i profitti e le perdite di
una out of the money (OTM) call lunga combinata con una in the money
(ITM) put corta avente lo stesso prezzo d’esercizio sono rappresentati da una
linea retta parallela a quella relativa all’attività sottostante. In caso di rialzo, i
profitti della call lunga corrispondono a quelli sul sottostante; in caso di ri-
basso, le perdite sulla put corta corrispondono a quelle sul sottostante. In ef-
fetti, se il prezzo d’esercizio delle opzioni è uguale al prezzo forward, il por-
tafoglio avrà lo stesso payoff del forward e, come il forward, avrà un valore
iniziale nullo.
Questo è solo uno degli esempi. Per limitare le perdite, rinunciando a
parte dei profitti, si possono utilizzare gli spreads, che sono formati da op-
zioni dello stesso tipo (o solo calls o solo puts). Invece, i cilindri, gli
straddles e gli strangles, analogamente al forward sintetico, sono formati
da opzioni di diversi tipo (una call combinata con un put).

Bull spreads
Supponiamo di ritenere probabile che il prezzo dell’attività sottostante au-
menti ma di voler limitare le perdite nel caso in cui questo non accada. Po-
tremmo acquistare una call. Supponiamo però di ritenere che il prezzo
dell’attività salirà ma non di molto. Siamo quindi disposti a dar via i profit-
ti relativi alla coda destra della distribuzione. Possiamo allora vendere una
call con strike più alto di quello della call che abbiamo acquistato. Conti-
nueremo a perdere in caso di ribasso, perché la call lunga (con strike più
basso) costa più della call corta (con strike più alto). Comunque, la perdita
sarà minore di quella che avremmo subito se non avessimo venduto la call.
Questa posizione è detta «spread al rialzo» (bull spread): spread perché è
formata da opzioni dello stesso tipo (o solo calls o solo puts) e bull perché
trae beneficio dal rialzo dei prezzi dell’attività sottostante.

158
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI

Tavola 3.7 Posizioni miste su opzioni

ITM call – OTM call = Bull spread


ITM put – OTM put = Bear spread

OTM call – OTM put = Bull cylinder


OTM put – OTM call = Bear cylinder

ATM call + ATM put = Straddle


OTM call + OTM put = Strangle

Asset + OTM put – OTM call = Collar


Forward + ITM put – OTM call = Range forward

Back e front spreads, straps e strips, butterfly spreads, condors, seagulls

I profitti e le perdite, Π, del bull spread mediante calls, con prezzi


d’esercizio K1 e K2 (K1 < S < K2), sono pari a:
( ) ( )
Profit/Los s = max 0, S * − K1 − max 0, S * − K 2 − [C (K1 ) − C (K 2 )]
I possibili risultati sono tre:
(1) S * < K1 : Profit/Loss = −[C (K1 ) − C (K 2 )]
( )
(2) K1 ≤ S ≤ K 2 : Profit/Loss = S * − K1 − [C (K1 ) − C (K 2 )]
*

(3) K2 < S* : Profit/Loss = (K 2 − K1 ) − [C (K1 ) − C (K 2 )]


uno per ciascuno dei tre segmenti della spezzata riportata nella Figura 3.9.
L’aggressività dello spread può essere dosata scegliendo appropriata-
mente gli strikes. Se S < K1 < K2, per cui entrambe le calls sono out-of-the-
money, lo spread costa meno, ma ha anche meno possibilità di comportare
un profitto. Se K1 < K2 < S, per cui entrambe le calls sono in-the-money, lo
spread costa di più, ma ha più possibilità di comportare un profitto. I bull
spreads possono anche essere costruiti utilizzando le puts, dove la put con
strike basso è lunga mentre la put con strike alto è corta.
Tra gli altri nomi utilizzati per questa posizione figurano bullish vertical
spread, bullish price spread, bullish money spread e bullish strike spread.

Bear spreads
Supponiamo ora di ritenere probabile che il prezzo dell’attività sottostante
diminuisca ma di voler limitare le perdite nel caso in cui questo non acca-
da. Potremmo acquistare una put. Supponiamo però di ritenere che il prez-
zo dell’attività scenderà ma non di molto. Siamo quindi disposti a dar via i

159
DERIVATI

Figura 3.9 Bull Spread mediante Calls

S = 100 Profit
K1 = 90 Buy ITM call a $24,81
K2 = 110 Sell OTM call a $13,97
t =1
r = 1,15 25
d = 1,00
σ = 0,3

50 75 125 150

Futuro Prezzo Spot

Valore dello spread =


$24,81 – $13,97 = $10,84 Strategia:
Strategia:ritenere
ritenereche
cheililprezzo
prezzo
-25 del
delsottostante
sottostanteaumenterà
aumenteràma ma
non
nondidimolto.
molto.Limitare
Limitareleleperdite
perdite
inincaso
casodidiribasso.
ribasso.
Loss

profitti relativi alla coda sinistra della distribuzione. Possiamo allora ven-
dere una put con strike più basso di quello della put che abbiamo acquista-
to. Continueremo a perdere in caso di rialzo, perché la put lunga (con strike
più alto) costa più della call corta (con strike più basso). Comunque, la
perdita sarà minore di quella che avremmo subito se non avessimo venduto
la put. Questa posizione è detta «spread al ribasso» (bear spread): spread
perché è formata da opzioni dello stesso tipo (o solo calls o solo puts) e
bear perché trae beneficio dal ribasso dei prezzi dell’attività sottostante.
I profitti e le perdite, Π, del bear spread mediante puts, con prezzi d’e-
sercizio K1 e K2 (K1 < S < K2), sono pari a:
( ) ( )
Profit/Los s = max 0, K 2 − S * − max 0, K1 − S * − [P (K 2 ) − P (K1 )]
I possibili risultati sono tre:
(1) S * < K1 : Profit/Loss = (K 2 − K1 ) − [P(K 2 ) − P(K1 )]
( )
(2) K1 ≤ S ≤ K 2 : Profit/Loss = K 2 − S * − [P(K 2 ) − P(K1 )]
*

(3) K2 < S* : Profit/Loss = −[P(K 2 ) − P(K1 )]


uno per ciascuno dei tre segmenti della spezzata riportata nella Figura 3.10.
Tra gli altri nomi utilizzati per questa posizione figurano bearish vertical
spread, bearish price spread, bearish money spread e bearish strike spread.
Esistono due tipi di (bull o bear) spreads: i credit spreads che comporta-
no un incasso e i debit spreads che comportano un esborso. Ad esempio, i
bear spreads mediante calls sono in genere credit spreads mentre i bear
spreads mediante puts − come quello appena visto − sono in genere debit
spreads.

160
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI

Figura 3.10 Bear Spread mediante Puts

Profit S = 100
Sell OTM put a $3,07 K1 = 90
Buy ITM put a $9,62 K2 = 110
t =1
25 r = 1,15
d = 1,00
σ = 0,3

50 75 125 150
Futuro Prezzo Spot

Valore dello spread =


Strategia: $9,62 – $3,07 = $6,55
Strategia:ritenere
ritenereche
cheililprezzo
prezzo
del
delsottostante
sottostantescenderà
scenderàma ma -25
non
nondidimolto.
molto.Limitare
Limitareleleperdite
perdite
inincaso di rialzo.
caso di rialzo.
Loss

Esistono anche altri spreads, chiamati «spreads orizzontali o di calenda-


rio» (time spreads, horizontal spreads o calendar spreads) che combinano
una posizione corta su un’opzione di una certa scadenza con una posizione
lunga su un’opzione dello stesso tipo con uguale strike ma scadenza più lon-
tana. Questi spreads sono detti neutral time spreads, bullish time spreads e
bearish time spreads a seconda che S = K, S < K o S > K, rispettivamente.
Invece, gli spreads che combinano due opzioni dello stesso tipo con strikes
diversi e scadenze diverse sono chiamati «spreads diagonali» (diagonal
spreads). I termini “verticale”, “orizzontale” e “diagonale” derivano dal mo-
do in cui i prezzi delle opzioni venivano riportati nei quotidiani finanziari: i
prezzi delle opzioni con strikes diversi (e uguale scadenza) in verticale e i
prezzi delle opzioni con scadenze diverse (e uguali strikes) in orizzontale.

Cilindri
Per replicare il payoff di un forward lungo, sappiamo che dobbiamo com-
prare un call e vendere una put con strikes uguali al prezzo forward. Invece
i «cilindri al rialzo» (bull cylinders) comportano l’acquisto di una call con
strike alto, K2, e la vendita di una put con strike basso, K1 (K1 < K2).
Come dovevamo aspettarci, i profitti e le perdite sono simili a quelli di
un forward lungo, fatta eccezione per la «zona piatta» (plateau) intorno al
prezzo corrente del sottostante (Figura 3.11).
I profitti e le perdite, Π, del bull cylinder (K1 < S < K2) sono pari a:
( ) ( )
Profit/Los s = max 0, S * − K 2 − max 0, K1 − S * − [C (K 2 ) − P (K1 )]
I possibili risultati sono tre:

161
DERIVATI

Figura 3.11 Bull Cylinder

S = 100 Profit
K1 = 90
K2 = 110
t =1
r = 1,15 25
d = 1,00
σ = 0,3

50 75 125 150

Futuro Prezzo Spot


Valore del bull cylinder
= $13,97 – $3,07 = $10,90
Sell OTM put a $3,07
-25 Buy OTM call a $13,97

Loss

(1) S * < K1 : ( )
Profit/Loss = − K1 − S * − [C (K 2 ) − P(K1 )]
(2) K1 ≤ S ≤ K 2 : Profit/Loss = −[C (K 2 ) − P(K1 )]
*

(3) K2 < S* : ( )
Profit/Loss = S * − K 2 − [C (K 2 ) − P(K1 )]
uno per ciascuno dei tre segmenti della spezzata riportata nella Figura 3.11.
Il bull cylinder è anche detto risk reversal lungo, potendo essere visto
come una scommessa sulla «asimmetria» (skewness) positiva della distribu-
zione dei ritorni. Questa posizione potrebbe essere appropriata se riteniamo
che un ritorno molto alto sia ben più probabile di un ritorno molto basso.

La media misura la tendenza centrale dei ritorni mentre la varianza misura la


dispersione dei ritorni. La skewness arricchisce il quadro misurando la concen-
trazione della probabilità di ritorni negativi o positivi. In caso di skewness po-
sitiva, l’elevata probabilità di una piccola perdita è compensata dalla piccola
probabilità di una forte vincita. Si parla in questi casi di «tiri da lunga distanza»
(long shots). In caso di skewness negativa, la piccola probabilità di una forte
perdita è compensata dall’elevata probabilità di una piccola vincita. La consueta
funzione di densità normale, «a forma campanulare» (bell-shaped), è simme-
trica ed ha skewness nulla. In generale, date due distribuzioni con la stessa
media e la stessa varianza, una delle due può avere skewness positiva e l’altra
skewness negativa.

I «cilindri al ribasso» (bear cylinders) hanno i segni invertiti rispetto ai


bull cylinders: comportano la vendita di una call con strike alto, K2, e
l’acquisto di una put con strike basso, K1 (K1 < K2).

162
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI

Figura 3.12 Straddle

S = 100 Profit
Buy ATM call a $18,84
K = 100
Buy ATM put a $5,80
t =1
r = 1,15
d = 1,00 25
σ = 0,3

50 75 125 150

Futuro Prezzo Spot


Valore dello straddle =
$18,84 + $5,80 = $24,64 Strategia:
Strategia:ritenere
ritenereche
chelala
-25 volatilità
volatilitàdel
delsottostante
sottostantesarà
sarà
alta
altama
manonnonavere
avereidee
ideecirca
circalala
direzione
direzionedeldelprezzo.
prezzo.
Loss

Straddles
Supponiamo di ritenere che stia per essere diffusa una notizia che potrà a-
vere forti ripercussioni sulla quotazione di una certa attività. Ci aspettiamo
che, una volta diffusa la notizia, la quotazione avrà un forte rialzo o un for-
te ribasso. Sfortunatamente, non c’è modo di prevedere in che direzione si
muoverà. Questo tipo di notizia è difficile da sfruttare nel mercato spot, ma
il mercato delle opzioni consente soluzioni personalizzate.
Comprando una at the money (ATM) call possiamo beneficiare del ri-
alzo. Però, questa posizione, da sola, non ci consente di trarre alcun van-
taggio dal resto dell’informazione (la possibilità di un forte ribasso). Se
acquistiamo anche una ATM put possiamo trarre profitto da entrambe le
variazioni. Chiaramente, nel nostro esempio standard (Figura 3.12), oltre a
pagare $18,84 per la call, dovremo pagare anche $5,80 per la put; pertanto,
perderemo $24,64 (= $18,84 + $5,80) se il prezzo dell’attività resterà inva-
riato. Questa posizione, che combina una call lunga con una put lunga a-
vente lo stesso strike e la stessa scadenza, è detta straddle.
Questa posizione rappresenta una chiara scommessa sulla volatilità. Se
la nostra opinione sulla volatilità è uguale a quella del mercato, i $24,64
rappresentano un prezzo equo da pagare. A queste condizioni potremmo
essere indifferenti sul da farsi, ossia se procedere o meno all’acquisto delle
opzioni. Se invece riteniamo che l’attività sarà più volatile di quanto è pre-
visto dal mercato, l’acquisto dello straddle potrebbe apparire conveniente.
Spesso i traders dicono che il mercato delle opzioni è in sostanza un
mercato di volatilità: chi compra lo straddle (o anche solo una call o una
put) compra volatilità; chi vende lo straddle vende volatilità.

163
DERIVATI

Figura 3.13 Strangle

S = 100 Profit
Buy OTM put a $3,07
K1 = 90
Buy OTM call a $13,97
K2 = 110
t =1
r = 1,15 25
d = 1,00
σ = 0,3

50 75 125 150

Futuro Prezzo Spot


Valore dello strangle =
$13,97 + $3,07 = $17,04
-25
Strategia
Strategia::simile
simileallo
allostraddle.
straddle.
Loss

I profitti e le perdite, Π, dello straddle (S = K) sono pari a


( ) ( )
Profit/Los s = max 0, S * − K + max 0, K − S * − [C (K ) + P (K )]
I possibili risultati sono due:
( )
(1) S * ≤ K : Profit/Loss = − K − S * − [C (K ) + P(K )]
( )
(2) K < S * : Profit/Loss = S * − K − [C (K ) + P(K )]
uno per ciascuno dei due segmenti della spezzata riportata nella Figura 3.12.
Invece, la vendita dello straddle comporta un profitto se la volatilità os-
servata è bassa e una perdita in caso di variazioni estreme. Un famoso strad-
dle corto è stato quello attuato, sul finire del 1995, da un trader della Barings
Bank sul mercato azionario giapponese, che subito dopo subì un forte e rapi-
do ribasso. Invece di chiudere la posizione, il trader comprò enormi quantità
di index futures (grazie ai margini molto bassi) per forzare il mercato a torna-
re sui precedenti livelli e annullare le perdite sullo straddle. Alla fine, la ma-
nipolazione fallì, portando a perdite non solo sullo straddle ma anche sui fu-
tures, perdite di tali dimensioni da costringere la banca al fallimento.

Strangles
Lo strangle è molto simile allo straddle: entrambi comportano l’acquisto di
una call e di una put con la stessa scadenza. Però, diversamente dallo
straddle, la call e la put hanno strikes diversi: lo strike della call è più alto
dello strike della put. Questo determina perdite costanti nella regione in cui
nessuna delle due opzioni viene esercitata (Figura 3.13). Per il resto, il
payoff è molto simile a quello dello straddle. Anche se la massima perdita

164
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI

Figura 3.14 Collar

S = 100 Profit
Buy asset a $100
K1 = 90
Buy OTM put a $3,07
K2 = 110
Sell OTM call a $13,97
t =1
r = 1,15 25
d = 1,00
σ = 0,3

50 75 125 150

Futuro Prezzo Spot


Valore del collar =
$100 – $13,97 + $3,07 = $89,10
-25

Loss

sullo strangle è minore di quella sullo straddle ($17,04 contro $24,64), non
solo è più probabile che questa perdita si verifichi ma il prezzo del sotto-
stante deve muoversi ancor di più per far sì che la posizione si chiuda con
un profitto.
I profitti e le perdite, Π, dello strangle (K1 < S < K2) sono pari a:
( ) ( )
Profit/Los s = max 0, S * − K 2 + max 0, K1 − S * − [C (K 2 ) + P (K1 )]
I possibili risultati sono tre:
(1) S * < K1 : ( )
Profit/Loss = K1 − S * − [C (K 2 ) + P(K1 )]
(2) K1 ≤ S ≤ K 2 : Profit/Loss = −[C (K 2 ) + P(K1 )]
*

(3) K2 < S* : ( )
Profit/Loss = S * − K 2 − [C (K 2 ) + P(K1 )]
uno per ciascuno dei tre segmenti della spezzata riportata nella Figura 3.13.

Collars
Il collar combina l’attività sottostante con una out-of-the-money put lunga
e una out-of-the-money call corta.
I profitti e le perdite, Π, del collar (K1 < S < K2) sono pari a:
( )
Profit/Los s = S * + max 0, K1 − S * − max 0, S * − K 2 ( )
I possibili risultati sono tre:
(1) S * < K1 : Profit/Loss = K1 − [S + P(K1 ) − C (K 2 )]
(2) K1 ≤ S * ≤ K 2 : Profit/Loss = S * − [S + P(K1 ) − C (K 2 )]
(3) K2 < S* : Profit/Loss = K 2 − [S + P(K1 ) − C (K 2 )]
uno per ciascuno dei tre segmenti della spezzata riportata nella Figura 3.14.

165
DERIVATI

Figura 3.15 Range Forward

S = 100 Profit
Buy forward a $0
K1 = 105
Buy ITM put a $7,57
K2 = 128,6
Sell OTM call a $7,57
t =1
r = 1,15 25
d = 1,00
σ = 0,3 F= S(r/d) t = $115

50 75 125 150

Futuro Prezzo Spot

Valore del range forward =


$0 + $7,57 – $7,57 = $0
-25

Loss

Il profit/loss diagram del collar è molto simile a quello del bull spread,
fatta eccezione per il fatto che, in questo caso, il costo della posizione è mol-
to più elevato e quindi la spezzata risulta spostata verso l’alto. Il collar tra-
sforma il campo di oscillazione (−100%, +∞%) del tasso di rendimento del
sottostante ponendo un limite sia alle perdite sia ai profitti.

Range forwards
Il range forward combina un forward lungo (il cui valore è inizialmente
nullo) con una put lunga ed una call corta. Il prezzo d’esercizio della put è
maggiore del prezzo forward (F < K2) e il prezzo d’esercizio della call è
minore del prezzo forward (K1 < F). Inoltre, i prezzi d’esercizio vengono
scelti in modo che i premi della call e della put siano uguali. Il valore com-
plessivo della posizione è quindi nullo.
I profitti e le perdite, Π, del range forward (K1 < F < K2) sono pari a:
( ) (
Profit/Los s = S * − F + max 0, K1 − S * − max 0, S * − K 2 )
dove, naturalmente, PV0(S* − F) = 0 e P(K1) = C(K2).
I possibili risultati sono tre:
(1) S * < K1 : Profit/Loss = K1 − F
(2) K1 ≤ S ≤ K 2 : Profit/Loss = S * − F
*

(3) K2 < S* : Profit/Loss = K 2 − F


uno per ciascuno dei tre segmenti della spezzata riportata nella Figura 3.15.
Il profit/loss diagram del range forward è molto simile a quello del bull
spread e del collar fatta eccezione per il fatto che, in questo caso, gli strikes
sono stati scelti in modo da far sì che il costo della posizione sia nullo.

166
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI

Figura 3.16 Back Spread

S = 100 Profit
K1 = 100 Sell ATM call a $18,84
K2 = 110 Buy 2 OTM calls a $13,97 l’una
t =1
r = 1,15 25
d = 1,00
σ = 0,3

50 75 125 150

Futuro Prezzo Spot

Valore del back spread =


2 × $13,97 – $18,84 = $9,10
-25

Loss

Se gli strikes della put e della call fossero uguali al prezzo forward, la
posizione continuerebbe ad avere un costo nullo, ma avrebbe anche un valore
finale nullo. Pertanto, ciò che rende il range forward interessante è l’accor-
gimento consistente nel differenziare gli strikes delle due opzioni ma sce-
gliendoli in modo che il valore della call sia uguale a quello della put.
I range forwards sono anche detti fences o flexible forwards.
Un esempio ancor più semplice di posizione a costo nullo è dato dal
break forward (o Boston option): si acquista una call con strike uguale al
prezzo forward ma il premio, invece di essere pagato subito, viene pagato
alla scadenza, indipendentemente dal fatto che l’opzione finisca in-the-
money o out-of-the-money. Le opzioni di questo tipo sono anche dette de-
layed payment options. Una posizione a costo nullo più complessa è rap-
presentata da una contingent premium option che prevede il pagamento del
premio alla scadenza solo se l’opzione finisce in-the-money.

Back spreads e front spreads


Combinando tra loro tre o più opzioni, il menu delle spezzate che illustrano
i profitti e le perdite si arricchisce ulteriormente. Se vendiamo una at-the-
money (ATM) call (S = K2) e compriamo una out-of-the-money (OTM) call
(K1 < S) otteniamo un bear spread. Ma se compriamo un’altra OTM call
(K1 < S), possiamo realizzare un profitto in caso di rialzo, anche se ad un
costo aggiuntivo (Figura 3.16). Questa posizione è appropriata per chi ri-
tiene che il prezzo del sottostante scenderà o che, se aumenterà, probabil-
mente salirà oltre i $29. Questa posizione, in cui il numero delle calls (puts)
lunghe è maggiore del numero delle calls (puts) corte è detta back spread.

167
DERIVATI

Figura 3.17 Strap

S = 100 Profit
Buy 2 ATM calls a $18,84 l’una
K = 100
Buy ATM put a $5,80
t =1
r = 1,15
d = 1,00 25
σ = 0,3

50 75 125 150

Futuro Prezzo Spot

Valore dello strap = -25


2 × $18,84 + $5,80 = $43,48

Loss

I profitti e le perdite, Π, del back spread (K1 < S = K2) sono pari a:
( ) ( )
Profit/Los s = 2 × max 0, S * − K 2 − max 0, S * − K1 − [2C (K 2 ) − C (K1 )]
I possibili risultati sono tre:
(1) S * < K1 : Profit/Loss = −[2C (K 2 ) − C (K1 )]
(
(2) K1 ≤ S * ≤ K 2 : Profit/Loss = − S * − K1 − [2C (K 2 ) − C (K1 )])
(3) K2 < S : *
( *
)
Profit/Loss = S − 2 K 2 + K1 − [2C (K 2 ) − C (K1 )]
uno per ciascuno dei tre segmenti della spezzata riportata nella Figura 3.16.
Anche i back spreads rappresentano uno dei modi per comprare volatilità.
La posizione opposta, in cui il numero delle calls (puts) corte è maggiore
del numero delle calls (puts) lunghe è detta front spread.

Straps e strips
Gli straps sono simili agli straddles ma l’aggressività dell’esposizione ai ri-
alzi viene raddoppiata con l’acquisto di due calls invece di una. Al pari de-
gli straddles, l’investitore scommette su una forte variazione del prezzo del
sottostante ma ritiene più probabile un rialzo che un ribasso.
I profitti e le perdite, Π, dello strap (S = K) sono pari a:
( ) ( )
Profit/Los s = 2 × max 0, S * − K − max 0, K − S * − [2C (K ) + P (K )]
I possibili risultati sono due:
(1) ( )
S * ≤ K : Profit/Los s = K − S * − [2C (K ) + P (K )]
(
(2) K < S * : Profit/Los s = 2 S * − K − [2C (K ) + P (K )])
uno per ciascuno dei due segmenti della spezzata riportata nella Figura 3.17.

168
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI

Figura 3.18 Butterfly Spread mediante Calls

S = 100 Profit
K1 = 90 Buy ITM call a $24,81
K2 = 100 Sell 2 ATM calls a $18,84 l’una
K3 = 110 Buy OTM call a $13,97
t =1 25
r = 1,15
d = 1,00
σ = 0,3
50 75 125 150

Futuro Prezzo Spot


Valore del butterfly spread =
$24,81 – 2 × $18,84 + $13,97 =
$1,10
-25 Strategia
Strategia::simile
simileallo
alloshort
short
straddle
straddlema macon
condownside
downside
limitato
limitatoinincaso
casodidialta
altavolatilità
volatilità
Loss

Simile allo strap è lo strip, in cui si comprano due puts e una call aven-
ti lo stesso strike e la stessa scadenza. Al pari degli straddles, l’investitore
scommette su una forte variazione del prezzo del sottostante ma ritiene più
probabile un ribasso che un rialzo.

Butterfly spreads
La Figura 3.18 illustra il ben noto «spread a farfalla» (butterfly spread),
detto anche sandwich spread, il cui payoff dimostra che le opzioni possono
essere utilizzate con precisione chirurgica per trarre beneficio da convin-
zioni che differiscono nettamente da quelle degli altri investitori. In questo
caso, scommettiamo che il prezzo dell’attività sottostante finirà molto vici-
no al livello corrente e ci esponiamo ad una piccola perdita ($1,10) se ciò
non si verifica. Spostando gli strikes delle tre opzioni verso sinistra (destra)
il picco del payoff triangolare si sposta in corrispondenza di un prezzo più
basso (più alto).
Per costruire il butterfly spread compriamo innanzitutto una call con strike
basso ($90) e vendiamo una call con strike intermedio ($100), formando così
un bull spread. Vendendo la seconda call con strike intermedio, otteniamo
un ratio spread. Infine, comprando la terza call con strike alto ($110) affran-
chiamo la posizione dalle perdite che si verificherebbero in caso di rialzo.
Il butterfly spread è molto simile ad uno state-contingent claim, ossia
ad un titolo che paga un importo prefissato se, alla data di scadenza, il
prezzo dell’attività sottostante cade in un certo intervallo, e nulla altrimen-
ti. I butterfly spreads rappresentano un’approssimazione degli state-
contingent claims perché pagano un importo variabile in un certo interval-

169
DERIVATI

Figura 3.19 Condor

S = 100 Profit
K1 = 90 Buy DITM call a $24,81
K2 = 95 Sell ITM call a $21,69
K3 = 105 Sell OTM call a $16,27
K4 = 110 Buy DOTM call a $13,97
25
t =1
r = 1,15
d = 1,00
σ = 0,3 50 75 125 150

Futuro Prezzo Spot


Valore del condor =
$24,81 – $21,69 – $16,27 + $13,97
= $0,82
-25
Strategia
Strategia::simile
simile
alalbutterfly
butterflyspread.
spread.
Loss

lo, e nulla altrimenti. L’ampiezza dell’intervallo è pari alla distanza tra i


due strikes che si trovano alle estremità opposte. Via via che accorciamo
questa distanza, il butterfly spread diventa sempre più simile ad uno state-
contingent claim.
I profitti e le perdite, Π, del butterfly spread (K1 < K2 = S < K3) sono pari a:
( ) ( )
Profit/Loss = max 0, S * − K1 − 2 × max 0, S * − K 2 + max 0, S * − K 3 ( )
− [C (K1 ) − 2C (K 2 ) + C (K 3 )]
I possibili risultati sono quattro:
(1) S * < K1 : Profit/Loss = −[C (K1 ) − 2C (K 2 ) + C (K 3 )]
( )
( 2) K1 ≤ S < K 2 : Profit/Loss = S * − K1 − [C (K1 ) − 2C (K 2 ) + C (K 3 )]
*

( )
(3) K 2 ≤ S * ≤ K 3 : Profit/Loss = 2 K 2 − K1 − S * − [C (K1 ) − 2C (K 2 ) + C (K 3 )]
( 4) K 3 < S * : Profit/Loss = (K1 − 2 K 2 + K 3 ) − [C (K1 ) − 2C (K 2 ) + C (K 3 )]
uno per ciascuno dei 4 segmenti della spezzata riportata nella Figura 3.18.
I butterfly spreads possono anche essere costruiti sulla base delle puts,
comprando una put con strike basso, comprando una put con strike alto e
vendendo due puts con strike intermedio.

Condor
Il condor (Figura 3.19) è molto simile al butterfly spread fatta eccezione per
il fatto che, nell’intervallo tra gli strikes estremi, il payoff è in parte piatto.
Per costruire il condor, invece di vendere due calls con lo stesso strike, oc-
corre vendere due calls con strikes un po’ diversi. Si utilizzano quindi quat-
tro diverse calls.

170
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI

Figura 3.20 Seagull

S = 100 Profit
K1 = 90 Sell OTM put a $3,07
K2 = 100 Buy ATM call a $18,84
K3 = 110 Sell OTM call a $13,97
t =1 25
r = 1,15
d = 1,00
σ = 0,3
50 75 125 150

Valore del seagull = Futuro Prezzo Spot


$18,84 – $13,97 – $3,07 =
$1,80
-25

Loss

Seagulls
I «gabbiani» (seagulls) sono simili alle puts corte fatta eccezione per il fat-
to che il payoff è irregolare in prossimità dello strike intermedio.
I profitti e le perdite, Π, del seagull (K1 < S = K2 < K3) sono pari a:
( ) ( )
Profit/Loss = max 0, S * − K 2 − max 0, S * − K 3 − max 0, K1 − S *( )
− [C (K 2 ) − C (K 3 ) − P(K1 )]
I possibili risultati sono quattro:
(1) S * < K1 : ( )
Profit/Loss = K1 − S * − [C (K 2 ) − C (K 3 ) − P (K1 )]
( 2) K1 ≤ S < K 2 : Profit/Loss = −[C (K 2 ) − C (K 3 ) − P(K1 )]
*

( )
(3) K 2 ≤ S * ≤ K 3 : Profit/Loss = S * − K 2 − [C (K 2 ) − C (K 3 ) − P (K1 )]
( 4) K 3 < S * : Profit/Loss = (K 3 − K 2 ) − [C (K 2 ) − C (K 3 ) − P(K1 )]
uno per ciascuno dei 4 segmenti della spezzata riportata nella Figura 3.20.
Dopo questi ultimi due esempi, c’è da sperare che non si pensi che la
teoria delle opzioni sia materia da ornitologi ...

Sommario: posizioni combinate


Combinando diverse opzioni scritte sullo stesso sottostante si può ottenere
un’ampia varietà di payoffs. In questo paragrafo abbiamo visto cosa si può
ottenere se si combinano opzioni con la stessa data di scadenza.
I bull spreads e i bear spreads consentono di ridurre sensibilmente le
possibili perdite − al costo di ridurre i possibili profitti; i bull spreads trag-
gono beneficio dal rialzo dei prezzi del sottostante e i bear spreads dal ri-

171
DERIVATI

basso. Questi spreads vengono costruiti comprando e vendendo calls (o


puts) altrimenti identiche ma con diversi prezzi d’esercizio.
I forwards possono essere replicati da portafogli composti da una call
lunga e da una put corta con uguale prezzo d’esercizio. I cilindri hanno
payoffs simili ai forwards ma vengono costruiti utilizzando opzioni con
prezzi d’esercizio differenti tra loro.
Abbiamo inoltre considerato posizioni nelle quali le due opzioni, inve-
ce di essere una lunga e l’altra corta, sono entrambe lunghe o entrambe
corte. Se la call e la put hanno lo stesso prezzo d’esercizio, la posizione si
chiama straddle; se gli strikes sono diversi, la posizione si chiama strangle.
L’acquisto di uno straddle o di uno strangle può essere appropriato quando
si ritiene che il prezzo dell’attività sottostante subirà una forte variazione
ma non si sa in quale direzione. Si tratta chiaramente di una scommessa
sulla volatilità.
Combinando le opzioni con l’attività sottostante, come nel caso dei col-
lars, si limitano le perdite ma si limitano anche i profitti. Alcune posizioni
non costano nulla ma riducono comunque sia le future perdite sia i futuri
profitti. Un esempio è dato dal range forward, che è una ingegnosa combi-
nazione di un forward lungo con una put lunga ed una call corta.
In altre posizioni − back spreads, straps e strips, butterfly spreads,
condors e seagulls − sono coinvolte più di due opzioni. Grazie alla mag-
giore flessibilità, è possibile ottenere payoffs simili a quelli degli state-
contingent claims.

3.3 VALUTAZIONE
La Tavola 3.8 riporta i valori Black-Scholes di alcune calls e puts europee,
con uguale scadenza (1 anno), scritte sullo stesso sottostante (prezzo cor-
rente $100). Sono gli stessi valori che abbiamo utilizzato per costruire i
profit/loss diagrams delle posizioni fondamentali e combinate.
Possiamo notare diverse regolarità nei prezzi:
(1) il prezzo di ogni call è sempre maggiore di max[0, Sd−t − Kr−t]. I limiti
inferiori per i prezzi delle calls, con strikes K = 90, 95, 100, 105, 110 e
115, sono 21,74; 17,39; 13,04; 8,70; 4,35 e 0, rispettivamente. Inoltre,
il prezzo di ogni put è sempre maggiore di max[0, Kr−t − Sd−t];
(2) se consideriamo una qualsiasi coppia di calls, la differenza tra i due
valori correnti è sempre minore della differenza tra i rispettivi strikes.
Ad esempio, la differenza tra i valori correnti delle calls con strikes $95
e $100 è pari a $2,85 (= $21,69 – 18,84), molto meno della differenza
($5) tra $100 e $95. In realtà, un esame più attento ci consentirà di veri-
ficare che la differenza tra i prezzi di due calls europee con strikes Kl e
K2 (K1 < K2) deve essere sempre minore di (K2 − K1) r−t. Inoltre, per
qualsiasi coppia di puts europee con strikes Kl e K2 (K1 < K2), la diffe-
renza tra i due valori correnti deve essere anch’essa sempre minore di
(K2 − K1) r−t;

172
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI

Tavola 3.8 Opzioni ordinarie: valori campionari

S = 100 t=1 r = 1,15 d = 1,00 σ = 0,3

K Call Put
($) ($) ($)
90 24,81 3,07
95 21,69 4,30
100 18,84 5,80
105 16,27 7,57
110 13,97 9,62
115 11,92 11,92

(3) se consideriamo una qualsiasi tripletta di calls con strikes adiacenti, il


prezzo della call intermedia è sempre minore della semisomma dei prezzi
delle altre due calls. Consideriamo, ad esempio, le calls con strikes di
$95, $100 e $105. Il prezzo della call con strike $100, pari a $18,84, è
minore di $18,98 [= ½ × ($21,69 + $16,27)]. Questa relazione vale anche
per qualsiasi tripletta di puts con strikes adiacenti.
Vedremo che queste regolarità non sono fortuite ma devono valere se i
mercati sono perfetti e non esistono opportunità di arbitraggio.

Relazioni generali di arbitraggio


Se i mercati sono perfetti e non esistono opportunità di arbitraggio, le opzioni
devono soddisfare quattro relazioni generali di arbitraggio (Tavola 3.9).
La prima relazione, la hedge relation, deriva dalla put-call parity (C = P
+ Sd−t − Kr−t). Il limite inferiore di C corrisponde al caso in cui P = 0. Per-
tanto, il valore corrente, C, di una call europea deve essere almeno pari a
Sd−t − Kr−t. Inoltre, il valore corrente di una call americana deve essere al-
meno pari al suo valore intrinseco, S − K. Nel caso delle calls europee, il
limite superiore è rappresentato da Sd−t.
La seconda relazione, la bull spread relation, deriva dal payoff di
un bull spread, composto da una call lunga con strike K1 e da una call
corta con strike K 2 (K 1 < K 2 ). Il payoff di questa posizione è max[0,
S * − K1 ] − max[0, S * − K2 ]. Il massimo payoff si ha quando S* ≥ K2. In
tal caso, il payoff è pari a K2 − K1. Pertanto, il bull spread non può valere
più del valore attuale di questo importo. In altri termini si ha C(K1) −
C(K2) ≤ K2 − K1 se il bull spread è formato da opzioni americane (eser-

173
DERIVATI

Tavola 3.9 Calls americane: relazioni di arbitraggio

‰ Hedge Relation:
S ≥ C ≥ max[0, S – K, Sd–t – Kr–t ]

‰ Bull Spread Relation: (K1 < K2)


C(K1) > C(K2) e C(K1) – C(K2) ≤ K2 – K1

‰ Butterfly Spread Relation: (K1 < K2 < K3, equispaziati)


C(K2) ≤ ½[C(K1) + C(K3)]

‰ Time Spread Relation: (t1 < t2)


C(t2) ≥ C(t1)
Relazioni analoghe valgono anche per le puts.

citabili in qualsiasi istante) e C(K1) − C(K2) ≤ (K2 − K1)r−t se il bull spread


è formato da opzioni europee (esercitabili solo alla scadenza).
La terza relazione, la butterfly spread relation, deriva dal payoff di un
butterfly spread, composto da una call lunga con strike K1, due calls corte
con strike K2 e una call lunga con strike K3 (K1 < K2 < K3). Gli strikes sono
equispaziati, per cui K2 − K1 = K3 − K2. Il payoff di questa posizione è:
( ) ( ) (
max 0, S * − K1 − 2 × max 0, S * − K 2 + max 0, S * − K 3 )
Si vede immediatamente che questo payoff non può mai essere negativo e
che, per valori di S* compresi tra K1 e K3, risulta positivo. In effetti, se S* <
K1, tutte le calls finiscono out-of-the-money ed il payoff è pari a 0. Se K1 < S*
< K2, solo la prima call finisce in-the-money ed il payoff è positivo. Se K2
< S* < K3, sia la prima call sia le due seconde calls finiscono in-the-money
ed il payoff è S* − K1 − 2(S* − K2) = −S* + K2 + (K2 − K1) = −S* + K3, che è
un valore positivo. Infine, se K3 < S*, il payoff è −S* + K3 + (S* − K3) = 0,
dato che anche la terza call finisce in-the-money. Pertanto, il valore attuale
del butterfly spread è C(K1) − 2C(K2) + C(K3) > 0.
La quarta relazione, la time spread relation, deriva dal payoff di un time
spread, composto da una call corta con vita residua t1 e da una call lunga
con vita residua t2 (t1 < t2). Quando la prima call scade o viene esercitata,
deve valere max[0, S’ − K], dove S’ è il prezzo del sottostante alla data di
scadenza o di esercizio. Sappiamo inoltre, in base alla hedge relation, che a
quella data il valore della seconda call deve essere almeno pari a tale
max[0, S’ − K]. Pertanto, dato che lo spread deve avere a questa data un
valore non negativo, il valore dello spread deve essere non-negativo anche

174
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI

all’origine, per cui C(t2) ≥ C(t1). Tuttavia, nel caso delle calls europee,
questa relazione non vale necessariamente se i payouts nel periodo (t1, t2)
sono sufficientemente elevati da indurre ad esercitare al tempo t1 la call
con scadenza t2, in modo da ricevere i payouts che verranno successiva-
mente distribuiti sul sottostante.

Portafogli di opzioni e opzioni su portafogli


Consideriamo due attività con prezzi S1* e S2* ad una certa scadenza. Il
payoff di un portafoglio composto da due calls lunghe è:
( ) (
max 0, S1* − K + max 0, S 2* − K )
Invece, il payoff di una call scritta sul portafoglio composto dalle due attività è:
(
max 0, S1* + S 2* − 2 K )
I possibili risultati sono sei:
Portafoglio Call
di calls sul portafoglio
(1) S1* ≤ K, S2* ≤ K 0 0
(2) S1* > K, S2* ≤ K, S1* + S2* ≤ 2K S1* – K 0
(3) S1* > K, S2* ≤ K, S1* + S2* > 2K S1* – K S1* + S2* – 2K
(4) S1* ≤ K, S2* > K, S1* + S2* ≤ 2K S2* – K 0
(5) S1* ≤ K, S2* > K, S1* + S2* > 2K S2* – K S1* + S2* – 2K
(6) S1* > K, S2* > K S1* + S2* – 2K S1* + S2* – 2K

Negli stati (1) e (6) i payoffs delle due strategie sono identici. Negli stati
(2) e (4), il valore del portafoglio di opzioni è chiaramente maggiore di
quello dell’opzione sul portafoglio. Anche nello stato (3), dato che

( ) ( )
S1* + S 2* − 2 K = S1* − K + S 2* − K ≤ S1* − K

e nello stato (5), dato che

( ) ( )
S1* + S 2* − 2 K = S1* − K + S 2* − K ≤ S 2* − K

il valore del portafoglio di opzioni è maggiore di quello dell’opzione sul


portafoglio. Pertanto, il valore del portafoglio di opzioni è uguale a quello
dell’opzione sul portafoglio in certi stati ed in altri è maggiore. Dato che
quest’argomentazione vale anche per le puts e per i portafogli composti da
più di due attività, possiamo affermare che un portafoglio di opzioni vale più
di un portafoglio di opzioni, altrimenti identico.
In realtà, questa è una relazione generale di arbitraggio che riguarda la
volatilità del sottostante. La diversificazione tende a far sì che la varianza
del ritorno di un portafoglio sia minore della somma delle varianze dei sin-
goli titoli. Dato che, come vedremo, il valore delle opzioni cresce al cre-
scere della volatilità del sottostante, il portafoglio di opzioni (che ha una

175
DERIVATI

Tavola 3.10 Valore delle opzioni: determinanti

Effetto
Effettodell’aumento
dell’aumentodeldelfattore
fattoresu:
su:
Fattore
Fattore valore
valoredella
dellacall
call valore
valoredella
dellaput
put
1.
1. Prezzo
Prezzocorrente
correntedel
delsottostante
sottostante ↑↑ ↓↓
2. Prezzo d’esercizio dell’opzione
2. Prezzo d’esercizio dell’opzione ↓↓ ↑↑
3.
3. Volatilità
Volatilitàdel
delsottostante
sottostante ↑↑ ↑↑
4. Riskless return
4. Riskless return ↑↑ ↓↓
5.
5. Payout
Payoutreturn
return ↓↓ ↑↑
6.
6. Vitaresidua
Vita residuadell’opzione
dell’opzione ↑↑* * ↑↑* *

* Nel caso delle opzioni europee, l’effetto della vita residua è ambiguo

volatilità maggiore) avrà un valore maggiore dell’opzione scritta su un por-


tafoglio (che ha volatilità minore).

Determinanti fondamentale del valore di un’opzione


La Tavola 3.10 elenca le sei fondamentali determinanti del valore di un’op-
zione. Sono “fondamentali” nel senso che, se gli investitori sfruttano le op-
portunità di arbitraggio, queste variabili devono essere rilevanti. Altre va-
riabili in altri contesti potrebbero avere rilevanza, come la correlazione tra
il riskless return e il prezzo del sottostante. Però, nella formula di Black e
Scholes, queste sei variabili sono le uniche che influenzano il valore di
un’opzione.
È utile chiedersi perché, e in che modo, queste variabili influenzano il
prezzo di un’opzione. Per renderci il compito più agevole, quando consi-
dereremo l’effetto della variazione di una variabile assumeremo che le al-
tre cinque restino invariate.
Chiaramente, se aumenta il prezzo del sottostante, cresce il valore delle
calls e diminuisce quello delle puts. È anche facile capire che se aumenta lo
strike, diminuisce il valore delle calls e aumenta quello delle puts.
È possibile che gli aumenti di volatilità non producano effetti sul prez-
zo del sottostante. In realtà, nel capital asset pricing model (CAPM), nel ca-
so dei titoli i cui ritorni siano correlati negativamente con il ritorno del por-
tafoglio di mercato, gli aumenti di volatilità fanno aumentare i prezzi dei
titoli. Questa ambivalenza è spiegata dal fatto che gli effetti della volatilità
sui prezzi del titolo sono simmetrici − gli aumenti di volatilità accrescono le
probabilità di ritorni estremi (molto alti o molto bassi). Invece, gli effetti

176
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI

della volatilità sui prezzi delle opzioni sono asimmetrici. Se la volatilità


aumenta, la maggiore probabilità di un ritorno molto alto del sottostante
avvantaggia il compratore della call, mentre la maggiore probabilità di un
ritorno molto basso non lo danneggia. Non gli interessa che l’opzione ter-
mini out-of-the-money o deep out-of-the-money. Pertanto, l’aumento della
volatilità comporta un aumento del valore delle opzioni.
Gli effetti della volatilità mettono in luce i ruoli completamente diversi
del rischio nella valutazione delle opzioni e delle attività sottostanti. Nel
CAPM, il rischio è rilevante solo perché il modello assume che gli investi-
tori sono avversi al rischio. Invece, nella teoria di valutazione delle opzio-
ni, il rischio è rilevante anche se gli investitori sono neutrali verso il rischio
ed è lì che vien fuori il suo vero significato.
Il valore attuale dello strike è l’importo in denaro che il compratore di
una call deve mettere da parte oggi per essere in grado di esercitarla alla
scadenza. All’aumentare del riskless return questo importo si riduce, per cui
il valore delle calls aumenta. L’effetto di un aumento del riskless return sul
valore delle puts è opposto, dato che in questo caso lo strike viene incassato
invece di essere pagato. Si noti che questo è esattamente quanto dovevamo
aspettarci perché, sulla base della put call parity, C − P = Sd−t − Kr−t.
I payouts distribuiti durante la vita di una call vanno a favore di chi
possiede il sottostante ma non a favore di possiede l’opzione. Pertanto, con
l’aumentare dei payouts, il valore della call diminuisce rispetto al sottostante.
L’effetto di un aumento dei payouts sul valore delle puts è opposto, dato
che in questo caso il confronto va fatto con chi ha una posizione corta sul
sottostante. Anche in tal caso, questo è quanto dovevamo aspettarci sulla
base della put call parity.
Ai nostri fini, non è rilevante il momento in cui il payout viene effetti-
vamente incassato ma il momento dal quale la quotazione inizia a riferirsi
al titolo privo del payout. Questa è la cosiddetta «data di stacco» (ex-
payout date). Nel caso delle azioni l’effettivo pagamento dei dividendi av-
viene di solito alcune settimane dopo la data di stacco dei dividendi.
Inoltre, nel caso delle opzioni su azioni trattate in borsa, non sono rile-
vanti i «frazionamenti» (stock splits) o le «assegnazioni gratuite» (stock divi-
dends), perché in questi casi le borse aggiustano le condizioni contrattuali
delle opzioni in modo che il loro valore non ne risulti influenzato.
I payouts possono influenzare il valore delle opzioni americane in modo
completamente diverso, attraverso la strategia d’esercizio. Come vedremo,
l’importo dei dividendi, e le date di distribuzione, influenzano la strategia
d’esercizio, che a sua volta influenza il valore corrente dell’opzione.
L’effetto più complesso è quello determinato da un aumento della sca-
denza dell’opzione. La scadenza influenza il valore delle opzioni in modo
simile agli aumenti della volatilità, del riskless return e del payout return.
L’allungamento della scadenza è simile ad un aumento della volatilità,
perché lascia più tempo affinché si verifichi una forte variazione del sotto-

177
DERIVATI

stante. Pertanto, l’allungamento della scadenza tende a far aumentare il va-


lore delle calls e delle puts. Uno dei tre modi in cui la vita residua appare
nella formula di Black e Scholes è come moltiplicatore della volatilità, nel

termine σ√ t .
L’allungamento della scadenza è anche simile ad un aumento del risk-
less return dato che riduce il valore attuale dello strike. Pertanto,
l’allungamento della scadenza tende a far aumentare il valore delle calls e
a ridurre quello delle puts. Uno dei tre modi in cui la vita residua appare
nella formula di Black e Scholes è come esponente del riskless return, nel
termine Kr−t.
Se trascuriamo per un attimo i payouts, l’effetto del tempo fa ben capi-
re perché il valore di una call, prima della scadenza, deve essere sempre
maggiore del valore in caso d’esercizio, S − K. Se fosse C = S − K, potre-
mo realizzare un profitto d’arbitraggio comprando la call, vendendo il sot-
tostante e investendo il ricavato al tasso r – 1. Dato che C = S − K, questa
posizione avrebbe un costo nullo. Alla scadenza, possiamo chiudere la po-
sizione allo scoperto utilizzando la call per acquistare il sottostante al prez-
zo K. Ci restano in tasca gli interessi, Krt − K. Dato che il nostro investi-
mento iniziale era stato nullo, gli interessi rappresentano un profitto di ar-
bitraggio. Affinché non vi sia questa opportunità, occorre che C > S − K.
Ovvio corollario è che, in assenza di payouts, non ci conviene esercitare la
call prima della scadenza perché incasseremmo solo S − K.
L’allungamento della scadenza è anche simile ad un aumento del pay-
out return dato che aumenta la possibilità che vengano distribuiti payouts.
Pertanto, l’allungamento della scadenza tende a ridurre il valore delle calls
e a far aumentare quello delle puts. Uno dei tre modi in cui la vita residua
appare nella formula di Black e Scholes è come esponente del payout re-
turn, nel termine Sd−t.

Strategia di esercizio ottimale


L’effetto della scadenza sul valore delle opzioni è ambiguo. Se trascuriamo i
payouts, l’allungamento della scadenza fa aumentare il valore della call, date
le similarità con l’aumento della volatilità e del riskless return. Pertanto, co-
me si è visto, non conviene mai esercitare anticipatamente una call america-
na scritta su un’attività che non distribuisce payouts. L’esercizio anticipato
equivarrebbe a ridurre la vita dell’opzione. Pertanto, l’unico motivo per cui
potrebbe convenire l’esercizio anticipato è rappresentato dai payouts. Però
anche nel caso dei payouts, non c’è da affrettarsi, perché gli altri due effetti
continuano a lavorare a favore del differimento dell’esercizio. Ne segue che
l’unico momento in cui potrebbe convenire l’esercizio anticipato di una call
americana è subito prima della data di stacco di un payout.
Più in generale, l’esercizio anticipato di una call non conviene mai se i
payouts residui non eccedono mai gli interessi che si possono ricevere dif-
ferendo il pagamento dello strike.

178
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI

Le puts sono più complesse perché, pur trascurando i payouts, le similari-


tà con la volatilità e il riskless return producono effetti di segno opposto.
Quando la put è in-the-money, se l’effetto dovuto al riskless return prevale su
quello dovuto alla volatilità, l’opzione va esercitata. L’esercizio anticipato
può quindi essere ottimale in ogni istante in cui la put risulti in-the-money.

Per fare un esempio estremo, supponiamo che il prezzo del sottostante e lo


strike siano inizialmente entrambi pari a $100 ma che poi, quando manca un anno
alla scadenza della put, il prezzo del sottostante scenda quasi a zero. Consideria-
mo la posizione di chi ha comprato la put. Il massimo payoff che potrà mai ri-
cevere è di $100. Può decidere di aspettare e ricevere al massimo $100 alla
scadenza o può esercitare subito e ricevere i $100 ora. Dato il valore tempora-
le del denaro (dato, cioè, l’effetto dovuto al riskless return), è ovvio che gli
conviene esercitare immediatamente.

Più in generale, in ogni istante della vita della put americana, c’è un prezzo
del sottostante al di sotto del quale l’effetto riskless return prevale sull’effet-
to volatilità, comportando così l’esercizio immediato. Questo è il cosiddetto
«prezzo critico» (critical price), che varia nel corso della vita della put e ten-
de ad essere tanto più elevato quanto minore è la vita residua dell’opzione.
Dato che il prezzo critico non è prefissato ma varia nel tempo, la sua
determinazione pone serie difficoltà all’analisi delle puts americane. Tutta-
via, le perdite dovute al fatto che l’esercizio delle puts venga ritardato di al-
cuni giorni sono meno rilevanti di quelle dovute all’esercizio sub-ottimale
delle calls scritte su attività, come le azioni, che hanno payouts irregolari.
Nel primo caso si possono al massimo perdere gli interessi di qualche gior-
no sullo strike mentre nel secondo caso si perde l’intero dividendo.

Da cosa non dipende il valore delle opzioni


Abbiamo già visto che – date le nostre solite assunzioni – i ritorni attesi
non influenzano i prezzi forward, se non indirettamente attraverso i loro
effetti su S, t, r e d.
Comunque, è naturale pensare che i ritorni attesi svolgano un ruolo nel-
la determinazione dei valori delle opzioni, in aggiunta alle sei variabili
fondamentali che abbiamo già esaminato. Dato che il valore della call alla
scadenza è tanto maggiore quanto più elevato è il prezzo del sottostante, si
potrebbe pensare che il valore corrente della call sia tanto maggiore quanto
più elevato è il ritorno atteso del sottostante. D’altra parte, dato che il valo-
re della put alla scadenza è tanto maggiore quanto più basso è il prezzo del
sottostante, si potrebbe pensare che il valore corrente della put sia tanto
maggiore quanto più basso è il ritorno atteso del sottostante.
La put-call parity ci mostra che queste due affermazioni non possono
essere entrambe valide. In base alla put-call parity si ha:
C − P = Sd −t − Kr −t

179
DERIVATI

Come si vede, la differenza tra una call ed una put europee, altrimenti i-
dentiche, può dipendere solo da S, K, t, r e d.
Ad esempio, se S aumenta (o K diminuisce), la differenza tra C e P au-
menta. Qualsiasi altra variabile, ad esempio la volatilità, che pure influen-
zando C e P, deve aumentare o ridurre il valore di entrambe le opzioni, e in
ugual misura. Altrimenti, se la variabile influenza la differenza C − P, lo fa
indirettamente attraverso il suo effetto su S, K, t, r o d.
Pertanto, se fosse vero che il ritorno atteso del sottostante influenza il
valore delle opzioni nel modo ipotizzato (ossia in direzioni opposte), il suo
effetto dovrebbe essere indiretto. Una possibilità è che il ritorno atteso in-
fluenzi il prezzo spot del sottostante. Un aumento del ritorno atteso potreb-
be portare ad un aumento di S, che a sua volta farebbe aumentare C e dimi-
nuire P. In ogni caso, non è possibile che il ritorno atteso influenzi diretta-
mente C e P, e alteri la loro differenza.
Come vedremo, nella formula di Black e Scholes, il ritorno atteso non
svolge alcun ruolo diretto sul prezzo delle singole opzioni. Si tratta di una
buona notizia, dato che il ritorno atteso è molto difficile da stimare.

Sommario: valutazione
Se assumiamo che i mercati siano perfetti e che non esistano opportunità di
arbitraggio, cosa possiamo dire circa il valore corrente delle opzioni, euro-
pee e americane? Queste assunzioni ci consentono di ricavare:
‰ un limite inferiore per il prezzo delle opzioni (hedge relation);
‰ un limite superiore per la differenza tra i prezzi di due opzioni dello
stesso tipo ma con strikes diversi (bull spread relation);
‰ un limite per la relazione tra i prezzi di tre opzioni dello stesso tipo ma
con strikes diversi (butterfly spread relation).
Possiamo anche dimostrare che un portafoglio di opzioni vale più di
un’opzione su un portafoglio.
Sei variabili svolgono sempre un ruolo importante nella valutazione
delle opzioni: il prezzo corrente del sottostante; il prezzo d’esercizio
dell’opzione; la volatilità del sottostante; il riskless return; il payout return
del sottostante e la vita residua dell’opzione. Di queste variabili, l’ultima è
la più complessa; la vita residua influenza il valore dell’opzione indiretta-
mente, attraverso i suoi effetti su volatilità, riskless return e payout return.
L’analisi delle determinanti dei prezzi delle opzioni porta ad alcune
conclusioni generali circa la strategia d’esercizio ottimale delle opzioni
americane. Le calls che sono protette contro la distribuzione dei payouts o
per le quali i payouts sono trascurabili non andrebbero mai esercitate prima
della scadenza. Se i payouts sono significativi, l’esercizio anticipato di una
call potrebbe essere conveniente solo prima di una data di stacco.
Il ritorno atteso del sottostante non può svolgere alcun ruolo diretto nel-
la valutazione delle opzioni. Le affermazioni intuitive basate sul signifi-

180
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI

Figura 3.21 Call ad 1 anno e portafoglio equivalente

S = 100 Profit
K = 100
t =1
r = 1,15
d = 1,00 25
σ = 0,3
Valore della call = $18,84
50 75 125 150

Prezzo Spot
La
Lapendenza
pendenzadi diquesta
questa
retta
rettaèèpari
parial
alnumero
numero
Borrowing = valore della call – -25 di
diazioni
azioninel
nelportafoglio
portafoglio
(prezzo corrente dell’azione × delta) equivalente:
equivalente:
Loss ∆∆==0,731
0,731

cato di questa variabile possono essere facilmente contraddette sulla


base della put-call parity. In effetti, come vedremo, il ritorno atteso non
svolge alcun ruolo diretto nella formula di Black e Scholes, ai fini della
determinazione dei prezzi delle opzioni.

3.4 REPLICA DINAMICA E REPLICA STATICA


Replica dinamica di una call
In questo capitolo abbiamo finora utilizzato solo il primo teorema fonda-
mentale dell’economia finanziaria per ricavare proposizioni circa il valore
delle opzioni. Il terzo teorema fondamentale −
Sotto certe condizioni, la possibilità di modificare il portafoglio dei
titoli disponibili, col passare del tempo, può porre rimedio alla
mancanza di alcuni titoli e completare efficacemente il mercato.

− ci consentirà alla fine di ottenere risultati più precisi. In questo para-


grafo, presenteremo alcuni concetti intuitivi prima di procedere alla sua
applicazione ai fini della valutazione e della replica delle opzioni.
Come primo esempio, cerchiamo di replicare il payoff di una call euro-
pea scritta su un’azione. Supponiamo che la call sia at-the-money (S = K =
$100) e abbia una vita residua di 1 anno. Supponiamo, inoltre, che il riskless
return sia di 1,15, che la volatilità dell’azione sia del 30% e che non venga
distribuito alcun dividendo prima della scadenza. In tal caso, il valore
Black-Scholes della call è di $18,84. Nell’hedge diagram della Figura 3.21,
la spezzata riportata in basso rappresenta i profitti e le perdite sulla call
lunga. È questa la funzione che vogliamo replicare.

181
DERIVATI

La linea curva riportata in alto rappresenta il valore Black-Scholes della


call in funzione del prezzo corrente dell’azione. All’avvicinarsi della sca-
denza, il valore temporale della call diminuisce e questa linea tenderà sem-
pre più ad assomigliare alla spezzata riportata in basso, fino a coinciderci.
Da questo diagramma possiamo dedurre diverse proprietà che dovranno
caratterizzare il portafoglio equivalente:
(1) dato che la pendenza della curva è sempre positiva, il valore della call
ed il prezzo dell’azione vanno nella stessa direzione. Per replicare que-
sto comportamento, dobbiamo avere una posizione lunga sull’azione. I-
noltre, la pendenza della curva ci dice esattamente di quanto aumenta il
valore della call quando il prezzo dell’azione aumenta un po’. La quan-
tità di azioni da inserire nel portafoglio equivalente deve quindi essere
uguale alla pendenza della curva in corrispondenza del prezzo corrente
dell’azione. Ad esempio, al prezzo di $100 la pendenza è di 0,731. Pertanto,
se il prezzo dell’azione aumenta di $1, il valore della call aumenta di
circa $0,731. Analogamente, se il prezzo dell’azione diminuisce di $1,
il valore della call diminuisce di circa $0,731. La call equivale quindi
ad un portafoglio composto da 0,731 unità dell’azione. Questa cifra è
generalmente chiamata delta. Il delta può essere interpretato sia come
numero di unità del sottostante nel portafoglio equivalente sia come de-
rivata del valore dell’opzione rispetto al prezzo del sottostante;
(2) dato che la pendenza della curva aumenta procedendo verso destra, la
quantità di azioni da inserire nel portafoglio equivalente deve aumenta-
re al crescere del prezzo dell’azione. Tuttavia, dato che la pendenza non
è mai maggiore di 1, non avremo mai più di 1 azione in portafoglio;
(3) affinché il portafoglio equivalente si autofinanzi e replichi il payoff del-
la call alla scadenza, il valore del portafoglio equivalente deve essere
uguale al valore della call anche prima della scadenza. Per capirne il
motivo, supponiamo che il portafoglio equivalente valga meno della
call; in assenza di opportunità di arbitraggio, non potremmo mai essere
certi di riuscire a replicare il payoff della call alla scadenza. In partico-
lare, il costo corrente del portafoglio equivalente deve essere uguale al
valore corrente della call. In altri termini:
Valore della call = Valore delle azioni + Moneta
Pertanto, dato che l’investimento in dollari necessario per acquistare le
azioni è pari al prodotto tra il prezzo corrente dell’azione ed il delta,
l’ammontare di moneta nel portafoglio equivalente deve essere pari a:
Moneta = Valore della call – (Prezzo dell’azione × Delta)
Nel nostro esempio, Moneta = $18,84 − ($100 × 0,731) = −$54,47.
Si può facilmente dimostrare che il “Valore delle azioni” eccede
sempre il “valore della call”, fatta eccezione per la data di scadenza. Ne
segue che la “Moneta” è negativa, ossia che occorre prendere denaro in

182
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI

Figura 3.22 Call a 6 mesi e portafoglio equivalente

S = 100 Profit
K = 100
t = 0,5
r = 1,15
d = 1,00 25
σ = 0,3
Valore della call = $11,97
50 75 125 150

Prezzo Spot

perdita di valore = $18,84 – $11,97 = $6,87 La


Lapendenza
pendenzadi diquesta
questa
retta
rettaèèpari
parial
alnumero
numero
Borrowing = valore della call – -25 di
diazioni
azioninel
nelportafoglio
portafoglio
(prezzo corrente dell’azione × delta) equivalente:
equivalente:
Loss ∆∆==0,668
0,668

prestito. Questo risultato è coerente con il leverage implicito nelle


calls, che rende queste opzioni più rischiose del sottostante;
(4) la composizione del portafoglio equivalente dipende, oltre che dal prez-
zo dell’azione, anche dalla vita residua della call. Ad esempio, se nella
Figura 3.22 mancassero 6 mesi alla scadenza invece di 1 anno, la curva
che rappresenta il valore della call sarebbe più vicina alla spezzata in
basso. In effetti, con S = K = $100, il valore della call scenderebbe da
$18,84 a $11,97. Di conseguenza, se la call fosse out-of-the-money, la
pendenza della curva tenderebbe ad essere più prossima a 0 ed il porta-
foglio equivalente richiederebbe un minor investimento in azioni. Si
tratta di una conseguenza ragionevole dato che, se manca meno tempo
alla scadenza, è meno probabile che la call finisca in-the-money.
D’altra parte, se la call fosse in-the-money, la pendenza della curva
tenderebbe ad essere più prossima a 1 ed il portafoglio equivalente ri-
chiederebbe un maggior investimento in azioni. Mancando solo 6 mesi
alla scadenza, è più probabile che la call finisca in-the-money.
Si noti che, se la call fosse at-the-money, il delta comunque si ridur-
rebbe con l’avvicinarsi della scadenza, passando da 0,731 a 0,668.
Proviamo ora a riassumere la nostra ricetta per la replica dinamica di una
call con un portafoglio composto da azioni e da moneta.
Iniziamo col comprare un certo numero di azioni; in tal modo ci assicu-
riamo che il nostro portafoglio aumenterà di valore quando il prezzo delle
azioni aumenterà. Comunque, per ogni call, compreremo meno di un’a-
zione, dato che il prezzo della call aumenta meno del prezzo dell’azione in
termini assoluti. Ossia, quando il prezzo dell’azione si muove di $1, il

183
DERIVATI

prezzo della call si muove in misura minore di $1. Per affinare il compor-
tamento del portafoglio equivalente, dobbiamo finanziare l’acquisto delle
azioni in parte con denaro di nostra proprietà ed in parte con denaro preso a
prestito. A causa del leverage, il valore del portafoglio equivalente cambie-
rà ora in misura superiore all’1% quando il prezzo dell’azione si modifi-
cherà in misura pari all’1%.
Abbiamo così costruito il portafoglio equivalente. Successivamente,
non apporteremo nuovi fondi né preleveremo denaro; la strategia si deve
autofinanziare, al pari della call. Entro la scadenza, prima di verificare se
saremo riusciti a replicare il payoff della call, dovremo restituire il denaro
preso in prestito, più gli interessi.
Col passare del tempo, se il prezzo dell’azione aumenta, dovremo com-
prare nuove azioni, dato che la call diventa più sensibile ad ulteriori varia-
zioni del prezzo dell’azione. Per rispettare il vincolo dell’autofinanzia-
mento, le nuove azioni verranno acquistate con denaro preso a prestito. En-
tro la scadenza, prima di verificare se saremo riusciti a replicare il payoff
della call, dovremo restituire anche questo denaro preso a prestito, più gli
interessi.
Se invece il prezzo dell’azione diminuisce, dovremo ridurre l’esposi-
zione del nostro portafoglio vendendo parte delle azioni. Per rispettare il
vincolo dell’autofinanziamento, non potremo intascarci il ricavato della
vendita. Lo utilizzeremo per ridurre il debito, restituendo parte del denaro
preso a prestito, più gli interessi.
Inoltre, con l’avvicinarsi della scadenza, anche se il prezzo dell’azione
non cambia, dovremo gradualmente aggiustare il numero delle azioni in
portafoglio in modo da avere meno azioni se la call è out-of-the-money e
più azioni se la call è in-the-money.
Supponiamo ora di aver seguito fedelmente la strategia di replica della
call per tutto il suo periodo di vita. Quando arriviamo alla scadenza, come
faremo a capire di essere riusciti a replicarla? Se la call finisce in-the-
money, il suo valore sarà pari a S* − K; se invece finisce out-of-the-money,
il suo valore sarà pari a zero. Se la strategia di replica dinamica funziona, il
portafoglio equivalente dovrà avere questi stessi valori.
In particolare, se la call finisce in-the-money e tutto funziona perfetta-
mente, il portafoglio equivalente deve contenere esattamente un’azione ed
il debito accumulato, comprensivo degli interessi, deve essere pari a K. Il
valore di un tale portafoglio è ovviamente pari a S* − K.
D’altra parte, se la call finisce out-of-the-money e tutto funziona perfet-
tamente, il portafoglio equivalente deve contenere zero azioni e tutto il de-
bito accumulato, comprensivo degli interessi, deve essere stato ripagato. È
ovvio che il valore di un tale portafoglio è nullo.
Ad esser sinceri, le nostre argomentazioni non provano che la strategia
di replica che abbiamo delineato funzionerà. Ma, chiaramente, ci portano
nella giusta direzione. Se la call finisce in-the-money ed abbiamo comprato

184
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI

Tavola 3.11 Strategie di replica

Posizione Caratteristiche
su opzioni statiche dinamiche
(se il prezzo del sottostante aumenta)

Buy call Buy asset Aumentare la posizione sull’asset


+ borrowing Aumentare il borrowing

Covered call Buy asset Ridurre la posizione sull’asset


(asset – call) + lending Aumentare il lending

Protective put Buy asset Aumentare la posizione sull’asset


(asset + put) + lending Ridurre il lending

ulteriori frazioni del sottostante via via che il suo prezzo cresceva, è possi-
bile che alla fine il nostro portafoglio contenga un’azione. Se la call finisce
out-of-the-money ed abbiamo venduto via la frazione iniziale del sottostan-
te ripagando col ricavato il debito accumulato più gli interessi, è possibile
che alla fine il nostro portafoglio non contenga né azioni né debito.
Dimostreremo più avanti che la strategia del portafoglio equivalente
può funzionare perfettamente se vi apportiamo gli opportuni aggiustamenti.
Supponiamo per ora che la strategia del portafoglio equivalente riesca
perfettamente a replicare il payoff dell’opzione. Dato che sia la strategia di
replica sia l’opzione offrono lo stesso payoff e si autofinanziano, il costo
iniziale del portafoglio equivalente deve essere pari al prezzo dell’opzione
(in assenza di opportunità di arbitraggio). Pertanto, la replica e la valutazione
rappresentano i due lati della stessa medaglia.
Non deve quindi sorprendere che il valore corrente dell’opzione sia pari
al costo corrente del portafoglio equivalente, ossia a:
(Prezzo dell’azione × Delta) + Moneta
In effetti, come vedremo, la formula di Black e Scholes assume proprio
questa forma.

Replica di generici payoffs


La Tavola 3.11 riassume gli aspetti chiave della replica dinamica di una
call. La strategia comporta l’acquisto del sottostante, parzialmente finan-
ziato con denaro preso a prestito. Se il prezzo del sottostante aumenta,
vengono effettuati nuovi acquisti con altro denaro preso a prestito.

185
DERIVATI

Da quanto detto finora, è facile inferire la strategia dinamica che replica


una covered call, ossia l’acquisto di un’unità del sottostante combinato con
la vendita di una call. Un modo conveniente per analizzare le posizioni com-
binate è quello di determinare, per ogni componente, il portafoglio equiva-
lente e quindi aggregare la posizione sul sottostante e quella in moneta.
La replica di un’unità del sottostante è banale: basta comprare un’unità
del sottostante e mantenerne il possesso. Aggiungendo questa unità al por-
tafoglio che equivale ad una call corta − vendere meno di un’unità del sot-
tostante e dare in prestito parte del ricavato (l’inverso della call lunga) − la
posizione complessiva comporta l’acquisto di meno di un’unità del sotto-
stante, combinato con un certo importo di denaro dato a prestito. La parte
dinamica della strategia, dovuta alla necessità di replicare la call corta, è
opposta a quella che abbiamo visto per la call lunga.
È anche semplice replicare una protective put, ossia l’acquisto di un’u-
nità del sottostante combinato con l’acquisto di una put. La replica della
put richiede la vendita del sottostante ed un investimento in moneta, ma
dato che la vendita riguarda meno di un’azione, la posizione complessiva è
rappresentata da meno di un’azione lunga e da un investimento in moneta.
Pertanto, i portafogli equivalenti alla covered call e alla protective put hanno
le stesse caratteristiche statiche, dato che entrambi prevedono due posizioni lun-
ghe, una sul sottostante e l’altra sulla moneta. Le caratteristiche dinamiche sono
invece opposte. In un caso − quello della protective put − seguiamo una «strategia
pro-ciclica» (trend-following strategy) secondo la quale compriamo dopo un rialzo
e vendiamo dopo un ribasso. Nell’altro caso − quello della covered call − seguia-
mo una «strategia anti-ciclica» (reversal strategy), secondo la quale vendiamo
dopo un rialzo e compriamo dopo un ribasso.
Siamo ora in grado di capire quello che sarebbe stato altrimenti un puz-
zle. Come si è già visto, il valore della call tende a ridursi, ceteris paribus,
all’avvicinarsi della scadenza. Abbiamo anche sostenuto che la call può
essere replicata da un portafoglio contenente due posizioni, una lunga sul
sottostante e l’altra corta sulla moneta. Se è così, perché anche il valore del
portafoglio equivalente tende a ridursi, ceteris paribus, all’avvicinarsi della
scadenza della call? Per capirne il motivo, supponiamo che il prezzo finale
del sottostante sia pari a quello iniziale. In tal caso, la call, inizialmente at-
the-money, scade priva di valore. Ma si riduce anche il valore del portafo-
glio equivalente, perché la strategia pro-ciclica seguita per replicare la call
ci ha indotto, in retrospettiva, a comprare “alto” e a vendere “basso”.
Gli esempi riportati nella Tavola 3.12 ci aiutano a capire le caratteristi-
che qualitative delle strategie di replica delle posizioni più complesse. È
sufficiente esaminare il payoff della posizione che si intende replicare.
Quando il payoff ha una pendenza positiva, vogliamo essere lunghi sul
sottostante, perché se il prezzo del sottostante aumenta, anche il valore
dell’opzione aumenta. Analogamente, se il payoff ha una pendenza negati-
va, vogliamo essere corti sul sottostante.

186
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI

Tavola 3.12 Replica dinamica: principi

Profit
Profit&&loss
lossdiagram
diagram Strategia
Strategiadi
direplica
replicadinamica
dinamica
‰
‰Pendenza
Pendenza>>00(∆ 0) →
(∆>>0) → buy
buyasset
asset
‰ 0 (∆ < 0) →
‰ Pendenza > 0 (∆ < 0) → shortasset
Pendenza > short asset
‰
‰Convessità
Convessità →
→ se
seililprezzo
prezzodel
delsottostante
sottostanteaumenta:
aumenta:
buy
buyasset,
asset,aumentare
aumentareililborrowing
borrowing
‰
‰Concavità
Concavità →
→ se
seililprezzo
prezzodeldelsottostante
sottostanteaumenta:
aumenta:
short
shortasset,
asset,ridurre
ridurreililborrowing
borrowing
‰
‰Maggiore curvatura →
Maggiorecurvatura → maggiore
maggioreturnover
turnovereemaggiore
maggioresensibilità
sensibilità
alla
allavolatilità
volatilitàeealle
allediscontinuità
discontinuitàdi
diprezzo
prezzo
‰
‰(S(S××∆)/C
∆)/C>>11 →
→ borrowing
borrowing
‰ (S × ∆)/C
‰ (S × ∆)/C<<11 → lending
→ lending

Quando il payoff è convesso, ossia quando la sua pendenza aumenta


con l’aumentare del prezzo del sottostante (derivata seconda positiva),
dobbiamo accrescere la nostra esposizione via via che il prezzo del sotto-
stante aumenta. Quando invece il payoff è concavo (derivata seconda nega-
tiva) la dobbiamo progressivamente ridurre.
Dall’esame del payoff possiamo anche imparare qualcosa circa la quan-
tità di trading necessaria per replicare l’opzione. Quando il payoff cambia
pendenza rapidamente, ci sarà bisogno di più trading per tener dietro ai
rapidi mutamenti di sensitività dell’opzione rispetto al sottostante. In que-
ste regioni sarà più difficile replicare l’opzione ed i costi di transazione po-
tranno essere relativamente elevati. Inoltre, anche se è difficile spiegarlo
intuitivamente già da ora, la nostra strategia di replica sarà più sensibile
agli errori di stima della volatilità e alle variazioni inattese della volatilità o
alle discontinuità dei prezzi del sottostante. In pratica, gli option traders
fanno molta attenzione a queste zone del payoff caratterizzate da un’elevata
curvatura, ossia da un “gamma” elevato, e – per compensare i rischi –
assumono posizioni su altre opzioni, chiedono compensi più elevati per i
loro servizi oppure trattengono il respiro e pregano.
Infine, l’esame del payoff può anche suggerire se – per costruire il por-
tafoglio equivalente – dobbiamo prendere o dare denaro in prestito. Se co-
nosciamo il prezzo corrente e il delta dell’opzione, il rapporto
(Prezzo dell’azione × Delta)/(Prezzo dell’opzione)
è il «rapporto di leva» (leverage ratio), detto anche mix, del portafoglio
equivalente.23 Ad esempio, se il rapporto è pari a 5, allora l’acquisto

187
DERIVATI

Figura 3.23 Strategie di replica: un esempio

S = 100 Profit
t =1
r = 1,15
Long asset.
d = 1,00 Short asset. Accrescere
Ridurre la posizione
σ = 0,3 la posizione col ridursi 25 con l’aumentare del prezzo
del prezzo

50 75 125 150

Futuro Prezzo Spot


Long asset.
Aumentare la posizione
Da short a long asset con l’aumentare del prezzo
con l’aumentare -25
del prezzo
Loss
A causa dei frequenti cambi di pendenza, i costi di transazione sono elevati

dell’opzione ci consente un’esposizione nei confronti del sottostante che è


pari a 5 volte la nostra spesa. Per ottenere questa esposizione, dobbiamo
prendere in prestito i quattro quinti del costo del sottostante e disporre di
denaro in misura pari ad un quinto. Nel caso delle out-of-the-money calls il
mix può essere facilmente dell’ordine di 20 o più, a conferma del rischio
elevatissimo che caratterizza queste opzioni.
La Figura 3.23 illustra come applicare i principi che abbiamo passato in
rassegna per ottenere veloci deduzioni circa la composizione del portafo-
glio equivalente. Il payoff che vogliamo replicare è rappresentato da una
spezzata. Per prezzi minori di $63, dovremo assumere una posizione corta.
Se il prezzo sale, la posizione dovrà passare da corta a lunga. Via via che il
prezzo si avvicina al livello di $100 dovremo acquistare sempre più azioni.
Infine, se il prezzo si porta a $105 dovremo cominciare a ridurre la nostra
posizione lunga, fino ad annullarla in corrispondenza di un prezzo pari a
$110.
Rispetto alle calls, alle puts, alle covered calls e alle protective puts,
questa strategia dovrebbe comportare notevoli costi di transazione, dato
che la pendenza della linea dei profitti e delle perdite cambia diverse volte
il proprio segno.

Limiti della replica dinamica


L’idea fondamentale che sta dietro la moderna teoria di valutazione delle
opzioni è che il payoff di un’opzione può essere replicato da una strategia
consistente nell’aggiustare dinamicamente i pesi di un portafoglio compo-
sto dal sottostante e dalla moneta.

188
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI

Dobbiamo però tenere presente che la teoria ha importanti limiti:


(1) la replica può non aver successo se teniamo conto dei costi di transa-
zione. Naturalmente, si tratta di una questione relativa. La replica non è
mai esatta. La questione è: di quanto sbaglia? La rilevanza dei costi di
transazione dipenderà dal costo unitario di una transazione e dal «tasso
di rotazione» (turnover) atteso, che ovviamente dipende dalla natura
del sottostante e dalla complessità del payoff. Alcune attività, come gli
immobili, possono essere così poco liquide o indivisibili da rendere la
replica impraticabile. In altri casi, è invece possibile ridurre sensibil-
mente l’impatto dei costi di transazione utilizzando altri derivati, come
i futures, che dovrebbero seguire da vicino l’evoluzione dei prezzi spot.
(2) molti fondi pensione non possono avere debiti né effettuare vendite allo
scoperto. Questi investitori non sono in grado di replicare certe posi-
zioni su opzioni, come le posizioni scoperte su calls o puts. Tuttavia,
quasi tutti gli investitori possono comprare il sottostante e dare denaro
in prestito, per cui possono replicare le covered calls e le protective
puts;
(3) forse il limite più importante è rappresentato dalle «discontinuità»
(jumps) dei prezzi. Si ha un jump quando il prezzo passa da un livello
all’altro senza prima passare per tutti i possibili livelli intermedi. Con-
sideriamo, ad esempio, le difficoltà che incontra la replica di una call
quando il prezzo del sottostante passa da $100 a $90. La strategia di re-
plica richiede vendite graduali via via che il prezzo scende. Dato che le
vendite graduali non sono possibili, la strategia perde più di quanto a-
vremmo perso sulla call.
Supponiamo ad esempio che il prezzo corrente dell’azione sia pari a
$100 e che il delta della call sia di 0,731. Possiamo acquistare la call a
$18,84 o il portafoglio equivalente. Supponiamo che il prezzo si riduca
drammaticamente, annullandosi di colpo. La call non varrebbe nulla, e
ci avrebbe fatto perdere $18,84, ma sul portafoglio equivalente avrem-
mo perso $73,10 (= $100 × 0,731) − una bella differenza.
Anche le discontinuità verso l’alto, piuttosto che verso il basso, agi-
scono contro il portafoglio equivalente, perché gli impediscono di accre-
scere l’esposizione nei confronti dell’azione così rapidamente come sa-
rebbe necessario per replicare l’accresciuto valore della call;
(4) anche le variazioni inattese della volatilità possono rappresentare un
problema. Ad esempio, se la volatilità aumenta, il valore della call au-
menta ma la composizione del portafoglio equivalente non cambia. Un
problema simile verrebbe anche causato dalle variazioni inattese dei fu-
turi payouts.

Replica statica
Se il mercato dei derivati è sufficientemente ricco di titoli, si può ottenere il
payoff desiderato, in modo più semplice ed affidabile, comprando un porta-

189
DERIVATI

Figura 3.24 Replica statica

Payoff
S = 100
t =1
r = 1,15
d = 1,00 λ4
σ = 0,3 125

50 λ1 75 λ2 λ3 125 150
K1 K2 K3 K4 Futuro Prezzo Spot (S*)

λ0
K0 = intercetta
K1, K2, K3, K4 = break points
75 λ0, λ1, λ2, λ3, λ4 = coeff. angolari
K0
floor

KK0 ++λλ0SS* *++(λ


(λ11––λλ00)max[0,
*
(λ22––λλ11)max[0,
)max[0,SS*––KK11]]++(λ
*
)max[0,SS*––KK22]]++. .. .. .
0 0

foglio di derivati e lasciandone inalterata la composizione. Questo è


l’approccio della «replica statica» (static replication), così detto per distin-
guerlo dall’utilizzo delle strategie dinamiche. Non è soggetto a molti dei
limiti che riguardano la replica dinamica.
La Figura 3.24 offre un esempio di payoff da replicare, in cui:
‰ K0 è l’intercetta verticale (floor) nel punto S* = 0;
‰ K1, K2, K3 e K4 sono i breakpoints dove la pendenza del payoff cambia
in modo repentino;
‰ λ0, λ1, λ2, λ3 e λ4 misurano la pendenza del payoff alla destra dei break-
points.
Il payoff può essere replicato da un portafoglio statico composto dalla moneta,
dal sottostante e da calls europee, dato che il payoff equivale a:
( ) (
K 0 + λ0 S * + (λ1 − λ0 ) max 0, S * − K1 + (λ2 − λ1 )max 0, S * − K 2 + ... )
In termini di valore attuale, il payoff da replicare è uguale al payoff che si
ottiene investendo K0r−t in moneta, comprando λ0 unità del sottostante,
comprando λ1 − λ0 calls europee con prezzo d’esercizio Kl, comprando λ2 −
λ1 calls europee con prezzo d’esercizio K2, ecc., tutte con scadenza alla da-
ta di scadenza del payoff.
La logica che sta dietro la replica statica è la seguente. Il payoff giace
dovunque al di sopra della retta corrispondente all’intercetta K0. Per repli-
care questa parte del payoff occorre la moneta. Occorre poi un ulteriore
importo perché il payoff cresce al tasso λ0 all’aumentare del prezzo
dell’azione. La replica di questa parte del payoff richiede l’investimento in

190
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI

λ0 unità del sottostante. Il valore di questo investimento deve avere un «tet-


to» (cap) quando S* = K1. Per replicare il cap dobbiamo vendere λ0 calls
con prezzo d’esercizio K1. Per catturare la parte del payoff tra S* = K1 e S*
= K2, dobbiamo comprare λ1 calls con prezzo d’esercizio K1. Ma dato che il
ritorno di questa call ha un cap in corrispondenza di S* = K2, è necessario
vendere λ1 calls con prezzo d’esercizio K2, ecc.
Volendo applicare la ricetta, ecco alcuni esempi che abbiamo già in-
contrato:

Covered call K 0 = 0, λ0 = 1, λ1 = λ2 = λ3 = λ4 = ... = 0


Collar K 0 = K1 < K 2 , λ0 = 0, λ1 = 1, λ2 = λ3 = λ4 = ... = 0

Sommario: replica dinamica e replica statica


La principale intuizione che sta dietro la moderna teoria della valutazione
delle opzioni è rappresentata dal terzo teorema fondamentale dell’econo-
mia finanziaria. Questo teorema implica che il payoff di un’opzione può
essere spesso approssimato da una strategia dinamica che si autofinanzia e
che utilizza solo il sottostante e la moneta. Sulla base di questa idea si può
alla fine ottenere una formula esatta di valutazione delle opzioni.
Ad esempio, per replicare una call dobbiamo assumere una posizione su
quantità positive (o almeno non negative) del sottostante, finanziandoci in
parte con denaro preso in prestito. Al crescere del prezzo del sottostante
compriamo ulteriori quantità, interamente finanziate da denaro preso in pre-
stito. Se il prezzo del sottostante si riduce, le quantità vengono invece gra-
dualmente ridotte e tutto il ricavato viene utilizzato per rimborsare parte del
debito in essere, inclusi gli interessi. Sotto certe condizioni, dopo aver pagato
entro la scadenza tutto il debito in essere, il payoff di questa strategia è ugua-
le a quello della call. Da quanto detto è facile capire le proprietà delle strate-
gie di replica delle altre posizioni su opzioni, incluse le covered calls e le
protective puts.
Possiamo anche ricavare le regole generali cui è soggetta la strategia di
replica, in funzione delle caratteristiche (pendenza, convessità o concavità,
grado di curvatura) del payoff in prossimità del prezzo corrente.
In assenza di opportunità di arbitraggio prive di rischio, il valore corrente
del portafoglio equivalente deve essere uguale al valore corrente dell’op-
zione. Secondo la terminologia in uso nel mercato, il delta è il numero di
unità del sottostante presenti nel portafoglio equivalente. Pertanto, il valore
corrente dell’opzione deve essere pari al prodotto tra il delta e il prezzo
corrente dell’attività sottostante meno il valore corrente del finanziamento
richiesto dalla strategia di replica. La moderna teoria di valutazione delle
opzioni e la strategia di replica dinamica sono legate tra loro in modo ine-
stricabile.
Nonostante il successo, la moderna teoria di valutazione delle opzioni
ha diversi limiti che possono minare l’affidabilità della replica dinamica: i

191
DERIVATI

costi di transazione, le restrizioni ai finanziamenti o alle vendite allo sco-


perto, le discontinuità nei prezzi delle attività sottostanti e le variazioni
inattese della volatilità, del riskless return o del payout return.
Se il mercato dei derivati è sufficientemente ricco di titoli, è possibile
replicare payoffs relativamente complessi utilizzando portafogli statici
composti da derivati elementari, come calls e puts. Questa è la cosiddetta
replica statica, che non è soggetta a molti dei limiti che riguardano la repli-
ca dinamica.

CONCLUSIONI
Questo capitolo è stato dedicato all’analisi grafica e matematica di calls e
puts, ma anche di posizioni ottenute combinando il sottostante, la moneta e
diverse opzioni. Tra queste posizioni, le più diffuse sono le covered calls
e le protective puts. Inoltre, gli spreads, che combinano tra loro opzioni
dello stesso tipo, consentono payoffs con svariate configurazioni.
In questo capitolo abbiamo anche visto cosa si può dire circa la valuta-
zione e la replica di calls e puts basandosi solo sulle assunzioni di assenza
di opportunità di arbitraggio e di mercati perfetti. In particolare, prima del
Paragrafo 3.4 sulle strategie di replica, non abbiamo fatto assunzioni circa
la dinamica dei prezzi del sottostante o del riskless return.
Sotto queste assunzioni, il nostro risultato più importante è rappresenta-
to dalla put-call parity, ossia dalla relazione tra il valore di una call euro-
pea e quello della corrispondente put. Altri risultati assumono la forma di
disuguaglianze tra il valore corrente di una call, da un lato, ed il prezzo del
sottostante, il prezzo di un’altra call e i prezzi di due altre calls, dall’altro.
Risultati analoghi valgono anche per le puts.
Abbiamo sostenuto che, prima della scadenza, il valore delle opzioni
sarà sempre influenzato da sei variabili − il prezzo del sottostante, il prezzo
d’esercizio, la vita residua, il riskless return, il payout return e la volatilità
− e che queste variabili fondamentali influenzeranno il prezzo delle opzioni
in modi prevedibili. Questa analisi può essere utilizzata per prevedere le
condizioni che possono rendere conveniente l’esercizio anticipato delle op-
zioni americane. Infine, abbiamo accennato ad uno dei grandi puzzles della
moderna teoria di valutazione delle opzioni: perché il ritorno atteso del sot-
tostante non può avere un’influenza diretta sui prezzi delle opzioni, ma
solo un’influenza indiretta attraverso i suoi effetti sulle sei variabili fon-
damentali.
L’intuizione fondamentale che sta dietro la moderna teoria di valuta-
zione delle opzioni è rappresentata dal terzo teorema fondamentale
dell’economia finanziaria. Applicato alle opzioni, questo teorema implica
che è possibile replicare il payoff di un’opzione attraverso una strategia di-
namica che si autofinanzia e che utilizza solo il sottostante e la moneta. Il
numero di unità del sottostante contenuto nel portafoglio equivalente è
chiamato delta.

192
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI

La valutazione e la replica sono legate tra loro in modo inestricabile,


dato che il valore corrente di un’opzione è uguale al costo corrente del
portafoglio equivalente. Per ogni possibile posizione su opzioni, possiamo
dedurre le proprietà generali del portafoglio equivalente. La replica dina-
mica funzionerà bene solo a certe condizioni. Nel caso di payoffs comples-
si, la replica statica − effettuata comprando un portafoglio statico di deriva-
ti elementari − rappresenta spesso un’alternativa alla replica dinamica.

17
Il valore corrente di un’opzione è spesso chiamato «premio» (premium ).
18
Il prezzo d’esercizio è anche detto “base”.
19
La data in cui scade l’opzione è anche detta expiration date, exercise date o maturity date.
20
Per memoria, i profit/loss diagrams sono stati tracciati senza tentare di aggiustare i paga-
menti in base al tempo in cui vengono effettuati. In particolare, nella Figura 3.1 il prezzo
dell’opzione, C = $18,84, viene pagato ora ma è semplicemente sottratto da max [0, S* − K ]
per determinare il profitto la perdita.
21
Il termine premium, spesso utilizzato per indicare il valore corrente dell’opzione, deve le sue
origini ai giorni in cui le borse per la negoziazione delle opzioni ancora non esistevano e quasi
tutte le opzioni trattate nei mercati over-the-counter venivano vendute at-the-money. In tal ca-
so, il prezzo iniziale delle opzioni era uguale al premio rispetto al valore intrinseco (nullo).
22
C’è solo un’interessante eccezione. Anche se un accordo tra SEC e CFTC (il Johnson-Shad
Accord) vieta la quotazione di futures su singoli titoli, i futures (e le futures options) su indici
azionari sono ammessi e la loro quotazione richiede l’approvazione preventiva (congiunta) di
entrambi gli organi di controllo.
23
Questo rapporto può anche essere ricavato dall’equazione: Prezzo dell’opzione = (Prezzo
dell’azione × Delta) + Moneta. Quest’equazione implica che:
1 − (Moneta /Prezzo dell’opzione) = (Prezzo dell’azione × Delta)/Prezzo dell’opzione.

193
4
Modello binomiale

Il problema che ora affronteremo è quello di trovare una formula esatta,


ovvero un metodo, che trasformi il prezzo corrente del sottostante e la vita
residua nel valore corrente dell’opzione. Abbiamo scelto queste due varia-
bili tra le sei fondamentali determinanti del valore di un’opzione − il prez-
zo del sottostante, S, il prezzo d’esercizio, K, la vita residua, t, il riskless
return, r, la volatilità, σ, e il payout return, d − perché sono le uniche che
devono necessariamente cambiare all’avvicinarsi della data di scadenza. In
beve, dobbiamo cercare una funzione, f, di S e t, che, date le altre determi-
nanti, ci permetta di calcolare il valore corrente dell’opzione, C o P.
Sappiamo già qual è la risposta alla data di scadenza sia per le calls, C*
= max [0, S* − K], sia per le puts, P* = max [0, K − S*]. Non sappiamo in-
vece quale formula usare prima della scadenza. Semplici considerazioni di
arbitraggio ci dicono almeno che, prima della scadenza, il valore di una
call americana, C, deve essere minore del prezzo spot del sottostante, S, ma
maggiore sia del valore intrinseco dell’opzione, max [0, S − K], sia del suo
valore attuale, max[0, Sd−t − Kr−t], quando la volatilità è nulla. In sintesi:
(
S ≥ C ≥ max 0, S − K , Sd −t − Kr −t )
Ad esempio, se S = K = 100, r = 1.08, d = 1.03 e t = 1, sappiamo che il valore
dell’opzione deve cadere nell’intervallo (molto ampio) 100 ≥ C ≥ 4,49.
Analogamente, nel caso delle puts americane, sappiamo che:
(
K ≥ P ≥ max 0, K − S , Kr −t − Sd −t )
Nel caso delle calls e delle puts europee, i limiti inferiori e superiori diven-
tano:
(
Sd −t ≥ C ≥ max 0, Sd −t − Kr −t )
Kr −t
≥ P ≥ max (0, Kr −t
− Sd −t
)
Per ottenere questi risultati (insieme alle altre relazioni generali d’arbi-
traggio e alla put-call parity), non abbiamo fatto intenzionalmente nessuna
assunzione circa la dinamica del prezzo del sottostante e del riskless re-
turn. Il nostro obiettivo era quello di vedere quali risultati potevamo otte-
nere senza fare assunzioni di questo tipo. Pertanto non sorprende che, per

195
DERIVATI

essere più specifici, avremo ora bisogno di fare assunzioni circa il compor-
tamento del sottostante e del riskless return. Saremo in grado di trovare
una formula esatta coerente con i precedenti risultati, ma dobbiamo tenere
presente che questi nuovi risultati non saranno altrettanto affidabili, dato
che poggiano su ipotesi meno generali.
Per iniziare, valuteremo una call prima della scadenza in una situazione
molto semplice ma comunque interessante: la call scade alla fine di un cer-
to periodo (di durata arbitraria) in cui il prezzo del sottostante sale da S a
uS o scende da S a dS.
Ad esempio, supponiamo che il prezzo corrente di un’azione sia pari a
$100 e che possa aumentare del 20% o ridursi del 10%. Usando la consueta
simbologia, S = $100, u = 1,2 e d = 0,9. Alla scadenza, il prezzo dell’azio-
ne sarà pari a uS = $120 (= $100 × 1,2) o dS = $90 (= $100 × 0,9).

Dato che in un certo periodo il prezzo del sottostante può assumere solo due
valori, questo approccio, che può essere generalizzato a molti periodi, è detto
«modello binomiale» (binomial model) per la valutazione delle opzioni.

Avremo anche opinioni personali circa quello che potrà accadere. Misure-
remo le nostre convinzioni assegnando probabilità soggettive a ciascuno dei
due possibili eventi: q rappresenta la nostra probabilità soggettiva di rialzo
mentre 1 − q rappresenta la nostra probabilità soggettiva di ribasso. Dato
che è una probabilità, q sarà compresa tra 0 e 1.
Non faremo l’ipotesi che gli investitori vedano il mondo tutti allo stes-
so modo. Ogni singolo investitore avrà la sua probabilità soggettiva, q. Tut-
tavia, assumeremo che gli investitori siano d’accordo su due questioni: che
S si muoverà in modo binomiale e che le variazioni siano misurate da u e d.
Supporremo inoltre che r sia il riskless return periodale, per cui il valo-
re finale dell’investimento di $1 è pari a $1 × r alla fine del periodo. Si noti
che abbiamo usato il carattere r in tondo, piuttosto che in corsivo, per di-
stinguerlo dal nostro consueto simbolo, r, che rappresenta il riskless return
su base annua.
Assumeremo, come al solito, che non ci siano opportunità di arbitrag-
gio prive di rischio. In particolare, questo vuol dire che u, d e r, quali che
siano i loro effettivi valori, devono soddisfare la condizione u > r > d. Per
convenzione u > d. Supponiamo per assurdo che u e d siano entrambi mag-
giori (minori) di r. In tal caso, l’investimento nel sottostante renderebbe
sicuramente più (meno) dell’investimento in moneta. In assenza di oppor-
tunità di arbitraggio, ciò non è possibile. Se escludiamo queste possibilità,
occorre che u > r > d. La dimostrazione è riportata nella Tavola 4.1.
A fine periodo può verificarsi uno dei due seguenti eventi: il prezzo del
sottostante, S, sale a uS o scende a dS. In entrambi i casi, il valore finale di
B dollari investiti in moneta sarà pari a rB. Questo importo comprende sia il
capitale, B, sia gli interessi, B(r − 1), per cui:

196
MODELLO BINOMIALE

Tavola 4.1 Modello binomiale: simbologia

r ≡ riskless return (relativo ad un certo intervallo)


u ≡ asset return in caso di rialzo (up)
d ≡ asset return in caso di ribasso (down)
q ≡ probabilità soggettiva di rialzo

Assenza
Assenzadi
diopportunità
opportunitàdi arbitraggio ⇒
diarbitraggio ⇒ uu >> rr >>dd

Non ci sono opportunità di arbitraggio. Se fosse u > d > r l'asset avrebbe


sempre un ritorno maggiore del cash. Analogamente, se fosse d < u < r il cash
avrebbe sempre un ritorno maggiore dell'asset. Pertanto, l'unica possibilità che
esclude opportunità di arbitraggio è u > r > d.

B + B(r − 1) = rB
Consideriamo inoltre una call europea con valore corrente C. Il valore del-
la call alla fine del periodo sarà Cu o Cd, a seconda che il prezzo del sotto-
stante si sia mosso al rialzo o al ribasso. Se la fine del periodo coincide
con la data di scadenza dell’opzione, allora:
Cu = max(0, uS − K ) e Cd = max(0, dS − K )

dove K è il prezzo d’esercizio (si veda la Figura 4.1).


Nel sud di Isreale, all’interno del deserto di Negev e ai confini del Mar
Morto, c’è una piccola località chiamata Ein Bokek. Fu lì che nel 1975 la
Hebrew University organizzò una conferenza internazionale di economia fi-
nanziaria a cui parteciparono circa 20 accademici, tre dei quali vinsero più
tardi il Premio Nobel per l’economia. Uno di questi era William Sharpe, me-
glio noto allora come uno dei creatori del capital asset pricing model. Due
anni prima Fischer Black e Myron Scholes avevano pubblicato il loro artico-
lo rivoluzionario sulla valutazione delle opzioni. Ma i risultati che questi due
autori avevano ottenuto erano ancora avvolti dal mistero. Per quanto la loro
matematica fosse inattaccabile, l’intuizione economica dietro i loro risultati
era ben lontana dall’essere chiara. In qualche modo, erano riusciti a ricavare
una formula per il valore corrente di un’opzione, in funzione del prezzo del
sottostante, che non richiedeva informazioni né sul ritorno atteso del sotto-
stante né sul grado di avversione al rischio degli investitori. La loro dimo-
strazione si basava sul fatto che i ritorni dell’opzione potevano essere dina-
micamente replicati da un portafoglio contenente solo l’attività sottostante e

197
DERIVATI

Figura 4.1 Asset, Cash e Call

q uS q rB

S Asset B Cash

1–q dS 1–q rB

q Cu [ = max(0, uS – K) ]

C Call

1 – q Cd [ = max(0, dS – K) ]

la moneta (in effetti, Black e Scholes dimostrarono che un portafoglio conte-


nente l’opzione ed una posizione sul sottostante aggiustata dinamicamente
doveva rendere il riskless return).
Non c’è quindi da meravigliarsi se Sharpe e l’autore di questo libro si
ritrovarono a discutere di questo sorprendente risultato, cercando di chiari-
re l’intuizione fondamentale. Sharpe suggerì che, forse, in ogni istante
della vita dell’opzione, c’erano in realtà due soli “stati” possibili. Il prezzo
del sottostante poteva muoversi al rialzo o al ribasso secondo un importo
prefissato. In tal caso, il futuro prezzo spot di un terzo titolo (ossia la call)
poteva essere replicato da altri due titoli (l’attività sottostante e la moneta).
Era ben noto che è possibile costruire una qualsiasi configurazione di ritor-
ni (come, ad esempio, quella della call) se esistono tanti titoli quanti sono i
possibili stati. Questa è la situazione in cui si dice che, come abbiamo già
visto, i mercati sono “completi”.
Per catturare quest’idea con un po’ di matematica, sia πu il prezzo che
pagheremmo all’inizio del periodo per ricevere $1 in caso di rialzo del
prezzo del sottostante e $0 in caso di ribasso. Ricordiamoci che questo tito-
lo rappresenta uno state-contingent claim perché paga solo nel caso in cui
si verifichi uno dei possibili stati. Analogamente, sia πd un altro state con-
tingent price, ossia il prezzo di un secondo state-contingent claim che paga
$1 se e solo se il prezzo del sottostante si muove al ribasso. Il portafoglio
che contiene entrambi i titoli è privo di rischio perché paga $1 in qualsiasi
circostanza. Pertanto, πu + πd = $1/r, dato che $1/r è il prezzo che dovrem-
mo pagare oggi per ricevere $1 con certezza alla fine del periodo. Si ha in-
fatti ($1/r) × r = $1. Combinando tra loro queste due equazioni, si ottiene:

198
MODELLO BINOMIALE

1 = πu r + πdr

Chi è che ha detto che “un dollaro è un dollaro”? Non ha importanza se il


dollaro che riceviamo è il frutto di un investimento in moneta, oppure nel
sottostante o in un’opzione. Possiamo quindi valutare i payoffs di tutti que-
sti titoli utilizzando gli stessi state-contingent prices: πu, πd. Otteniamo così
altre due equazioni:

S = π u (uS ) + π d (dS )
C = π u C u + π d Cd

Se gli state-contingent prices, πu e πd, sono le incognite, abbiamo ora tre e-


quazioni in due incognite. Abbiamo bisogno solo di due equazioni per de-
terminare le due incognite e poi utilizzarle per riscrivere la nostra equazione
per il prezzo della call, C. Con l’aiuto della matematica stiamo quindi cattu-
rando l’idea che, con due soli stati, abbiamo bisogno di due soli titoli per co-
struire una qualsiasi configurazione di ritorni, incluso il payoff di una call.
Risolvendo rispetto a πu e πd le due equazioni S = πu(uS) + πd(dS) e 1 =
πu r + πd r, otteniamo:

πu =
(r − d )/ (u − d ) e πd =
(u − r )/ (u − d )
r r

Conviene ora definire p ≡ (r − d)/(u − d), da cui 1 − p = (u − r)/(u − d). La


variabile p ha un’interessante interpretazione, che vedremo tra breve. In base
a questi risultati, le due precedenti equazioni possono essere così riscritte:

π u = p/r e π d = (1 − p )/r

Il passo finale è quello di sostituire i risultati ottenuti nella terza equazione,


C = πu Cu + πd Cd. Pertanto:

C = [ pCu + (1 − p )Cd ]/ r

Abbiamo così ottenuto una formula esatta per il valore corrente di una call.
Questo risultato verrà esaminato in dettaglio nel prossimo paragrafo.

4.1 MODELLO AD UNO STADIO


L’idea di Black e Scholes, secondo cui i ritorni dell’opzione possono esse-
re replicati da un portafoglio contenente solo l’attività sottostante e la mo-
neta, può essere colta in modo più trasparente con un’altra dimostrazione.
Approfitteremo di questa opportunità per complicare leggermente il
modello introducendo il payout return del sottostante. Il payout return del
sottostante in un certo periodo di durata arbitraria verrà indicato con il
simbolo δ. Si noti che abbiamo usato il carattere δ in tondo per distinguerlo
dal nostro consueto simbolo, d, che rappresenta il payout return su base

199
DERIVATI

Figura 4.2 Asset, Cash e Call (con payouts)

q uS (ex-payout) q rB

S Asset B Cash

1–q dS (ex-payout) 1–q rB

q Cu [ = max(0, uS – K) ]

C Call

1–q Cd [ = max[0, dS – K) ]

annua. Possiamo inoltre pensare al periodo in questione come al primo di


diversi periodi, adiacenti, che formano la vita dell’opzione.
Ad esempio, supponiamo che il prezzo corrente di un’azione sia pari a
$100 e che (dopo i payouts) possa aumentare del 20% o ridursi del 10%. In
base alla consueta simbologia, si ha S = $100, u = 1,2 e d = 0,9. Alla sca-
denza, il prezzo dell’azione (dopo i payouts) sarà pari a $120 (= uS = 1,2 ×
$100) o a $90 (= dS = 0,9 × $100). Supponiamo, inoltre, che alla fine del
periodo venga pagato un dividendo pari al 5% del prezzo finale dell’azione.
In tal caso, δ = 1,05 e il valore finale dell’investimento (prezzo dell’azione,
capital gains e payouts) sarà pari a $126 (= δuS = 1,05 × 1,2 × $100) o a
$94,50 (= δdS = 1,05 × 0,9 × $100).
Per tener conto dei payouts, dobbiamo ora sostituire la nostra condizio-
ne originale di assenza di opportunità di arbitraggio, u > r > d, con δu > r >
δd. In altri termini, vogliamo che i «ritorni complessivi» (total returns) del
sottostante, δu e δd, rappresentino gli estremi dell’intervallo in cui deve
cadere il riskless return. In alternativa, possiamo scrivere u > (r/δ) > d.

Attività, moneta e call in presenza di payouts


Alla fine del periodo, si deve verificare uno dei due eventi possibili: il
prezzo del sottostante, S, sale a uS oppure scende a dS (Figura 4.2). Dob-
biamo ora esplicitamente interpretare il prezzo finale del sottostante come
il prezzo dopo i payouts, ossia il prezzo ex-payout. Nel caso delle azioni,
questo è il prezzo che viene pubblicato sui giornali dopo il pagamento dei
dividendi. Naturalmente, il total return dell’investimento include i payouts,
per cui il valore dell’investimento inclusi i payouts è δuS o δdS.

200
MODELLO BINOMIALE

Il valore finale di B dollari investiti in moneta sarà sempre pari a rB,


quale che sia lo stato. Questo importo comprende sia il capitale, B, sia gli
interessi, B(r − 1), per cui:
B + B(r − 1) = rB
Consideriamo inoltre una call europea con valore corrente C. Alla fine del
periodo, il valore della call sarà pari a Cu o Cd, a seconda che il prezzo del
sottostante si muova a rialzo o al ribasso. Se la fine del periodo coincide
con la data di scadenza, allora:
Cu = max(0, uS − K ) e Cd = max(0, dS − K )
dove K è il prezzo d’esercizio. La Figura 4.2 illustra questi risultati.
Si noti che la call non è protetta contro i payouts perché il suo payoff
dipende solo dal prezzo ex-payout del sottostante. Se, invece, la call offris-
se una completa protezione dai payouts, il payoff contrattuale sarebbe basa-
to sul prezzo cum-payout del sottostante, nel qual caso:
Cu = max(0, δuS − K ) e Cd = max(0, δdS − K )

Dato che la maggior parte delle opzioni non è payout-protected, assumeremo


che il payoff della call sia descritto dalla nostra prima rappresentazione.

Portafoglio equivalente
Seguendo l’idea di Black e Scholes, costruiamo un portafoglio equivalente
comprando ∆ unità (azioni) del sottostante ed investendo B dollari in mo-
neta. Il portafoglio costa S∆ + B dollari. Si noti che, essendo S denominato
in $ per unità di azioni ed essendo ∆ denominato in unità, S∆ è denominato
in $. Dato che B è denominato in $, anche S∆ + B è denominato in $.
Alla fine del periodo, un’unità del sottostante vale δuS o δdS, inclusi i
payouts. Pertanto, le ∆ unità presenti nel portafoglio equivalente valgono
δuS∆ o δdS∆. A questo importo dobbiamo aggiungere il payoff dell’inve-
stimento in moneta, rB, per ottenere il valore finale del portafoglio equiva-
lente.
Affinché la replica abbia successo, il portafoglio equivalente dovrà es-
sere selezionato con cura (Figura 4.3). Sappiamo che il valore finale della
call alla fine del periodo è Cu o Cd. Ora, se scegliamo ∆ e B in modo che
δuS∆ + rB = C u e δdS∆ + rB = Cd

allora il payoff del portafoglio equivalente sarà esattamente uguale a quello


della call, quale che sia il prezzo finale del sottostante.
Continuiamo con il nostro esempio dove, come prima, S = $100, u =
1,2, d = 0,9 e δ = 1,05. Se, inoltre, r = 1,08, allora:
1,05 ×1,2 ×100 × ∆ + 1,08 × B = C u e 1,05 × 0,9 ×100 × ∆ + 1,08 × B = Cd

Se la fine del periodo coincide con la scadenza della call, allora:

201
DERIVATI

Figura 4.3 Portafoglio equivalente (con payouts)

q δuS∆ + rB

S∆ + B Asset + Cash

1–q δdS∆ + rB

Scegliere ∆ (numero di unità dell’asset) e B ($ in cash):


δuS∆ + rB = Cu δdS∆ + rB = Cd

C u = max (0, uS − K ) = max (0, 1,2 × 100 − 100 ) = 20


Cd = max (0, dS − K ) = max (0, 0,9 × 100 − 100 ) = 0

Pertanto, sostituendo i valori di Cu e Cd, dobbiamo risolvere

1,05 ×1,2 ×100∆ + 1,08B = 20 e 1,05 × 0,9 × 100∆ + 1,08B = 0

rispetto a ∆ e a B.
Risolviamo quindi queste due equazioni rispetto a ∆, il numero delle
unità del sottostante nel portafoglio equivalente, e a B, i dollari investiti in
moneta. Risolvendo la seconda equazione rispetto a B si ha:

δ d S ∆ + rB = Cd ⇒ B = (Cd − δ d S ∆ ) / r

Sostituendo B nella prima equazione, si ottiene:

δ u S ∆ + rB = C u ⇒ δ u S ∆ + r (Cd − δ d S ∆ ) / r = C u
⇒ δ (u − d ) S ∆ = C u − C d ⇒ ∆ = (C u − Cd ) /[δ (u − d ) S ]

Infine, sostituendo ∆ nella nostra ultima equazione per B si ottiene:

B = (uC u − dCd ) /[(u − d ) r ]

Abbiamo già utilizzato il principio dell’assenza di opportunità di arbitrag-


gio quando abbiamo scritto la condizione δu > r > δd. Lo useremo ora di
nuovo. Sappiamo che, scegliendo ∆ e B in base alle ultime due equazioni,

202
MODELLO BINOMIALE

riusciremo a replicare il payoff della call alla fine del periodo. Pertanto,
esistono due modi per raggiungere un identico obiettivo, indipendentemen-
te da quello che sarà lo stato finale: comprare la call e mantenerla fino alla
scadenza; o comprare il portafoglio equivalente (sulla base dei valori di ∆
e di B ottenuti) e mantenerlo fino alla scadenza. Affinché non esistano
opportunità di arbitraggio, il costo corrente di questi due investimenti deve
essere lo stesso. In altri termini, il valore corrente della call deve essere
uguale al valore corrente del portafoglio equivalente. Otteniamo così una
terza equazione:

C = S∆ + B

Infine, sostituendo ∆ e B in quest’equazione, si ottiene:

C u − Cd uCd − dC u
C=S +
δ(u − d )S (u − d )r

=
1
(Cu − Cd ) r + (uCd − dCu )⎤⎥
(u − d )r ⎢⎣ δ ⎦
1 ⎡⎛ r ⎞ ⎛ r⎞ ⎤
= ⎜ − d ⎟ C + ⎜ u − ⎟ Cd ⎥
(u − d )r ⎢⎣⎝ δ ⎠ u ⎝ δ ⎠ ⎦
=
(r / δ ) − d C + u − (r / δ) C
(u − d )r u (u − d )r d

Ponendo p ≡ [(r/δ) − d]/(u − d), si ha:

1− p = 1−
(r / δ ) − d = u − d − [(r / δ ) − d ] = u − (r / δ )
u −d u −d u −d

e quindi C = (p/r)Cu + [(1 − p)/r] e Cd = [pCu + (1 − p)Cd]/r.

Interpretazione
Ci sono diversi commenti da fare. È stato facile scrivere la formula per il
valore finale di una call, max[0, S* − K]; abbiamo poi ricavato anche la for-
mula per il valore corrente della call in termini dei suoi possibili valori alla
fine del periodo, Cu e Cd. La formula dipende solo da S, K, u, d, r e δ (S e K
attraverso i payoffs Cu = max[0, uS − K] e Cd = max[0, dS − K]). Interpretan-
do la differenza tra u e d come un’approssimazione della volatilità, queste
variabili, unitamente alla vita residua, rappresentano le determinanti fon-
damentale del prezzo di un’opzione.
La cosa più interessante è che la formula non dipende da: q (la probabilità
soggettiva di rialzo) o da parametri che hanno a che fare con l’avversione al
rischio degli investitori. Non dipendendo da q, è come se non dipendesse dal
ritorno atteso del sottostante. In effetti, dato che ci sono soltanto due stati,

203
DERIVATI

tutta l’informazione circa le probabilità soggettive e l’avversione al rischio


può essere comunicata indirettamente ai prezzi delle opzioni attraverso i
prezzi dei due titoli presenti nel portafoglio equivalente: S e 1/r. Dato che il
valore dell’opzione, C, non dipende direttamente da q, due investitori con
diverse aspettative circa il prezzo del sottostante (ad esempio, uno è rialzi-
sta – la sua q è elevata – mentre l’altro è ribassista – la sua q è bassa) de-
vono comunque essere d’accordo che l’opzione è correttamente valutata
rispetto a S e a r.
L’unica variabile casuale che influenza il prezzo dell’opzione è la va-
riazione del prezzo del sottostante, u o d. In altri modelli dell’economia
finanziaria, il ritorno del «portafoglio di mercato» (market portfolio), spes-
so approssimato negli Stati Uniti dallo S&P500, rappresenta un’altra varia-
bile casuale che influenza i prezzi dei titoli. Ma, di nuovo, nel modello bi-
nomiale che è stato qui ipotizzato, un’influenza di questo tipo dovrebbe
semmai verificarsi indirettamente attraverso le altre variabili, S, u, d o r.
Nei modelli utilizzati dalle scienze sociali è bene chiedersi cosa si stia
assumendo circa il comportamento e la psicologia dell’uomo. Nel nostro
caso, abbiamo solo assunto che gli investitori valutino i titoli in modo che
non ci siano opportunità di arbitraggio. Abbiamo fatto questa assunzione
quando abbiamo detto che il riskless return doveva essere compreso tra d e
u e quando abbiamo detto il valore dell’opzione ed il valore del portafoglio
equivalente dovevano essere uguali. È interessante notare che non abbiamo
fatto assunzioni circa l’avversione al rischio degli investitori o circa la loro
razionalità nel senso di operare scelte transitive (se un investitore preferi-
sce A a B e B a C, allora preferisce A a C), com’è invece comune in molti
modelli di valutazione dell’economia finanziaria.
La variabile p non è nuova, essendo definita in termini di altre variabili,
r, δ, d e u. Tuttavia, ha un’utilissima interpretazione. Innanzitutto, dobbia-
mo notare che è il rapporto tra [(r/δ) − d] e (u − d). Ricordiamoci ora la no-
stra argomentazione di assenza di opportunità di arbitraggio, secondo cui u
> (r/δ) > d. Pertanto, il numeratore [(r/δ) − d] e il denominatore (u − d) so-
no entrambi positivi e p, come rapporto tra due numeri positivi, è anch’essa
positiva. Inoltre, dato che (r/δ) è compreso tra u e d, il numeratore deve
essere più piccolo del denominatore, per cui p è anche minore di 1. Allora,
guardando la formula binomiale, è naturale pensare a p come ad una pro-
babilità di rialzo e a (1 − p) come ad una probabilità di ribasso.
È molto importante, per comprendere la teoria di valutazione delle op-
zioni, rendersi conto che, sebbene p si comporti come una probabilità, non
è (diversamente da q) una probabilità soggettiva. È comunque una probabi-
lità, ma di tipo particolare. Riscriviamo la sua definizione:
p δ u + (1 − p )δ d = r

Questa equazione ci dice che il valore atteso del total return del sottostante,
calcolato in base a p, deve essere uguale al riskless return. Pertanto, p è la

204
MODELLO BINOMIALE

probabilità che rende il valore atteso del total return del sottostante pari al
riskless return. Ciò vuol dire che p è una probabilità neutrale verso il rischio.
Se l’economia fosse avversa al rischio, allora dovremmo osservare q > p
per molte attività. Pertanto, in termini di q (essendo u > d):
q δ u + (1 − q )δ d = r

Se l’economia fosse avversa al rischio, il rischio dovrebbe essere compensa-


to con un ritorno atteso maggiore del riskless return.
Esaminiamo di nuovo la formula binomiale: C = [pCu + (1 − p) Cd]/r. Pos-
siamo ora interpretare il numeratore come il valore atteso risk-neutral
dell’opzione alla fine del periodo. Dato che stiamo utilizzando probabilità
neutrali verso il rischio, per ottenere il valore corrente dell’opzione dob-
biamo solo attualizzarne il valore atteso in base al riskless return.

L’idea che il valore corrente di un’opzione sia pari al valore atteso risk-neutral
attualizzato in base al riskless return si applica sia ai derivati sia alle attività
sottostanti e si rivela molto utile per la loro valutazione. È questo il «principio
della valutazione neutrale verso il rischio» (risk-neutral valuation principle).

Finora abbiamo assunto che l’opzione sia europea. In altri termini, abbia-
mo assunto che l’opzione ha valore oggi solo perché potrà avere valore
domani. Ma per le calls americane c’è un’altra possibilità. La call potrebbe
valere quello che ora si ricava in caso d’esercizio, ossia S − K. Pertanto,
per calcolare il valore di una call americana, dobbiamo confrontare il suo
«valore in caso d’esercizio» (exercisable value), S − K, con il «valore che
avrebbe se venisse tenuta in vita ancora per un periodo» (holding value),
[pCu + (1 − p)Cd]/r. Il valore corrente dell’opzione è pari al maggiore tra i
due, quale che esso sia. Anche dietro questo risultato c’è l’assunzione che
non esistano opportunità di arbitraggio. Supponiamo infatti che il prezzo
dell’opzione sia uguale all’holding value, quando questo è minore dell’ex-
ercisable value. Comprando l’opzione ed esercitandola immediatamente
potremmo realizzare un profitto d’arbitraggio. Se invece il prezzo
dell’opzione fosse uguale all’exercisable value, quando questo è minore
dell’holding value, potremmo realizzare un profitto d’arbitraggio com-
prando l’opzione ed evitando di esercitarla immediatamente.
Pertanto, il valore corrente della call americana è max{[pCu + (1 −
p)Cd]/r, S − K}, dove, se l’opzione scade alla fine del periodo, Cu = max[0,
uS − K] e Cd = max[0, dS − K]. Se r > 1 e il payout return, δ, è pari a 1, è fa-
cile dimostrare che [pCu + (1 − p)Cd]/r > S − K, per cui l’esercizio anticipato
non conviene mai. Questo risultato è coerente con quanto abbiamo già detto
a proposito delle determinanti fondamentali del valore di un’opzione.
Supponiamo che r > 1, mentre δ = 1. Vogliamo dimostrare [pCu + (1 −
p)Cd]/r > S − K, con p ≡ [(r/δ) − d]/(u − d), Cu = max[0, uS − K] e Cd =
max[0, dS − K]. Sono possibili tre tipi di payoff a seconda che:

205
DERIVATI

(1) uS < K (la call finisce certamente out-of-the-money);


(2) dS < K < uS (la call finisce in-the-money o out-of-the-money);
(3) K < dS (la call finisce certamente in-the-money).
Nel primo caso [pCu + (1 − p)Cd]/r = 0. Ma uS − K < 0 e quindi S − K < 0.
Nel secondo caso [pCu + (1 − p)Cd]/r = p(uS − K)/r, che è maggiore di S −
K. Nel terzo caso [pCu + (1 − p)Cd]/r = [p(uS − K) + (1 − p)(dS − K)]/r = S/δ
− K/r, che è maggiore di S − K, essendo r > δ.
Se dobbiamo valutare una put invece di una call, la nostra argomenta-
zione binomiale continuerebbe ad essere valida ma con una modifica: dob-
biamo sostituire il valore alla scadenza con max[0, K − S * ] e l’exercisable
value con K − S. Pertanto, il valore di una put americana è: max{[pPu + (1 −
p)Pd]/r, K − S} dove, se l’opzione scade alla fine del periodo, Pu = max[0, K −
uS] e Pd = max[0, K − dS]. in questo caso è facile dimostrare che, indi-
pendentemente dal payout return, l’esercizio anticipato della put può esse-
re conveniente. Questo risultato è coerente con quanto abbiamo già detto a
proposito delle determinanti fondamentali del valore di un’opzione.
Finora abbiamo utilizzato i primi due teoremi fondamentali dell’eco-
nomia finanziaria: se non esistono opportunità di arbitraggio e se i mercati
sono completi, le probabilità risk neutral esistono e sono uniche.

Modello trinomiale
Quanto è importante la nostra assunzione secondo cui i movimenti dei
prezzi sono binomiali? Riconsideriamo l’intuizione originale che sta dietro
il modello binomiale: in presenza di tre titoli (l’attività, la moneta, l’op-
zione) ma solo due stati, uno dei titoli è ridondante nel senso che il suo
payoff può essere replicato da un portafoglio contenente gli altri due. Di
conseguenza, in assenza di opportunità di arbitraggio, siamo stati in grado
di valutare il terzo titolo in base ai prezzi degli altri due.
Supponiamo ora che siano possibili tre stati, invece di due. Nel caso
più semplice, il prezzo dell’attività sottostante può muoversi, nel prossimo
periodo, al ribasso o al rialzo, oppure restare fermo. In questo caso il mo-
dello sarebbe trinomiale, invece di binomiale. Possiamo immaginare che
cosa accadrebbe. Non avremmo più un titolo ridondante. Non potremmo
replicare il payoff dell’opzione in base agli altri due titoli. Non potremmo
più valutare il terzo titolo in base ai prezzi degli altri due.
Generalizzando l’argomentazione binomiale al caso dei tre stati, do-
vremmo risolvere tre equazioni in due incognite:

δ u S ∆ + rB = Cu δ S ∆ + rB = Cs δ d S ∆ + rB = Cd

Purtroppo, il sistema di equazioni non ammette soluzioni: i valori di ∆ e di B


che risolvono la prima e la terza equazione non risolvono in genere la secon-
da. Pertanto l’approccio binomiale non si presta ad essere generalizzato in
questo modo.

206
MODELLO BINOMIALE

Quando i movimenti dei prezzi sono trinomiali, viene a cadere la condi-


zione di completezza dei mercati prevista dal secondo teorema fondamentale
dell’economia finanziaria: anche se le probabilità risk-neutral esistono, non
sono uniche. Ma i teorici delle opzioni hanno aggirato il problema, ricorren-
do al terzo teorema fondamentale dell’economia finanziaria:
Sotto certe condizioni, la possibilità di aggiustare nel tempo i pesi del
portafoglio dei titoli disponibili può sopperire alla mancanza di titoli,
così da completare efficacemente il mercato.
Nel prossimo paragrafo presenteremo una generalizzazione del modello
binomiale che consente almeno un aggiustamento dei pesi del portafoglio
equivalente, prima della scadenza dell’opzione.

Sommario: modello ad uno stadio


Black e Scholes hanno ricavato la loro formula di valutazione delle opzioni
servendosi dell’argomentazione del portafoglio equivalente. Per ripetere
quell’argomentazione con il modello binomiale, abbiamo costruito un
portafoglio composto da ∆ unità del sottostante e da un investimento in
moneta, in modo che il payoff del portafoglio sia sempre uguale al payoff
dell’opzione, quale che sia lo stato alla fine del periodo. In quest’analisi
abbiamo anche tenuto conto dei payouts e del fatto che l’opzione non è in
genere protetta contro la distribuzione dei payouts. In assenza di opportuni-
tà di arbitraggio, il costo corrente del portafoglio equivalente deve essere
uguale al costo dell’opzione. Si ottiene così una semplice formula per il
valore corrente dell’opzione − in effetti, la stessa formula che avevamo ri-
cavato in precedenza con gli state-contingent prices.
Abbiamo così raggiunto l’obiettivo di trovare una formula esatta per il
valore di un’opzione prima della scadenza in condizioni d’incertezza. No-
nostante la sua semplicità, questa formula rivela molte delle idee economi-
che che stanno dietro la moderna teoria di valutazione delle opzioni:
(1) il valore corrente dell’opzione è dato da una formula che dipende dal
prezzo corrente del sottostante, dal prezzo d’esercizio, dalla volatilità
(approssimata dalla differenza tra i movimenti al rialzo e al ribasso del
sottostante), dal riskless return e dal payout return;
(2) la formula assume che non esistano opportunità di arbitraggio e non
assume che gli investitori siano avversi al rischio o che siano razionali;
(3) la formula dice che l’opzione va valutata attualizzando il suo valore
atteso risk-neutral. Il tasso di attualizzazione è il riskless return e le
probabilità risk-neutral hanno una forma semplice, ben definita, deter-
minata solo dal riskless return, dal payout return e dalle dimensioni dei
movimenti al rialzo e al ribasso;
(4) se l’opzione è americana, la formula di valutazione è solo lievemente
più complessa: il valore corrente dell’opzione è pari al maggiore tra
l’exercisable value e l’holding value, quale che esso sia.

207
DERIVATI

La semplicità dell’analisi sembra dipendere dall’assunzione che le va-


riazioni di prezzo del sottostante siano binomiali. Se, invece, fossero tri-
nomiali, nessun portafoglio (composto solo dall’attività sottostante e dalla
moneta) potrebbe replicare i futuri valori dell’opzione. Tuttavia, gran parte
della forza di questa obiezione può essere rimossa, come vedremo, genera-
lizzando il modello a più periodi.

4.2 MODELLO A PIÙ STADI


Modello americano a tre stadi
Cosa si può fare per sottrarre il modello binomiale all’orribile fato degli
alberi trinomiali? Ricordiamoci che quello che abbiamo in realtà fatto fino-
ra è di modellare il valore di un’opzione esaminando il periodo successivo
della sua vita. Supponiamo ora di avere una visione più ampia e di voler
esaminare i diversi periodi che mancano alla sua scadenza. Se il sottostante
continua a muoversi in modo binomiale in ciascun periodo, sperimentando
rialzi o ribassi di grandezza u o d, allora, alla scadenza, il prezzo potrà
raggiungere diversi possibili livelli. Per essere precisi, nel primo periodo il
prezzo passa da S a uS o dS. Se il prezzo sale a uS, nel successivo periodo
raggiungerà u(uS) o d(uS). D’altra parte, se il prezzo scende a dS, nel suc-
cessivo periodo raggiungerà u(dS) o d(dS). Pertanto, dopo due periodi, non
ci sono più due ma quattro possibilità: uuS, duS, udS e ddS.
Se consideriamo l’effettivo sentiero seguito dal prezzo del sottostante,
abbiamo quattro possibili risultati. Tuttavia, in gran parte dei casi, ciò che
ha davvero importanza è dove andiamo a finire, non come ci siamo arriva-
ti. Questa è la versione rivista dell’aforisma “il fine giustifica i mezzi”.
Guardando le cose in questo modo, dato che d(uS) = u(dS), alla fine del
secondo periodo non abbiamo quattro possibilità ma tre: uuS, duS (o in
modo equivalente udS) e ddS. La Figura 4.4 mostra come il sentiero «su-
giù» (up-down) porta allo stesso punto del sentiero «giù-su» (down-up).
La Figura 4.4 illustra un «albero binomiale che si ricombina» (recom-
bining binomial tree). I punti dell’albero dove sono riportati i prezzi del
sottostante sono detti «nodi» (nodes) e la sequenza di mosse al rialzo e al
ribasso che porta ad un certo nodo è detta «sentiero» (path). L’albero è bi-
nomiale perché ad ogni nodo possono verificarsi due sole mosse. L’albero
si ricombina nel senso che tutti i sentieri che contengono lo stesso numero
di rialzi e di ribassi conducono allo stesso nodo.
Quando costruiamo un albero binomiale per valutare un’opzione, dob-
biamo convertire i parametri annualizzati che descrivono l’opzione nelle
variabili necessarie per l’albero. Bisogna innanzitutto dividere la vita resi-
dua dell’opzione, t, in n intervalli equispaziati, ciascuno di ampiezza h, in
modo che h ≡ t/n. Ad esempio, t potrebbe essere uguale ad 1 (anno), n po-
trebbe essere uguale a 12 (mesi), per cui h è pari a 1/12 (1 mese). In tal caso,
ogni mossa binomiale, u o d, avviene in un mese. Inoltre, r e δ misurano il
riskless return mensile ed il payout return mensile, rispettivamente.

208
MODELLO BINOMIALE

Figura 4.4 Modello iterativo americano

Ora t Asse
h ... del
0 1 2 3 n–1 n tempo
h≡t/n

u3S [Cuuu = max( 0, u3S – K )]


u2S
uS du2S [Cduu = max( 0, du2S – K )]
S duS
dS d2uS [Cddu = max( 0, d2uS – K )]
d2S
d3S [Cddd = max( 0, d3S – K )]

Alla fine dell’albero l’opzione scade. Possiamo quindi scrivere in cia-


scuno dei nodi finali il rispettivo payoff dell’opzione.
L’albero binomiale è stato costruito passando dal presente al futuro. Per
trovare il valore corrente dell’opzione, dobbiamo però tornare indietro dal-
la fine all’inizio dell’albero, applicando iterativamente il modello binomia-
le ad uno stadio. Ho amici per i quali questo rappresenta uno stile di vita.
Per decidere qualcosa d’importante oggi, si chiedono cosa rappresentereb-
be per loro lasciare alla loro morte una proprietà di un certo valore. Quindi
tornano indietro di un anno e si chiedono cosa dovrebbero fare allora te-
nendo conto di dove dovrebbero essere alla data della loro morte. Risolto
il problema, tornano indietro di un altro anno e si chiedono cosa dovrebbe-
ro fare tenendo conto di dove dovrebbero essere un anno dopo. Quindi
continuano ad applicare iterativamente questo tipo di ragionamento fino ad
arrivare al presente, quando possono prendere le loro decisioni in modo
ottimale. Per loro, la vita è un gigantesco albero binomiale!
Per valutare le opzioni, iniziamo dalla fine dell’albero perché è lì che
conosciamo i payoffs dell’opzione, in funzione dei prezzi del sottostante.
Poi, per ogni coppia di nodi finali adiacenti, usiamo la formula binomiale
per tornare indietro di un periodo e ottenere il valore dell’opzione. Nel ca-
so delle opzioni americane, verifichiamo ad ogni nodo se ci conviene eserci-
tare l’opzione o mantenerla in vita ancora per un periodo. Il valore dell’op-
zione in quel nodo è pari al maggiore tra l’exercisable value e l’holding
value. Quindi applichiamo nuovamente la formula binomiale, tornando in-
dietro di un altro periodo. Continuiamo così finché non arriviamo al pre-
sente e al valore corrente dell’opzione.

209
DERIVATI

Tavola 4.2 Modello iterativo americano

Risolvere iterativamente le seguenti equazioni:

Cuu = max{ [ pCuuu + (1 – p)Cduu ]/r, uuS – K }


1 Cdu = max{ [ pCduu + (1 – p)Cddu ]/r, duS – K }
Cdd = max{ [ pCddu + (1 – p)Cddd ]/r, ddS – K }

Cu = max{ [ pCuu + (1 – p)Cdu ]/r, uS – K }


2 Cd = max{ [ pCdu + (1 – p)Cdd ]/r, dS – K }

3 C = max{ [ pCu + (1 – p)Cd ]/r, S – K }

dove p ≡ [(r/δ) – d)/(u - d)

Quando l’albero è a 3 stadi (Tavola 4.2), dobbiamo innanzitutto risol-


vere le prime 3 equazioni, che valutano l’opzione un periodo prima della
scadenza. Otteniamo così Cuu, Cdu e Cdd. Sostituiamo quindi questi valori
nelle due successive equazioni, che ci danno a loro volta i valori dell’op-
zione due periodi prima della scadenza, Cu e Cd. Infine, sostituiamo questi
valori nell’ultima equazione per ottenere il valore corrente dell’opzione, C.
Si noti che il valore corrente dell’opzione comprende il valore del diritto di
esercizio anticipato.
Con n pari a 3, come nella tavola, i calcoli possono essere fatti a mano. In
pratica, chi investe in opzioni utilizza alberi a più stadi, da 50 a 300. Que-
sto è proprio il tipo di problema, difficile da risolvere a mano, che invece i
computers riescono a risolvere con facilità. È evidente che gli sviluppi del-
la moderna teoria di valutazione delle opzioni, che hanno facilitato la cre-
scita dei mercati delle opzioni a livello internazionale, non sarebbero stati
possibili senza l’aiuto dei computers.
La forma del modello binomiale che abbiamo descritto finora rappre-
senta il «modello binomiale standard per la valutazione delle opzioni»
(standard binomial option pricing model). Questo modello verrà modifi-
cato in vari modi per valutare le opzioni diverse da quelle ordinarie.

Modello europeo a tre stadi


Se l’opzione è europea, il problema si semplifica notevolmente. Le nostre
prime tre equazioni diventano:
C uu = [ pC uuu + (1 − p )Cduu ]/ r

210
MODELLO BINOMIALE

Cdu = [ pCduu + (1 − p )Cddu ]/ r


Cdd = [ pCddu + (1 − p )Cddd ]/ r

Diversamente dal caso precedente, queste espressioni possono essere sosti-


tuite algebricamente nelle successive due equazioni:

Cu = [ pC uu + (1 − p )Cdu ]/ r
Cd = [ pCdu + (1 − p )Cdd ]/ r

Otteniamo così:

[
C u = p 2C uuu + 2 p (1 − p )Cduu + (1 − p )2 Cddu / r 2 ]
Cd = [p C
2
duu + 2 p (1 − p )Cddu + (1 − p ) Cddd
2
]/ r 2

Si noti che abbiamo ora espresso il valore dell’opzione due periodi prima
della scadenza in termini dei payoffs alla scadenza. Continuando in questo
modo ancora una volta, otteniamo il valore corrente dell’opzione:

[
C = p 3C uuu + 3 p 2 (1 − p )Cduu + 3 p (1 − p )2 Cddu + (1 − p )3 Cddd / r 3 ]
Come si poteva immaginare, il numeratore non è altro che il valore atteso
risk-neutral del payoff dell’opzione. I valori finali del sottostante sono
quattro. La probabilità risk-neutral di tre rialzi consecutivi è p3. La proba-
bilità risk-neutral di due rialzi e un ribasso è p2(1 − p) e sono tre i sentieri
che contengono due rialzi e un ribasso (su-su-giù, su-giù-su e giù-su-su).
Pertanto, la probabilità che il prezzo finale del sottostante sia duuS è pari a
3p2(1 − p). A volte, p2(1 − p) è detta «probabilità di sentiero» (path prob-
ability) e 3p2(1 − p) «probabilità nodale» (nodal probability). Il valore atte-
so risk-neutral del payoff dell’opzione è pari alla somma dei payoffs alla
scadenza ponderati con le rispettive probabilità nodali. Il valore corrente
dell’opzione è pari al valore atteso risk-neutral del payoff dell’opzione at-
tualizzato in base al riskless return relativo ai tre periodi, r3. Anche qui ve-
diamo all’opera il principio della valutazione neutrale verso il rischio.

Modello a n stadi
Estenderemo ora l’analisi precedente dal caso di 3 periodi al caso gene-
rale di n periodi. La prima colonna della Tavola 4.3 mostra, per un albero
a n stadi, il numero di rialzi presenti in ciascun sentiero. Ad esempio il “2”
indicato nella terza riga vuol dire che nel sentiero sono presenti 2 rialzi e n
− 2 ribassi. In generale, il numero dei rialzi è rappresentato da j e il numero
dei ribassi presenti nello stesso sentiero da n − j.
La seconda colonna mostra il prezzo del sottostante alla fine di ciascun
sentiero (ossia alla scadenza). Ad esempio, nella seconda riga della secon-
da colonna troviamo u2d n−2 S, che è il prezzo finale del sottostante nel caso

211
DERIVATI

Tavola 4.3 Modello iterativo a n stadi

N. di rialzi S* Path probability N. di paths


0 d nS (1 – p)n 1
1 udn–1S p(1 – p)n–1 n
2 u2dn–2S p2(1 – p)n–2 n(n – 1)/2
3 u3dn–3S p3(1 – p)n–3 n(n – 1)(n – 2)/6
... ... ... ...
j ujdn–jS pj(1 – p)n-j n!/[j!(n – j)!]
... ... ... ...
n-1 un–1dS pn-1(1 – p) n
n u nS pn 1
Probabilità di un numero di rialzi pari almeno ad a:
n ⎧ ⎫ j
Φ[ a; n , p ] ≡ ∑ j = a ⎨
n! n− j
⎬ p (1 − p )
⎩ j ! ( n − j )! ⎭

∑ j = a c( j , n) p j (1 − p)n − j
n
=

in cui il sentiero contenga 2 rialzi e n − 2 ribassi. In generale, il prezzo fi-


nale del sottostante è rappresentato da u jd n−j S.
La terza colonna mostra la probabilità risk-neutral di ciascun sentiero.
Ad esempio, nella terza riga della terza colonna troviamo p2(1 − p)n−2. Questa
è la probabilità che il sentiero contenga due rialzi e n − 2 ribassi. In genera-
le, la probabilità che il sentiero contenga j rialzi e n − j è p j(1 − p)n−j.
La quarta colonna riporta il numero di sentieri che contengono un nu-
mero di rialzi pari a quello indicato nella prima colonna. Ad esempio, nella
terza riga della quarta colonna troviamo n(n − 1)/2. Questo è il numero di
sentieri che contiene 2 rialzi e n − 2 ribassi. Può essere calcolato in base ad
un altro albero, noto come triangolo di Pascal, dal nome del suo inventore,
Blaise Pascal, il famoso filosofo e matematico del XVII secolo.

1
Triangolo di Pascal 1 1
(prime sei righe) 1 2 1
1 3 3 1
1 4 6 4 1
1 5 10 10 5 1

In matematica, questi numeri sono anche noti come coefficienti binomiali.


La loro forma generale, per sentieri che contengono j rialzi e n − j ribassi è
n!/[j!(n − j)!]. Per semplificare la notazione, useremo c(j, n) ≡ n!/[j!(n −
j)!]. Il simbolo è giustificato dal calcolo combinatorio perché n!/[j!(n − j)!]
è il numero delle combinazioni di n elementi della j-esima classe.

212
MODELLO BINOMIALE

Pertanto, la rappresentazione generale della probabilità nodale è:


c( j , n ) × p j (1 − p )n − j
Questa è la probabilità associata al nodo raggiunto dai sentieri che con-
tengono j rialzi e n − j ribassi.
Sia Φ[a; n, p] la probabilità risk-neutral che il sentiero contenga alme-
no a rialzi. Questa probabilità è pari alla somma delle probabilità nodali
relative ai nodi raggiungibili dai sentieri che contengono almeno a rialzi.
Tenendo conto dei risultati ottenuti e applicando il principio della valu-
tazione neutrale verso il rischio, la formula binomiale per le calls europee è:
C= {∑ c( j, n)× p (1 − p)
j
j n− j
[
× max 0, u j d n − j S − K ]} / r n

dove la sommatoria va da j = 0 a j = n.
Questa formula può essere semplificata e resa più interessante se com-
biniamo i termini che contengono S e i termini che contengono K.
Quando il numero dei rialzi, j, è talmente piccolo per cui u jd n−j S < K,
l’opzione finisce out-of-the-money e il termine corrispondente che figura
nella sommatoria è 0. Abbiamo quindi bisogno di sommare solo i termini
per i casi in cui l’opzione finisce in-the-money, ossia i termini per i quali u
j n−j
d S > K. Sia j = a il più piccolo intero non negativo per il quale u ad n−a S
> K (a è il numero minimo di rialzi che fa finire l’opzione in-the-money).
Per trovare a, risolviamo u ad n−a S/K > 1. Prendendo i logaritmi naturali di
entrambi i lati della disuguaglianza, otteniamo a(log u) + (n − a)(log d) +
log(S/K) > 0. Pertanto, a[(log u) − (log d)] > −n(log d) − log(S/K) e quindi
a > log(K/Sdn)/log(u/d). Se a è maggiore del lato destro di questa disugua-
glianza, la call finisce in-the-money. Lo specifico valore di a che ci serve è
il più piccolo intero non negativo che soddisfa la disuguaglianza.
Ottenuto a, possiamo ulteriormente semplificare l’espressione per C:
C= {∑ c( j, n)× p (1 − p)
j
j n− j
[
× max 0, u j d n − j S − K ]} / r n

dove la sommatoria va da j = a a j = n.
Si noti che u jd n−j S − K ha sostituito max[0, u jd n−j S − K], dato che ora
consideriamo solo i sentieri con j ≥ a che fanno finire in-the-money la call.
Siamo ora pronti a raggruppare i termini che contengono S e i termini
che contengono K:
C = S⎡ ∑ × u j d n − j ⎤⎥ / r n
⎢⎣ j c( j , n ) × p (1 − p )
j n− j

− K⎡ ∑ n− j ⎤ n
⎢⎣ j c( j , n ) × p (1 − p ) ⎥⎦ / r
j

Semplificando la notazione, otteniamo il risultato finale:


C = S δ − n Φ(a; n, p ') − K r − n Φ(a; n, p )
dove p ≡ [(r/δ) − d]/(u − d), p’ ≡ [u/(r/δ)]p e Φ(a; n, p) [Φ(a; n, p’)] è la
probabilità risk-neutral che si verifichino a o più rialzi quando la probabili-
tà di rialzo è p [p’].

213
DERIVATI

Figura 4.5 Albero per il prezzo di un Asset

σ t/n
S = 100 t = 0,25 r = 1,10 u≡ e = 1,06938
K= 0 σ = 0,3 d = 1,00 d ≡ 1/u = 0,935118
n= 5 r ≡ rt/n = 1,00478

p = (r – d)/(u – d) = 0,518814 139,85


130,78
122,29 122,29
114,36 114,36
106,94 106,94 106,94
100 100,00 100,00
93,51 93,51 93,51
87,44 87,44
81,77 81,77
76,47
71,50

Esempi
Il modello binomiale standard per la valutazione delle opzioni verrà ora
illustrato con diversi esempi numerici. Iniziamo con l’albero riportato nella
Figura 4.5.
Il primo passo per applicare il modello è quello di determinare i valori
delle variabili fondamentali: il prezzo corrente del sottostante, S, lo strike, K,
la vita residua, t, il riskless return, r, il payout return, d, e la volatilità, σ.
Il secondo passo è quello di fissare il numero degli intervalli, n, presen-
ti nell’albero. Come vedremo, è ragionevole scegliere un numero maggiore
di 30, ma perché l’esempio sia trattabile ci limiteremo a considerare n = 5.
Il terzo passo è quello di tradurre le variabili fondamentali nei para-
metri utilizzati dall’albero. Ad esempio, il riskless return, r, è espresso su
base annua (ad es. 1,10), mentre il modello binomiale richiede il riskless
return periodale, r. Dobbiamo quindi scegliere r in modo che rn = rt. Que-
sto vuol dire che il riskless return relativo all’intero periodo è lo stesso, sia
che venga espresso in base ai ritorni periodali sia che venga espresso in
base ai ritorni annui. Risolvendo l’equazione rispetto a r otteniamo r = rt/n.
Nel nostro esempio, r = 1,100,25/5 = 1,00478. Analogamente, si ha δ = dt/n.
Dobbiamo inoltre tradurre la volatilità, σ, ossia la deviazione standard
del logaritmo naturale del ritorno del sottostante, negli equivalenti bino-
miali, u e d. Una traduzione naturale, che giustificheremo più avanti, è

quella di porre log u⎯ = −log d = σ√t/n. Risolvendo rispetto a u e a d si ot-
tiene u = (1/d) = eσ√t/n. Queste formule hanno diverse implicazioni:
(1) u e d sono moltiplicativamente simmetrici; ossia, un rialzo seguito da
un ribasso porta il prezzo del sottostante al livello iniziale (ud = 1);

214
MODELLO BINOMIALE

Figura 4.6 Call europea (senza payouts)

σ t/n
S = 100 t = 0,25 r = 1,10 u≡ e = 1,06938
K = 100 σ = 0,3 d = 1,00 d ≡ 1/u = 0,935118
n= 5 r ≡ rt/n = 1,00478

p = (r – d)/(u – d) = 0,518814 39,85 = 139,85 – 100


31,25
23,24 22,29 = 122,29 – 100
16,49 14,83
11,26 9,37 6,94 = 106,96 – 100
7,45 5,73 3,58
3,41 1,85 0,00
0,96 0,00
0,00 0,00
Boundary condition: Cn = max(0, Sn – K) 0,00
Regola iterativa: Ci = [pCiu + (1 – p)Cid ]/r 0,00

(2) quanto più elevato è σ, tanto più alto è u e tanto più basso è d;
(3) maggiore è l’ampiezza dell’intervallo ⎯⎯⎯binomiale, t/n, più alto è u e più
basso è d. Nel nostro esempio, u = e0,3√ 0,25/5 = 1,06938 e d = 1/1,06938 =
0,935118.
Il quarto passo per applicare il modello binomiale è quello di guardare in
avanti e sviluppare l’albero con i prezzi del sottostante. Si inizia dal prezzo
corrente all’inizio dell’albero e si utilizzano i valori di u e d per ottenere
tutti i prezzi successivi. Nel nostro esempio, il prezzo iniziale è S = 100.
Alla fine del primo intervallo si ha 106,94 (uS = 1,06938 ×100) e 93,51 (=
dS = 0,935118 × 100). Alla fine del secondo intervallo si ha 114,36 [=
u(uS) = 1,06938 × 106,94], 100 [= d(uS) = u(dS) = 0,935118 × 106,94) e
87,44 [= d(dS) = 0,935118 × 93,51].
Il quinto passo è quello di calcolare la probabilità di rialzo risk-neutral:
p = 0,518814 [= (1,00478 − 0,935118)/(1,06938 − 0,935118)].
Il sesto passo è quello di andare alla fine dell’albero, là dove l’opzione
scade, e di scrivere il payoff dell’opzione in corrispondenza di ciascun no-
do. La formula per il payoff della call è max[0, S* − K]. I valori della call
ai nodi finali rappresentano le «condizioni al contorno» (boundary condi-
tions). Nella Figura 4.6 lo strike è pari a 100, per cui il payoff è max[0, S* −
100]. Nell’albero del sottostante riportato nella Figura 4.5, K era stato posto
uguale a 0 per indicare che lo stesso sottostante può essere visto come una
call con strike nullo. Nella Figura 4.5 i prezzi finali sono: 139,85; 122,29;
106,94; 93,51; 81,77 e 71,50. I corrispondenti payoffs della call con strike
100 sono: 39,85; 22,29; 6,94; 0; 0 e 0 (Figura 4.6). I nodi della Figura 4.6 in
corrispondenza dei quali l’esercizio è conveniente sono stati sottolineati.

215
DERIVATI

Figura 4.7 Call americana (con payouts)

S = 100 t = 0,25 r = 1,10 u ≡ eσ t / n = 1,06938


K = 100 σ = 0,3 d = 1,15 d ≡ 1/u = 0,935118
n= 5 r ≡ rt/n = 1,00478
δ ≡dt/n = 1,00701

p = [(r/δ) – d]/(u – d) = 0,466700 39,85


30,78
22,29 22,29
14,80 14,36
9,36 8,38 6,94
5,70 4,69 3,22
2,55 1,50 0,00
0,70 0,00
0,00 0,00
Boundary condition: Cn = max(0, Sn – K) 0,00
Regola iterativa: Ci = max{Si – K, [pCiu + (1 – p)Cid ]/r} 0,00

Il settimo e ultimo passo è quello di applicare ripetutamente la formula


binomiale che abbiamo ricavato per l’albero ad uno stadio. Ad esempio, il
valore di 14,83 è dato da [0,518814 × 22,29 + (1 − 0,518814) × 6,94)]/1,00478.
Si continua poi a tornare indietro nell’albero con i valori dell’opzione ai no-
di successivi che contribuiscono a determinare i valori dell’opzione ai nodi
precedenti. Infine, al primo nodo, il valore corrente dell’opzione, 7,45, è dato
da [0,518814 × 11.26 + (1 − 0,518814) × 3,41)] /1,00478.
Però, dato che la call è europea, potevano procedere più speditamente
applicando il principio della valutazione neutrale verso il rischio. Il valore
corrente dell’opzione, pari al valore atteso risk-neutral del payoff alla sca-
denza, attualizzato in base al riskless return, è pari a:

0,5195 × 39,85 + 5 × 0,519 4 (1 − 0,519 ) × 22,29 + 10 × 0,519 3 (1 − 0,519 )2 × 6,94


1,004785

ossia a 7,45, come dovevamo aspettarci.


L’esempio della Figura 4.7 è uguale al precedente, fatte due eccezioni:
il payout return, d, è pari a 1,15 (contro 1,00) e la call è americana (invece
che europea). Il diverso payout return non influenza i prezzi riportati
nell’albero del sottostante ma influenza la probabilità di rialzo risk-neutral,
p, che passa da 0,518814 a 0,466700. In effetti, la presenza dei payouts o-
stacola la possibilità di rialzo per il prezzo (ex-payouts) del sottostante.
L’unico altro cambiamento si verifica quando procediamo all’indietro
dalla fine dell’albero. Ora, in corrispondenza di ognuno dei nodi interni,
dobbiamo verificare la convenienza dell’esercizio anticipato.

216
MODELLO BINOMIALE

Figura 4.8 Put americana (senza payouts)

σ t/n
S = 100 t = 0,25 r = 1,10 u≡ e = 1,06938
K = 100 σ = 0,3 d = 1,00 d ≡ 1/u = 0,935118
n= 5 r ≡ rt/n = 1,00478

p = (r – d)/(u – d) = 0,518814 0,00


0,00
0,00 0,00
0,71 0,00
2,48 1,49 0,00
5,28 4,42 3,11
8,34 7,63 6,49 = 100 – 93,51
12,66 12,56
18,23 18,23 = 100 – 81,77
Boundary condition: Pn = max(0, K – Sn) 23,53
Regola iterativa: Pi = max{K – Si, [pPiu + (1 – p)Pid ]/r} 28,50 = 100 – 71,50

Se decidessimo di non esercitare, il valore dell’opzione in corrispondenza


del nodo più alto alla fine del quarto intervallo sarebbe pari a:
[0,466700 × 39,85 + (1 − 0,466700 ) × 22,29]/1,00478 = 30,34
Però, in caso d’esercizio, il valore dell’opzione sarebbe pari a 30,78 (= 130,78
− 100). Dato che l’exercisable value è maggiore dell’holding value, l’op-
zione verrebbe esercitata ed il suo valore sarebbe pari a 30,78. Pertanto,
questo è il valore riportato in corrispondenza del nodo. Il valore è stato sot-
tolineato per segnalare che, in quel nodo, l’opzione va esercitata.
Continuando a tornare indietro nell’albero in questo modo, ossia scri-
vendo in corrispondenza di ciascun nodo il maggiore tra l’exercisable
value e l’holding value, arriviamo finalmente all’inizio dell’albero, dove il
valore dell’opzione risulta pari a 5,70.
Questo valore incorpora il diritto di esercizio anticipato. Solo dopo es-
sere tornati indietro in questo modo possiamo capire che non raggiungere-
mo mai i nodi presenti nell’angolo in alto a destra, perché l’opzione verrà
esercitata prima che questi nodi vengano raggiunti. È per questo che i rami
presenti in questa parte dell’albero sono stati tratteggiati.
Nel caso dell’opzione europea siamo stati in grado di mostrare che il
principio della valutazione neutrale verso il rischio consente una scorcia-
toia ai fini della determinazione del valore dell’opzione. Purtroppo, nel ca-
so di un’opzione americana scritta su un sottostante con payouts, questa
scorciatoia non è disponibile.24 Non possiamo evitare di verificare ad ogni
nodo la convenienza dell’esercizio anticipato. Il valore dell’opzione dipende
anche dalla possibilità di un più elevato payoff ai nodi interni.

217
218
DERIVATI

Payoff Numero dei sentieri Path probability Nodal probability Riskless return Valore corrente del payoff
(1) (2) (3) (4)= (2) × (3) (5) (6) = (1) × (4) / (5)

0.00 1 p5 = 0,037589 1p5 = 0,037589 r5 = 1,024130 0.000

0.00 5 p4(1 – p) = 0,034863 5p4(1 – p) = 0,174313 r5 = 1,024130 0.000

0.00 10 p3(1 – p)2 = 0,032334 10p3(1 – p)2 = 0,323341 r5 = 1,024130 0.000

6.49 6 p2(1 – p)3 = 0,029989 6p2(1 – p)3 = 0,179924 r5 = 1,024130 1.149

12.56 3 p(1 – p)3 = 0,057803 3p(1 – p)3 = 0,173409 r4 = 1,019258 2.136

18.23 1 (1 – p)3 = 0,111414 1(1 – p)3 = 0.111414 r3 = 1,014409 2.002


Tavola 4.4 Put americana (senza payouts)

Totale 1,00000 Valore della put = 5,28


MODELLO BINOMIALE

Figura 4.9 Put americana (con payouts)

S = 100 t = 0,25 r = 1,10 u ≡ eσ t / n = 1,06938


K = 100 σ = 0,3 d = 1,15 d ≡ 1/u = 0,935118
n= 5 r ≡ rt/n = 1,00478
δ ≡dt/n = 1,00701

p = [(r/δ) – d]/(u – d) = 0,466700 0,00


0,00
0,00 0,00
0,97 0,00
3,25 1,83 0,00
6,65 5,27 3,44
9,69 8,33 6,49
13,65 12,69
18,42 18,23
Boundary condition: Pn = max(0, K – Sn) 23,59
Regola iterativa: Pi = max{K – Si, [pPiu + (1 – p)Pid ]/r} 28,50

La Figura 4.8 considera il caso di una put americana. L’unica differen-


za è che dobbiamo sostituire i valori alla fine dell’albero con i payoffs della
put. Ricordiamoci che i prezzi del sottostante ai nodi finali sono: 139,85;
122,29; 106,94; 93,51; 81,77 e 71,50. Con uno strike di 100, i corrispon-
denti payoffs della put sono: 0; 0; 0; 6,49; 18,23 e 28,50. Per il resto, pro-
cediamo come prima fino ad ottenere il valore corrente della put, 5,28.
Sappiamo già che, nel caso della put americana, l’esercizio anticipato
può essere conveniente anche se il sottostante non effettua distribuzioni.
Non possiamo quindi valutare l’opzione attualizzandone il valore atteso
risk-neutral in base al riskless return. Siamo costretti a tornare indietro
nell’albero verificando in ciascun nodo la convenienza dell’esercizio anti-
cipato. In effetti, com’è indicato dalla sottolineatura (Figura 4.8), la put va
esercitata prima della scadenza se è sufficientemente in-the-money.
Tuttavia, se sappiamo quand’è che la put verrà esercitata, possiamo
valutarla applicando il principio della valutazione neutrale verso il rischio.
Ecco come dobbiamo procedere. In base alla Figura 4.8, sappiamo che i
payoffs dell’opzione sono 0; 6,49; 12,56 e 18,23. Esaminando l’albero, pos-
siamo calcolare la probabilità risk-neutral associata ad ognuno di questi
payoffs. I nostri risultati sono riportati nella Tavola 4.4.
Purtroppo, la valutazione effettuata nella tavola presuppone la cono-
scenza del momento in cui l’esercizio anticipato risulta conveniente − e que-
sta informazione la otteniamo solo tornando indietro nell’albero.
Il nostro ultimo esempio è uguale al precedente fatta eccezione per i
payouts (Figura 4.9). Si noti che la presenza dei payouts può far sì che
l’esercizio anticipato non sia più conveniente. Il motivo è semplice. La di-

219
DERIVATI

stribuzione dei payouts tende a far aumentare l’holding value della put dato
che, continuando a tenerla in vita, possiamo evitare di effettuare i paga-
menti cui è tenuto chi vende il sottostante allo scoperto.
Tuttavia, se aumentiamo il numero, n, degli intervalli senza cambiare la
vita residua dell’opzione, vedremo che l’esercizio anticipato risulterà con-
veniente. In qualche nodo prossimo alla scadenza, il prezzo del sottostante
sarà talmente piccolo che poco valore potrebbe essere aggiunto dalla vola-
tilità. Inoltre, avendo ipotizzato che i payouts siano pari ad una quota co-
stante, δ, del prezzo del sottostante, quando il prezzo del sottostante è suf-
ficientemente basso la perdita di payouts conseguente alla consegna antici-
pata del sottostante sarebbe relativamente piccola. Invece, dato che lo strike
resta sempre pari a K, gli interessi che si guadagnano ricevendo K in antici-
po sono sempre gli stessi. In qualche nodo questo beneficio prevarrà e la
put verrà esercitata anticipatamente anche in presenza di payouts. Non è
questo il caso della put americana della Figura 4.9 perché la griglia dei
prezzi non è sufficientemente fine in prossimità della scadenza.

Sentieri campionari
L’albero binomiale segue un approccio poco intelligente (o da computer).
Non sapendo logicamente o intuitivamente come escludere certi risultati,
considera laboriosamente ogni possibilità, quale che sia la sua rilevanza o
probabilità. L’albero binomiale riporta ogni possibile risultato per il prezzo
del sottostante, non solo mostrando dove può finire alla scadenza ma anche
come può esserci arrivato. Le possibili strade (Figura 4.10) per andare
dall’inizio alla fine dell’albero sono chiamate «sentieri campionari» (sam-
ple path). I sentieri campionari rappresentano campioni, o esempi, di ciò
che potrebbe succedere in futuro.
In genere, uno stesso nodo finale può essere raggiunto da diversi sen-
tieri. La Figura 4.10 illustra questa possibilità per il caso Suddud = Sddduu.
In effetti, il triangolo di Pascal ci dice che questo nodo può essere raggiun-
to seguendo 10 diversi sentieri. Le opzioni europee ordinarie sono relati-
vamente facili da valutare perché i loro payoffs dipendono solo dai nodi
finali dell’albero; in altri termini, i payoffs sono funzioni solo di S* perché i
diversi modi con cui si giunge allo stesso nodo producono lo stesso payoff.
Pertanto, il valore corrente dell’opzione può dipendere solo dai nodi finali, non
dai sentieri seguiti per arrivarci. È per questo che le opzioni europee sono
«sentiero-indipendenti» (path-independent).

Consideriamo ora le opzioni americane. I loro payoffs possono dipendere dai


prezzi del sottostante osservati prima della scadenza. Ad esempio, i due sen-
tieri messi in evidenza nella Figura 4.10 portano entrambi allo stesso nodo
finale, ma l’esercizio anticipato di una put americana potrebbe essere conve-
niente lungo il sentiero inferiore e non lungo l’altro sentiero. In tal caso, il
payoff dell’opzione dipenderebbe dal sentiero effettivamente seguito.

220
MODELLO BINOMIALE

Figura 4.10 Sentieri campionari

II«sentieri
«sentiericampionari»
campionari»
(sample
(samplepaths)
paths)sono
sonosequenze
sequenze
di
dirialzi
rialzieeribassi
ribassidall’inizio
dall’inizioalla
alla
fine
finedell’albero.
dell’albero.

S
Suddud = Sddduu
Le
Leopzioni
opzionisono
sono«sentiero-
«sentiero-
indipendenti»
indipendenti»(path-independent)
(path-independent)
se
seililloro
loropayoff
payoffdipende
dipendesolo
solodal
dal
valore
valoredeldelsottostante
sottostanteosservato
osservato
alla
allascadenza.
scadenza.

Altre opzioni fuori standard o esotiche hanno payoffs che sono diretta-
mente definiti in termini del sentiero seguito dal prezzo del sottostante. Ad
esempio, i payoffs delle opzioni lookback dipendono non solo dal prezzo
finale del sottostante ma anche dal prezzo minimo o dal prezzo massimo
osservato durante la vita dell’opzione. Queste opzioni «sentiero-dipen-
denti» (path-dependent) sono notoriamente difficili da valutare rispetto
alle calls e alle puts europee o americane, anche se gli ingegneri finanziari
hanno fatto notevoli progressi negli ultimi anni.
Il modello binomiale standard presenta alcune caratteristiche curiose.
Innanzitutto, abbiamo assunto che, partendo da un qualsiasi nodo
dell’albero per il sottostante, un rialzo seguito da un ribasso porta allo stes-
so nodo cui si giunge dopo un ribasso seguito da un rialzo. In altri termini:
ud = du. A causa di questa caratteristica, diciamo che l’albero si ricombina.
Ma ciò non è necessariamente vero in generale. Ad esempio, supponiamo
che il sottostante abbia un payout, D, costante piuttosto che un payout re-
turn, δ, costante e che u e d misurino i cum-payout returns. In questo caso,
l’albero dei prezzi ex-payout potrebbe assumere la seguente forma:

u(uS – D) – D
uS – D
d(uS – D) – D
S
u(dS – D) – D
dS – D
d(dS – D) – D

221
DERIVATI

Figura 4.11 Alberi binomiali: sentieri

‰ Recombining paths Non-recombining paths


u
u
d d'
ud = du ud' ≠ du'
u u'
d
d

‰ Tutti i sentieri che conducono allo stesso nodo hanno la stessa


probabilità neutrale verso il rischio

p
1–p
p(1 – p) =(1 – p)p
p
1–p

L’albero non si ricombina più dato che d(uS − D) − D ≠ u(dS − D) − D.


Un altro motivo per considerare un albero che non si ricombina è che in
alcuni casi è rilevante il sentiero che è stato effettivamente seguito. Se sia-
mo nei nodi intermedi di un albero che si ricombina, le future possibilità
dipendono solo dal valore corrente nel nodo, non dal sentiero che ci ha por-
tato a quel nodo. Ad esempio, se ci troviamo nel nodo centrale alla fine del
secondo intervallo, in un albero a tre stadi, non importa se ci siamo arrivati
dopo un rialzo e un ribasso invece che dopo un ribasso e un rialzo.
Purtroppo, gli alberi che non si ricombinano possono essere numerica-
mente intrattabili. Col crescere del numero degli intervalli, l’albero che pri-
ma cresceva linearmente da 1 a 2 a 3 a 4 a ... n nodi cresce ora esponenzial-
mente da 1 a 2 a 4 a 8 a ... 2n nodi. Se n > 25, si supera la capacità di memo-
ria dei moderni computers. Questo è il motivo per cui cerchiamo di formula-
re i problemi binomiali in termini di alberi che si ricombinano.
Un’altra caratteristica del modello binomiale standard è che, se stiamo in
un qualsiasi nodo dell’albero, la probabilità risk-neutral di esserci arrivati
con uno dei sentieri che dall’inizio dell’albero portano a quel nodo è sempre
la stessa (Figura 4.11). Ad esempio, se ci troviamo nel nodo intermedio alla
fine del secondo intervallo, la probabilità di esserci arrivati dopo un rialzo e
un ribasso, [p(1 − p)], è uguale alla probabilità di esserci arrivati dopo un ri-
basso e un rialzo, [(1 − p)p].

Volatilità
Nella maggior parte delle circostanze economiche in cui è coinvolta una
variabile casuale, esistono tre tipi di volatilità:

222
MODELLO BINOMIALE

(1) la volatilità oggettiva a livello di popolazione, ossia la vera volatilità


della variabile casuale − vera nel senso che, se la storia potesse ripeter-
si molte volte, la volatilità osservata della variabile casuale tenderebbe
in media a convergere verso questa volatilità;
(2) la volatilità soggettiva a livello di popolazione, ossia la volatilità che i
soggetti economici rilevanti credono governi la variabile casuale − cioè
la loro migliore stima della volatilità oggettiva a livello di popolazione;
(3) la volatilità campionaria, ossia la volatilità misurata storicamente sulla
base delle osservazioni della variabile casuale.
Nel modello binomiale standard queste tre volatilità coincidono. Si assume
che tutti gli investitori credano nello stesso albero binomiale. Tutti credono
che il prezzo del sottostante segua un processo binomiale e che l’albero si
ricombini, cosicché un rialzo seguito da un ribasso porti allo stesso nodo di
un ribasso seguito da un rialzo. E tutti hanno la stessa stima della dimen-
sione dei rialzi e dei ribassi in ciascun nodo dell’albero. In effetti, se così
non fosse, due investitori valuterebbero in modo diverso la stessa opzione
europea. Pertanto, quale che sia il prezzo di mercato, almeno uno dei due
riterrebbe di poter sfruttare un’opportunità di arbitraggio. Dato che abbia-
mo escluso che esistano opportunità di arbitraggio, abbiamo di fatto ipotiz-
zato che le volatilità (1) e (2) siano identiche.
Inoltre, tutti gli investitori credono che i rialzi e i ribassi siano di ugua-
le intensità in ogni nodo dell’albero e che u = 1/d. Pertanto, log u = −log d
e quindi (log u)2 = (log d)2. Ciò vuol dire che, lungo qualsiasi sentiero
dell’albero, la volatilità campionaria (logaritmica) intorno ad una media
nulla sia sempre la stessa. Ad esempio, consideriamo due sentieri di un al-
bero a 5 stadi: u, d, u, u, d e d, d, d, u, u. La varianza campionaria del pri-
mo sentiero è:

{[log(u )]
2
}
+ [log(d )]2 + [log(u )]2 + [log(u )]2 + [log(d )]2 / 5 = [log(u )]2

La varianza campionaria del secondo sentiero è:

{[log(d )]
2
}
+ [log(d )]2 + [log(u )]2 + [log(u )]2 + [log(u )]2 / 5 = [log(u )]2

Questa è una situazione fuori dal comune. Nella vita reale, la storia vissuta
può essere interpretata come un campione estratto da una popolazione di
possibili storie. Sarebbe davvero strano se ogni campione avesse la stessa
volatilità.

Limite in tempo continuo


Consentitemi di raccontare la storia di una giovane scimmia che si trovava
nel punto A, ai piedi di una montagna. Salì tre scalini per raggiungere il
monastero che si trovava nel punto C, in cima alla montagna (si veda il

223
DERIVATI

Figura 4.12 Alberi binomiali: limite in tempo continuo

‰ Il sentiero del prezzo è continuo ma non è differenziabile


C C C
Anno 1 Anno 2 Anno 3

⇒ ⇒

A B A B A B

‰ Non converge verso:


C
Anno ∞

A B

diagramma per l’anno 1 nella Figura 4.12). Se misuriamo il percorso effet-


tuato, sia in orizzontale sia in verticale, la distanza coperta è uguale a AB +
BC. L’anno dopo, nell’anno 2, la scimmia ritorna ma trova che il numero
degli scalini è raddoppiato. Comunque, è chiaro che per raggiungere la vet-
ta deve ancora coprire una distanza pari a AB + BC. Nel terzo anno, la
scimmia torna ancora una volta e trova che il numero degli scalini è nuo-
vamente raddoppiato, ma la distanza che copre per raggiungere il monaste-
ro è sempre la stessa, AB + BC. Pertanto, se il numero dei gradini continua
ad essere raddoppiato, la distanza percorsa dalla scimmia è comunque
sempre la stessa.
Potremmo pensare che continuando ad aumentare il numero dei gradi-
ni, al limite (nell’anno ∞) finiremmo con l’ottenere il diagramma riportato
nella parte in basso della Figura 4.12, dove i gradini convergono verso una
diagonale. Sbaglieremmo. In tal caso la distanza percorsa sarebbe troppo
breve, dato che AC < AB + BC.
Questo esempio illustra il fatto che, data una certa scadenza t, se au-
mentiamo il numero degli intervalli, n, dell’albero binomiale nel periodo in
questione, i sentieri presenteranno comunque piccole discontinuità del
prezzo del sottostante. Al limite, anche se il sentiero sarà continuo (nel
senso che verrà tracciato senza mai togliere la penna dal foglio), tuttavia
sarà sempre a zig zag (come i gradini che portano al monastero). Non im-
porta quanto grande possa essere n, in principio saremo sempre in grado di
trovare un microscopio sufficientemente potente che ogni intervallo conte-
nente una sequenza di rialzi e di ribassi, sufficientemente ingrandito, si
presenterà come nella seguente figura:

224
MODELLO BINOMIALE

Rette tangenti

Questo esempio illustra anche perché il sentiero non sia differenziabile,


dato che per ogni punto c’è un numero infinito di rette tangenti.

Alberi impliciti
Supponiamo che, invece di conoscere la dimensione dei rialzi (u) e dei ribas-
si (d), eventualmente stimati in base alla volatilità σ, siano noti i prezzi cor-
renti di alcune calls europee, con diversi prezzi d’esercizio e la stessa sca-
denza (t = 0,25), scritte sullo stesso sottostante (S = 100, d = 1,00). Possiamo
allora ricavare l’albero binomiale “implicito” che è coerente con queste in-
formazioni. In altri termini, l’«albero binomiale implicito» (implied binomial
tree) finisce col produrre, per tutte le opzioni, valori che sono uguali ai prezzi
di mercato. È questo il problema inverso discusso nel Capitolo 1. L’approc-
cio è analogo a quello seguito quando si stima la term structure degli spot
returns, o dei forward returns, dai prezzi correnti di obbligazioni con diverse
scadenze.
Nell’esempio seguente, illustrato nella Figura 4.13, vedremo come si
stima l’albero binomiale coerente con i prezzi del sottostante e di cinque
calls che scadono dopo cinque intervalli binomiali:

Strike Prezzo corrente


0 100,00
80 22,10
90 13,70
100 7,45
115 2,15
130 0,36

Ecco come si deve procedere.


Passo 1 Se non esistono opportunità di arbitraggio e i mercati sono perfetti,
possiamo applicare il principio della valutazione neutrale verso il rischio.
Nel caso di un albero binomiale a 5 stadi, il prezzo corrente di ognuna del-
le 5 calls, C(K), deve essere uguale al valore atteso risk-neutral del suo
payoff, attualizzato in base al riskless return:

C (K i ) = ⎡
⎢⎣ ∑ j Pj max(0, S j − K i )⎤⎥⎦ / r 5 per i = 1, 2 , 3, 4, 5

225
DERIVATI

Figura 4.13 Alberi impliciti

C(K1 = 80) = 22,10 σ t/n


S = 100 t = 0,25 r = 1,10 u≡ e = ?
C(K2 = 90) = 13,70
K= 0 σ= ? d = 1,00 C(K3 = 100) = 7,45 d ≡ 1/u = ?
C(K4 = 115) = 2,15
n= 5 C(K5 = 130) = 0,36 r ≡ rt/n = 1,00478

S5 = 139,85 (P5 = ?)
p = (r – ? )/( ? – ? )= ?
?
? S4 = 122,29 (P4 = ?)
? ?
? ? S3 = 106,94 (P3 = ?)
100 ? ?
? ? S2 = 93,51 (P2 = ?)
? ?
? S1 = 81,77 (P1 = ?)
Principio della risk-neutral valuation ?
C(Ki) = ΣjPjmax(0, Sj – Ki)/r5 S =ΣjPjSj/r5 S0 = 71,50 (P0 = ?)

dove Pj è la probabilità nodale risk-neutral associata al prezzo finale, Sj,


del sottostante (j = 0, 1, 2, 3, 4, 5).
Inoltre, anche il prezzo corrente dell’attività sottostante deve essere pa-
ri al valore atteso risk-neutral del suo payoff, attualizzato in base al riskless
return:

S = ⎛⎜
⎝ ∑ j Pj S j ⎞⎟⎠ / r 5
Confrontando le due equazioni, possiamo notare che il sottostante viene
valutato come se fosse una call con strike pari a 0.
Abbiamo quindi un sistema di sei equazioni in sei incognite: P0, P1, P2,
P3, P4 e P5 (Tavola 4.5):

C (K 5 ) = 0,36 = [P5 × (139,85 − 130)]/ 1,004785


C (K 4 ) = 2,15 = [P4 × (122,29 − 115) + P5 × (139,85 − 115)]/ 1,004785
C (K 3 ) = 7,45 = [P3 × (106,94 − 100) + P4 × (122,29 − 100 ) +
P5 × (139,85 − 100)]/ 1,004785
C (K 2 ) = 13,70 = [P2 × (93,51 − 90) + P3 × (106,94 − 90 ) +
P4 × (122,29 − 90 ) + P5 × (139,85 − 90 )]/ 1,004785
C (K1 ) = 22,10 = [P1 × (81,77 − 80 ) + P2 × (93,51 − 80 ) + P3 × (106,94 − 80 ) +
P4 × (122,29 − 90 ) + P5 × (139,85 − 90 )]/ 1,004785

226
MODELLO BINOMIALE

S = 100,00 = (P0 × 71,50 + P1 × 81,77 + P2 × 93,51 + P3 × 106,94 +


P4 × 122,29 + P5 × 139,85) / 1,004785

Risolvendo la prima equazione rispetto a P5 si ottiene P5 = 0,037589. So-


stituendo P5 nella seconda equazione e risolvendo rispetto a P4 si ottiene P4
= 0,174313. Sostituendo P4 e P5 nella terza equazione si ottiene P3 =
0,323341. Continuando in questo modo, P2 = 0,299890, P1 = 0,139070 e P0
= 0,025797.
Si noti che le probabilità soddisfano l’ulteriore condizione secondo la
quale P0 + Pl + P2 + P3 + P4 + P5 = 1.
Passo 2 Come abbiamo già notato, il modello binomiale standard gode del-
la proprietà secondo cui i sentieri che portano allo stesso nodo hanno tutti
la stessa probabilità risk-neutral. Pertanto, le probabilità risk-neutral, Pj,
associate ai sentieri che terminano nei nodi finali dell’albero sono:

P0 = P0 / 1 = 0,025797 / 1 = 0,025797
P1 = P1 / 5 = 0,139070 / 5 = 0,027814
P2 = P2 / 10 = 0,299890 / 10 = 0,029989
P3 = P3 / 10 = 0,323341 / 10 = 0,033341
P4 = P4 / 5 = 0,174313 / 5 = 0,034863
P5 = P5 / 1 = 0,037589 / 1 = 0,037589

Passo 3 Siamo ora pronti per calcolare la probabilità di rialzo in ciascun


nodo. Consideriamo una qualsiasi coppia di nodi adiacenti

p
Pj+1

Pi + Pj+1

Pj
1–p

dove Pj e Pj+1 sono le probabilità risk-neutral che uno dei sentieri finisca al
nodo finale j e j + 1, rispettivamente. Tornando indietro di un periodo, la
probabilità risk-neutral che un sentiero arrivi in quel punto è pari alla som-
ma delle probabilità di muoversi lungo uno dei due rami che conducono ai
nodi finali. Pertanto, la probabilità risk-neutral che uno dei sentieri arrivi
al nodo precedente è semplicemente Pj + Pj+1.
Passo 4 La probabilità di rialzo, p, ossia la probabilità di arrivare ad un
certo nodo, condizionata dal trovarsi nel nodo inferiore precedente, è pari a
Pj+1/(Pj + Pj+ 1).

227
228
DERIVATI

5 5

C (K j ) =
∑ j =0 Pj max(0, S j − K ) e S=
∑ j =0 P j S j
r5 r5

C(K5) = 0,36 = [P5(139,85 – 130)]/1,004785 ⇒ P5 = 0,037589

C(K4) = 2,15 = [P4(122,29 – 115) + P5(139,85 – 115)]/1,004785 ⇒ P4 = 0,174313

C(K3) = 7,45 = [P3(106,94 – 100) + P4(122,29 – 100) + P5(139,85 – 100)]/1,004785 ⇒ P3 = 0,323341

C(K2) = 13,70 = [P2(93,51 – 90) + P3(106,94 – 90) + P4(122,29 – 90) + P5(139,85 – 90)]/1,004785 ⇒ P2 = 0,299890

C(K1) = 22,10 = [P1(81,77 – 80) + P2(93,51 – 80) + P3(106,94 – 80) + P4(122,29 – 80) + P5(139,85 – 80)]/1,004785 ⇒ P1 = 0,139070
Tavola 4.5 Alberi impliciti: probabilità nodali

S = 100,00 = [P0(71,50) + P1(81,77) + P2(93,51) + P3(106,94) + P4(122,29) + P5(139,85)]/1,004785 ⇒ P0 =0,025797


MODELLO BINOMIALE

Possiamo calcolarla considerando due nodi adiacenti:

p = P5 / (P4 + P5 ) = P4 / (P3 + P4 ) = P3 / (P2 + P3 ) = P2 / (P1 + P2 ) = P1 / (P0 + P1 )


= 0,518814

Passo 5 Note le probabilità di rialzo, p, e di ribasso, (1 − p), possiamo ap-


plicare il principio della valutazione neutrale verso il rischio per calcolare i
prezzi del sottostante alla fine del penultimo periodo.
Per ogni coppia di nodi finali adiacenti, con prezzi Sj e Sj+1, il prezzo
del sottostante alla fine del penultimo periodo deve essere pari a [(1 − p) Sj
+ pSj+1]/r:

[(1 − p )S 0 + pS1 ]/ r = (0,481186 × 71,50 + 0,518814 × 81,77 ) / 1,00478 = 76,47


[(1 − p )S1 + pS 2 ]/ r = (0,481186 × 81,77 + 0,518814 × 93,51)/ 1,00478 = 87,44
[(1 − p )S 2 + pS 3 ]/ r = (0,481186 × 93,51 + 0,518814 ×106,94)/ 1,00478 = 100,00
[(1 − p )S 3 + pS 4 ]/ r = (0,481186 ×106,94 + 0,518814 ×122,29)/ 1,00478 = 114,36
[(1 − p )S 4 + pS 5 ]/ r = (0,481186 ×122,29 + 0,518814 ×139,85)/ 1,00478 = 130,78

Questi prezzi sono uguali a quelli dell’albero binomiale riportato nella


Figura 4.5.
Passo 6 Infine, possiamo calcolare u e d in base ai prezzi di una qualsiasi
coppia di prezzi adiacenti, Sj e Sj+1:

S1 S2 S3
u= = =
[(1 − p )S 0 + pS1 ]/ r [(1 − p )S1 + pS 2 ]/ r [(1 − p )S 2 + pS3 ]/ r
S4 S5
= =
[(1 − p )S3 + pS 4 ]/ r [(1 − p )S 4 + pS5 ]/ r
= 1,06938

S0 S1 S2
d= = =
[(1 − p )S 0 + pS1 ]/ r [(1 − p )S1 + pS 2 ]/ r [(1 − p )S 2 + pS3 ]/ r
S3 S4
= =
[(1 − p )S3 + pS 4 ]/ r [(1 − p )S 4 + pS5 ]/ r
= 0,935118
Piuttosto che assumere di conoscere u e d per poi ricavare il valore delle op-
zioni, abbiamo fatto il contrario: abbiamo assunto di conoscere i prezzi delle
opzioni e li abbiamo utilizzati per trovare l’albero binomiale implicito.

229
DERIVATI

In questo esempio, i prezzi delle opzioni sono stati fissati in modo da


generare il nostro albero binomiale originale. Ma il metodo di stima è del
tutto generale e funziona quali che siano i prezzi delle opzioni (purché sia-
no precluse opportunità di arbitraggio). Se i prezzi delle opzioni sono arbi-
trari, allora, per essere coerenti con questi prezzi, l’albero implicito avrà
valori di u e d diversi da nodo a nodo e quindi una diversa volatilità “loca-
le” del sottostante in corrispondenza dei diversi nodi. Questa generalizza-
zione può rivelarsi molto utile dato che spesso i prezzi di mercato delle op-
zioni non sono conformi alla volatilità costante ipotizzata – attraverso la
costanza di u e d – dal modello binomiale standard.

Sommario: modello a più stadi


Il principale difetto del modello binomiale ad uno stadio viene superato
quando il modello viene esteso a più stadi. Passando dal presente al futuro
possiamo costruire, per i prezzi del sottostante, un albero binomiale che si
ricombina. Ogni sentiero dell’albero rappresenta un campione estratto
dall’universo delle possibili evoluzioni future. Il valore corrente dell’op-
zione viene quindi calcolato invertendo il processo, tornando cioè indietro
dalla fine all’inizio dell’albero (e facendo attenzione, nel caso delle opzioni
americane, a valutare in ogni nodo la convenienza dell’esercizio anticipa-
to). Nel caso delle opzioni europee, il principio della valutazione neutrale
verso il rischio ci consente una scorciatoia: possiamo calcolare il valore
corrente dell’opzione attualizzandone il valore atteso risk-neutral in base al
riskless return. Con un po’ di algebra, abbiamo ricavato una semplice for-
mula per il valore corrente di un’opzione europea con vita residua pari ad
un numero arbitrario di intervalli.
Con una serie di esempi abbiamo illustrato il metodo di induzione in
avanti, per costruire l’albero con i prezzi del sottostante, e di induzione
all’indietro, per determinare il valore corrente delle calls e puts europee e
americane, con o senza payouts.
Abbiamo quindi discusso alcune curiose proprietà degli alberi binomia-
li, riguardanti i sentieri campionari e la path-independence. È una fortuna
che il modello binomiale standard si basi su alberi che si ricombinano, per-
ché altrimenti l’onere dei calcoli diventerebbe presto proibitivo al crescere
del numero degli intervalli. Tutti i sentieri che conducono allo stesso nodo
hanno la stessa probabilità risk-neutral. I diversi tipi di volatilità − obietti-
va, soggettiva e osservata − che sono in genere diversi, sono invece indi-
stinguibili negli alberi binomiali che si ricombinano. Infine, quando il nu-
mero degli intervalli tende all’infinito (ferma restando la vita dell’opzio-
ne), il sentiero campionario, che pure è continuo, non è derivabile in alcun
punto.
Abbiamo visto in precedenza che la term structure degli spot returns e
dei forward returns può essere stimata in base ai prezzi di obbligazioni con
diverse scadenze. Analogamente, possiamo risolvere il problema inverso

230
MODELLO BINOMIALE

dell’albero binomiale, stimandone i parametri sulla base dei prezzi di op-


zioni europee con diversi strikes. È questo il cosiddetto albero binomiale
implicito.

4.3 LETTERE GRECHE


Delta
Oltre a determinare il valore di un’opzione, è importante anche sapere
come questo valore cambia al variare delle sue determinanti. Naturalmen-
te, la principale variabile è rappresentata dal prezzo dell’attività sottostan-
te. Un modo per stimare la derivata del valore dell’opzione rispetto al
prezzo dell’attività sottostante è quello di calcolare due valori per l’opzio-
ne, uno sulla base di S e l’altro sulla base di S + ε (dove ε è un piccolo nu-
mero positivo), ferme restando tutte le altre variabili. Se indichiamo
con C il valore dell’opzione basato su S e con C+ il valore dell’opzione
basato su S + ε, una stima della derivata è rappresentata da (C+ − C)/ε.
Questo rapporto ci dice approssimativamente di quanto cambierà il prezzo
dell’opzione a seguito di un piccolo aumento dell’attività sottostante. Ad
esempio, se il rapporto è pari a 0,67, ci dovremmo attendere, in prima ap-
prossimazione, che il prezzo dell’opzione salga di $0,67 se il prezzo del
sottostante aumenta di $1,00. Pertanto, per piccole variazioni del sottostan-
te, la disponibilità dell’opzione equivale alla disponibilità di 0,67 unità del
sottostante.
Il rapporto (C+ − C)/ε ha un’altra interpretazione: è il numero di unità
del sottostante nel portafoglio equivalente ed è meglio noto tra gli investi-
tori come il delta dell’opzione.
Il modello binomiale offre anche un altro modo per calcolare il delta.
Ricordiamoci che la formula per determinare il numero di azioni da inseri-
re nel portafoglio equivalente è:

∆ = (C u − Cd ) /[δ(u − d )S ]

dove non è un caso che il simbolo greco scelto per rappresentare questo
concetto sia proprio il delta, ∆. La formula definisce un rapporto incremen-
tale. Il denominatore è la differenza tra due diversi prezzi (cum payouts)
del sottostante, δuS − δdS, e il numeratore è la differenza tra i corrispon-
denti valori delle opzioni (in effetti, ∆ è anche influenzato dal passaggio
del tempo lungo l’albero, ma per un albero con intervalli sufficientemente
piccoli, il passaggio del tempo ha decisamente un effetto di second’ordine
sul prezzo dell’opzione).
Il delta può quindi essere facilmente calcolato. Tornando indietro
nell’albero, fermiamoci un periodo prima dell’inizio, osserviamo i due va-
lori dell’opzione, Cu e Cd, e svolgiamo i calcoli mostrati nella Figura 4.14.
Il delta è il numero di unità del sottostante nel portafoglio equivalente.
Se però utilizziamo un albero binomiale con pochi intervalli e vogliamo

231
DERIVATI

Figura 4.14 Alberi binomiali: delta

Cuuu
Cuu
Cu Cuud
Cu − Cd
∆ Cud ∆=
δ(u − d)S
Cd Cudd
Cdd
Cddd
Se d = 1/u, un’approssimazione del delta un po’ più accurata (per n → ∞) è:
∆ = (C+ – C–) / [(u2 – d2)S]
+ –
dove C (C ) è il valore corrente dell’opzione se il prezzo corrente del sottostante
fosse Su2 (Sd2) invece di S. I valori di C+ e C– si ottengono estendendo l’albero
binomiale all’indietro di due periodi e considerando i nodi sopra e sotto C.

approssimare il delta che risulterebbe se l’albero avesse un numero molto


maggiore di intervalli (n → ∞), possiamo allora ottenere una stima un po’
più accurata se costruiamo un albero con due periodi nel passato e calco-
liamo il delta in base ai prezzi del sottostante nei nodi sopra e sotto il prez-
zo corrente (alla fine del secondo intervallo), com’è illustrato nel seguente
diagramma:

Cuuu
+
C Cuu
Cu Cuud
C Cud
Cd Cudd
C– Cdd
Cddd

C+ − C−
∆=
(u 2
− d2 S)
232
MODELLO BINOMIALE

Figura 4.15 Alberi binomiali: gamma

Cuuu
Cuu − Cud
Cuu ∆u =
δ(u − d)uS
∆u Cuud
∆u − ∆ d
Γ Cud Γ=
δ(u − d)S
∆d Cudd
Cdu − Cdd
Cdd ∆d =
δ(u − d)dS
Cddd
Se d = 1/u, un’approssimazione del gamma un po’ più accurata (per n → ∞) è:
Γ = { [(C+ – C)/(u2 –1)S] – [(C – C–)/(1 – d2)S] } / [(u2 –d2)S]
dove C+ (C–) è il valore corrente dell’opzione se il prezzo corrente del sottostante
fosse Su2 (Sd2) invece di S. I valori di C+ e C– si ottengono estendendo l’albero
binomiale all’indietro di due periodi e considerando i nodi sopra e sotto C.

Gamma
Il delta è un parametro così importante che gli option traders vogliono
anche sapere di quanto il delta si modifica quando il prezzo del sottostante
cambia. Questa derivata seconda è chiamata gamma, Γ.
Per le calls, ad esempio, al crescere del prezzo del sottostante, il delta (il
numero di unità del sottostante nel portafoglio equivalente) aumenta, passan-
do da un minimo prossimo a 0 ad un massimo prossimo a 1. Pertanto, le calls
lunghe sono “gamma-positive” dato che il loro delta aumenta col crescere del
prezzo del sottostante. Invece, le calls corte sono “gamma-negative”. Il se-
gno del gamma è una misura della convessità del payoff dell’opzione. Le po-
sizioni su opzioni con payoff convesso sono gamma-positive. Le posizioni su
opzioni con payoff concavo sono gamma-negative.
Le posizioni su opzioni con gamma molto positivi o molto negativi
possono essere pericolose per la vostra salute finanziaria. I motivi sono due:
(1) se vi coprite per neutralizzare le variazioni di valore dell’opzione e il
delta cambia rapidamente (dato che il gamma è elevato), può essere dif-
ficile aggiustare dinamicamente la copertura per far fronte alla mutevo-
le esposizione dell’opzione rispetto al prezzo del sottostante. L’aggiu-
stamento può comportare pesanti costi di transazione.
(2) in pratica, la volatilità del sottostante è essa stessa incerta. Se sale, i
prezzi della call tendono a salire e, se scende, tendono a scendere. Le
posizioni con gamma elevati sono più sensibili alle variazioni di volati-
lità rispetto alle posizioni con gamma bassi. Per fare un caso estremo, il
prezzo di un’opzione è ovviamente più sensibile alle variazioni di vola-
tilità che non il prezzo del sottostante (che ha un gamma nullo).

233
DERIVATI

Il gamma è facile da calcolare con gli alberi binomiali, com’è illustra-


to dalla Figura 4.15. Torniamo indietro nell’albero nel modo consueto ma
fermiamoci due intervalli prima dell’inizio. Calcoliamo in quel punto
∆ u = (Cuu − Cdu ) / [δ(u − d )uS ] e ∆ d = (Cdu − Cdd ) / [δ(u − d )dS ]

i due delta corrispondenti ai valori Cu e Cd della call. Quindi usiamo questi


due delta per calcolare il gamma corrispondente al valore C della call:
Γ = (∆ u − ∆ d ) /[δ(u − d ) S ]

Questa è un’approssimazione della derivata del delta rispetto al prezzo del


sottostante, che è quanto si intende per gamma.
Anche in questo caso, se l’intento è quello di stimare il gamma che ri-
sulterebbe se l’albero avesse un numero molto maggiore di intervalli, è
meglio costruire un albero con due periodi nel passato e calcolare il gamma
in base al prezzo corrente del sottostante e ai prezzi relativi ai nodi sopra e
sotto il prezzo corrente (alla fine del secondo intervallo).

Omega e theta
L’elasticità, omega, del prezzo dell’opzione rispetto al prezzo del sotto-
stante è una delle altre «lettere greche» (Greeks) utilizzate per indicare le
sensitività delle opzioni. Per comprenderla meglio, è utile pensare al delta
come al rapporto tra una piccola variazione del valore dell’opzione, ∂ C, e
una piccola variazione del prezzo del sottostante, ∂ S: ossia, ∆ = ∂ C/∂ S.
L’elasticità, Ω, è pari a:
∂C /C
Ω = ∆(S / C ) = = (S ∆ ) / C
∂S /S
Pertanto, mentre il delta è il rapporto tra le variazioni assolute del valore
dell’opzione e del prezzo del sottostante, l’omega è il rapporto tra le corri-
spondenti variazioni percentuali. In effetti, l’omega misura l’amplificazione
del tasso di rendimento del sottostante generata dall’opzione.
L’omega, scritto come (S∆)/C, può anche essere interpretato come la
quantità di leverage implicita nell’opzione. S∆ è il valore del sottostante
presente nel portafoglio equivalente e C è il valore corrente del portafoglio
equivalente. Abbiamo già osservato in precedenza che questo rapporto è
anche detto “mix”.
Se le calls sono at-the-money, il tipico omega potrebbe essere pari a 5 [=
(100 × 0,5)/10]. È come se, con la call, comprassimo $5 del sottostante
mettendoci solo $1 di denaro nostro e prendendo in prestito gli altri $4. Se
le calls sono out-of-the-money, il tipico omega potrebbe essere pari a 20.
Non è strano che le opzioni siano considerate titoli ad alto rischio!
Una delle prime cose che i libri sulle opzioni tendevano a sottolineare è
che le opzioni sono beni “deperibili”. In altri termini, se il prezzo del sotto-
stante rimane inalterato, il valore dell’opzione tende a diminuire col passa-

234
MODELLO BINOMIALE

Figura 4.16 Alberi binomiali: theta

Cuuu
Cuu
Cu Cuud
Cud − C
C Cud Θ=
2h
Cd Cudd
Cdd h ≡ t/n
Cddd

Se d = 1/u, l’approssimazione del theta (per n → ∞) è molto accurata, dato


che pone a confronto i prezzi di due opzioni che differiscono tra loro solo
per la vita residua.

re del tempo. Ma quanto velocemente? La risposta è fornita dal theta, ossia


dalla derivata del valore dell’opzione rispetto al tempo.
Per calcolare il theta con gli alberi binomiali dobbiamo trovare un pun-
to che sia il più vicino possibile all’origine dell’albero (ma non proprio
all’origine) dove il prezzo del sottostante è uguale a quello corrente. La
procedura è mostrata nella Figura 4.16. Il valore dell’opzione che cerchia-
mo è Cud, a cui è associato il prezzo del sottostante Sud = S (i due prezzi
sono uguali perché d e u sono stati definiti in modo che ud = 1). Pertanto, il
theta viene calcolato in base alla seguente formula:
Θ = (C ud − C ) / (2h )

dove h ≡ t/n. Dividiamo per 2h perché ci vogliono due intervalli affinché il


valore dell’opzione passi da C a Cud.

Vega, rho e lambda


Dopo il delta e il gamma, gli option traders si preoccupano soprattutto del-
la sensitività delle loro posizioni rispetto alle variazioni della volatilità.
Questa sensitività è chiamata vega. Come sappiamo, il modello binomiale
assume che la volatilità (approssimata dalla differenza tra u e d) rimanga
costante durante la vita dell’opzione. Però, il mondo reale non è così ac-
comodante. Un modo per misurare il vega è quello di calcolare due valori
per l’opzione, uno basato sulla stima corrente della volatilità, σ, e l’altro
basato su una stima leggermente maggiore, σ + ε, per poi calcolare:
Vega = [C (σ + ε ) − C (σ )]/ ε

235
DERIVATI

Questo metodo di calcolo non è pienamente soddisfacente perché ciascuno


dei due valori per l’opzione è calcolato in base ad un modello che assume la
costanza della volatilità − per cui il metodo si contraddice. Non sembra, però,
che questo rappresenti un ostacolo per gli option traders, che continuano ad
utilizzarlo! Quello che dovremmo fare è di utilizzare un modello che consen-
ta alla volatilità di variare nel tempo. Molte ricerche sono state svolte in que-
sta direzione, ma il tema ci porterebbe lontano dagli scopi di questo libro.
La derivata, rho, del valore dell’opzione rispetto al riskless return può
essere stimata in un modo simile:
Rho = [C (r + ε ) − C (r )]/ ε

Anche questo metodo, come quello utilizzato per stimare il vega, si con-
traddice. Lo stesso commento vale per il lambda, la derivata del valore
dell’opzione rispetto al payout return.

Fugit
Mark Garman, quando era uno dei docenti in attività a Berkeley, ha utiliz-
zato gli alberi binomiali per calcolare il valore atteso risk-neutral della vita
di un’opzione americana, ossia il valore atteso risk-neutral del tempo man-
cante all’esercizio. Come inventore di questo concetto, aveva tutto il diritto
di assegnargli un nome: fugit.
Garman ha dimostrato che il fugit può essere facilmente calcolato tor-
nando indietro nell’albero. La Figura 4.17 illustra questo metodo utilizzan-
do un albero a due stadi. Si inizia alla data di scadenza e, in corrispondenza
di ciascuno dei nodi finali, si scrive n, il numero degli intervalli dell’albe-
ro. Nel nostro esempio, scriviamo 2 in corrispondenza di ognuno dei tre
nodi finali. Nei corrispondenti nodi alla fine dell’intervallo precedente,
calcoliamo la vita attesa dell’opzione assumendo che l’opzione resti in vita
fino a quel nodo. A questo punto dell’albero, la vita attesa è una media
ponderata di 1 e 2, con pesi pari a ξ e 1 − ξ, rispettivamente. La variabile ξ
è pari a 0, se in quel nodo l’opzione va tenuta in vita, o ad 1, se invece
l’opzione va esercitata. Ad esempio, se l’esercizio anticipato non conviene:

ξ[1] + (1 − ξ ) [2] = 0 × [1] + (1 − 0 ) × [2] = 2

Invece, se l’esercizio anticipato conviene:

ξ[1] + (1 − ξ ) [2] = 1 × [1] + (1 − 1) × [2] = 1

Si noti che 2 è la vita attesa dell’opzione, condizionata dal fatto che ci tro-
viamo in quel nodo e che l’opzione non va esercitata, mentre 1 è la vita at-
tesa dell’opzione, condizionata dal fatto che ci troviamo in quel nodo e che
l’opzione va esercitata.
Continuiamo a tornare indietro nell’albero, ponderando con ξ il numero
degli intervalli necessari per raggiungere il nodo dall’origine e con (1 − ξ)

236
MODELLO BINOMIALE

Figura 4.17 Alberi binomiali: fugit

fuu = 2
fu = ξu1 + (1 – ξu)[pfuu + (1 – p)fdu ]
f = ξ0 + (1 – ξ)[pfu + (1 – p)fd ] fdu = 2
fd = ξd1 + (1 – ξd)[pfdu + (1 – p)fdd ]

fdd = 2

dove ξ è una variabile binaria, che è uguale a 0 se l’opzione non va esercitata


nel nodo indicato dal pedice o è uguale a 1 se l’opzione va invece esercitata in
quel nodo.
f è il valore atteso risk-neutral della vita dell’opzione

il valore atteso risk-neutral della vita dell’opzione in quel nodo (espresso


in unità di intervalli, ossia in multipli di h ≡ t/n). L’ultimo calcolo, effet-
tuato all’inizio dell’albero, ci dà il fugit dell’opzione (indicato con f nella
Figura 4.17).

Sommario: lettere greche


Gli alberi binomiali possono essere utilizzati non solo per valutare le op-
zioni ma anche per stimare le greche, ossia le sensitività di questi valori
rispetto alle variabili fondamentali: il prezzo del sottostante, la vita residua,
la volatilità, il riskless return e il payout return.
Il delta è la derivata del valore corrente dell’opzione rispetto al prezzo
corrente del sottostante. Può essere facilmente stimato in base all’albero
binomiale. Quando si torna indietro nell’albero, ci si ferma un periodo
prima dell’inizio e si osservano i due valori dell’opzione. Il delta è pari al
rapporto tra la loro differenza e la differenza tra i rispettivi prezzi del sot-
tostante, inclusi gli eventuali payouts.
Il gamma è la derivata del delta rispetto al prezzo corrente del sotto-
stante. Anche questa sensitività può essere facilmente calcolata in base
all’albero binomiale, ma questa volta bisogna fermarsi due periodi prima
dell’inizio. Il gamma indica in quali punti, nel corso della vita dell’opzio-
ne, la replica dinamica sarà particolarmente difficile.
Il theta è la derivata del valore corrente dell’opzione rispetto al tempo.
Anche in questo caso, possiamo utilizzare l’albero binomiale e confrontare
i valori dell’opzione in due nodi adiacenti, ai quali corrispondono uguali
prezzi del sottostante.

237
DERIVATI

Il vega, il rho e il lambda sono le derivate del valore corrente dell’op-


zione rispetto alla volatilità, al riskless return e al payout return, rispetti-
vamente. Per stimarne i valori, si confrontano i valori dell’opzione ottenuti
sulla base di due alberi binomiali, altrimenti identici, costruiti in base a vo-
latilità, riskless returns e payout returns leggermente diversi.
Il fugit misura il valore atteso risk-neutral della vita dell’opzione, te-
nendo conto della riduzione dovuta all’esercizio anticipato. Anche il fugit
può essere calcolato in base all’albero binomiale.

4.4 ESTENSIONI
Opzioni su futures
Strettamente collegate alle opzioni su spot sono le «opzioni su futures» (op-
tions on futures o futures options). Il payoff di una call scritta su un futures
è pari al maggiore tra zero e la differenza tra il prezzo futures alla scadenza e
lo strike. Le futures options americane possono essere esercitate anticipata-
mente in modo da ricevere la differenza tra il prezzo futures e lo strike alla
data d’esercizio. Inoltre, chi esercita riceve anche un contratto futures, ma
dato che il valore del contratto è nullo all’origine (il prezzo futures viene fis-
sato in modo da rendere nullo il valore del contratto) questo non aggiunge
nulla al valore dell’opzione. Ma, se è così, che differenza fa ricevere un con-
tratto futures privo di valore? Anche se il futures ha un valore nullo, esso
consente di mantenere l’esposizione nei confronti del sottostante e potrebbe
rivelarsi importante − soprattutto per il venditore che può aver venduto l’op-
zione come parte di un hedge (o di uno spread).
Nel modello binomiale per le opzioni su futures, si assume che il prez-
zo futures corrente, F, salga a u’F o scenda a d’F nel prossimo intervallo e
che il prezzo della call passi da C a Cu’. o Cd’. La notazione u’ e d’ è stata
utilizzata per distinguere le variazioni del prezzo futures dalle variazioni u
e d del prezzo spot. Inoltre, si assume che il prezzo futures raggiunga la
data di consegna in m intervalli. Invece, si assume che l’opzione scada tra
n intervalli − ma non dopo la data di consegna, per cui n ≤ m. La simbolo-
gia utilizzata per le opzioni su futures è riportata nella Tavola 4.6.
Le possibili evoluzioni del prezzo futures e del prezzo della futures call
sono mostrate nella Figura 4.18, dalla quale risulta anche che la nostra ana-
lisi presuppone l’utilizzo della moneta, con riskless return r. È chiaro che
la situazione è molto simile a quella che abbiamo esaminato per le opzioni
su spot. La principale differenza è che F è il prezzo futures.
Per costruire il portafoglio equivalente (Figura 4.19), compriamo ∆ fu-
tures e diamo in prestito B dollari. Dato che il futures ha un costo nullo, il
nostro investimento iniziale complessivo è pari a B. Supponiamo che alla
fine del periodo la posizione sul futures venga marked-to-the-market. In
altri termini, dopo un rialzo, per ogni futures acquistato il compratore rice-
ve (e il venditore paga) u’F − F dollari mentre, dopo un ribasso, per ogni
futures acquistato il compratore paga (e il venditore riceve) F − d’F dollari.

238
MODELLO BINOMIALE

Tavola 4.6 Futures Options: simbologia

Ora n (Cd', Cu') m

0 (S, F, C) scadenza scadenza


dell'opzione del futures

r ≡ riskless return (relativo ad un certo intervallo)


u ≡ asset return in caso di rialzo (up)
d ≡ asset return in caso di ribasso (down)
δ ≡ payout return
n ≡ numero di periodi mancanti alla scadenza dell'opzione
m ≡ numero di periodi mancanti alla scadenza del futures (m ≥ n)
u' ≡ 1 + tasso di variazione del prezzo futures in caso di rialzo (up)
d' ≡ 1 + tasso di variazione del prezzo futures in caso di ribasso (down)

Assenza
Assenzadi
diopportunità
opportunità di arbitraggio ⇒
di arbitraggio ⇒ uu >> (r/δ)
(r/δ) >>dd

Nel complesso, il valore del portafoglio equivalente alla fine del periodo
sarà pari a (u’F − F)∆ + rB o (d’F − F)∆ + rB.
Per replicare l’opzione, dovremo scegliere ∆ e B in modo che:
(u ' F − F )∆ + rB = Cu ' e (d' F − F )∆ + rB = Cd '
Procedendo in modo simile a quanto abbiamo fatto per le opzioni su spot,
risolviamo le due equazioni
(u ' F − F )∆ + rB = Cu ' e (d' F − F )∆ + rB = Cd '
rispetto a ∆ e a B:
∆ = (C u ' − Cd ' ) / [(u '−d ') F ] e B = [ p ' C u ' + (1 − p ')Cd ' ]/ r

dove p’ ≡ (1 − d’)/(u’ − d’).


Infine, eguagliamo il valore corrente dell’opzione al costo corrente del
portafoglio equivalente. Ricordandoci che il costo della posizione sul fu-
tures è pari a zero, abbiamo:
C=B

Pertanto, sostituendo B in quest’ultima equazione, la formula binomiale


per una futures call è:

C = [ p ' C u ' + (1 − p ')Cd ' ]/ r

Anche se la formula per la futures call assomiglia alla formula per la spot
call, le due formule non sono uguali perché p’, Cu’ e Cd’ sostituiscono p, Cu

239
DERIVATI

Figura 4.18 Futures Options

u'F rB

F Futures B Cash

d'S rB

Cu' [ = max(0, u'F – K) ]

C Call on futures

Cd' [ = max(0, d'F – K) ]

e Cd. Tuttavia, queste equazioni mostrano che, iniziando con l’albero bi-
nomiale per le opzioni su spot, se apportiamo le seguenti sostituzioni, otte-
niamo l’albero binomiale per le opzioni su futures:
S ⇐ F , δ ⇐ r, u ⇐ u ' e d ⇐ d '
La principale sostituzione è quella che riguarda il payout return, che va
sostituito dal riskless return.
In assenza di opportunità di arbitraggio tra il prezzo futures e il prez-
zo spot, possiamo ricavare le relazioni che legano tra loro p e p’, u e u’, d e
d’. Possiamo allora utilizzare le informazioni sul prezzo spot del sottostan-
te per valutare una futures option. La forward-spot parity ci dice che, du-
rante la vita del contratto futures, affinché non esistano opportunità di arbi-
traggio, il prezzo futures deve essere uguale al prezzo spot moltiplicato per
il rapporto tra il riskless return e il payout return fino alla data di conse-
gna.25 In particolare,
F = S (r / δ )m e u ' F = u S (r / δ )m −1 e d ' F = d S (r / δ )m −1
Sostituendo questi valori nei nostri precedenti risultati, con un po’ di alge-
bra si ottiene che:
u ' = u / (r / δ ), d ' = d / (r / δ ) e p' = p

Non deve sorprendere che p’ = p. Dopo tutto, se non esistono opportunità di


arbitraggio e i mercati sono completi, le probabilità risk-neutral esistono e
sono uniche, indipendentemente dal fatto che gli stati vengano descritti in
base ai pezzi spot o ai prezzi futures.

240
MODELLO BINOMIALE

Figura 4.19 Futures Options: portafoglio equivalente

(u'F – F)∆ + rB

B Futures + Cash

(d'F – F)∆ + rB

Scegliere ∆ (numero di unità del futures) e B ($ in cash):


(u'F – F)∆ + rB = Cu' (d'F – F)∆ + rB = Cd'

Anche in assenza di payouts, è possibile che l’esercizio anticipato di una


futures call americana risulti conveniente. Intuitivamente, il ruolo del risk-
less return è quello di una forza che tende a far ridurre nel tempo il prezzo
futures, così come i payouts sono una forza che tende far ridurre il prezzo
spot.

Per dimostrare che l’esercizio anticipato delle futures calls americane può es-
sere ottimale, si consideri il caso di una call che finirà certamente in the
money, per cui

max{ [ pCu’ + (1 – p)Cd’]/r, F – K }

= max{ [ p’(u’F – K) + (1 – p’) (d’F – K)]/r, F – K }

dove p’ ≡ (1 – d’)/(u’ – d’).


Raggruppando i termini in F e i termini in K, quest’equazione equivale a

max{ F [p’u’ + (1 – p’) d’]/r – K/r, F – K}

che, a sua volta, equivale a

max{ (F – K)/r, F – K} = F – K (se r > 1)

Opzioni su valute
Anche le «opzioni su valute» (options on currencies o options on foreign
exchange rates) possono essere valutate con gli alberi binomiali. In questo
caso, si ipotizza che il tasso di cambio salga da X a uX o scenda da X a dX.
Come abbiamo già fatto quando abbiamo trattato i forwards su valute, dob-

241
DERIVATI

Figura 4.20 Currency Options

uX rB

X Exchange rate B Cash interno

dX rB

uXrf Bf

XBf Cash estero

dXrf Bf

biamo distinguere tra due riskless returns periodali − r, il riskless return in-
terno, e rf, il riskless return estero.
In questo caso, per evitare opportunità di arbitraggio tra investimenti in
obbligazioni interne ed estere, il riskless return interno deve essere compre-
so all’interno dell’intervallo rf u > r > rf d, dove agli estremi figurano i ri-
torni dell’investimento di un dollaro in un’obbligazione estera, realizzati
rispettivamente dopo un rialzo e un ribasso del tasso di cambio.
La Figura 4.20 mostra che nel prossimo intervallo il tasso di cambio sa-
le da X a uX o scende da X a dX. Ad esempio, supponiamo che i dollari ($)
rappresentino la valuta interna e che le sterline (£) rappresentino la valuta
estera. Seguendo la convenzione utilizzata in questo libro, il tasso di cam-
bio è dato dal rapporto $/£. L’investimento di B dollari in un’obbligazione
interna diventa pari a rB dollari alla fine del periodo. Analogamente, l’in-
vestimento di Bf sterline, diventa pari a rfBf sterline alla fine del periodo.
Per convertire un investimento estero da sterline a dollari, dobbiamo mol-
tiplicarlo per il tasso di cambio $/£. Pertanto, un investimento estero di Bf
sterline costa ora XBf dollari. Alla fine del periodo il valore dell’investimento
estero sarà pari a uX rf Bf o dX rf Bf’ dollari (abbiamo riconvertito le sterline
in dollari sulla base del tasso di cambio, uX o dX, di fine periodo).
Per formare il portafoglio equivalente, investiamo Bf sterline in obbliga-
zioni estere e B dollari in obbligazioni interne (Figura 4.21). Il costo del
portafoglio è pari a XBf + B dollari. Alla fine del periodo, il valore del por-
tafoglio è pari a uX rf Bf + rB o dX rf Bf + rB dollari (abbiamo convertito le
sterline in dollari sulla base del tasso di cambio prevalente alla fine del pe-
riodo).

242
MODELLO BINOMIALE

Figura 4.21 Currency Options: portafoglio equivalente

uXrf Bf + rB

XBf + B Cash estero ed interno

dXrfBf + rB

Cu [ = max(0, uX – K)]

C Call sulla valuta estera

Cd [ = max(0, dX – K)]

La foreign exchange call, che costa ora C dollari, vale Cu o Cd dollari


alla fine del periodo. Se la fine del periodo coincide con la data di scadenza
dell’opzione, allora Cu = max[0, uX − K] e Cd = max[0, dX − K].
Come prima, vogliamo determinare la composizione del portafoglio
equivalente in modo tale che il suo valore alla fine del periodo sia pari al
valore della call, sia in caso di rialzo sia in caso di ribasso. Pertanto, sce-
gliamo Bf e B in modo tale che:
u X rf Bf + rB = C u
d X rf Bf + rB = Cd

Risolvendo queste due equazioni rispetto a Bf e B si ottiene:


Bf = (C u − Cd ) / [rf (u − d )X ] e Bf = (u Cd − d C u ) /[(u − d )r ]

In assenza di opportunità di arbitraggio, il costo in dollari del portafoglio


equivalente deve essere uguale al costo in dollari della foreign exchange
call. Pertanto:
X Bf + B = C

Sostituendo Bf e B in quest’ultima equazione:


C = [ pC u + (1 − p )Cd ]/ r dove p = [(r / rf ) − d ]/ (u − d )

Questo risultato è molto simile alla formula binomiale per le calls su spot.
In effetti, possiamo facilmente trasformare una formula nell’altra se fac-
ciamo le seguenti sostituzioni:

243
DERIVATI

S ⇐ X , δ ⇐ rf

e se, naturalmente, sostituiamo i rialzi e i ribassi del prezzo spot


dell’attività con i rialzi e i ribassi del tasso di cambio.
Queste sostituzioni dovrebbero essere familiari. Ricordiamoci che le
formule per il prezzo forward di un’attività e di una valuta sono F = S(r/d)t
e F = X(r/rf)t, rispettivamente. In quell’occasione avevamo sostenuto che:
«Se sostituiamo S con X e d con rf, le due formule si equivalgono». Questo è
quanto dovevamo aspettarci. Nel contesto dei cambi, X è il prezzo corrente
dell’attività sottostante (il prezzo in dollari di una sterlina) e rf è il payout
return dell’attività sottostante (il ritorno dell’investimento di una sterlina).
Lo stesso vale anche in questo caso.

Generalizzazioni
Il modello binomiale standard assume che:
i riskless returns e i payout returns futuri, così come le dimensioni dei
futuri rialzi e dei futuri ribassi, sono uguali a quelli correnti.
Queste assunzioni sono incorporate nell’albero, il quale presuppone che ad
ogni nodo futuro, pur non sapendo se ci sarà un rialzo o un ribasso, sap-
piamo che r, δ, u e d rimarranno uguali a quelli del primo periodo.
Una prima, modesta, generalizzazione consiste nel riformulare l’albero
binomiale in modo che i riskless returns, i payout returns e le dimensioni
dei rialzi e dei ribassi cambino nel tempo in modo prevedibile.
Consideriamo ad esempio una call europea ed un albero a due stadi do-
ve r1 ≠ r, δ1 ≠ δ, u1 ≠ u e d1 ≠ d indicano i diversi valori del riskless return,
del payout return e delle dimensioni dei rialzi e dei ribassi nel secondo pe-
riodo. Si ha:

[ ]
Cu = p1 C uu 1 + (1 − p )C ud1 / r1
Cd = [p1 Cdu 1
+ (1 − p )Cdd ] / r1
1

C = [ p Cu + (1 − p )Cd ]/ r

dove p1 ≡ [(r1/δ1) − dl]/(u1 − d1) e p ≡ [(r/δ) − d]/(u − d).


Pertanto, se facciamo variare il riskless return, il payout return e le di-
mensioni dei rialzi e dei ribassi, possiamo comunque valutare l’opzione. Il
terzo teorema fondamentale dell’economia finanziaria continua a valere.
Mediante sostituzione otteniamo:

[ ]
C = p p1 C uu 1 + p (1 − p1 )C ud 1 + (1 − p ) p1 Cdu 1 + (1 − p )(1 − p1 )Cdd 1 / (r × r1 )

I simboli utilizzati implicano che possiamo ricevere il ritorno privo di ri-


schio r × r1 rinnovando l’investimento nel riskless asset alla fine del pri-

244
MODELLO BINOMIALE

Figura 4.22 Generalizzazioni: parametri incerti

(rx, δx, ux, dx)


(r2, δ2, u2, d2)
p
(r1, δ1, u1, d1) (ry, δy, uy, dy)
(r2, δ2, u2, d2) (r, δ, u, d)
(r, δ, u, d) (rx, δx, ux, dx)
(r2, δ2, u2, d2)
(r1, δ1, u1, d1) (ry, δy, uy, dy)
(r2, δ2, u2, d2)
I parametri del secondo periodo
Time-dependent dipendono sia da (u,d) sia da (x,y).
Il metodo binomiale non è più valido

Asset price-dependent (ruu, δuu, uuu, duu)


(ru, δu, uu, du)
n path-independent (rud, δud, uud, dud)
rud = rdu, δud = δdu, uud = udu, dud = ddu (r, δ, u, d)
(rdu, δdu, udu, ddu)
o path-dependent (rd, δd, ud, dd)
rud ≠ rdu, δud ≠ δdu, uud ≠ udu, dud ≠ ddu (rdd, δdd, udd, ddd)

mo periodo. Un altro modo per ricevere il riskless return sarebbe quello di


comprare uno zero-coupon bond privo di rischio che paga un valore nomi-
nale di $1 alla fine del secondo periodo. In assenza di opportunità di arbi-
traggio, questi due riskless returns devono essere uguali. Pertanto, possia-
mo interpretare il tasso di attualizzazione r × r1 come il ritorno su uno zero-
coupon bond che scade alla stessa data di scadenza dell’opzione.
Se la dipendenza temporale avesse riguardato solo r e δ, ma non u e d,
avremmo continuato ad avere tre nodi finali nell’albero. In tal caso, l’e-
quazione precedente poteva essere così semplificata:
C = {p p1 C uu + [ p (1 − p1 )+ (1 − p ) p1 ]Cdu + (1 − p )(1 − p1 )Cdd }/ (r × r1 )
Ma se la generalizzazione riguarda anche la dimensione dei rialzi e dei ri-
bassi, il numero dei nodi da valutare aumenta. Nel caso di due periodi, es-
sendo ud1 ≠ du1, ci saranno quattro nodi da valutare alla fine del secondo
periodo, invece di tre.
Il primo diagramma della Figura 4.22, in alto a sinistra, mostra come
cambiano i parametri se dipendono solo dal tempo. In tal caso, in ognuno dei
nodi lungo lo stesso segmento verticale dell’albero i parametri sono tutti u-
guali, mentre sono diversi se ci si muove orizzontalmente lungo l’albero.
Potremmo sperare di riuscire a generalizzare il modello binomiale in
modo da far dipendere il riskless return, il payout return e le dimensioni
dei rialzi e dei ribassi da:
1. il futuro prezzo spot del sottostante;
2. il sentiero seguito in precedenza dal prezzo spot del sottostante;
3. una qualche variabile casuale diversa dal prezzo spot del sottostante.

245
DERIVATI

Anche se può essere più difficile da implementare, il modello binomia-


le continua ad essere valido anche con le generalizzazioni (1) e (2). La
principale questione è se sono possibili due soli risultati alla fine di ciascun
periodo, prima che i pesi del portafoglio equivalente possano essere aggiu-
stati. Il secondo diagramma della Figura 4.22, in basso, descrive le genera-
lizzazioni (1) e (2). Da ogni nodo possono trarre origine solo due rami. Al-
la fine di ciascun periodo possono cambiare tutti i parametri, eppure si pos-
sono avere due soli insiemi di parametri. Ad esempio, se al nodo iniziale i
parametri sono (r, δ, u, d), alla fine del periodo avremo i parametri (ru, δu,
uu, du) in caso di rialzo e i parametri (rd, δd, ud, dd) in caso di ribasso.
Possiamo anche far sì che i parametri dipendano non solo dal futuro
prezzo spot del sottostante ma anche dal sentiero seguito. Se dipendono dal
sentiero, allora, come si vede nella figura, i nuovi parametri saranno diver-
si a seconda che il rialzo sia stato seguito da un ribasso o il ribasso sia stato
seguito da un rialzo.
Invece, con la generalizzazione (3), troppo può succedere prima di po-
ter aggiustare i pesi del portafoglio equivalente. Com’è indicato nella
Figura 4.22, in alto a destra, per sapere quali saranno i parametri alla fine
del primo periodo non solo dobbiamo sapere, come prima, se si è verificato
un rialzo o un ribasso, ma dobbiamo anche sapere se la realizzazione della
seconda variabile casuale (che potrebbe essere qualsiasi cosa − ad es. il
clima nel Kansas) sia stata x o y. Dato che abbiamo a che fare con quattro
possibili risultati [(u, x), (d, x), (u, y), (d, y)] e due soli titoli (l’attività e la
moneta), non possiamo più replicare il valore dell’opzione in ogni possibi-
le stato. Se utilizziamo solo il sottostante e la moneta per costruire il porta-
foglio equivalente, il metodo binomiale di arbitraggio soccombe sotto il
peso della generalizzazione.26

Sommario: estensioni
Il modello binomiale per le opzioni su spot può essere facilmente esteso
alle opzioni su futures e alle opzioni su valute. Nel caso delle opzioni su
futures, la principale modifica consiste nel tener conto che il valore ini-
ziale del contratto futures è nullo. L’opzione viene valutata sostituendo il
prezzo spot corrente con il prezzo futures corrente, il payout return con il
riskless return, la volatilità del prezzo spot (approssimata dalla differenza
tra u e d) con la volatilità del prezzo futures. Nel caso delle opzioni su va-
lute, la principale modifica consiste nel tener conto che il sottostante è
rappresentato da un’obbligazione in valuta estera. L’opzione viene valutata
sostituendo il prezzo spot del sottostante con il tasso di cambio corrente, il
payout return con il riskless return estero e la volatilità del prezzo spot con
la volatilità del tasso di cambio.
Il modello binomiale può anche essere generalizzato in modo da far di-
pendere il riskless return, il payout return e le dimensioni dei rialzi e dei
ribassi dal tempo, dal futuro prezzo spot del sottostante o dal sentiero se-

246
MODELLO BINOMIALE

guito dai futuri prezzi spot del sottostante. Anche sotto queste generalizza-
zioni, l’opzione può essere valutata in base al portafoglio equivalente. Se
invece vogliamo far dipendere il riskless return, il payout return e le di-
mensioni dei rialzi e dei ribassi da una qualche variabile casuale diversa
dal prezzo spot del sottostante, il metodo binomiale di arbitraggio soccom-
be sotto il peso di questa ulteriore generalizzazione.

4.5 OPZIONI SU OBBLIGAZIONI


Modelli più complessi
Le «opzioni su obbligazioni» (bond options) continuano a porre problemi a
chi costruisce modelli; al momento, non esiste alcun modello che sia co-
munemente accettato. Dati i precedenti sviluppi del modello binomiale per
la valutazione delle opzioni, l’approccio naturale sembrerebbe essere quel-
lo di costruire un albero binomiale, che descriva l’evoluzione del prezzo
dell’obbligazione sottostante, per poi tornare indietro nell’albero nel modo
consueto e ricavare il valore corrente dell’opzione. Sfortunatamente, ci so-
no tre aspetti che rendono difficile questo approccio:
(1) per valutare i derivati su tassi d’interesse come le bond options, occorre
che i futuri riskless returns siano incerti;
(2) assumendo che i tassi d’interesse non siano mai negativi, il prezzo del
bond non può mai essere maggiore della somma di cedole e capitale;
(3) alla scadenza, il prezzo di un bond privo del rischio d’insolvenza deve
essere pari al suo valore nominale.
Un modo di pensare all’effetto (3) è quello di immaginare un magnete col-
locato alla scadenza del titolo. All’avvicinarsi della scadenza, il prezzo
del titolo viene «attratto verso la pari» (pulled to par) da una forza sempre
crescente, che diventa infinita alla scadenza. Invece, nel modello binomiale
standard, il prezzo spot dell’attività sottostante può diventare arbitraria-
mente elevato o portarsi in prossimità di zero al crescere del numero, n,
degli intervalli.
Per superare queste difficoltà, uno dei primi approcci è stato quello di
fare assunzioni circa l’evoluzione binomiale dei futuri riskless returns pe-
riodali; da questa evoluzione si ricava l’evoluzione binomiale del prezzo
dell’obbligazione sottostante, imponendo la condizione che, alla scadenza,
il titolo quoti alla pari. Quindi si determina il valore corrente dell’opzione
tornando indietro nell’albero nel modo consueto, ma attualizzando in base
al riskless return relativo a ciascun nodo. Un approccio simile poteva esse-
re seguito, nel caso delle opzioni scritte su indici o su azioni, se avessimo
iniziato la nostra analisi con un albero binomiale per gli utili, deducendo
poi da questo il corrispondente albero per l’indice o per l’azione. Date le
difficoltà per passare dagli utili ai prezzi delle azioni e le forti basi teoriche
ed empiriche per presupporre, più semplicemente, un processo binomiale
moltiplicativo, quest’approccio ha ricevuto poche adesioni.27

247
DERIVATI

Figura 4.23 Bond Options: ipotesi

Ipotesi di evoluzione binomiale del riskless return uniperiodale

p = 0,4
r3,3 = 1,02

r2,2 = 1,05

r1,1 = 1,07 r3,2 = 1,06

r0,0 = 1,08 r2,1 = 1,09

r1,0 = 1,10 r3,1 = 1,10

r2,0 = 1,13

r3,0 = 1,15

Alberi per i riskless returns


Per modellare l’evoluzione binomiale dei futuri riskless returns, faremo
uso di tre esempi numerici. L’approccio che è stato usato per spiegare la
valutazione delle bond options e gli stessi esempi sono stati mutuati (ov-
viamente con il consenso dell’autore) da Applied Option Pricing Theory,
un libro scritto da Richard Rendleman, Professor of Finance alla Univer-
sity of North Carolina at Chapel Hill.
La Figura 4.23 mostra un albero binomiale a quattro stadi per i riskless
returns periodali, dove abbiamo assunto per semplicità che l’ampiezza, h, di
ogni intervallo sia pari ad 1 anno. Il simbolo rk,j sta ad indicare il riskless re-
turn fissato dal mercato all’inizio dell’anno k (k = 0, 1, 2, 3) per investimenti
ad 1 anno, dove il ritorno è condizionato dall’aver osservato in precedenza j
(j = 0, 1, ... , k) rialzi del prezzo del bond (ossia j ribassi dei tassi d’interesse).
Ricaviamo ora il corrispondente albero binomiale per i prezzi di uno
zero-coupon bond privo del rischio d’insolvenza, con scadenza dopo 4 anni
e valore nominale di $100. In ciascuno dei nodi relativi alla fine del quarto
anno il prezzo dello zero-coupon bond deve essere pari a $100:

B4, j = 100 per j = 0, 1, 2, 3, 4

I prezzi dello zero-coupon bond alla fine del terzo anno vanno determinati
attualizzando 100 in base ai riskless returns dei nodi finali. Ad esempio:

B3,3 = 100 / 1,02 = 98,04 e B3, 2 = 100 / 1,06 = 94,34

248
MODELLO BINOMIALE

Figura 4.24 Bond Options: prezzi impliciti

Evoluzione binomiale implicita


dei prezzi di uno zero-coupon bond a 4 anni e di una call a 2 anni
B4,4 = 100
p = 0,4
K = 82 B3,3 = 98,04
n=2 B2,2 = 91,26 B4,3 = 100
C2,2 = 9,26
B1,1 = 81,56
B3,2 = 94,34
C1,1 = 4,95
B0,0 = 71,06 B2,1 = 84,66
B4,2 = 100
C0,0 = 2,37 C2,1 = 2,66
B1,0 = 73,52 B3,1 = 90,91
C1,0 = 0,97
B2,0 = 78,35
B4,1 = 100
C2,0 = 0
Boundary condition per il bond: B4, j = 100 B3,0 = 86,96
Regola iterativa per il bond: Bk, j = [pBk+1, j+1 + (1 – p)Bk+1, j ]/rk, j
Boundary condition per la call: C2, j = max[0, B2, j – K]
B4,0 = 100
Regola iterativa per la call: Ck, j = [pCk+1, j+1 + (1 – p)Ck+1, j ]/rk, j

I prezzi alla fine del secondo anno sono più difficili da ricavare. Conside-
riamo, ad esempio, B2,2. Questo prezzo dipende dai due prezzi che il titolo
potrà avere alla fine del terzo anno, B3,3 = 98,04 e B3,2 = 94,34. Al nodo
(2,2) siamo quindi incerti circa il valore che il titolo avrà dopo 1 anno. Per
il momento assumeremo semplicemente che la probabilità di rialzo risk-
neutral, p, al nodo (2,2) sia pari a 0,4. Pertanto:

[
B2, 2 = pB3,3 + (1 − p ) B3, 2 / r2, 2 ]
= [(0,4 × 98,04 ) + (0,6 × 94,34 )]/ 1,05 = 91,26

Si noti che il valore atteso risk-neutral del titolo alla fine dell’anno può
essere attualizzato in base al corrispondente riskless return perché p e (1 −
p) sono probabilità risk-neutral. Per attualizzare il valore atteso risk-
neutral del titolo alla fine dell’anno, abbiamo quindi utilizzato il riskless
return r2,2 = 1,05 (Figura 4.23).

Albero per i prezzi del bond e della call


Assumendo che la probabilità di rialzo risk-neutral sia la stessa in ogni no-
do (e pari quindi a 0,4), possiamo applicare la seguente regola iterativa:

[ ]
Bk , j = pBk +1, j +1 + (1 − p ) Bk +1, j / rk , j

e tornare indietro per ricavare l’albero che mostra l’evoluzione dei prezzi
del bond dal livello corrente di 71,06 a 100 (Figura 4.24).
Siamo ora pronti per valutare le opzioni europee o americane scritte
sullo zero-coupon bond a 4 anni. Ad esempio, si consideri una call europea,

249
DERIVATI

con strike 82 e scadenza tra 2 anni. Alla data di scadenza, i suoi tre possibi-
li valori sono:
C2, 2 = max(0, 91,26 − 82) = 9,26
C2,1 = max(0, 84,66 − 82) = 2,66
C2,0 = max(0, 78,35 − 82) = 0

Per determinare i valori precedenti, possiamo applicare la seguente regola:


[
C k , j = pC k +1, j +1 + (1 − p )C k +1, j / rk , j]
Il valore corrente della call europea risulta pari a 2,37 (Figura 4.24).
Il metodo che abbiamo utilizzato per valutare la bond option è simile al
modello binomiale standard che abbiamo sviluppato in precedenza, ma ci
sono tre importanti differenze:
‰ il metodo ha richiesto tre passi, invece di due: (1) specificare l’albero
dei riskless returns periodali; (2) ricavare l’albero dei prezzi del bond;
(3) ricavare l’albero dei prezzi dell’opzione;
‰ nel secondo e nel terzo passo, abbiamo attualizzato i valori attesi risk-
neutral in base ai riskless returns relativi a ciascun nodo. In altri termini,
il riskless return non era più costante;
‰ abbiamo dovuto fissare la probabilità di rialzo risk-neutral, p, invece di
stimarla in base all’albero dei prezzi del sottostante, dato che dovevamo
conoscere p per ricavare l’albero dei prezzi del bond [passo (2)].

Due obiezioni
Almeno due cose del nostro modello non sono molto soddisfacenti:
(1) che basi abbiamo per assumere che la probabilità di rialzo risk-neutral,
p, sia uguale in ogni nodo e, inoltre, che sia esattamente pari a 0,4?
(2) come abbiamo fatto a costruire l’albero che descrive l’evoluzione dei
riskless returns periodali?
Esaminiamo le due obiezioni una alla volta. Assumiamo che tutti i titoli privi
del rischio d’insolvenza siano valutati in modo che, nel periodo successivo,
la differenza tra il ritorno atteso e il riskless return periodale, divisa per la
deviazione standard del ritorno, sia la stessa in ogni nodo. Indichiamo con λ
questo rapporto tra extra ritorno e rischio, una misura che gli economisti fi-
nanziari chiamano «prezzo di mercato del rischio» (market price of risk):

mk , j ≡ q k , j
Bk +1, j +1
Bk , j
(
+ 1 − qk , j ) BBk +1, j
k, j
2 2
⎛ Bk +1, j +1 ⎞ ⎛ Bk +1, j ⎞
≡ qk , j ⎜
vk2, j
⎜ Bk , j ⎟
(
− mk , j ⎟ + 1 − q k , j ) ⎜
⎜ Bk , j
− mk , j ⎟

⎝ ⎠ ⎝ ⎠
mk , j − rk , j
λ≡
vk , j

250
MODELLO BINOMIALE

dove qk,j è la probabilità di rialzo soggettiva, propria del mercato, al nodo


(k, j).
Il prezzo di mercato del rischio, λ, è una misura del grado di avversione
al rischio del mercato, dato che quanto più alta è, tanto maggiore è il com-
penso (misurato in termini di extra ritorno) che il mercato chiede per assu-
mersi il rischio (misurato in termini di deviazione standard del ritorno).
Assumiamo ora che la probabilità di rialzo soggettiva, propria del mercato,
sia la stessa in ogni nodo e pari a q (= qk,j). Allora, usando un po’ di alge-
bra per scrivere λ direttamente in termini di q, rk,j e dei ritorni dell’obbli-
gazione (in caso di rialzo o di ribasso), si può dimostrare che la probabilità
di rialzo risk-neutral, p, è la stessa ad ogni nodo ed è pari a:
p = q − λ q (1 − q )
Questa equazione ci dovrebbe far ricordare quanto detto nel Capitolo 1 a
proposito di probabilità risk-neutral e probabilità soggettive. In sintesi, nel
nostro modello binomiale per bonds e bond options, la costanza del prezzo
di mercato del rischio, unita alla costanza della probabilità di rialzo (e
quindi anche di ribasso) soggettiva, implica la costanza della probabilità di
rialzo risk-neutral, così come è stato assunto.
La seconda obiezione − concernente il modo in cui l’albero dei riskless
returns è stato costruito − è ancora più seria. Supponiamo che il valore teo-
rico dello zero-coupon bond a 4 anni (71,06) ottenuto in base all’albero dei
riskless returns sia diverso dal prezzo di mercato. A chi dobbiamo credere,
al modello o al mercato? Nel modello binomiale standard, questa incoeren-
za non può verificarsi perché l’albero è stato costruito utilizzando il prezzo
corrente di mercato dell’attività sottostante. Inoltre, potremmo utilizzare
l’albero dei riskless returns per calcolare i valori correnti degli zero-
coupon bonds con scadenza tra 1, 2, 3 anni tornando indietro dalla fine
dell’anno 1, 2 e 3, rispettivamente. Per distinguere i valori correnti (o i
prezzi) degli zero-coupon bonds con diversa scadenza t, utilizziamo il sim-
bolo B0,0(t). Abbiamo già mostrato che B0,0(4) = 71,064. In base all’albero
dei riskless returns otteniamo B0,0(1) = 92,593, B0,0(2) = 85,119 e B0,0(3) =
77,591. Ma i prezzi di questi titoli possono essere spesso osservati sul mer-
cato. E se fossero diversi dai nostri valori teorici, cosa dovremmo fare?

Modello Ho-Lee
Per far sì che i valori teorici delle bond options siano coerenti con i prezzi
degli zero-coupon bonds di varia scadenza, si inizia in genere dai prezzi
dei titoli e si risolve il problema inverso determinando l’albero dei riskless
returns coerente con i prezzi osservati. Questo importante problema è stato
risolto per la prima volta da Ho e Lee nel 1986.
Così come abbiamo fatto anche noi, Ho e Lee assumono che l’evolu-
zione del riskless return periodale possa essere descritta da un albero bi-
nomiale che si ricombina. Nel nostro esempio a 4 stadi, ciò vuol dire che

251
DERIVATI

Figura 4.25 Bond Options: nuova ipotesi

p = 0,4
r3,3 = 1,0918

r2,2 = 1,0971

r1,1 = 1,0878 r3,2 = 1,0918


B0,0(4) = 71,064
B0,0(3) = 77,591 r2,1 = 1,0971
r0,0 = 1,0800
B0,0(2) = 85,119
B0,0(1) = 92,593 r1,0 = 1,0878 r3,1 = 1,0918

r2,0 = 1,0971

r3,0 = 1,0918
Boundary condition per il bond: B4, j = 100
Regola iterativa per il bond: Bk, j = [pBk+1, j+1 + (1 – p)Bk+1, j ]/rk, j

I dati sottolineati sono esogeni. I dati non sottolineati sono endogeni.

occorre determinare 10 riskless returns periodali (che sono stati sottolineati


nella Figura 4.25 per indicare che si tratta di dati esogeni, piuttosto che di
dati endogeni, ricavati internamente al modello) −
r0,0 , r1,0 , r1,1 , r2,0 , r2,1 , r2, 2 , r3,0 , r3,1 , r3, 2 , r3,3

− sulla base dei prezzi correnti di 4 zero-coupon bonds:


B0,0 (1), B0,0 (2 ), B0,0 (3), B0,0 (4 )

Dopo aver specificato i prezzi dei 4 titoli, restano ancora 6 (= 10 − 4) gradi


di libertà. Ciò vuol dire che, se anche conosciamo i prezzi correnti dei 4
titoli, questa informazione non ci consente di determinare in modo univoco
l’albero dei riskless returns periodali. Inoltre, dato che i prezzi correnti
dell’intero spettro delle opzioni, con prezzi d’esercizio e scadenze diversi,
dipendono dall’albero, i prezzi correnti dei 4 titoli non ci consentono di
determinare in modo univoco i prezzi delle opzioni.
Per sottolineare l’indeterminatezza del problema, l’albero dei riskless
returns mostrato nella Figura 4.25 risulta coerente con i prezzi degli zero-
coupon bonds utilizzati nel nostro precedente esempio:
B0,0 (1) = 92,593 B0,0 (2) = 85,119 B0,0 (3) = 77,591 B0,0 (4 ) = 71,064

Come si può vedere dalla Figura 4.25, non c’è incertezza circa i futuri risk-
less returns. Sappiamo dal Capitolo 2 che, in assenza d’incertezza, i for-
ward returns correnti devono essere uguali ai futuri spot returns. Pertanto,
l’evoluzione dei riskless returns poteva essere semplicemente determinata
con il metodo bootstrap.

252
MODELLO BINOMIALE

Utilizzando l’albero della Figura 4.25, il valore corrente della call, con
strike di 82 e scadenza tra 2 anni, scritta sullo zero-coupon bond a 4 anni,
risulta pari a $1,26 − un valore ben diverso da quello che avevamo ottenuto
in precedenza per la stessa opzione ($2,37).
Per risolvere tale indeterminatezza, dobbiamo dare più struttura al mo-
dello. Inoltre, vogliamo che questa struttura porti ad un’evoluzione ragio-
nevole del riskless return − e probabilmente non ad un’evoluzione, come
quella dell’albero mostrato nella Figura 4.25, in cui non c’è incertezza.
Il modo più naturale per risolvere il problema dell’indeterminatezza è
quello di imporre altre 6 condizioni. Da questa prospettiva, il modello bi-
nomiale standard risolve il problema prendendo per dato il prezzo corrente
dell’attività sottostante e assumendo che la volatilità, ossia la deviazione
standard del logaritmo naturale del ritorno del sottostante, sia costante in
tutto l’albero. Sfortunatamente, questa soluzione non è appropriata quando
il sottostante è rappresentato dal prezzo di uno zero-coupon bond, essendo
impossibile che il bond abbia la stessa volatilità in ogni nodo.
È però possibile che l’albero dei riskless returns abbia una volatilità
costante. Ecco quindi il modo più naturale per imporre le 6 condizioni. Al
nodo (k, j), il logaritmo naturale del riskless return periodale ha media pari a:

( ) ( ) (
µ k , j h ≡ qk , j log rk +1, j +1 + 1 − qk , j log rk +1, j )
e varianza pari a:

[ ( ) ] (
σ 2k , j h ≡ qk , j log rk +1, j +1 − µ k , j h 2 + 1 − qk , j ) [log(rk +1, j ) − µ k , j h]2
Semplificando si ottiene:

[ ( ) (
σ k , j h = log rk +1, j − log rk +1, j +1 )] qk , j (1 − qk , j )

Nel nostro esempio ci sono esattamente 6 nodi in cui occorre specificare la


volatilità: (0,0), (1,0), (1,1), (2,0), (2,1) e (2,2). Ho e Lee richiedono che la
volatilità sia la stessa in ciascun nodo (σ ≡ σk,j) e che la probabilità di rialzo
soggettiva sia anch’essa la stessa in ciascun nodo (q ≡ qk,j).
Date queste assunzioni, il problema inverso ha un’esplicita soluzione:

[ ]
rk , j = B0,0 (k ) p + (1 − p ) φ k / B0,0 (k + 1) φ k − j

con φ ≡ e−2σh√h se, ad ogni nodo, la probabilità di rialzo soggettiva, q, è pari a
0,5. Nel nostro esempio, sia h = 1, p = 0,4 e σ = 0,01.
La Figura 4.26 mostra l’evoluzione, secondo il modello di Ho e Lee,
del riskless return coerente con i seguenti prezzi dei quattro zero-coupon
bonds:

253
DERIVATI

Figura 4.26 Bond Options: approccio Ho-Lee

h=1
q = 0,5 r3,3 = 1,05250
p = 0,4
σ = 0,01 r2,2 = 1,06123

r1,1 = 1,07077 r3,2 = 1,07376


B0,0(4) = 72,090
B0,0(3) = 78,622
r0,0 = 1,08000 r2,1 = 1,08266
B0,0(2) = 85,446
B0,0(1) = 92,593 r1,0 = 1,09240 r3,1 = 1,09546

r2,0 = 1,10454

r3,0 = 1,11758
rk, j = B0,0(k)[p + (1 – p)φk]/B0,0(k + 1)φk–j
dove φ ≡ e–2σh√h

I dati sottolineati sono esogeni. I dati non sottolineati sono endogeni.

B0,0 (1) = 92,593 B0,0 (2 ) = 85,446 B0,0 (3) = 78,622 B0,0 (4 ) = 72,090
Questi prezzi sono stati sottolineati, nella Figura 4.26, per indicare che si
tratta di dati esogeni, piuttosto che di dati endogeni.
Per verificare che l’albero generi effettivamente le giuste volatilità,
consideriamo, ad esempio, la volatilità del riskless return nei nodi adiacenti
(1,1) e (1, 0)
σ h = [log(1,09240 ) − log(1,07077 )]/ 2 = 0,01
e nei nodi (2, 2) e (2, 1). In entrambi i casi il risultato è coerente con il va-
lore che avevamo ipotizzato (σ = 0,01):
σ h = [log(1,08266 ) − log(1,06123)]/ 2 = 0,01

Modello di Heath, Jarrow e Morton


Un approccio più generale per la valutazione delle bond options è stato svi-
luppato da Heath, Jarrow e Morton (HJM). La differenza principale tra il
loro approccio e quello di Ho e Lee è che il modello HJM non richiede che
l’albero binomiale si ricombini. Pertanto, dopo n periodi, il numero dei nodi
finali è pari a 2n, invece di n (Figura 4.27). Per tener conto di questa genera-
lizzazione, dobbiamo modificare il significato del simbolo rk,j, che sta ora
ad indicare il riskless return fissato dal mercato all’inizio dell’anno k (k = 0,
1, 2, 3) per investimenti ad 1 anno, dove il ritorno è condizionato dall’aver
osservato in precedenza il sentiero j (j = 0, 1,..., 2k − 1). Ogni sentiero è i-
dentificato in modo univoco dal numero che gli è stato assegnato, nel quale
è codificata la sequenza di rialzi e ribassi che lo contraddistinguono. Ad

254
MODELLO BINOMIALE

Figura 4.27 Bond Options: approccio HJM

B3,7(4) = ? r3,7 = ?
B2,3(4) = ?
r2,3 = ?
B2,3(3) = ?
B3,6(4) = ? r3,6 = ?
B1,1(4) = ?
B1,1(3) = ? r1,1 = ?
B1,1(2) = ? B3,5(4) = ? r3,5 = ?
B2,2(4) = ?
r2,2 = ?
B2,2(3) = ?
B3,4(4) = ? r3,4 = ?
r0,0 = ?
B3,3(4) = ? r3,3 = ?
B2,1(4) = ?
r2,1 = ?
B2,1(3) = ?
B3,2(4) = ? r3,2 = ?
B1,0(4) = ?
B1,0(3) = ? r1,0 = ?
B1,0(2) = ? B3,1(4) = ? r3,1 = ?
B2,0(4) = ?
r2,0 = ?
B2,0(3) = ?
B3,0(4) = ? r3,0 = ?

esempio, quando k = 3, il sentiero j = 5 equivale a 101 nel sistema di nu-


merazione binario (il sistema di numerazione con base 2). Indicando con 1
un rialzo e con 0 un ribasso, il numero 101 identifica il sentiero rialzo-
ribasso-rialzo. Analogamente, il prezzo Bk,j è il prezzo fissato dal mercato
all’inizio dell’anno k, condizionato dal sentiero j.
Anche Heath, Jarrow e Morton hanno disegnato il loro albero in modo
che fosse coerente con i prezzi correnti delle obbligazioni di diversa sca-
denza. Nell’esempio che verrà sviluppato, assumeremo che i prezzi corren-
ti degli zero-coupon bonds siano gli stessi del modello Ho-Lee:
B0,0 (1) = 92,593 B0,0 (2 ) = 85,446 B0,0 (3) = 78,622 B0,0 (4 ) = 72,090

Naturalmente, come abbiamo già sottolineato, avremo bisogno di maggiori


informazioni per definire l’albero in modo univoco. Il modello HJM assu-
me che sia nota la volatilità dei futuri prezzi dei bonds (Figura 4.28). Uti-
lizzeremo il simbolo σk,j(t) per indicare la deviazione standard del logarit-
mo naturale del ritorno del bond con scadenza in t, misurata nel periodo
che inizia alla fine dell’anno k + 1 e condizionata dal fatto che il sentiero
seguito dal riskless return fino a k sia j.
C’è parecchio da ingoiare in un sorso solo. Aiutiamoci allora con un
esempio. Supponiamo di essere al nodo (1, 1) e che il prezzo di uno zero-
coupon bond con scadenza in t = 4 sia 84,045. Proviamo a calcolarci
σ1,1(4). Sappiamo che tra 1 anno, in t = 2, il prezzo del bond deve salire a
92,652 o scendere a 86,712. Naturalmente, alla scadenza (t = 4), il prezzo
del bond deve comunque essere pari a 100. Pertanto, in t = 2, il return to
maturity del bond deve essere pari a 1.0793 (= 100 / 92,652) o a 1,1532 (=

255
DERIVATI

Figura 4.28 Bond Options: input (HJM)

σ3,7(4) = 0,00000
q = 0,5 σ2,3(4) = 0,01449
p = 0,4 σ2,3(3) = 0,00000
σ1,1(4) = 0,01657 σ3,6(4) = 0,00000
σ1,1(3) = 0,01422
σ1,1(2) = 0,00000 σ3,5(4) = 0,00000
σ2,2(4) = 0,01395
σ2,2(3) = 0,00000
σ0,0(4) = 0,02182 B0,0(4) = 72,090 σ3,4(4) = 0,00000
σ0,0(3) = 0,02081 B0,0(3) = 78,622
σ0,0(2) = 0,01852 B0,0(2) = 85,446
σ3,3(4) = 0,00000
σ0,0(1) = 0,00000 B0,0(1) = 92,593
σ2,1(4) = 0,01370
σ2,1(3) = 0,00000
σ1,0(4) = 0,01261 σ3,2(4) = 0,00000
σ1,0(3) = 0,01358
σ1,0(2) = 0,00000 σ3,1(4) = 0,00000
σ2,0(4) = 0,01786
σ2,0(3) = 0,00000
σ3,0(4) = 0,00000

100 / 86,712). Dato che questi ritorni si riferiscono ad un biennio, i ritorni


su base annua sono pari a 1,0389 (= 1,0793½) e a 1,0739 (= 1,1532½) e i
loro logaritmi naturali 0,03816 [= log(1,0389)] e 0,07129 [= log(1,0739)].
Se questi due ritorni sono equiprobabili (q = 0,5), la loro media è pari a
0,05473 (= ½ × 0,03816 + ½ × 0,07129) e la loro varianza è pari a:
σ12,1 (4) = ½ × (0,03816 − 0,05473)2 + ½ × (0,07129 − 0,05473)2
= ½ × 0,0002746 + ½ × 0,0002742 = 0,0002744
Pertanto, la deviazione standard dei ritorni logaritmici su base annua è:
σ1,1 (4 ) = 0,0002744 = 0,01657
Si noti che, quando t = k + 1, la volatilità σk,j(k + 1) è nulla, dato che in k il
ritorno del bond che scade un anno dopo è noto ed è pari a rk,j. Nell’esem-
pio abbiamo anche assunto che la probabilità di rialzo soggettiva sia co-
stante (q = 0,5) e che sia costante anche la probabilità di rialzo risk-neutral
(p = 0,4).
In sintesi, per costruire l’albero implicito dei riskless returns, dobbiamo
conoscere:
‰ i prezzi correnti degli zero-coupon bonds di diversa scadenza;
‰ la volatilità dei futuri returns to maturity dei bonds;
‰ le probabilità di rialzo, soggettiva e risk-neutral.
La Figura 4.28 riporta tutte le informazione necessarie al modello HJM per
risolvere il problema inverso della costruzione dell’albero per i riskless re-
turns e dell’albero per i prezzi dei bonds.

256
MODELLO BINOMIALE

Iniziamo la costruzione dell’albero implicito dei riskless returns me-


diante induzione in avanti, partendo dall’inizio. Al tempo zero, possiamo
ricavare r0,0 semplicemente da B0,0(1) dato che r0,0 = 100 / B0,0(1). Nel no-
stro esempio, r0,0 = 1,08 (= 100 / 92.593). Più in generale, saremo in grado
di determinare rk,j se conosciamo Bk,j(k + 1), perché potremo scrivere:

rk , j = 100 / Bk , j (k + 1) (1)

Utilizzando la probabilità risk-neutral, possiamo esprimere il prezzo del


bond in termini dei due prezzi alla fine dell’intervallo successivo. Ossia:

[ ]
Bk , j (t ) = pBk +1, 2 j +1 (t ) + (1 − p ) Bk +1, 2 j (t ) / rk , j (2)

Il valore atteso soggettivo del logaritmo del return to maturity su base an-
nua del bond, alla fine dell’intervallo successivo, è:

µ k , j (t ) ≡
⎡⎛ 1 / (t − k −1) ⎤ ⎡⎛ 1 / (t − k −1) ⎤
⎞ 100 ⎞⎟
⎢ ⎥ + (1 − q )log ⎢ ⎥
⎜ 100 ⎟ ⎜
q log
⎢⎜ Bk +1, 2 j +1 (t ) ⎟ ⎥ ⎢⎜ Bk +1, 2 j (t ) ⎟ ⎥
⎣⎢⎝ ⎠ ⎦⎥ ⎣⎢⎝ ⎠ ⎦⎥

La varianza soggettiva del logaritmo del return to maturity su base annua


del bond, alla fine dell’intervallo successivo, è:

σ k2 , j (t ) ≡
1 / (t − k −1) ⎤
2
⎧ ⎡⎛ ⎞ ⎫
⎪ ⎥ − µ (t )⎪⎬
q ⎨log ⎢⎜
100 ⎟
⎪ ⎢⎣⎢⎝ Bk +1, 2 j +1 (t ) ⎠
⎜ ⎟ ⎥ k, j
⎦⎥ ⎪
⎩ ⎭
1 / (t − k −1) ⎤
2
⎧ ⎡⎛ ⎫
⎪ ⎢⎜ 100 ⎞⎟ ⎥ − µ (t )⎪⎬
+ (1 − q )⎨log
⎪ ⎢⎢⎣⎝ Bk +1, 2 j (t ) ⎠
⎜ ⎟ ⎥ k , j
⎥⎦ ⎪
⎩ ⎭

che, con un po’ di algebra, si semplifica in:

{ [ ] [
σ k , j (t ) = log Bk +1, 2 j +1 (t ) − log Bk +1, 2 j (t ) ]} tq−(1k−−q1) (3)

Le Equazioni (2) e (3) possono essere interpretate come due equazioni in


due incognite, Bk+1,2j+1(t) e Bk+1,2j(t), se già conosciamo p, q, σk,j(t), Bk,j(t) e
rk,j. Le prime tre variabili sono note e le altre due possono essere ricavate
iterativamente tornando indietro nell’albero (Figura 4.29). Sappiamo che
r0,0 = 1,08; B0,0(2) = 85,446; B0,0(3) = 78,622 e B0,0(4) = 72,090.

257
258
DERIVATI

Dati: B0,0(t), σk, j(t), p e q


B0,0(1) n: rk,j = 100/Bk,j(k + 1)
Risolvere rispetto a: Bk, j(t) e rk, j
andando avanti nell'albero n o: Bk,j(t ) = [pBk+1,2j+1(t ) + (1–p)Bk+1,2j(t )]/rk,j

r0,0 p: σk,j(t ) = {log[Bk+1,2j+1(t )] – log[Bk+1,2j(t )]}[√(q(1–q))]/(t–k–1)

B0,0(2), r0,0
B1,1(2) op σ0,0(2) op B1,0(2)

n n
r1,1 r1,0

B0,0(3), r0,0
B1,1(3) op σ0,0(3) op B1,0(3)

B1,1(3), r1,1 B1,0(3), r1,0


B2,3(3)  op
ž σ1,1(3) op B2,2(3) B2,1(3) op σ1,0(3) op B2,0(3)

n n n n
r2,3 r2,2 r2,1 r2,0
B0,0(4), r0,0
B1,1(4) op σ0,0(4) op B1,0(4)

B1,1(4), r1,1 B1,0(4), r1,0


B2,3(4)  op
ž σ1,1(4)
op
ž B2,2(4) B2,1(4) op op
ž B2,0(4)
σ1,0(4)

B2,3(4), r2,3 B2,2(4), r2,2 B2,1(4), r2,1 B2,0(4), r2,0


B3,7(4) op op B3,6(4) B3,5(4) op op B3,4(4) B3,3(4) op op B3,2(4) B3,1(4) op op B3,0(4)
σ2,3(4) σ2,2(4) σ2,1(4) σ2,0(4)

n n n n n n n n
Figura 4.29 Bond Options: metodo iterativo (HJM)

r3,7 r3,6 r3,5 r3,4 r3,3 r3,2 r3,1 r3,0


MODELLO BINOMIALE

Pertanto, dato che p = 0,4 e q = 0,5,


equazione (2): B0,0 (2) = 85,446 = [0,4 B1,1 (2) + 0,6 B1,0 ( 2)] / 1,08

equazione (3): σ 0,0 (2) = 0,01852 = {log [ B1,1 (2)] − log [ B1,0 (2)]} /(2 × 1)
La soluzione di queste due equazioni è
B1,1 ( 2) = 94,340 B1,0 (2) = 90,909

per cui:
equazione (1): r1,1 = 100 / B1,1 (2) = 100 / 94,340 = 1,06

equazione (1): r1,0 = 100 / B1,0 ( 2) = 100 / 90,909 = 1,10


Prima di andare avanti di un altro periodo, dobbiamo calcolare B1,1(3) e
B1,0(3). Analogamente:
equazione (2): B0,0 (3) = 78,622 = [0,4 B1,1 (3) + 0,6 B1,0 (3)] / 1,08

equazione (3): σ 0,0 (3) = 0,02081 = {log [ B1,1 (3)] − log [ B1,0 (3)]} /(2 × 2)
Risolvendo queste due equazioni si ottiene:
B1,1 (3) = 89,185 B1,0 (3) = 82,062

Avendo a disposizione questi prezzi e i riskless returns, possiamo andare


avanti di un altro periodo e calcolare B2,3(3) e B2,2(3) dalle equazioni:
equazione (2): B1,1 (3) = 89,185 = [0,4 B2,3 (3) + 0,6 B2, 2 (3)] / 1,06

equazione (3): σ1,1 (3) = 0,01422 = {log [ B2,3 (3)] − log [ B2, 2 (3)]} /( 2 × 1)
nonché B2,1(3) e B2,0(3) dalle equazioni:
equazione (2): B1,0 (3) = 82,062 = [0,4 B2,1 (3) + 0,6 B2,0 (3)] / 1,10

equazione (3): σ1,0 (3) = 0,01358 = {log [ B2,1 (3)] − log [ B2,0 (3)]} /(2 × 1)
Risolvendo queste due coppie di equazioni separatamente, si ottiene:
B2,3 (3) = 96,154, B2, 2 (3) = 93,458, B2,1 (3) = 91,743, B2,0 (3) = 89,286

Pertanto
equazione (1): r2,3 = 100 / B2,3 (3) = 100 / 96,154 = 1,04

equazione (1): r2, 2 = 100 / B2, 2 (3) = 100 / 93,458 = 1,07

equazione (1): r2,1 = 100 / B2,1 (3) = 100 / 91,743 = 1,09

equazione (1): r2,0 = 100 / B2,0 (3) = 100 / 89,286 = 1,12

259
260
DERIVATI

B3,7(4) = 98,039 r3,7 = 1,02


q = 0,5
p = 0,4 B2,3(4) = 92,652
B2,3(3) = 96,154 r2,3 = 1,04

B3,6(4) = 95,238 r3,6 = 1,05


B1,1(4) = 84,045
B1,1(3) = 89,185
r1,1 = 1,06
B1,1(2) = 94,340

B3,5(4) = 94,340 r3,5 = 1,06

B2,2(4) = 86,712
B2,2(3) = 93,458 r2,2 = 1,07

B0,0(4) = 72,090 B3,4(4) = 91,743 r3,4 = 1,09


B0,0(3) = 78,622
B0,0(2) = 85,446
r0,0 = 1,08
B0,0(1) = 92,593

B3,3(4) = 92,593 r3,3 = 1,08

B2,1(4) = 83,570
B2,1(3) = 91,743 r2,1 = 1,09

B3,2(4) = 90,090 r3,2 = 1,11


B1,0(4) = 73,731
B1,0(3) = 82,062
B1,0(2) = 90,909 r1,0 = 1,10

B3,1(4) = 90,909 r3,1 = 1,10

B2,0(4) = 79,460
Bk,j(t ) = [pBk+1,2j+1(t ) + (1 – p)Bk+1,2j(t )]/rk,j r2,0 = 1,12
B2,0(3) = 89,286
σk,j(t ) = {log[Bk+1,2j+1(t )] – log[Bk+1,2j(t )]}[√(q(1 – q))]/(t – k – 1)
rk,j = 100/Bk,j(k + 1)
r3,0 = 1,14
Figura 4.30 Bond Options: prezzi impliciti (HJM)

B3,0(4) = 87,719

I dati sottolineati sono esogeni. I dati non sottolineati sono endogeni.


MODELLO BINOMIALE

Continuando in questo stesso modo, possiamo costruire l’albero con i


prezzi del bond a 4 anni, Bk,j(4), e con i riskless returns, r3,j (Figura 4.30).
La sottolineatura mette in evidenza i dati esogeni.
Infine, disponendo dei riskless returns e dei prezzi dei bonds, e tornan-
do indietro nel modo consueto, possiamo calcolare il valore dell’opzione
unitamente al delta, al gamma e alle altre greche.

Sommario: opzioni su bonds


Tra le opzioni più difficili da valutare figurano le bond options. In questo
caso, il modello binomiale standard non può essere utilizzato per tre diversi
motivi: (1) dobbiamo ammettere che i futuri riskless returns sono incerti;
(2) il prezzo del bond non può mai essere maggiore della somma di cedole
e capitale; (3) alla scadenza, il prezzo di un bond privo del rischio d’insol-
venza deve essere pari al suo valore nominale. Un modo naturale per supe-
rare queste difficoltà è quello di assumere che l’evoluzione del riskless re-
turn periodale sia descritta da un albero binomiale che si ricombina. Da
questo si può poi ricavare l’albero con i prezzi del bond e da questo, a sua
volta, l’albero con i prezzi dell’opzione. Sfortunatamente, il prezzo cor-
rente del bond ricavato con questo approccio può essere diverso dal prez-
zo di mercato. Pertanto, l’approccio più diffuso, ma anche più difficile, è
quello di risolvere il problema inverso: dati i prezzi correnti dei bonds, ri-
cavare l’albero dei riskless returns. Dato che molti alberi di riskless re-
turns possono essere coerenti con gli stessi prezzi correnti dei bonds, ab-
biamo bisogno di ulteriori informazioni per ricavare l’albero in modo uni-
voco. L’approccio di Ho-Lee assume che l’albero si ricombini e che la vo-
latilità sia la stessa in ciascun nodo. Il modello, più generale, di Heath-
Jarrow-Morton assume invece che l’albero non si ricombini e che la vola-
tilità non sia la stessa in ciascun nodo.

CONCLUSIONI
Il modello binomiale rappresenta l’approccio più flessibile, intuitivo e dif-
fuso per valutare le opzioni. Si basa sulla semplificazione secondo cui, in
un dato periodo (di durata molto breve), il prezzo del sottostante può as-
sumere solo uno di due possibili valori. Tra gli altri pregi, il modello in-
corpora le assunzioni che i mercati siano perfetti e che non esistano oppor-
tunità di arbitraggio. Non assume che gli investitori siano avversi al rischio
o che siano razionali, né richiede che venga stimato il ritorno atteso del
sottostante. Il modello incorpora anche il principio della valutazione neu-
trale verso il rischio, che può essere utilizzato come scorciatoia per la valu-
tazione delle opzioni europee. La formula Black-Scholes può essere otte-
nuta specificando un albero binomiale con un numero infinito di intervalli.
Tuttavia, gli alberi binomiali hanno diverse curiose caratteristiche che
ne possono limitare l’applicazione. Ad esempio, tutti i sentieri che condu-
cono allo stesso nodo hanno la stessa probabilità risk-neutral. I diversi tipi

261
DERIVATI

di volatilità − oggettiva, soggettiva e osservata − non sono distinguibili tra


loro; e, al limite, anche se il sentiero è continuo, non è però differenziabile
in alcun punto.
Un altro tipo di approccio è quello di risolvere il problema inverso at-
traverso gli alberi binomiali impliciti. Invece di assumere che la volatilità
del sottostante sia nota, e quindi utilizzarla per determinare le dimensioni
dei rialzi e dei ribassi, possiamo usare i prezzi correnti delle opzioni scritte
sullo stesso sottostante per stimare la dimensione di rialzi e ribassi.
Gli alberi binomiali possono anche essere utilizzati per determinare la
sensitività del valore delle opzioni rispetto al prezzo del sottostante (delta e
gamma), alla vita residua (theta), alla volatilità (vega), al riskless return
(rho) e al payout return (lambda). Il gamma è particolarmente importante
perché ci dice quando, durante la vita dell’opzione, è probabile che la re-
plica dinamica si dimostri difficile da attuare. Il fugit misura il valore atte-
so risk-neutral del tempo mancante all’esercizio dell’opzione. Anch’esso
può essere calcolato in base ad un albero binomiale.
Il modello binomiale standard può essere facilmente esteso alle opzioni
su futures e alle opzioni su valute. Inoltre, il modello continua a funzionare
anche se i suoi parametri dipendono dal tempo, dal prezzo del sottostante o
dal sentiero seguito in precedenza dal prezzo del sottostante. Soccombe se i
suoi parametri dipendono da qualche altra variabile casuale. Un compito
più difficile è quello di estendere il modello binomiale alle bond options.
Abbiamo mostrato tre diversi approcci per risolvere questo problema, tra
cui il modello di Ho e Lee ed il modello di Heath, Jarrow e Morton.

24
Tuttavia, come vedremo tra poco, il principio può essere applicato anche alle opzioni ame-
ricane. Se conosciamo la probabilità risk-neutral associata ad ognuno dei payoffs realizzati
quando conviene esercitare l’opzione anticipatamente, possiamo calcolare il valore atteso risk-
neutral di questi payoffs. Se poi facciamo ben attenzione ad attualizzare ciascun termine pre-
sente nel valore atteso con il riskless return appropriato alla data in cui il payoff viene in-
cassato, riusciamo ad ottenere lo stesso valore dell’opzione che ci viene fornito dall’albero
binomiale (Figura 4.20).
25
Per essere più precisi, dobbiamo assumere che i mercati siano perfetti, che i futuri spot re-
turns siano noti e che il sottostante non venga detenuto per fini di consumo o di produzione.
26
Un modo per far fronte a questa situazione è di ricorrere ad un altro derivato scritto sullo
stesso sottostante per poi valutare il primo in termini del secondo.
27
Esempi di questo approccio sono dati dal «modello dell’opzione composta» (compound option
model) e dal «modello diffusivo spiazzato» (displaced diffusion model). Applicato alle opzioni
su azioni, il compound option model assume che il valore complessivo di un’impresa (capita-
le proprio + debito) segua un processo binomiale moltiplicativo con volatilità costante. Tor-
nando indietro nell’albero, si ricava il processo binomiale per il valore delle azioni tenendo
conto che l’impresa ha l’«opzione di fallire» (option to default ). Il processo binomiale per il
valore delle opzioni ha volatilità variabile. Infine, questo processo viene utilizzato per tornare
indietro e ricavare l’albero binomiale con i valori dell’opzione.

262
5
Formula Black-Scholes

5.1 DERIVAZIONE
Come limite del modello binomiale
Ora che abbiamo ricavato la formula binomiale per un numero arbitrario, n,
di intervalli, siamo pronti per rispondere alla seconda domanda che viene
naturale a chi si occupa di matematica: cosa succede se, mantenendo costan-
te la vita residua, t, il numero degli intervalli, n, va all’infinito? In alternati-
va, cosa succede se l’ampiezza, h (= t/n), di ogni intervallo va a zero?
Chiaramente, dobbiamo far sì che i parametri binomiali r, δ, u e d cam-
bino al crescere di n. Ad esempio, il riskless return complessivo, relativo al
periodo t, è rn. Se r restasse invariato, mentre n va all’infinito, anche rn di-
venterebbe infinito. Avremmo così un riskless return arbitrariamente ele-
vato per il periodo (0, t), il che è chiaramente assurdo. In realtà, il riskless
return per il periodo (0, t) non dovrebbe essere influenzato dal modo in
cui dividiamo il periodo in sotto-intervalli. È invece ragionevole fissare il
ritorno complessivo per la scadenza t, che indicheremo con r’ (si noti che
utilizziamo il carattere corsivo r), e scegliere il ritorno periodale r in modo
che il ritorno complessivo, rn, sia uguale a rt. Così facendo si ha r = rt/n.

Ad esempio, se r = 1,1; t = 0,5 e n = 6, il ritorno periodale è r = 1,10,5/6 =


1,008. In altre parole, un tasso d’interesse periodale pari allo 0,8% mensile
comporta un ritorno semestrale pari a 1,049 (= 1,0086) e un ritorno annuo pari
a 1,1 (= 1,0492).

Per analogia, è ragionevole che il payout return periodale, δ, dipenda nello


stesso modo dal numero, n, degli intervalli e dal payout return su base
annua, d. Pertanto δ = d t/n.
Resta da trovare il modo per aggiustare la dimensione dei rialzi, u, e dei
ribassi, d, in modo che dipendano da n in modo ragionevole. I risultati che
otteniamo, quando n tende all’infinito, dipendono dal metodo utilizzato per
effettuare questo aggiustamento (Tavola 5.1). Il primo metodo, che è
senz’altro il più utile, porta alla formula Black-Scholes. Il secondo porta ad
una formula sviluppata da John Cox e Stephen Ross. Questo secondo me-
todo, che pure è interessante, è poco noto e non verrà qui seguito.28

263
DERIVATI

Per trovare il limite che ci interessa ci baseremo sul fondamentale lavoro


di Abraham de Moivre, il matematico del XVIII secolo a cui è dovuta la di-
mostrazione che la normale è la distribuzione limite di un processo binomiale
additivo. In altre parole, via via che ci spostiamo verso il basso nel triangolo
di Pascal, i numeri disposti su ogni riga, divisi per la loro somma, assumono
sempre più la forma di una distribuzione normale.

1 2
La funzione di densità della normale standardizzata è n(x) ≡ e–x /2 e la

h
probabilità che x cada nell’intervallo k < x < h è ⌠ n(x)dx. La funzione di di-
⌡ k
h
N(h) ≡ ⌠ n(x)dx. Pertanto,
stribuzione della normale standardizzata è
⌡ –∞
N(h) è la probabilità che x cada nell’intervallo –∞ < x < h.
∞ ∞
Si ha, inoltre, E(x) = ⌠ xn(x)dx = 0 e var(x) = ⌠ x2n(x)dx = 1.
⌡–∞ ⌡–∞
Tra le utili proprietà di N(h) figurano: N(−∞) = 0; N(∞) = 1; 0 ≤ N(h) ≤ 1;
N(−h) = 1 − N(h); N(−2) = 0,02275; N(−1) = 0,15866; N(0) = 0,5; N(1) =
0,84134 e N(2) = 0,97725.

Nella maggior parte dei casi, ai fini della valutazione delle opzioni, N(h) può
essere approssimata in base alla seguente regola

per h > 0: N(h) = 1 – n(h)[(0,4361836)b – 0,1201676 b2 +0,9372980 b3], dove


b ≡ 1/(1 + 0,33267 h)
per h < 0: calcolare N(–h) come sopra e quindi porre N(h) = 1 – N(–h)
per h = 0 N(h) = 0,5

Fonte: M. Abramowitz e I. Stegun, Handbook of Mathematical Functions, Dover


(New York), p. 932.

Si dice che la variabile casuale y = µ + σ x si distribuisce in modo normale


con media µ e deviazione standard σ. Le variabili casuali normali godono
delle seguenti proprietà:
(1) se y è una variabile casuale normale e c è una costante, allora le osser-
vazioni y > µ + c e y < µ − c sono equiprobabili; inoltre, y non ha limiti
né verso l’alto né verso il basso;
(2) se y è una variabile casuale normale e a e c sono due costanti, allora,
anche ay + c è una variabile casuale normale;
(3) se yl, y2, ..., yn, sono variabili casuali normali, anche non indipendenti
tra loro, e a1, a2, ..., an, sono n costanti, allora, anche la somma pondera-
ta a1 y1 + a2y2 + ... + anyn è una variabile casuale normale.
Una condizione sufficiente per la formula Black-Scholes è che la distribu-
zione risk-neutral del ritorno del sottostante, S*/S, durante la vita

264
FORMULA BLACK-SCHOLES

Tavola 5.1 Modello binomiale: casi limite

h≡ t/n
Domanda: per dato t, se n → ∞ (o, in alternativa, se h → 0),
in che modo facciamo dipendere r, δ, u, d da n?
rn = r t ⇒ r = rt/n = rh δn = dt ⇒ δ = dt/n = dh

Esempio: il tasso di rendimento annuo privo di rischio è pari


al 10%, per cui r = 1,1: se t = ½ e n = 6 (ritorni mensili),
allora: rn = rt ⇒ r6 = r½ ⇒ r = r1/12 = 1,11/12 ⇒ r = 1.008

A seconda di come definiamo u e d in termini di n, arriviamo


a due diverse formule:
Black-Scholes
Black-Scholes Formula
Formula Cox-Ross
Cox-Ross Formula
Formula

dell’opzione, sia log-normale, ossia che il logaritmo naturale del ritorno,


log(S*/S), sia normale. Se σ è la volatilità, ossia la deviazione standard su
base annua di questa distribuzione normale risk-neutral, tenendo conto del-
la vita residua dell’opzione si ha var[log(S*/S)] ≡ σ2t. Ad esempio, se la
volatilità, σ, è pari a 0,30, allora, per ottenere la volatilità semestrale occor-
re scalare σ in base alla radice quadrata di un semestre, in modo che σ t =
0,30 0,5 = 0,21.

Per vedere perché la volatilità va moltiplicata per la radice quadrata del tem-
po, consideriamo il ritorno complessivo su n periodi: R ≡ S*/S. Il ritorno R è il
risultato di n osservazioni, xi, estratte in modo indipendente dalla stessa distri-
buzione probabilistica con varianza σ2, per cui R = x1·x2·...·xn. Dato che log(R)
= log(x1) + log(x2) + ... + log(xn), la varianza di log(R) è:

var[log(R)] = var[log(x1) + log(x2) + ... + log(xn)]

= var[log(x1)] + var[log(x2)] + ... + var[log(xn)] = σ2 n

Pertanto, la deviazione standard di log(R) è std[log(R)] = σ n

Determiniamo ora la volatilità per il modello binomiale standard. Il valore


atteso soggettivo (locale) del ritorno logaritmico del sottostante in un sin-
golo intervallo è pari a q[log(u)] + (1 − q)[log(d)] ≡ mh. Il valore atteso
soggettivo relativo all’intero periodo di n intervalli è pari a:

[q log(u ) + (1 − q ) log(d )] n

265
DERIVATI

La varianza soggettiva del ritorno logaritmico del sottostante in un singolo


intervallo è pari a q[(log u) − mh]2 + (1 − q)[(log d) − mh]2 ≡ v2h. La va-
rianza soggettiva relativa all’intero periodo di n intervalli è pari a:

{q [ log(u ) − mh]2 + (1 − q )[ log(d ) − mh]2 } n

Il nostro obiettivo è quello di far sì che l’approccio binomiale utilizzi lo


stesso valore di var[log(S*/S)] dell’approccio Black-Scholes. In particolare,
dobbiamo trovare u e d, in funzione di n, in modo che

{q [ log(u ) − mh]2 + (1 − q )[ log(d ) − mh]2 } n

tenda rapidamente a σ2 t per h che tende a zero (o n che tende all’infinito),


tenendo fermo t. Così facendo, possiamo sperare che la formula binomiale
a n stadi tenda a convergere verso la formula Black-Scholes quando
l’ampiezza, h, di ogni intervallo tende a zero.

Convergenza
Convergenza della volatilità –
Consideriamo i seguenti valori per u e d: u = eσ√h e d = 1/u. Questi valori
soddisfano diverse condizioni. Innanzitutto, u e d sono simmetrici, per cui
ud = 1. Inoltre, u, che è inizialmente maggiore di 1, si avvicina ad 1 col
diminuire di h; analogamente, d, che è inizialmente minore di 1, si avvicina
a 1 col diminuire di h. In altri termini, le dimensioni dei rialzi e dei ribassi
diventano sempre più piccole col ridursi dell’ampiezza degli intervalli.
In ogni intervallo, il valore atteso (locale) soggettivo del ritorno loga-
ritmico è pari a:
mh = q log(u ) + (1 − q ) log(d )

Sostituendo d = 1/u:
mh = q log( u ) − (1 − q ) log( u ) = ( 2q − 1) log( u )

Analogamente, la volatilità soggettiva locale è pari a:

v 2 h ≡ q [ log(u ) − mh]2 + (1 − q )[ log(d ) − mh]2


= [q log(u ) 2 + (1 − q ) log(d ) 2 ] − (mh) 2

Sostituendo d = 1/u e mh = (2q − 1) [log(u)]:

v 2 h = [ q log(u ) 2 + (1 − q ) log(u ) 2 ] − (2q − 1) 2 log(u ) 2


= log(u ) 2 [ q + (1 − q ) − ( 2q − 1) 2 ]
= log(u ) 2 [1 − (2q − 1) 2 ]

Sostituiamo ora u = eσ√h, in modo che log(u) = σ h:

v 2 h = σ 2 h [1 − (2q − 1) 2 ] ⇒ v 2 = σ 2 [1 − ( 2q − 1) 2 ]

266
FORMULA BLACK-SCHOLES

Figura 5.1 Convergenza della distribuzione

S = 100 t = 0,25 r = 1,1 d = 1,0 σ = 0,3


0,16
µt = [log(r / d ) − ½σ ]t = 0,0126
2
σ t = 0,15
0,14
0,12
Probabilità

0,10
0,08
0,06
← →
0,04
0,02
0

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30
Nodo finale (j = 0, . . ., n)
SS* * == 52 52 72
72 100
100 139
139 193
193
log(S **
log(S/S) /S) == –0,657
–0,657 –0,329
–0,329 00 0,329
0,329 0,657
0,657

Chiediamoci ora cosa succede al lato destro dell’ultima equazione se h →


0. Dato che σ è costante, l’unica variabile che cambia è q. Avendo definito
q[log(u)] + (1 − q)[log(d)] ≡ mh, si ha:

mh − log(d ) 1 mh + σ h
q= =
log(u ) − log(d ) 2 σ h

Quando h → 0, è evidente che mh tende a 0 molto più velocemente di σ h.


Pertanto:

1
per h → 0 : q → e quindi v → σ
2

In altri termini, quando il processo binomiale tende al suo limite per h → 0,


il parametro σ rappresenta la volatilità locale soggettiva, che è uguale alla
volatilità della distribuzione log-normale risk-neutral.

Convergenza della distribuzione


Non è sufficiente convergere verso il corretto livello di volatilità. Occorre
inoltre che la distribuzione binomiale del logaritmo del ritorno converga
verso la distribuzione normale. Il teorema del limite centrale ce ne dà una
conferma.
La Figura 5.1 riporta un esempio che illustra la convergenza nel caso in
cui S = $100; t =– 0,25; r = 1,10; d = 1,00 e σ = 30%. Se n = 30, h = t/n =
0,00833; u = eσ√h = 1,027765; d = 1/u = 0,972985; r = rh = 1,000795 e δ = d h

267
DERIVATI

= 1,0, da cui p = [(r/δ) − d]/(u − d) = 0,507256. In tal caso, i nodi finali e le


associate probabilità risk-neutral (per i nodi dispari) sono:

j S u j d n–j = S* log(S*/S) [n!/j!(n – j)!]p j(1 – p) n–j


1 46,45 –0,767 ≡0
3 51,83 –0,657 0,000003
5 57,83 –0,548 0,000099
7 64,52 –0,438 0,001498
9 71,99 –0,329 0,011160
11 80,33 –0,219 0,045156
13 89,62 –0,110 0,104913
15 100,00 0,000 0,144009
17 111,58 0,110 0,117828
19 124,49 0,219 0,056959
21 138,91 0,329 0,015809
23 154,99 0,438 0,002384
25 172,93 0,548 0,000177
27 192,95 0,657 0,000005
29 215,29 0,767 ≡0

Queste probabilità sono riportate nella Figura 5.1. Possiamo vedere che, già
per un livello abbastanza piccolo di n (n = 30), la distribuzione è quasi nor-
male. Si può anche dimostrare che la media della distribuzione converge a
µ t = [log(r / d ) − ½ σ 2 ] t
− un risultato che dimostreremo e utilizzeremo tra poco.

Convergenza della formula


Abbiamo visto che, per data vita residua t, al crescere del numero, n, degli
intervalli, la probabilità risk-neutral del logaritmo del ritorno approssima
sempre meglio una distribuzione normale con media [log(r/d) − ½ σ2] t e
deviazione standard σ h.
Ma l’obiettivo è quello di calcolare il valore dell’opzione. Se abbiamo
fatto in modo che r, δ, u e d dipendano da n nel modo giusto, ci dovremmo
aspettare che, al crescere di n, il valore di un’opzione europea calcolata in
base al modello binomiale converga verso il valore Black-Scholes. E dob-
biamo sperare che, per piccoli valori di n, il valore binomiale dell’opzione
sia già molto vicino al valore Black-Scholes (“convergenza rapida”).
La Figura 5.2 effettua questa verifica considerando una call europea at-
the-money, con vita residua di 0,25 anni, scritta su un sottostante con prez-
zo corrente di $100. Il riskless return è pari a 1,10, il payout return è pari a
1,00 e la volatilità è pari al 30%. Il valore Black-Scholes di questa opzione
è pari a $7.16.

268
FORMULA BLACK-SCHOLES

Figura 5.2 Convergenza della formula

S = K = 100 t = 0,25 r = 1,1 d = 1,0 σ = 0,3


0,4

0,3
Binomiale – Black-Scholes

0,2

0,1

0
5 8 11 14 17 20 23 26 29 32 35 38 41 44 47 50 53 56 59 62 65 68 71 74 77 80 83 86 89 92 95 98
-0,1
Dimensione dell'albero (n)
-0,2

-0,3

Quando n = 5, il valore binomiale della call è pari a $7,45, come si è


già visto. Pertanto, la differenza tra il valore binomiale e il valore Black-
Scholes è di $0,29 (= $7,45 − $7,16), differenza che è inaccettabilmente
ampia. La Figura 5.2 mostra cosa succede quando aumentiamo il numero
degli intervalli per arrivare fino a n = 98. Quando n = 50, la differenza si
riduce a soli $0,03; e quando n = 98, è pari a circa $0.015. L’esempio con-
ferma che il valore binomiale converge verso il valore Black-Scholes e che
la convergenza è rapida. Il grafico mostra che, nel nostro esempio, valori
più elevati di n tendono a portarci più vicino al valore Black-Scholes ri-
spetto ai valori più bassi di n (“convergenza monotonica”).29
La differenza oscilla intorno a 0: è sempre positiva per valori dispari di
n e negativa per valori pari di n. È facile capirne il perché. Pensiamo alla
struttura dell’albero binomiale per il prezzo del sottostante. Dopo un nume-
ro pari di intervalli (2, 4, 6,...), il prezzo lungo la «spina» (spine) dell’albe-
ro (ossia l’asse orizzontale) è sempre lo stesso. Il nodo centrale degli alberi
con un numero pari di intervalli è sempre uguale al prezzo corrente S. In
questo nodo, un’opzione at-the-money – come nel nostro esempio – finirà
sempre at-the-money e avrà quindi un valore nullo. Questo nodo non con-
tribuisce al valore corrente dell’opzione. È come se tutta la probabilità che
è concentrata lì venisse gettata via. Invece, se l’albero ha un numero dispa-
ri di intervalli, metà dei nodi giace sopra e metà sotto il punto at-the-
money: la probabilità non viene mai “sprecata”. Pertanto, per le opzioni at-
the-money, gli alberi con un numero dispari di intervalli tenderanno a so-
pravvalutare i valori Black-Scholes mentre gli alberi con un numero pari di
intervalli tenderanno a sottovalutare i valori Black-Scholes.

269
DERIVATI

Questa non è solo una curiosità, perché ci consente di velocizzare il cal-


colo del valore delle opzioni. Invece di utilizzare un albero con un elevato
numero di intervalli, ad esempio n = 98, potremmo utilizzare due alberi, uno
con n = 29 e uno con n = 30. Sappiamo che il valore ottenuto con n = 29 è
troppo alto e che il valore ottenuto con n = 30 è troppo basso. Se prendiamo
la media, gli errori tendono ad annullarsi. In questo caso, la media è di $7,16,
virtualmente identica al valore Black-Scholes. Il calcolo mediante due alberi
con 29 e 30 intervalli è molto più veloce di quello effettuato mediante un so-
lo albero con 98 intervalli. Questa tecnica è nota in analisi numerica col no-
me di «estrapolazione di Richardson» (Richardson’s extrapolation).

Convergenza della dinamica


Finora abbiamo verificato la convergenza del modello binomiale standard
verso la formula Black-Scholes in termini di volatilità, distribuzione e for-
mula. Originariamente, Black e Scholes ricavarono la loro formula risol-
vendo una famosa equazione differenziale:
½σ 2 S 2 (∂ 2C / ∂ S 2 ) + log(r / d ) S (∂ C / ∂ S ) − (∂ C / ∂ t ) − log(r ) C = 0
L’analoga equazione nel modello binomiale è:
[ pC u + (1 − p ) Cd ] − r C = 0 dove p ≡ [(r/δ) − d ) /(u − d )
Vogliamo ora dimostrare che, quando h → 0, il limite di questa equazione
è rappresentato dall’equazione differenziale di Black e Scholes. Ai fini del-
la dimostrazione, dobbiamo approssimare C, Cu, Cd, u, d, r, δ con le ap-
prossimazioni in serie di Taylor. La serie di Taylor esprime la differenza
tra i valori di una funzione valutata in due diversi punti, x + h e x, in termi-
ni di una polinomiale che è funzione della differenza, h, tra i due punti:
1 1
f ( x + h) − f ( x) = (∂ f / ∂ x) h + (∂ 2 f / ∂ x 2 ) h 2 + (∂ 3 f / ∂ x 3 ) h 3 + ...
2 6

Si noti che se f (·) è lineare (quadratica), l’approssimazione sarà esatta dopo


il primo (secondo) termine. Ad esempio, consideriamo:
f ( x ) = ax 2 + bx + c
per cui:
∂ f / ∂ x = 2 a x + b, ∂ 2 f / ∂ x 2 = 2a, ∂ 3 f / ∂ x 3 = ∂ 4 f / ∂ x 4 = ... = 0
Sostituendo questi valori a sinistra del segno di uguaglianza si ottiene:
f ( x + h) − f ( x) = [a ( x + h) 2 + b ( x + h) + c] − (ax 2 + bx + c)
= 2axh + ah 2 + bh
e sostituendoli alla destra del segno di uguaglianza si ottiene:
1 1
(∂ f / ∂ x) h + (∂ 2 f / ∂ x 2 ) h 2 + ... = (2ax + b)h + (2a) h 2 = 2 a x h + a h 2 + b h
2 2

270
FORMULA BLACK-SCHOLES

Ai nostri fini, dato che vogliamo sapere cosa succede quando h → 0, possiamo
ignorare tutti i termini della serie di Taylor che sono di ordine h2 o superiore.
Per capirne il motivo, confrontiamo h con h2 quando h diventa piccolo. Se h
= 0,5, allora h2 = 0,25 e h/h2 = 2. Se h = 0,1, allora h2 = 0,01 e h/h2 = 10. È
chiaro che se h → 0, allora h/h2 → ∞.
Utilizzando l’approssimazione in serie di Taylor del primo ordine (h) −
1
f ( x + h) = f ( x) + (∂ f / ∂ x) h + (∂ 2 f / ∂ x 2 ) h 2 + ...
2

− otteniamo le seguenti approssimazioni per r, (r/δ), u e d:

r x + h = r x + log(r ) r x h + [log(r ) r x ]2 h 2 + ... ⇒ r = r h ≅ 1 + log(r ) h


1
2

(r / d ) x + h = ( r / d ) x + log(r / d ) (r / d ) x h + [log(r / d )( r / d ) x ]2 h 2 + ...


1
2

⇒ r/δ = (r / d ) h ≅ 1 + log(r / d ) h

ex+σ = e x + e x σ h + e x σ 2 h + ... ⇒ u = e σ
1 1
h h
≅ 1 + σ h + σ 2h
2 2

e x −σ = e x − e x σ h + e x σ 2 h + ... ⇒ d = e −σ
1 1
h h
≅ 1 − σ h + σ2h
2 2

E, utilizzando la generalizzazione dell’approssimazione in serie di Taylor


nel caso delle funzioni di due variabili −
f ( x + h, y + k ) = f ( x, y ) + [(∂ f / ∂ x) h + (∂ f / ∂ y ) k ]
1
+ [(∂ 2 f / ∂ x 2 ) h 2 + 2(∂ 2 f / ∂ x∂ y ) hk + (∂ 2 f / ∂ y 2 ) k 2 ] + ...
2

− otteniamo le seguenti approssimazioni per Cu e Cd:


Cu = C [S + (u − 1) S , t − h]
1
≅ C + (u − 1) S (∂ C / ∂ S ) + (u − 1) 2 S 2 (∂ 2C / ∂ S 2 ) − h (∂ C / ∂ t )
2

Cd = C [S + (d − 1) S , t − h]
1
≅ C + (d − 1) S (∂ C / ∂ S ) + (d − 1) 2 S 2 (∂ 2C / ∂ S 2 ) − h (∂ C / ∂ t )
2

La «legge della dinamica» (law of motion) definisce il modo in cui una va-
riabile passa da un valore a quello successivo. Nel caso del modello bino-
miale in cui:
C = [ pC u + (1 − p ) Cd ] / r dove p ≡ [(r/δ) − d ) /( u − d )

la legge della dinamica può essere definita nel modo seguente:


pCu + (1 − p ) Cd − r C = 0

Per ricavare il limite di questa equazione quando h → 0, dobbiamo sosti-


tuire a C, Cd e Cu le approssimazioni in serie di Taylor, trascurando i ter-
mini di ordine superiore a h.

271
DERIVATI

Pertanto, come si è visto, le approssimazioni in serie di Taylor per Cu e Cd


sono:
Cu = C [S + (u − 1) S , t − h]
1
≅ C + (u − 1) S (∂ C / ∂ S ) + (u − 1) 2 S 2 (∂ 2C / ∂ S 2 ) − h (∂ C / ∂ t )
2

Cd = C [S + (d − 1) S , t − h]
1
≅ C + (d − 1) S (∂ C / ∂ S ) + (d − 1) 2 S 2 (∂ 2C / ∂ S 2 ) − h (∂ C / ∂ t )
2

Per completare la dipendenza di questi termini da h, utilizziamo le appros-


simazioni in serie di Taylor (trascurando i termini di ordine superiore a h):
r = r h = 1 + log(r ) h

r/δ = (r / d ) h = 1 + log(r / d ) h

u = eσ
1
h
= 1 + σ h + σ 2h
2

d = e −σ
1
h
= 1 − σ h + σ2h
2

Dopo aver effettuato le sostituzioni e le semplificazioni, la legge della di-


namica diventa:
1 2 2 2
σ S (∂ C / ∂ S 2 ) + log(r / d ) S (∂ C / ∂ S ) − (∂ C / ∂ t ) − log(r ) C =0
2

Questa è l’equazione differenziale che è stata originariamente ricavata da


Black e Scholes.
La soluzione di questa equazione insieme con la condizione al contorno
quando t = 0, C* = max [0, S* − K], non è nient’altro che la formula Black-
Scholes. Per verifica, possiamo considerare la formula Black-Scholes:

C = Sd −t N ( x) − Kr −t N ( x − σ t ) dove x ≡ [log(S d −t / K r −t ) /( σ t )] + σ t
1
2

verificare che la condizione al contorno sia soddisfatta, calcolare le derivate:


∂ C / ∂ S = d −t N ( x)
∂ 2C / ∂ S 2 = d − t /( Sσ t ) n( x)
− ∂ C / ∂ t = S d − t log(d ) N ( x ) − K r − t log(r ) N ( x − σ t ) − σ S d − t /( 2 t ) n( x)
e sostituirle nell’equazione differenziale per controllare che il lato dell’e-
quazione a sinistra del segno d’uguaglianza sia effettivamente pari a zero.
Vedremo ora che sostituendo Cu, Cd, r, r/δ, u e d con le approssimazioni
in serie di Taylor trasformiamo la legge della dinamica binomiale nella
legge della dinamica ipotizzata da Black e Scholes. Abbiamo solo bisogno
di un po’ di algebra.
Innanzitutto, sostituiamo Cu e Cd con le approssimazioni in serie di
Taylor:

272
FORMULA BLACK-SCHOLES

1
p [C + (u − 1) S (∂ C / ∂ S ) + (u − 1) 2 S 2 (∂ 2C / ∂ S 2 ) − h (∂ C / ∂ t )]
2
1
+ (1 − p ) [C + (d − 1) S (∂ C / ∂ S ) + (d − 1) 2 S 2 (∂ 2C / ∂ S 2 ) − h (∂ C / ∂ t )] − r C
2
=0
Per semplificare, raccogliamo separatamente i termini che riguardano C,
∂C/∂t, ∂C/∂S e ∂ 2C/∂S 2:
C pC + (1 − p ) C − r C = −(r − 1) C
∂C/∂t − p h (∂ C / ∂ t ) − (1 − p ) h (∂ C / ∂ t ) = − h (∂ C / ∂ t )
p ( u − 1) S (∂ C / ∂ S ) + (1 − p ) (d − 1) S (∂ C / ∂ S )
∂C/∂S
Termini in

= {[ p u + (1 − p) d ] − 1} S (∂ C / ∂ S ) = [(r/δ) − 1] S (∂ C / ∂ S )
1 1
p (u − 1) 2 S 2 (∂ 2C / ∂ S 2 ) + (1 − p ) (d − 1) 2 S 2 (∂ 2C / ∂ S 2 )
2 2
1
∂ 2C/∂S 2 = [ p ( u − 1) 2 + (1 − p ) (d − 1) 2 ] S 2 (∂ 2C / ∂ S 2 )
2
1
= (r/δ) (u + d − 2) S 2 (∂ 2C / ∂ S 2 )
2
Per completare la dipendenza di questi termini da h, facciamo le analoghe
sostituzioni per r, r/δ, u e d:
C −( r − 1) C = − log( r ) h C
∂C/∂S [(r/δ) − 1] S (∂ C / ∂ S ) = log(r / d ) h S (∂ C / ∂ S )
1
(r/δ)(u + d − 2) S 2 (∂ 2C / ∂ S 2 )
2
= [1 + log(r / d ) h]
Termini in

1 1
× [1 + σ h + σ 2 h + 1 − σ h + σ 2 h − 2]
2 2
2 2
∂ C/∂S 1
× S 2 (∂ 2 C / ∂ S 2 )
2
1
= [1 + log(r / d ) h] σ 2 h S 2 (∂ 2C / ∂ S 2 )
2
1
= σ 2 h S 2 (∂ 2C / ∂ S 2 )
2
Sommando tra loro i termini in ∂2C/∂S2, ∂C/∂S, ∂C/∂t e C, otteniamo:
1
σ 2 h S 2 (∂ 2C / ∂ S 2 ) + log( r / d ) h S (∂ C / ∂ S ) − h (∂ C / ∂ t ) − log( r ) h C = 0
2
Infine, dividendo tutto per h:
1 2
σ S 2 (∂ 2C / ∂ S 2 ) + log( r / d ) S (∂ C / ∂ S ) − (∂ C / ∂ t ) − log( r ) C = 0
2

Formula Black-Scholes
Sul finire degli anni ‘60 e all’inizio degli anni ‘70, Myron Scholes e
Fischer Black lavoravano insieme al MIT per risolvere il problema della
valutazione delle opzioni. Lo analizzarono da due diverse prospettive.
Dapprima utilizzarono un modello d’equilibrio (il capital asset pricing
model) e poi un’argomentazione di arbitraggio proposta dal loro collega
Robert Merton, che aveva lavorato allo stesso problema insieme a Paul

273
DERIVATI

Samuelson. Entrambi gli approcci conducevano alla stessa equazione diffe-


renziale, nota in fisica come «equazione del calore» (heat equation). La
soluzione di questa equazione è la formula che porta i loro nomi.

La formula Black-Scholes
log(S d −t /K r −t )
C = Sd −t N(x) − Kr −t N(x − σ t ) dove
1
x≡ + σ t
σ t 2

La formula Black-Scholes, famosa in tutto il mondo, è forse la formula proba-


bilistica più utilizzata nella storia dell’umanità. Il valore di una call è funzione di
sei variabili: il prezzo corrente dell’attività sottostante, S, il prezzo d’esercizio
dell’opzione, K, la vita residua dell’opzione, t, il riskless return, r, il payout
return dell’attività sottostante, d, e la volatilità, σ, dell’attività sottostante.

La variabile x non è nuova, ma è definita in termini delle sei variabili ori-


ginali. Il simbolo N(·) rappresenta l’area sottostante la funzione di distribu-
zione della normale standardizzata, che è un numero compreso tra 0 e 1.
Vediamo quindi che la formula assume la forma della differenza tra due
termini, Sd−t (il valore attuale dell’attività che verrà consegnata alla sca-
denza) e Kr−t (il valore attuale del prezzo d’esercizio da pagare alla sca-
denza), ognuno ponderato con un numero compreso tra 0 e 1.
Per riassumere la nostra precedente discussione, nel modello binomiale
a più stadi, facciamo dipendere r, δ, u e d da n nel modo seguente:

r = r t / n , δ = d t / n , u = eσ t /n
, d = 1/ u

Poi, tenendo t fisso, ci chiediamo cosa succede se n va all’infinito. Ricor-


diamoci che, in questo contesto, la formula di valutazione di una call è:

C = S δ − n Φ(a; n, p ') − K r − n Φ(a; n, p )


dove p ≡ [(r/δ) − d ] /(u − d ) e p ' ≡ [u /(r / δ)] p

Sostituendo r, δ, u e d, otteniamo:

C = S d −t Φ(a; n, p ') − K r −t Φ(a; n, p )

Infine, si può dimostrare che, quando n → ∞, si ha:

Φ(a; n, p ') → N ( x) e Φ(a; n, p ) → N ( x − σ t )


log( S d − t / K r − t ) 1
dove x ≡ + σ t
σ t 2

E voilà, la formula Black-Scholes si materializza davanti ai nostri occhi.


La formula Black-Scholes può sembrare strana a prima vista, ma, riflet-
tendoci, è molto naturale. Supponiamo di sapere che la call finirà certa-

274
FORMULA BLACK-SCHOLES

mente in-the-money (ossia, S* > K). In tal caso, la volatilità deve essere
nulla ed il prezzo dell’attività sottostante deve crescere ad un tasso annuo
pari a r/d – 1.
Per capirne il motivo, ricordiamoci che Black e Scholes assumono che
la distribuzione risk-neutral del logaritmo del ritorno, log(S*/S), sia log-
normale. In tal caso, c’è una piccola probabilità che log(S*/S) possa essere
pari ad un numero negativo arbitrariamente grande. Di conseguenza, il ri-
torno S*/S (e quindi lo stesso S*) potrebbe essere arbitrariamente prossimo
a 0. Ma se S* può essere prossimo a zero, non possiamo essere sicuri in anti-
cipo che la call finisca in-the-money. L’unico modo per essere sicuri che la
call finisca in-the-money è che la distribuzione normale abbia volatilità
nulla. In tal caso il ritorno è privo di rischio. Pertanto, se siamo sicuri che
S* > K, allora σ = 0 e S* = S(r/d)t. In tal caso:

log(S d −t / K r −t ) 1 log(S * / K )
x≡ + σ t =
σ t 2 0

Un numero diviso per 0 è pari a −∞ o a +∞ a seconda che il numero sia ne-


gativo o positivo. Nel nostro caso log(S*/S) deve essere positivo dato che S*
> K ed il logaritmo naturale di un numero maggiore di 1 è sempre positivo.
Pertanto, x = +∞. Dato che N(+∞) = 1, la formula Black-Scholes si riduce a:

S d −t N ( x) − K r −t N ( x − σ t ) = S d −t (1) − K r −t (1) = S d −t − K r −t

Questo è esattamente il valore che una call europea deve avere, in assenza
di opportunità di arbitraggio, se siamo sicuri che finisca in-the-money.
Ragionando in modo analogo, se sappiamo che la call finirà certamente
out-of-the-money (S* < K), allora x =−∞ e N(x) = N(x − σ t) = 0. In tal ca-
so:

S d − t N ( x ) − K r − t N ( x − σ t ) = S d − t ( 0) − K r − t ( 0) = 0

Questo è esattamente il valore che una call europea deve avere, in assenza
di opportunità di arbitraggio, se siamo sicuri che finisca out-of-the-money.
Più in generale, non sappiamo in anticipo se l’opzione finirà in-the-
money o out-of-the-money. In generale, allora, il valore Black-Scholes è pari
alla differenza tra il valore attuale dei benefici alla scadenza (Sd−t) e il valore
attuale dei costi di esercizio (Kr−t), ciascuno ponderato con un numero com-
preso tra 0 e 1. Maggiore è la probabilità risk-neutral di esercizio, maggiori

sono questi pesi. In realtà, si può dimostrare che il secondo peso, N(x − σ√ t ),
è esattamente pari alla probabilità di esercizio risk-neutral, prob(S* > K),
mentre il primo, N(x), è pari a E[(S*r−t/Sd−t) | S* > K] × prob(S* > K).
Infine, il delta della call è la derivata ∂C/∂S, che risulta pari a d−tN(x).
Pertanto, i termini della formula Black-Scholes corrispondono esattamente
a quelli presenti nel portafoglio equivalente.

275
DERIVATI

La formula di Black e Scholes per la call europea può essere utilizzata


per ottenere la corrispondente formula per la put europea. A tal fine, sono
necessarie le assunzioni sottostanti la put-call parity, ma queste sono più
deboli di quelle richieste per ricavare la formula Black-Scholes. Di conse-
guenza, se vale la formula Black-Scholes, deve valere anche la put-call
parity (si noti però che non è vero il contrario).
Abbiamo quindi due equazioni, una (la formula Black-Scholes) che ci
dà il valore della call (la put-call parity) e l’altra che ci dà il valore della
put in termini del valore della call.
Sostituendo la prima nella seconda:

P = [ S d −t N ( x) − K r −t N ( x − σ t )] − S d −t + K r −t
= K r − t [1 − N ( x − σ t )] + S d − t [ N ( x) − 1]

Dato che la distribuzione normale è simmetrica: N(x) = 1 − N(−x). Pertanto:

P = K r −t [ N (− x + σ t )] − S d −t [ N ( − x )]

Definendo y ≡ [log(Kr−t/Sd−t) + σ t] −½σ t, si ha:

P = K r −t N ( y + σ t ) − S d −t N ( y )

Possiamo quindi pensare che il valore di un’opzione, sia essa una call o una
put, dipenda solo da tre numeri: Sd−t, Kr−t e σ t. Come dovevamo aspettar-
ci, le variazioni del prezzo del sottostante, del payout return, del prezzo
d’esercizio e del riskless return hanno effetti opposti sul valore della call e
della put. Inoltre, la vita residua, t, influenzerà il valore dell’opzione in tre
modi: attraverso la sua influenza diretta sugli effetti del payout return, d,
del riskless return, r, e della volatilità, σ.
Si noti inoltre che il riskless return, r, entra nella formula in due modi:
(1) nel valore attuale di K [che moltiplica N(x − σ t) o N(y + σ t)];
(2) nelle definizioni di x e y.
Nel primo caso r svolge il ruolo di fattore di attualizzazione; nel secondo
fissa il tasso di crescita risk-neutral del prezzo del sottostante (cum pa-
youts).
Analogamente, il payout return, d, entra nella formula in due modi:
(1) nel valore attuale di S [che moltiplica N(x) o N(y)];
(2) nelle definizioni di x e y.

Valutazione neutrale verso il rischio


La formula Black-Scholes può essere ricavata come limite della formula
binomiale a n stadi per h → 0, ma può anche essere ricavata direttamente
applicando il principio della valutazione risk-neutral: il valore corrente di

276
FORMULA BLACK-SCHOLES

un titolo è pari al valore atteso risk-neutral attualizzato in base al riskless


return. Il valore atteso risk-neutral del payoff della call è:
E (C * ) = E[max(0, S * − K )] = E[max(0, S R − K )]
dove R ≡ S*/S è il ritorno del sottostante durante la vita residua dell’opzione.
Il modello Black-Scholes assume che la distribuzione risk-neutral,
g(R), del ritorno del sottostante, R, sia log-normale. Pertanto:

E (C * ) = ∫K / S ( S R − K ) g ( R) dR
Il limite inferiore dell’intervallo di integrazione è fissato in modo che il
corrispondente valore dell’integrando sia SR − K = S(K/S) − K = 0.
L’integrale può essere trasformato in quello di una distribuzione nor-
male, f (X), se si tiene conto che, essendo R log-normale, allora X ≡ log(R)
è normale. Pertanto R = eX e quindi:

E (C * ) = ∫log(( SKe/ S )− K ) f ( X ) dX
X

Per trasformare una variabile casuale normale X con media µt e deviazione


standard σ t in una normale standardizzata con media 0 e deviazione stan-
dard 1, occorre sostituire X con x ≡ (X − µt)/ σ t in modo che X = µt + σ t
x. Pertanto:

∫[log(( SKe/ S ) −µ t ] / σ− Kt ) n ( X ) d x
µ t +σ t x
E (C * ) =

dove n(x) è la funzione di distribuzione della normale standardizzata


1
e− x
2
n( x ) ≡ /2

Mettendo in evidenza i termini contenenti S e K si ottiene:
∞ ∞
E (C * ) = S ∫[log(K / S ) − µ t ] / σ
eµ t +σ n ( X ) dx − K ∫[log(
tx
n( X ) dx
t K / S ) −µ t ] / σ t

Il valore atteso del payoff dell’opzione è stato calcolato in base alle proba-
bilità risk-neutral. Il valore atteso risk-neutral del ritorno (ex payout) del
sottostante, E(R), è pari al ritorno di un investimento sulla moneta, defla-
zionato in base al payout return, (r/d)t. Come abbiamo visto, ciò equivale,
nel caso di ritorni log-normali, ad uguagliare il valore atteso del logaritmo
del ritorno, µt = E[log (R)], a [log (r/d) − ½σ2] t.30
Sostituiamo ora [log(r/d) − ½σ2] t a µt sia nel primo integrando sia
nei limiti inferiori degli intervalli di integrazione dei due integrali. La fun-
zione esponenziale che figura nel primo integrando diventa:

eµ t + σ = e[log(r / d ) −½σ ]t + σ t x
= (r / d ) t e −½σ t +σ t x
2 2
tx

277
DERIVATI

I limiti inferiori degli intervalli di integrazione diventano:


1
[log( K / S ) − µ t ] /(σ t ) = {log( K / S ) − [log(r / d ) − σ 2 ]t} /(σ t )
2

= [log( K r − t / S d − t ) + σ 2t ] /(σ t ) = [log( K r − t / S d − t ) /(σ t )] + σ t


1 1
2 2

Indicandoli con a e sostituendoli negli integrali per E(C*), si ha:


∞ −½σ 2 t + σ t x ∞
E (C * ) = S (r / d ) t ∫a e n( x ) dx − K ∫a n( x) dx
Il principio della valutazione risk-neutral ci dice poi che, per ottenere il
valore corrente della call, dobbiamo attualizzare E(C*) in base a r t:

E (C * ) ∞ − ½σ 2 t + σ t x ∞
C=
r t
= S d −t ∫a e n( x ) dx − Kr − t ∫a n( x) dx
Utilizzando le proprietà di simmetria della distribuzione normale standar-
dizzata, secondo cui l’integrale da a a +∞ è uguale all’integrale da −∞ a
−a, possiamo invertire i limiti di integrazione in modo che i limiti inferiori
siano −∞ e i limiti superiori siano:

log(S d −t / K r −t ) 1
−a = − σ t
σ t 2

Effettuati gli ultimi passi richiesti dall’integrazione, otteniamo infine la


consueta versione della formula di Black e Scholes.

Sommario: derivazione
La formula Black-Scholes può essere ricavata come limite del modello bi-
nomiale standard facendo crescere all’infinito il numero degli intervalli, a
parità di vita residua dell’opzione, o, in modo equivalente, facendo tendere
a zero l’ampiezza di ciascuno degli intervalli. L’accorgimento da utilizzare
è quello di far dipendere nel modo giusto la dimensione dei rialzi e dei ri-
bassi dal numero degli intervalli. Dobbiamo fare in modo che, al crescere
del numero degli intervalli, la dimensione assoluta dei rialzi e dei ribassi
diventi più piccola. Se operiamo nel modo giusto, la distribuzione probabi-
listica alla fine dell’albero binomiale, quando il numero degli intervalli ten-
de all’infinito, si conforma gradualmente alla forma della distribuzione di
una variabile casuale log-normale risk-neutral − che è la distribuzione ipo-
tizzata da Black e Scholes. Di conseguenza, il valore dell’opzione diventa
sempre più vicino al valore Black-Scholes. Fortunatamente, ci vuole un
numero di intervalli relativamente piccolo prima che il valore binomiale ed
il valore Black-Scholes diventino molto vicini. La convergenza verso il
modello Black-Scholes è stata anche dimostrata in termini di volatilità, di
distribuzione e di dinamica.

278
FORMULA BLACK-SCHOLES

La formula Black-Scholes conferma diverse delle nostre precedenti os-


servazioni circa il modo in cui le sei variabili fondamentali − il prezzo del
sottostante, il prezzo d’esercizio, la vita residua, il riskless return, il payout
return e la volatilità − dovrebbero influenzare i prezzi delle opzioni euro-
pee. Inoltre, la formula fornisce il giusto valore dell’opzione anche nei casi
estremi in cui si sa in anticipo che l’opzione finirà sicuramente in-the-
money o sicuramente out-of-the-money. La struttura della formula riflette la
composizione del portafoglio equivalente.
Combinando la formula Black-Scholes per una call europea con la put-
call parity, si può facilmente ricavare la formula Black-Scholes per una put
europea.
La formula binomiale per un’opzione europea, relativa al modello a più
stadi, può essere interpretata come il valore atteso risk-neutral del payoff
dell’opzione, attualizzato in base al riskless return. La formula Black-
Scholes ha la stessa interpretazione. Abbiamo dimostrato, utilizzando gli
integrali, che il valore atteso del payoff dell’opzione, quando la distribu-
zione del prezzo del sottostante è log-normale, attualizzato in base al risk-
less return è uguale al valore Black-Scholes.

5.2 PARAMETRI PER LE COPERTURE


Greche
Con la formula Black-Scholes è facile calcolare le greche, ossia i parametri
che vengono utilizzati per le coperture locali: il delta, il gamma, l’omega, il
theta, il vega, il rho e il lambda. Questi parametri sono detti locali perché
misurano cosa succede al valore dell’opzione quando una delle variabili
fondamentali si allontana, di poco, dal suo livello corrente. Basta solo
spolverare il vecchio libro di calcolo algebrico e fare un po’ di derivate.
Il delta è la derivata prima del valore corrente dell’opzione rispetto al
prezzo del sottostante: ∂C/∂S o ∂P/∂S. Una relazione che è d’aiuto nel cal-
colo delle greche è la seguente, valida per qualsiasi a:
∂ N ( x) / ∂ a = n( x )(∂ x / ∂ a )
Utilizziamola per calcolare il delta di una call:
∂ C / ∂ S = d −t N ( x) + S d −t n( x) (∂ x / ∂ S ) − K r −t n( x − σ t )[∂ ( x − σ t ) / ∂S ]
= d − t N ( x) + [ S d − t n( x) − K r − t n( x − σ t )] (∂ x / ∂ S )
In base alla Tavola 5.2, si ha ∂C/∂S = d−tN(x). Sembra quindi che qualcuno
(non noi, naturalmente) abbia commesso un errore, dimenticando il resto
dell’espressione. Tuttavia, con un po’ di algebra si può dimostrare che:
S d − t n ( x ) − K r − t n( x − σ t ) = 0
per cui il delta è effettivamente quello della Tavola 5.2. Come abbiamo già
notato, il delta può quindi essere letto direttamente dalla formula Black-
Scholes come parte del suo primo termine, Sd−t N(x).

279
DERIVATI

Tavola 5.2 Coperture locali: parametri

Delta: ∂C / ∂S = d − t N ( x ) ≡ ∆ > 0
∂P / ∂S = d − t [N ( x ) − 1] ≡ ∆ < 0
Gamma: ∂C 2 / ∂S 2 = ∂P 2 / ∂S 2 = d − t / (Sσ t )n( x ) ≡ Γ > 0
Omega: (∂C / C ) / (∂S / S ) = (S / C )d − t N ( x ) ≡ Ω > 0
(∂P / P ) / (∂S / S ) = (S / P )d − t [N ( x ) − 1] ≡ Ω < 0
Theta: − ∂C / ∂t = Sd − t log(d )N ( x ) − Kr − t log(r )N ( x − σ t ) − σSd − t / (2 t )n( x ) ≡ Θ
− ∂P / ∂t = −Sd − t log(d )N ( − x ) + Kr − t log( r )N ( − x + σ t ) − σSd − t / (2 t )n( x ) ≡ Θ
Vega: ∂C / ∂σ = ∂P / ∂σ = Sd − t t n( x ) > 0
Rho: ∂C / ∂r = t K r − (t + 1)N ( x − σ t ) > 0
∂P / ∂r = t K r − (t + 1) [N ( x − σ t ) − 1] < 0
Lambda: ∂C / ∂d = −t S d − (t + 1)N ( x ) ≡ Λ < 0
∂P / ∂d = −t S d − (t + 1) [N ( x ) − 1] ≡ Λ > 0

½σ 2S 2T + log(r / d )S∆ + Θ − log(r )C = 0

Analogamente, il delta della put è uguale al delta della call meno d−t (o
semplicemente meno 1 se il payout return è uguale a 1). Prima della scaden-
za, 0 < N(x) < 1, per cui il delta della call è positivo mentre il delta della put
è negativo − esattamente quello che dovevamo aspettarci in base alla no-
stra precedente analisi degli aspetti statici dei portafogli equivalenti.
Non possiamo assegnare un segno univoco al theta (−∂C/∂t o −∂P/∂t),
perché l’allungamento della vita residua può abbassare il valore dell’op-
zione a causa della presenza dei payouts, nel caso di una call, e a causa
dell’effetto del riskless return, nel caso della put. Si noti che l’equazione
differenziale fondamentale di Black e Scholes vincola la relazione tra valo-
re dell’opzione, delta, gamma e theta:
1 2 2
σ S Γ + log( r / d ) S ∆ + Θ − log( r ) C = 0
2

Il gamma di una put è uguale al gamma di una call, così come il vega di
una put è uguale al vega di una call. Gamma e vega sono sempre positivi, a
causa della convessità dei payoffs.
Come si può vedere dalle formule, il gamma e il vega sono strettamente
legati tra loro; in effetti, vega = Γ × S2σ t.
Nel caso delle opzioni con uguale scadenza ma con strikes diversi, il
vega cambia proporzionalmente al gamma. È per questo che gli option
traders parlano del gamma come se misurasse il loro rischio di volatilità.
In un breve intervallo di tempo, il ritorno delle opzioni è approssimato
dal ritorno del portafoglio equivalente (ovvero è “localmente equivalente” al
ritorno del portafoglio equivalente). Possiamo utilizzare questa relazione per
calcolare il ritorno atteso, la volatilità e il beta dell’opzione (Tavola 5.3).

280
FORMULA BLACK-SCHOLES

Tavola 5.3 Misure locali di rischio: volatilità e beta

βC = Ωβ σC = Ωσ
La logica che è dietro queste formule può essere compresa in modo
intuitivo considerando le formule per la volatilità ed il beta del
portafoglio che è localmente equivalente all'opzione:

ritorno atteso del portafoglio = aµ + (1 – a)r


volatilità del portafoglio = aσ
beta del portafoglio = aβ

a = la quota dell'investimento finanziata con capitale proprio


a = (prezzo dell'asset × numero di unità) / (valore dell'investimento)
a = S∆/C = Ω
[nel caso di lending a < 1, nel caso di borrowing a > 1]

Consideriamo un portafoglio composto dal sottostante, con ritorno in-


certo rs, e dalla moneta, con ritorno certo r. Sia a la quota investita nel sot-
tostante, e 1 − a la quota investita nella moneta. Allora, arS + (1 − a)r è il
ritorno del portafoglio. Se a > 0, la posizione sul sottostante è lunga; se a <
0, la posizione è corta; se (1 − a) > 0 stiamo dando in prestito denaro; se (1 −
a) < 0 stiamo prendendo in prestito denaro.
Il ritorno atteso del portafoglio è:
E[ ars + (1 − a )r ] = aE (rs ) + (1 − a ) r = a µ + (1 − a ) r
dove µ è il ritorno atteso del sottostante. Analogamente, la varianza del ri-
torno del portafoglio è:
var [ars + (1 − a )r ] = a 2 var(rs ) = a 2 σ 2

dove σ2 è la varianza del ritorno del sottostante. Pertanto, la deviazione


standard del ritorno del portafoglio è:
std [ars + (1 − a ) r ] =| a | σ

Infine, il beta del portafoglio è pari a:


beta [ ars + (1 − a ) r ] = a β + (1 − a ) 0 = a β

dove β è il beta del sottostante (il beta della moneta è 0).


Nel caso del portafoglio equivalente, S∆ è l’importo investito nel sotto-
stante. Dato che il valore complessivo del portafoglio equivalente è il valo-
re, C, della call, allora S∆/C è la quota del portafoglio equivalente che è
investita nel sottostante, il cosiddetto mix. Allora, per calcolare, a livello

281
DERIVATI

Tavola 5.4 Misure globali di rendimento

Ipotesi:
(1) il prezzo dell'attività sottostante è soggettivamente log-normale (per
qualsiasi orizzonte temporale, h) con ritorno atteso annuo pari a m
(2) in qualsiasi data futura (trascorso l'intervallo h), l'opzione viene
valutata in base alla formula Black-Scholes: C = C(S, K, t – h, r, d, σ)

E (C | h ) = ∫ [Se d h − t N ( x ) − Kr h −t N ( X − σ t − h )]f ( X ;µh , σ h )dX
X
Tesi:
−∞
1
dove : µ = log(m ) − 2 σ 2
x ≡ log(Se X d h − t Kr h −t )/(σ t − h ) + 2 σ t − h
1

E (C | h ) = C (Sd − h m h , Kr h , t , r , d , σ)
Il valore atteso dell'opzione è pari al valore corrente ottenuto inserendo
nella formula Black-Scholes un prezzo del sottostante pari a Sd–hmh ed
un prezzo d'esercizio pari a Krh.

locale, il ritorno atteso, la deviazione standard e il beta dell’opzione, dob-


biamo semplicemente porre a = S∆/C nelle precedenti equazioni.
È importante notare che questi parametri sono solo “locali” nel senso che
valgono solo per piccole variazioni del prezzo del sottostante in un breve
periodo. Dato che la composizione del portafoglio equivalente cambia al
cambiare di S e t, anche S∆/C e Ω, cambiano.
Finora abbiamo esaminato solo misure locali del ritorno atteso, della
volatilità e del beta di un’opzione. Queste misure rispondono alla doman-
da: cosa succede al valore dell’opzione nel prossimo intervallo di tempo?
In molti casi, soprattutto quando pensiamo di mantenere l’opzione fino
alla scadenza, possiamo essere invece interessati a misure globali che co-
prono un periodo più lungo. Ad esempio, potremmo voler sapere qual è il
ritorno atteso di un’opzione non nel prossimo istante, ma nell’intero periodo
che manca alla scadenza. Per avere una rappresentazione matematica, dob-
biamo prima calcolarci il payoff atteso dell’opzione:

E (C * ) = ∫0 max(0, S − K ) g ( S * ) dS *
*

dove max [0, S* − K] è il payoff dell’opzione e g(S*) è la funzione di densi-


tà soggettiva che caratterizza l’attività sottostante. Allora, il ritorno atteso
dell’opzione, su base annua, è [E(C*)/C]1/t. Una scelta naturale della fun-
zione di densità, g(S*), è rappresentata dalla distribuzione log-normale.
Possiamo allora così riscrivere il precedente integrale:

E (C * ) = ∫− ∞ max(0, S e − K ) f ( X ) dX
X

−(X − µt)2/2σ2t
dove f (X) ≡ [1/(σ 2π t)]e .

282
FORMULA BLACK-SCHOLES

Tavola 5.5 Delta del portafoglio

Delta del titolo: ∆ ≡ ∂V/∂S


Cash: ∆ = 0 Call: 0 ≤ ∆ ≤ 1 Put: –1 ≤ ∆ ≤ 0 Asset: ∆ = 1
Valore del portafoglio = n1V1 + n2V2
Delta del portafoglio = ∂(valore del portafoglio)/∂S
= ∂(n1V1 + n2V2)/∂S = n1(∂V1/∂S) + n2(∂V2/∂S) = n1∆1 + n2∆2

Il delta del portafoglio misura l'esposizione locale del portafoglio alle


variazioni del prezzo del sottostante:
delta negativo ⇔ ribassista
delta nullo ⇔ neutrale
delta positivo ⇔ rialzista

I simboli µ e σ indicano, rispettivamente, il valore atteso e la deviazio-


ne standard, su base annua, del logaritmo del ritorno dell’attività sottostan-
te. Si noti che il valore atteso del ritorno dell’opzione dipende da µ, mentre
il valore corrente Black-Scholes non dipende da µ. La cosa è comprensibi-
le, dato che quanto maggiore è il ritorno atteso del sottostante, tanto mag-
giore deve essere il ritorno atteso della call.
Più in generale, potremmo chiederci qual è il ritorno atteso di un’op-
zione in un generico intervallo, h, più breve della vita residua, t. La Tavola
5.4 risponde a questa domanda. Per rispondere dobbiamo sapere quale sarà
il valore dell’opzione prima della scadenza. Alla fine del periodo di deten-
zione, la vita residua dell’opzione sarà pari a t − h. In prima approssima-
zione, un approccio naturale è quello di assumere che il valore dell’opzione
sarà pari a quello Black-Scholes, S eX dh − tN(x) − Krh − t N(x − σ t − h).
Il risultato ottenuto dopo aver risolto l’integrale è che il valore atteso
della call, E(C*), è uguale al valore Black-Scholes di un’opzione altrimenti
identica ma con prezzo del sottostante pari a Sd−hmh e con prezzo d’eserci-
zio Krh. In questa formulazione, m è il valore atteso del ritorno (non loga-
ritmico) del sottostante, espresso su base annua, per cui Sd−hmh è il valore
atteso del prezzo del sottostante tra h anni.

Delta
La Tavola 5.5 riporta alcune informazioni sul delta di un portafoglio.
Il delta di una call è sempre non negativo ed il delta di una put è sem-
pre non positivo. In entrambi i casi, il delta rappresenta la derivata del va-
lore dell’opzione rispetto al prezzo del sottostante. Indicando il valore cor-

283
DERIVATI

rente dell’opzione con V (sia essa una call o una put), ∆ = ∂V/∂S indica il
delta dell’opzione. Possiamo anche parlare di delta dello stesso sottostante;
in tal caso, V rappresenta il valore dell’attività sottostante, S. Dato che la
derivata di una variabile rispetto a se stessa è pari a 1, il delta del sottostan-
te è sempre pari a 1. Invece, il delta di una posizione sulla moneta è sempre
pari a 0.
Consideriamo ora un portafoglio composto da due di questi titoli: calls,
puts, attività sottostante, moneta. Supponiamo di comprare n1 unità del
primo titolo con valore corrente unitario V1 e n2 unità del secondo con va-
lore corrente unitario V2. Valori positivi di n1 o n2 corrispondono ad un ac-
quisto; valori negativi corrispondono ad una vendita allo scoperto. Il valore
corrente del portafoglio è semplicemente pari a n1V1 + n2V2.
La domanda ora è: qual è il delta del portafoglio? Vogliamo che il delta
del portafoglio misuri la variazione di valore del portafoglio conseguente
ad un piccolo aumento del prezzo del sottostante. Pertanto, il delta del por-
tafoglio è pari a ∂(n1V1 + n2V2)/∂S. Dato che la derivata di una somma è
pari alla somma delle derivate, possiamo esprimere il delta del portafoglio
nel modo seguente:
∂ (n1V1 + n2V2 ) / ∂ S = n1 (∂ V1 / ∂ S ) + n2 (∂ V2 / ∂ S ) = n1∆1 + n2 ∆ 2

Pertanto, il delta di un portafoglio è pari alla somma ponderata dei delta


dei titoli presenti nel portafoglio, con pesi pari al numero di unità dei ri-
spettivi titoli. Questa proprietà additiva del delta è condivisa da altre misu-
re di rischio finanziario comunemente usate. Ad esempio, il beta di un por-
tafoglio è la media ponderata dei beta dei titoli presenti nel portafoglio, con
pesi pari alle loro quote nel portafoglio. La duration di un portafoglio ob-
bligazionario è una media ponderata delle durations delle singole obbliga-
zioni presenti nel portafoglio. La proprietà additiva del delta è molto utile
perché ci consente di calcolare il delta del portafoglio sulla base dei delta
dei titoli che lo compongono.
Il delta del portafoglio misura l’esposizione del portafoglio a piccole
variazioni del prezzo dell’attività sottostante. Ad esempio, se il delta del
portafoglio è pari a −145, il portafoglio equivale ad una posizione corta su
145 unità dell’attività sottostante. Il segno del delta del portafoglio indica
se il portafoglio è attualmente lungo (delta positivo) o corto (delta negati-
vo). I portafogli delta positivi (negativi) sono appropriati per gli investitori
che hanno aspettative rialziste (ribassiste) circa il prezzo dell’attività sotto-
stante.

Portafogli neutrali rispetto al delta

Se il delta del portafoglio è nullo, il portafoglio non è localmente né lungo né


corto: si dice che il portafoglio è «neutrale rispetto al delta» (delta-neutral).

284
FORMULA BLACK-SCHOLES

Tavola 5.6 Portafogli neutrali rispetto al delta

Portafoglio delta-neutral: n1∆1 + n2∆2 = 0 ⇒ n1/n2 = –∆2/∆1

‰ Neutral Hedge n1/n2 = –∆2/∆1 = –0,5/1 = –0,5


Buy 1 share (∆1 = 1)
Sell 2 APR/40 calls (∆2 = 0,5)

‰ Neutral Bullish Time Spread n1/n2 = –∆2/∆1 = –0,91/0,75 = –1,2


Buy 6 APR/35 calls (∆1 = 0,75)
Sell 5 JAN/35 calls (∆2 = 0,91)

‰ Buy Neutral Straddle n1/n2 = –∆2/∆1 = –(–0,45)/0,52 = 0,865


Buy 86 JUL/40 calls (∆1 = 0,52)
Buy 100 JUL/40 puts (∆2 = –0,45)

Per costruire portafogli delta-neutral con due titoli, bisogna scegliere n1 e


n2 in modo tale che nl ∆1 + n2 ∆2 = 0. Dobbiamo quindi avere n1/n2 =
−∆2/∆1. Questi portafogli sono utili ai market makers che devono prendere
posizioni su opzioni ma non vogliono rischiare perdite a causa di variazio-
ni sfavorevoli del prezzo del sottostante. Sono anche utili agli investitori
che ritengono di poter identificare le opzioni con prezzi relativi disallineati
ma che non hanno opinioni circa la direzione del prezzo del sottostante.
Consideriamo i tre esempi della Tavola 5.6. Nel primo, vogliamo creare
un neutral hedge. Compriamo un’azione e la copriamo vendendo due calls
con prezzo d’esercizio di $40 e scadenza in aprile. Il delta dell’azione è
chiaramente pari a 1. Supponiamo che il delta di una call sia pari a 0,5.
Questo vuol dire, in prima approssimazione, che quando il prezzo del sot-
tostante cambia di $1, il prezzo della call cambia di circa $0,50 nella stessa
direzione. Pertanto, per creare un neutral hedge, dobbiamo vendere due
calls. Se il prezzo dell’azione sale di $1, perderemo $0,50 su ogni call e
quindi $1 (= 2 × $0,50) in totale, compensando esattamente il profitto
sull’azione. Se invece il prezzo dell’azione scende di $1, guadagneremo
$0,50 su ogni call e quindi $1 (= 2 × $0,50) in totale, compensando esatta-
mente la perdita sull’azione. Pertanto, per piccole variazioni del prezzo
dell’azione, l’intero portafoglio dovrebbe finire in pareggio.
Consideriamo ora un neutral bullish time spread mediante calls con
strike di $35. La prima call scade in aprile (∆1 = 0,75) e la seconda in gen-
naio (∆2 = 0,91). Dato che il rapporto tra ∆2 e ∆1 è di 6 a 5, il neutral spread
richiede l’acquisto si 6 calls per aprile e la vendita di 5 calls per gennaio.
In questo caso, il delta del portafoglio è pari a 0 [=(6 × 0,75) − (5 × 0,91)].

285
DERIVATI

Figura 5.3 Delta hedging

1,2
t = 1
r = 1,15
1 d = 1,00
σ = 0,3
0,8
Delta

0,6
Call
K = 90
Call
0,4
K = 110
Bull
0,2
Spread

0
50 55 60 65 70 75 80 85 90 95 100 105 110 115 120 125 130 135 140 145 150
Prezzo dell'attività sottostante ($)

L’ultimo portafoglio è un neutral straddle composto da una call (∆l = 0,52)


e da una put (∆2 = −0,45), con strike di $40 e scadenza in aprile. Il neutral
straddle richiede l’acquisto di calls e puts nel rapporto 0,45 a 0,52. Pertan-
to se acquistiamo 45 calls e 52 puts, il delta del portafoglio è pari a 0 {= (45
× 0,52) + [52 × (−0,45)]}.

Delta hedging
La Figura 5.3 mostra come il delta Black-Scholes di una call dipende dalla
relazione tra il prezzo corrente del sottostante ed il prezzo d’esercizio.
Quando la call diventa out-of-the-money (S < K), il delta tende a 0 mentre
quando diventa in-the-money (S > K), il delta tende a 1. In prima approssi-
mazione, il delta è pari a 0,5 quando S = K(r/d)−t. Nel grafico, questo si ve-
rifica quando S = $78 nel caso della call con strike di $90 e quando S = $95
nel caso della call con strike di $110.
Il delta di un bull spread mediante calls (una call lunga con strike di
$90 ed una call corta con strike di $110) oscilla molto meno rispetto a cia-
scuna delle due calls considerate separatamente − proprio quello che do-
vemmo aspettarci dal una posizione coperta. Quando cresce il delta di una
call, la crescita è almeno in parte compensata della crescita del delta
dell’altra call. È facile vedere che il delta del bull spread è semplicemente
pari alla differenza tra le curve che rappresentano i delta delle due calls, a
conferma del fatto che il delta del portafoglio è pari alla somma ponderata
dei delta dei titoli che lo compongono. In questo caso i pesi sono 1 e −1.
La nostra regola secondo cui il delta di una call è pari a 0,5 quando S =
K(r/d)−t deriva da una rapida analisi del delta Black-Scholes:

286
FORMULA BLACK-SCHOLES

Tavola 5.7 Gamma del portafoglio

Gamma del titolo: Γ ≡ ∂2V/∂S2 = ∂∆/∂S


Cash: Γ = 0 Call: Γ > 0 Put: Γ > 0 Asset: Γ = 0
Delta del portafoglio = n1∆1 + n2∆2
Gamma del portafoglio = ∂(delta del portafoglio)/∂S
= ∂(n1∆1 + n2∆2)/∂S = n1(∂∆1/∂S) + n2(∂∆2/∂S) = n1Γ1 + n2Γ2
Nel caso di portafogli composti da opzioni aventi tutte la stessa
scadenza, il gamma del portafoglio misura quanto è sensibile il valore
del portafoglio alle variazioni della volatilità del sottostante (nel modello
Black-Scholes: ∂C/∂σ = ΓS2t σ):
gamma negativo ⇔ ribassista sulla volatilità
gamma nullo ⇔ neutrale sulla volatilità
gamma positivo ⇔ rialzista sulla volatilità
Gamma di un portafoglio delta-neutral: n1∆1[(Γ1/∆1) – (Γ2/∆2)]

log(S d −t / K r −t ) 1
∆ = d -t N ( x ) dove x ≡ + σ t
σ t 2

Se S = K(r/d)-t, allora x = [log(1) ÷ σ t] + ½ σ t = [0 ÷ σ t] + ½ σ t = ½ σ t


da cui:

⎛1 ⎞
∆ = d -t N ⎜ σ t ⎟
⎝2 ⎠

In molti casi, d−t ≈ 1 e ½ σ t ≈ 0, per cui ∆ ≈ N(0) = 0,5.

Gamma di un portafoglio
La Tavola 5.7 riporta alcune informazioni sul gamma di un portafoglio.
I gamma di calls e puts sono sempre non negativi. Il gamma rappresen-
ta la derivata del delta dell’opzione rispetto al prezzo del sottostante. Se ∆
è il delta dell’opzione (sia essa una call o una put), il gamma dell’opzione
è definito da Γ = ∂∆/∂S. Possiamo anche parlare di gamma dello stesso sot-
tostante; in tal caso, ∆ rappresenta il delta dell’attività sottostante. Dato che
il delta dell’attività sottostante è 1 ed essendo la derivata di una costante
pari a 0, il gamma dell’attività sottostante è sempre pari a 0. Analogamen-
te, il gamma della moneta è sempre pari a 0.
Consideriamo ora un portafoglio composto da due di questi titoli: calls,
puts, attività sottostante, moneta. Supponiamo di comprare n1 unità del
primo titolo con delta unitario ∆1 e n2 unità del secondo con delta unitario
∆2. Valori positivi di n1 o n2 corrispondono ad un acquisto; valori negativi

287
DERIVATI

corrispondono ad una vendita allo scoperto. Il delta del portafoglio è sem-


plicemente pari a n1∆1 + n2 ∆2.
La domanda ora è: qual è il gamma del portafoglio? Vogliamo che il
gamma del portafoglio misuri la variazione del delta del portafoglio conse-
guente ad un piccolo aumento del prezzo del sottostante. Pertanto, il gam-
ma del portafoglio è pari a ∂( n1∆1 + n2∆2)/∂S. Dato che la derivata di una
somma è pari alla somma delle derivate, possiamo esprimere il gamma del
portafoglio nel modo seguente:
∂ (n1∆1 + n2 ∆ 2 ) / ∂ S = n1 (∂ ∆1 / ∂ S ) + n2 (∂ ∆ 2 / ∂ S ) = n1Γ1 + n2 Γ2
Pertanto, il gamma di un portafoglio è pari alla somma ponderata dei
gamma dei titoli presenti nel portafoglio, con pesi pari al numero di unità
dei rispettivi titoli.
Dato che il vega Black-Scholes (∂V/∂σ) è strettamente legato al gamma,
il gamma può essere utilizzato per avere un’idea della sensitività del valore
del portafoglio rispetto alle variazioni di volatilità. I portafogli gamma po-
sitivi tendono a beneficiare degli aumenti di volatilità. In gergo, i traders
che acquistano portafogli gamma positivi “comprano volatilità”.
In genere, i market-makers che vogliono essere delta-neutral desidera-
no effettuare poche contrattazioni ed essere poco esposti alle variazioni di
volatilità. Fanno quindi in modo che il delta e il gamma dei loro portafogli
siano prossimi a zero. Il gamma di un portafoglio delta-neutral è:
n1Γ1 + n2 Γ2 con n1∆1 + n2 ∆ 2 = 0
Risolvendo la condizione di neutralità del delta rispetto a n2 e sostituendo
n2 nella definizione del gamma, il gamma di un portafoglio delta-neutral
risulta pari a:
n1∆1[(Γ1 / ∆1 ) − (Γ2 / ∆ 2 )]

Gamma hedging
La Figura 5.4 mostra che, in prima approssimazione, il gamma di una call
raggiunge il punto di massimo quando il prezzo corrente, S, del sottostante
è prossimo al valore attuale del prezzo d’esercizio aggiustato per tener con-
to dei dividendi, K(r/d)−t. Nel caso di una call con strike di $90, il punto di
massimo si ha per S = $78, mentre per la call con strike di $110 si ha per S
= $95. In effetti, quando il prezzo del sottostante è vicino a questi livelli, è
difficile replicare la call con un portafoglio composto dal sottostante e dal-
la moneta. I delta-neutral traders sono spesso molto preoccupati per i loro
portafogli quando il gamma è molto alto, dato che in questi casi la replica è
molto difficile. Inoltre, in questi casi, sono molto esposti alle variazioni di
volatilità ed alle improvvise discontinuità dei prezzi del sottostante.
Di conseguenza, questi traders cercheranno sia di essere delta neutral sia
di avere un basso gamma. Come si vede nel grafico, il bull spread ha un
gamma sempre più basso di quello della call lunga. Pertanto, le opzioni pos-

288
FORMULA BLACK-SCHOLES

Figura 5.4 Gamma hedging

0,02
t = 1
r = 1,15
0,015 d = 1,00
σ = 0,3

0,01
Gamma

Call
0,005
K = 90
Call
0
50 55 60 65 70 75 80 85 90 95 100 105 110 115 120 125 130 135 140 145 150 K = 110
Bull
-0,005
Spread

-0,01
Prezzo dell'attività sottostante ($)

sono essere utilizzate per ridurre il gamma del portafoglio. In effetti, quando
il prezzo del sottostante è pari a $83, il gamma del bull spread è nullo. In ba-
se alla Figura 5.3, il delta del bull spread per S = $83 è uguale a 0,27. Pertan-
to, combinando il bull spread con una posizione corta di 0,27 unità del sotto-
stante, il delta e il gamma del portafoglio sono entrambi nulli.
È anche facile vedere che il gamma del bull spread è semplicemente
pari alla differenza tra le curve che rappresentano i gamma delle due calls,
a conferma del fatto che il gamma del portafoglio è pari alla somma ponde-
rata dei gamma dei titoli che lo compongono.
Possiamo anche imparare qualcosa circa i portafogli delta-neutral se
esaminiamo l’equazione differenziale di Black-Scholes:
1 2 2
σ S Γ + log(r / d ) S ∆ + Θ − log(r ) C = 0
2

Come abbiamo visto, non solo il delta di un portafoglio è la somma ponde-


rata dei delta dei titoli che lo compongono, ma anche il valore del portafo-
glio, il gamma e, come si può dimostrare, il theta godono della stessa pro-
prietà, con gli stessi pesi. Pertanto, l’equazione differenziale di Black-
Scholes vale anche per i portafogli e i simboli Γ, ∆, Θ e C possono essere
interpretati, rispettivamente, come greche e valore di portafogli.

Sommario: parametri per le coperture


Il delta misura la sensitività del valore di un’opzione rispetto ad una piccola
variazione del prezzo del sottostante, ceteris paribus. È quindi ragionevole
calcolare il delta come derivata prima del valore dell’opzione, espresso

289
DERIVATI

dalla formula Black-Scholes, rispetto al prezzo del sottostante. Anche altri


parametri utili per le coperture, tra cui il gamma e il vega, possono essere
calcolati come derivate del valore Black-Scholes dell’opzione.
Possiamo anche utilizzare la formula Black-Scholes per misurare il ri-
schio locale di un’opzione, rappresentato dalla volatilità o dal beta. La vo-
latilità locale (o il beta locale) dell’opzione è pari al prodotto tra la volatili-
tà (o il beta) dell’attività sottostante e l’omega dell’opzione.
In alcuni casi è utile misurare le proprietà globali di un’opzione. Ad e-
sempio, abbiamo dimostrato che il ritorno atteso di un’opzione, nel corso
della sua vita o anche solo in parte della sua vita, può essere facilmente
calcolato reinterpretando la formula Black-Scholes.
Spesso, i portafogli contengono diverse opzioni scritte sullo stesso sot-
tostante. Il delta del portafoglio misura di quanto cambia il valore del por-
tafoglio a seguito di un piccolo aumento del prezzo del sottostante. Fortu-
natamente, se già disponiamo dei delta delle singole opzioni presenti nel
portafoglio, il delta dell’intero portafoglio può essere calcolato come som-
ma ponderata dei delta delle singole opzioni. Una proprietà additiva simile
vale anche per il gamma.
È possibile costruire portafogli di opzioni che risultino quasi insensibili
alle variazioni del prezzo del sottostante. Questi portafogli delta-neutral
vengono utilizzati dai market-makers che devono assumere posizioni su
opzioni ma non vogliono rischiare perdite a causa di variazioni sfavorevoli
del prezzo del sottostante. Sono anche utilizzati dagli investitori che riten-
gono di poter identificare le opzioni con prezzi relativi disallineati ma che
non hanno opinioni circa la direzione del prezzo del sottostante.

5.3 ESTENSIONI
Opzioni su futures
Combinando la forward-spot parity per un contratto futures, F = S(r/d)T,
con la formula Black-Scholes per una call scritta sullo stesso sottostante, è
possibile ricavare la formula, tipo Black-Scholes, per una call scritta su un
futures.31
Come al solito, t è la vita residua dell’opzione. La vita residua del con-
tratto futures sottostante è T ≥ t. Alla data di scadenza dell’opzione, la vita
residua del futures è T − t, per cui a quella data il prezzo futures è F* =
S*(r/d)T−t.
Una call europea, con prezzo d’esercizio K, scritta su un futures ha un
payoff pari a max[0, F* − K], dopo che è trascorso il tempo t. Pertanto, il
payoff della call è:
max[0, S * (r / d )T − t − K ]
Un accorgimento utilizzato per valutare le opzioni con payoffs insoliti è
quello di cercare di convertirne il payoff in qualcosa che rassomigli ad una
call sul sottostante. Nel nostro caso, terremo conto del fatto che:

290
FORMULA BLACK-SCHOLES

Tavola 5.8 Futures Options e Spot Options

Ora t (S *, F *) T

0 (S, F) scadenza scadenza


dell'opzione del futures

Affinché non esistano opportunità di arbitraggio tra futures e spot:


F = S(r/d)T
Questa relazione vale sempre, anche alla scadenza dell'opzione:
F * = S*(r/d)T – t
Il payoff di una futures call con scadenza al tempo t è:

max[0, F * – K] = max[0, S *(r/d)T – t – K] = (r/d)T – tmax[0, S * – K(d/r)T – t ]


Pertanto, la futures call ha lo stesso payoff di (r/d)T–t spot calls,
con scadenza t e prezzo d'esercizio K(d/r)T–t, scritte sullo stesso
sottostante del futures.

per qualsiasi variabile a > 0, max [X, Y] = a max[X/a, Y/a]


Nel nostro caso, ponendo a = (r/d)T−t, si ha:
max[0, S * (r / d )T − t − K ] = (r / d )T − t max[0, S * − K ( d / r )T − t ]
Pertanto, il payoff max[0, F* − K] di una call scritta su un futures equivale
al payoff di (r/d)T−t calls, con prezzo d’esercizio K(d/r)T−t e vita residua t,
scritte sul sottostante. Dato che hanno lo stesso payoff, le due posizioni de-
vono avere lo stesso costo corrente, in assenza di opportunità di arbitraggio
(Tavola 5.8).

Formula di Black
Riconsideriamo il nostro risultato: il valore corrente di una call scritta su
un contratto futures è uguale al valore corrente di (r/d)T−t calls, con prezzo
d’esercizio K(d/r)T−t e vita residua t, scritte sul sottostante.
La formula Black-Scholes per una call con prezzo d’esercizio K e vita re-
sidua t, è:

C = S d −t N ( x) − K r −t N ( x − σ t )

con

log( X r f−t / K r −t ) 1
x≡ + σ t
σ t 2

Per valutare una call, con prezzo d’esercizio K(d/r)T−t, sostituiamo sempli-
cemente il K della formula, quale esso sia, con K(d/r)T−t, e per valutare

291
DERIVATI

(r/d)T−t di queste calls moltiplichiamo il valore della call con (r/d)T−t:

C = ( r / d )T − t [ S d −t N ( x ) − K (d / r )T − t r −t N ( x − σ t )]

con x ≡ [1og(Sd−t/K(d/r)T−t r −t) ÷ σ t] + ½ σ t.


Anche se questa formula è giusta, è un po’ più elegante esprimerla in
termini del prezzo futures, F. Dato che F = S(r/d)T, possiamo sostituire S
con F(d/r)T:

C = ( r / d )T − t [ F ( d / r )T d −t N ( x) − K (d / r )T − t r −t N ( x − σ t )]

con x ≡ [1og(F(d/r)T d−t/K(d/r)T−t r −t) ÷ σ t] + ½ σ t.


Semplificando, otteniamo infine il valore corrente Black-Scholes di una
call europea scritta su un futures:

C = r −t [ F N ( x) − K N ( x − σ t )]

con x ≡ [1og(F/K) ÷ σ t] + ½ σ t.
Dato che questa formula è stata originariamente pubblicata da Fischer
Black nel 1976, è ora nota come formula di Black.
Osserviamo che il payout return, d, è scomparso dalla formula. Quando
si valutano le opzioni su futures, d è sintetizzato dal prezzo futures corren-
te, F. Si noti inoltre che il riskless return, r, appare solo una volta, nel suo
ruolo di fattore di attualizzazione del valore atteso risk-neutral del futuro
payoff, [FN(x) − KN(x − σ t)]. Il suo secondo ruolo di contribuire a deter-
minare il tasso di crescita risk-neutral del prezzo del sottostante è sintetiz-
zato da F.
Possiamo utilizzare la formula Black-Scholes per le spot options, pro-
grammata nel nostro computer, per valutare anche le futures options se re-
interpretiamo due delle variabili di input. Al posto del prezzo spot del sot-
tostante, inseriamo il prezzo futures:
S⇐F
e al posto del payout return, inseriamo il riskless return:
d⇐r
Non è invece necessario sostituire la volatilità del prezzo spot con la vola-
tilità del prezzo futures. Potrebbe sembrare sorprendente ma, se non esisto-
no opportunità di arbitraggio, la volatilità di queste due variabili deve esse-
re la stessa. Infatti, dato che F = S(r/d)T e F* = S*(r/d)T−t:

F * / F = ( S * / S )(r / d ) −t

prendendo i logaritmi naturali di entrambi i lati, si ha:

log( F * / F ) = log(S * / S ) − t log(r / d )

Pertanto, dato che t log(r/d) è una costante:

292
FORMULA BLACK-SCHOLES

var[ log( F * / F )] = var[ log( S * / S )]

Il modello binomiale per le opzioni su futures gode della stessa proprietà:

u ' = u /(r / δ) ⇒ log(u ' ) = log(u) − log(r / δ)


d ' = d /(r / δ) ⇒ log(d' ) = log(d) − log(r / δ)

Pertanto, le varianze di log(u) e di log(d) sono uguali alle varianze di


log(u’) e di log(d’).

Opzioni su valute
Formula di Garman e Kohlhagen
La formula binomiale per le opzioni su valute tende ad una formula di tipo
Black-Scholes:

C = X r f−t N ( x ) − K r −t N ( x − σ t )
log( X r f− t / K r − t ) 1
dove x ≡ + σ t
σ t 2

Dobbiamo ricordarci che in questo caso il sottostante è rappresentato da


un’obbligazione priva di rischio, denominata in valuta estera, che paga
un’unità della valuta estera alla data di scadenza. Il costo corrente di questa
obbligazione è rf−t, in termini di valuta estera, dove rf è il riskless return
estero. Dato che X è il tasso di cambio corrente (valuta interna / valuta e-
stera), X rf−t è il costo corrente di questo investimento espresso in valuta
interna. Questo termine va a sostituire, nella nostra precedente analisi, Sd−t,
che era il costo corrente dell’attività che riceveremo alla data di scadenza
dell’opzione (esclusi quindi i payouts).
Analogamente, al posto di S*, il payoff dell’attività sottostante in termini
della valuta interna è X* (il futuro tasso di cambio). Pertanto, per ricavare
una formula tipo Black-Scholes dobbiamo solo ipotizzare che la distribu-
zione risk-neutral di X* sia log-normale con volatilità σ.
Questa formula è chiamata formula di Garman e Kohlhagen, dal no-
me di Mark Garman e Steven Kohlhagen, che furono tra i primi a notare
questa corrispondenza.

Generalizzazioni
Abbiamo visto nel Capitolo 4 che il modello binomiale standard per la
valutazione delle opzioni può essere facilmente modificato nel caso in cui
i parametri (r, δ, u e d) dipendono dal tempo ma sono comunque perfetta-
mente prevedibili.
Prendendo il limite in tempo continuo della formula binomiale, otte-
niamo di nuovo la formula Black-Scholes, fatta eccezione per il fatto che

293
DERIVATI

ora il riskless return, r, deve essere interpretato come il ritorno annuo su


uno zero-coupon bond che scade alla data di scadenza dell’opzione. Ana-
logamente, d deve essere interpretato come il payout return su base annua
calcolato in base ai payout returns variabili osservati durante la vita
dell’opzione. E la varianza, σ2, deve essere ora interpretata come la varian-
za su base annua calcolata utilizzando i valori locali che la varianza assume
durante la vita dell’opzione.
Possiamo ora così riassumere l’analisi che abbiamo sviluppato per de-
scrivere l’approccio Black-Scholes alla valutazione delle opzioni.
Nel mondo Black e Scholes vale il terzo teorema fondamentale dell’e-
conomia finanziaria, secondo cui i titoli mancanti possono essere replicati
da una strategia che si autofinanzia e che aggiusta dinamicamente i pesi di
un portafoglio composto dal sottostante e dalla moneta. Il loro approccio si
basa su assunzioni riguardanti la struttura del mercato, il riskless return, il
payout return e la dinamica del prezzo del sottostante. In particolare:
‰ non esistono opportunità di arbitraggio (tra moneta, attività e opzione);
‰ i mercati sono perfetti (assenza di costi di transazione e di restrizioni alle
vendite allo scoperto; neutralità fiscale; uguaglianza tra tassi d’interesse
attivi e passivi; assenza del rischio di controparte);
‰ i futuri riskless returns e payout returns sono noti;
‰ la futura volatilità dell’attività sottostante è nota; e
‰ non si osservano discontinuità nel prezzo del sottostante (in periodi di
tempo brevi si possono osservare solo piccole variazioni di prezzo).
L’assunzione circa i mercati perfetti è spinta al limite, dato che dobbiamo
poter negoziare continuamente a costi nulli.
In pratica, queste assunzioni non sono mai completamente soddisfatte.
Ma la questione rilevante è se il mondo reale corrisponde sufficientemente
bene a queste assunzioni da rendere utile il modello. A giudicare dall’e-
sperienza, la risposta è senz’altro positiva.32
In molte situazioni pratiche, le ultime due assunzioni del nostro elenco
− la certezza della futura volatilità e l’assenza di discontinuità nei prezzi −
destano preoccupazione. Costruire un modello di valutazione senza queste
ipotesi ci porterebbe lontano dai nostri scopi. Ma, anche senza un’analisi
formale, è facile anticipare gli effetti qualitativi della rimozione di queste
assunzioni. La Figura 5.5 mette a confronto le funzioni di densità dei ritor-
ni a scadenza, (log S*/S), in diverse situazioni in cui la volatilità è incerta.
Per ciascuna delle funzioni riportate nel grafico, i logaritmi dei ritorni sono
stati standardizzati, sottraendo la media e dividendo per la deviazione stan-
dard, in modo che ognuna delle tre funzioni di densità ha media nulla e de-
viazione standard unitaria.
Una possibilità è che il ritorno sia il risultato di due realizzazioni. Sup-
poniamo che σk−1 sia la volatilità dell’ultimo ritorno giornaliero, log(rk−1).
Sia σk = σk−1 + εk la volatilità per il giorno successivo, dove εk è una varia-

294
FORMULA BLACK-SCHOLES

Figura 5.5 Volatilità stocastica e discontinuità

0,12
Normale
Simmetrica - leptocurtica
0,1
Asimmetrica negativa

0,08
Probabilità

0,06

0,04

0,02

0
-4,0 -3,6 -3,2 -2,8 -2,4 -2,0 -1,6 -1,2 -0,8 -0,4 0,0 0,4 0,8 1,2 1,6 2,0 2,4 2,8 3,2 3,6 4,0
Ritorni logaritmici standardizzati

bile casuale normale. Il ritorno del giorno successivo, log(rk), ha quindi


una volatilità pari a σk. Rispetto ai ritorni con volatilità costante, il ritorno
risultante da questo modello a volatilità incerta avrà a volte periodi di vola-
tilità più elevata e a volte periodi di volatilità più bassa della media. Questo
fa sì che i ritorni tenderanno ad addensarsi verso il centro della distribuzio-
ne e nelle code, mentre i ritorni a distanze moderate dalla media saranno
relativamente pochi, com’è illustrato, nella Figura 5.5, dalla linea tratteg-
giata indicata con “simmetrica - leptocurtica”.
Le discontinuità dei prezzi rappresentano un secondo motivo per cui
questo tipo di distribuzione potrebbe emergere. Supponiamo che, il più del-
le volte, il ritorno del sottostante si muova proprio come Black e Scholes
hanno ipotizzato ma che, in rare circostanze, presenti rialzi o ribassi im-
provvisi (ad es. crash del mercato azionario). Anche in questo caso i ritorni
tenderanno ad addensarsi nelle code e anche verso il centro della distribu-
zione (per far sì che la deviazione standard rimanga unitaria).
Una terza possibilità è che la volatilità del ritorno giornaliero dipenda
dal livello del prezzo del sottostante all’inizio della giornata. Ad esempio, la
volatilità potrebbe essere inversamente correlata con il prezzo del sotto-
stante, risultando più bassa (più alta) durante i periodi in cui il prezzo del
sottostante è relativamente alto (basso). Considerando di nuovo le implica-
zioni per il ritorno durante l’intero periodo di vita dell’opzione, rispetto al
ritorno che si avrebbe nel caso di volatilità costante, la distribuzione risul-
tante avrebbe una coda destra più sottile ed una coda sinistra più spessa,
com’è illustrato, nella Figura 5.5, dalla linea tratteggiata indicata con “a-
simmetrica negativa”.

295
DERIVATI

Ciascuna di queste deviazioni dalla distribuzione normale avrebbe pre-


vedibili implicazioni per i prezzi delle opzioni. Nel caso delle prime due
situazioni che sono state descritte, con entrambe le code più spesse, le op-
zioni deep out-of-the-money e deep in-the-money avrebbero più valore, ri-
spetto alle opzioni at-the-money, di quanto non risulterebbe applicando la
formula Black-Scholes. Nel caso della terza situazione, con la coda sinistra
più spessa e la coda destra più sottile, le opzioni con prezzi d’esercizio bas-
si avrebbero più valore, rispetto alle opzioni con prezzi d’esercizio alti, di
quanto non risulterebbe applicando la formula Black-Scholes.

Sommario: estensioni
Quando vogliamo valutare le futures options con il modello binomiale,
possiamo semplicemente utilizzare il modello per le spot options sosti-
tuendo il prezzo spot con il prezzo futures, il payout return con il riskless
return e la volatilità del prezzo spot con la volatilità del prezzo futures.
Non dovrebbe quindi sorprendere che la formula Black-Scholes per le spot
options possa essere trasformata nella formula per le futures options. Ana-
logamente, la formula Black-Scholes per le spot options può essere tra-
sformata anche nella formula per le currency options effettuando alcune
semplici sostituzioni.
Per ricavare la formula Black-Scholes, abbiamo assunto che il riskless
return, il payout return e la volatilità siano non solo noti in anticipo ma
siano anche costanti durante la vita dell’opzione. Tuttavia, reinterpretando
alcune delle variabili di input, è facile generalizzare la formula per consen-
tire a queste variabili di assumere valori non costanti, ossia di cambiare in
modo prevedibile col passare del tempo. In breve, il riskless return può
essere sostituito dal ritorno su base annua di uno zero-coupon bond privo
di rischio con rimborso alla data di scadenza dell’opzione. Il payout return
può essere sostituito dal payout return medio e la volatilità dalla volatilità
media.
Abbiamo infine riesaminato le cinque assunzioni utilizzate per ricavare
la formula Black-Scholes: assenza di opportunità di arbitraggio; mercati
perfetti; certezza dei futuri riskless returns e payout returns; certezza della
futura volatilità; assenza di discontinuità nei prezzi del sottostante. Pur
senza dare formule esatte di valutazione, abbiamo esaminato gli effetti
qualitativi della rimozione delle ultime due assunzioni.

CONCLUSIONI
Nel 1973, Fischer Black e Myron Scholes pubblicarono il loro articolo su
“The Pricing of Options and Corporate Liabilities”. Questo lavoro, che rap-
presenta il più significativo contributo all’economia finanziaria dai tempi
del lavoro di Harry Markowitz sulla selezione di portafoglio, ha stimolato
migliaia di articoli e libri sui derivati, incluso questo, ed ha senza dubbio
alimentato la diffusione dei derivati presso gli investitori. Black e Scholes

296
FORMULA BLACK-SCHOLES

hanno dimostrato che, sotto certe condizioni, è possibile coprire i profitti e


le perdite di un’opzione europea con una strategia dinamica, che si autofi-
nanzia, basata sull’attività sottostante.
Black e Scholes hanno ricavato la loro formula facendo uso di una ma-
tematica piuttosto astrusa. È stato poi dimostrato che i loro risultati pote-
vano essere ottenuti con metodi molto più elementari. In particolare, il li-
mite in tempo continuo del modello binomiale standard ci dà la formula
Black-Scholes! Come si è visto, il modello binomiale con almeno 30 stadi,
fornisce valori delle opzioni europee molto vicini a quelli Black-Scholes.
La formula Black-Scholes può anche essere ricavata attualizzando in base
al riskless return il valore atteso del payoff dell’opzione calcolato assu-
mendo per il prezzo del sottostante una distribuzione risk-neutral log-
normale.
Così come nel caso del modello binomiale, il modello Black-Scholes
può essere utilizzato per ricavare le formule per le greche − delta, gamma,
theta, vega, rho e lambda − nonché per il ritorno atteso, la deviazione stan-
dard del ritorno e il beta. Si tratta di misure “locali” della sensitività e del
rischio delle opzioni che valgono solo per brevi intervalli di tempo. Si
possono anche ricavare misure “globali” del ritorno atteso, valide per
l’intera vita dell’opzione.
Questi parametri possono anche essere estesi dalle singole opzioni a
portafogli di opzioni, ricorrendo a semplici sommatorie con pesi pari al
numero delle opzioni in portafoglio.
Facendo uso di semplici considerazioni d’arbitraggio, la formula Black-
Scholes può essere facilmente estesa dalle spot options alle futures options
ed alle currency options. La formula può anche essere generalizzata al caso
di non costanza del riskless return, del payout return e della volatilità −
ammesso, però, che queste variabili siano perfettamente prevedibili.

28
Il secondo metodo assume che la dimensione del rialzo, u, sia fissa e indipendente dal numero
degli intervalli, n, ma che la dimensione del ribasso, d, diventi sempre più vicina ad 1 col cre-
scere di n. Per evitare che, al limite, il prezzo del sottostante tenda all’infinito, la probabilità
risk-neutral di rialzo tende a 0 al crescere di n e la probabilità risk-neutral di ribasso tende a 1.
Questo metodo comporta «sentieri campionari a denti di sega» (saw-tooth sample paths), che
sono chiaramente irrealistici per quasi tutte le attività sottostanti (in alternativa, la dimensione
del ribasso è fissa e la dimensione del rialzo diventa sempre più vicina ad 1 col crescere di n).
29
Le opzioni che non sono correntemente at-the-money convergono rapidamente ma non necessa-
riamente in modo monotono.
30
Naturalmente, per utilizzare questa relazione dobbiamo assumere che i mercati siano perfetti,
che i futuri spot returns siano noti e che il sottostante non venga detenuto per fini di consumo
o di produzione.
31
Nella precedente analisi abbiamo fatto uso delle seguenti proprietà della variabile casuale, X,
distribuita in modo log-normale:

E ( X ) = e µ +½ σ
2

297
DERIVATI

dove µ ≡ E[log(X)] e σ2 ≡ var[log(X)].


Per dimostrarlo:

E(X ) = ∫−∞ e
x
f ( x) dx

dove x ≡ log(X) e
1 ∞ 1 ∞ 1
e −( x −µ ) /( 2σ ) E ( X ) = ∫−∞ e e − ( x −µ ) ∫−∞ σ e − ( x −µ )
2 2 2
/( 2 σ 2 ) 2
/( 2σ 2 ) + x
f ( x) ≡ x
dx = dx
σ 2π σ 2π 2π
Dato che l’esponente di e è pari a µ + ½σ2 − (x − µ − σ2)2/2σ2

1
E ( X ) = e µ +½ σ ∫ e −[ x − (µ −σ ) dx =e µ +½ σ
2
] /(2σ 2 )
2 2 2

−∞ σ 2π


f ( x) dx = 1 e (µ − σ) può essere interpretato
2
L’integrale deve essere pari a 1 dato che
−∞
come una costante, al pari di µ.
32
Queste assunzioni sono sufficienti ma non necessarie affinché la formula Black-Scholes sia
valida. Anche se esse individuano probabilmente la strada migliore, la formula può essere rica-
vata sulla base di altre assunzioni. Possiamo ritenere, ad esempio, che in molti casi l’assenza
dei costi di transazione sia una ragionevole approssimazione della realtà, dato che i costi di
transazione sono spesso poco importanti se confrontati ad altre variabili di rilievo. Ad esempio,
quando le nostre relazioni generali di arbitraggio non dipendevano da strategie dinamiche ma
da strategie statiche, non c’erano problemi. Purtroppo, il modo in cui abbiamo ricavato la for-
mula Black-Scholes richiede una continua revisione dei pesi del portafoglio equivalente. In ta-
le contesto, l’assumere che i costi di transazione siano nulli può farci sentire un po’ a disagio.
Fortunatamente, c’è anche un’altra strada che ci porta alla formula Black-Scholes, basata su
una strategia statica e su una limitata espansione del numero di titoli disponibili. Questo se-
condo approccio richiede assunzioni più stringenti circa la dinamica del prezzo del sottostante
e nuove assunzioni circa l’avversione al rischio del mercato. Ma ci porterebbe ben oltre gli
scopi di questo libro.

298
6
Volatilità

6.1 VOLATILITÀ STORICA


Random walk
La formula Black-Scholes dipende da sei variabili: S, K, t, r, d e σ. L’utilità
della formula dipende pesantemente dalla facilità di misurazione di queste
variabili. Di solito, delle sei variabili, σ è la più difficile da misurare. Una
variabile importante che non è richiesta è il ritorno atteso del sottostante.
Si tratta di una circostanza molto fortunata, perché il ritorno atteso è molto
difficile da stimare.

Per apprezzare pienamente la felice circostanza in cui ci troviamo, esaminiamo


il «modello della passeggiata casuale» (random walk model - Tavola 6.1). Que-
sto modello assume che, nel k-esimo periodo (ad es. un mese), il ritorno, rk, sia
sempre estratto dalla stessa distribuzione soggettiva log-normale, cosicché

log(rk) è distribuito in modo normale con media µh e deviazione standard σ√h.
Inoltre, il modello assume che i ritorni non siano correlati tra loro.

La media e la deviazione standard (µ, σ) sono espresse su base annua. La


media delle osservazioni rilevate con un «intervallo di campionamento»
(sampling interval) di ampiezza h deve essere quindi aggiustata. Se h =
1
/12 (un mese), la media mensile è pari ad un dodicesimo della media an-
nua, µ. Sia r1 × r2 × ... × r12 il ritorno annuo. Il valore atteso del logaritmo
di questo prodotto (la media su base annua, µ) è:

µ = E[log(r1 × r2 × ... × r12 )] = E[log(r1 ) + log(r2 ) + ... + log(r12 )]


= E[log(r1 )] + E[log(r2 )] + ... + E[log(r12 )]

Per ipotesi, le aspettative sono costanti e pari a E[log(r)]. La loro somma è


quindi pari a 12 × E[log(r)]. Pertanto, µ(1/12) = E[log r]. Analogamente:

σ 2 = var[log(r1 × r2 × ... × r12 )] = var[log(r1 ) + log(r2 ) + ... + log(r12 )]


= var[log(r1 )] + var[log(r2 )] + ... + var[log(r12 )]

299
DERIVATI

Tavola 6.1 Il modello della passeggiata casuale

Ora t Asse
h ... ... del
0 1 2 k n–1 n tempo

Random Walk Model: supponiamo che r1, r2, ... , rk, ... , rn–1, rn sia una
serie storica di asset returns. Assumiamo che ogni osservazione sia
stata estratta dalla stessa distribuzione probabilistica (log-normale).
L'intervallo campionario è h ≡ t/n ed il periodo di osservazione è t.
L'ultimo prezzo osservato è Sn ed il primo è S0. Trascurando i payouts:
Sn = S0 × r1 × r2 × ...× rk ×...× rn–1 × rn
Siano µh e σ h la media e la deviazione standard di popolazione di
log(rk), distribuito in modo normale. Siano µ e σ le stime campionarie di
µ e σ.

Quest’ultima uguaglianza richiede che i ritorni non siamo correlati tra loro.
Per ipotesi, le varianze sono costanti e pari a var[log(r)]. La loro somma è
quindi pari a 12 × var[log(r)]. Pertanto, σ2(1/12) = var[log(r)].
Sfortunatamente, nessuno può dirci quali siano in realtà µ e σ. Quello
che possiamo fare è una ragionevole stima. Abbiamo a disposizione la se-
rie storica degli n ritorni r1, r2, ..., rk, ..., rn-1, rn, dove r1 è l’osservazione
più lontana e rn è quella più vicina. Vogliamo utilizzare queste osservazio-
ni per stimare µ e σ. Le nostre supposizioni rappresentano «stime campio-
narie» (sample estimates). Verranno indicate con µ̄ e σ̄ per distinguerle dai
veri parametri, µ e σ, che sono però ignoti. È come se fossimo stati chiama-
ti ad investigare su un omicidio, avendo a disposizione come unici indizi i
ritorni osservati storicamente. Il vero assassino è (µ, σ) e, sulla base degli
indizi, noi accusiamo (µ̄, σ̄).

Stima della media


Occupiamoci innanzitutto della stima di µ, lasciandoci per dopo il compito
di stimare σ. L’idea più naturale è quella che la migliore stima di µh sia
rappresentata dalla media aritmetica del campione: µ̄h ≡ [∑k log(rk)]/n. I-
gnorando i payouts, dato che r1 = S1/S0, r2 = S2/S1, ..., rn = Sn/Sn−1, ottenia-
mo per sostituzione µ̄h = [log(Sn/So)]/n (dato che S1, S2, ..., Sn−1 si elidono).
Pertanto, la nostra stima campionaria dipende solo dai prezzi iniziale e fi-
nale, indipendentemente da quello che succede all’interno del campione.
Questa stima si rivela essere − in un senso interessante − la migliore
stima possibile di µ sulla base delle informazioni campionarie. Innanzitut-
to, µ̄ è uno stimatore «corretto» (unbiased) nel senso che il suo valore atte-

300
VOLATILITÀ

so è uguale al vero parametro: E(µ̄) = µ. Per capire cosa significa questa


proprietà, calcoliamo µ̄ in base al campione. Immaginiamo ora di poter “ri-
girare” il passato più volte, estraendo ogni volta una nuova serie storica.
Possiamo usare ogni nuovo campione per calcolare un nuovo µ̄. In genera-
le, la nuova stima sarà diversa da quella ottenuta sulla base del campione
precedente. Ogni volta che rigiriamo il passato, ci aspettiamo che il µ̄ os-
servato sia pari a µ. In altri termini, µ̄ può risultare troppo alto o troppo
basso, ma in media ci aspettiamo che sia pari a µ.
In generale, però, µ̄ ≠ µ. Dato che ogni volta che estraiamo un campio-
ne otteniamo un diverso µ̄, possiamo pensare a µ̄ come ad una variabile ca-
suale. Al contrario, anche se non conosciamo il suo valore, possiamo pen-
sare a µ come ad una costante. Pertanto, la varianza di µ̄ è E[(µ̄ − µ)2]. Si
può dimostrare che, tra tutti gli stimatori corretti di µ, µ̄ è quello con la mi-
nor varianza. Dato che è corretto ed ha la minor varianza, il nostro stimato-
re è anche il «migliore stimatore campionario» (best sample estimator).
Per essere precisi, è facile dimostrare che E[(µ̄ − µ)2] = σ2/t. Questo ri-
sultato è denso di implicazioni per la valutazione delle opzioni (e per la
finanza in generale). Si noti che né n né h compaiono nella formula per la
varianza di µ̄. Sorprendentemente, la stima di µ non ha nulla a che fare con
la frequenza campionaria n o con l’intervallo di campionamento h. Non
possiamo migliorare la nostra stima di µ aumentando n, ossia riducendo h.
Lo stimatore dipende solo dalla osservazione iniziale (So) e finale(Sn).
L’unico modo per migliorare µ̄ è quello di aumentare il «periodo di os-
servazione» (observation period), t. Ma, in pratica, questa strada è perico-
losa. La nostra assunzione che la distribuzione dei ritorni continui a restare
la stessa diventa più tenue. Inoltre, per diverse attività, la varianza di µ̄ è
molto alta, anche se t è molto lungo.
In breve, la formula Black-Scholes si trova nella fortunata posizione di
non dover richiedere la conoscenza del ritorno atteso del sottostante. Si tratta
di una buona notizia, dato che la stima del ritorno atteso è molto difficile.
Vogliamo ora dimostrare alcune delle nostre affermazioni circa lo sti-
matore del ritorno atteso: µ̄h ≡ [∑k log(rk)]/n. Ricordiamoci di aver assunto
che la distribuzione di log(rk) è normale con media di popolazione µh e de-

viazione standard σ√h, e che i log(rk) non sono correlati tra loro. Pertanto,

log(rk) = µh + σ√hεk, dove E(ε) = 0, var(ε) = 1 e le εk non sono correlate tra
loro. Questa random walk del ritorno ci dice che ogni volta che viene e-
stratto un ritorno logaritmico dalla distribuzione normale possiamo pensar-
lo come se fosse composto di due parti: un termine costante µh e una com-
ponente casuale, standardizzata e non correlata, εk (con media 0 e varianza

1) che viene moltiplicata per il fattore di scala σ√h. Possiamo infatti verifi-
care che:
E[log(rk )] = E (µ h + σ h ε k ) = µ h + σ h E (ε k ) = µ h
var[log(rk )] = var(µ h + σ h ε k ) = var(µ h) + σ 2 h var(ε k ) = σ 2 h

301
DERIVATI

Con questo modello, possiamo ora facilmente dimostrare che E(µ̄) = µ:


µh ≡[ ∑ k log(rk )] / n = [∑ k (µ h + σ h ε k )] / n = ( n µ h + σ h ∑k ε k ) / n
= µ h + σ h (∑ ε k ) / n
k

Prendendo le aspettative:
E ( µ h ) = E[ µ h + σ h ( ∑ k ε k ) / n] = E (µh) + E[σ h( ∑ k ε k ) / n]
µh + σ h [ ∑ k E (ε k )] / n]
Ma dato che E(εk) = 0, questo secondo termine si annulla, per cui E(µ̄h) = µh.
Mettendo in evidenza h e semplificando, si ha E(µ̄) = µ.
Vogliamo ora dimostrare che var(µ̄) = σ2/t. Dato che E(µ̄h) = µh:
var(µ h) = E[(µ h − µ h) 2 ] = E{[µ h + σ h ( ∑ k ε k ) / n − µ h ]2 }
= E{[σ h (∑ ε k ) / n]2 } = σ 2 hn − 2 E[(∑ ε k ) 2 ]
k k

Scrivendo (∑k εk)2 per esteso:

( ∑ k ε k ) 2 = ε12 + ε 22 + ε 32 + ... + 2ε1ε 2 + 2ε1ε 3 + 2ε 2ε 3 + ...


E[( ∑ k ε k ) 2 ] = E (ε12 ) + E (ε 22 ) + E (ε 32 ) + ...
+ 2 E (ε1ε 2 ) + 2 E (ε1ε 3 ) + 2 E (ε 2 ε 3 ) + ...

Dato che i ritorni logaritmici non sono


2
correlati tra loro, per cui E(ε1εk) =
E(εl)E(εk), e dato che E(εk) = 0 e E(εk) = 1, si ha:

E[( ∑ k ε k ) 2 ] = E (ε12 ) + E (ε 22 ) + E (ε 32 ) + ... = nE (ε 2 ) = n


Sostituendo questo risultato nella nostra ultima espressione per var(µ̄h):

var(µh) = σ 2 hn −2 E[( ∑ k ε k ) 2 ] = σ 2 hn −2 n = σ 2 hn −1
Mettendo in evidenza h, var(µ̄) = h−2 σ2h n−1 = σ2 (hn)−1 = σ2/t.
Si noti inoltre che, se log(rk) è una variabile casuale normale, µ̄h è la
somma di variabili casuali normali, divisa per una costante. Pertanto, anche
la media campionaria è distribuita in modo normale. A parte quest’ultima
osservazione, i risultati che abbiamo appena ottenuto per µ̄h sono validi
anche se εk non è una variabile casuale normale, a condizione che la sua
media sia 0, la sua varianza sia 1 e che non sia serialmente correlata.

Stima della volatilità


È ora tempo di dare un’occhiata più da vicino all’utilizzo dei ritorni storici
per la stima di σ. Lo stimatore utilizzato in statistica è σ¯2h ≡ {∑k [log(rk) −
µ̄h]2}/(n − 1). Questa è comunemente chiamata «varianza campionaria»
(sample variance).

302
VOLATILITÀ

Tavola 6.2 Volatilità storica: stimatore corretto

log(rk ) = µh + σ hε k dove E (ε k ) = 0 e var(ε k ) = 0

σ 2 h ≡ {∑ k [log(rk ) − µ h ]2 } / (n − 1)

σ 2h ≡ [ ∑ k (µh + σ hεk − µ h) 2 ] / (n − 1)
= [ ∑ (µh + σ hε k − µh − σ h ∑ ε k / n ) 2 ] / (n − 1)
k k

= [ ∑ (σ hε k − σ h ∑ ε k / n ) 2 ] / (n − 1) = σ2h(n − 1)− 1[ ∑ (ε k − ∑ ε k / n ) 2 ]
k k k k

= σ2h(n − 1)−1{∑ [ε 2k − 2ε k ∑ ε k / n + (∑ ε k / n )2 ] }
k k k

= σ2h(n − 1)−1[ ∑ ε 2k − 2(∑ ε k )2 / n + (∑ ε k )2 / n ]


k k k

E ( σ 2h ) = σ2h(n − 1)−1E [ ∑ ε2k − (∑ ε k )2 / n ] = σ2h(n − 1)−1[ ∑ E (ε2k ) − E (∑ ε k )2 / n ]


k k k k

= σ2h(n − 1)−1[ n − E (∑ ε k )2 / n ] = σ2h(n − 1)− 1[ n − ∑ E (ε2k ) / n ]


k k

= σ2h(n − 1)− 1(n − n / n ) = σ2h(n − 1)−1(n − 1) = σ2h ⇒ E ( σ 2 ) = σ2

Al pari di µ̄, anche σ¯2 è uno stimatore corretto; in altri termini, E(σ¯2) =
2
σ . La dimostrazione è riportata nella Tavola 6.2.
Ricordiamoci che non possiamo migliorare la stima della media µ au-
mentando la frequenza campionaria, n. Questo è stato uno dei motivi di sod-
disfazione per il fatto che la formula Black-Scholes non ci chiede il ritorno
atteso. Fortunatamente, invece, aumentando la frequenza campionaria n (os-
sia riducendo h) riusciamo a migliorare la nostra stima della volatilità nel
senso che var(σ¯2) = E[(σ¯2 − σ2)2] diventa più piccola. Date le nostre assun-
zioni, si può dimostrare che var(σ¯2) = 2σ4/(n − 1). Pertanto, dato t, al tendere
di n all’infinito, ossia al tendere di h ≡ t/n a zero, anche var(σ¯2) tende a zero.
Si noti inoltre che, essendo log(rk) una variabile casuale normale, anche
log(rk) − µ̄h è una variabile casuale normale. Ma dato che il quadrato della
variabile casuale normale, [log(rk) − µ̄h]2, non è distribuito in modo normale,
σ¯2h non è distribuito in modo normale. Avrà invece una distribuzione chi-
quadro, che è però spesso ben approssimata dalla distribuzione normale.
Vogliamo ora dimostrare alcune delle nostre affermazioni circa lo sti-
matore della varianza del ritorno: σ¯2h ≡ {∑k[log(rk) − µ̄h]2}/(n − 1). Ricor-
diamoci di aver assunto che la distribuzione di log(rk) è normale con media

di popolazione µh e deviazione standard σ√h, e che i log(rk) non sono cor-

relati tra loro. Pertanto, log(rk) = µh + σ√h εk, dove E(ε) = 0, var(ε) = 1 e le
εk non sono correlate tra loro. La Tavola 6.2 ci mostra che, se il ritorno se-
gue una random walk, E(σ¯2) = σ2.
È molto più difficile dimostrare che var(σ¯2) = 2σ4/(n − 1). I principali
passi della dimostrazione sono i seguenti. Dato che E(σ¯2h) = σ2h, var(σ¯2h) =
E[(σ¯2h − σ2h)2]. Sostituendo E(σ¯2h) e var(σ¯2h) nelle definizioni di σ¯2h e µ̄h,

303
DERIVATI

eliminando i termini uguali, sviluppando i quadrati e mettendo in evidenza:


var(σ 2 h) = σ 4 h 2 (n − 1) −2

∑ k ε 2k ) 2 ] − 2n −1E[(∑ k ε 2k )(∑ k ε k ) ] + n − 2 E[( ∑ k ε k ) 4 ]} − (σ 2 h) 2


2
× {E[(

Esaminiamo ora, uno per uno, i tre termini che figurano nella parentesi
graffa, assumendo un campione di n = 3. Ecco il primo termine:

E[( ∑ k ε k2 ) 2 ] = E[(ε12 + ε 22 + ε 32 ) 2 ] = E (ε14 + ε 42 + ε 34 + 2ε12ε 22 + 2ε12ε 32 + 2ε 22ε 32 )


Possiamo al riguardo utilizzare un’utile proprietà delle variabili casuali, co-
me εl, ε2 e ε3, che si distribuiscono secondo una normale multivariata. In ge-
nerale, se x e y non sono correlati, allora E[xy] = E[x] E[y]. Tuttavia, pur se
non è vero in generale, date due variabili casuali x e y che si distribuiscono
secondo una normale bivariata e non sono tra loro correlate, per qualsiasi
funzione f (x) e g(y) risulta E[f (x) g(y)] = E[f (x)] E[g(y)]. Ad esempio, dato
che ε1 e ε2 si distribuiscono secondo una normale bivariata e non sono tra lo-
ro correlate, E[εl2 ε22] = E[εl2] E[ε22]. Inoltre, dato che E[εk2] = 1, allora E[εl2
ε22] = 1. Inoltre, nel caso di variabili casuali normali con varianza unitaria,
E[εk4] = 3. Pertanto, E[(εl2 + ε22 + ε32)2] = (3 × 3) + (2 × 3) = 15. Più in gene-
rale, con un campione di n elementi, E[(∑k εk2)2] = 3n + 2n(n − 1)/2 = n(n + 2).
Esaminiamo il secondo termine e utilizziamo il fatto che i prodotti incro-
ciati, come 2 εl3 ε2, possono essere ignorati perché E[εl3 ε2] = E[εl3] E[ε2] = 0:

2n −1 E[( ∑ k ε k2 )(∑ k ε k ) 2 ]
= 2n −1 E[(ε12 + ε 22 + ε 32 )(ε12 + ε 22 + ε 32 + 2ε1ε 2 + 2ε1ε 3 + 2ε 2 ε 3 )]
= 2n −1 E[(ε12 + ε 22 + ε 32 ) 2 ]

Il risultato è simile a quello del primo termine, per cui 2n−1E[(∑k εk2) (∑k
εk)2] = 2n−1E[(∑k εk2)2] = 2n−1n(n + 2) = 2(n + 2)
Esaminiamo il terzo termine e ignoriamo gli elementi come E[εl3 ε2]:
n −2 E[( ∑ k ε k ) 4 ] = n −2 E[(ε1 + ε 2 + ε 3 ) 2 (ε1 + ε 2 + ε 3 ) 2 ]
= n − 2 E (ε14 + ε 42 + ε 34 + 6ε12 ε 22 + 6ε12 ε 32 + 6ε 22 ε 32 )
= n − 2 [3n + 6n(n − 1) / 2]
=3
Mettendo insieme i diversi risultati:
var(σ 2 h) = σ 4 h 2 (n − 1) −2 {n(n + 2) − 2(n + 2) + 3} − σ 4 h 2
= 2σ 4 h 2 (n − 1) −1
da cui:

var(σ 2 ) = 2σ 4 (n − 1) −1

304
VOLATILITÀ

Varianza delle statistiche campionarie


Per fare un esempio, consideriamo lo S&P500. Storicamente (dal 1928), µ̄
(inclusi i dividendi) si è aggirato intorno a 0,10 e σ̄ intorno a 0,20. Assu-
miamo che questi siano i valori di µ e σ a livello di popolazione. Se t = 5,
var(µ̄) = 0,22/5, per cui std(µ̄) = 0,09. Essendo la somma di variabili casuali
normali, anche µ̄ si distribuisce in modo normale. Questo implica che, es-
sendo N(–1) = 1 – N(1) = 0,15866 ≈ 1/6, un sesto delle volte osserveremo
una media campionaria minore di 0,01 (= 0,10 – 0,09) ed un sesto delle
volte osserveremo una media campionaria maggiore di 0,19 (= 0,10 +
0,09), anche se la media a livello di popolazione è pari a 0,10.
Se invece osserviamo un periodo di 25 anni, var(µ̄) = 0,22/25, per cui
std (µ̄) = 0,04. Dato che la media di popolazione è ancora µ = 0,10, un sesto
delle volte osserveremo una media campionaria minore di 0,06 (= 0,10 –
0,04) ed un sesto delle volte osserveremo una media campionaria maggiore
di 0,14 (= 0,10 + 0,04). Per capire l’importanza dell’errore, se abbiamo un
dollaro e lo investiamo ad un tasso del 6% per 25 anni, finiamo con l’avere
$4,29. Ma se possiamo investire ad un tasso del 14%, il nostro capitale fina-
le sarà pari a $26,46 − circa sei volte tanto.
Il normale supporto degli statistici − il campionamento più frequente −
non può salvarci da un destino d’incertezza circa la media. Siamo davvero
fortunati a non dover inserire il ritorno atteso nella formula di Black-
Scholes! Si noti quanto ciò renda difficili, ma anche interessanti, altre que-
stioni affrontate dall’economia finanziaria. Come si fa ad attribuire la per-
formance di un gestore alla sua abilità oppure al caso? Quando ci saranno
abbastanza dati per rispondere, la domanda non avrà più senso perché sia
noi sia il gestore saremo già morti.
Esaminiamo ora la varianza campionaria dello S&P500 nello stesso pe-
riodo di 25 anni. Utilizzando dati mensili, var (σ¯2) = 0,0000107 {= 2 × 0,24 /
—————
[(25 × 12) − 1]}, per cui std(σ¯2) = 0,0033 (= √ 0,0000107 ). Supponiamo di
poter approssimare la distribuzione di σ¯2 con la distribuzione normale (in re-
altà σ¯2 ha una distribuzione gamma, essendo la somma dei quadrati di varia-
bili casuali normali). Dopo 25 anni di dati campionari mensili, anche se la
varianza a livello di popolazione è pari a σ2 = 0,04 (= 0,22), un terzo delle
volte osserveremo una varianza campionaria minore di 0,0367 (= 0,04 –
0,0033) o maggiore di 0,0433 (= 0,04 + 0,0033). In termini di deviazione
——— ———
standard (σ = 0,2), questi limiti sono 0,191 (=√ 0,0367 ) e 0,208 (=√ 0,0433 ).
Supponiamo, invece, di utilizzare dati giornalieri. Allora var(σ¯2) =
0.000000508 {= 2 × 0,24 / [(25 × 252) − 1]}, per cui std(σ¯2) = 0,000713 (=
—————–
√ 0,000000508 ). Dopo 25 anni di dati campionari giornalieri, un terzo delle
volte osserveremo una varianza campionaria minore di 0,0393 (= 0,04 –
0,000713) o maggiore di 0,0407 (= 0,04 + 0,000713). In termini di devia-
———
zione standard (σ = 0,2), questi limiti sono 0,198 (=√0,0393 ) e 0,202
———
(=√0,0407 ), un netto miglioramento rispetto al campionamento mensile.

305
DERIVATI

Esempio
Nella Tavola 6.3 sono riportati alcuni dati e alcuni dei calcoli necessari per
ottenere una stima della volatilità storica: σ¯2h ≡ {∑k [log(rk) − µ̄h]2}/(n −
1). I dati, rilevati ogni 2 settimane, si riferiscono ai livelli di chiusura dello
S&P500 nel 1987, l’anno del grande crash del mercato azionario.
Il 19 ottobre 1987, lo S&P500 crollò del 20% − circa il doppio del pre-
cedente record storico. Ma il crash fu ancora più estremo. Dato che alcuni
titoli importanti non vennero trattati per un paio d’ore a ridosso della chiu-
sura, l’indice di fine giornata fu creato sulla base delle ultime quotazioni
disponibili. Invece, il futures sullo S&P500 venne scambiato per l’intera
giornata ed il suo prezzo rappresenta, probabilmente, il miglior indicatore
dell’effettivo crollo del mercato azionario statunitense: scese del 29%!
L’aver qui riportato i dati sul 1987 è una scelta po’ ironica dato che molti
osservatori − tra cui un gruppo di esperti messo su dal Presidente degli Sta-
ti Uniti − attribuì le responsabilità del crash ai derivati su indici e alle stra-
tegie dinamiche!
La prima colonna mostra la data (k) e la seconda elenca le quotazioni di
chiusura dell’indice (Sk); ad esempio, venerdì 2 gennaio 1987 (il primo
giorno lavorativo dell’anno) lo S&P500 chiuse a 246,45 e venerdì 16 gen-
naio 1987 (la fine della seconda settimana di negoziazioni del 1987) l’in-
dice chiuse a 266,28. La terza colonna trasforma i livelli dell’indice in ri-
torni; ad esempio, il ritorno relativo alle prime due settimane dell’anno è
pari a rk = 1,0805 (= 266,28 / 246,45). La quarta colonna riporta i logaritmi
naturali dei ritorni; ad esempio, il ritorno logaritmico delle prime due set-
timane è log(rk) = 0,0774 [= log(1,0805)]. Si noti che, per numeri come
questo (molto vicini a 1), log(rk) può essere approssimato da rk − 1.
La media dei ritorni logaritmici quindicinali (4a colonna) è:

µh ≡[ ∑ k log(rk )] / n = 0,00255 / 26 = 0,0000098


La quinta colonna è la differenza tra la quarta colonna e questa media; per-
tanto, per il 16 gennaio 1987 si ha 0,0773 [= log(rk) − µ̄h = 0,0774 −
0.000098]. La sesta colonna è il quadrato della quinta colonna: per il 16
gennaio 1987 si ha 0,00597 {= [log(rk) − µ̄h]2 = 0,07732}.
Siamo ora pronti per calcolare la varianza dei ritorni logaritmici quin-
dicinali utilizzando il nostro stimatore:

σ 2h = { ∑ k [log(rk ) − µh]2 } /(n − 1)


= {∑ [log(rk ) − 0,000098]2 } / 25
k
= 0,090938 / 25 = 0,003638

Nei nostri calcoli non abbiamo considerato i dividendi; i ritorni sono basati
solo sui livelli di chiusura dell’indice. Se il dividend yield quindicinale fos-
se costante, la stima della volatilità non cambierebbe. Altrimenti, per tener

306
VOLATILITÀ

Tavola 6.3 Volatilità storica: lo S&P 500

Data Sk rk ≡ Sk/Sk–1 log(rk) log(rk) – µh [log(rk) – µh]2


2 gen 1987 246,45
16 gen 1987 266,28 1,0805 0,0774 0,0773 0,00597
30 gen 1987 274,08 1,0293 0,0289 0,0288 0,00083
13 feb 1987 279,70 1,0205 0,0203 0,0202 0,00041
27 feb 1987 284,20 1,0161 0,0160 0,0159 0,00025
13 mar 1987 289,89 1,0200 0,0198 0,0197 0,00039
27 mar 1987 296,13 1,0215 0,0213 0,0212 0,00045
10 apr 1987 292,49 0,9877 -0,0124 -0,0125 0,00016
24 apr 1987 282,00 0,9641 -0,0365 -0,0366 0,00134
8 mag 1987 293,37 1,0403 0,0395 0,0394 0,00155
22 mag 1987 282,16 0,9618 -0,0390 -0,0391 0,00153
5 giu 1987 293,45 1,0400 0,0392 0,0391 0,00153
19 giu 1987 306,97 1,0461 0,0450 0,0449 0,00202
2 lug 1987 305,63 0,9956 -0,0044 -0,0045 0,00002
17 lug 1987 314,59 1,0293 0,0289 0,0288 0,00083
31 lug 1987 318,66 1,0129 0,0129 0,0128 0,00016
14 ago 1987 333,99 1,0481 0,0470 0,0469 0,00220
28 ago 1987 327,04 0,9792 -0,0210 -0,0211 0,00045
11 set 1987 321,99 0,9846 -0,0156 -0,0157 0,00025
25 set 1987 320,16 0,9943 -0,0057 -0,0058 0,00003
9 ott 1987 311,07 0,9716 -0,0288 -0,0289 0,00084
23 ott 1987 248,22 0,7980 -0,2257 -0,2258 0,05099
6 nov 1987 250,41 1,0088 0,0088 0,0087 0,00008
20 nov 1987 242,00 0,9664 -0,0342 -0,0343 0,00117
4 dic 1987 223,92 0,9253 -0,0776 -0,0777 0,00604
18 dic 1987 249,16 1,1127 0,1068 0,1067 0,01139
31 dic 1987 247,08 0,9917 -0,0084 -0,0085 0,00007

conto di dividendi irregolari, si deve sostituire rk = Sk/Sk–l con rk = (Sk +


Dk)/Sk – 1, dove Dk il dividendo pagato tra la (k – 1)-esima e la k-esima data.
Si noti, inoltre, che le osservazioni relative al 2 luglio e al 31 dicembre
si riferiscono a due giovedì perché i successivi venerdì erano giorni festivi.
Abbiamo visto che la media campionaria dei ritorni (logaritmici) quin-
dicinali, µ̄h, è pari a 0,000098 e che la varianza campionaria, σ¯2h, è pari a
0,003638 (Tavola 6.4). Per ottenere la stima della volatilità su base annua,
dobbiamo innanzitutto moltiplicare la varianza quindicinale per 26, dato
che ci sono 26 intervalli di 2 settimane in un anno: pertanto, la varianza su
base annua è pari a 0,09459 (= 0,003638 × 26). Poi, per passare alla volati-
lità (deviazione standard) su base annua, dobbiamo prendere la radice qua-
———–
drata, ottenendo 0,3076 (=√ 0,09459 ). Questo è il valore di σ da inserire
nella formula Black-Scholes. La volatilità del 1987 fu molto più elevata del
normale dato che la volatilità (essendo ricavata sulla base del quadrato dei
ritorni) è molto sensibile ai «valori erratici» (outliers) e il mese di ottobre
fu un chiaro outlier. In genere, la volatilità dello S&P500 nel periodo suc-
cessivo alla seconda guerra mondiale ha oscillato tra 0,10 e 0,20.
Si noti, però, che il nostro ultimo scopo è quello di ottenere stime corrette
del valore delle opzioni, non stime corrette delle varianze. In realtà, dato che
la formula Black-Scholes è una funzione non lineare della varianza, l’utilizzo
di varianze corrette produrrà stime non corrette del valore delle opzioni! For-
tunatamente, la formula Black-Scholes è approssimativamente lineare rispet-
to alla varianza nell’intervallo dei normali valori, contrariamente alle appa-
renze. Pertanto, eventuali errori avrebbero marginali impatti sul valore delle
opzioni. In pratica, questa distorsione viene di solito ignorata.

307
DERIVATI

Tavola 6.4 Volatilità storica: lo S&P 500 (continua)

Σk log(rk) = 0,00255
Numero di osservazioni = 26
µh = 0,00255 / 26 = 0,000098
Σk[log(rk) – µh]2 = 0,090938
σ2h = 0,090938 / 25 = 0,003638
Stima della varianza annua: σ2 = 0,003638 × 26 = 0,09459
Stima della volatilità annua: σ = 0,09459 = 0,3076

Stima della volatilità storica: un’arte


In genere, quando misuriamo la volatilità storica, il nostro obiettivo è quel-
lo di prevedere quale sarà la volatilità futura. Se il modello della random
walk che abbiamo ipotizzato fosse perfettamente valido, dovremmo au-
mentare il più possibile la frequenza di campionamento n (riducendo l’in-
tervallo campionario h) per un periodo (il periodo di osservazione, t = n h)
che sia il più lungo possibile. In effetti, se potessimo procurarceli, do-
vremmo utilizzare dati risalenti al Paleolitico, e dovremmo dar loro gli
stessi pesi assegnati alle osservazioni dell’anno scorso!
Sfortunatamente, il modello della random walk rappresenta solo una
rozza approssimazione della realtà. La prima difficoltà può essere rappre-
sentata dal fatto che le osservazioni disponibili non sono equispaziate, non
sono cioè rilevate ad intervalli di uguale ampiezza. Nel nostro esempio non
abbiamo avuto problemi, dato che le osservazioni erano state rilevate ogni
2 settimane ed erano quindi equispaziate (fatta eccezione per i 4 ritorni in-
fluenzati dalle 2 rilevazioni effettuate il giovedì invece del venerdì). Un
modo per aggirare il problema è quello di scegliere l’intervallo campiona-
rio per il quale esistano osservazioni equispaziate. Però così potremmo
avere campioni troppo piccoli ed elevati errori standard delle stime. Per
evitare questo inconveniente, possiamo utilizzare osservazioni più frequen-
ti (ad esempio, giornaliere), senza però avere dati equispaziati.
Ad esempio, anche se un anno contiene 365 o 366 giorni, i giorni lavo-
rativi sono circa 252. Inoltre, la varianza dei ritorni tra il venerdì e il lunedì
successivo non è pari a 3 volte la varianza dei ritorni tra giorni contigui

308
VOLATILITÀ

infrasettimanali (come assumerebbe il modello della random walk) ma è


solo un po’ più grande. Per ottenere la varianza su base annua, un semplice
aggiustamento consiste nel moltiplicare la varianza giornaliera per 252 in-
vece di 365 o 366.
Per un approccio più sofisticato, dobbiamo ridefinire l’evoluzione del
prezzo del sottostante. Sia h l’ampiezza di un piccolo intervallo e sia mk il
numero di intervalli di ampiezza h tra la (k – 1)-esima e la k-esima osserva-
zione, con n = ∑k mk. Allora, il nuovo processo è: log(rk) = µ hmk + σ hm εk.
Affinché il processo abbia volatilità costante:

log(rk ) / mk = µ h mk + σ h ε k

Gli stimatori campionari per i parametri di questo processo trasformato sono:

µh ≡
∑ k log(rk ) e σ 2h ≡
∑ k {[log(rk ) / mk ] − µ h mk }2
n n −1
dove n continua ad indicare il numero degli intervalli di ampiezza h.
Possiamo ora ipotizzare che la varianza nel weekend sia maggiore del
30% rispetto alla varianza dei ritorni tra giorni contigui infrasettimanali. In
tal caso, mk = 1 per i giorni infrasettimanali e mk = 1,3 per i weekends. Pos-
siamo anche ipotizzare stagionalità infrasettimanali scegliendo diversi mk.
Finora abbiamo ipotizzato che i ritorni siano tutti estratti dalla stessa
distribuzione probabilistica – in particolare, una distribuzione probabilisti-
ca con la stessa varianza. Come facciamo a capire dal campione se l’as-
sunzione è troppo restrittiva?
Forse il modo più ovvio è quello di suddividere il periodo di osserva-
zione in m intervalli equispaziati, 1, 2, ..., j, ..., m, e calcolare la varianza
campionaria su base annua, σ¯j2, per ogni sotto-periodo, utilizzando la me-
dia campionaria su base annua, µ¯j2, relativa a ciascun sotto-periodo. Se le
varianze sono molto diverse l’una dall’altra, è probabile che i campioni
siano stati estratti da diverse distribuzioni. Naturalmente, queste varianze
non saranno mai tutte uguali tra loro, semplicemente per effetto del caso.
Allora, quanto diverse devono essere tra loro perché si possa desumere che
la distribuzione non è costante nel tempo? Se assumiamo che i campioni
siano estratti da distribuzioni normali, con medie e varianze possibilmente
diverse, il test di Bartlett ci indica la probabilità che la varianza di popo-
lazione relativa ad ogni sotto-periodo sia la stessa:

Statistica di Bartlett = ∑ j (n j − 1) log(σ 2 / σ 2j )


dove nj è il numero di ritorni nel j-esimo sotto-periodo e σ¯2 è la varianza
campionaria nell’intero periodo sotto osservazione, aggiustata non con n –
1 ma con n – m. La statistica di Bartlett si distribuisce approssimativamen-
te come una chi-quadro con m – 1 gradi di libertà.

309
DERIVATI

Un altro modo per verificare se la varianza è costante è quello di misu-


rare la «curtosi» (kurtosis) del campione, definita da ∑k [log(rk) – µ̄h]4/σ¯ 4.
Rispetto ad una distribuzione normale con uguale media, varianza e asim-
metria, la distribuzione leptocurtica (platicurtica) ha più (meno) probabilità
intorno alla media e nelle code, ma meno (più) probabilità nelle zone tra
queste regioni. Se log(rk) è normale con varianza costante, la sua curtosi
dovrebbe essere prossima a 3. Anche se log(rk) non è normale, il teorema
del limite centrale ci dice che con l’aumentare della frequenza di campio-
namento la curtosi dovrebbe tendere a 3. Pertanto, una curtosi campionaria
distante da 3 suggerisce che la distribuzione cambia nel tempo. Purtroppo,
una curtosi maggiore di 3 è anche coerente con campioni estratti da una
stessa distribuzione (con volatilità costante) che però consente rialzi o ri-
bassi comunque maggiori di quelli attesi in condizioni di normalità.
Un modo per distinguere una distribuzione soggetta a discontinuità da
una distribuzione con varianza che cambia nel tempo è quello di vedere se,
per dato periodo di osservazione, la varianza campionaria cambia sistema-
ticamente in funzione dell’intervallo di campionamento. Naturalmente, sot-
to l’ipotesi di distribuzione costante – con o senza discontinuità – ci do-
vremmo aspettare che la varianza campionaria non muti al variare dell’in-
tervallo di campionamento. Se questa verifica fallisce, si può sospettare
che la varianza di popolazione non sia costante.
Un esperimento simile consiste nel tener fisso l’intervallo di campio-
namento ma di suddividere l’intero periodo di osservazione in più sotto-
periodi di uguale ampiezza per poi calcolare la curtosi in ogni sotto-
periodo. Se la media di queste curtosi campionarie dipende sistematica-
mente dalla dimensione dei sotto-periodi, è possibile che la varianza di po-
polazione non sia costante.
Un problema molto più difficile è quello della scelta del periodo di os-
servazione. Più indietro si va nel tempo, più numeroso è il campione, il che
tende a ridurre la variabilità dello stimatore campionario. Tuttavia, in pra-
tica, è improbabile che la volatilità sia costante, e nel passato remoto può
essere stata molto diversa da oggi, a seguito di circostanze rilevanti solo
per quel periodo. Ad un certo punto, la valutazione comparata di costi e
benefici ci sconsiglierà di andare troppo indietro nel tempo. Si tratta di una
scelta difficile da fare. Spesso i traders di derivati stimano la volatilità sto-
rica sulla base delle quotazioni di chiusura giornaliere rilevate nell’ultimo
mese. Altre volte la lunghezza del periodo di osservazione viene fatta coin-
cidere con la vita residua dell’opzione da valutare.
Negli approcci che abbiamo visto finora tutti i ritorni rilevati nel corso
del periodo di osservazione sono stati ponderati nello stesso modo, con pe-
si unitari, mentre peso nullo veniva implicitamente dato alle osservazioni
precedenti. In altri approcci si dà più peso alle osservazioni più recenti. Ad
esempio, quando si utilizza lo «spianamento esponenziale» (exponential
smoothing), la volatilità campionaria viene così calcolata:

310
VOLATILITÀ

1
σ 2h ≡ {α [log(r1 ) − µh]2 + α (1 − α)[log(r2 ) − µh]2
n −1
+ α (1 − α) 2 [log(r3 ) − µh]2 + ... + α (1 − α) n −1[log(rn ) − µh]2 }

dove 0 < α < 1, r1 è il ritorno più recente e rn è il ritorno più lontano.


Pensando ad un sistema iterativo:
1
σ k2 h ≡ {α [log(rk ) − µh]2 + α (1 − α)[log(rk +1 ) − µh]2
n −1
+ α (1 − α) 2 [log(rk + 2 ) − µh]2 + ... + α (1 − α) n −1[log(rk + n −1 ) − µh]2 }

si può dimostrare che:

σ k2 h = α [log(rk ) − µh]2 + (1 − α) σ k2−1h

Pertanto, quando si usa l’exponential smoothing la stima della volatilità


corrente è una media ponderata del quadrato del più recente scarto del ri-
torno logaritmico dalla media e dell’ultima stima della volatilità basata sui
ritorni osservati in precedenza. Quanto maggiore è α, tanto più peso viene
dato all’osservazione più recente.
Di recente è cresciuta la popolarità dei modelli Garch, acronimo di
«modelli generalizzati ad eteroschedasticità condizionata autoregressiva»
(Generalised AutoRegressive Conditional Heteroscedasticity models). Nel
modello Garch(1,1), la volatilità del parametro σ a livello di popolazione è
così definita:

σ 2k h = ω + α [log(rk ) − µh]2 + β σ 2k −1h

Rispetto all’exponential smoothing, oltre alle “ultime notizie “ ([log(rk) –


2
µh]2) e alla “varianza di ieri” (σk–1), abbiamo un terzo termine, ω, che va
interpretato come varianza non condizionata o varianza di lungo periodo.
Questo modello consente che sia α + β < 1.
I modelli Garch incorporano, almeno in parte, diversi aspetti empirici
delle serie storiche della volatilità:
‰ le forti (piccole) variazioni dei ritorni tendono ad essere seguite da va-
riazioni altrettanto forti (piccole), di entrambi i segni, con effetti che
tendono a smorzarsi col passare del tempo;
‰ la distribuzione dei ritorni logaritmici di breve periodo ha code più
spesse della distribuzione normale (ossia, i rialzi e i ribassi molto forti
sono più frequenti di quelli attesi se la distribuzione fosse normale).
Versioni ancor più sofisticate dei modelli Garch possono incorporare anche
un’altra regolarità osservata empiricamente:
‰ la volatilità locale tende a diminuire (aumentare) dopo rialzi (ribassi)
più forti rispetto alle attese.

311
DERIVATI

Potrebbe sembrare che una via praticabile, piuttosto che ampliare il cam-
pione (estendendo il periodo di osservazione) o utilizzare uno schema di
ponderazione esponenziale o Garch, sia quella di aumentare il numero dei
campioni estratti da un dato periodo di osservazione. Per fare un caso limi-
te, potremmo rilevare ogni transazione oppure ogni variazione della media
tra le quotazioni denaro e lettera.
Potremmo essere davvero tentati da questa strada. Sappiamo che var(σ¯ 2)
= 2σ4(n – 1)–1. Ad esempio, se σ = 0,20 e la frequenza di campionamento è
– —–– – ———
giornaliera, std(σ¯ 2) = 0,003571 (=√2 σ2 / √n – 1 = √2 × 0,22 /√252 – 1). Per-
2
tanto, la regione intorno ad una deviazione standard di σ¯ è 0,04 ± 0,003571.
Possiamo quindi facilmente commettere un errore del 9% (= 0,003571 / 0,04)
nella nostra stima di σ2. Vediamo invece cosa succede se rileviamo tutte le
transazioni, diciamo 300 osservazioni al giorno. In tal caso, std(σ¯ 2) =
– —–– – —————–
0,000206 (= √2 σ2/√n – 1 = √2 × 0,22 / √252 × 300 – 1) e la regione intorno
2
ad una deviazione standard di σ¯ è 0,04 ± 0,000206, un errore dello 0,5%.
Sfortunatamente, questo miglioramento può comportare costi inaccettabi-
li. Supponiamo di rilevare tutte le transazioni di un’attività che quota intorno
a $100, con un bid-ask spread di $0,125 (= $⅛). Assumiamo che ogni tran-
sazione venga effettuata con uguale probabilità al prezzo bid o al prezzo ask,
mentre il “vero prezzo” è pari alla media dei prezzi bid e ask. Questo vuol
dire che ogni transazione comporterà un errore di $0,0625 (= $1/16). Il ritorno
ingloba così un errore di circa ±0,000625 (= ±$0,0625 / $100). La varianza
dell’errore è di 0,0006252. Se σ = 0,20, allora la vera varianza del ritorno per
transazione è pari a 0,0007252 [= 0,22 / (252 × 300)], un livello che è dello
stesso ordine di grandezza dell’errore. In conclusione, quando si utilizzano i
prezzi delle singole transazioni può essere importante trovare un modo per
tener conto dell’oscillazione causata dal bid-ask spread; ma questo ci porte-
rebbe di nuovo oltre gli scopi di questo libro.

Sommario: volatilità storica


In questo paragrafo abbiamo giustificato l’utilizzo di media e varianza
campionarie come stime di media e varianza a livello di popolazione. Ab-
biamo ipotizzato che i ritorni logaritmici del sottostante seguano una ran-
dom walk stazionaria e, in particolare, che vengano estratti ad intervalli e-
quispaziati dalla stessa distribuzione probabilistica (e ciò implica che i ri-
torni non sono serialmente correlati). Abbiamo poi dimostrato che, sotto
queste ipotesi, la media campionaria è uno stimatore corretto della media
di popolazione. La varianza della media campionaria può essere ridotta al-
lungando il periodo di osservazione, ma non può essere migliorata aumen-
tando la frequenza di campionamento. L’incertezza circa la media di popo-
lazione persiste anche se disponiamo di osservazioni pluriennali.
Abbiamo anche dimostrato che la varianza campionaria è uno stimatore
corretto della varianza di popolazione, σ2. Diversamente dalla media, la sti-
ma della varianza può essere migliorata aumentando la frequenza di campio-

312
VOLATILITÀ

namento. Dopo pochi mesi / anni di frequenti osservazioni resta poca incer-
tezza circa σ2. Si tratta di una buona notizia, nell’ottica della formula Black-
Scholes, che dipende dalla varianza (variabile relativamente facile da stima-
re) ma non dalla media (variabile piena di errori di stima).
Per essere concreti, abbiamo stimato la volatilità dello S&P500 sulla base
delle osservazioni del 1987, rilevate ogni due settimane.
Il paragrafo si è concluso con alcuni affinamenti: come stimare la vola-
tilità sulla base di osservazioni non equispaziate, come verificare che
l’assunzione di volatilità costante sia giustificata, come scegliere il periodo di
osservazione, come ponderare le osservazioni (exponential smoothing e
Garch) e come scegliere l’intervallo di campionamento.

6.2 VOLATILITÀ IMPLICITA


La volatilità, σ, da inserire nella formula Black-Scholes o nel modello è la
nostra migliore stima della futura volatilità. Se, per fare questa stima, uti-
lizziamo solo i ritorni osservati storicamente, stiamo di fatto ipotizzando
che il futuro sarà, in una certa misura, uguale al passato. Pur se utile, que-
sto metodo sfrutta solo parte delle informazioni disponibili. Ad esempio,
potremmo sapere che, a seguito di una recente fusione, i futuri ritorni di
un’azione saranno probabilmente molto meno variabili. In tal caso, do-
vremmo rettificare verso il basso le nostre stime storiche prima di utilizzar-
le per valutare le opzioni.
Un altro modo molto diffuso per stimare la futura volatilità è quello di
utilizzare le stesse opzioni. Ceteris paribus, quanto più alta è la volatilità del
sottostante, tanto più elevato è il prezzo delle opzioni. Questa relazione
suggerisce che, tenendo ferme le altre variabili rilevanti, potremmo cercare
di stimare la volatilità del sottostante dal prezzo di mercato di un’opzione.
Questa è la cosiddetta «volatilità implicita» (implied volatility).
Il modo più comune per stimare la volatilità implicita è quello di assu-
mere che la formula Black-Scholes valuti correttamente l’opzione. Pertan-
to, piuttosto che inserire la volatilità e determinare il valore dell’opzione, si
assume invece che il valore dell’opzione sia pari alla quotazione di merca-
to e si risolve per la volatilità (implicita). In simboli, invece di inserire S,
K, t, r, d e σ per poi risolvere rispetto a C:
C = Sd −t N ( x ) − Kr −t N ( x − σ t ) dove x ≡ [log(S d −t / K r −t ) /( σ t )] + σ t
1
2

inseriamo S, K, t, r, d e C per poi risolvere rispetto a σ:


C = Sd −t N ( x ) − Kr −t N ( x − σ t ) dove x ≡ [log(S d −t / K r −t ) /( σ t )] + σ t
1
2

Ad esempio, sia S = K = 40; t = 0,333; r = 1,05; d = 1,00 e C = 3,07. Sosti-


tuendo questi valori, la formula Black-Scholes diventa un’equazione in
un’incognita, σ. L’unica soluzione di questa equazione è σ = 0,3. In effetti,
se avessimo iniziato la ricerca della soluzione proprio da σ = 0,3, avremmo
ottenuto un valore dell’opzione, C, pari a 3,07.

313
DERIVATI

Algoritmo di Newton-Raphson
Purtroppo, dato che σ vi appare in posti di difficile accesso, l’equazione
C = Sd −t N ( x ) − Kr −t N ( x − σ t ) dove x ≡ [log(S d −t / K r −t ) /( σ t )] + σ t
1
2

non può essere esplicitata rispetto a σ. In altri termini, l’equazione non può
essere riscritta in modo che σ sia isolata a sinistra del segno di uguaglianza.
Tuttavia, l’equazione può essere risolta per via implicita. Il metodo più sem-
plice è quello di usare il “fucile da caccia”. Supponiamo di essere quasi sicu-
ri che la soluzione si trovi tra 0,01 e 1,00. Allora, proviamo 10.000 possibili
soluzioni equispaziate in questo intervallo e scegliamo quella per la quale
f (σ ) ≡ [ Sd −t N ( x ) − Kr −t N ( x − σ t )] − C
è più vicina a zero.
Questa procedura può essere molto costosa in termini di tempo. Un me-
todo molto più efficiente per trovare la soluzione è rappresentato dall’al-
goritmo di Newton-Raphson. Per capirne il funzionamento, tracciamo
f(σ) in funzione di σ (Figura 6.1). Si noti che sia la derivata prima sia la
derivata seconda di f(σ) sono sempre positive. Se la curva interseca l’asse
orizzontale, può farlo una sola volta. In termini geometrici, il nostro pro-
blema è quello di trovare il valore di σ per il quale si ha f (σ) = 0; indiche-
remo questo particolare valore con σ = σ*.
Come primo tentativo, poniamo σ = σ0. Quindi calcoliamo f (σ0). Trac-
ciamo poi la retta tangente alla curva nel punto [σ0, f (σ0)]. Il nostro secondo
tentativo sarà rappresentato dal valore σ = σ1 che si trova nel punto di inter-
sezione tra la tangente e l’asse delle ascisse. Utilizzando σ1, calcoliamo
f (σ1). Tracciamo la retta tangente alla curva nel punto [σ1, f (σ1)]. Il nostro
terzo tentativo sarà rappresentato dal valore σ = σ2 che si trova nel punto di
intersezione tra la tangente e l’asse delle ascisse; e così via.
Si noti che ogni nuovo tentativo ci porta sempre più vicino alla soluzione
esatta, σ = σ*. Se la curva f (σ) fosse in realtà una retta, questa procedura ci
consentirebbe di determinare la soluzione esatta (σ = σ*) in un solo passo.
Anche con una curva molto convessa, com’è quella riportata nella figura, ci
vogliono solo pochi passi per arrivare molto vicino alla soluzione esatta.
Esprimiamo l’algoritmo di Newton-Raphson algebricamente. In base al
valore iniziale, σ = σ0, calcoliamo f (σ0) e la derivata prima di f (σ) nel pun-
to σ0 – ossia il vega, f ‘(σ0). In simboli, dati S, K, t, r, d e C, calcoliamo:
f (σ 0 ) ≡ [ Sd −t N ( x ) − Kr −t N ( x − σ t )] − C
f ' (σ 0 ) = S d − t t n ( x )
— 2
[n(x) è la funzione di densità della normale standardizzata, (1/√2π)e–x /2].
Possiamo ora determinare il punto σ1 sull’asse delle ascisse perché la
pendenza della tangente nel punto [σ0, f (σ0)] è data dal rapporto tra la di-
stanza verticale di f (σ0) dall’asse delle ascisse, f (σ0) – 0, e la distanza o-
rizzontale tra σ0 e σ1, ossia σ0 – σ1:

314
VOLATILITÀ

Figura 6.1 Algoritmo Newton-Raphson

f(σ) ‰ Fissa σ0.


‰ Trova la tangente della
curva nel punto [σ0, f(σ0)].
‰ Trova il σ1 che si trova nel
punto di intersezione tra
la tangente e l'asse
orizzontale.
f(σ0) ‰ Trova la tangente della
curva nel punto [σ1, f(σ1)].
‰ Ecc.

f(σ1)

0 σ
σ* σ2 σ1 σ0
f(σ*)
f(σ*)==00

f ' (σ 0 ) = [ f (σ 0 ) − 0] /(σ 0 − σ1 ) ⇒ σ1 = σ 0 − f (σ 0 ) / f ' (σ 0 )

Determinato σ1, possiamo ripetere la procedura:

σ 2 = σ1 − f (σ1 ) / f ' (σ1 )

e ancora:

σ 3 = σ 2 − f (σ 2 ) / f ' (σ 2 )

ecc.
Alla k-esima iterazione f (σk) sarà molto vicino a zero. Potremo allora
interrompere la ricerca, essendo σk un’ottima approssimazione di σ*.
Ecco un esempio di come utilizzare l’algoritmo di Newton-Raphson per
calcolare la volatilità implicita nella formula di Black e Scholes. Sia S = K
= 40; t = 0,333; r = 1,05; d = 1,00 e C = 2,17. Supponiamo che la stima iniziale
sia σ0 = 0,3. Usiamo le formule:

f (σ ) ≡ [ Sd −t N ( x ) − Kr −t N ( x − σ t )] − C

f ' (σ ) = S d − t t n( x )

con x ≡ [1og(Sd–r/Kr–t) ÷ σ√t] + ½ σ√ t , e la relazione iterativa

σ k +1 = σ k − f (σ k ) / f ' (σ k )

I successivi passaggi sono riportati nella Tavola 6.5.

315
DERIVATI

Tavola 6.5 Volatilità implicita: algoritmo iterativo

Per illustrare la velocità della convergenza dell'algoritmo iterativo di Newton -


Raphson, esaminiamo una call europea. Supponiamo che S = 40, K = 40, t =
0,333, r = 1,05, d = 1,00 e che il prezzo di mercato della call sia C = 2,17.
Supponiamo, inoltre, che la nostra migliore stima iniziale sia σ = 0,3.
f (σ) = Sd −t N ( x ) − Kr −t N ( x − σ t ) − C = 0 e f ' (σ) = Sd − t t n( x )
dove n(x) è la funzione di densità della normale standardizzata.

σσ0 == == 0,03
0,03
0
σσ1 == σσ0 ––f(σ
f(σ00)/f'(σ
)/f'(σ00)) == 0,2004
0,2004
1 0
σσ2 == σσ1 ––f(σ
f(σ )/f'(σ ) == 0,2003
2 1 11)/f'(σ11) 0,2003
σσ3 == σσ2 ––f(σ
f(σ )/f'(σ ))
2 )/f'(σ 2 == 0,2003
0,2003
3 2 2 2

iterazione
iterazione inputσσ
input f(σ)
f(σ) f'(σ)
f'(σ) outputσσ
output
11 0,3
0,3 0,90273
0,90273 9,0643
9,0643 0,2004
0,2004
22 0,2004
0,2004 0,0009
0,0009 9,0336
9,0336 0,2003
0,2003
33 0,2003
0,2003 0,0000
0,0000 9,0335
9,0335 0,2003
0,2003

La convergenza verso valori accurati della volatilità è davvero rapidis-


sima. In effetti, dopo una sola iterazione la stima di σ* è pari a 0,2004. Po-
nendo σ = 0,2004, il valore dell’opzione è C = 2,1709. Per avere un valore
dell’opzione pari a 2,170000 (accurato fino al sesto decimale), deve risulta-
re σ = 0,200295.
L’algoritmo di Newton-Raphson, applicato alle funzioni implicite di
una sola variabile, funziona bene se né la derivata prima né la derivata se-
conda cambiano segno nella regione dei valori ammissibili per l’incognita.
Nel caso di f (σ), mentre f ‘(σ) > 0 per tutti i σ, f ‘‘(σ) > 0 è positiva solo per
σ al di sopra di un certo livello minimo; al di sotto di questo livello, f ‘‘(σ) <
0. In pratica la soluzione si trova quasi sempre al di sopra di questo livello
minimo; pertanto, la convergenza è assicurata se la stima iniziale di σ è
maggiore del livello minimo.
Una procedura modificata – che integra l’algoritmo Newton-Raphson
con il metodo della bisezione – funziona bene anche se la derivata secon-
da cambia di segno, a condizione che il segno della derivata prima non
cambi. Supponiamo che la derivata prima sia positiva. Iniziamo col cercare
la soluzione nell’intervallo [a, b] dove a < b. Verifichiamo che f (a) < 0 e f
(b) > 0. Scegliamo quindi un valore iniziale di σ, tale che a < σ < b, e uti-
lizziamo l’algoritmo di Newton-Raphson. Se l’algoritmo converge rapi-
damente, abbiamo trovato la soluzione, ma se diverge o sembra convergere
lentamente, utilizziamo il metodo della bisezione. Esaminiamo f [(a +
b)/2]. Se è positivo, dobbiamo cercare la soluzione nell’intervallo tra a e (a
+ b)/2. Se è negativo, dobbiamo cercare la soluzione nell’intervallo tra (a +
b)/2 e b. Scegliamo quindi un nuovo valore di σ.

316
VOLATILITÀ

Implicazioni per la formula Black-Scholes


La formula Black-Scholes riesce a spiegare bene i prezzi di mercato delle
opzioni? Anche se non richiede la previsione dei ritorni attesi, la formula
richiede però che venga prevista la volatilità, e questo non è un compito
agevole. Potremmo, ad esempio, concludere che la formula Black-Scholes
non fornisce valori in linea con i prezzi di mercato. Tuttavia, è possibile
che non sia la formula Black-Scholes ad essere sbagliata, ma che sia invece
sbagliata la nostra stima della volatilità.
Fortunatamente, c’è un modo per verificare la formula Black-Scholes
senza dover misurare la volatilità a livello di popolazione. In particolare, se
la formule è valida, allora tutte le opzioni europee con la stessa scadenza,
scritte sullo stesso sottostante, devono avere la stessa volatilità implicita. In
ultima analisi, la volatilità implicita può essere vista come la previsione
della volatilità effettuata dal mercato. Per coerenza, le opzioni devono es-
sere valutate in base alla stessa previsione. Vediamone, altrimenti, le im-
plicazioni. Siano C(S, K1, t) e C(S, K2, t) i prezzi di due calls europee, con
prezzi d’esercizio Kl e K2 ed uguale scadenza t, scritte sullo stesso sotto-
stante con prezzo corrente S. Sia σl la volatilità implicita della prima op-
zione e σ2 la volatilità implicita della seconda opzione. Se σl > σ2, la prima
opzione è sopravvalutata rispetto alla seconda. In tal caso, se la formula
Black-Scholes è valida, ci converrebbe vendere la prima opzione e acqui-
stare la seconda. Questa strategia sarebbe redditizia indipendentemente da
quello che è il vero livello della volatilità.
In realtà, non tutte le opzioni europee con la stessa scadenza, scritte
sullo stesso sottostante, hanno la stessa volatilità implicita. Gli scarti tra
mercato e formula variano nel tempo e a seconda del sottostante – a volte
sono trascurabili, altre volte sono più seri. In questi ultimi casi, dobbiamo
concludere che o il mercato è inefficiente o la formula Black-Scholes è
sbagliata. Le deviazioni sistematiche dalla formula Black-Scholes sono di-
ventate così pronunciate in certi mercati che il termine «sorriso di volatili-
tà»(volatility smile), coniato con riferimento alle volatilità implicite, è di-
ventato un modo comune per riferirsi a questo fenomeno (Figura 6.2).

Volatilità incerta e discontinuità dei prezzi: implicazioni


Se i mercati sono efficienti da un punto di vista informativo, gli scarti tra
prezzi di mercato e valori Black-Scholes possono verificarsi solo se una o
più assunzioni del modello Black-Scholes sono errate. Le assunzioni che più
delle altre meritano la nostra attenzione sono:

‰ certezza della futura volatilità del sottostante;


‰ assenza di discontinuità dei prezzi.

La Figura 5.5 ci ha mostrato come potrebbero essere le distribuzioni risk-


neutral dei ritorni logaritmici del sottostante se queste assunzioni non ve-

317
DERIVATI

Figura 6.2 Volatility Smile

Se vale il modello Black-Scholes:


le opzioni europee con uguale scadenza e stesso
sottostante devono avere la stessa volatilità implicita.
Se le opzioni non hanno la stessa volatilità implicita (e vale il modello
Black-Scholes), è possibile costruire un neutral spread (bull o bear) che
genera utili anche se c'è un errore nella stima della vera volatilità.
σ
Volatility smile Se il volatility smile non è
piatto, il modello Black -
0,25 Scholes non spiega bene i
prezzi di mercato.
0,20
0,15 Se il modello Black-Scholes
spiega bene i prezzi di
0,85 0,9 0,95 1 1,05 1,1 1,15 mercato, il volatility smile
deve essere piatto.
K/S

nissero rispettate. Se vale la formula Black-Scholes, la distribuzione risk-


neutral è normale. Invece, se la futura volatilità è incerta o ci sono discon-
tinuità nei prezzi, la distribuzione può essere leptocurtica (più probabilità
al centro e nelle code rispetto alla distribuzione normale) oppure avere
un’asimmetria positiva (più probabilità nella parte sinistra della distribu-
zione) o negativa (più probabilità nella parte destra della distribuzione).
Per valutare le calls europee con prezzi d’esercizio Ki, i = 1, ..., m,
dobbiamo semplicemente calcolare C(Ki) = [∑j Pj max(0, Sj – Ki)]/rt, dove
P0, P1, P2,..., Pn descrivono la funzione di densità risk-neutral. Date quat-
tro diverse funzioni di densità risk-neutral (di cui 3 già viste nella Figura
5.5), la Figura 6.3 mostra i volatility smiles ottenuti attraverso la formula
Black-Scholes.
Naturalmente, il volatility smile che è coerente con la funzione di den-
sità normale è piatto, com’è richiesto dalla formula Black-Scholes. Negli
altri casi, la formula Black-Scholes, per quanto sia ancora utile come stru-
mento per tradurre i prezzi delle opzioni in volatilità implicite, non è più
valida. Ad esempio, la funzione di densità simmetrica con curtosi di 5,4
comporta un volatility smile che è più o meno simmetrico intorno allo 0
(Figura 6.3). Le opzioni at-the-money o quasi at-the-money hanno una va-
lore minore del valore Black-Scholes mentre le altre hanno un valore mag-
giore. Il punto 0,0 sull’asse delle ascisse corrisponde ad un prezzo
d’esercizio di K(r/d)–t. Gli altri punti sull’asse delle ascisse si riferiscono al
numero delle deviazioni standard dei ritorni logaritmici del sottostante.
Come abbiamo visto, sotto le ipotesi del modello Black-Scholes, i ritorni

logaritmici hanno una deviazione standard pari a σ√ t .

318
VOLATILITÀ

Figura 6.3 Volatilità stocastica e discontinuità

Volatility smiles (opzioni a 6 mesi)


Normale
28 Simmetrica - leptocurtica
Asimmetrica a destra
Volatilità implicita (%)

26
Asimmetrica a sinistra
24

22

20

18

16
–2,5 –2,0 –1,5 –1,0 –0,5 0,0 0,5 1,0 1,5 2,0 2,5
Prezzo d'esercizio (deviazioni standard rispetto a K = S0)

I volatility smiles corrispondenti alle distribuzioni asimmetriche sono,


come potevamo aspettarci, asimmetrici. Ad esempio, se la funzione di den-
sità ha un’asimmetria negativa (nel nostro caso, asimmetria di –0,8 e curto-
si di 4,8), la call che si trova due deviazioni standard in-the-money ha una
volatilità implicita (26%) maggiore di 8 punti percentuali rispetto alla vola-
tilità implicita (18%) della call che si trova due deviazioni standard out-of-
the-money. Deviazioni dal modello Black-Scholes pronunciate come questa
sono state a lungo osservate in importanti mercati delle opzioni.

Stima della volatilità implicita: un’arte


Anche se vale il modello Black-Scholes, dobbiamo comunque aspettarci leg-
geri smiles a causa di alcuni problemi tecnici. Forse il più importante è rap-
presentato dalla non simultaneità delle rilevazioni dei prezzi delle opzioni e
dei sottostanti. In questi casi, è bene fare la media tra la volatilità implicita
nella call e quella della corrispondente put. In questo modo facciamo anche
compensare gli errori di misurazione del riskless return e del payout return.
Se esiste un futures scritto sullo stesso sottostante, possiamo utilizzare il suo
tasso repo implicito come approssimazione del riskless return.
In alcuni casi, vengono utilizzate le ultime quotazioni delle opzioni, ma
le rispettive transazioni possono essere avvenute in istanti diversi della
giornata, quando il prezzo del sottostante era molto più alto o molto più
basso. Le volatilità implicite in queste opzioni possono essere ben diverse a
seconda del prezzo del sottostante che viene utilizzato. Le quotazioni bid e
ask, soprattutto nelle borse con market-makers in competizione tra loro,
tendono ad essere aggiornate spesso ed è quindi molto poco probabile che

319
DERIVATI

non siano più valide. Tuttavia queste quotazioni sono volutamente lontane
dal prezzo atteso della prossima transazione (il bid è più basso, l’ask è più
alto). Il modo naturale per superare questo problema è quello di utilizzare
la media delle quotazioni bid e ask.
A parte queste difficoltà di applicazione, il vero problema è più serio: il
modello Black-Scholes (oppure il modello binomiale per le opzioni ameri-
cane) può essere sbagliato. Tuttavia, l’esame di questo argomento ci porte-
rebbe ben oltre gli scopi del libro.
Comunque, volendo utilizzare la formula Black-Scholes, è bene cercare
di stimare la volatilità nel miglior modo possibile, anche nei casi in cui le
volatilità implicite non sono costanti. Un ovvio approccio al problema è
quello di stimare, innanzitutto, le volatilità implicite in ciascuna delle opzioni
disponibili, ossia σ(Ki) per l’opzione con strike Ki, e poi calcolare la media
aritmetica ponderata di queste volatilità implicite, con pesi, xi, che somma-
no ad uno.
Quali pesi dovremmo utilizzare? A causa degli errori nei prezzi (dovuti
a mancanza di liquidità o all’ampiezza delle variazioni minime di prezzo),
è bene ignorare le opzioni deep in-the-money e deep out-of-the-money e
assegnare tutto il peso alle calls (puts) che sono at-the-money o leggermen-
te out-of-(in-)the-money. Sono queste le opzioni che risultano più sensibili
alle variazioni di volatilità (hanno i vega più elevati).
Un’ultima domanda: le volatilità implicite prevedono le future volatili-
tà meglio di altre stime, basate ad esempio sulle volatilità storiche? Anche
se c’è un’ampia letteratura empirica su questo argomento, non è emerso un
chiaro consenso. Sembra esserci però una relazione persistente, la tendenza
della volatilità implicita ad essere più alta della futura volatilità. È possibi-
le che ciò sia dovuto al fatto che il mercato si attende forti discontinuità nei
prezzi, che però si possono osservare solo raramente.

Sommario: volatilità implicita


Un secondo metodo per stimare la volatilità sfrutta le informazioni conte-
nute nei prezzi delle stesse opzioni. Ad esempio, sia per le calls sia per le
puts, quanto più è elevata la volatilità tanto maggiore è, ceteris paribus, il
valore dell’opzione, e, presumibilmente, anche il suo prezzo di mercato. La
stima della volatilità desumibile dai prezzi delle opzioni è detta “volatilità
implicita”: è il livello della volatilità che inserito nella formula Black-
Scholes eguaglia il prezzo di mercato dell’opzione al suo valore teorico.
Sfortunatamente, la formula Black-Scholes non può essere esplicitata
rispetto al parametro di volatilità. Tuttavia, la volatilità implicita può esse-
re stimata rapidamente con metodi numerici. In particolare, si può utilizza-
re l’algoritmo di Newton-Raphson, che tipicamente converge in tre soli
passi verso valori molto prossimi alla vera volatilità.
Date le assunzioni del modello Black-Scholes, tutte le opzioni europee
con la stessa scadenza dovrebbero avere la stessa volatilità implicita. La

320
VOLATILITÀ

rilevanza di questo indicatore è tale che spesso non vengono quotati i prez-
zi delle opzioni ma le loro volatilità implicite. In genere, per provare la va-
lidità della formula Black-Scholes, si verifica se le volatilità implicite nelle
opzioni di uguale scadenza sono le stesse, indipendentemente dai loro
prezzi d’esercizio. La relazione tra volatilità implicite e prezzi d’esercizio
definisce il cosiddetto volatility smile. In pratica, l’incertezza circa la futu-
ra volatilità e la possibilità che i prezzi del sottostante siano soggetti a forti
discontinuità sono probabilmente i motivi più importanti per cui si osser-
vano volatility smiles incoerenti con la formula Black-Scholes.
Il paragrafo si è concluso con alcuni affinamenti: come far fronte alla
non simultaneità della rilevazione dei prezzi delle opzioni e del sottostante,
agli errori di misura dei riskless returns e dei payout returns, alle oscilla-
zioni dei prezzi delle singole transazioni causate dai bid-ask spreads.

CONCLUSIONI
Per applicare la formula Black-Scholes sono richieste sei variabili: il prez-
zo del sottostante, il prezzo d’esercizio, la vita residua, il riskless return, il
payout return e la volatilità. Fortunatamente, non è necessario conoscere il
ritorno atteso del sottostante. Di queste sei variabili, la più difficile da sti-
mare è senz’altro la volatilità (ma anche il payout return può essere diffici-
le da stimare nel caso delle opzioni a lunga scadenza). È questo il motivo
per cui abbiamo dedicato un intero capitolo alla stima della volatilità.
Per chi si occupa di statistica, il modo naturale per stimare la volatilità
è quello di esaminare la serie storica dei ritorni, dato un certo periodo di
osservazione. I ritorni vengono rilevati ad intervalli equispaziati e si consi-
derano estratti dalla stessa distribuzione probabilistica. Sotto certe condi-
zioni, la varianza campionaria è la migliore stima della varianza a livello di
popolazione. Se il passato è una buona guida per il futuro, questa stima
rappresenta anche la migliore previsione della varianza che verrà osservata
durante la vita dell’opzione. Un importante aspetto di questo approccio è
che la stima della volatilità può essere migliorata estendendo il periodo di
osservazione o aumentando la frequenza del campionamento.
Invece, anche se la media campionaria rappresenta la migliore stima
della media a livello di popolazione, la stima del ritorno atteso non può es-
sere migliorata aumentando la frequenza del campionamento. Può essere
migliorata solo estendendo il periodo di osservazione.
La stima della volatilità può essere facilmente corretta per tener conto
del fatto che le osservazioni non sono a volte equispaziate. Abbiamo visto
come si può verificare se l’assunzione di costanza della volatilità è giustifi-
cata, e cosa bisogna fare se non lo è.
Un secondo metodo di stima delle volatilità sfrutta le informazioni con-
tenute nei prezzi delle stesse opzioni. Dato che i prezzi di mercato delle
opzioni dovrebbero dipendere dalle volatilità, è possibile utilizzarli per
stimare le future volatilità delle attività sottostanti. Le stime ottenute, le

321
DERIVATI

cosiddette volatilità implicite, sono pari al livello di volatilità che inserito


nella formula Black-Scholes eguaglia il prezzo di mercato dell’opzione al
suo valore teorico. L’algoritmo di Newton-Raphson è uno dei metodi nu-
merici che vengono utilizzati per trovare le volatilità implicite.
Le volatilità implicite consentono di verificare la validità della formula
Black-Scholes senza stimare la volatilità a livello di popolazione. Date le
assunzioni del modello Black-Scholes, tutte le opzioni europee con la stes-
sa scadenza dovrebbero avere la stessa volatilità implicita, indipendente-
mente dai prezzi d’esercizio.

322
7
Strategie dinamiche

7.1 DIVERSIFICAZIONE DINAMICA


Asset allocation tradizionale
Molte delle idee che abbiamo presentato possono essere utilizzate per ri-
solvere il problema dell’allocazione ottimale del patrimonio: in che modo
gli investitori razionali dovrebbero allocare il loro patrimonio tra consumo,
moneta e altre attività o titoli detenuti per fini d’investimento? Gli investi-
tori, sacrificando il consumo corrente, spostano il proprio patrimonio in
avanti nel tempo a favore del consumo futuro. Non vogliamo però concen-
trare la nostra attenzione sul «tasso di sostituzione» (tradeoff) tra consumo
corrente e consumo futuro ma, astraendoci da questa decisione, vogliamo
esaminare solo il problema di come va investito il patrimonio disponibile
dopo aver provveduto al consumo corrente.

A sua volta, il problema dell’investimento può essere suddiviso in due parti:


come allocare l’investimento tra attività rischiose e non rischiose; e come allo-
care le attività rischiose tra le varie alternative. Qui tratteremo solo il primo
caso, ossia il problema dell’«allocazione delle attività» (asset allocation).

Per essere più concreti, immagineremo che il nostro investitore investa il


suo patrimonio in moneta e in un «fondo indice a larga base» (market-wide
index fund), composto da diversi titoli rischiosi.
In base alla tradizionale analisi di portafoglio media-varianza, l’in-
vestitore inizia con un mix “normale” – ad es., 60% nell’index fund e 40%
in moneta. Queste sono le quote del portafoglio, data la sua tolleranza nei
confronti del rischio e i valori medi di lungo-termine del «premio al ri-
schio» (risk premium) dell’indice (la differenza tra ritorno atteso e riskless
return) e della volatilità dell’indice. Da queste informazioni, gli analisti
potrebbero dedurre la propensione al rischio dell’investitore. Noto questo
parametro, e dati il premio al rischio corrente e la volatilità, l’analista può
individuare il mix ottimale. Questo mix riflette non solo le condizioni cor-
renti ma anche, nell’ottica dell’investitore, il suo tradeoff tra rischio e ri-
torno atteso del portafoglio, dove, con le tecniche tradizionali, il rischio è
misurato dalla volatilità del portafoglio o dalla varianza.

323
DERIVATI

L’analisi tradizionale presenta due fondamentali difetti:


(1) misura il rischio con un solo numero: la varianza del ritorno. Di conse-
guenza, i payoffs in caso di rialzo e di ribasso sono trattati in modo
simmetrico. Questa ipotesi è difficile da giustificare a meno che le op-
portunità disponibili abbiano solo payoffs simmetrici o, per qualche
motivo, gli investitori non vogliano payoffs asimmetrici;
(2) le decisioni correnti degli investitori non tengono conto del fatto che i
pesi dei portafogli possono essere successivamente aggiustati. Chie-
diamoci se non investiremmo in modo diverso oggi se sapessimo di non
poter più alterare la composizione del nostro portafoglio.
Nella letteratura accademica, l’assunzione che il rischio possa essere misu-
rato con un solo numero – la varianza del ritorno – è coerente con la mas-
simizzazione dell’utilità attesa da parte dell’investitore solo in due casi:
quando la distribuzione probabilistica dei ritorni è normale o quando la
funzione di utilità dell’investitore è quadratica. Nel primo caso, la media e
la varianza sono sufficienti a definire l’intera distribuzione, per cui l’inve-
stitore può limitarsi a scegliere tra le diverse alternative media-varianza.
Nel secondo caso, in cui le distribuzioni sono definite anche da altri para-
metri – oltre a media e varianza – come la «perdita attesa» (expected loss)
o l’asimmetria, all’investitore questi altri parametri non interessano; solo la
media e la varianza hanno importanza per l’investitore.
Questa seconda possibilità – che la funzione di utilità dell’investitore
sia quadratica – viene spesso scartata perché porta a decisioni molto poco
realistiche, quali la riduzione degli investimenti in attività rischiose al cre-
scere del patrimonio o la dispersione del patrimonio dopo che questo ha
raggiunto un livello sufficientemente elevato.
Anche l’altra possibilità – che i ritorni siano distribuiti in modo norma-
le – è soggetta a diversi problemi:
(1) su orizzonti lunghi anche i portafogli statici possono avere ritorni signi-
ficativamente asimmetrici;
(2) su orizzonti brevi la probabilità di eventi rari è maggiore, per uno o due
ordini di grandezza, rispetto alla distribuzione normale;
(3) l’esistenza di opzioni e di strategie dinamiche, e il loro crescente utiliz-
zo da parte degli investitori, implica che molti portafogli hanno ora ri-
torni che differiscono significativamente dalla normalità. Ciò è partico-
larmente vero per gli hedge funds, che cercano di battere i mercati spo-
stando grossi capitali dalle azioni alle obbligazioni, e viceversa, ricor-
rendo anche alle vendite allo scoperto.
Nel 1952, Harry Markowitz pubblicò per la prima volta la sua teoria sulle
scelte media-varianza dei portafogli, e più tardi, nel 1959, pubblicò il suo
libro sulla «Selezione di Portafoglio» (Portfolio Selection), probabilmente il
libro più importante nella storia dell’economia finanziaria e la base delle ri-
cerche accademiche dei 50 anni successivi. Conscio che la sua teoria era es-
senzialmente uni-periodale (non considerava l’effetto sulle decisioni correnti

324
STRATEGIE DINAMICHE

della possibilità di rivederle in futuro), Markowitz incluse un capitolo sulla


selezione di portafoglio nel lungo termine, dove assunse che gli investitori
massimizzino il valore atteso del logaritmo naturale del patrimonio alla fine
di più periodi, essendo in grado di rivederne nel frattempo la composizione.
In questo schema, se la distribuzione probabilistica dei ritorni resta invariata,
gli investitori rivedranno la composizione dei portafogli al fine di mantenere
costanti le quote investite nei singoli titoli – una politica d’investimento che
è detta “miope” perché i pesi sono insensibili alle variazioni del patrimonio e
all’età dell’investitore. In questo caso particolare, la possibilità di rivedere la
composizione del portafoglio non ha alcun effetto sulle decisioni correnti.
Anche se l’utilità logaritmica gode di notevoli proprietà, diversi ricerca-
tori hanno cominciato a considerare altre strategie, tra cui quelle non-miopi,
e a prendere in esame anche i consumi intermedi, oltre al patrimonio finale.
In alcuni casi, al crescere del patrimonio, è ottimale aumentare la quota inve-
stita in attività rischiose; in altri casi, conviene invece ridurre l’esposizione [e
l’esposizione dipende da considerazioni sul «ciclo di vita» (life-cycle), ossia
da quanto a lungo gli investitori ritengono di poter vivere].
La storia delle ricerche sulla selezione multi-periodale del portafoglio,
lunga ed illustre, implica in genere l’ottimalità degli investimenti non-
miopi. Tuttavia, gli investitori istituzionali ancora non tengono conto di
questi risultati. I più importanti fondi pensione utilizzano una qualche va-
riante della selezione di portafoglio media-varianza in un’ottica esplici-
tamente uni-periodale. In realtà, essi investono in ciascun periodo come se
fossero miopi, ma i pesi dei loro portafogli cambiano da un periodo
all’altro. I fondi pensione seguono quindi in modo implicito una strategia
d’investimento non-miope.

Asset allocation dinamica


L’«allocazione dinamica delle attività» (dynamic asset allocation) cerca di
superare i principali inconvenienti della selezione di portafoglio tradizionale
– ossia, la misurazione del rischio con un solo parametro, la varianza, e
l’ottica uni-periodale. La dynamic asset allocation è più vicina al modo in
cui gli investitori sono soliti pensare al rischio.
Invece di pensare al rischio in termini di varianza, gli investitori spesso
vedono il rischio come associazione tra la probabilità di perdita e l’importo
della perdita. Non trattano simmetricamente il «rischio di guadagno» (upside
potential) ed il «rischio di perdita» (downside risk). Il downside risk è molto
più temuto di quanto non venga apprezzato l’upside potential. Naturalmente,
se i ritorni dei portafogli avessero distribuzioni simmetriche, questa distin-
zione non avrebbe rilevanza, ma le distribuzioni asimmetriche sono facili da
ottenere attraverso l’utilizzo delle opzioni e delle strategie dinamiche. Più in
generale, gli investitori possono essere interessati a vari aspetti delle distri-
buzioni. Ad esempio, possono essere particolarmente avversi alle perdite si-
gnificative, anche se la probabilità è bassa, mentre sono disposti a sopportare

325
DERIVATI

perdite modeste, la cui probabilità è più elevata. Sono le perdite significative


che possono determinare costose riorganizzazioni o causare addirittura i fal-
limenti.
Il problema generale è quello di riuscire a controllare la configurazione
dei payoffs del portafoglio, ossia, la forma della distribuzione dei ritorni
che verranno realizzati alla scadenza. Così facendo, l’investitore è in grado
di valutare il tradeoff tra l’altezza e la forma dei payoffs. In sostanza, l’in-
vestitore valuta il tradeoff tra ritorno atteso (determinato dall’altezza del
payoff o dalla collocazione della distribuzione probabilistica) e rischio (de-
terminato dalla forma della distribuzione).
Per controllare la forma della distribuzione dei ritorni, gli investitori
possono utilizzare le opzioni, le strategie dinamiche, oppure, nei casi più
sofisticati, una loro combinazione.

Payoffs convessi e concavi


L’asset allocation dinamica presuppone innanzitutto che venga definito
l’obiettivo dell’investitore. In pratica, si tratta di definire la forma della linea
dei payoffs, o, in alternativa, la distribuzione probabilistica dei payoffs, o,
meno spesso, la «funzione di utilità» (utility function) dell’investitore.
L’investitore sceglie un indice di mercato come portafoglio di riferimento ed
un orizzonte temporale, t. Sia con S* il valore finale del portafoglio di riferi-
mento al tempo t. Aspetti rilevanti dell’informazione corrente sono rappre-
sentati dal valore corrente, S, del portafoglio di riferimento e dal riskless re-
turn su base annua, r, di uno zero-coupon bond con scadenza al tempo t.

La linea desiderata dei payoffs sarà una certa funzione, V(S*; t), del prezzo
del portafoglio di riferimento alla data di scadenza. Il prezzo S* determina il
valore, V(S*; t), del portafoglio dell’investitore. La «funzione dei payoffs» (pay-
off function), V(S*; t), verrà anche semplicemente indicata con V*.

Il problema è come ottenere V* attraverso una strategia che si autofinanzia


e che comporta il minimo investimento iniziale, V(S; 0).
Di solito, il passo più difficile dell’asset allocation dinamica è proprio
il primo: la specificazione dell’obiettivo. Nello specificare l’obiettivo, è utile
tener presente che l’obiettivo dell’investitore medio è rappresentato dai pay-
offs realizzabili con un portafoglio statico composto da tutte le attività pre-
senti nell’economia, il cosiddetto «portafoglio di mercato» (market portfo-
lio). Quest’affermazione è in realtà tautologica. Supponiamo che il patri-
monio dell’investitore medio si pari ad un miliardesimo del totale. Ad e-
sempio, se la quota delle azioni General Motors fosse maggiore o minore
di un miliardesimo, egli non sarebbe un investitore “medio”. Pertanto, chi
desidera, razionalmente, seguire una strategia diversa, lo fa perché è diver-
so in qualche modo dalla media – soprattutto in termini di patrimonio, a-
spettative o attitudine nei confronti del rischio.

326
STRATEGIE DINAMICHE

In genere, gli investitori desiderano una payoff function che abbia do-
vunque una pendenza positiva. Sarà chiaramente così per l’investitore me-
dio, che detiene staticamente il portafoglio di mercato.
Gli investitori hanno differenti preferenze circa il grado di inclinazione
della curva. La pendenza della payoff function indica se l’investitore sta dan-
do in prestito denaro o se invece lo sta prendendo in prestito. Chi presta de-
naro è in genere più avverso al rischio della media e la pendenza della curva
è minore di 1; al contrario, chi prende in prestito denaro è in genere meno
avverso al rischio della media e la pendenza della curva è maggiore di 1.
Gli investitori hanno anche differenti preferenze circa la concavità o la
convessità della payoff function. Gli investitori che preferiscono payoff
functions concave (con derivata seconda negativa) si aspettano, rispetto
all’investitore medio, che i ritorni dell’index fund saranno o meno variabili o
più inclini a tornare verso livelli medi di lungo periodo. Oppure, semplice-
mente desiderano rischiare meno quando il patrimonio cresce. Questo
comportamento è descritto dalla payoff function, la cui pendenza si riduce
sempre di più con l’aumentare dei ritorni del portafoglio.
Per creare una payoff function concava occorre vendere l’index fund
quando sale e comprarlo quando scende. La distribuzione probabilistica dei
payoffs avrà un’asimmetria negativa rispetto alla distribuzione dell’inve-
stitore medio perché vendendo l’index fund quando sale si riducono le pro-
babilità di payoffs molto alti e comprando l’index fund quando scende si
aumentano le probabilità di payoffs molto bassi.
Le payoff functions concave possono anche essere approssimate da stra-
tegie statiche che fanno uso di index options. Se sono disponibili entrambe
le possibilità (la replica statica o quella dinamica), la scelta può dipendere
dalle aspettative circa la volatilità. Ad esempio, se riteniamo che la futura
volatilità sarà più alta della volatilità implicita nei prezzi delle index op-
tions, troveremo conveniente l’acquisto delle index options e preferiremo
quindi la replica statica. Invece, come vedremo tra breve, se utilizziamo la
replica dinamica finiremo in effetti col pagare un prezzo per le opzioni che
rifletterà l’effettiva volatilità del portafoglio sottostante piuttosto che la
volatilità implicita nei prezzi delle opzioni.
Chiaramente, le conclusioni sono opposte per gli investitori che prefe-
riscono payoff functions convesse (con derivata seconda positiva).
La Figura 7.1 mostra due payoff functions. Sono entrambe sempre cre-
scenti – per cui quanto più elevato è il futuro valore del portafoglio di rife-
rimento, tanto maggiore è il payoff. Facendo il confronto, la funzione con-
cava offre risultati migliori fintanto che il valore del portafoglio di riferi-
mento si mantiene in prossimità del valore corrente (100); invece, la fun-
zione convessa offre risultati migliori quando il valore del portafoglio di
riferimento subisce variazioni estreme, al rialzo o al ribasso. Dato che ciò è
più probabile quando la volatilità è alta, gli investitori con aspettative di
alta volatilità dovrebbero preferire payoff functions convesse.

327
DERIVATI

Figura 7.1 Payoff Functions: concave e convesse

S = 100 Payoff (V *)
t=1

125

Concava: trae beneficio dai reversals

50 75 125 150

Futuro valore del sottostante (S *)

75

Convessa: trae beneficio dai trends

Si noti che la media tra le due payoff functions, per il modo in cui so-
no state costruite, è rappresentata da una diagonale passante per l’origine
– che non è nient’altro se non il payoff del portafoglio di riferimento. Que-
sta considerazione suggerisce che per ogni investitore che sceglie una pay-
off function convessa (forse perché si aspetta un’elevata volatilità), ce ne
dev’essere un altro – dall’altro lato del mercato – che sceglie una funzione
concava (forse perché si aspetta una bassa volatilità).
Come si è visto nel Capitolo 3, le strategie statiche o dinamiche necessa-
rie per creare queste due payoff functions sono complementari. L’investitore
che persegue – con la replica dinamica – un payoff concavo deve vendere
l’index fund quando il suo valore aumenta. Probabilmente, troverà –
dall’altro lato del mercato – qualcuno che sarà pronto a comprarlo, ossia un
investitore che persegue – con la replica dinamica – un payoff convesso e
che vuole acquistare l’index fund quando il suo valore aumenta.

Sommario: asset allocation dinamica


Gli approcci seguiti dagli investitori istituzionali per gestire i loro portafo-
gli si basano in genere sul tradeoff tra ritorno atteso e rischio (che è in ge-
nere misurato dalla varianza dei ritorni). L’approccio media-varianza ha
però due limiti fondamentali: il rischio viene sintetizzato da un solo para-
metro (mentre, in effetti, ha molte dimensioni); inoltre, l’approccio trascu-
ra il fatto che la composizione del portafoglio potrà essere poi rivista.
L’asset allocation dinamica generalizza l’approccio media-varianza per
superarne i limiti. Affronta il problema fondamentale dell’asset allocation
– quello di ripartire un certo patrimonio tra moneta e portafoglio di merca-

328
STRATEGIE DINAMICHE

to – data una payoff function obiettivo (ovvero una distribuzione soggettiva


di payoffs) ad una certa scadenza.
Il problema affrontato dall’asset allocation dinamica consiste nel repli-
care una certa payoff function utilizzando opzioni e strategie dinamiche
nonché nel determinare l’investimento corrente minimo che consenta di
raggiungere quest’obiettivo con una strategia che si autofinanzia.
In genere, gli investitori desiderano payoff functions che non sono rap-
presentate da linee rette. A causa delle diverse aspettative e delle diverse
attitudini verso il rischio, alcuni preferiscono funzioni convesse e altri con-
cave. Inoltre, avendo opinioni diverse circa la futura volatilità, alcuni inve-
stitori preferiscono la replica statica mediante opzioni alla replica dinamica
mediante moneta e portafoglio di mercato.

7.2 ASSICURAZIONE DI PORTAFOGLIO


Strategia fondamentale
L’«assicurazione di portafoglio» (portfolio insurance) è una delle applica-
zioni più note dell’asset allocation dinamica. Piace agli investitori che ri-
tengono (più di altri) di non poter sopportare perdite – o perdite superiori
ad un importo relativamente modesto – ma che, comunque, desiderano in-
vestire in attività rischiose perché sono attratti dagli elevati ritorni attesi.
La prima priorità nel gestire un portafoglio “assicurato” è quella di ga-
rantire che il suo valore non finisca al di sotto di una soglia minima alla data
di scadenza. Questa soglia rappresenta il cosiddetto «pavimento» (floor). Ri-
spetto all’investimento nel portafoglio sottostante, il portafoglio “assicurato”
non comporta perdite in caso di ribassi, ossia quando S* < floor. In genere,
quando si inizia la strategia assicurativa, il floor viene uguagliato al valore
corrente del portafoglio sottostante. In tal caso, l’obiettivo è quello di non
subire perdite rispetto al valore iniziale del portafoglio.
Nonostante il nome, il portafoglio “assicurato” non è letteralmente tale,
non è cioè garantito da una seconda o terza parte. Il termine sta ad indicare
che, se tutto va nel verso giusto, i risultati dovrebbero essere virtualmente
identici a quelli di un portafoglio effettivamente assicurato.
In caso di rialzo, la performance del portafoglio assicurato dovrebbe
essere peggiore di quella del sottostante, dato che è migliore in caso di ri-
basso. La seconda priorità nel gestire un portafoglio assicurato è quella di
minimizzare questa «sotto-performance in caso di rialzo» (upside shor-
tfall), ossia quando S* > floor. Di solito, l’upside shortfall viene misurata
dal «rapporto di cattura» (capture ratio), il rapporto tra valore del portafo-
glio assicurato e valore del portafoglio sottostante alla data di scadenza.
Nel payoff diagram della Figura 7.2 il floor è pari al valore corrente del
portafoglio sottostante (S = 100) ed il capture ratio è di 0,963. Pertanto, in
questo esempio, la payoff function è:

V * = max(100, 0,963S * )

329
DERIVATI

Figura 7.2 Payoff Diagram

S = 100 Payoff (V*)


100%
K = 100 120 buy-and-hold
t =1
r = 1,10
d = 1,00 110

σ = 0,16 Portfolio insurance

80 90 110 120

Futuro valore del sottostante (S *)

60% – 40%
buy-and-hold 90 V * = max(100, 0,963S *)
capture ratio = 0,963
mix iniziale = 0,647

80

È importante distinguere tra due portafogli: il portafoglio sottostante (S, S*)


ed il portafoglio assicurato (V, V*). Ad esempio, il portafoglio sottostante
potrebbe essere quello dello S&P500. Il portafoglio assicurato viene gestito
in modo da produrre il payoff della portfolio insurance – in particolare, il
floor e il capture ratio. Si può pensare che, all’inizio della strategia,
l’investitore sia già in possesso del portafoglio dello S&P500 e che decida
di “assicurarsi” contro il rischio di perdite. Invece di versare altro denaro e
comprare una polizza assicurativa, l’investitore decide di seguire la strate-
gia dinamica suggerita dalla portfolio insurance. All’inizio, i valori del
portafoglio sottostante e del portafoglio assicurato coincidono, ossia V = S.
Successivamente, a meno che il valore del portafoglio sottostante non fini-
sca per caso con l’uguagliare il floor, i due valori saranno diversi.
In generale, il payoff della portfolio insurance è V(S*; t) = max(K, αS*; t),
dove K è il floor (in dollari), α è il capture ratio, S* è il valore (in dollari)
del portafoglio sottostante alla data di scadenza e t è il tempo mancante alla
scadenza (in anni). In questo contesto, S viene di solito interpretato come
l’importo che sarebbe stato altrimenti investito nel portafoglio sottostante
in assenza della strategia assicurativa. Analogamente, S* viene di solito in-
terpretato come il valore finale dell’investimento di S nel portafoglio sotto-
stante, inclusi tutti i frutti dovuti al reinvestimento dei payouts. Nelle con-
suete applicazioni della portfolio insurance, questo aggiustamento fa sì che
l’opzione assicurativa sia protetta contro la distribuzione dei payouts.
Dato che l’investimento iniziale è S, il capture ratio, α, deve essere mi-
nore dell’unità; altrimenti, il portafoglio assicurato dominerebbe il portafo-
glio sottostante, ossia il suo valore finale non sarebbe mai minore di quello

330
STRATEGIE DINAMICHE

del portafoglio sottostante e a volte lo supererebbe – una possibilità che è


esclusa dall’ipotesi di assenza di opportunità di arbitraggio.
Per determinare la strategia di replica, è utile riscrivere il payoff del
portafoglio assicurato, max(K, αS*), in termini del payoff di una call. Ini-
ziamo col sottrarre K da ciascuno dei due termini all’interno di max(·, ):

V * = max( K , α S * ) = K + max( K − K , α S * − K ) = K + max(0, α S * − K )

Dividiamo poi per α ciascuno dei due termini all’interno di max(·,·):

V * = K + max[0 / α, ( α S * − K ) / α] = K + α max(0, S * − K / α)

Avendo scritto il payoff in questo modo, la portfolio insurance può essere


replicata da una posizione statica di:
‰ Kr–t dollari in moneta che fruttano il riskless return r fino al tempo t;
‰ α calls europee (payout-protected) con prezzo d’esercizio K/α e sca-
denza al tempo t.
La portfolio insurance è quindi molto simile ad una fiduciary call (denaro
dato in prestito + call). Il denaro dato in prestito è tale che il ritorno alla
scadenza è uguale al floor. Supponiamo che il valore corrente del portafo-
glio sottostante ed il floor siano pari a $100, che il riskless return sia di
1,15 e che il tempo mancante alla data di scadenza sia di 1 anno. Il ritorno
dell’investimento di $100/1,151 = $86,95 in moneta è pari a $100, il floor,
tra 1 anno. Il resto, $13,05 (= $100 – $86,95), viene investito in calls.
Nel Capitolo 3 abbiamo utilizzato la put-call parity per dimostrare l’e-
quivalenza tra una protective put (attività + put) e una fiduciary call. Pertan-
to, la portfolio insurance può anche essere interpretata come una protective
put, in cui la put fa fronte alle perdite sul sottostante in caso di ribasso.
Un modo per applicare la portfolio insurance è quello di comprare op-
zioni europee. Tuttavia, in molte circostanze pratiche, le opzioni non sono
negoziate oppure sono trattate in mercati poco attivi e quindi poco liquidi.
Questo avviene soprattutto nel caso di scadenze superiori a tre anni. In
questi casi, l’applicazione della portfolio insurance attraverso opzioni eu-
ropee negoziabili richiede il rinnovo di una serie di opzioni a più breve
termine. Come abbiamo visto nel Capitolo 2, il rinnovo di futures a breve
termine per replicare futures a più lungo termine non è particolarmente dif-
ficile. Invece, la replica di opzioni a lungo termine con opzioni a più breve
termine è molto più difficile, a causa della non-linerarità dei payoffs delle
opzioni, e può comportare elevati costi di transazione. Il rinnovo delle op-
zioni americane può comportare ulteriori problemi a causa della possibilità
dell’esercizio anticipato. Si potrebbe anche essere tentati di replicare le
opzioni su portafogli utilizzando le opzioni scritte sulle singole azioni in
portafoglio. Ma, come si è visto nel Capitolo 3, le opzioni su portafogli non
hanno lo stesso payoff dei portafogli di opzioni, per cui anche questo è un

331
DERIVATI

problema. Per questi motivi, la portfolio insurance viene spesso attuata con
strategie di replica dinamica.
Non importa quale interpretazione venga data alla portfolio insurance –
se come fiduciary call o protective put – la strategia di replica dinamica
inizia con l’investimento di parte del capitale nel portafoglio sottostante e
col prestito della quota residua. Se il 100% del capitale è già investito nel
portafoglio sottostante, se ne vende una parte ed il ricavato viene dato in
prestito.
Poi, come nel caso della call, se il valore del sottostante diminuisce, si
deve monetizzare parte dell’investimento; viene così garantito il floor, la
prima promessa della portfolio insurance. Se invece il valore del sottostan-
te aumenta, si deve accrescere l’investimento nel sottostante; viene così
garantito il capture ratio, la seconda promessa della portfolio insurance.
All’inizio degli anni ‘80, questa strategia apparve a molti investitori
come un miracolo, perché il suo payoff – un floor più gran parte dell’up-
side potential – non richiedeva che fosse nota la futura direzione del sotto-
stante. Come nel caso di molti “miracoli”, una piccola dose di scienza rive-
la che, dietro la tela, si cela un uomo qualunque, non un mago.
Naturalmente, questa strategia non cattura l’intero upside potential. Il
sottostante aumenta ma, anche se compriamo, non saremo mai pienamente
investiti. Analogamente, in caso di ribasso, non riusciamo ad evitare le
perdite. Anche se vendiamo, non saremo mai pienamente disinvestiti.
Comunque, se seguiamo correttamente la strategia di replica, sarà que-
sto il risultato. In caso di ribasso, è vero, perderemo soldi sul nostro inve-
stimento nel sottostante – ma guadagneremo interessi sulla quota crescente
di moneta. Se le dosi sono esatte, troveremo alla fine che gli interessi e i
payouts ricevuti compensano esattamente le perdite sull’investimento, per
cui le perdite nette saranno pari a zero. In caso di rialzo, il denaro che per-
deremo rispetto ad un investimento del 100% nel sottostante sarà stato pie-
namente anticipato – essendo misurato dal complemento ad uno del cap-
ture ratio.
La strategia deve assicurare il floor in caso di ribasso e il capture ratio
in caso di rialzo. Se va tutto bene, sarà questo il risultato.
Anche se non dimostrano che la strategia di replica dinamica deve fun-
zionare perfettamente, le nostre argomentazioni almeno indicano come do-
vrebbe funzionare. La questione non è se la strategia funzionerà perfetta-
mente, perché ciò non accadrà mai. La questione è: quanto ci arriviamo
vicini?

Strategia di replica secondo Black-Scholes


Il portafoglio equivalente per la portfolio insurance vuole che si dia in pre-
stito il valore corrente del floor, Kr–t, e che si compri (o si replichi con sot-
tostante e moneta) una call europea payout-protected, con strike K/α e sca-
denza t, scritta sul sottostante. La protezione del payout è facile da realiz-

332
STRATEGIE DINAMICHE

zare: basta interpretare il sottostante come se già includesse i payouts rein-


vestiti e porre il payout return, d, uguale a 1.
Per una precisa applicazione della portfolio insurance dovremo utiliz-
zare una formula esatta di valutazione delle opzioni. Naturalmente, sceglie-
remo la formula Black-Scholes sviluppata nel Capitolo 5.
Ricordiamoci che, se vale il modello Black-Scholes, la strategia di re-
plica della call può essere letta direttamente dalla formula:

C = Sd −t N ( x ) − Kr −t N ( x − σ t )
x ≡ [log( S d −t / K r −t ) /(σ t )] + σ t
1
dove
2

Il primo termine è l’importo in dollari investito nel sottostante, per cui il


delta è pari a d–tN(x). Il secondo termine è l’importo preso a prestito. Nel
caso della portfolio insurance, il valore corrente è:

V = Kr −t + α [ S d −t N ( x ) − ( K / α ) r −t N ( x − σ t )]
dove x ≡ {log[ S d −t /( K / α) r −t ] /(σ t )} + σ t
1
2

Pertanto, la replica dinamica della portfolio insurance richiede che vengano


replicate α calls con strike K/α. Per replicare queste calls dobbiamo investire
αSd–tN(x) dollari nel sottostante, dove x è uguale a quello della formula
Black-Scholes fatta eccezione per il fatto che abbiamo sostituito K con K/α.
Dobbiamo ora dare in prestito Kr–t dollari al netto del finanziamento ri-
chiesto per replicare α calls. Dobbiamo quindi dare in prestito:
Kr −t + α [ −( K / α ) r −t N ( x − σ t )] = Kr −t [1 − N ( x − σ t )]

dove x è lo stesso di Black-Scholes con K/α al posto di K.


Non siamo liberi di fissare il capture ratio, α, come ci pare. In realtà,
una volta che l’investitore ha fissato il floor e la scadenza, il capture ratio
è determinato dall’altro vincolo secondo cui il costo corrente del portafo-
glio equivalente, V, deve essere uguale al costo corrente del portafoglio
sottostante, S.
Nella strategia di replica secondo Black-Scholes, il vincolo è dato da:

S = Kr −t + α [ S d −t N ( x ) − ( K / α) r −t N ( x − σ t )]

dove x è lo stesso di Black-Scholes con K/α al posto di K. Dobbiamo risol-


vere questa equazione rispetto all’incognita α. La soluzione sarà coerente
con il floor, K, pre-specificato per la data di scadenza, t. Ci troviamo di nuo-
vo in una situazione in cui l’incognita (α) non può essere esplicitata. For-
tunatamente, l’equazione può essere risolta rispetto ad α utilizzando
l’algoritmo di Newton-Raphson descritto nel Capitolo 6.
In pratica, la scelta della combinazione ottimale floor - scadenza - cap-
ture ratio richiede varie iterazioni. Se il tradeoff non corrisponde alle proprie
preferenze, è possibile fissare un nuovo floor o una nuova scadenza e verifi-

333
DERIVATI

care se la nuova combinazione floor - scadenza - capture ratio è migliore.


Ovviamente, a floors più bassi corrispondono capture ratios più elevati.
Nel nostro precedente esempio, in cui S = K = 100, t = 1, r = 1,10, d =
1,00 e σ = 0,16, il capture ratio che risolve implicitamente l’equazione è α
= 0,963.
Nei giorni successivi all’impostazione iniziale, se il modello Black-
Scholes resta valido, possiamo continuare ad utilizzare lo stesso capture
ratio ricavato inizialmente. Naturalmente, la composizione del nostro por-
tafoglio equivalente cambia, dato che cambiano sia S (il prezzo del sotto-
stante) sia t (il tempo che manca alla data di scadenza). Dobbiamo conti-
nuare ad investire αSd – t N(x) dollari nel sottostante e Kr–t [1 – N(x –
σ√t)] in moneta, basandoci sui nuovi valori di S e t.
Dato che, in pratica, non si osservano mai le esatte condizioni affinché la
formula Black-Scholes sia perfettamente valida, è bene ricalcolare il capture
ratio, α, ogni volta che decidiamo di rivedere la composizione del portafo-
glio equivalente.
In particolare, contrariamente alle assunzioni di Black e Scholes, sia la
volatilità, σ, sia il riskless return, r, cambiano nel tempo in modo impreve-
dibile. Inoltre, non è solo poco pratico ma è del tutto sconsigliabile (dati i
costi di transazione) modificare i pesi del portafoglio continuamente o an-
che molto frequentemente. Anche le possibili discontinuità dei prezzi del
sottostante rappresentano un problema. Di conseguenza, il portafoglio e-
quivalente non riuscirà a replicare esattamente il valore della posizione sta-
tica sulle α calls con strike K/α. A volte avrà più valore (“it will be ahead”)
mentre altre volte avrà meno valore (“it will fall behind”).
Per evitare che queste considerazioni pratiche mettano a rischio il floor,
prima di rivedere la composizione del portafoglio assicurato in base al suo
nuovo valore, V, al minor tempo mancante alla scadenza, t, e alle nuove
stime di σ, d e r, è bene rivedere il livello del capture ratio, α. Utilizziamo
di nuovo la stessa equazione:

V = Kr −t + α [Vd −t N ( x ) − ( K / α) r −t N ( x − σ t )
dove x ≡ {log[V d −t /( K / α) r −t ] /(σ t )] + σ t
1
2

Questa volta la relazione tra V e K non sarà, in genere, la stessa di prima.


Nel nostro esempio, avevamo iniziato con V = S = K (il floor era stato scel-
to in modo da annullare le perdite). Se il valore del sottostante aumenta,
allora, dato che il portafoglio assicurato è in parte investito nel sottostante,
avremo V > K. Risolviamo l’equazione rispetto a α ed utilizziamo il nuovo
α per calcolare il nuovo delta, αd–tN(x). Questo ci garantirà che, alla sca-
denza, risulti V > K, a meno di forti discontinuità che spingano il valore del
portafoglio assicurato al di sotto del floor.
In caso di rialzo, il capture ratio che verrà effettivamente realizzato
non sarà in genere uguale a quello inizialmente previsto. Sarà a volte peg-

334
STRATEGIE DINAMICHE

giore e a volte migliore. Lo scarto di performance dipenderà soprattutto dal


fatto che la volatilità osservata sia maggiore o minore di quella inizialmen-
te prevista. Se è maggiore (minore), il capture ratio tenderà ad essere mi-
nore (maggiore) di quello previsto. Intuitivamente, la cosa è ragionevole.
L’assicurazione dovrebbe essere più cara se la volatilità è alta; pertanto, la
replica sarà più cara. In tal caso, ci saranno probabilmente più «rimbalzi»
(price reversals) di quelli previsti. La strategia di replica della portfolio
insurance richiede che venga effettuato un acquisto dopo ogni rialzo e una
vendita dopo ogni ribasso. Ogni volta che c’è un price reversal (piuttosto
che un trend), la strategia fa perdere soldi – ed è questo il motivo della sot-
to-performance del portafoglio assicurato rispetto al sottostante. Più sono i
rimbalzi, maggiore è la sotto-performance.

Replica mediante futures


La portfolio insurance può essere attuata utilizzando i futures. Ci sono
buoni motivi per farlo. I futures offrono la stessa esposizione del sottostan-
te ma spesso a costi di transazione molto più bassi. In genere, non è il caso
di disturbare il portafoglio sottostante. Ai gestori non piace sentirsi dire a
distanza di pochi giorni cosa comprare o cosa vendere. Dato che i futures
richiedono poco capitale, possono essere convenientemente utilizzati come
utile alternativa agli investimenti nel sottostante.
Per un investitore che è pienamente investito in un fondo indice legato
allo S&P500, ecco come bisogna procedere. Invece di vendere parte del
portafoglio, bisogna vendere un futures sullo S&P500. Dato che la vendita
del futures equivale a vendere il sottostante e a dare in prestito il ricavato,
la vendita del futures scritto sul portafoglio sottostante consente di realiz-
zare in un’unica transazione la vendita di parte del sottostante e il conte-
stuale investimento del ricavato in moneta.
Se lo S&P500 scende, bisogna vendere altri futures; se invece lo
S&P500 sale, alcuni dei futures vanno riacquistati – chiudendo quindi par-
te della posizione. In questo modo si replica la strategia che era stata attua-
ta negoziando direttamente il portafoglio sottostante e la moneta.
Se scadono prima del tempo t, i futures devono essere rimpiazzati da con-
tratti con scadenze più lontane. Rinnovando i futures a breve termine, così
come si è visto nel Capitolo 2, possiamo approssimare i risultati realizzabili
con i futures a più lungo termine, ammesso che i riskless returns non cambi-
no in modo troppo imprevedibile e i futures quotino al fair value.
La replica mediante futures funziona bene quando il portafoglio da as-
sicurare coincide con il portafoglio su cui è scritto il futures. Altrimenti, il
«rischio incrociato» (cross-hedge risk) tra il futures ed il sottostante ag-
giunge ulteriore incertezza al risultato finale. Comunque, anche se non è
disponibile il contratto futures ideale, possiamo però cercare di formare un
portafoglio di futures – differenti tra loro – che risulti fortemente correlato
con il portafoglio di riferimento.

335
DERIVATI

Un abile sostenitore della portfolio insurance potrebbe trasformare gli


aspetti sfavorevoli del cross-hedge risk in elementi positivi. Spesso, il mo-
tivo per cui il portafoglio sottostante non è rappresentato da un index fund
è che viene gestito attivamente nel tentativo di “battere il mercato”. L’in-
vestitore potrebbe aver pagato un gestore proprio per questo fine. In tal ca-
so, perché l’investitore dovrebbe assicurarsi contro un rischio che sembra
accettare volentieri? Probabilmente non è questo il suo scopo, dato che
cerca ritorni attesi più elevati scostandosi dalla relativa certezza degli index
funds. Tuttavia, è possibile che voglia comunque assicurarsi contro il ri-
schio di ampi movimenti di mercato, lasciando attive le scommesse effet-
tuate dal suo gestore. Questo è esattamente quello che la portfolio insur-
ance mediante index futures gli consente di ottenere.

Problemi pratici: incertezza del riskless return e volatilità


L’attuazione della portfolio insurance può incontrare diversi problemi pra-
tici che la formula Black-Scholes non aiuta a risolvere.
Se la moneta viene approssimata dai Treasury bills, il tasso d’interesse
a scadenza è noto. Tuttavia, il tasso di variazione giornaliero del prezzo dei
T-bills è incerto. Per far fronte a questa incertezza, possiamo approssimare
la moneta con uno zero-coupon bond che scade in prossimità di t. Inoltre, il
capture ratio (e il delta) possono essere ricalcolati giornalmente in base al
riskless return corrispondente alla vita residua della strategia. Così facen-
do, riusciamo a garantirci il floor anche in presenza di incertezza sui futuri
spot returns.
Dato che questo genere d’incertezza è spesso trascurabile, gli effetti sui
risultati della strategia di replica possono essere ignorati. Tuttavia, nelle
applicazioni più raffinate, nelle quali è richiesta una grande accuratezza,
possiamo utilizzare una generalizzazione della formula Black-Scholes che
tiene conto dell’incertezza circa i futuri spot returns. Questo ci porterebbe
però oltre gli scopi del libro.
Un problema più difficile da risolvere è rappresentato dall’incertezza
circa la futura volatilità del sottostante. Per ridurne l’importanza possiamo
utilizzare i seguenti accorgimenti:
(1) calcolare il capture ratio in base alla volatilità osservata. L’investitore
sa che dovrà aspettarsi un capture ratio minore (maggiore) se la volati-
lità è più alta (più bassa);
(2) ricalcolare ogni giorno il capture ratio (e il delta) in base al valore cor-
rente del portafoglio assicurato (viene così garantito il floor anche in
presenza di volatilità incerta);
(3) basare i nuovi calcoli su una stima aggiornata della volatilità, ottenuta
come media della volatilità osservata e di quella attesa;
(4) utilizzare un modello a volatilità stocastica, invece del modello Black-
Scholes, se si ha una qualche idea di come la volatilità possa evolversi
nel tempo. Anche questo ci porterebbe però oltre gli scopi del libro.

336
STRATEGIE DINAMICHE

Figura 7.3 Effetti della volatilità

S = 100 Payoff (V *)
σ = 0,08
120
K = 100 capture ratio = 0,995
t =1 σ = 0,16
capture ratio = 0,963
r = 1,10
d = 1,00
110 σ = 0,24
capture ratio = 0,917

80 90 110 120

Futuro valore del sottostante (S *)

90

80

I problemi posti dall’incertezza circa i riskless returns e la volatilità posso-


no essere ridotti se la strategia di replica dinamica viene combinata con
posizioni statiche sulle opzioni. In effetti, se si potesse attuare una strategia
di replica interamente statica, l’incertezza dei riskless returns e della vola-
tilità non comporterebbe alcun problema. Anche le discontinuità dei prezzi
del portafoglio sottostante non comporterebbero problemi. Nel caso di re-
plica statica, verrebbe rimossa qualsiasi dipendenza dei risultati dalle parti-
colari assunzioni del modello Black-Scholes.
Il payoff diagram della Figura 7.3 mostra il modo in cui il capture ratio
della portfolio insurance dipende dalla volatilità del portafoglio sottostan-
te. La pendenza del payoff passa da 0 a α quando S* = K/α.
Al crescere della volatilità il capture ratio si riduce. Tuttavia, se –
prima di rivedere la composizione del portafoglio assicurato – si ricalcola
il capture ratio sulla base del valore corrente del portafoglio (e delle nuove
stime del riskless return e della volatilità) e si utilizza il nuovo valore del
capture ratio per calcolare il delta, il floor diventa insensibile alla volatili-
tà, com’è indicato nel payoff diagram.
Se si segue questa procedura, è come se la strategia di assicurazione del
portafoglio venisse riavviata, prima di ogni revisione, utilizzando il valore
corrente del portafoglio assicurato al posto del valore corrente del portafo-
glio sottostante, quale che sia il tempo mancante alla scadenza.
Solo discontinuità (inattese) nel valore del portafoglio sottostante, in
momenti “poco opportuni” (quando il gamma è elevato), possono portare la
strategia di replica sotto il floor. Se si usa la procedura che abbiamo descrit-
to, l’incertezza della volatilità non riesce da sola a forzare il floor.

337
DERIVATI

Figura 7.4 Stop-Out Point

S = 100 Payoff (V *)
K = 100 120
t =1
r = 1,10
d = 1,00 110
σ = 0,16

floor
0,25 0,50 0,75 1,00
Tempo (anni)

90 Stop-out point
Valore
Valoreminimo
minimo
del
delportafoglio
portafoglioassicurato
assicurato
che
che garantisceililfloor
garantisce floor
80

Problemi pratici: lo stop-out point


Un modo per impedire al portafoglio assicurato di scendere sotto il floor è
quello di rispondere ogni giorno alla seguente domanda: se il valore cor-
rente del portafoglio assicurato venisse interamente investito in moneta al
riskless return prevalente, riusciremmo a superare il floor prima della sca-
denza? Se la risposta è sì, continuiamo a seguire la strategia dinamica con
un capture ratio positivo. Se la risposta fosse invece negativa, allora non è
più possibile perseguire un capture ratio positivo (e nello stesso tempo ga-
rantire il floor), per cui occorre investire immediatamente tutto in moneta e
lasciare le cose come stanno fino alla scadenza. Questo è l’unico modo per
essere certi di raggiungere il floor o comunque di arrivarci vicino. In so-
stanza, i ponti alle nostre spalle sono stati bruciati e non possiamo assu-
merci altri rischi senza mettere il floor a repentaglio.
Il punto in cui occorre investire tutto in moneta è detto stop-out point
(Figura 7.4). Le due linee irregolari della figura rappresentano altrettanti sen-
tieri percorsi dal valore del portafoglio assicurato mentre la linea obliqua
rappresenta il minimo valore che il portafoglio assicurato può toccare prima
che tutto venga investito in moneta (questa linea parte da un valore basso
perché, quando manca molto tempo alla scadenza, gli interessi che si posso-
no utilizzare per coprire le perdite sono elevati). Il grafico mostra che una
delle linee irregolari tocca la linea del valore minimo. In quel punto, per ga-
rantire il floor, occorre investire tutto in moneta. Da allora in poi il portafo-
glio frutterà solo interessi e, alla scadenza, il suo valore risulterà pari al floor.
Si spera che quel punto non verrà mai raggiunto. Tutto andrà per il me-
glio se aggiusteremo abbastanza spesso i delta, se la volatilità e i riskless re-

338
STRATEGIE DINAMICHE

turns risulteranno pari a quelli previsti e se non si verificheranno forti di-


scontinuità nei prezzi del sottostante. Tuttavia, non tutto va sempre per il
meglio; in quei casi il portafoglio dovrà essere completamente investito in
moneta. Quando ciò accade, si potrebbe pensare che in qualche modo la stra-
tegia non abbia funzionato, non tanto se il valore del sottostante termina al di
sotto del livello iniziale quanto se vi termina al di sopra. Nel primo caso, la
protezione ha funzionato e non ci sono rimpianti, ma nel secondo il portafo-
glio assicurato, che è stato ad un certo punto investito completamente in mo-
neta, potrebbe avere una performance molto inferiore a quella di un portafo-
glio che fosse rimasto investito sul sottostante.

Problemi pratici: i costi di transazione


Quando si replica un portafoglio assicurato occorre tener conto dei costi di
transazione, che possono essere così elevati da comportare elevate perdite
nette. Spesso la principale differenza tra i diversi modi in cui attuare la
portfolio insurance sta proprio nel trattamento dei costi di transazione. Sia
il floor sia il capture ratio dovrebbero essere stimati al netto dei costi di
transazione.
Per incorporare i costi di transazione nella portfolio insurance si può uti-
lizzare un accorgimento che deriva dalla seguente osservazione: costi più
elevati equivalgono a maggiore volatilità. L’idea è questa. Quando si mette
in atto la strategia di replica dinamica, gli acquisti vengono effettuati subito
dopo i rialzi del prezzo del sottostante e le vendite dopo i ribassi. In caso di
rialzo, più la volatilità è elevata, più elevati sono i prezzi previsti. Analoga-
mente, più alti sono i costi di transazione, più elevati sono i prezzi di acqui-
sto. In caso di ribasso, più la volatilità è elevata, più bassi sono i prezzi pre-
visti. Analogamente, più alti sono i costi di transazione, più bassi sono i
prezzi di vendita. Volatilità e costi di transazione producono quindi gli stessi
effetti. Per dati livelli dei costi di transazione unitari e della frequenza di re-
visione del portafoglio, è possibile calcolare il più elevato livello di volatilità
da utilizzare nei casi in cui l’analisi non tiene conto dei costi di transazione.

L’aggiustamento, che verrà qui riportato senza la dimostrazione, consiste nel


sostituire, nella formula Black-Scholes, il quadrato della volatilità, σ2, con
——
σ2 + σk√2/πh
dove h è l’ampiezza (fissa) dell’intervallo tra successive revisioni e k è il costo
di transazione unitario [ad es., se k = 0,0025 e il valore della transazione è di
$100, il costo complessivo della transazione è pari a ¢25 (= $100 × 0,0025)].
Per riportarne il livello a quello che avrebbe in assenza di costi di transazione,
il delta del portafoglio equivalente viene calcolato in base al nuovo (più eleva-
to) parametro di volatilità. Per un’analisi più completa, si veda H. E. Leland,
“Option Pricing and Replication with Transaction Costs”, Journal of Finance
40 (5), 1985, pp. 1283-301.

339
DERIVATI

Tavola 7.1 Frequenza delle revisioni e discontinuità

‰ Tradeoff tra accuratezza e frequenza / ampiezza


delle revisioni
„ frequenza delle revisioni: si devono tener presenti la distanza
dagli obiettivi, il delta, il gamma e i costi di transazione
„ ampiezza delle revisioni: si deve tener presente la relazione
tra costi di transazione fissi e variabili
‰ Discontinuità occasionali nel valore del portafoglio
sottostante
„ eliminare le regioni ad alto gamma della payoff function
„ utilizzare la replica statica oltre a quella dinamica
„ proteggersi dalle discontinuità

Se la strategia base di portfolio insurance viene seguita scrupolosamente e


se, in prossimità della scadenza, il valore del sottostante è vicino al floor, i
costi di transazione possono essere molto alti (a causa del gamma elevato).
Una possibilità è quella di smussare la payoff function rimuovendone la bru-
sca variazione di pendenza in corrispondenza del floor. Si evita così che la
pendenza (il delta) cambi bruscamente, senza però modificare troppo la pay-
off function (un ottimo tradeoff!). Per smussare la payoff function, si può ipo-
tizzare che la scadenza sia un po’ più lontana di quella che effettivamente è.

Problemi pratici: frequenza delle negoziazioni e discontinuità dei prezzi


Le «regole operative» (trading rules) per determinare la frequenza e l’am-
piezza delle revisioni possono essere molto complesse (Tavola 7.1). Più sono
le revisioni, più accurata è la replica, prima di tener conto dei costi di transa-
zione, ma più elevati sono i costi di transazione. Dobbiamo quindi cercare di
bilanciare due obiettivi: elevata accuratezza e bassi costi di transazione. Una
regola semplice è quella di rivedere la composizione del portafoglio assicura-
to ogni volta che il sottostante cambia in misura superiore all’x% rispetto
all’ultima revisione. Probabilmente, una regola migliore è quella di rivedere
la composizione del portafoglio assicurato ogni volta che il delta differisce
per più di x (in valore assoluto) dal delta obiettivo (il delta che sceglieremmo
in assenza di costi di transazione). Una regola ancora migliore è quella di
modificare x in modo che sia più basso nelle regioni ad alto gamma.
La seconda questione riguarda l’ampiezza della revisione. Se i costi di
transazione fossero fissi (e non variabili in funzione degli importi negozia-
ti), è chiaro che compreremmo o venderemmo quanto ci viene suggerito

340
STRATEGIE DINAMICHE

dal delta obiettivo. Se invece i costi di transazione sono proporzionali agli


importi trattati, cercheremo solo di avvicinarci al delta obiettivo.
Il tallone di Achille della moderna teoria di valutazione delle opzioni è
rappresentato dalle «discontinuità» (jumps) dei prezzi del sottostante. La
significatività dei jumps dipende moltissimo da quando si verificano. Se il
salto di prezzo avviene in un periodo di basso gamma, non ci sono proble-
mi, perché il livello del prezzo prima e dopo il salto ha poca rilevanza per
il delta obiettivo. Se, invece, il salto di prezzo avviene in un periodo di alto
gamma, gli errori di replica saranno rilevanti.
Se la payoff function fosse concava (vogliamo comprare dopo un ribas-
so e vendere dopo un rialzo), i jumps farebbero aumentare i nostri profitti.
Saremmo più lunghi del dovuto (ai fini della replica) quando il prezzo sale
e meno lunghi quando scende. Invece, se la payoff function è convessa, ed
è questo il caso della portfolio insurance, è vero il contrario. I jumps fanno
sì che la replica sia in sfavorevole ritardo. Quando i prezzi scendono (sal-
gono), la discontinuità ci impedisce di vendere (comprare) in tempo.
Per tener conto delle possibili discontinuità, dobbiamo:
(1) modificare la payoff function in modo da ridurre i gamma più elevati.
Nel caso della portfolio insurance, è bene smussare la payoff function,
ipotizzando che la scadenza sia un po’ più lontana di quella effettiva;
(2) integrare la replica dinamica con la replica statica (la replica statica non
risente dei jumps, ammesso che il meccanismo di mercato funzioni);
(3) aggiungere la «protezione dai salti di prezzo» (jump protection), per
garantire il floor anche dopo jumps in zona ad alto gamma. Questo ac-
corgimento consiste nel disattivare la normale strategia di replica ed
investire il 100% in moneta non appena si realizza che un jump di de-
terminate dimensioni potrebbe portare il valore del portafoglio assicu-
rato al di sotto del floor.

Sommario: assicurazione di portafoglio


In questo paragrafo abbiamo esaminato la portfolio insurance nel più vasto
contesto dell’asset allocation dinamica. La portfolio insurance garantisce
un payoff minimo (floor) in caso di ribasso e paga una certa quota del valo-
re del portafoglio sottostante (capture ratio) alla scadenza. Da un punto di
vista statico, il payoff può essere replicato investendo in una fiduciary call
(moneta più call europea) o, in alternativa, investendo in una protective put
(sottostante più put europea). Da un punto di vista dinamico, il payoff può
essere replicato ripartendo l’investimento iniziale tra il sottostante e la mo-
neta. Se il valore del portafoglio sottostante sale, l’investimento in moneta
va ridotto e quello nel sottostante va aumentato; se, invece, il valore del
portafoglio sottostante diminuisce, l’investimento nel sottostante va ridot-
to e quello in moneta va aumentato.
Utilizzando la formula Black-Scholes per la call, abbiamo uguagliato il
valore attuale del sottostante al valore attuale del payoff. L’equazione può

341
DERIVATI

essere risolta rispetto al capture ratio per ottenerne il livello coerente con il
floor, la data di scadenza e l’investimento iniziale.
Se le assunzioni di Black e Scholes fossero valide, potremmo lasciare
invariato il capture ratio e non dovremmo effettuare alcun aggiustamento
prima della scadenza. Sfortunatamente, molte assunzioni non sono perfet-
tamente valide: la volatilità e il riskless return possono cambiare, il porta-
foglio equivalente non può essere aggiustato continuamente e si possono
verificare discontinuità nei prezzi del sottostante. Per mantenere lo stesso
floor, occorre ricalcolare il capture ratio immediatamente prima di aggiu-
stare il delta del portafoglio equivalente. Purtroppo, così facendo, il cap-
ture ratio finale sarà in genere diverso da quello atteso all’inizio.
In pratica, a causa dei costi di transazione e di altre considerazioni,
spesso la portfolio insurance viene attuata utilizzando i mercati futures in-
vece dei mercati spot.
Tuttavia, anche se si utilizzano i mercati futures, continuano ad esistere
problemi pratici legati ai costi di transazione, alle variazioni del riskless
return, alle variazioni di volatilità e ai jumps nei prezzi del sottostante. La
strategia può essere modificata per tener conto di tutti questi fattori. Ma
anche se si effettuano i necessari aggiustamenti, è possibile che venga rag-
giunto lo stop-out point dove, per garantire il floor, sarà necessario concen-
trare sulla moneta il 100% del valore del portafoglio assicurato e mantene-
re inalterato l’investimento fino alla data di scadenza.

7.3 SIMULAZIONE
1985
Esaminiamo ora la strategia dinamica di replica della portfolio insurance
attraverso un esempio concreto che fa uso dei ritorni giornalieri dello
S&P500, calcolati in base alle quotazioni di chiusura rilevate nel 1985
(Tavola 7.2). Supponiamo di essere al 31 dicembre 1984, per cui il tempo
mancante alla scadenza della portfolio insurance è di 1 anno. Il portafoglio
sottostante è quello dello S&P500 e la moneta è rappresentata dal Treasury
bill che scade il 31 dicembre 1985. Il floor viene fissato in modo che le
perdite siano nulle (zero-percent floor). La trading rule è particolarmente
semplice: il portafoglio assicurato viene revisionato ogni volta che il rap-
porto tra il ritorno del sottostante e il ritorno del T-bill è prossimo a 1,04 o
0,96 rispetto alla data dell’ultima revisione. Quando il rapporto è vicino a
1,04 o 0,96, diremo che si è verificata una «mossa» (move) e aggiusteremo
i pesi del portafoglio. Se invece sono trascorsi 32 giorni lavorativi senza
aver fatto aggiustamenti, rivedremo i pesi del portafoglio e diremo che si è
verificata una «mossa parziale» (partial move). Anche se il sottostante è
cambiato di poco, il passaggio del tempo fa sì che il delta corrente sia di-
verso dal delta obiettivo e ciò rende necessaria una nuova revisione.
Per mettere in atto la strategia, dobbiamo conoscere il tasso d’interesse
ad 1 anno. Alla data del 31 dicembre 1984, il tasso di rendimento a scaden-

342
STRATEGIE DINAMICHE

Tavola 7.2 Ipotesi: 1985

S&P 500 ⇔ T-Bills ad 1 anno


Dal 31 dicembre 1984 al 31 dicembre 1985 (floor pari al 100%)
Trading rule: relative move pari al 4%
(non più di 32 giorni tra successive revisioni)
Portafoglio
S&P 500 T-Bill assicurato
Tasso di rendimento atteso 12,8% 9,4% 12,0%
Volatilità 11,5% 2,0%

Coefficiente di correlazione: 0,20


Volatilità relativa: 11,3%
Capture ratio: 0,983

za del T-bill ad 1 anno era pari al 9,4%. In base ai dati relativi agli ultimi
due anni, le nostre stime per il 1985 erano dell’11,5% per la volatilità (σ1)
del sottostante, del 2% per la volatilità (σ2) della moneta e di 0,20 per la cor-
relazione (ρ) tra i ritorni del sottostante e della moneta. Pertanto, la «volati-
lità relativa» (relative volatility) era pari a:

σ = σ12 + σ 22 − 2ρρ 1σ 2 = 0,115 2 + 0,02 2 − 2 × 0,2 × 0,115 × 0,02 = 0,113

La volatilità relativa è la deviazione standard del logaritmo naturale del


rapporto tra i ritorni del sottostante e della moneta. È questa la volatilità, σ,
che inseriamo nella formula Black-Scholes per calcolare il capture ratio e
il delta. Date queste informazioni, siamo ora pronti per la stima del capture
ratio, α, che risulta pari a 0,983.
Anche se non è necessario ai fini della strategia di replica, possiamo
comunque essere interessati al tasso di rendimento atteso della portfolio
insurance. Per calcolarlo dobbiamo conoscere il tasso di rendimento atteso
del sottostante, che stimiamo sia pari al 12,8%. Se combiniamo questa sti-
ma con il tasso di rendimento della moneta (9,4%) e consideriamo tutti i
possibili risultati della strategia con perdite nulle, il tasso di rendimento
atteso del portafoglio assicurato risulta pari al 12,0%. Questa stima si basa
sulla formula sviluppata nel Capitolo 5 per misurare i ritorni attesi delle
opzioni. Come dovevamo aspettarci, la stima è compresa tra il 12,8% di
tasso atteso per il sottostante e il 9,4% della moneta. Si tratta di una stima
ragionevole perché ci saranno occasioni, durante il periodo di vita della
strategia, in cui saremo parzialmente investiti nel sottostante e parzialmen-

343
DERIVATI

Tavola 7.3 Tavola dei Payoffs: 1985

S&P 500 Moves (per anno) Probabilità


(RoR %) 2 4 6 8 10 12 14 cumulata *
–20 0,0 0,0 0,0 0,0 0,2
–16 0,0 0,0 0,0 0,0 0,6
–12 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 1,8
–8 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 4,3
–4 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 9,0
0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 16,1
4 3,9 3,4 2,9 2,3 1,8 1,2 0,7 25,9
8 7,9 7,4 6,9 6,3 5,7 5,1 4,5 37,5
12 11,9 11,4 10,8 10,2 9,6 9,0 8,4 49,9
16 15,9 15,4 14,8 14,1 13,5 12,9 12,2 61,9
20 19,4 18,7 18,1 17,4 16,8 16,1 72,5
24 23,3 22,7 22,0 21,3 20,7 20,0 81,2
28 26,6 25,9 25,3 24,6 23,9 87,7
32 30,6 29,9 29,2 28,4 27,7 92,3
36 34,6 33,8 33,1 32,3 31,6 95,4
40 37,8 37,0 36,2 35,5 97,4
* Calcolata sotto l'ipotesi che il numero atteso di moves (8,3) si realizzi

te investiti in moneta. In realtà, possiamo determinare il tasso di rendimen-


to atteso della nostra strategia risolvendo la seguente equazione:
Mix × 0,128 + (1 – Mix) × 0,094 = 0,120 ⇒ Mix = 0,76
Date le informazioni riportate nella Tavola 7.2, possiamo calcolare la payoff
table (Tavola 7.3). La tavola può essere vista come la descrizione del con-
tratto tra l’investitore e il gestore che mette in atto la portfolio insurance.
All’investitore viene detto in anticipo qual è il tasso di rendimento del por-
tafoglio assicurato, in funzione di due variabili chiave: i valori osservati
del tasso di rendimento del sottostante e della volatilità relativa, qui misu-
rata in termini delle moves (al livello del 4%) che si verificano durante
l’anno.
Ad esempio, se il sottostante (lo S&P500) aumenta del 20% nel corso
dell’anno ed il numero delle moves (al livello del 4%) è pari a 8, il tasso di
rendimento atteso del portafoglio assicurato dovrebbe essere pari al 18,1%.
Il numero delle moves che è coerente con una volatilità relativa pari
all’11,3% è di 8,3. Dato che il tasso di rendimento atteso del sottostante è
pari al 12,8%, il tasso di rendimento atteso del portafoglio assicurato, otte-
nuto per interpolazione, è pari all’11,1%.
La payoff table presenta alcune particolarità che vanno notate:
(1) quando il tasso di rendimento del sottostante è negativo, il tasso di ren-
dimento del portafoglio assicurato è sempre nullo, grazie alla revisione
del capture ratio effettuata dal gestore in base al delta;
(2) quando il tasso di rendimento del sottostante è positivo, il tasso di ren-
dimento del portafoglio assicurato diminuisce gradualmente via via che

344
STRATEGIE DINAMICHE

Tavola 7.4 Un anno di Trading: 1985

Treasury Portafoglio
Moves Data S&P 500 bills Mix Moltiplicatore Scarto assicurato

0,0 31 dicembre 1984 1.000 1.000 0,746 1,00 0,00 1.000


1,0 21 gennaio 1985 1.049 1.008 0,835 1,06 -0,04 1.039
1,9 7 febbraio 1985 1.091 1.010 0,896 1,11 0,00 1.074
2,1 27 marzo 1985 1.085 1.020 0,912 1,02 -0,08 1.069
2,2 14 maggio 1985 1.117 1.040 0,968 0,89 -0,48 1.100
3,0 1 luglio 1985 1.176 1.055 0,996 0,86 -0,66 1.157
3,9 16 agosto 1985 1.143 1.064 0,992 0,87 -0,58 1.125
4,0 3 ottobre 1985 1.139 1.075 0,998 0,81 -0,83 1.120
5,0 3 novembre 1985 1.191 1.082 1,000 0,85 -0,68 1.172
6,4 21 novembre 1985 1.252 1.085 1,000 0,94 -0,28 1.232
7,5 13 dicembre 1985 1.308 1.090 1,000 0,98 -0,08 1.287
7,5 31 dicembre 1985 1.318 1.094 1,000 0,95 -0,22 1.296

ci si sposta sulla destra in qualsiasi riga, a causa dei costi connessi con
la maggiore volatilità;
(3) l’ultima colonna riporta la probabilità che il tasso di rendimento del
sottostante sia minore o uguale al valore indicato nella prima colonna.
Le probabilità sono state calcolate sotto l’ipotesi che il ritorno del sot-
tostante sia distribuito in modo log-normale con media (aritmetica) pari
a 1,128 e volatilità (logaritmica) pari a 0,115. Ad esempio, la probabili-
tà che il tasso di rendimento del sottostante sia maggiore del 40% è pari
al 2,6% (= 100% – 97,4%).
Di solito, l’investitore decide, sulla base della payoff table, se ritiene ap-
propriata la specifica strategia di portfolio insurance. Spesso una tavola
non basta. L’investitore vorrà valutare gli effetti che le diverse alternative
– in termini di floor e di scadenza – hanno sui risultati previsti. Ma una vo-
lta che l’investitore accetta la tavola, è compito del gestore rispettare gli
impegni.
La Tavola 7.4 mostra cos’è successo nel 1985. La strategia di replica
della portfolio insurance ad 1 anno, con zero-percent floor, viene iniziata il
31 dicembre 1984. Il livello iniziale degli indici relativi al portafoglio sot-
tostante (lo S&P500), alla moneta (il T-bill ad 1 anno) e al portafoglio as-
sicurato viene posto uguale a 1.000. Il mix iniziale (che è originariamente
pari al delta) era di 0,746. Pertanto, per ogni $1.000 di portafoglio assicu-
rato, si inizia investendo $746 nello S&P500 e i restanti $254 nel T-bill.
Dopo 3 settimane, il 21 gennaio 1985, si osserva la prima relative move
(al livello del 4%). Infatti, lo S&P500, rettificato per tener conto dei divi-
dendi distribuiti, registra un aumento del 4,9% ed il T-bill (cui mancano

345
DERIVATI

ora solo 49 settimane alla scadenza) registra un aumento dello 0,8%. Per-
tanto la relative move è di 1,04 (= 1.049 / 1.008). Il valore corrente del por-
tafoglio assicurato è ora di $1.039 [= ($746 × 1,049) + ($254 × 1,008)]. Per
semplicità, trascuriamo i costi di transazione.
In base al nuovo valore del portafoglio assicurato ($1.039), calcoliamo
i nuovi valori del capture ratio, del riskless rate su base annua [0,091 =
(1,094 / l,008) × 52 ⁄ 49 – 1] e della volatilità relativa [0,120 = 0,113 ×
1,06, dove 1,06 è il moltiplicatore indicato nella Tavola 7.4]. La nuova
stima della volatilità per l’intero anno riflette il fatto che la volatilità osser-
vata nella prima parte dell’anno è maggiore di quella attesa (ossia, c’è vo-
luto meno tempo del previsto per osservare la prima relative move). La sti-
ma iniziale del capture ratio (0,983) viene lievemente modificata. Sulla
base delle nuove stime, il mix risulta ora pari a 0,835. Se non rivedessimo
la composizione del portafoglio, il mix sarebbe pari a 0,753 [= (746 ×
1,049) / 1.039]. Non sorprende quindi che, date le caratteristiche della stra-
tegia di replica della portfolio insurance, si debba spostare denaro dal T-
bill allo S&P500 finché non si ottiene il mix di 0,835. Occorre quindi che
l’investimento nello S&P500 risulti pari a $868 (= 0,835 × $1.039). Dato
che il valore corrente del nostro investimento è di $783 (=$746 × 1.049),
dobbiamo comprare lo S&P500 per un importo pari alla differenza: $85
(=$868 – $783). Si noti che ora il mix è diverso dal delta. La relazione tra
mix e delta è la seguente:

Mix = (Delta × Prezzo del sottostante) / Valore del portafoglio assicurato

per cui, in questo caso, Delta = 0,827 [=(0,835 × 1.039) / 1.049].


La successiva revisione si ha il 7 febbraio 1985, quando la relative mo-
ve, rispetto alla prima data di revisione, è pari a:

(1.091 / 1.010) /(1.049 / 1.008) ≅ 1,038

In questo caso la revisione viene effettuata un po’ prima che la relative


move “piena” (±4%) si verifichi. Se aspettiamo sempre che la relative move
sia piena, la revisione avverrà sempre dopo una relative move più che piena,
a causa della discontinuità dei prezzi; pertanto, cerchiamo di rivedere i pesi
del portafoglio un po’ prima, nella speranza che in media le revisioni av-
vengano esattamente dopo una relative move. Dato che anticipiamo la revi-
sione, questa volta conteggiamo 0,9 moves, per un totale di 1,9.
La successiva revisione avviene il 27 marzo 1985, dopo che sono pas-
sati 32 giorni lavorativi dalla precedente revisione. Dato che lo S&P500
non è cambiato di molto, conteggiamo 0,2 moves; per un totale di 2,1.
Nel corso dell’anno lo S&P500, rettificato per i dividendi, passa da
1.000 a 1.318, con un tasso di rendimento del 31,8 per cento (Tavola 7.5).
Come già sapevamo, il tasso di rendimento del T-bill è pari al 9,4%
(l’indice passa da 1.000 a 1.094). Il portafoglio assicurato passa da 1.000 a

346
STRATEGIE DINAMICHE

Tavola 7.5 Risultati empirici: 1985

S&P 500 ⇔ T-Bills ad 1 anno


Dal 31 dicembre 1984 al 31 dicembre 1985 (floor pari al 100%)
Portafoglio
S&P 500 T-Bill assicurato
Tasso di rendimento 31,8% 9,4% 29,6%
Volatilità 9,7% 1,5% 9,0%

coeff. di correlazione: 0,31 volatilità relativa: 9,8% moves: 7,5

Scomposizione del tasso di rendimento


Tasso di rendimento atteso: 29,6%
Aggiustamento per lo scarto tra moves effettive ed attese: 0,2%
Scarto tra tasso di rendimento atteso ed effettivo: –0,2%
Totale (tasso di rendimento del portafoglio assicurato): 29,6%

1.296, con un tasso di rendimento del 29,6%. Come ci aspettavamo in caso


di forte rialzo dello S&P500, la performance è molto migliore di quella del
T-bill ma accusa una «deviazione» (shortfall) del 2,2% (= 31,8% – 29,6%)
rispetto allo S&P500, dato che il portafoglio assicurato è stato solo par-
zialmente investito nello S&P500.
Lo scarto del 2,2% è buono? Dal punto di vista del gestore, è buono
nella misura in cui corrisponde a quanto era prevedibile, dati i valori osser-
vati del ritorno del sottostante e della volatilità relativa. Da questo punto di
vista, una shortfall troppo alta o troppo bassa rappresentano entrambe un
cattivo risultato. Anche se raramente gli investitori reclamano se la short-
fall è troppo bassa, dovrebbero in teoria farlo perché segnala che il gestore
ha esercitato uno scarso controllo sulla strategia. La fortuna ha svolto un
ruolo eccessivo. Se viene dato troppo spazio alla fortuna, la shortfall trop-
po bassa in un anno potrà diventare troppo alta in un altro.
Pertanto, il vero test consiste nel confrontare il ritorno effettivo del por-
tafoglio assicurato con le previsioni riportate nella payoff table. Da quella
tavola risulta che se lo S&P500 sale del 31,8% e il numero atteso di moves
(8,3) si verifica, il portafoglio assicurato dovrebbe salire del 29,6%. Nel
1985, il numero effettivo (7,5) delle moves è stato minore di quello atteso
(8,3), a causa della bassa volatilità del mercato. Pertanto, secondo la payoff
table, il tasso di rendimento avrebbe dovuto essere maggiore, in misura
pari allo 0,2%. In effetti, così non è stato. La shortfall è risultata pari al –
0,2%. Di solito, la replica dinamica della portfolio insurance, effettuata
correttamente, comporta solo una piccola deviazione dalle previsioni –
come nell’esempio che abbiamo preso in esame.

347
DERIVATI

Tavola 7.6 Un anno di Trading: 1981

Treasury Portafoglio
Moves Data S&P 500 bills Mix Moltiplicatore Scarto assicurato
0,0 31 dicembre 1980 1.000 1.000 0,892 1,00 0,00 1.000
1,1 22 gennaio 1981 961 1.001 0,788 1,07 -0,13 965
1,9 19 febbraio 1981 940 1.014 0,676 1,10 -0,18 951
2,8 27 febbraio 1981 977 1.016 0,765 1,17 -0,41 977
2,8 15 aprile 1981 1.002 1.036 0,833 1,08 -0,19 1.001
3,4 3 giugno 1981 985 1.049 0,792 1,02 0,03 989
4,3 6 luglio 1981 962 1.065 0,631 1,06 -0,06 974
5,3 5 agosto 1981 1.005 1.073 0,800 1,08 -0,18 1.004
7,4 24 agosto 1981 956 1.081 0,418 1,24 -0,79 966
8,3 3 settembre 1981 926 1.086 0,199 1,28 -0,73 956
9,6 17 settembre 1981 895 1.097 0,000 1,34 -0,54 958*
10,6 25 settembre 1981 863 1.101 0,000 1,39 -0,17 961*
12,6 2 ottobre 1981 914 1.103 0,000 1,49 -0,74 963*
12,7 18 novembre 1981 928 1.131 0,000 1,38 -0,15 987*
13,7 27 novembre 1981 968 1.134 0,000 1,41 -0,51 990*
14,1 31 dicembre 1981 951 1.145 0,000 1,37 -0,01 1.000*
* Stop-out point

1981
Il 1985 è stato un anno positivo per lo S&P500. Vediamo ora, invece, co-
me avrebbe funzionato la stessa strategia in un anno negativo per lo
S&P500, ad esempio il 1981. Come mostra la Tavola 7.6, lo S&P500 (ret-
tificato per tener conto dei dividendi) scende del 4,9% (e il nostro indice
passa da 1.000 a 951). La strategia inizia con un mix di 0,892 e prosegue
con vendite del sottostante per quasi tutto l’anno, parallelamente al ribasso
del mercato. Alla data del 17 settembre 1981, il mix si annulla e tutto risulta
investito in T-bills. Come promesso per gli anni di ribasso, il portafoglio
assicurato termina sui livelli iniziali (l’indice inizia a 1.000 e finisce a
1.000), anche se la volatilità effettiva risulta maggiore di 1,37 volte rispetto
a quella attesa. La revisione del capture ratio prima del ricalcolo del delta
ha consentito alla strategia di tener conto, col passare del tempo, della vo-
latilità insolitamente elevata. Di conseguenza, il floor non ha subìto effetti.
Anche se tutto alla fine va per il verso giusto, c’è comunque un proble-
ma. Il 17 settembre 1981, quando il mix si annulla, viene raggiunto uno
stop-out point. Di conseguenza, c’è solo quanto basta ad assicurare il floor
se tutto viene investito nel T-bill. In questa data i $1.000 iniziali valgono
$958 ed il riskless return (periodale) per il tempo che manca alla scadenza
è di 1,0438 (=1.145/1.097). Solo investendo tutti i $958 in T-bill si riesce a
garantire il floor di $1.000 (= $958 × 1,0438).
Fortunatamente, lo S&P500 non aumentò dopo quella data e non finì ad
un livello superiore a quello di inizio anno. Se fosse accaduto il contrario,
non avremmo potuto beneficiare dell’aumento e avremmo potuto subire

348
STRATEGIE DINAMICHE

Tavola 7.7 Risultati empirici: 1981

S&P 500 ⇔ T-Bills ad 1 anno


Dal 31 dicembre 1980 al 31 dicembre 1981 (floor pari al 100%)
Portafoglio
S&P 500 T-Bill assicurato
Tasso di rendimento –4,9% 14,5% 0,0%
Volatilità 14,5% 3,1% 8,2%

coeff. di correlazione: 0,18 volatilità relativa: 14,8% moves: 14,1

Scomposizione del tasso di rendimento


Tasso di rendimento atteso: 0,0%
Aggiustamento per lo scarto tra moves effettive ed attese: 0,0%
Scarto tra tasso di rendimento atteso ed effettivo: 0,0%
Totale (tasso di rendimento del portafoglio assicurato): 0,0%

una significativa shortfall. Lo stop-out era stato colpito soprattutto perché


la volatilità fu molto più alta di quella attesa. Le simulazioni storiche mo-
strano che, in nessun anno civile dal 1928 al 1981, l’aver colpito uno stop-
out ha poi creato un problema. In nessun anno di tale periodo, lo S&P500 è
riuscito mai a risollevarsi da un significativo minimo a metà anno per finire
ad un livello superiore a quello iniziale.
La scomposizione del ritorno del portafoglio assicurato (Tavola 7.7)
conferma che il floor viene comunque garantito.

1982
Il 1982 è stato il primo anno civile – dal 1928 – in cui lo S&P500 raggiun-
ge un minimo significativo a metà anno e poi recupera portandosi ad un
livello superiore a quello di inizio anno. Come mostra la Tavola 7.8, nel pe-
riodo tra il 31 dicembre 1981 e il 9 agosto 1982, lo S&P500 (rettificato per
tener conto dei dividendi) scende del 12,9% (e il nostro indice passa da
1.000 a 871). Nell’intero anno, lo S&P500 chiude con un rialzo del 21,7%
(e il nostro indice passa da 1.000 a 1.217).
Il 1982 è stato un disastro per la replica dinamica della portfolio insur-
ance. Il mercato chiude l’anno con un rialzo del 21,7% ma il tasso di ren-
dimento del portafoglio assicurato non supera il 7,9%, con una shortfall
del 13,8% (= 21,7% – 7,9%). La volatilità effettiva è maggiore di 1,78 volte
rispetto a quella attesa, per cui la shortfall effettiva prevista dalla payoff
table dovrebbe essere molto maggiore del normale, ma non così elevata.
La colonna “Scarti” della Tavola 7.8 riporta le deviazioni rispetto alla
payoff table che, in base alle informazioni via via disponibili, possiamo

349
DERIVATI

Tavola 7.8 Un anno di Trading: 1982

Treasury Portafoglio
Moves Data S&P 500 bills Mix Moltiplicatore Scarto assicurato
0,0 31 dicembre 1981 1.000 1.000 0,880 1,00 0,0 1.000
1,3 11 gennaio 1982 954 997 0,746 1,08 -0,2 959
3,2 22 febbraio 1982 920 1.015 0,531 1,21 -0,6 938
4,6 8 marzo 1982 887 1.026 0,334 1,30 -0,8 925
6,2 22 marzo 1982 933 1.027 0,448 1,41 -1,6 941
7,3 23 aprile 1982 984 1.041 0,562 1,47 -2,0 971
8,2 19 maggio 1982 960 1.053 0,439 1,52 -1,6 963
9,4 4 giugno 1982 923 1.059 0,281 1,60 -1,3 950
9,5 22 luglio 1982 939 1.084 0,303 1,49 -0,6 970
10,6 30 luglio 1982 903 1.087 0,147 1,55 -0,6 961
11,6 9 agosto 1982 871 1.092 0,052 1,59 -0,4 960
13,3 17 agosto 1982 925 1.102 0,098 1,67 -1,1 971
15,7 23 agosto 1982 986 1.106 0,177 1,79 -2,5 981
16,5 2 settembre 1982 1.025 1.107 0,263 1,80 -3,5 989
17,6 6 ottobre 1982 1.076 1.118 0,425 1,74 -4,6 1.009
18,5 8 ottobre 1982 1.120 1.120 0,567 1,78 -6,1 1.027
19,6 13 ottobre 1982 1.168 1.121 0,720 1,81 -7,5 1.053
20,8 3 novembre 1982 1.224 1.126 0,891 1,80 -8,9 1.091
21,8 15 novembre 1982 1.178 1.128 0,785 1,81 -8,1 1.054
22,9 7 dicembre 1982 1.232 1.134 0,969 1,79 -9,5 1.094
23,9 14 dicembre 1982 1.187 1.136 0,897 1,81 -8,9 1.055
24,1 31 dicembre 1982 1.217 1.140 0,899 1,78 -9,5 1.079

attenderci per la fine dell’anno. Il primo valore è, naturalmente, zero. Di


solito, col passare del tempo, gli scarti oscillano tra –1% e +1% (come nel
1985 e nel 1981). Nel 1982, invece, tendono costantemente a crescere e
sono sempre negativi. La strategia non raggiunge mai lo stop-out point, ma
il capture ratio è alla fine molto basso, dato che il mix resta molto basso
tra il 23 agosto e l’8 ottobre, quando lo S&P500 sta già riportandosi oltre il
livello iniziale.
Dato che le previsioni sullo scarto di fine anno vengono via via
aggiornate, il cattivo risultato finale non rappresenta una sorpresa.
La Tavola 7.9 ricapitola i risultati relativi al 1982. Con un tasso di ren-
dimento dello S&P500 pari al 21,7% (e con un tasso di rendimento del T-
bill pari al 14%), se la volatilità fosse stata pari a quella attesa, il tasso di
rendimento del portafoglio assicurato sarebbe stato pari al 20,9%. La vola-
tilità è invece maggiore di 1,78 volte rispetto al previsto. Di conseguenza,
secondo la payoff table, il tasso di rendimento del portafoglio assicurato
doveva essere pari al 3,6% in meno, ossia al 17,3%.
Sfortunatamente, il tasso di rendimento effettivo è pari al 7,9%, con
uno scarto del –9,5% (= 7,9% – 17,3%) – un risultato deprimente.
Ma c’è anche una buona notizia. Questo scarto poteva essere evitato se
avessimo “imbrogliato” un po’. Ecco l’accorgimento da usare. Anche se il
floor è pari allo 0% (assenza di perdite), dobbiamo ingannare il computer
addetto ai calcoli, inducendolo a pensare che il floor sia leggermente posi-
tivo, ad es. +0,6%. Ora, se viene raggiunto lo stop-out point o se il capture
ratio diventa inaccettabilmente basso, diciamo al computer che il vero flo-
or è dello 0,4%. Il computer non riuscirà a vedere che lo stop-out point è

350
STRATEGIE DINAMICHE

Tavola 7.9 Risultati empirici: 1982

S&P 500 ⇔ T-Bills ad 1 anno


Dal 31 dicembre 1981 al 31 dicembre 1982 (floor pari al 100%)
Portafoglio
S&P 500 T-Bill assicurato
Tasso di rendimento 21,7% 14,0% 7,9%
Volatilità 20,3% 2,7% 10,2%

coeff. di correlazione: 0,20 volatilità relativa: 20,5% moves: 14,1

Scomposizione del tasso di rendimento


Tasso di rendimento atteso: 20,9%
Aggiustamento per lo scarto tra moves effettive ed attese: –3,6%
Scarto tra tasso di rendimento atteso ed effettivo: –9,5%
Totale (tasso di rendimento del portafoglio assicurato): 7,9%

stato raggiunto e consentirà un mix con un più elevato capture ratio. Se lo


stop-out viene raggiunto di nuovo, diciamo al computer che il vero floor è
dello 0,2%; e così via. Con questo accorgimento avremmo evitato gran par-
te dello scarto che si sarebbe altrimenti effettivamente manifestato nel cor-
so del 1982.
Il costo di questa soluzione è che rende la strategia lievemente più con-
servativa (fa abbassare il mix medio) negli anni normali, per cui il capture
ratio effettivo è un po’ più basso di quello che sarebbe stato altrimenti. Ma,
per molti investitori, il costo sarà più che compensato dal beneficio di evi-
tare disastri in anni come il 1982.
Un insegnamento da trarre da questo capitolo è che le formule e gli algo-
ritmi per la valutazione e la copertura dei derivati vanno applicati tenendo
presenti i loro limiti. Per farlo in modo intelligente, è utile (se non necessa-
rio) capire le basi economiche sottostanti la teoria. Con questo in mente,
l’investitore può mettere in atto le opportune modifiche per tener conto
delle effettive circostanze della vita reale.

Sommario: simulazione
In questo paragrafo abbiamo visto cosa succede se seguiamo una strategia
di replica dinamica della portfolio insurance, con uno zero-percent floor,
quando il sottostante è rappresentato dallo S&P500 e la moneta dal T-bill ad
1 anno. Abbiamo visto cosa sarebbe successo in 3 anni – 1985, 1981 e 1982
– se avessimo seguito la trading rule di rivedere i pesi del portafoglio
quando il rapporto tra il ritorno del sottostante e il ritorno della moneta
cambia di circa il 4% o quando passano 32 giorni dall’ultima revisione.

351
DERIVATI

La performance della strategia di replica è stata valutata in ciascuno


degli anni in esame, che corrispondono a condizioni di mercato significati-
vamente diverse. Nel 1985 lo S&P500 (rettificato per tener conto dei divi-
dendi) salì del 32% mentre nel 1981 scese del 5%. Nel 1982 salì del 22%
ma a metà anno era sotto del 13%. La «correzione» (swing) senza prece-
denti che si ebbe in quell’anno rappresenta un test estremo per l’attendi-
bilità della replica dinamica.
Nel 1985 si realizzarono le condizioni per la validità dell’asset alloca-
tion dinamica. In particolare, la volatilità relativa risultò prossima alle pre-
visioni di inizio anno. Di conseguenza, il “portafoglio assicurato” aumentò
di circa il 30% e lo scarto dalla performance del sottostante fu di circa il
2% dal sottostante – un risultato che era stato più o meno previsto dalla
payoff table calcolata all’inizio della strategia.
Invece, dato che il 1981 fu un anno negativo per lo S&P500, il tasso di
rendimento del portafoglio assicurato doveva essere nullo, e così fu. Tutta-
via, la volatilità effettiva fu maggiore del 37% rispetto a quella attesa. An-
che per questo motivo, ad un certo punto la strategia raggiunse uno stop-
out point e da quel momento rimase investita al 100% in moneta, in modo
da garantire comunque il floor.
Il 1982 illustra cosa può andare storto con la replica dinamica. In
quell’anno, a causa di uno swing estremo e in presenza di una volatilità
maggiore del 78% rispetto a quella attesa, ci fu uno scarto negativo di circa
il 10% rispetto a quanto previsto dalla payoff table. La portfolio insurance
fallì miseramente.

CONCLUSIONI
Questo capitolo ha descritto in dettaglio un case study ossia un’importante
applicazione di molti dei concetti sviluppati in questo libro, cercando di
portare l’esempio fino ai limiti della pratica corrente. Tra i concetti che ab-
biamo illustrato figurano:
‰ le payoff functions, convesse e concave;
‰ la formula Black-Scholes;
‰ i limiti della replica dinamica secondo Black-Scholes;
‰ l’utilizzo dei futures nelle strategie di replica.
Inoltre, abbiamo accennato ai metodi per tradurre le attitudini verso il ri-
schio e le probabilità soggettive degli investitori in posizioni ottimali.
Il nostro case study ha avuto per oggetto la portfolio insurance, che vi-
ene spesso messa in atto utilizzando o una strategia di replica dinamica,
che si autofinanzia, o, a volte, una strategia di replica statica mediante op-
zioni. La portfolio insurance ci ha portato oltre l’asset allocation tradizio-
nale di tipo media-varianza, dato che ci consente di utilizzare misure di ri-
schio più complesse della varianza e di considerare l’opportunità di una
revisione dinamica dei pesi del portafoglio.

352
STRATEGIE DINAMICHE

Dopo aver descritto la strategia fondamentale, abbiamo dato uno sguar-


do ad alcuni dettagli che sorgono nella fase di attuazione, soprattutto per-
ché le assunzioni sottostanti la formula Black-Scholes non sono perfetta-
mente osservabili nel mondo reale.
Infine, abbiamo esaminato alcune simulazioni storiche della strategia di
replica dinamica della portfolio insurance, con riferimento al mercato a-
zionario statunitense e ad anni dalle caratteristiche diverse.

353
Glossario

α Il capture ratio della payoff function utilizzata per la portfolio insurance.

account equity Il saldo di liquidazione di un conto. Ad esempio, se il conto


presso il vostro broker è composto da azioni, obbligazioni e contanti, l’account
equity è pari al valore di tutte le posizioni, convertite immediatamente in contanti
sulla base delle quotazioni correnti, dopo aver regolato eventuali operazioni allo
scoperto, su azioni e obbligazioni, ed aver estinto eventuali finanziamenti.

accreting swap L’accreting swap è un interest rate swap il cui «capitale no-
zionale» (notional principal) cresce durante la vita del contratto. Se il contratto
consente al capitale nozionale di salire e scendere in modo imprevedibile, lo
swap è detto «otto-volante» (roller-coaster). È l’opposto di un amortising swap.

accrual swap Una variante dell’interest rate swap in cui l’interesse di una delle
due «gambe» (legs) dello swap matura solo nei giorni in cui il tasso variabile uti-
lizzato nello swap risulta compreso all’interno di un certo intervallo.

accrued interest Quando acquistiamo «certificati» (notes) e «buoni» (bonds)


del Tesoro dopo l’emissione, dobbiamo pagare, oltre al prezzo quotato, anche
l’«interesse maturato» (accrued interest). Ad esempio, supponiamo di comprare
una Treasury Note, con valore nominale di $100.000 e tasso cedolare dell’8%, 61
giorni dopo che è stato effettuato l’ultimo pagamento e 122 giorni prima che
venga pagata la prossima cedola. Il venditore non solo cede il titolo ma anche gli
interessi relativi ai primi 2 mesi (che riceverebbe se mantenesse la proprietà del
titolo per altri 4 mesi). Per convenzione, oltre al prezzo quotato, dovremo pagare
al venditore un accrued interest di $1.333 (= $100.000 × (0,08 / 2) × (61 / 183)].

adjustable-rate mortgage (ARM) Un «mutuo» (mortgage) a tasso variabile.


Ad esempio, il tasso d’interesse dell’ARM potrebbe essere rivisto ogni 3 anni in
funzione del tasso d’interesse dei Treasury Bills ad 1 anno. Nei mutui a tasso fis-
so, gli interessi sono invece predeterminati.

agency securities Titoli emessi da agenzie governative (costituite, di solito, per


abbassare il costo dei finanziamenti in certi settori economici) e da istituzioni
federali. Importanti esempi di questi organismi, creati per abbassare il costo dei
mutui, soprattutto di quelli per l’acquisto di una casa, sono la Federal Home Lo-
an Mortgage Corporation (FHLMC), la Federal National Mortgage Associa-
tion (FNMA) e la Government National Mortgage Association (GNMA). Esi-
stono futures scritti sui titoli emessi o garantiti da alcune di queste agenzie.

355
DERIVATI

All Ordinaries Share Price Index Un indice, basato su un ampio paniere, che
misura la performance dei titoli azionari quotati in Australia.

alligator spread Uno spread che "vi mangia vivi" a causa degli alti costi di
transazione. È improbabile che questa posizione possa risultare redditizia, dedotte
le commissioni, anche se si verificano le circostanze più favorevoli.

alpha La parte del ritorno di un titolo che non può essere spiegata dal «ritorno
privo di rischio» (riskless return) o dalla sua «correlazione» (correlation) con il
ritorno di mercato. Supponiamo che il riskless return sia di 1,10, il beta di 2, il
ritorno di mercato di 1,20 e il ritorno del titolo di 1,35. Allora l’«alfa» (alpha) è
pari alla differenza tra il ritorno ex post del titolo e
Riskless return + Beta × Premio al rischio di mercato ex\post
ossia a 0,05 {= 1,35 – [1,10 + 2 × (1,20 – 1,10)]}. Questo è il cosiddetto «alfa
realizzato» (realised alpha). Secondo il «modello di valutazione delle attività
finanziarie» (capital asset pricing model), l’«alfa atteso» (expected alpha) è
sempre nullo, mentre il beta misura la sensitività dell’extra ritorno del titolo ri-
spetto all’extra ritorno del «portafoglio di mercato» (market portfolio), ossia ri-
spetto al «premio al rischio» (risk premium) del portafoglio di mercato. Pertanto,
secondo il capital asset pricing model, il ritorno ex ante del titolo è pari a:
Riskless return + Beta × Premio al rischio di mercato ex\ante

American option Un’opzione, call o put, che può essere esercitata in qualsiasi
giorno lavorativo della sua vita. Si veda European option.

American Stock Exchange (Amex) La seconda borsa degli Stati Uniti, per
dimensione, dopo la New York Stock Exchange. Oltre ai titoli azionari, l’Amex
tratta le opzioni su azioni e le opzioni su indici azionari.

amortising swap Lo «swap con ammortamento» (amortising swap) è un inter-


est rate swap il cui «capitale nozionale» (notional principal) diminuisce in fun-
zione, ad esempio, del «tasso di prepagamento» (prepayment rate) di un mutuo o
del London interbank offer rate (Libor). Se il contratto consente al capitale no-
zionale di salire e scendere in modo imprevedibile, lo swap è detto «otto-volante»
(roller-coaster). È l’opposto di un accreting swap.

annualisation Per confrontare i ritorni di investimenti con scadenze diverse, si


usa standardizzare il periodo a cui i ritorni si riferiscono. Se il periodo prescelto è
l’anno, si parla di «annualizzazione» (annualisation).

Asian option Simile ad un’opzione ordinaria, fatta eccezione per il fatto che il
prezzo d’esercizio è una media aritmetica del prezzo del sottostante durante la
vita dell’opzione.

ask/bid I market makers quotano due prezzi, uno al quale sono disposti a com-
prare (il «prezzo denaro» o bid price) e l’altro al quale sono disposti a vendere (il
«prezzo lettera» o ask price). Ad esempio, quando viaggiate all’estero e volete

356
GLOSSARIO

scambiare la vostra valuta con la valuta del Paese in cui siete, avrete notato che il
«mediatore» (dealer) compra e vende a prezzi diversi e che il prezzo a cui vende
è sempre maggiore del prezzo a cui acquista. La differenza tra questi due prezzi è
il bid-ask spread.

asset allocation Definita in senso stretto, l’«allocazione delle attività» (asset


allocation) concerne l’allocazione del patrimonio tra un portafoglio rischioso (ad
es. il paniere su cui si basa un indice azionario) e la moneta. Più in generale, con-
cerne l’allocazione del patrimonio tra diverse classi di attività: azioni interne, a-
zioni estere, immobili, titoli di Stato, obbligazioni e attività liquide. Invece, la
«selezione dei titoli» (security selection) riguarda l’allocazione del patrimonio tra
singoli titoli.

associated person Si veda futures and options markets personnel.

as-you-like-it option Si veda chooser option.

at-the-money Un’«opzione ordinaria» (standard option) è at-the-money se il


suo strike è pari al prezzo corrente del sottostante. Dato che S = K, il «valore in
caso d’esercizio» (exercisable value), max[0, S – K] o max [0, K – S], delle op-
zioni at-the-money è nullo. Si veda anche out-of-the-money e in-the-money.

Atlantic option Un’opzione il cui periodo di esercizio non è prefissato ma di-


pende dal comportamento del prezzo del sottostante. Ad esempio, un’opzione che
può essere esercitata solo se il prezzo del sottostante oltrepassa una certa barriera
è di tipo Atlantic. Anche le cap options, che forzano l’esercizio nel momento in
cui il prezzo del sottostante oltrepassa una certa barriera, sono di tipo Atlantic.

B(t) Prezzo corrente di uno zero-coupon bond con scadenza al tempo t.

Bk(t) Prezzo al tempo k di uno zero-coupon bond con scadenza al tempo t.

Bk,j(t) Prezzo di uno zero-coupon bond dopo k mosse, j delle quali al rialzo (al-
beri binomiali che si ricombinano), oppure prezzo di uno zero-coupon bond dopo
k mosse lungo il sentiero j (alberi binomiali che non si ricombinano).

back/front spread Combinando tre o più opzioni, si riescono a costruire nume-


rose «linee spezzate di profitti e perdite» (piecewise-linear profit/loss lines). Se
vendiamo una at-the-money call e compriamo una out-of-the-money call ottenia-
mo uno «spread al ribasso» (bear spread). Ma se compriamo anche un’altra out-
of-the-money call, il premio aggiuntivo ci consente di beneficiare di un eventuale
rialzo. Si tratta di una buona posizione per chi crede che il prezzo del sottostante
stia per scendere o, se mai salirà, è molto probabile che salga in misura conside-
revole. Questa posizione, in cui il numero delle calls (puts) acquistate è maggiore
del numero delle calls (puts) vendute, è spesso chiamata back spread.
La posizione opposta, in cui il numero delle calls (puts) vendute è maggiore
del numero delle calls (puts) acquistate, è detta front spread.

357
DERIVATI

backwardation Si ha quando il prezzo futures effettivo è minore del prezzo


futures teorico determinato, sotto le ipotesi di assenza di opportunità di arbitrag-
gio e di mercati perfetti, quando il sottostante non viene detenuto per fini di con-
sumo o di produzione. Il «deporto» (backwardation) è in genere giustificato dal
«tasso di convenienza» (convenience yield) – il valore aggiuntivo offerto dal sot-
tostante quando è disponibile per essere consumato o utilizzato nei processi pro-
duttivi. In genere, si distingue tra due diversi gradi di backwardation: debole e
forte (Si veda strong / weak backwardation).
La backwardation è piuttosto comune nei mercati delle merci, ad es. in quello
del «petrolio grezzo» (crude oil). La backwardation può essere in parte dovuta
all’incertezza sui futuri prezzi spot. In mancanza di informazioni sui futuri prezzi
del petrolio, il proprietario di un pozzo petrolifero possiede una preziosa «opzio-
ne di differimento» (option to delay) che gli consente di differire l’estrazione.
Questa opzione fa aumentare il prezzo spot rispetto al prezzo futures perché spet-
ta solo a chi ha un pozzo petrolifero e non a chi ha comprato un futures. Il valore
dell’opzione può essere sufficientemente elevato da far sì che il prezzo spot del
petrolio sia maggiore del «prezzo futures» (futures price).

bankruptcy Un individuo, una società o un qualche altro organismo va in «fal-


limento» (bankruptcy) quando non riesce a rispettare, o in certe casi decide di
non rispettare, i propri impegni finanziari.

barbell portfolio Un portafoglio obbligazionario composto soprattutto da titoli


a breve e a lungo termine e da pochi titoli con scadenze intermedie. In pratica, la
duration di questo portafoglio è molto sensibile agli «spostamenti» (shifts) della
«struttura per scadenza» (term structure) dei tassi d’interesse spot. Invece, i por-
tafogli composti da un unico zero-coupon bond hanno una duration che è del tut-
to insensibile alle variazioni dei tassi d’interesse spot.

Barings Bank Una banca inglese portata al fallimento, all’inizio degli anni ‘90,
dalle posizioni in futures di un unico trader, mal controllato.

barrier option Molte «opzioni con barriera» (barrier options) del tipo «sogget-
to a cancellazione» (knock-out) iniziano la loro vita in modo simile alle standard
options ma, se il prezzo del sottostante tocca o attraversa una certa barriera, ven-
gono cancellate e non pagano nulla indipendentemente da quel che succede dopo.
Se invece la barriera, ossia il «prezzo di cancellazione» (knock-out price), non
viene mai raggiunta, la barrier option ha lo stesso payoff di una standard option.
Le opzioni con barriera appartengono alla categoria generale delle «opzioni sen-
tiero-dipendenti» (path-dependent options) dato che il loro payoff non dipende
solo dal prezzo finale del sottostante ma anche dai prezzi osservati in precedenza
(ossia dal sentiero tracciato durante la vita dell’opzione). Le opzioni sono del tipo
«giù e fuori» (down-and-out) o «su e fuori» (up-and-out) a seconda che la barrie-
ra si trovi inizialmente al di sotto o al di sopra del prezzo del sottostante.
Le opzioni con barriera del tipo «in attesa di validazione» (knock-in) iniziano
a vivere solo se il prezzo del sottostante tocca o attraversa una certa barriera, nel
qual caso diventano pienamente assimilabili alle standard options, quale che sia

358
GLOSSARIO

la loro vita residua. Le opzioni sono del tipo «giù e dentro» (down-and-in) o «su
e dentro» (up-and-in) a seconda che la barriera si trovi inizialmente al di sotto o
al di sopra del prezzo del sottostante.

Bartlett’s test statistic Indica la probabilità che la varianza di popolazione re-


lativa ad ogni sotto-periodo sia la stessa. Il test di Bartlett è ∑j(nj – 1)log(σ2/σj2),
dove nj è il numero dei ritorni nel sotto-periodo j e σ2 è la varianza campionaria
nell’intero periodo sotto osservazione, aggiustata non con n – 1 ma con n – m. La
statistica di Bartlett è approssimata da una chi-quadro con m – 1 gradi di libertà.

basis/basis risk La base è la differenza tra prezzo futures e prezzo spot, diffe-
renza che tende a restringersi, fino ad annullarsi alla data di consegna. L’incer-
tezza circa l’ampiezza della base è chiamata «rischio base» (basis risk). Questo
rischio può essere rilevante se l’investitore vuole chiudere la sua posizione prima
della data di consegna, o se intende attuare una strategia di rollover su una serie
di contratti. In questo secondo caso, l’investitore sostiene il rischio base ogni vol-
ta che sostituisce il contratto sotto scadenza con un nuovo contratto che prevede
una data di consegna più lontana nel tempo.

basis point Un centesimo di punto percentuale. Pertanto, 100 «punti base» (ba-
sis points) equivalgono all’1%.

basis swap Negli «swaps di base» (basis swaps o yield curve swaps), gli inte-
ressi variabili su un certo titolo vengono scambiati con gli interessi variabili su un
altro titolo, in genere di diversa scadenza, consentendo ai contraenti di scommet-
tere sulla pendenza della «curva dei tassi di rendimento» (yield curve). Ad esem-
pio, una delle due parti potrebbe ricevere il Libor a 6 mesi e pagare in cambio,
ogni 6 mesi, il tasso sui Treasury bonds a 10 anni. Questo swap è in realtà la
combinazione di due swaps: una plain-vanilla swap (Libor contro fisso) e uno
swap fuori standard (fisso contro T-bond variabile).

basket option Ad esempio, le opzioni sullo S&P500 possono essere interpreta-


te come opzioni su 500 attività sottostanti. Queste opzioni sono anche dette «op-
zioni paniere» (basket options).

bear cylinder Si veda bull/bear cylinder.

bear market warrant Un put warrant il cui strike viene uguagliato al prezzo
del sottostante se ad una certa data il prezzo del sottostante risulta maggiore del
prezzo d’esercizio. In tal modo, il put warrant continua ad essere interessante.

bear spread Supponiamo di ritenere probabile che il prezzo del sottostante di-
minuisca ma di voler limitare le perdite nel caso in cui questo non accada. Po-
tremmo acquistare una put. Supponiamo però di ritenere che il prezzo dell’attivi-
tà scenderà ma non di molto. Siamo quindi disposti a dar via i profitti relativi alla
coda sinistra della distribuzione. Possiamo allora vendere una put con strike più
basso di quello della put che abbiamo acquistato. Continueremo a perdere in caso
di rialzo, perché la put lunga (con strike più alto) costa più della call corta (con

359
DERIVATI

strike più basso). Comunque, la perdita sarà minore di quella che avremmo subito
se non avessimo venduto la put. Questa posizione è detta «spread al ribasso»
(bear spread): spread perché è formata da opzioni dello stesso tipo (o solo calls o
solo puts) e bear perché trae beneficio dal ribasso dei prezzi dell’attività sotto-
stante. Tra gli altri nomi utilizzati per questa posizione figurano bearish vertical
spread, bearish price spread, bearish money spread e bearish strike spread.

Bermudan option Le opzioni che possono essere esercitate solo durante una
parte specifica della loro vita sono dette Bermuda. Questa caratteristica è condi-
visa dalle employee stock options, che di solito sono esercitabili solo nell’ultima
parte della loro vita.

beta (β) Il rischio di un’azione è comunemente misurato dal suo beta, ossia dal-
la sensibilità dell’extra rendimento dell’azione rispetto all’extra rendimento di un
indice di borsa. Ad esempio, se un’azione ha una beta pari a 2 e ci si attende che
il rendimento del mercato azionario sarà maggiore dell’x% rispetto al tasso
d’interesse privo di rischio, il valore atteso dell’extra rendimento dell’azione è
pari a 2 × x%. Più in generale, secondo il capital asset pricing model, il beta mi-
sura il rischio di qualsiasi attività come sensitività del suo extra ritorno rispetto
all’extra ritorno del «portafoglio di mercato» (market portfolio).

bid Il prezzo a cui un dealer è disposto a comprare. Si veda ask / bid.

binary option Opzioni con payoffs binari o discontinui. Ad esempio, le cash-


or-nothing calls (puts) pagano un certo importo se il prezzo finale del sottostante
si trova sopra (sotto) un livello prefissato, altrimenti non pagano nulla. Le asset-
or-nothing calls (puts) prevedono la consegna del sottostante (o del controvalore
equivalente) se il prezzo finale del sottostante si trova sopra (sotto) un livello pre-
fissato, altrimenti non pagano nulla. Le binary options sono anche chiamate digi-
tal options o bet options. Le opzioni cash-or-nothing e le opzioni asset-or-
nothing sono anche dette all-or-nothing options.

binomial option pricing model Il modello binomiale rappresenta l’approccio


più flessibile, intuitivo e diffuso per valutare le opzioni. Si basa sulla semplifica-
zione secondo cui, in un dato periodo (di durata molto breve), il prezzo del sotto-
stante può assumere solo uno di due possibili valori. Tra gli altri pregi, il modello
incorpora le assunzioni che i mercati siano perfetti e che non esistano opportunità
di arbitraggio. Non assume che gli investitori siano avversi al rischio o che siano
razionali, né richiede che venga stimato il ritorno atteso del sottostante. Il model-
lo incorpora anche il principio della valutazione neutrale verso il rischio, che può
essere utilizzato come scorciatoia per la valutazione delle opzioni europee.

BIS (Bank for International Settlements) Un organismo internazionale con


sede a Basilea (Svizzera), che funziona da banca centrale per i principali Paesi
industriali. La BIS è nota per l’Accordo di Basilea adottato dai Paesi del G-10 nel
1988. In particolare, ha fissato i requisiti di capitale accettati dalle istituzioni fi-
nanziarie internazionali per il trattamento contabile delle posizioni su derivati.

360
GLOSSARIO

bisection search Un semplice algoritmo iterativo che può essere utilizzato per
risolvere un’equazione del tipo f (x) = 0 rispetto a x se non può essere risolta per
via analitica (ossia se x non può essere isolato a sinistra del segno d’uguaglianza).
Perché l’algoritmo sia affidabile, f (x) deve essere monotona in x; ossia, f ‘ (x) > 0
per tutte le x nel dominio rilevante o f ‘ (x) < 0 per tutte le x nel dominio rilevante.

Black formula La formula, stile Black-Scholes, per il valore corrente, C, di


una call europea scritta su un futures:
C = r − t [ FN ( x ) − KN ( x − σ t )]
⎯ ⎯
con x ≡ [log(F/K) ÷ σ√ t ] + ½σ√ t è nota come formula di Black. Va distinta
dalla formula Black-Scholes per il valore di una call ordinaria.

Black-Scholes formula Forse la formula, con probabilità incorporate, più uti-


lizzata nella storia dell’umanità. Mostra come 6 variabili – il prezzo corrente del
sottostante, S, il prezzo d’esercizio dell’opzione, K, la vita residua dell’opzione, t,
il riskless return, r, il payout return del sottostante, d, e la volatilità del sottostan-
te, σ – interagiscono nel determinare il valore, C, di una call. La formula è:
C = Sd − t N ( x ) − Kr − t N ( x − σ t )
⎯ ⎯
con x ≡ [log(Sd–t/Kr–t) ÷ σ√ t ] + ½σ√ t
Sul finire degli anni ‘60 e all’inizio degli anni ‘70, Myron Scholes e Fischer
Black lavoravano insieme al MIT per risolvere il problema della valutazione del-
le opzioni. Lo analizzarono da due diverse prospettive. Dapprima utilizzarono un
modello d’equilibrio (il capital asset pricing model) e poi un’argomentazione di
arbitraggio proposta dal loro collega Robert Merton, che aveva lavorato allo stes-
so problema insieme a Paul Samuelson. Entrambi gli approcci conducevano alla
stessa equazione differenziale, nota in fisica come «equazione del calore» (heat
equation). La soluzione di questa equazione è la formula che porta i loro nomi.

bootstrap method Una procedura iterativa per risolvere un sistema di equazio-


ni in più incognite, dove la prima equazione contiene solo la prima incognita, la
seconda solo le prime due, la terza solo le prime tre, ecc. Il sistema può essere
facilmente risolto risolvendo la prima equazione, sostituendo la soluzione per la
prima incognita nella seconda equazione e quindi risolvendola rispetto alla se-
conda incognita, sostituendo le soluzioni per le prime due incognite nella terza
equazione e quindi risolvendola rispetto alla terza incognita, ecc. Il metodo boot-
strap può essere utilizzato per ottenere la term structure of interest rates in base
ai prezzi di obbligazioni con scadenze via via più lontane.

borrowing/lending Gli schemi temporali logicamente possibili per i pagamenti


e gli incassi relativi ad un’attività sono quattro. Nelle compravendite a pronti,
l’attività viene pagata ora e ricevuta simultaneamente. Invece, quando si prende
in prestito denaro, l’attività viene acquistata ora (con i fondi presi in prestito) ma
è pagata in futuro (quando si rimborsa il prestito). Quando si dà in prestito denaro
accade l’opposto (si noti che in entrambi i casi i pagamenti e le date di pagamen-
to sono determinati in anticipo). Infine, nei «contratti a termine» (forwards) e,

361
DERIVATI

nominalmente, anche nei futures, il pagamento e l’incasso vengono differiti nel


tempo fino ad una stessa data, ma (ed è questo il punto critico) il prezzo che sarà
pagato e la data di pagamento vengono entrambi fissati ora.

boundary condition Nel caso di sistema iterativo di equazioni, la soluzione


esogena specificata ad un certo punto. Se le boundary conditions sono sufficienti,
le equazioni possono essere risolte rispetto alle incognite. Nel binomial option
pricing model, utilizzato per ricavare la formula Black-Scholes in base alla di-
namica ipotizzata per il prezzo del sottostante, si inizia con lo specificare la solu-
zione là dove è possibile, ossia nei nodi finali dove, in assenza di opportunità di
arbitraggio e con mercati perfetti, il valore dell’opzione deve essere uguale al suo
payoff. Nel caso della call il payoff è max[0, S* – K] mentre nel caso della put è
max[0, K – S*].

box spread Per sfruttare eventuali violazioni della put-call parity senza assu-
mere posizioni sul sottostante, si può costruire un box spread, un’operazione che
coinvolge due coppie di opzioni, formate ognuna da una put e una call (le opzioni
hanno tutte la stessa scadenza ma ogni coppia ha un prezzo d’esercizio diverso).

break forward (Boston option) Una call con strike uguale al prezzo forward,
il cui premio, invece di essere pagato subito, viene pagato alla scadenza, indipen-
dentemente dal fatto che l’opzione finisca in-the-money o out-of-the-money. Le
opzioni di questo tipo, che comportano una posizione a costo nullo ancora più
semplice del range forward, sono anche dette delayed payment options.

bucketing Gli ordini dei clienti devono essere portati in borsa in modo da poter
essere eseguiti ai migliori prezzi, bid o ask. Se il broker non rispetta quest’obbli-
go, «monopolizzando» (bucketing) gli ordini ed eseguendoli internamente, per il
proprio tornaconto, commette un reato.
I bucket shops erano ditte illegali d’intermediazione finanziaria, probabil-
mente estinte, che rinviavano sistematicamente l’esecuzione degli ordini della
clientela. Nel caso di ordini d’acquisto, il rinvio dell’esecuzione comportava a
volte, per il cliente, il pagamento di un prezzo più elevato. Se invece l’acquisto
veniva effettuato ad un prezzo minore di quello quotato al momento il cui l’ordi-
ne era stato ricevuto, il cliente pagava comunque il prezzo più elevato e la ditta si
intascava la differenza.

bull/bear cylinder Per replicare il payoff di un forward lungo, sappiamo che


dobbiamo comprare un call e vendere una put con strikes uguali al prezzo for-
ward. Invece i «cilindri al rialzo» (bull cylinders) comportano l’acquisto di una
call con strike alto, K2, e la vendita di una put con strike basso, K1 (K1 < K2). I
«cilindri al ribasso» (bear cylinders o anche risk reversals) hanno i segni invertiti
rispetto ai bull cylinders: comportano la vendita di una call con strike alto, K2, e
l’acquisto di una put con strike basso, K1 (K1 < K2).
Come si vede dal profit/loss diagram, i profitti e le perdite di un bull cylinder
sono simili a quelli di un forward lungo, fatta eccezione per la «zona piatta» (pla-
teau) intorno al prezzo corrente del sottostante.

362
GLOSSARIO

bull spread Supponiamo di ritenere probabile che il prezzo dell’attività sotto-


stante aumenti ma di voler limitare le perdite nel caso in cui questo non accada.
Potremmo acquistare una call. Supponiamo però di ritenere che il prezzo
dell’attività salirà ma non di molto. Siamo quindi disposti a dar via i profitti rela-
tivi alla coda destra della distribuzione. Possiamo allora vendere una call con
strike più alto di quello della call che abbiamo acquistato. Continueremo a perde-
re in caso di ribasso, perché la call lunga (con strike più basso) costa più della
call corta (con strike più alto). Comunque, la perdita sarà minore di quella che
avremmo subito se non avessimo venduto la call. Questa posizione è detta
«spread al rialzo» (bull spread): spread perché è formata da opzioni dello stesso
tipo (o solo calls o solo puts) e bull perché trae beneficio dal rialzo dei prezzi
dell’attività sottostante. Tra gli altri nomi utilizzati per questa posizione figurano
bullish vertical spread, bullish price spread, bullish money spread e bullish strike
spread.

butterfly spread (sandwich spread) Uno spread costruito con tre opzioni del-
lo stesso tipo, con strikes diversi ma uguale scadenza, scritte sullo stesso sotto-
stante. Nel butterfly lungo, si acquista un’opzione con strike basso ed una con
strike alto e si vendono due opzioni con strike intermedio.

buy-write strategy Strategia di vendita di covered calls, dove si acquista il sot-


tostante con l’idea di vendere una call o si vende la call per poi coprirsi con
l’acquisto del sottostante. Questa strategia va distinta dall’option overwriting,
dove il sottostante è rappresentato da un’attività che si vuole comunque detenere.

buyer/seller Il «compratore» (buyer) è chi versa denaro per ricevere dal «ven-
ditore» (seller) un bene o un servizio. Nel «contratto forward» (forward con-
tract), il buyer è chi si impegna a pagare per ricevere un bene in futuro. Se il con-
tratto riguarda un’«opzione ordinaria» (standard option), il buyer è chi versa un
premio iniziale per avere il diritto di risolvere il contratto, mentre il seller è chi è
invece obbligato a rispettare il contratto se la controparte non ne chiede la risolu-
zione. In diversi derivati fuori standard (ad es. negli swaps), il buyer e il seller
sono più difficilmente identificabili. In questi casi si parla genericamente di “con-
troparti”.

C Valore corrente di una call.

C* Valore di una call alla data di scadenza.

Cud Valore di una call dopo un rialzo, seguito da un ribasso (alberi binomiali).

cov(x,y) Si veda covariance.

CAC-40 Index Indice basato sulle azioni di 40 delle 100 principali società quo-
tate alla Borsa di Parigi. È comparabile con il Dow Jones Industrial Average. Esi-
ste un mercato di borsa per la negoziazione di futures e opzioni scritti su
quest’indice.

363
DERIVATI

call (C, C*, Cu/Cd) Le opzioni ordinarie sono contratti per acquistare o vendere
una certa attività, ad un certo prezzo e ad una certa data (o entro una certa data),
in cui una sola delle due controparti può risolvere il contratto. Se il diritto di an-
nullare il contratto spetta alla parte che deve ricevere l’attività sottostante, l’op-
zione è di tipo call; se invece il diritto spetta alla parte che deve consegnare
l’attività sottostante, la opzione è di tipo put.
Le opzioni ordinarie sono simili ai forwards dato che hanno per oggetto una
futura compravendita il cui prezzo viene fissato ora. Nel caso delle opzioni, que-
sto prezzo viene chiamato «prezzo d’esercizio» (strike price). Il tempo mancante
alla scadenza dell’opzione è la «vita residua» (time-to-expiration). Le opzioni
differiscono dai forwards perché una delle controparti – il «compratore» (buyer)
– può annullare il contratto. Invece, la parte che ha “scritto” l’opzione – il «ven-
ditore» (seller) – è tenuta ad onorare il suo impegno. Dato che l’opzione rappre-
senta per lui un diritto, e non un obbligo, il compratore deciderà di annullare il
contratto se ciò è nel suo interesse. Invece, il venditore non ha questa facoltà e
deve onorare il contratto se il compratore decide di esercitare l’opzione. La facol-
tà di annullare il contratto ha in genere un valore. Pertanto, il compratore deve
pagare un corrispettivo [il «prezzo dell’opzione» (option price) o «premio»
(premium)] al venditore nel momento in cui l’opzione viene negoziata, anche se
la compravendita sottostante avverrà, eventualmente, in futuro.
Ad esempio, si consideri una call negoziata in borsa che consente di acquista-
re, tra 1 anno (vita residua), 100 azioni General Motors (GM) a $50 l’una (prezzo
d’esercizio o strike). Tra 1 anno, il compratore dell’opzione deciderà se utilizzare
la call per comprare le azioni oppure annullare il contratto. Se il prezzo dell’a-
zione GM sarà maggiore di $50 – ad es. $70 – deciderà senza dubbio di esercitare
l’opzione, costringendo così il venditore dell’opzione a cedergli le azioni a $50
l’una. Potrà poi vendere le azioni realizzando un profitto di $20 (= $70– $50) per
ogni azione venduta. Il profitto totale sarà pari a 100 volte questo importo, ossia a
$2.000 (= $20 × 100), dato che le calls negoziate in borsa gli permettono di com-
prare 100 azioni. Invece, se il prezzo dell’azione sarà minore di $50, il comprato-
re della call annullerà il contratto semplicemente limitandosi a non esercitare
l’opzione. Se davvero volesse comprare le azioni GM, gli converrebbe acquistar-
le direttamente sul mercato. Si noti che, se invece di una call avesse comprato un
forward, il compratore avrebbe dovuto pagare $50 per ogni azione anche nel caso
in cui il loro prezzo di mercato fosse risultato molto più basso, ad es. $30.
Gli strani nomi “call” e “put” derivano dalle operazioni che possono essere
effettuate da chi compra un’opzione. Il compratore di una call può “richiedere” il
sottostante al venditore mentre il compratore della put può “collocare” il sotto-
stante presso il venditore.

call provision Molte obbligazioni contengono un’«opzione di riacquisto» (call


provision), a favore della società, esercitabile ad un prezzo prefissato e a date pre-
fissate. Gli obbligazionisti hanno quindi venduto alla società una call che è partico-
larmente preziosa in caso di ribasso dei tassi d’interesse. La società può infatti riac-
quistare le obbligazioni al prezzo prefissato e rifinanziarsi a tassi più bassi.

364
GLOSSARIO

cap/floor Il cap (floor) è il livello massimo (minimo) del payoff di un derivato.


Ad esempio, un interest rate swap con un cap (floor) prevede un livello massimo
(minimo) per il tasso d’interesse variabile. Quando lo swap prevede sia un cap
sia un floor, si dice che contiene un collar. La principale caratteristica della port-
folio insurance è rappresentata dal floor, che pone un limite alle perdite.

cap option Un’opzione che forza l’esercizio nel momento in cui il prezzo del
sottostante tocca o attraversa una certa barriera.

capital asset pricing model (CAPM) Un modello d’equilibrio che descrive la


valutazione di attività finanziarie e derivati. Secondo il modello, il ritorno atteso
di un’attività (o di un derivato) è pari al «ritorno privo di rischio» (riskless re-
turn) più il prodotto tra una misura del rischio non diversificabile (il beta) e il
«premio al rischio» (risk premium) di mercato, definito come differenza tra extra
ritorno del «portafoglio di mercato» (market portfolio) e riskless return. Ossia:
Riskless return + Beta × Premio al rischio di mercato ex ante
Secondo il modello, il prezzo di mercato di un’attività è influenzato solo dal ri-
schio che non può essere eliminato detenendo un portafoglio ben diversificato (ad
es., il market portfolio). Questo rischio è detto “sistematico”, mentre il rischio
che può essere eliminato è detto “diversificabile” (o "rischio non sistematico").
William Sharpe ha vinto il Premio Nobel per l’Economia soprattutto per il
ruolo da lui svolto nello sviluppo del CAPM.

capping/pegging Le manipolazioni del prezzo del sottostante che forzano le


opzioni a finire out of the money o in the money sono dette, rispettivamente, cap-
ping e pegging. Se un investitore ha una posizione molto rilevante su un’opzione,
le perdite sul mercato spot che la manipolazione può causargli sono più che com-
pensate dai profitti sull’opzione. È questo uno dei motivi che giustificano i «limi-
ti di posizione» (position limits) e i «limiti di esercizio» (exercise limits).

cash Nella forma più semplice, le banconote e il contante. Le disponibilità li-


quide nel conto in banca rappresentano anch’esse «moneta» (cash) ma fruttano
interessi. Inoltre, i «vaglia» (money orders), gli strumenti negoziabili e i titoli
molto liquidi, come i Treasury bills a 30 giorni, vengono assimilati al cash. Non è
così per i titoli a lungo termine, come i T-bonds a 30 anni. Ogni strumento che
può essere prontamente trasformato in moneta a «corso legale» (legal tender)
senza un’apprezzabile variazione di valore può essere considerato cash.
Le principali caratteristiche dei titoli privi del rischio d’insolvenza sono (1) la
collocazione temporale dei payoffs e (2) la valuta di denominazione di capitale e
interessi. Il cash frutta il riskless return a brevissimo termine ed ha lo stesso pa-
yoff in ogni possibile stato futuro. Naturalmente, il cash è privo di rischio solo in
termini della valuta interna.

cash market Detto anche «mercato a pronti» (spot market), è il mercato dove
si hanno scambi immediati di attività contro moneta. Ad esempio, la New York
Stock Exchange è una buona approssimazione del cash market, dato che il pa-

365
DERIVATI

gamento e la consegna dei titoli avvengono in genere 3 giorni lavorativi dopo che
la transazione è stata eseguita. Si veda forward market.

cash settlement In genere le opzioni, se esercitate, comportano la consegna del


sottostante. Tuttavia, nel caso dei contratti scritti sullo S&P100 o sullo S&P500,
la «liquidazione per contanti» (cash settlement) sostituisce la consegna del porta-
foglio su cui è basato l’indice, che risulterebbe poco pratica. Con il cash settle-
ment, il buyer riceve un importo pari al prodotto tra 100 e la differenza tra il
prezzo spot dell’indice ed il prezzo d’esercizio.
Anche nel caso degli stock index futures la liquidazione − alla data di conse-
gna − avviene per contanti. Il venditore versa al compratore la differenza tra il
prezzo di chiusura dell’indice e il prezzo futures. In alcuni casi, il cash settlement
non è un’alternativa ma una necessità; ad esempio, quando il sottostante non è
un’attività ma solo un numero, come nel caso dei futures sull’indice dei prezzi al
consumo (un contratto introdotto nel 1985 dalla Coffee, Sugar and Cocoa Ex-
change e ora non più trattato) o dei futures su un indice delle catastrofi (il Prop-
erty Claims Services National Catastrophe Index).

cheapest-to-deliver Per ampliare l’offerta dei titoli al momento della consegna,


i Treasury bond futures consentono di consegnare uno qualsiasi dei titoli presen-
ti in un paniere di T-bonds con cedole e scadenze diverse. Il prezzo incassato dal-
la parte corta si basa sul prezzo futures moltiplicato per un fattore di conversione.
Questo fattore mira a rendere pressoché uguale il costo dei diversi titoli conse-
gnabili. In pratica, dato che l’aggiustamento non è perfetto, uno dei titoli del pa-
niere risulterà «più conveniente da consegnare» (cheapest-to-deliver).

cherry picking La pratica illegale consistente nell’attribuire le operazioni più


proficue ad un cliente piuttosto che ad un altro. Com’è stato riportato dalla stam-
pa, Hillary Clinton – prima che suo marito diventasse Presidente degli Stati Uniti
– ha realizzato profitti molto elevati utilizzando i futures su merci. Il suo broker
negoziava gli stessi futures per molti clienti nello stesso giorno. Si disse che a-
vrebbe potuto avvantaggiarla «cogliendo» (cherry-picking) le operazioni più pro-
ficue per attribuirle a lei piuttosto che agli altri clienti.

Chicago Board of Trade (CBOT) La più antica tra le quattro principali borse
statunitensi che trattano derivati, costituita nel 1848. Al CBOT e alla Chicago
Mercantile Exchange (CME) si negoziano futures e opzioni su futures. Per mol-
ti anni, queste borse hanno trattato solo futures su merci. Più di recente, nel 1972,
hanno cominciato a trattare anche futures puramente finanziari e quindi futures su
indici azionari, obbligazioni e valute. Ancora più di recente, nel 1982, hanno co-
minciato a negoziare opzioni su futures (che erano state vietate dal Commodity
Exchange Act del 1936).

Chicago Board Options Exchange (CBOE) La prima borsa a negoziare op-


zioni ed ora la più grande. Aprì cautamente nel 1973 trattando calls su 16 azioni
ordinarie. Subito dopo iniziò a trattare anche le puts, ampliò sostanzialmente il
numero delle azioni sottostanti e cominciò a trattare le opzioni su indici azionari.

366
GLOSSARIO

Chicago Mercantile Exchange (CME) Una delle quattro principali borse sta-
tunitensi che trattano derivati. Deriva dal Chicago Butter and Egg Board, costitui-
to nel 1874. Alla CME si negoziano futures e opzioni su futures. Si veda anche
Chicago Board of Trade.

chooser option (as-you-like-it option) Queste opzioni hanno un’identità incer-


ta, almeno inizialmente. Quando vengono acquistate non si sa se saranno opzioni
call o put. Ad una data prefissata, prima della scadenza, il compratore (o, in altri
casi, il venditore) deve decidere se l’opzione è una call o una put.

chumming I market makers o i locals hanno interesse ad attrarre gli ordini del
pubblico sui titoli a loro assegnati. Un modo per farlo è di creare una parvenza di
liquidità con negoziazioni incrociate che gonfiano i volumi scambiati. Una volta
che gli ordini arrivano, i floor traders possono incassare il bid-ask spread. Questa
pratica illegale è detta «inciucio» (chumming).

churning Pratica illegale operata dai brokers che, generando ampi volumi di
negoziazioni (con pochi o nulli benefici per il cliente), si arricchiscono a loro
spese. Sebbene illegale l’«eccesso di rotazione» (churning) è difficile da dimo-
strare. Verso la fine degli anni ‘80, alcuni intermediari finanziari hanno offerto
piani d’investimento che prevedevano commissioni su opzioni pari al 25%-40%
dei premi e la rotazione dei portafogli ogni 2-10 settimane. Ad esempio, un clien-
te con un piano da $5.000 e commissioni pari al 25%, avrebbe pagato $1.000 in
commissioni, investendo in effetti solo $4.000. Se fosse riuscito ad andare in pa-
ri, due settimane dopo avrebbe pagato altri $800 in commissioni, reinvestendo
solo $3.200. Per riavere a fine anno i $5.000 iniziali, il tasso di rendimento a-
vrebbe dovuto essere pari al 21.000%! Tale fu l’ingenuità dei clienti e
l’ambiguità delle tecniche di marketing che decine di migliaia di investitori per-
sero centinaia di milioni di dollari.

clearing house I contratti che vengono negoziati sul floor della borsa sono ga-
rantiti da una «stanza di compensazione» (clearing house), controllata da una o
più borse. I soci della clearing house possono «compensare le negoziazioni»
(clear trades) ossia inoltrare le transazioni alla clearing house. La clearing house
abbina gli ordini di acquisto e di vendita dello stesso contratto. Le negoziazioni le
cui descrizioni, inoltrate dalle due controparti, non collimano sono chiamate out
trades. Questi discordanze vengono in genere riconciliate prima dell’apertura del
mercato. I regolamenti per contanti tra le controparti avvengono attraverso la
clearing house, che si comporta come un intermediario. Dato che ad ogni acqui-
sto corrisponde sempre una vendita, il saldo dei pagamenti effettuati attraverso la
clearing house è sempre nullo, se si trascura una piccola «commissione di com-
pensazione» (clearing fee) e si assume che non vi siano insolvenze. Una volta
che la negoziazione è stata effettuata, la clearing house si interpone tra i due con-
traenti sollevando entrambi dal rischio che la controparte risulti insolvente.

clearing margin La solvibilità della clearing house è assicurata, oltre che dalle
sue attività, dai «depositi di garanzia» (clearing margins) dei soci, da un fondo di

367
DERIVATI

garanzia e dai «diritti di prelievo» (drawing rights) nei confronti dei soci. Nel
caso di una forte variazione dei prezzi, la clearing house può richiedere ai soci
più esposti di integrare i depositi di garanzia. In genere, i versamenti devono es-
sere effettuati entro un’ora dalla «richiesta di integrazione» (margin call). Anche
l’importo che va depositato all’apertura di nuova posizione, detto «margine ini-
ziale» (initial margin), può essere modificato con breve preavviso. Queste proce-
dure assicurano ai derivati di borsa una notevole integrità finanziaria.

cliquet/shout Alcune «opzioni esotiche» (exotic options) consentono di bloc-


care l’utile che si poteva realizzare con il tempestivo esercizio di un’opzione or-
dinaria. Queste opzioni pongono un «limite inferiore» (floor) al payoff. Nelle
«opzioni a grimagliera» (cliquet options) e nelle «opzioni gridate» (shout op-
tions) il floor è pari alla differenza tra il prezzo dell’azione e lo strike: nel caso
delle cliquets viene determinato ad una data prefissata, mentre nel caso delle
shouts viene determinato quando il compratore decide di “gridare” il prezzo.

closed-end investment fund I «fondi comuni d’investimento chiusi» (closed-


end investment funds) sono portafogli gestiti che vengono trattati come attività a
sé stanti. Sono controllati dalla Securities and Exchange Commission in base
all’Investment Company Act del 1940. Spesso sono quotati in borsa ad un prezzo
inferiore al valore patrimoniale delle attività. Uno dei motivi della quotazione a
sconto è che essi offrono agli investitori opzioni fiscali di minor valore rispetto a
quelle disponibili nel caso di un investimento diretto nelle azioni del fondo. In
quest’ultimo caso, gli investitori possono dedurre le perdite sulle singole azioni,
mentre nel primo possono dedurre solo le perdite sull’intero portafoglio. Siamo
di fronte ad una verità generale in tema di opzioni: un portafoglio di opzioni su
singoli titoli vale più di un’opzione sull’intero portafoglio.

collar (mini-max option) Un esempio di «pacchetto» (package), il tipo più


semplice di opzione esotica. Il «colletto» (collar) ha lo stesso payoff del sotto-
stante ma con un minimo (floor) ed un massimo (cap). Può essere replicato com-
prando uno zero-coupon bond con valore nominale pari al floor, comprando una
call con strike pari al floor e vendendo una call con strike pari al cap.

collateralised mortgage obligation (CMO) Una variante delle mortgage-


backed securities. Nei CMOs, il pool di mutui è ripartito in tranches che asse-
gnano agli investitori diritti sequenziali, piuttosto che pro rata, rispetto al rimbor-
so del capitale investito. All’interno di ogni tranche, gli investitori ricevono gli
interessi pro rata, ma il rimborso del capitale viene innanzitutto effettuato a favo-
re della prima tranche, finché il debito non è estinto, poi a favore della seconda
tranche, quindi a favore della terza, e così via.

Comex La più grande borsa statunitense per la negoziazione di futures e opzio-


ni su metalli. Nota una volta come Commodity Exchange, è una divisione della
New York Mercantile Exchange.
commodity futures funds Fondi a gestione attiva che investono in futures e
opzioni su merci. È bene che gli investitori si avvicinino a questi fondi con atten-

368
GLOSSARIO

zione. I «fondi di futures su merci» (commodity futures funds) sono gravati da


elevate commissioni di gestione, pari a circa il 19% annuo. La performance an-
che dei migliori tra questi fondi è difficile da giudicare a causa di una forte «di-
storsione da sopravvivenza» (survivorship bias). Infatti, i fondi offerti agli inve-
stitori sono quelli che hanno avuto i migliori risultati, forse solo per caso. Di
quelli meno fortunati non se ne sente parlare perché escono dal mondo degli affa-
ri. Pertanto, la performance osservata in passato può essere una guida pericolosa
per il futuro.

Commodities Futures Trading Commission (CFTC) Creata nel 1974, in


base ad emendamenti del Commodity Futures Trading Act, ha la responsabilità
del funzionamento dei mercati dei futures ma non è lei che fissa i livelli minimi
dei depositi di garanzia, materia che resta di competenza delle singole borse.

competitive market Un mercato in cui tutti i buyers e i sellers (o, più gene-
ralmente, le controparti) non colludono ed agiscono come se le loro operazioni
avessero effetti trascurabili sui prezzi. Si ha quindi un «mercato concorrenziale»
(competitive market) anche se i partecipanti ne possono influenzare i prezzi ma la
loro influenza è lieve o non è comunque alla base della transazione.

competitive market-maker system Nel sistema dei market makers, gli ordini
del pubblico vengono passati ai floor brokers che, mediante «aste alle grida» (o-
pen outcry auctions) condotte nei trading pits, li associano ad ordini di segno op-
posto di altri floor brokers o di market makers. Diversamente dal sistema degli
specialists, in cui – per ogni trading pit – c’è un solo specialist, nel sistema dei
market makers diversi operatori competono l’uno contro l’altro. Le informazioni
relative agli ordini con limite di prezzo vengono curate da un «funzionario addet-
to al libro ordini» (order book official), che le rende disponibili a tutti i traders.

complete/incomplete market Se il numero dei modi per ottenere i possibili


payoffs uguaglia il numero di stati, possiamo realizzare un qualsiasi payoff. In que-
ste circostanze, gli economisti finanziari dicono che il mercato è completo. In base
al secondo teorema fondamentale dell’economia finanziaria, le probabilità neu-
trali verso il rischio sono uniche se e solo se il mercato è completo.

compound option Un’opzione il cui sottostante è esso stesso un’opzione; ad


esempio, una call scritta su un’altra call.

contango Si dice che il futures è in «riporto» (contango) se la base è positiva


(F > S). La base è la differenza tra il prezzo futures, F, e il prezzo spot, S (tende a
zero con l’avvicinarsi della data di consegna). Questa è la situazione normale sia
per i metalli preziosi, dato che F = Sr t e r > 1, sia per gli indici azionari, dato che
F = S (r/d) t e r > d. Si dice che il futures è in contango anche quando l’intera
term structure dei prezzi futures è inclinata positivamente.

contingent claim I derivati sono anche noti come «diritti contingenti» (contin-
gent claims) dato che i loro payoffs dipendono da eventi relativi alle variabili sotto-
stanti.

369
DERIVATI

contingent-premium option Le «opzioni a premio contingente» (contingent-


premium options) possono essere di due tipi: le «opzioni con rimborso» (money-
back options) e le «opzioni a premio differito» (pay-later options). Il compratore
di una money-back call riceve lo stesso payoff di una call ordinaria, ma, se la call
ha un payoff positivo, riceve anche un rimborso pari al premio pagato. Il compra-
tore di una pay-later call paga il premio (alla scadenza) solo se il payoff della
corrispondente call ordinaria è positivo. È questo un esempio di zero-cost option.

contract Accordo volontario tra due o più parti per lo scambio di denaro, attivi-
tà, titoli o servizi. Perché sia valido, occorre che le parti abbiano titolo per assu-
mersi i reciproci impegni che formano oggetto del contratto.

convenience yield (y) Chi possiede una merce come il petrolio gode di un «tas-
so di convenienza» (convenience yield). La disponibilità della merce gli consente di
poterla utilizzare per fini di consumo o di produzione. È il convenience yield che
determina gli estremi entro cui può oscillare il prezzo futures.

convergence Con riferimento ai futures, la «convergenza» (convergence) è il


processo di graduale avvicinamento tra il prezzo futures e il «prezzo a pronti»
(spot price) entro la data di consegna.

conversion right In molti casi, gli obbligazionisti hanno un «diritto di conver-


sione» (conversion right), che consente loro di convertire i titoli in azioni della so-
cietà, ad un prezzo prefissato. Questa caratteristica permette agli obbligazionisti di
partecipare alle fortune della società se il prezzo dell’azione dovesse aumentare.

convexity Un modo per migliorare la duration è quello di tener conto della


sensibilità della duration rispetto al tasso di rendimento effettivo. In base
all’espansione in «serie di Taylor» (Taylor-series), sia ha che ∂B è pari a:
∂B = (∂B / ∂y )∂y + 2 (∂ 2 B / ∂y 2 )(∂y ) 2 + ...
1

Dividendo entrambi i lati per B, si ottiene:


∂B / B = (∂B / ∂y )(1 / B )∂y + 2 (∂ 2 B / ∂y 2 )(1 / B )(∂y ) 2 + ...
1

Il termine (∂2B/∂y2)(1/B), chiamato «convessità» (convexity), misura la sensibilità


della duration rispetto al tasso di rendimento effettivo. Pertanto:
∂B / B = (− Duration modificata )∂y + 2 (Convessità )(∂y 2 ) + ...
1

cornering the market Quando un gruppo di investitori tenta di monopolizzare


l’offerta di una merce per poterne controllare il prezzo, si dice che essi cercano di
«mettere il mercato alle corde» (cornering the market). Uno degli esempi più fa-
mosi è stato quello dei fratelli Hunt che, verso la fine degli anni ‘70, accumularo-
no enormi posizioni lunghe sui mercati spot e futures dell’argento. Da circa $9
per oncia nel luglio 1979, il prezzo dell’argento passò a $35 entro la fine
dell’anno, mentre i fratelli Hunt controllavano 195 milioni di once, ossia circa il
15% delle riserve mondiali. A metà gennaio del 1980, il prezzo futures superò i

370
GLOSSARIO

$50. I fratelli Hunt non furono però in grado di mantenere il controllo del merca-
to e persero miliardi di dollari. A fine marzo del 1980 il prezzo scese a $11 e i
fratelli Hunt dovettero far ricorso alle procedure fallimentari.

corporate bond Le «obbligazioni societarie» (corporate bonds) sono titoli


provvisti di cedole che promettono la restituzione del capitale. A volte incorpora-
no opzioni che non sono esplicite. Un buon esempio è rappresentato dalle «op-
zioni d’insolvenza» (options to default). Queste opzioni vengono implicitamente
esercitate quando la società non onora gli impegni sul debito in essere. In caso
d’insolvenza, anche se gli obbligazionisti hanno nominalmente il diritto di assu-
mere il controllo dell’impresa, spesso le società vengono ristrutturate e i vecchi
azionisti continuano ad esercitare una certa influenza.

correlation La covarianza ha l’inconveniente di essere espressa in $2. Il modo


più comune per riproporzionarla è di dividerla per il prodotto tra le deviazioni
standard delle due variabili casuali. Questa misura “scalata” di covarianza è detta
«correlazione» (correlation): corr(X,Y) = cov(X,Y)/[std(X) std(Y)]. Si può dimo-
strare che la correlazione è sempre compresa tra −1 e +1 e che è rappresentata da
un numero puro, essendo definita come rapporto tra $2 e $2. Se la correlazione tra
X e Y è pari a 1, si dice che le due variabili sono “perfettamente correlate”.

cost of carry Per coprire una posizione corta su futures si può comprare a pron-
ti l’attività sottostante. I costi connessi con la posizione spot, inclusi gli interessi
e i costi d’immagazzinamento, rappresentano il cosiddetto «costo di trasferimen-
to» (cost of carry). I payouts vanno a compensare il cost of carry.

covariance [cov(x, y)] La «covarianza» (covariance) è una misura statistica


che cattura in un solo numero l’intensità con cui due variabili si muovono insieme.

covered call La vendita di una call combinata con l’acquisto dell’attività sotto-
stante. Rappresenta la posizione più comune tra quelle che riguardano le opzioni
e le attività sottostanti. Una call venduta è detta semplicemente uncovered call.

credit (o counterparty) risk Il rischio che l’altra parte di un contratto non ono-
ri i suoi impegni. In genere il counterparty risk coincide con il «rischio
d’insolvenza» (default risk): l’incapacità di effettuare pagamenti a causa del «fal-
limento» (bankruptcy). Lo scopo principale della clearing house e del marking
to market è quello di ridurre il counterparty risk.

credit spread/debit spread Esistono due tipi di (bull o bear) spreads: i credit
spreads che comportano un incasso e i debit spreads che comportano un esborso.
Ad esempio, i bear spreads mediante calls sono in genere credit spreads men-
tre i bear spreads mediante puts sono in genere debit spreads.

cross-hedge risk Spesso non è possibile trovare un futures scritto sull’attività


che si vuole proteggere. In tal caso, possiamo utilizzare un futures scritto su
un’attività fortemente correlata con l’attività da coprire, ma ci esponiamo al «ri-
schio incrociato» (cross-hedge risk). Ad esempio, dato che non ci sono futures

371
DERIVATI

sullo S&P100, se vogliamo coprirci dallo S&P100 possiamo utilizzare i futures


sullo S&P500
Nel caso della portfolio insurance, la replica mediante futures funziona bene
quando il portafoglio da assicurare coincide con il portafoglio su cui è scritto il
futures. Altrimenti, il cross-hedge risk tra il futures ed il sottostante aggiunge ul-
teriore incertezza al risultato finale. Comunque, anche se non è disponibile il con-
tratto futures ideale, possiamo però cercare di formare un portafoglio di futures –
differenti tra loro – che risulti fortemente correlato con il portafoglio di riferi-
mento.

cross-trading Pratica illegale attuata da un market-maker. Consiste nell’ac-


quistare e vendere lo stesso contratto per lo stesso importo e lo stesso prezzo.

cuffing Rinviare l’esecuzione di un ordine per favorire un altro cliente.

cum-payout/ex-payout Il payoff diagram più semplice è quello relativo


all’attività sottostante. In tal caso, il valore finale «al netto dei dividendi staccati»
(ex-payout o ex-dividend nel caso delle azioni) è pari al prezzo dell’attività ed è
rappresentato da una linea inclinata di 45° che passa per l’origine. Il valore finale
«comprensivo dei dividendi staccati» (cum-payout) è invece rappresentato da una
linea che, rispetto alla precedente, è spostata verso l’alto in misura pari ai divi-
dendi staccati. Nel caso delle azioni, la «data di registrazione» (date of record) è
la data alla quale gli investitori devono ufficialmente detenere le azioni per aver
diritto ai dividendi. In genere, ricevono i dividendi gli azionisti che detengono le
azioni 5 giorni prima, dato che ci vogliono 5 giorni per accertare se la proprietà
delle azioni è cambiata. Pertanto, la data in cui le azioni quotano ex-dividend pre-
cede di 5 giorni quella del pagamento.

currency swap Diversamente dai plain-vanilla interest rate swaps, gli «swaps
su valute» (currency swaps) prevedono non solo lo scambio degli interessi ma
anche dei capitali. Supponiamo che la società americana A voglia finanziarsi in
sterline e che la società inglese B voglia finanziarsi in dollari. Essendo ben nota
negli Stati Uniti, A può finanziarsi in dollari ad un tasso più basso di B, mentre B,
essendo ben nota nel Regno Unito, può finanziarsi in sterline ad un tasso più bas-
so di A. Pertanto, se A e B, dopo essersi finanziate rispettivamente in dollari e in
sterline, entrano in uno swap in cui pagano, rispettivamente, sterline e dollari,
entrambe le società possono trarre beneficio dalle migliori condizioni ottenute sui
finanziamenti denominati nelle rispettive valute.

currency-translated option Le «opzioni su attività in valuta estera e payoff in


valuta interna» (currency-translated options) consentono di investire nei mercati
azionari esteri e di graduare il rischio di cambio.

∆ Il delta di un derivato (∆ = 1 per le attività, ∆ = 0 per la moneta).

day trader/scalper Alcuni market makers, detti scalpers, cercano di guada-


gnare il bid-ask spread comprando ad un prezzo un po’ più basso di quello a cui

372
GLOSSARIO

vendono. In genere, questi operatori sono day traders, nel senso che chiudono le
posizioni nello stesso giorno in cui le aprono, in modo da essere «pareggiati»
(flat) dopo la chiusura. Nonostante il margine d’intermediazione su ogni coppia
di transazioni, questi operatori migliorano la liquidità del mercato.

debit spread Si veda credit spread/debit spread.

deep in-the-money/deep out-of-the-money Una call (put) il cui prezzo d’e-


sercizio è molto minore (maggiore) del prezzo corrente del sottostante è detta
deep in the money. Una call (put) il cui prezzo d’esercizio è molto maggiore (mi-
nore) del prezzo corrente del sottostante è detta deep out of the money.

delivery date La data in cui il venditore di un forward deve effettuare la con-


segna, a meno che non abbia chiuso la posizione in precedenza risolvendo il con-
tratto. La «data di consegna» (delivery date) è anche detta «data di scadenza»
(maturity date) o, più genericamente, «data di pagamento» (payoff date).

delivery price Il prezzo, concordato tra compratore e venditore di un forward o


di un futures, per il futuro scambio di una certa attività. Il «prezzo di consegna»
(delivery price) è in genere diverso dal «prezzo a pronti» (spot price) della stessa
attività. Va anche distinto dal «prezzo forward» e dal «futures price», ossia dai
prezzi che rendono nullo il valore del contratto forward e del contratto futures. In
genere, nei contratti forward il prezzo di consegna ed il prezzo forward coincido-
no solo all’origine. Nei contratti futures, il prezzo di consegna viene aggiustato
alla fine di ogni giorno lavorativo in modo da annullare il valore del contratto; in
quel momento il prezzo di consegna ed il prezzo futures coincidono.

delta (δ) La sensibilità del valore del derivato rispetto al prezzo del sottostante.
È pari al numero di unità del sottostante da inserire nel «portafoglio equivalente»
(replicating portfolio). Il valore corrente di un’opzione è pari al prodotto tra il
delta ed il prezzo corrente del sottostante meno l’importo del finanziamento che
figura nel portafoglio equivalente.
Il delta di un portafoglio di derivati scritti sulla stessa attività sottostante è la
media ponderata dei delta dei singoli derivati in portafoglio. Il delta del portafo-
glio misura l’esposizione del portafoglio a piccole variazioni del prezzo
dell’attività sottostante. Ad esempio, se il delta del portafoglio è pari a −145, il
portafoglio equivale ad una posizione corta su 145 unità dell’attività sottostante.
Il segno del delta del portafoglio indica se il portafoglio è attualmente lungo (del-
ta positivo) o corto (delta negativo). I portafogli delta positivi (negativi) sono ap-
propriati per gli investitori che hanno aspettative rialziste (ribassiste) circa il
prezzo dell’attività sottostante. Se il delta del portafoglio è nullo, il portafoglio
non è localmente né lungo né corto: si dice che il portafoglio è «neutrale rispet-
to al delta» (delta-neutral).
Il delta è un parametro così importante che gli option traders vogliono
anche sapere di quanto il delta si modifica quando il prezzo del sottostante cam-
bia. Questa derivata seconda è chiamata gamma.

373
DERIVATI

derivative I «derivati» (derivatives) sono contratti tra due soggetti che specifi-
cano le condizioni − in particolare, le date ed i valori delle variabili fondamentali
– in base alle quali si determinano i pagamenti, o payoffs, che verranno effettuati
tra le controparti.

diagonal spread Gli spreads che combinano due opzioni dello stesso tipo con
strikes diversi e scadenze diverse sono chiamati «spreads diagonali» (diagonal
spreads).

differential (o diff) swap Un interest rate swap in cui il tasso variabile deno-
minato in una valuta viene scambiato con il tasso variabile denominato in un’altra
valuta ma entrambi i tassi vengono applicati ad un unico capitale nozionale.

diversification Si ha «diversificazione» (diversification) quando si scelgono


titoli con correlazione meno che perfetta, in modo da ridurre il rischio del porta-
foglio.

Dow Jones Industrial Average (DJIA) Basato su 30 titoli, il DJIA è il più an-
tico e più noto indice azionario statunitense. Diversamente dallo S&P500, il DJIA
viene calcolato semplicemente sommando i prezzi di mercato dei suoi 30 titoli
senza ponderarli per il numero delle azioni in circolazione. Nel 1997, la Dow Jo-
nes & Company, che è proprietaria del marchio DJIA, ha dato il suo benestare
alla negoziazione di derivati basati sul suo indice.

down-tick/up-tick Si ha un down-tick (up-tick) quando la transazione avviene


ad un prezzo minore (maggiore) del precedente. Negli Stati Uniti, le «vendite allo
scoperto» (short sales) di azioni sono permesse solo dopo un up-tick.

dual-purpose fund Un fondo d’investimento chiuso con scadenza prefissata e


due tipi di quote. Le quote del primo tipo (income shares) beneficiano di tutto il
reddito percepito dal fondo e di un pagamento finale pari al minimo tra il «prezzo
di riscatto» (redemption price) e il «valore patrimoniale netto» (net asset value)
del fondo. Le quote del secondo tipo (capital shares) non ricevono nulla fino alla
scadenza, allorché ricevono il valore residuo del fondo dopo il rimborso delle
income shares. Pertanto, le capital shares sono simili a calls (non protette contro
i payouts) con prezzo d’esercizio pari al redemption price delle income shares.

duration-based hedge ratio La duration viene spesso utilizzata per “calibrare”


le coperture dei portafogli obbligazionari. Ad esempio, supponiamo di voler co-
prire la posizione su un titolo con prezzo Bl e duration D1 assumendo una posi-
zione su un titolo con prezzo B2 e duration D2. Le variazioni di prezzo conse-
guenti ad una piccola variazione, ∂y, dei tassi di rendimento effettivi saranno ∂B
= –B1(D1/y) ∂y e ∂B2 = –B2(D2/y) ∂y. Il problema del «ricopertista» (hedger) è
quello di determinare il numero, n, dei titoli del secondo tipo che renderebbe nul-
la la variazione di valore osservabile in seguito ad una variazione dei tassi di ren-
dimento. In altri termini, occorre determinare il valore di n che soddisfa l’e-
quazione ∂B1 + n∂B2 = 0. Sostituendo, –B1(D1/y) ∂y + n(–B2(D2/y) ∂y) = 0. Risol-

374
GLOSSARIO

vendo questa equazione rispetto a n si ha n = –(B1D1)/(B2D2). Questo valore è


detto «rapporto di copertura basato sulla duration» (duration-based hedge ratio).
Fa sì che la duration dell’intera posizione sia nulla.

duration/modified duration (D) La «durata finanziaria» (duration) è una mi-


sura del tempo medio mancante ai pagamenti previsti da un’obbligazione. Ogni
data viene ponderata con la frazione del valore attuale del titolo che è dovuta al
pagamento effettuato in quella data.

dynamic asset allocation Gli approcci seguiti dagli investitori istituzionali per
gestire i loro portafogli si basano in genere sul tradeoff tra ritorno atteso e rischio
(che è in genere misurato dalla varianza dei ritorni). L’approccio media-varianza
ha però due limiti fondamentali: il rischio viene sintetizzato da un solo parametro
(mentre, in effetti, ha molte dimensioni); inoltre, l’approccio trascura il fatto che
la composizione del portafoglio potrà essere poi rivista. La dynamic asset alloca-
tion generalizza l’approccio media-varianza per superarne i limiti. Affronta il
problema fondamentale dell’asset allocation – quello di ripartire un certo patri-
monio tra moneta e portafoglio di mercato – data una payoff function obiettivo
(ovvero una distribuzione soggettiva di payoffs) ad una certa scadenza. Il pro-
blema affrontato consiste nel replicare una certa payoff function utilizzando op-
zioni e strategie dinamiche nonché nel determinare l’investimento corrente mi-
nimo che consenta di raggiungere quest’obiettivo con una «strategia che si auto-
finanzia» (self-financing strategy). In genere, se il mercato dei derivati è suffi-
cientemente ampio, gli obiettivi della dynamic asset allocation possono essere
raggiunti con una «replica statica» (static replication). In effetti, se la payoff line
è rappresentata da una spezzata, si può costruire un portafoglio composto da mo-
neta, sottostante ed opzioni europee che replichi esattamente il payoff desiderato.

dynamic replication Si veda replicating portfolio.

EAFE (Europe and Australasia, Far East Equity Index) Un indice azionario
internazionale gestito da Morgan Stanley. Esistono futures e opzioni scritti su
questo indice.

efficient market Un mercato che riflette tutta l’informazione che è possibile


ottenere a costi ragionevoli e che è lecito utilizzare. In base a questa definizione,
dobbiamo escludere, ad esempio, il fatto che la vostra casa è posizionata sopra
una ricca miniera d’oro se il valore attuale degli utili attesi da questa scoperta
fosse inferiore ai costi da sostenere. Dobbiamo anche escludere le «informazioni
riservate» (insider information). A causa dei «costi di transazione» (trading
costs) può anche non convenire negoziare sulla base di informazioni scarsamente
rilevanti. Anche in assenza di queste transazioni, il mercato può essere efficiente.

elbow trading Gli ordini che giungono al trading pit dovrebbero essere esegui-
ti in un’asta alle grida aperta a tutti i traders. Un modo per privare il cliente del
prezzo equo risultante da questo meccanismo competitivo è quello di partecipare

375
DERIVATI

ad una «negoziazione disgiunta» (elbow trade), in cui due traders vicini l’un
l’altro nel trading pit eseguono privatamente l’ordine senza mostrarlo agli altri.

employee stock options (ESOs) Le «opzioni di incentivazione per i dipenden-


ti» (employee stock options) vengono emesse dalle società per remunerare i di-
pendenti. Come i warrants, incorporano il diritto a comprare – dalla stessa socie-
tà – un certo numero di azioni, ad un prezzo prefissato, entro 5-10 anni. Rispetto
ai warrants, hanno però peculiarità che ne rendono più complessa la valutazione.
Il prezzo d’esercizio viene definito nella «data di assegnazione» (grant date), ma
gli assegnatari non possono esercitare le opzioni prima della «data di vestizione»
(vesting date), che cade di solito 2-3 anni dopo. Se lasciano la società prima della
vesting date, gli assegnatari devono abbandonare le opzioni non vestite. Dopo la
vesting date, sono liberi di esercitarle quando vogliono, ma, se poi lasciano la
società, sono costretti a scegliere tra l’abbandono e l’esercizio immediato.
Ciò che rende le employee stock options particolarmente difficili da valutare
è che non possono cedute ad altri né prima né dopo la vesting date (fatta eccezio-
ne per i casi di divorzio o morte, quando diventano parte dell’asse ereditario). Le
società pongono queste restrizioni per far sì che le opzioni non perdano la loro
funzione di incentivazione. L’intrasferibilità delle ESOs rende queste opzioni
molto diverse dalle opzioni negoziate in borsa e dai warrants.

equity swap Negli «swaps su azioni» (equity swaps), i dividendi e i capital


gains relativi ad un indice azionario vengono scambiati con gli interessi.

Eurodollars/Eurodollar futures Gli eurodollari sono dollari statunitensi depo-


sitati dalle banche presso banche estere, soprattutto a Londra e nell’Europa conti-
nentale. Diversamente dai T-bills, che quotano a sconto, i depositi di eurodollari
prevedono il pagamento posticipato degli interessi. Supponiamo di investire
$1.000.000 a 90 giorni in eurodollari, ad un Libor dell’8 per cento. Dopo 90 giorni,
il payoff sarà pari a $1.000.000 + $1.000.000 × 0,08 × (90 / 360) = $1.020.000. Si
noti che il tasso di rendimento effettivo dell’investimento è diverso dal Libor. È
infatti pari a ($1.020.000 / $1.000.000)365 / 90 – 1 = 8,36%.
I «futures su eurodollari» (Eurodollar futures) sono i futures più scambiati al
mondo. Il venditore di uno Eurodollar futures con scadenza tra 180 giorni si im-
pegna nominalmente a consegnare tra 180 giorni il valore di un deposito di
1.000.000 di eurodollari a 90 giorni. Analogamente ai futures su Treasury bills, i
prezzi dei futures su eurodollari sono quotati a sconto. Ad esempio, se il prezzo
futures effettivo fosse pari a 98,50, il prezzo futures quotato sarebbe pari a 100 –
(360 / 90) × (100 – 98,50) = 94,00. Nonostante l’apparente similarità, i futures su
eurodollari differiscono dai futures su T-bills per un altro importante aspetto. Il
futures si conclude con la consegna di un T-bill a 90 giorni. Invece, il futures su
eurodollari viene liquidato per contanti sulla base di un prezzo futures effettivo
pari a 100 – (90 / 360)R, dove R è il Libor a 90 giorni rilevato alla scadenza.

European option Un’opzione che può essere esercitata solo alla scadenza. Si
veda American option.

376
GLOSSARIO

exchange Le borse sono organismi centralizzati nei cui «recinti» (trading pits)
gli acquirenti e i venditori (o i loro rappresentanti) si incontrano. Le borse vendo-
no i propri «seggi» (seats) e chi li acquista ha diritto a negoziare sul suo
«parterre» (floor). Ogni seggio può essere intestato ad un solo floor trader. In
ultima analisi, le due controparti della maggior parte delle operazioni concluse in
borsa sono rappresentate da un «socio» (member) che acquista e da un altro socio
che vende. Esiste un mercato secondario dei seggi. Negli anni più recenti, il prez-
zo dei seggi delle principali borse è oscillato tra $500.000 e $1.500.000. Gli ex-
change members possono essere suddivisi in 5 tipologie: floor brokers o com-
mission brokers, che negoziano solo per conto del pubblico; market-markers o
locals, che negoziano solo per proprio conto ed hanno l’obbligo di “fare merca-
to”; specialists, che possono negoziare per proprio conto o per conto del pubblico
e che hanno l’obbligo di “fare mercato”; registered option traders, che possono
negoziare per proprio conto o per conto del pubblico e che non hanno l’obbligo
di “fare mercato”; e proprietary members, che negoziano per proprio conto, in
genere passando gli ordini per via elettronica lontano dal floor, e che non hanno
l’obbligo di “fare mercato”.

exchange for physicals (EFP) Uno dei tre modi in cui vengono chiuse le posi-
zioni su futures. Mediante l’EFP, i futures possono essere chiusi con la consegna
del sottostante anche prima del periodo previsto dalla borsa (se c’è accordo tra
compratore e venditore). Inoltre, le parti possono convenire che la consegna ven-
ga effettuata in una località diversa da quella standard e che la qualità sia diversa
da quella standard. Spesso gli EFPs sono più diffusi delle consegne standard.

exchange rate I tassi di cambio delle valute estere possono creare confusione
perché alcuni sono definiti come rapporto tra valuta interna e valuta estera mentre
altri sono definiti come rapporto tra valuta estera e valuta interna. Ad esempio, il
tasso di cambio della sterlina è quasi sempre definito in termini di dollari per
sterlina; se occorrono $1,70 per comprare una sola sterlina, il tasso di cambio è
1,70. Molte altre valute sono invece quotate in termini di valuta estera per dolla-
ro. Un esempio è dato dal dollaro canadese, quotato come CAD/USD. Così, se
occorrono USD5 per comprare CAD7, il tasso di cambio è 1,40 (= 7 / 5).

exercisable value/premium over exercisable value Il prezzo di un’«opzione


americana» (American option) può essere diviso in due componenti: il ricavo in
caso di immediato esercizio; e il valore aggiuntivo dovuto al fatto che l’esercizio
può essere rinviato. La prima componente rappresenta il «valore intrinseco» (in-
trinsic value) e la seconda il «valore temporale» (time value).
È facile capire perché il time value debba essere positivo. Consideriamo
un’opzione at the money (S = K). Il suo valore intrinseco è nullo. Eppure gli inve-
stitori pagheranno certamente un prezzo per l’opzione, dato che non hanno nulla
da perdere ma possibilmente qualcosa da guadagnare. Inoltre, il time value di
un’opzione americana non può mai essere negativo perché, attraverso l’esercizio,
il possessore dell’opzione può impedire che ciò accada. Tuttavia, il time value
può essere nullo e ciò indica che è giunto il tempo di esercitare l’opzione.

377
DERIVATI

exercise L’esercizio rappresenta uno dei 3 modi per chiudere una posizione su
opzioni. In caso d’esercizio, il portatore della call paga lo strike e riceve il sotto-
stante, mentre il portatore della put riceve lo strike e consegna il sottostante. Con
l’esercizio, gli obblighi e i diritti di compratore e venditore si estinguono. Le op-
zioni che possono essere esercitate in un qualsiasi momento della loro vita sono
dette «opzioni americane» (American options) mentre quelle che possono essere
esercitate solo alla scadenza sono dette «opzioni europee» (European options).

exercise limits Limiti, fissati dagli organi di vigilanza, che riguardano la di-
mensione delle posizioni su derivati. Si veda position limits/exercise limits.

exotic option (“exotic”) Un’«opzione esotica» (exotic option) è un’opzione


che è di solito simile ad un’opzione ordinaria ma ha qualche particolarità. Ad e-
sempio, la lookback option ha un payoff che dipende non solo dal prezzo finale
del sottostante ma anche dal prezzo minimo o massimo rilevato durante la vita
dell’opzione. Si tratta di una path-dependent option. Queste opzioni sono più
difficili da valutare rispetto alle calls e puts ordinarie (europee o americane).

ex-payout Si veda cum-payout/ex-payout.

Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC) Un’agenzia federale creata


nel 1933 dal Parlamento degli Stati Uniti al fine di garantire i depositi presso isti-
tuti bancari come le member banks e le thrift institutions. L’importo garantito è
attualmente pari a $100.000 per conto. La FDIC interviene anche per garantire
l’integrità finanziaria delle banche associate. Ad esempio, può fornire la propria
assistenza nella fusione tra una banca debole ed una banca forte. Inoltre, la FDIC
vende alle banche opzioni put che consentono di cedere allo Stato – a certe con-
dizioni – le loro passività per depositi a vista e di risparmio. Anche se tutte le
banche pagano per avere queste opzioni, non è chiaro perché il premio debba es-
sere uguale per tutte, dato che alcune banche sono più rischiose di altre.

Federal Home Loan Mortgage Corporation (FHLMC) Un’agenzia quasi-


governativa che compra mutui residenziali, li raggruppa e li rivende come mort-
gage-backed securities. Le sue azioni sono detenute dalle casse di risparmio sta-
tunitensi. Le garanzie offerte sono di alta qualità ma manca la garanzia diretta del
governo federale. Il soprannome di FHLMC è “Freddie Mac”.

Federal National Mortgage Association (FNMA) Creata nel 1938 come so-
cietà a capitale pubblico, la FNMA viene finanziata dal governo degli Stati Uniti
affinché acquisti mutui, li raggruppi e li venda agli investitori in forma di mort-
gage-backed securities. Le garanzie offerte sono di alta qualità ma manca la ga-
ranzia diretta del governo federale. Il soprannome di FNMA è “Fannie Mae”.

fiduciary call La put-call parity C = P + Sd–t – Kr– t può essere riscritta come
Sd–t + P = C + Kr– t. Il lato sinistro di questa relazione rappresenta una “pro-
tective put” mentre il lato destro è una “fiduciary call”:
Protective put = Fiduciary call (Asset + Put = Call + Cash)

378
GLOSSARIO

La fiduciary call è anche detta cash-secured put. Pertanto, la portfolio insurance


è molto simile ad una fiduciary call (denaro dato in prestito + call). Il denaro dato
in prestito è tale che il ritorno alla scadenza è uguale al floor.

first/last notice day Il contratto futures specifica «il primo e l’ultimo giorno di
consegna» (first and last notice day) che definiscono il periodo nel quale il vendi-
tore può inviare alla clearing house della borsa un «avviso dell’intenzione di ef-
fettuare la consegna» (notice of intention to deliver). L’ultimo giorno di contrat-
tazione cade qualche giorno primo del last notice day. Quando riceve l’avviso, la
clearing house sceglie il compratore, con la posizione in essere da più tempo, che
dovrà accettare la consegna. Nel giorno di consegna, il venditore trasferisce la
proprietà della merce al compratore, dietro pagamento del corrispettivo.

Fisher equation L’equazione di Fisher mette in relazione, per ogni paese, il


riskless return nominale con il riskless return reale e il ritorno atteso d’inflazio-
ne. Se r è il riskless return nominale domestico, rf è il riskless return nominale
estero ed entrambi i Paesi hanno lo stesso riskless return reale, ρ (come dovrebbe
essere se i mercati finanziari fossero efficienti e completamente integrati), si a-
vrebbe r = ρ i e rf = ρ if.

floor Si veda cap/floor.

FLEX options Diversamente dai «derivati di borsa» (exchange-traded deriva-


tives), le condizioni dei contratti negoziati nei mercati over the counter possono
essere personalizzate per andare incontro alle necessità delle controparti. Tutta-
via, anche l’American Stock Exchange ha reso possibile la personalizzazione
di alcune opzioni su indici, le cosiddette FLEX, che consentono alle controparti
di scegliere i prezzi d’esercizio e le date di scadenza (fino a cinque anni).

floor broker Un socio della borsa che negozia solo per conto del pubblico in
cambio di una commissione; è anche detto commission broker. Si veda exchan-
ge.

forward contract/forward price (F) I forwards sono i derivati più semplici. I


contratti forward sono accordi per comprare o vendere l’attività sottostante ad un
certo prezzo e ad una certa data. Le condizioni contrattuali vengono fissate in mo-
do che il contratto non comporti, all’origine, alcun costo. Quando si entra in un
forward non c’è alcun passaggio di denaro; l’effettiva compravendita viene po-
sticipata fino alla data indicata nel contratto ed è solo allora che si consegna
l’attività sottostante al prezzo pattuito. Ad esempio, nel caso di un forward sul
grano, si può convenire oggi di pagare $10.000 tra 6 mesi (la scadenza) in cam-
bio di 5.000 stai di grano – di una certa qualità – da consegnare in una località
prestabilita. Il prezzo prefissato di $10.000 è chiamato prezzo di consegna. Que-
sto prezzo non va confuso con il valore iniziale del contratto forward. In genere,
quando si entra in un forward, il prezzo di consegna viene fissato in modo che il
valore corrente del contratto sia nullo. In altri termini, le controparti fissano il
prezzo di consegna in modo che, sulla base delle informazioni disponibili, il futu-

379
DERIVATI

ro scambio sia equo e non ci sia bisogno di un pagamento compensativo imme-


diato. Il prezzo di consegna che annulla il valore corrente del contratto è chiama-
to «prezzo forward» (forward price). Pertanto, all’origine, il prezzo di consegna
è pari al prezzo forward. Con l’avvicinarsi della data di consegna, mentre il prez-
zo di consegna resta immutato, il prezzo forward tende a muoversi in linea con il
prezzo spot dell’attività sottostante. Il forward ha un valore nullo solo all’origine,
quando il contratto viene stipulato. Successivamente, col cambiare del prezzo
dell’attività sottostante, cambia anche il valore del forward. In particolare, il
prezzo dell’attività sottostante ed il valore della posizione lunga sul forward si
muovono nella stessa direzione.
I contratti forward vengono negoziati nei mercati over-the-counter mentre
per legge i contratti futures possono essere negoziati solo in borsa.

forward market Un mercato in cui il regolamento dei contratti (pagamento


contro consegna dell’attività) avviene diversi giorni, se non settimane, mesi o
anni, dopo che i contratti sono stati stipulati. Si veda cash market.

forward-rate agreement Un prestito di denaro, privo di rischio, che può essere


negoziato oggi per essere reso operativo in un periodo futuro. Ad esempio, utiliz-
zando i T-bonds, è possibile mettersi d’accordo per ricevere un certo tasso di in-
teresse nel periodo che inizia tra 3 anni e termina un anno dopo. Questo risultato
può essere ottenuto vendendo i titoli a 3 anni e acquistando i titoli a 4 anni. Con
la vendita delle obbligazioni a 3 anni si compensano tutte le cedole incassate sul
titolo a 4 anni, per cui restano solo i payoffs relativi al quarto anno.

forward-spot parity relation Un’equazione che mostra la relazione tra il prez-


zo forward ed il prezzo spot del sottostante: F = S (r / d)t. Questa relazione può
essere dimostrata notando che un portafoglio composto da una posizione lunga
sul sottostante finanziata con denaro preso a prestito ha lo stesso payoff del con-
tratto forward lungo. Riarrangiando i termini presenti nella relazione si può di-
mostrare che i forwards possono essere utilizzati per creare posizioni sintetiche
su attività a pronti e per dare e prendere in prestito denaro in via sintetica. La re-
lazione vale sotto le tre assunzioni di assenza di «opportunità di arbitraggio prive
di rischio» (riskless arbitrage opportunities), «mercati perfetti» (perfect mar-
kets) e attività sottostanti non detenute per fini di consumo o produzione. Se, i-
noltre, i futuri tassi d’interesse spot privi di rischio sono perfettamente prevedibi-
li, la stessa relazione vale anche per i prezzi futures.

forward-start option Le «opzioni con decorrenza posticipata» (forward-start


options) vengono pagate, al pari delle «opzioni ordinarie» (standard options),
alla data di negoziazione ma il prezzo d’esercizio viene determinato successiva-
mente, prima della scadenza. Questa caratteristica è spesso condivisa dalle em-
ployee stock options, il cui prezzo d’esercizio non è in genere noto quando il pia-
no viene definito ma solo al momento dell’effettiva assegnazione.
Le opzioni forward start sono anche dette delayed options o, se l’aspetto con-
trattuale da risolvere è rappresentato dallo strike, delayed-strike options.

380
GLOSSARIO

front running Questa fattispecie si verifica quando un broker, sapendo che il


suo cliente sta per comprare o per vendere, compra o vende – prima del cliente –
lo stesso titolo (o un titolo ad esso legato). C’è un chiaro conflitto di interessi,
dato che il broker sa che l’ordine del cliente spingerà la quotazione in una certa
direzione. Pertanto, il broker comprerà (o venderà) ad un prezzo minore (o mag-
giore) di quello del cliente ed il cliente otterrà un prezzo meno vantaggioso pro-
prio a causa della negoziazione effettuata dal broker. Le regole relative al front
running sono ancora in corso di affinamento ma un altro tipo di front running,
chiaramente illegale, è rappresentato dalla negoziazione di opzioni effettuata sul-
la base di informazioni riservate sull’imminente scambio di un pacchetto di titoli
di grosse dimensioni. L’operazione consentirà di realizzare un profitto quando il
mercato delle opzioni recepirà il prezzo a cui il pacchetto è stato negoziato.

front spread Si veda back/front spread.

FTSE 100 Index Il Financial Times-Stock Exchange 100 è un indice azionario


basato su un portafoglio composto dalle 100 maggiori imprese quotate alla Lon-
don Stock Exchange. È comunemente chiamato “Footsie”.

fugit Il valore atteso risk-neutral della vita di un’opzione americana, ossia il


valore atteso risk-neutral del tempo mancante all’esercizio. Il termine è stato co-
niato da Mark Garman, che ha misurato il fugit tornando indietro in un albero
binomiale.

futures and options markets personnel Tra il cliente e l’exchange member


che esegue l’ordine c’è sempre un soggetto che si interpone: si tratta del futures
commission merchant (FCM) nei mercati dei futures e del registered option prin-
cipal (ROP) nei mercati delle opzioni. Alle dipendenze di ogni FCM e di ogni
ROP si trovano, rispettivamente, le associated persons (APs) e i registered repre-
sentatives (RRs) che operano direttamente col cliente. Le associated persons e i
registered representatives sono chiamati meno formalmente «mediatori» (bro-
kers). Sono loro che trasmettono gli ordini dei clienti ai propri «tavoli operativi»
(desks) presenti sul floor della borsa. I registered representatives sono anche detti
account executives. Il termine registered sta a significare che il soggetto opera su
licenza della Securities and Exchange Commission e della New York Stock E-
xchange.

futures commission merchant Si veda futures and options markets person-


nel.

futures contract/futures price (F) I futures sono analoghi ai «contratti for-


ward» (forward contracts), fatta eccezione per il fatto che vengono liquidati
giornalmente. Ogni giorno, alla chiusura delle negoziazioni, il mercato fissa un
«prezzo di liquidazione» (settlement price) che azzera il valore del contratto. Le
differenze tra i successivi settlement prices vengono accreditate ad una parte e
addebitate alla controparte.

381
DERIVATI

Per legge, i futures possono essere negoziati solo in borsa mentre i forwards
sono trattati nei mercati over-the-counter.

Γ Il gamma di un derivato. Nel caso delle attività e della moneta si ha Γ = 0.

gamma (Γ) Misura di quanto si modifica il delta quando il prezzo del sotto-
stante cambia. Per le calls, ad esempio, al crescere del prezzo del sottostante, il
delta (il numero di unità del sottostante nel portafoglio equivalente) aumenta,
passando da un minimo prossimo a 0 ad un massimo prossimo a 1. Pertanto, le
calls lunghe sono “gamma-positive” dato che il loro delta aumenta col crescere
del prezzo del sottostante. Invece, le calls corte sono “gamma-negative”. Il segno
del gamma è una misura della convessità del payoff dell’opzione. Le posizioni su
opzioni con payoff convesso sono gamma-positive. Le posizioni su opzioni con
payoff concavo sono gamma-negative.
Il gamma di una call o di una put è la derivata seconda del valore dell’opzio-
ne rispetto al prezzo del sottostante. Pertanto, nella formula Black-Scholes:

∂2C/∂S2 = ∂2P/∂S2 = [d–t /(Sσ√ t )]n(x). Come derivata seconda, il gamma misura il
grado di curvatura di una funzione. Ad esempio, dato che la derivata prima è co-
stante, il gamma di una retta è nullo. Di conseguenza, il termine “curvatura” è a
volte utilizzato per indicare il gamma.

gap opening Uno «sbalzo in apertura» (gap opening) si verifica quando il


prezzo della prima transazione di un certo giorno è significativamente più alto o
più basso del prezzo di chiusura del giorno precedente. I gaps sono un caso parti-
colare di «discontinuità» (jumps). I jumps possono verificarsi in apertura o nel
corso della giornata. I gap openings limitano l’accuratezza delle strategie di re-
plica dinamica, dato che non è possibile aggiustare i delta continuativamente.

Garch Garch è l’acronimo di «modelli generalizzati ad eteroschedasticità con-


dizionata autoregressiva» (Generalised AutoRegressive Conditional Heterosce-
dasticity models). Nel modello Garch(1,1), la volatilità del parametro σ a livello
2
di popolazione è così definita: σk2 = ω + α[log(rk) – µh]2 + βσk–1h. Rispetto
all’exponential smoothing, oltre alle “ultime notizie” ([log(rk) – µh]2) e alla “va-
2
rianza di ieri” (σk–1), abbiamo un terzo termine, ω, che va interpretato come va-
rianza non condizionata o varianza di lungo periodo. Questo modello consente
che sia α + β < 1.
I modelli Garch incorporano, almeno in parte, diversi aspetti empirici delle
serie storiche della volatilità: le forti (piccole) variazioni dei ritorni tendono ad
essere seguite da variazioni altrettanto forti (piccole), di entrambi i segni, con
effetti che tendono a smorzarsi col passare del tempo; la distribuzione dei ritorni
logaritmici di breve periodo ha code più spesse della distribuzione normale (os-
sia, i rialzi e i ribassi molto forti sono più frequenti di quelli attesi se la distribu-
zione fosse normale). Versioni ancor più sofisticate dei modelli Garch possono
incorporare anche un’altra regolarità osservata empiricamente: la volatilità locale
tende a diminuire (aumentare) dopo rialzi (ribassi) più forti rispetto alle attese.
Recentemente, i modelli Garch hanno avuto una forte diffusione.

382
GLOSSARIO

Garman-Kohlhagen formula Nel testo si è visto che la formula binomiale per


le opzioni su valute tende ad una formula di tipo Black-Scholes: C = X rf–t N(x) –
– – –
K r–t N(x – σ√ t ) con x ≡ log[X rf–t / (Kr–t)] ÷ (σ√ t )+ ½σ√ t .
Dobbiamo ricordarci che in questo caso il sottostante è rappresentato da
un’obbligazione priva di rischio, denominata in valuta estera, che paga un’unità
della valuta estera alla data di scadenza. Il costo corrente di questa obbligazione è
rf−t, in termini di valuta estera, dove rf è il riskless return estero. Dato che X è il
tasso di cambio corrente (valuta interna / valuta estera), X rf−t è il costo corrente
di questo investimento espresso in valuta interna. Tale termine va a sostituire,
nella nostra precedente analisi, Sd−t, che era il costo corrente dell’attività che ri-
ceveremo alla data di scadenza dell’opzione (esclusi quindi i payouts). Analoga-
mente, al posto di S*, il payoff dell’attività sottostante in termini della valuta in-
terna è X* (il futuro tasso di cambio). Pertanto, per ricavare una formula tipo
Black-Scholes dobbiamo solo ipotizzare che la distribuzione risk-neutral di X*
sia log-normale con volatilità σ.
Questa formula è chiamata formula di Garman e Kohlhagen, dal nome di
Mark Garman e Steven Kohlhagen, che furono tra i primi a notare questa corri-
spondenza.

ghosting Agire in modo coordinato con altri market-makers per spingere il


prezzo di un’attività in una certa direzione. Il termine riflette il fatto che il pub-
blico non è al corrente del fatto che, al posto della consueta competizione tra
market-makers, viene invece seguito un comportamento collusivo.

Goldman Sachs Commodity Index (GSCI) Indice che si basa su un portafo-


glio di 22 merci, con pesi proporzionali alla loro produzione mondiale. Attual-
mente, il valore dell’indice è formato per il 55% da prodotti energetici, per il
25% da prodotti agricoli, per il 10% da metalli e per il 10% da bestiame. Fin dal
luglio del 1992, vengono negoziati futures scritti sul GSCI.

Greeks (∆, Γ, Θ) I parametri (delta, gamma, theta, vega, rho, lambda, ecc.)
utili per la copertura delle posizioni su opzioni sono spesso chiamati “greche”.

h Nell’analisi delle serie storiche, h è il tempo in anni che separa le osservazio-


ni contigue, ossia è l’«intervallo di campionamento» (sampling interval); nel ca-
so degli alberi binomiali, h è il tempo in anni tra successive variazioni di prezzo
del sottostante.

Hang Seng Index Un indice che misura la performance del mercato azionario
di Hong Kong. È basato su 33 società ad elevata capitalizzazione.

Heath-Jarrow-Morton (HJM) model Un approccio molto generale per la va-


lutazione delle bond options, sviluppato da David Heath, Robert Jarrow e An-
drew Morton, noto come modello HJM. La differenza principale tra il loro ap-
proccio e quello di Ho e Lee è che il modello HJM non richiede che l’albero bi-
nomiale si ricombini. Pertanto, dopo n periodi, il numero dei nodi finali è pari a
2n, invece di n.

383
DERIVATI

hedge diagram L’hedge diagram di una posizione su derivati traduce le varia-


zioni del prezzo del sottostante in profitti e perdite. La pendenza della funzione in
corrispondenza del prezzo corrente del sottostante è il delta della posizione.

hedge fund L’hedge fund è un fondo comune gestito da un general partner in


comproprietà con limited partners. Tipicamente, il general partner ha una quota
significativa del fondo e viene incentivato dai limited partners con pagamenti di
importo rilevante basati sulla performance ottenuta. In genere, gli hedge funds
godono di ampi gradi di libertà nella selezione degli investimenti. Possono ricor-
rere alle «vendite allo scoperto» (short sales), fare uso di un significativo levera-
ge e utilizzare i derivati. Spesso questi fondi si assumono rischi rilevanti, che
possono determinare distribuzioni dei ritorni con notevoli gradi di «asimmetria»
(skewness). La loro popolarità è fortemente cresciuta sul finire degli anni ‘90.

hedge ratio Il «rapporto di copertura» (hedge ratio) tra due titoli è il rapporto
in cui uno dei due titoli deve essere detenuto rispetto all’altro per avere la “mi-
gliore copertura” (ossia quella col minimo rischio). Nel caso di un’opzione e del
sottostante, il delta secondo Black-Scholes, cambiato di segno, rappresenta
l’hedge ratio che minimizza il rischio per “brevi” periodi di detenzione dell’op-
zione. Nel caso di due opzioni, l’inverso del rapporto tra i rispettivi delta, cam-
biato di segno, minimizza il rischio e, in tal senso, rappresenta il loro hedge ratio.

hedger/speculator Supponiamo che una società petrolifera si sia impegnata a


consegnare 1.000 barili di petrolio greggio tra un anno al prezzo che si determi-
nerà sul mercato spot. La società è preoccupata che i prezzi spot possano scende-
re e che quindi i ricavi non coprano i costi di produzione. Se invece vende il pe-
trolio con un forward o un futures, la società fissa già da ora il prezzo di vendita,
eliminando il rischio. I soggetti che operano in questo modo sono detti hedgers.
Prima di vendere il forward / futures, gli hedgers già possiedono l’attività sotto-
stante (o sanno che la riceveranno). Il forward / futures elimina o attenua l’espo-
sizione nei confronti dell’attività che già si possiede (o che si dovrà ricevere).
Al contrario, gli speculatori utilizzano i forwards / futures per assumere ri-
schi. Quando entrano in un forward / futures, essi non hanno posizioni pre-
esistenti sull’attività sottostante.

Ho-Lee model Per far sì che i valori teorici delle bond options siano coerenti
con i prezzi degli zero-coupon bonds di varia scadenza, si inizia in genere dai
prezzi dei titoli e si risolve il problema inverso determinando l’albero dei riskless
returns coerente con i prezzi osservati. Questo importante problema è stato risol-
to per la prima volta da Thomas Ho e Sang-Bin Lee nel 1986.

holding value Per calcolare il valore di una call americana, dobbiamo confron-
tare il suo «valore in caso d’esercizio» (exercisable value) con il «valore che a-
vrebbe se venisse tenuta in vita ancora per un periodo» (holding value). Il valore
corrente dell’opzione è pari al maggiore tra i due, quale che esso sia.

Hotelling principle Secondo il principio di H. Hotelling, pubblicato nel 1931,


nell’ipotesi di certezza sui futuri prezzi e di concorrenza perfetta tra i diversi pro-

384
GLOSSARIO

duttori, il prezzo netto di una risorsa esauribile, ossia il prezzo di mercato meno i
costi di estrazione, dovrebbe crescere nel tempo in base al ritorno privo di ri-
schio, fintanto che risulta conveniente estrarla solo in parte e lasciarne il resto nel
sottosuolo. Questo principio presuppone che ogni produttore sia indifferente tra
produzione corrente e futura.

hybrid (or structured) debt Le «obbligazioni ibride o strutturate» (hybrid or


structured debt) esistono almeno dai tempi della Guerra Civile. Nel 1863, la Con-
federazione – per contenere le paure d’inflazione e d’insolvenza – emise un dual-
currency cotton-indexed bond a 20 anni (un titolo denominato in sterline e fran-
chi francesi, convertibile in cotone).
Dai primi anni ‘80 le società statunitensi hanno cominciato ad emettere ob-
bligazioni ibride. Eccone alcuni esempi. I LYONs (Liquid Yield Option Notes −
marchio di Merrill Lynch) offrono non solo l’opzione di conversione ma anche
l’opzione (put) di rimborso anticipato ad un prezzo prefissato. Le PERLS (Prin-
cipal Exchange Rate-Linked Securities) pagano alla scadenza un importo in dol-
lari pari ad un certo numero di unità di valuta estera. Le ICONs (Indexed Cur-
rency Option Notes) combinano un’obbligazione ordinaria con un’«opzione eu-
ropea» (European option) scritta su una valuta estera. I PERCS (Preferred Eq-
uity Redemption Cumulative Stocks), al pari delle «azioni privilegiate» (pre-
ferred stocks), promettono un dividendo fisso (ma significativamente più eleva-
to). Come nel caso delle azioni privilegiate, il mancato pagamento del dividendo
non comporta il «fallimento» (bankruptcy) della società. Tuttavia, diversamente
dalle azioni privilegiate convertibili, questi titoli devono essere comunque con-
vertiti in azioni ordinarie entro una certa data.

implied binomial tree Supponiamo che, invece di conoscere la dimensione dei


rialzi e dei ribassi, eventualmente stimati in base alla volatilità, siano noti i prezzi
correnti di alcune calls europee, con diversi prezzi d’esercizio e la stessa scaden-
za, scritte sullo stesso sottostante. Possiamo allora ricavare l’«albero binomiale
implicito» (implied binomial tree) che è coerente con queste informazioni. In altri
termini, l’albero binomiale implicito finisce col produrre, per tutte le opzioni,
valori che sono uguali ai prezzi di mercato. L’approccio è analogo a quello segui-
to quando si stima la term structure degli spot returns, o dei forward returns, dai
prezzi correnti di obbligazioni con diverse scadenze.

implied repo rate Un utile modo per valutare i «prezzi futures» (futures pri-
ces) è quello di risolvere la forward-spot parity, F = S ( r/d ) t , rispetto al tasso
d’interesse privo di rischio, r – 1, da cui r − 1 = d(F/S)l/t − 1. Questo è il cosiddet-
to «tasso di riporto implicito» (implied repo rate). Grosso modo, tassi impliciti
elevati indicano prezzi futures elevati, e viceversa.

implied volatility Ceteris paribus, quanto più alta è la volatilità dell’attività


sottostante, tanto più elevato è il valore teorico delle «opzioni ordinarie» (stan-
dard options). Questa relazione suggerisce che, tenendo ferme le altre variabili
rilevanti, potremmo cercare di stimare la volatilità del sottostante dal prezzo di

385
DERIVATI

mercato di un’opzione. Questa è la cosiddetta «volatilità implicita» (implied vola-


tility).

implied volatility smile Date le assunzioni del modello Black-Scholes, tutte le


«opzioni europee» (European options) con la stessa scadenza dovrebbero avere
la stessa volatilità implicita. La rilevanza di questo indicatore è tale che spesso
non vengono quotati i prezzi delle opzioni ma le loro «volatilità implicite» (im-
plied volatilities). In genere, per provare la validità della formula Black-Scholes,
si verifica se le volatilità implicite nelle opzioni di uguale scadenza sono le stes-
se, indipendentemente dai loro prezzi d’esercizio. La relazione tra volatilità im-
plicite e prezzi d’esercizio definisce il cosiddetto volatility smile.

incomplete market Si veda complete/incomplete market.

in-the-money Una call (put) con prezzo d’esercizio minore (maggiore) del
prezzo corrente del sottostante è detta in-the-money dato che se il prezzo del sot-
tostante resta invariato, alla fine converrà esercitare l’opzione. Il «valore in caso
d’esercizio» (exercisable value), max [0, S – K], di una in-the-money call è S – K
> 0. L’exercisable value, max [0, K – S], di una in-the-money put è K – S. Si veda
anche at-the-money e out-of-the-money.

index options Le opzioni sullo S&P500 negoziate alla CBOE sono un impor-
tante esempio di «opzioni su indici» (index options). Queste opzioni sono simili
ai futures sullo S&P500, ma il compratore della call ha il diritto, non l’obbligo, di
ricevere un importo pari a 100 volte la differenza tra il prezzo spot dello S&P500
alla scadenza e il prezzo d’esercizio dell’opzione. Le opzioni sullo S&P500, e-
sercitabili solo alla scadenza, sono dette “europee”, mentre quelle sullo S&P100
(così come le opzioni su singole azioni), esercitabili anche prima della scadenza,
sono dette “americane”.

inflation-indexed bond I «titoli ad indicizzazione reale» (inflation-indexed


bonds), emessi dal Tesoro degli Stati Uniti per la prima volta nel 1997, hanno
cedole e capitale che vengono rivalutati in base all’inflazione osservata.

initial margin/maintenance margin Spesso gli investitori possono finanziare


parte delle loro posizioni sulle attività sottostanti prendendo a prestito denaro, di
solito dai loro brokers. Ad esempio, negli Stati Uniti, per acquistare azioni attra-
verso brokers registrati è sufficiente disporre di non più della metà del prezzo
d’acquisto. Sarà il broker a fare in modo che l’investitore possa disporre di un
finanziamento per l’altra metà del prezzo. Il versamento del 50 per cento effettua-
to dall’investitore rappresenta il margine iniziale. Ad esempio, nel caso di
un’azione con prezzo corrente di $100, il margine iniziale è di $50. Pertanto, in
termini percentuali, il margine iniziale è del 50% ( = $50/$100).
Il mercato può anche prevedere regole che costringano l’investitore a mante-
nere un certo margine percentuale minimo. Questo «margine di mantenimento»
(maintenance margin) è di solito più basso del margine iniziale. Ad esempio, se il
prezzo dell’azione scende a $75, il margine corrente passa al 33,33% (=

386
GLOSSARIO

$25/$75). Se questo livello è minore del maintenance margin richiesto, l’investi-


tore deve integrare il suo deposito o vendere l’azione entro pochi giorni.

insured portfolio (V, V*) È importante distinguere tra due portafogli: il «porta-
foglio sottostante» (underlying portfolio), (S, S*), ed il «portafoglio assicurato»
(insured portfolio), (V, V*). Ad esempio, il portafoglio sottostante potrebbe essere
quello dello S&P500. Il portafoglio assicurato viene gestito in modo da produrre
il payoff della portfolio insurance – in particolare, il floor e l’upside capture. Si
può pensare che, all’inizio della strategia, l’investitore sia già in possesso del por-
tafoglio dello S&P500 e che decida di “assicurarsi” contro il rischio di perdite.
Invece di versare altro denaro e comprare una polizza assicurativa, l’investitore
decide di seguire la strategia dinamica suggerita dalla portfolio insurance.
All’inizio, i valori del portafoglio sottostante e del portafoglio assicurato coinci-
dono, ossia V = S. Successivamente, a meno che il valore del portafoglio sotto-
stante non finisca per caso con l’uguagliare il floor, i due valori saranno diversi.

interbank market La maggior parte delle operazioni su derivati valutari si


svolge nel «mercato interbancario» (interbank market), una rete che lega le prin-
cipali banche del mondo. Le singole banche agiscono da broker per la clientela e
negoziano con altre banche. Le banche più attive svolgono anche il ruolo di
market maker e dispongono di «sale operative» (dealing rooms) con «postazioni»
(desks) diverse a seconda delle attività sottostanti e della tipologia di contratti
(spot, forwards, opzioni, ...).

intercommodity spread Una posizione su due futures altrimenti identici ma


con diverse attività sottostanti è detta intercommodity spread. Tra gli esempi di
intercommodity spreads figurano il NOB spread (Notes Over Bonds), il MOB
spread (Municipals Over Bonds), il crush spread (tra olio di soia e farina di soia),
il crack spread (tra petrolio grezzo e benzina o gasolio), il gold-silver spread (tra
oro e argento) ed il Ted spread (tra T-bills ed eurodollari).

interdelivery spread Una posizione su due futures altrimenti identici ma con


diverse date di consegna è detta interdelivery spread (o anche straddle o time
spread).

internal rate of return Il «tasso interno di rendimento» (internal rate of


return) è quel tasso di attualizzazione che uguaglia il valore attuale dei cash flows
di un investimento al costo corrente dell’investimento. È “interno” all’investi-
mento nel senso che è determinato solo dai cash flows dell’investimento senza far
ricorso ad informazioni esterne, come il tasso d’interresse privo di rischio. Sfor-
tunatamente, nel caso di investimenti con cash flows negativi e positivi, il tasso
interno di rendimento non è unico e non esistono precise regole per scegliere tra
le possibili soluzioni.

International Monetary Market (IMM) Creato nel 1972, l’IMM è una divi-
sione della Chicago Mercantile Exchange specializzata in currency futures, inte-
rest rate futures e stock index futures, così come in futures options.

387
DERIVATI

International Swaps and Derivatives Association (ISDA) L’ISDA si descri-


ve come «la principale associazione globale per la negoziazione di contratti deri-
vati, un’attività che include gli swaps su tassi d’interesse, valute, merci, azioni e
prodotti collegati come caps, collars, floors e swaptions. L’ISDA è stata creata
nel 1985 e conta oggi oltre 330 soci in tutto il mondo. I soci includono gran parte
delle maggiori istituzioni finanziarie internazionali e i principali utilizzatori di
derivati».

inverse floater Un’«obbligazione inversa a tasso variabile» (inverse floater)


che paga cedole più elevate quando i tassi d’interesse scendono e cedole più bas-
se quando i tassi d’interesse salgono.

inverse problem Dato che i prezzi dei derivati dipendono dalle «probabilità
neutrali verso il rischio» (risk-neutral probabilities) fissate dal mercato, possia-
mo capovolgere la questione e affermare che le probabilità neutrali verso il ri-
schio fissate dal mercato dipendono dai prezzi dei derivati. Questo è il cosiddetto
«problema inverso» (inverse problem). Ogni che volta che incontriamo un nuovo
derivato, impariamo qualcosa in più sulle probabilità neutrali verso il rischio fis-
sate dal mercato. L’arte della moderna valutazione dei derivati consiste
nell’imparare quanto più è possibile circa queste probabilità in base al minor nu-
mero possibile di derivati.

Investment Company Act Legge approvata nel 1940 dal Parlamento degli Sta-
ti Uniti riguardante la regolamentazione delle investment companies (closed-end
investment companies, open-end mutual funds e unit investment trusts). L’In-
vestment Company Act richiede, tra l’altro, che questi fondi si registrino presso la
Securities and Exchange Commission. Fissa inoltre regole in aree quali la pro-
mozione delle operazioni di raccolta del risparmio, i prospetti e i rendiconti per
gli investitori, la valutazione dei titoli e la ripartizione dei fondi tra i vari investi-
menti.

invoice price I «futures su T-bonds» (Treasury bond futures) si concludono


con la consegna di un T-bond. Alla data di consegna il venditore riceve il «prezzo
fatturato» (invoice price) che è pari a (prezzo futures quotato × fattore di conver-
sione) + interesse maturato, dove il fattore di conversione è il rapporto tra il
prezzo che il titolo consegnato avrebbe nel primo giorno del mese di consegna se
fosse attualizzato in base al 6% annuo composto semestralmente (ossia al 3%
semestrale) e il suo «valore nominale» (principal o face value).

IO/PO I payoffs delle obbligazioni possono essere suddivisi in due componen-


ti: capitale e interessi. Di conseguenza, la tranche che riceve tutto il capitale è
detta principal only (PO) mentre la tranche che riceve tutto l’interesse è detta
interest only (IO).

jump Forse il limite più importante per le strategie di replica delle opzioni è
rappresentato dalle «discontinuità» (jumps) dei prezzi. Si ha un jump quando il

388
GLOSSARIO

prezzo passa da un livello all’altro senza prima passare per tutti i possibili livelli
intermedi.
La significatività dei jumps dipende moltissimo da quando si verificano. Se il
salto di prezzo avviene in un periodo di basso gamma, non ci sono problemi, per-
ché il livello del prezzo prima e dopo il salto ha poca rilevanza per il delta obiet-
tivo. Se, invece, il salto di prezzo avviene in un periodo di alto gamma, gli errori
di replica saranno rilevanti.

K Il prezzo di consegna nel caso di forwards o futures; il prezzo d’esercizio nel


caso delle «opzioni ordinarie» (standard options).

kurtosis Al pari di «media» (mean), «varianza» (variance) e «asimmetria»


(skewness), la «curtosi» (kurtosis) misura un aspetto delle distribuzioni probabi-
listiche. La curtosi del tasso di rendimento logaritmico di un’attività è definita da
∑k [log(rk) – µ̄h]4/σ¯ 4. Se log(rk) è normale con varianza costante, la sua curtosi
dovrebbe essere prossima a 3. Le distribuzioni con curtosi maggiore di 3 sono
dette leptocurtiche mentre quelle con curtosi minore di 3 sono dette platicurtiche.
Rispetto alle distribuzioni normale con uguale media, varianza e asimmetria, le
distribuzioni leptocurtiche (platicurtiche) hanno più (meno) probabilità intorno
alla media e nelle code, ma meno (più) probabilità nelle zone tra queste regioni.

λ Il «prezzo di mercato del rischio» (market price of risk).

ladder Alcune «opzioni esotiche» (exotic options) consentono al compratore di


bloccare l’utile che avrebbe potuto realizzare attraverso il tempestivo esercizio di
un’opzione ordinaria. Queste opzioni pongono quindi un «limite inferiore» (flo-
or) al payoff. Nelle «calls a scala» (ladder calls) il floor è pari alla differenza tra
il «prezzo obiettivo» (target price) e lo strike se il prezzo dell’azione ad una certa
data è maggiore del target.

lambda La derivata del valore dell’opzione rispetto al payout return, d: lambda


= [C(d + ε) – C(d)]/ε, dove C(d) è il valore dell’opzione quando il payout return
è d mentre C(d + ε) è il valore dell’opzione quando, ceteris paribus, il payout
return viene aumentato in misura pari a ε.
Se si considera la «formula di Black e Scholes» (Black-Scholes formula), il
lambda di una call europea è pari a: ∂C/∂d = –t[Sd–(t+1)]N(x). Il lambda di una put
europea secondo Black-Scholes è pari a ∂P/∂d = –t[Sd–(t+1)][N(x) – 1].
Nel contesto delle opzioni su valute, il lambda viene spesso chiamato «rho
estero» (foreign rho).

law of large numbers La «legge dei grandi numeri» (law of large numbers) è
la legge statistica secondo cui se un esperimento viene ripetuto più volte in iden-
tiche condizioni, la frequenza relativa di un evento tende ad essere pari alla pro-
babilità che l’evento si verifichi, con un errore di approssimazione che diventa
sempre più piccolo al crescere del numero degli esperimenti.

389
DERIVATI

LEAPS (Long-term Equity Anticipation Securities) Fino a poco tempo fa,


erano disponibili solo opzioni con scadenze inferiori all’anno. Ora, per le azioni
più diffuse, sono disponibili anche opzioni a più lungo termine, chiamate LEAPS
(Long-term Equity AnticiPation Securities), con vita residua fino a 3 anni.

lending Si veda borrowing/lending.

limit moves/limit up/limit down Si veda price limits.

limit order «Ordine con limite di prezzo» (limit order): ordine di acquisto o
vendita al prezzo specificato o migliore. Si veda market order.

limit order book Un elenco dei limit orders relativi ad un certo titolo, ordinato
con criteri di prezzo e di tempo, a cura dello specialist o dell’order book official.
Nel caso degli ordini di acquisto (vendita), viene data priorità agli ordini non e-
seguiti che hanno il prezzo più elevato (più basso) e sono stati dati da più lungo
tempo. È responsabilità dello specialist o dell’order book official garantire che le
priorità di prezzo e di tempo vengano rispettate.

local Si veda market-maker.

log-normal probability distribution Una variabile casuale X si distribuisce in


modo log-normale se il suo logaritmo naturale si distribuisce in modo normale.
Pertanto, se X è log-normale, allora x ≡ log(X) è normale. Allo stesso modo, se x
è normale, allora X ≡ ex è log-normale. Un’utile proprietà delle variabili casuali
log-normali è che se µ ≡ E[log(X)] e σ2 ≡ var[log(X)], allora E(X) = e(µ + ½ σ ). Nel
2

modello di Black e Scholes si assume che la «distribuzione di probabilità neutrale


verso il rischio» (risk-neutral probability distribution) sia log-normale.

London interbank offer rate (Libor) Il tasso d’interesse praticato a Londra su


prestiti di eurodollari di importo rilevante concessi a banche di elevata qualità
creditizia. Il Libor è comunemente usato come base per determinare i tassi d’in-
teresse da applicare a prestiti di minore qualità e come tasso di riferimento per
vari derivati negoziati sul «mercato parallelo» (over-the-counter market).

lookback options Le «opzioni retrospettive» (lookback options) sono path-


dependent come le barrier options. Hanno però caratteristiche diverse. Il prezzo
d’esercizio, invece di essere fissato all’origine, viene determinato alla scadenza.
Se l’opzione è di tipo call (put), lo strike è pari al prezzo minimo (massimo) rag-
giunto dal prezzo dell’azione durante la vita dell’opzione. In tal modo, il compra-
tore ha la certezza di comprare (vendere) al prezzo minimo (massimo). Al pari di
altre opzioni path-dependen, le lookback sono notoriamente difficili da valutare
rispetto alle opzioni ordinarie, europee o americane, di tipo put o call.
Le lookback calls e le lookback puts sono anche dette, rispettivamente, «op-
zioni compra-al-minimo» (buy-at-the-low options) e «opzioni vendi-al-massimo»
(sell-at-the-high options).

lower/upper bounds Se non ci sono «opportunità di arbitraggio prive di ri-

390
GLOSSARIO

schio» (riskless arbitrage opportunities) e si hanno «mercati perfetti» (perfect


markets), allora nel caso delle «opzioni americane» (American options) si ha:
S ≥ C ≥ max [0, S – K, Sd–t – Kr–t]
K ≥ P ≥ max [0, K – S, Kr– t – Sd– t]
e nel caso delle «opzioni europee» (European options) si ha:
Sd–t ≥ C ≥ max [0, Sd–t – Kr–t]
Kr–t ≥ P ≥ max [0, Kr–t – Sd–t]

µ Il valore atteso (o media) di popolazione del ritorno logaritmico su base an-


nua.

µ̄ La stima campionaria del valore atteso (o media) di popolazione del ritorno


logaritmico su base annua.

maintenance margin Si veda initial margin/maintenance margin.

Major Market Index (MMI) Un altro indice del mercato azionario statuniten-
se. Più piccolo anche dello S&P100, questo indice si basa solo su 20 titoli, la
maggior parte dei quali fa parte del paniere di 30 titoli del Dow Jones Industrial
Average, il più antico e più noto indice azionario. Diversamente dallo S&P500 e
dallo S&P100, il Major Market Index viene calcolato semplicemente sommando i
prezzi di mercato dei suoi 20 titoli senza ponderarli per il numero delle azioni in
circolazione. L’MMI rispecchia da vicino il DJIA, che è calcolato nello stesso
modo. L’MMI è stato creato perché la Dow Jones & Company, che è proprietaria
del marchio DJIA, non ha dato il suo benestare, fino al 1997, alla negoziazione di
derivati basati sul suo indice.

make a market Si dice che un dealer (market-maker o specialist) «fa merca-


to» (make a market) quando è pronto a comprare o vendere ai prezzi che quota
pubblicamente. In genere, i dealers quotano entrambi i lati del mercato, essendo
pronti sia a comprare al prezzo «denaro » (bid) o a vendere al prezzo «lettera»
(ask). In borsa, i market-makers o gli specialists sono spesso obbligati a contene-
re il «differenziale denaro-lettera» (bid-ask spread) entro un certo limite.

market-maker I market-makers (o locals, come sono chiamati nei mercati dei


futures) sono i soci della borsa che negoziano solo per proprio conto ed hanno
l’obbligo di «fare mercato» (make a market), ossia di essere pronti ad assumere
la posizione opposta a quella di un ordine pubblico.

market order «Ordine al meglio» (market order), ossia un ordine di acquisto o


di vendita senza indicazione di prezzo da eseguire al miglior prezzo attualmente
praticabile sul mercato. Si veda limit order.

market portfolio Un’astrazione utilizzata dagli economisti finanziari per rap-


presentare il portafoglio di tutte le attività presenti nell’economia. I derivati, data
la loro natura di giochi a somma zero, non sono inclusi in questo portafoglio.

391
DERIVATI

market price of risk (λ) Assumiamo che tutti i titoli privi del rischio
d’insolvenza siano valutati in modo che, nel periodo successivo, la differenza tra
il ritorno atteso e il riskless return periodale, divisa per la deviazione standard del
ritorno, sia la stessa in ogni nodo. Indichiamo con λ questo rapporto tra extra ri-
torno e rischio, una misura che gli economisti finanziari chiamano «prezzo di
mercato del rischio» (market price of risk):
mk , j ≡ q k , j [ Bk +1, j +1 / Bk , j ] + (1 − q k , j )[ Bk +1, j / Bk , j ]

vk2, j ≡ qk , j {[ Bk +1, j +1 / Bk , j ] − mk , j }2 + (1 − qk , j ){[ Bk +1, j / Bk , j ] − mk , j }2

λ ≡ (mk , j − rk , j ) / vk , j

dove qk,j è la «probabilità soggettiva» (subjective probability) di rialzo, propria


del mercato, al nodo (k, j). Il «prezzo di mercato del rischio» (market price of
risk), λ, è una misura del grado di avversione al rischio del mercato, dato che
quanto più alta è, tanto maggiore è il compenso (misurato in termini di extra ri-
torno) che il mercato chiede per assumersi il rischio (misurato in termini di de-
viazione standard del ritorno). Assumiamo ora che la probabilità di rialzo sogget-
tiva, propria del mercato, sia la stessa in ogni nodo e pari a q (= qk,j). Allora, u-
sando un po’ di algebra per scrivere λ direttamente in termini di q, rk,j e dei ritorni
dell’obbligazione (in caso di rialzo o di ribasso), si può dimostrare che la proba-
bilità di rialzo risk-neutral, p, è la stessa ad ogni nodo ed è pari a p = q –
———
λ√q(1 – q). Questa è la relazione tra probabilità risk-neutral e probabilità sogget-
tive. In sintesi, nel nostro modello binomiale per bonds e bond options, la costan-
za del prezzo di mercato del rischio, unita alla costanza della probabilità sogget-
tiva, implica la costanza della probabilità risk-neutral, così come è stato assunto.

marking-to-the-market L’«aggancio al mercato» (marking-to-the-market)


consiste nell’aggiornare il calcolo del valore di un derivato. Il marking-to-market
su base giornaliera (o anche con frequenza maggiore) viene spesso raccomandato
come strumento per il contenimento dei rischi.

mean-variance portfolio analysis Nel 1952, Harry Markowitz pubblicò per la


prima volta la sua teoria sulle scelte media-varianza dei portafogli, e più tardi, nel
1959, pubblicò il suo libro sulla «Selezione di Portafoglio» (Portfolio Selection),
probabilmente il libro più importante nella storia dell’economia finanziaria e la
base delle ricerche accademiche dei 50 anni successivi.
Applicando le sue idee all’«allocazione delle attività» (asset allocation), si
può immaginare che l’investitore allochi un certo patrimonio iniziale tra la mone-
ta e un index fund ad ampia diversificazione composto da titoli rischiosi. In base
alla tradizionale analisi di portafoglio media-varianza, l’investitore inizia con un
mix “normale” – ad es., 60% nell’index fund e 40% in moneta. Queste sono le
quote del portafoglio, data la sua tolleranza nei confronti del rischio e i valori
medi di lungo-termine del «premio al rischio» (risk premium) dell’indice (la dif-
ferenza tra ritorno atteso e riskless return) e della volatilità dell’indice. Da queste
informazioni, gli analisti potrebbero dedurre la propensione al rischio dell’inve-
stitore. Noto questo parametro, e dati il premio al rischio corrente e la volatilità,

392
GLOSSARIO

l’analista può individuare il mix ottimale. Questo mix riflette non solo le condi-
zioni correnti ma anche, nell’ottica dell’investitore, il suo tradeoff tra rischio e
ritorno atteso del portafoglio, dove, con le tecniche tradizionali, il rischio è misu-
rato dalla volatilità del portafoglio o dalla varianza.

Metallgesellschaft (MG) Un’importante impresa tedesca che venne alla ribalta


nei primi anni ‘90 quando la sua sussidiaria statunitense, MGRM, vendette una
serie di forwards fino a 10 anni scritti su petrolio e benzina. Cercò di utilizzare i
futures con una strategia di stack hedge per coprirsi dal rischio. A causa di alcuni
errori, accoppiati alla cattiva sorte, la strategia si tramutò in un disastro per
l’impresa, offrendo al mondo una lezione su come i derivati non vanno utilizzati.

mix Il mix di un portafoglio composto dalla moneta e da un’attività è il rappor-


to tra il valore corrente dell’attività e il valore complessivo del portafoglio. È una
misura della «leva finanziaria» (leverage) del portafoglio. L’omega di un’opzio-
ne equivale al mix del portafoglio equivalente.

modified duration Si veda duration/modified duration.

money La «moneta» (money) può essere interpretata come un’opzione. In base


all’«equazione di Fisher» (Fisher equation), il tasso d’interesse nominale è pari
alla somma tra il tasso d’interesse reale e il tasso d’inflazione atteso. Anche se il
tasso nominale non può essere negativo (dato che i soldi possono essere comun-
que “investiti” sotto un materasso), il tasso reale e il tasso d’inflazione possono
essere negativi. La moneta può quindi essere considerata alla stregua di una call,
dato che il suo tasso di rendimento è pari al maggiore tra zero e la somma tra il
tasso reale e il tasso d’inflazione.

money-back option Un tipo di contingent-premium option.

mortgage-backed security (MBS) I mutui ipotecari rappresentano la quota più


importante del mercato creditizio statunitense, maggiore anche di quella del debi-
to statale e federale. In genere, le rate dei mutui – che contengono una quota inte-
ressi ed una quota capitale – sono costanti. Con l’avvicinarsi della scadenza del
mutuo, il debito residuo e la quota interessi diminuiscono mentre la quota capita-
le aumenta. Spesso, al fine di liberare risorse per nuovi impieghi, con un processo
di «cartolarizzazione» (securitization), i mutui vengono raggruppati in un fondo
(pool) così da formare la base per un solo titolo. I pagamenti effettuati dai mutua-
tari vengono aggregati e “passati” all’«obbligazione garantita da ipoteca» (mor-
tgage-backed security o pass trough). La prima agenzia governativa che ha crea-
to questi pools, con garanzie statali, è stata la Government National Mortgage
Association (GNMA), nel 1970. Successivamente, anche agenzie quasi-
governative, come la Federal National Mortgage Association (FNMA) e la Fede-
ral Home Loan Mortgage Corporation (FHLMC), hanno cominciato ad offrire
pass-throughs ma senza chiare garanzie statali.

n Numero di intervalli in un albero binomiale.

393
DERIVATI

N(h) Funzione di distribuzione normale standardizzata valutata in h.

n(x) Funzione di densità normale standardizzata valutata in x.


National Association of Securities Dealers (NASD) Organizzazione senza
fini di lucro che regolamenta il mercato over-the-counter (OTC) negli Stati Uni-
ti. Il NASD possiede e gestisce il NASDAQ, il National Association of Securities
Dealers Automated Quotation system, un sistema computerizzato che offre ai
brokers e ai dealers del mercato OTC le quotazioni dei titoli trattati over-the-
counter, oltre a quelle di molti titoli negoziati alla New York Stock Exchange.
Un esteso campione di queste quotazioni viene pubblicato nelle pagine finanzia-
rie di diversi giornali.

National Futures Association (NFA) Un’associazione privata creata nel 1982,


fissa gli standards per la registrazione di chi opera sui mercati dei futures ed ha
l’autorità per imporre multe ai propri associati in caso di condotte non conformi
ai principi di deontologia professionale.

neutral spread Uno spread tra due opzioni dello stesso tipo (due calls o due
puts) scritte sullo stesso sottostante, dove il numero relativo delle due opzioni
viene scelto in modo da creare una posizione con delta nullo.
New York Mercantile Exchange (Nymex) La più grande borsa del mondo per
la negoziazione di futures su merci non agricoli.

New York Stock Exchange (NYSE) La prima borsa degli Stati Uniti e la più
grande del mondo. Creata nel 1792, ha funzionato da allora senza interruzioni.

Newton-Raphson search Una procedura iterativa per trovare le radici di una


funzione. Può essere utilizzata, ad esempio, per calcolare la volatilità implicita, σ,
in base alla «formula di Black e Scholes» (Black-Scholes formula).

Nikkei 225 Stock Average Un indice dei 225 principali titoli quotati alla To-
kyo Stock Exchange.

notional value/principal (X) Un’altra misura è rappresentata dal «valore no-


zionale» (notional value) delle attività sottostanti. Ad esempio, il futures sullo
S&P500 obbliga il compratore ad acquistare 250 unità dello S&P500. Se il prez-
zo spot dell’indice è pari a $1.000, il futures è simile ad un investimento di
$250.000 (= 250 × $1.000) nel portafoglio a cui si riferisce lo S&P500. Il valore
nozionale dell’attività sottostante il futures è di $250.000. Moltiplicando il valore
nozionale per l’open interest si ottiene il valore complessivo delle attività sotto-
stanti i contratti futures in essere. Spesso si dice che gli interest rate swaps sono
scritti su un “sottostante nozionale”.

Ω (omega) L’omega di un derivato (per le attività, Ω = 1; per la moneta, Ω = 0).

observation period/sampling interval Il «periodo di osservazione» (observa-


tion period) è il periodo al quale si estende una certa serie storica di cui si analiz-
zano le proprietà statistiche, quali «media» (mean) e «varianza» (variance). La

394
GLOSSARIO

frequenza con cui vengono rilevate le osservazioni è detta «intervallo di campio-


namento» (sampling interval). Ad esempio, se si osservano settimanalmente i
dati di chiusura del Dow Jones Industrial Average dal 1931 al 1990, l’obser-
vation period è di 60 anni ed il sampling interval è di una settimana.

offset Le posizioni sui futures vengono chiuse in uno dei tre seguenti modi:
l’offset; la consegna (o, in alcuni casi, il cash settlement); l’exchange for physi-
cals. Per «chiudere» (offset) un futures, il buyer o il seller negoziano un contratto
di segno opposto: il buyer vende, il seller compra.

omega (Ω) L’elasticità del prezzo dell’opzione rispetto al prezzo del sottostan-
te. Anche questa è una «greca» (Greek). Il delta è la derivata del prezzo
dell’opzione rispetto al prezzo del sottostante; ossia, ∆ = ∂C/∂S. L’omega viene
così calcolato: Ω = ∆(S/C) = [(∂C)/C] ÷ [∂S/S] = (S∆)/C.

open-end mutual fund/index fund Al pari dei «fondi comuni d’investimento


chiusi» (closed-end investment companies), i «fondi comuni d’investimento a-
perti» (open-end mutual funds) sono portafogli gestiti che vengono trattati come
attività a sé stanti. Tuttavia, questi fondi non vengono negoziati in borsa. Sono le
stesse società di gestione che fanno mercato sui propri fondi, alla chiusura dei
giorni lavorativi, essendo pronte a comprare o vendere le loro quote in base al
valore patrimoniale netto. I fondi comuni aperti che prevedono «commissioni
d’entrata e di uscita» (loads) sono detti load funds e vengono acquistati e venduti
a prezzi, rispettivamente, superiori e inferiori al loro valore patrimoniale netto.
Le forze della competizione, e l’incapacità dei load funds di generare performan-
ce tali da giustificare le commissioni, hanno fatto crescere la popolarità dei no-
load funds, che non sono gravati da oneri di sottoscrizione. Particolarmente im-
portanti, in questa categoria, sono i «fondi indice» (index funds), che seguono
strategie d’investimento passive.

open interest L’«open interest» è il numero dei contratti in essere ad una certa
data. Nei mercati dei futures e delle opzioni, l’open interest è il numero dei con-
tratti detenuti dai compratori. Naturalmente, dato che ci sono tanti compratori
quanti venditori, l’open interest può anche essere definito come il numero dei
contratti detenuti dai venditori. Questa misura non tiene conto delle differenze
sostanziali tra i vari contratti per quanto riguarda il numero di unità o il prezzo
dell’attività sottostante.

operating leasing Il «leasing operativo» (operating leasing) riguarda di solito


macchinari piuttosto che edifici e termina ben prima della vita utile del bene. In
genere, le spese di mantenimento sono a carico del proprietario.

option Si veda standard option.

option-adjusted spread (OAS) Nei mortgage-backed securities (MBSs)


l’option-adjusted spread è il tasso di rendimento aggiuntivo rispetto ai Treasuries
necessario per far sì che il valore teorico dei titoli sia pari al prezzo di mercato.
Questo tasso di rendimento aggiuntivo è dovuto alle opzioni incorporate negli

395
DERIVATI

MBSs, in particolare alle «opzioni di estinzione anticipata» (pre-payment options).

option-implied riskless return La put-call parity ci dice anche qual è il risk-


less return utilizzato dagli operatori per determinare il prezzo delle opzioni. E-
splicitando r, otteniamo il cosiddetto option-implied riskless return. Le coppie di
calls e puts, con uguale strike e uguale scadenza, scritte sullo stesso sottostante
dovrebbero avere lo stesso riskless return implicito. In effetti, analogamente al
«repo rate implicito» (implied repo rate) dei forwards, ci dovremmo attendere
che il riskless return implicito sia lo stesso anche se le opzioni sono scritte su
sottostanti diversi.

option overwriting La strategia consistente nella vendita di una call a fronte di


un’attività che si intende comunque acquistare è detta option overwriting.

Options Clearing Corporation (OCC) La più grande organizzazione del


mondo per la compensazione delle transazioni su derivati. L’OCC assicura la
compensazione delle transazioni in opzioni scritte su azioni, valute, indici aziona-
ri, titoli di Stato e obbligazioni. È controllata dalle 4 principali borse statunitensi.

options on futures Strettamente collegate alle opzioni su spot sono le «opzioni


su futures» (options on futures o futures options). Il payoff di una call scritta su
un futures è pari al maggiore tra zero e la differenza tra il prezzo futures alla sca-
denza e lo strike. Le futures options americane possono essere esercitate anticipa-
tamente in modo da ricevere la differenza tra il prezzo futures e lo strike alla data
d’esercizio. Inoltre, chi esercita riceve anche un contratto futures, ma dato che il
valore del contratto è nullo all’origine (il prezzo futures viene fissato in modo da
rendere nullo il valore del contratto) questo non aggiunge nulla al valore
dell’opzione. Anche se il futures ha un valore nullo, esso consente di mantenere
l’esposizione nei confronti del sottostante e potrebbe rivelarsi importante − so-
prattutto per il venditore che può aver venduto l’opzione come parte di un hedge
(o di uno spread).

order book official Nelle borse che utilizzano il competitive market-maker


system, gli ordini con limite di prezzo vengono gestiti da un «funzionario addetto
al libro ordini» (order book official). Nei primi giorni di vita della Chicago
Board Options Exchange questa funzione venne svolta da board broker.

out-of-the-money Una call (put) con prezzo d’esercizio maggiore (minore) del
prezzo corrente del sottostante è detta out-of-the-money dato che, se il prezzo del
sottostante resta invariato, non converrà mai esercitare l’opzione. Il «valore in
caso d’esercizio» (exercisable value), max [0, S – K], di una out-of-the-money
call è 0. L’exercisable value, max [0, K – S], di una out-of-the-money put è 0. Si
veda anche at-the-money e in-the-money.

out trades I contratti negoziati sul floor della borsa sono garantiti da una
«stanza di compensazione» (clearing house), controllata da una o più borse. I
soci della clearing house possono «compensare le negoziazioni» (clear trades),
ossia inoltrare le transazioni alla clearing house. La clearing house abbina gli

396
GLOSSARIO

ordini di acquisto e di vendita dello stesso contratto. Le negoziazioni le cui de-


scrizioni, inoltrate dalle due controparti, non collimano sono chiamate out trades.
Queste discordanze vengono riconciliate prima dell’apertura del mercato.

over-the-counter market (OTC) Le operazioni di maggiore dimensione su


derivati tendono ad essere negoziate nei «mercati paralleli» (over-the-counter
markets) piuttosto che in borsa. Esse vengono spesso negoziate e concluse per
telefono sulla base dei prezzi bid e ask indicati dai dealers sui propri schermi. Il
vostro broker/dealer è tenuto ad eseguire gli ordini d’acquisto al più basso prezzo
ask, o migliore, e ad eseguire gli ordini di vendita al più alto prezzo bid, o miglio-
re. Quando discute i vostri ordini al telefono con un altro dealer, può anche riu-
scire ad ottenere prezzi migliori rispetto a quelli esposti sul suo schermo. È que-
sto il cosiddetto «miglioramento di prezzo» (price improvement). Il vostro
broker/dealer può anche eseguire lui stesso il vostro ordine, assumendo per pro-
prio conto una posizione di segno opposto oppure incrociando il vostro ordine
con quello di un altro cliente. In ogni caso, è tenuto ad applicarvi un prezzo non
peggiore del miglior prezzo disponibile sul suo schermo.

p «Probabilità neutrale verso il rischio» (risk-neutral probability) di rialzo.

P Valore / prezzo corrente di una put.

Pj Probabilità di sentiero, neutrale verso il rischio, per lo stato j.

Pj Probabilità nodale, neutrale verso il rischio, per lo stato j.

P* Valore / payoff alla scadenza di una put.

PVt(x) Valore attuale di x al tempo t.

Φ(a; n, p) Funzione di distribuzione binomiale complementare valutata in a


con parametri n e p.

πu/πd Prezzo corrente di un dollaro ricevuto solo in caso di rialzo (ribasso); in


altri termini, il prezzo corrente di uno state-contingent claim.

Pacific Stock Exchange (PSE) Borsa regionale con sedi a San Francisco e Los
Angeles. È una delle 4 borse statunitensi per la negoziazione di opzioni. Al pari
della Chicago Board Options Exchange, utilizza il competitive market-maker
system.

package Il tipo più semplice di «opzione esotica» (exotic option). Il suo payoff
può essere replicato da un portafoglio che contiene una o più opzioni, il sotto-
stante e la moneta. Un esempio di «pacchetto» (package) è il «colletto» (collar)
che ha lo stesso payoff del sottostante ma con un minimo (floor) ed un massimo
(cap). Può essere replicato comprando uno zero-coupon bond con valore nomina-
le pari al floor, comprando una call con strike pari al floor e vendendo una call
con strike pari al cap.

painting the tape Un broker ha eseguito un ordine di vendita per 10.000 azioni

397
DERIVATI

della XYZ nel «mercato parallelo» (over-the-counter market). Secondo le regole


della National Association of Securities Dealers, deve comunicare la vendita
entro 90 secondi dalla sua esecuzione. Invece di farlo, il broker esegue un altro
ordine di vendita dello stesso titolo per un altro importante cliente. Quindi comu-
nica la transazione precedente. Se la comunicazione fosse stata effettuata per
tempo, il mercato avrebbe forse abbassato il prezzo per la seconda transazione.
Grazie al ritardo nella comunicazione, il broker è riuscito a spuntare un prezzo
più elevato per il suo cliente. Questa pratica illegale è detta painting the tape.

Pascal’s triangle Il numero dei sentieri che arrivano in ogni nodo di un albero
binomiale può essere calcolato in base ad un altro albero, noto come triangolo di
Pascal, dal nome del suo inventore, Blaise Pascal, il famoso filosofo e matemati-
co del 17° secolo.

1
Triangolo di 1 1
Pascal
(prime sei 1 2 1
righe)
1 3 3 1
1 4 6 4 1
1 5 10 10 5 1

In matematica, questi numeri sono anche noti come coefficienti binomiali. La


loro forma generale, per sentieri che contengono j rialzi e n − j ribassi è n!/[j!(n −
j)!]. Per semplificare la notazione, useremo c(j, n) ≡ n!/[j!(n − j)!]. Il simbolo è
giustificato dal calcolo combinatorio perché n!/[j!(n − j)!] è il numero delle com-
binazioni di n elementi della j-esima classe.
Questo triangolo gode di sorprendenti proprietà. Ad esempio, per costruire
una qualsiasi riga, basta sommare i due numeri, nella riga immediatamente pre-
cedente, che si trovano alla sinistra e alla destra del numero che si vuole trovare.
Ogni numero del triangolo è pari alla somma dei numeri che si trovano sulla dia-
gonale terminante nel numero che si trova alla sua sinistra nella riga precedente.
La somma dei numeri della n-esima riga è 2n–1. La somma ponderata dei numeri
della n-esima riga, con pesi pari a successive potenze di 10, è 11n–1. Ad esempio:
1 × 102 + 2 × 101 + 1 × 100 = 121 (= 112)
1 × 103 + 3 × 102 + 3 × 101 + 1 × 100 = 1.331 (= 113)
1 × 105 + 5 × 104 + 10 × 103 + 10 × 102 + 5 × 101 + 1 × 100 = 161.051 (= 115)

path-dependent/independent option Il valore corrente di molte opzioni di-


pende solo dal prezzo del sottostante alla scadenza, non dal «sentiero» (path) se-
guito dal prezzo del sottostante durante la vita dell’opzione. Queste opzioni sono
dette path-independent. Le «opzioni europee» (European options) sono path-
independent. Al contrario, le path-dependent options hanno un payoff che dipen-
de non solo dal prezzo del sottostante alla scadenza ma anche dal sentiero seguito
prima della scadenza. Le «opzioni americane» (American options) sono path-

398
GLOSSARIO

dependent. Altri esempi di opzioni path-dependent includono le lookback op-


tions (il cui payoff dipende dal prezzo minimo o massimo del sottostante durante
la vita dell’opzione) e le Asian options (il cui payoff dipende dal prezzo medio
del sottostante durante la vita dell’opzione). Le opzioni path-dependent sono no-
toriamente difficili da valutare.

pay-later option Un tipo di contingent-premium option.


payoff diagram Rappresentazione grafica di un «derivato» (derivative). In so-
stanza, riporta sull’asse verticale il payoff del derivato e sull’asse orizzontale il
sottostante, fornendo le stesse informazioni della payoff table. I payoff diagrams
e i profit/loss diagrams sono strumenti molto utili per capire le implicazioni delle
posizioni su derivati.

payoff function Un modo generale per caratterizzare il principale obiettivo di


questo libro è il seguente. Dati: f (x, t), dove x è il futuro prezzo spot dell’attività
sottostante al tempo t e f (x, t) è il payoff di un derivato; il valore corrente (o
prezzo corrente) di x; e il ritorno privo di rischio, r, vogliamo determinare il valo-
re attuale di f (x, t). I contratti forward sono esempi di contratti con funzioni di
payoff che sono lineari in x, mentre le opzioni sono esempi di contratti con fun-
zioni di payoff che non sono lineari in x.

payoff line Rappresentazione geometrica della payoff function. Viene spesso


utilizzata per descrivere il payoff di una posizione su: sottostante, moneta, for-
ward, call, put.

payoff table Forse il modo più semplice, ma anche più generale, per descrivere
un «derivato» (derivative) è dato dalla payoff table. Questa tavola ha due colon-
ne principali (ma può contenerne anche di più): il valore della variabile sottostan-
te e il corrispondente payoff a favore di una delle due parti.

payout-protected/unprotected Il payoff di un’«opzione ordinaria» (standard


option) dipende dal prezzo finale dell’attività sottostante e nessun compenso è pre-
visto per eventuali payouts, come i dividendi, distribuiti durante la vita dell’opzio-
ne. In questo caso, che è tipico delle opzioni trattate in borsa, si dice che l’opzione
non è payout-protected ossia che è unprotected. Se invece l’opzione fosse comple-
tamente protetta dai payouts, allora il payout return non svolgerebbe alcun ruolo
nella determinazione del valore corrente. Questo semplificherebbe la valutazione,
essendoci un parametro in meno da dover stimare. Spesso le opzioni di lunga du-
rata, come i warrants, sono protette, almeno in parte, dai payouts.
payout return (d, δ) Sia D il payout del sottostante durante la vita di un deri-
vato. Un altro modo per tener conto dei payouts è di indicare con d il payout yield
o payout return su base annua. Il payout yield è la quota del «prezzo a pronti»
(spot price) corrente che viene distribuita. Assumiamo che tutti i payouts si veri-
fichino alla scadenza. Allora, i due modi di tener conto dei payouts sono stretta-
mente collegati tra loro: d t = 1 + D/S*, dove S* è il prezzo spot del sottostante alla
data di pagamento del payout e t è il tempo che manca alla scadenza. Si noti che,
se i payouts sono nulli, si ha d = 1,00.

399
DERIVATI

pegging Si veda capping/pegging.

perfect market Supponiamo che i costi di transazione (commissioni, bid-ask


spreads e impatto sul mercato) siano nulli. Inoltre, supponiamo di poter trascura-
re le imposte, ricevere gli interessi sulle vendite allo scoperto, prendere e dare in
prestito qualsiasi importo frazionario allo stesso spot return, negoziare per impor-
ti frazionari ed ignorare il rischio d’insolvenza delle controparti. Nella terminolo-
gia degli economisti finanziari questo è un «mercato perfetto» (perfect market).
Anche se non è realistico, il mercato perfetto rappresenta un’astrazione estrema-
mente utile per gli economisti finanziari. L’assunzione dei mercati perfetti con-
sente di superare complicazioni modellistiche altrimenti insormontabili. In molte
situazioni di rilevanza pratica, le conclusioni non cambiano se si tiene conto delle
imperfezioni di mercato.

Philadelphia Stock Exchange (PHLX) Borsa regionale con sede a Filadelfia.


È una delle 4 borse statunitensi dove si negoziano opzioni.

piggybacking Pratica illegale in cui un broker compra (vende) un’attività se-


guendo l’esempio di un cliente. In genere, il broker ritiene che il cliente abbia
informazioni migliori di quelle del mercato, informazioni riservate che vengono
utilizzate illegalmente. Si veda front running.

pit In borsa, il luogo in cui vengono negoziati certi contratti. In genere, il pit è
formato da gradini concentrici che facilitano l’operatività dei traders. Ad esem-
pio, il pit della Chicago Board Options Exchange dove si negoziano le opzioni
sullo S&P100 consente a diverse centinaia di traders di conversare simultanea-
mente l’uno con l’altro.

plain-vanilla interest rate swap I plain-vanilla interest rate swaps sono con-
tratti con i quali si scambiano interessi fissi con interessi variabili, determinati in
base al Libor (London interbank offer rate). Il tasso d’interesse fisso, quotato in
genere come spread rispetto al tasso sui Treasuries di una certa scadenza, è chia-
mato «tasso swap» (swap rate). In genere, il tasso variabile pagato alla fine di
ogni periodo si basa sul Libor di inizio periodo. Le date nelle quali si osserva il
nuovo tasso variabile sono chiamate reset dates. I due flussi di pagamento degli
swaps rappresentano la «gamba fissa» (fixed leg) e la «gamba variabile» (floating
leg) del contratto. La vita di uno swap è detta tenor. Nel caso degli interest rate
swaps si scambiano solo gli interessi e non i capitali. La dimensione degli swaps
è misurata dal «capitale nozionale» (notional principal). Ad esempio, una delle
due parti (“il compratore”) si impegna a pagare un tasso d’interesse fisso – pari al
tasso cedolare sulle Treasury notes a 5 anni maggiorato di 65 punti base (0,65%)
– mentre la controparte (“il venditore”) si impegna a pagare semestralmente – per
gli stessi 5 anni – il Libor a 6 mesi. Entrambi i pagamenti vengono effettuati fa-
cendo riferimento ad un capitale di $1.000.000. In questo caso, il capitale nozio-
nale è di $1.000.000 ed il tenor dello swap è di 5 anni. Lo spread sui Treasuries
fa sì che lo swap quoti «alla pari» (flat), analogamente ai forwards, per cui
all’origine non vengono effettuati pagamenti compensativi da una parte all’altra.

400
GLOSSARIO

Ponzi scheme Uno schema fraudolento che utilizza gli investimenti degli ulti-
mi investitori per rimborsare i primi, facendo passare i nuovi fondi per “utili con-
seguiti”. Deriva il suo nome da Charles Ponzi, un truffatore degli anni ‘20.

population parameter/sample statistic I «parametri di popolazione» (popula-


tion parameters) e le «statistiche campionarie» (sample statistics) riassumono,
rispettivamente, le caratteristiche, ad es. la «media» (mean) e la «varianza» (va-
riance), di una distribuzione probabilistica e di un campione di osservazioni (che
si assume estratto da una certa distribuzione probabilistica). Spesso le statistiche
campionarie sono definite in modo che esse siano stimatori «corretti» (unbiased)
dei corrispondenti parametri di popolazione. Affinché una statistica campionaria
sia unbiased, occorre che il suo valore atteso sia uguale al corrispondente para-
metro di popolazione. Inoltre, tra i possibili stimatori corretti, spesso scegliamo le
statistiche con la minore varianza intorno ai parametri di popolazione. Ad esem-
pio, se µ è la media di popolazione e µ̄ è la media campionaria, vogliamo che µ̄
sia definita in modo che E[(µ – µ̄)2] sia minimo.

portfolio Il «portafoglio» (portfolio) è una combinazione di titoli (o attività) il


cui payoff è una media ponderata dei payoffs dei singoli titoli, con pesi pari al
numero di unità dei singoli titoli. Analogamente, il ritorno di un portafoglio è pari
ad una media ponderata dei ritorni dei singoli titoli, con pesi pari alle quote del
valore del portafoglio rappresentate dai singoli titoli.

portfolio delta Il «delta del portafoglio» (portfolio delta) misura l’esposizione


del portafoglio a piccole variazioni del prezzo dell’attività sottostante. Ad esem-
pio, se il delta del portafoglio è pari a −145, il portafoglio equivale ad una posi-
zione corta su 145 unità dell’attività sottostante. Il segno del delta del portafoglio
indica se il portafoglio è attualmente lungo (delta positivo) o corto (delta negati-
vo). I portafogli delta positivi (negativi) sono appropriati per gli investitori che
hanno aspettative rialziste (ribassiste) circa il prezzo dell’attività sottostante.

portfolio insurance L’«assicurazione di portafoglio» (portfolio insurance) è


una delle applicazioni più note dell’asset allocation dinamica (dynamic asset al-
location). Piace agli investitori che ritengono (più di altri) di non poter sopportare
perdite – o perdite superiori ad un importo relativamente modesto – ma che, co-
munque, desiderano investire in attività rischiose perché sono attratti dagli elevati
ritorni attesi. Nonostante il nome, il «portafoglio “assicurato”» (“insured” por-
tfolio) non è letteralmente tale, non è cioè garantito da una seconda o terza parte.
Il termine sta ad indicare che, se tutto va nel verso giusto, i risultati dovrebbero
essere virtualmente identici a quelli di un portafoglio effettivamente assicurato.
La prima priorità nel gestire un portafoglio “assicurato” è quella di garantire
che il suo valore finale non finisca al di sotto di una soglia minima, il cosiddetto
«pavimento» (floor). Rispetto al sottostante, il portafoglio “assicurato” non com-
porta perdite in caso di ribassi, ossia quando S* < floor. In genere, il floor viene
inizialmente uguagliato al valore corrente del sottostante. In tal caso, l’obiettivo è
quello di non subire perdite rispetto al valore iniziale del portafoglio.

401
DERIVATI

In caso di rialzo, la performance del portafoglio assicurato dovrebbe essere


peggiore di quella del portafoglio sottostante, dato che, in caso di ribasso, do-
vrebbe essere invece migliore. La seconda priorità nel gestire un portafoglio assi-
curato è quella di minimizzare questa «sotto-performance in caso di rialzo» (up-
side shortfall), ossia quando S* > floor. Di solito, l’upside shortfall viene misura-
ta dal «rapporto di cattura» (capture ratio), il rapporto tra valore del portafoglio
assicurato e valore del portafoglio sottostante alla data di scadenza.

position limits/exercise limits Le posizioni su derivati non possono eccedere


certi limiti. I «limiti di posizione» (position limits) fissano il numero massimo dei
contratti che gli speculatori possono detenere. Essi tendono ad impedire che gli
«speculatori» (speculators) esercitino un’indebita influenza sul mercato. Gli altri
traders possono essere esonerati da questi limiti se vengono considerati «hedgers
in buona fede» (bona fide hedgers). Nel caso delle opzioni sono previsti anche
limiti al numero dei contratti, scritti sulla stessa attività sottostante, che possono
essere esercitati. I «limiti di esercizio» (exercise limits) e i limiti di posizione
possono risultare particolarmente vessatori per gli investitori istituzionali (come i
fondi pensione da molti miliardi di dollari) ma attenuano gli incentivi a manipo-
lare i prezzi o a sfruttare in modo illegale le informazioni riservate.
Dato che gli indici sono più difficili da manipolare rispetto alle azioni e dato
che è più difficile ottenere informazioni riservate sugli indici, i limiti di posizione
per le opzioni su indici sono più elevati di quelli previsti per le opzioni su azioni.

prearranged trade Una transazione eseguita in modo non concorrenziale sulla


base di accordi presi al di fuori del trading pit.

precious metals I «metalli preziosi» (precious metals) sono l’oro, l’argento, il


platino e il palladio. Vengono valutati più come riserva di valore che per il loro
utilizzo per fini produttivi. Diversi derivati di borsa sono scritti su questi beni.

preferred stock Le «azioni privilegiate» (preferred stocks) promettono un di-


videndo fisso per un periodo di tempo illimitato. Se la società non paga uno dei
dividendi, gli azionisti privilegiati non possono costringere la società al «falli-
mento» (bankruptcy), diversamente da quanto può accadere per le obbligazioni
perpetue. Tuttavia, la società non può distribuire dividendi agli azionisti ordinari
finché non paga i dividendi arretrati agli azionisti privilegiati. Anche se non ha
l’opzione d’insolvenza, la società ha però l’opzione di non pagare i dividendi. Le
«azioni privilegiate convertibili» (convertible preferred stocks) contengono
un’altra opzione, dato che i possessori possono convertire le azioni privilegiate in
azioni ordinarie in base ad un fattore di conversione prefissato.

premium over exercisable value Si veda exercisable value/premium over e-


xercisable value.

present value [PVt(x)] Il valore corrente di un payoff è pari al valore atteso del
payoff, in un mondo «neutrale verso il rischio» (risk-neutral), attualizzato in base
al «ritorno privo di rischio» (riskless return). Il valore atteso risk-neutral tiene

402
GLOSSARIO

conto dell’«avversione al rischio» (risk-aversion) e delle probabilità soggettive


(subjective probabilities), mentre l’attualizzazione tiene conto del fattore tempo.

price improvement Le operazioni di maggiore dimensione su derivati tendono


ad essere negoziate nei «mercati paralleli» (over-the-counter markets) piuttosto
che in borsa. Esse vengono spesso negoziate e concluse per telefono sulla base
dei prezzi bid e ask indicati dai dealers sui propri schermi. Il vostro bro-
ker/dealer è tenuto ad eseguire gli ordini d’acquisto al più basso prezzo ask, o
migliore, e ad eseguire gli ordini di vendita al più alto prezzo bid, o migliore.
Quando discute i vostri ordini al telefono con un altro dealer, può anche riuscire
ad ottenere prezzi migliori rispetto a quelli esposti sul suo schermo. È questo il
cosiddetto «miglioramento di prezzo» (price improvement).

price limits Una convenzione, comune ma controversa, utilizzata nei mercati


dei futures è quella di impedire che le negoziazioni avvengano a «prezzi futures»
(futures prices) al di fuori di un certo intervallo definito intorno al «prezzo di
liquidazione» (settlement price) del giorno precedente. Ad esempio, se i «limiti
di prezzo» (price limits) sono ±20 punti (centesimi o dollari, a seconda dei casi),
non si possono avere negoziazioni a 20 punti in più o in meno rispetto al settle-
ment price del giorno precedente. Lo «scarto limite» (limit move) è la variazione,
positiva o negativa, pari al limite giornaliero. Se il prezzo futures sale (scende) in
misura pari al limite, si dice che è «limitato in alto (basso)» [limit up (down)].

price/value Il «prezzo» (price) corrente di un’attività è la quantità di denaro di


cui un individuo deve disporre per poterla comprare. Il suo «valore» (value) cor-
rente è dato da un modello o da una formula, che di solito è pari al valore attuale
del payoff atteso in un mondo neutrale verso il rischio.

primary/secondary market Il «mercato primario» (primary market) è il mer-


cato in cui il titolo viene collocato all’emissione. Il «mercato secondario» (se-
condary market) è il mercato in cui il titolo continua ad essere negoziato dopo
l’emissione per passare da un investitore all’altro.

PRIME/SCORE Alcuni anni fa l’American Stock Exchange (Amex) ha quo-


tato alcune «unità» (units) rappresentative di diritti nei confronti di azioni quotate
alla New York Stock Exchange. Le units vennero negoziate a fronte delle azioni
depositate in un apposito «fondo patrimoniale» (trust). Alla scadenza del trust
(inizialmente 5 anni), le units venivano riscattate dal trust in cambio delle azioni.
Nel frattempo ogni unit poteva essere suddivisa in una call, con scadenza pari a
quella del trust, e in un secondo titolo con payoff pari alla differenza tra il valore
delle azioni alla scadenza del trust e il payoff della call. La call venne chiamata
SCORE (Special Claim on Residual Equity) e il titolo residuale PRIME (Pre-
scribed Right to Income and Maximum Equity).

Procter and Gamble (P&G) Una società venuta alla ribalta per le perdite subi-
te a causa di uno swap esotico negoziato con Bankers Trust nel 1994. Il contratto
la esponeva a perdite molto elevate nell’improbabile circostanza che i tassi

403
DERIVATI

d’interesse aumentassero oltre un certo limite in un breve periodo. In cambio,


avrebbe pagato un tasso d’interesse inferiore a quello di mercato se i tassi d’inte-
resse fossero scesi o fossero rimasti costanti. Nel marzo 1994, l’aumento dei tassi
d’interesse portò a perdite pari a $150.000.000.

profit/loss diagram I «diagrammi di profitti e perdite» (profit/loss diagrams),


al pari dei «diagrammi dei valori finali» (payoff diagrams), sono strumenti molto
utili per capire le implicazioni delle posizioni su «derivati» (derivatives). L’asse
orizzontale è centrato sul prezzo corrente dell’«attività sottostante» (underlying
asset). L’asse verticale rappresenta i profitti e le perdite. Il profit/loss diagram
più semplice è quello relativo all’attività. In tal caso, i profitti e le perdite ex-
payout sono pari al prezzo finale dell’attività meno il prezzo corrente e sono rap-
presentati da una linea inclinata di 45° che passa per l’origine. Ad esempio, se il
prezzo finale dell’azione è di $125, il profitto è pari a $25 (= $125 – $100). I pro-
fitti e le perdite cum-payout sono invece rappresentati da una linea che, rispetto
alla precedente, è spostata verso l’alto in misura pari ai dividendi staccati.

programme trading Tra le «operazioni programmate» (programme trading)


figura l’acquisto o la vendita di un portafoglio a copertura della vendita o
dell’acquisto di un index futures. In pratica, la non simultaneità delle operazioni
lascia esposti al «rischio di imprevisti» (legging-in risk). Pertanto, anche se
l’operazione appare redditizia sulla base delle ultime quotazioni, i ritardi
nell’esecuzione possono comportare prezzi inattesi. Spesso, non essendo conve-
niente negoziare tutti i titoli presenti nel paniere sottostante l’indice, perché alcu-
ni sono molto poco liquidi, il programme trading su indici a larga base azionaria
come lo S&P500 viene effettuato utilizzando un paniere fortemente correlato con
l’indice ma composto da non più di 100 titoli.

proprietary exchange member «Soci di borsa» (exchange members) che ne-


goziano per proprio conto, di solito sottomettendo i propri ordini per via elettro-
nica, lontani dal trading floor. Sebbene abbiano questo privilegio, non hanno
l’obbligo di «fare mercato» (make a market). Si veda anche exchange.

protective put Al 2° posto per diffusione (dopo la covered call), tra le posizioni
che combinano opzioni con altre opzioni, o con l’attività sottostante, figura l’acqui-
sto di una put combinato con l’acquisto del sottostante. Questa posizione è detta
«put difensiva» (protective put) per distinguerla dal semplice acquisto di una put.
Le protective puts sono simili all’acquisto di una polizza assicurativa. Se le
cose vanno male (i prezzi scendono), l’investitore può esercitare la put e compen-
sare le perdite sul sottostante; se le cose vanno bene (i prezzi salgono), l’investi-
tore trae beneficio dal rialzo del prezzo del sottostante e sostiene solo il costo del-
la put. La situazione è analoga a quella tipica di un soggetto che ha acquistato
una polizza assicurativa.

purchasing power parity Nel lungo termine, i «tassi di cambio» (exchange


rates) dipendono dalla «parità dei poteri d’acquisto» (purchasing power parity).
Se i prezzi degli stessi beni in due Paesi diversi aumentano a tassi diversi, alla

404
GLOSSARIO

fine il tasso di cambio dovrebbe aggiustarsi in modo che il costo reale dei beni
rimanga lo stesso indipendentemente da quale valuta si usa per comprarli. Se X è
il tasso di cambio corrente e X* è il tasso di cambio futuro, i è il ritorno
d’inflazione domestico e if è il ritorno d’inflazione estero, X* dovrebbe risultare
pari a X(i / if). Inoltre, in ciascuno dei due Paesi dovrebbe valere l’«equazione di
Fisher» (Fisher equation), che mette in relazione il riskless return nominale con
il riskless return reale e il ritorno atteso d’inflazione. Se r è il riskless return no-
minale domestico, rf è il riskless return nominale estero ed entrambi i Paesi han-
no lo stesso riskless return reale, ρ (come dovrebbe essere se i mercati finanziari
fossero efficienti e completamente integrati), si avrebbe r = ρ i e rf = ρ if. Metten-
do insieme le due relazioni, dovremmo aspettarci X* = X (r / rf).

put (P, P*) Le «opzioni ordinarie» (standard options) sono contratti per com-
prare o vendere l’attività sottostante ad un prezzo predeterminato e ad una certa
data (o entro una certa data), nei quali una delle controparti ha la facoltà di annul-
lare l’accordo. Se il diritto di annullare il contratto spetta alla parte che deve rice-
vere l’attività sottostante, l’opzione è di tipo call; se invece il diritto spetta alla
parte che deve consegnare l’attività sottostante, l’opzione è di tipo put.

put-call parity relation La relazione tra i valori di una call e una put europee
altrimenti identiche: C = P + Sd–t – Kr–t. Viene ricavata dimostrando che un por-
tafoglio composto da una put europea, dal sottostante e da denaro preso a prestito
ha lo stesso payoff di una call altrimenti identica alla put. Riarrangiando i termini
dell’equazione si può vedere come utilizzare le calls e le puts per creare posizioni
corte sintetiche sul sottostante o su uno zero-coupon bond. Inoltre, dalla relazione
si vede che la differenza tra i valori di una call ed una put europee altrimenti i-
dentiche può dipendere solo dal prezzo e dal payout return del sottostante, dal
prezzo d’esercizio e dalla scadenza delle opzioni, nonché dal riskless return.

put-call ratio Il rapporto tra il «volume degli scambi» (trading volume) di


puts e di calls nello stesso periodo e per lo stesso sottostante. A volte viene uti-
lizzato come indicatore dell’«intonazione» (sentiment) generale del mercato. Se
l’indicatore è troppo alto (basso), si ritiene che l’intonazione sia ribassista (rialzi-
sta). Tuttavia, non c’è alcuna evidenza empirica (per quanto mi risulta) che il
rapporto possa essere efficacemente usato a fini previsivi.

q Probabilità soggettiva di rialzo.

r Riskless return in un intervallo binomiale.

r Riskless return su base annua.

rf Riskless return estero su base annua.

rk(t) Riskless return su base annua, al tempo k, di uno zero-coupon bond con
scadenza al tempo t ≥ k.

405
DERIVATI

rk,j Nel caso di un albero binomiale che si ricombina, il riskless return unipe-
riodale dopo k mosse, j delle quali al rialzo. Nel caso di un albero binomiale che
non si ricombina, il riskless return uniperiodale dopo k mosse lungo il sentiero j.

rt Il ritorno di un’attività nell’intervallo campionario che inizia al tempo t – 1 e


finisce al tempo t.

r(t) Riskless return su base annua, al tempo corrente, di uno zero-coupon bond
con scadenza al tempo t.

rainbow option Le «opzioni arcobaleno» (rainbow options) sono opzioni il cui


valore dipende da più di un’attività sottostante. Ad esempio, le opzioni sullo
S&P500 possono essere interpretate come opzioni su 500 attività sottostanti.
Queste opzioni sono anche dette «opzioni paniere» (basket options). Tra gli altri
esempi di rainbow options figurano le «opzioni differenziali» (spread options),
che sono scritte sulla «differenza» (spread) tra i prezzi di due attività.

random walk model Per analizzare i derivati, è importante capire la dinamica


del prezzo dell’attività sottostante. Nel caso delle azioni e degli indici azionari,
spesso si assume che il prezzo segua una «passeggiata casuale» (random walk).
Ossia, la variazione di prezzo nel prossimo periodo non dipende dalla direzione
delle precedenti variazioni. I prezzi possono vagare liberamente scostandosi dai
livelli precedenti.

range forward Il range forward combina un forward lungo con una put lunga
ed una call corta. Il prezzo d’esercizio della put è maggiore del prezzo forward
(F < K2) e il prezzo d’esercizio della call è minore del prezzo forward (K1 < F).
Inoltre, i prezzi d’esercizio vengono scelti in modo che i premi della call e della
put siano uguali. Il valore complessivo della posizione è quindi nullo.

range note I «certificati corridoio» (range notes) pagano un tasso d’interesse


pari al prodotto tra il tasso di riferimento osservato ad inizio periodo e la quota
dei giorni nei quali questo tasso resta all’interno di un certo corridoio.

ratio writer Un investitore che vende calls in numero maggiore del sottostante
che detiene. Questo rapporto è pari a 1:1 nel caso di un covered call writer.

real options Spesso i progetti industriali incorporano alcune opzioni. Ad esem-


pio, se si costruisce una nuova fabbrica si rinuncia all’opportunità di rinviarne la
costruzione per attendere ulteriori informazioni sul mercato dei suoi prodotti. Il
rinvio rappresenterebbe l’esercizio dell’«opzione di posticipazione» (option to
postpone). Questa opzione equivale ad una call americana, con prezzo
d’esercizio pari al costo di costruzione della fabbrica, scritta sul valore attuale dei
profitti della fabbrica. Quanto più incerto è il livello dei profitti, tanto maggiore è
il valore dell’opzione. Una fabbrica che può essere posticipata vale più di una
fabbrica, altrimenti identica, la cui costruzione non può essere rinviata nel tempo.
Questo valore aggiuntivo è dato dal valore dell’opzione. La costruzione di una
nuova fabbrica comporta l’acquisto di un’«opzione di abbandono» (option to

406
GLOSSARIO

abandon) ossia di un’opzione di chiusura temporanea degli impianti o di espan-


sione / contrazione delle loro dimensioni. Questa opzione equivale ad una put
americana, con prezzo d’esercizio pari al valore risultante dalla liquidazione o
dalla vendita della fabbrica. L’«opzione di sostituzione» (option to switch) equi-
vale ad una doppia opzione: l’opzione di abbandono e l’«opzione di avvio» (op-
tion to start). Le scorte di materie prime incorporano l’opzione di conversione in
prodotti finiti e di successiva vendita.

realised volatility forward contract I «contratti forward sulla volatilità osser-


vata» (realised volatility forward contracts) sono contratti che pagano il prodotto
tra un importo nozionale, ad es. $100, e la differenza (misurata in centesimi) tra
la volatilità osservata durante la vita del contratto e quella definita inizialmente. Il
livello iniziale della volatilità è scelto in modo che il valore iniziale del forward
sia nullo. Ad esempio, supponiamo che la volatilità dello S&P500 (misurata co-
me radice quadrata annualizzata della somma del quadrato degli scarti tra i ritorni
giornalieri e il loro valore atteso) sia risultata pari al 16% su base annua durante
la vita di un forward ad 1 anno, mentre quella definita inizialmente era del 14%.
Alla scadenza, il compratore del forward riceverà dal venditore $200 [= $100 ×
(16 – 14)].

recombining binomial tree In un «albero binomiale che si ricombina» (re-


combining binomial tree) tutti i sentieri che contengono lo stesso numero di rialzi
e di ribassi conducono allo stesso nodo.

registered options principal Si veda futures and options markets personnel.

registered options trader «Soci di borsa» (exchange members) che possono


negoziare per proprio conto o per conto del pubblico e che (diversamente dai
market-makers) non hanno l’obbligo di «fare mercato» (make a market). Si veda
anche exchange.

registered representative Si veda futures and options markets personnel.

relative volatility La «volatilità relativa» (relative volatility) è la deviazione


standard del logaritmo naturale del rapporto tra i ritorni del sottostante e della
moneta. Quando si attua l’«assicurazione di portafoglio» (portfolio insurance), la
volatilità relativa aiuta a tener conto delle variazioni del riskless return.

replicating portfolio Data una payoff function o una payoff line, il portafoglio
(composto dall’attività sottostante, dalla moneta e dai derivati) che replica il pa-
yoff è chiamato «portafoglio equivalente» (replicating portfolio). Se la composi-
zione del portafoglio equivalente non deve essere rivista, ossia se i pesi del porta-
foglio non devono essere aggiustati nel tempo, la strategia di replica viene detta
“statica”. Se invece, i pesi del portafoglio equivalente devono essere aggiustati
nel tempo, la strategia di replica viene detta “dinamica”.

repurchase agreement (repo) I «contratti di riporto» (repurchase agreements o


repos) combinano una vendita a pronti con un riacquisto a termine, ovvero un pre-

407
DERIVATI

stito di denaro contro un prestito di titoli. Entrambi i contraenti (riportato e riporta-


tore) sono garantiti e le perdite sono minime in caso d’insolvenza. In genere, la sca-
denza dei repos è di un solo giorno. Se i titoli scambiati sono T-bills, il riportato
tenderà a riacquistarli ad un prezzo più alto. In effetti, sta dando in prestito i titoli e
prendendo in prestito denaro ad un giorno. Il tasso repo overnight su base annua
viene così calcolato Prezzo a termine = Prezzo a pronti × (1 + Tasso repo / 360).
L’overnight repo è un repurchase agreement che viene rinegoziato ogni giorno,
mentre il term repo ha una scadenza più lunga, a volte pari a diversi mesi.

return (rt) Il «ritorno» (return) di un investimento viene misurato tra due date,
una data iniziale ed una finale. In assenza di payouts, il ritorno è semplicemente
il rapporto tra valore (o prezzo) finale dell’investimento, S*, e valore (o prezzo)
iniziale, S, cosicché il ritorno è pari a S*/S. Per rendere più confrontabili i ritorni
su diversi investimenti, anche se relativi a periodi diversi, si è soliti riportarli su
base annua. Per farlo si eleva il ritorno alla (1/t)-esima potenza, dove t è la lun-
ghezza in anni del periodo a cui il ritorno si riferisce. Ne segue che R ≡ (S*/S)1/t è
il ritorno su base annua. Il tasso di rendimento su base annua è pari al ritorno su
base annua meno uno.
Se vengono distribuiti payouts, la misurazione del ritorno può risultare molto
più complessa. Consideriamo innanzitutto l’esempio più semplice. Supponiamo
che il payout D venga distribuito solo alla data finale e che S* sia il valore (o
prezzo) ex-payout; in tal caso, il ritorno su base annua è R = [(S* + D)/S] 1/ t. Se il
payout viene distribuito al tempo k, si è soliti calcolare il «tasso di rendimento
interno» (internal rate of return), R − 1, dell’investimento risolvendo l’equazio-
ne S = (D/R k) + (S*/R t).
Se – tra la data iniziale e quella finale – vengono distribuiti diversi payouts,
alcuni dei quali positivi ed altri negativi, questa impostazione può comportare
problemi, dato che l’equazione per l’internal rate of return può avere soluzioni
multiple. In queste circostanze, per ottenere un unico ritorno, si può calcolare un
«ritorno reinvestito» (reinvested return) immaginando che i payouts possano es-
sere reinvestiti non appena vengono incassati. L’investimento viene allora appro-
priatamente scalato da allora in poi, verso l’alto o verso il basso, ed è quindi por-
tato in questo modo fino alla scadenza. Il ritorno è pari al rapporto tra il valore
finale dell’investimento, tenuto conto del reinvestimento dei payouts, ed il valore
iniziale.
Ogni volta che è calcolabile ed è lo stesso per qualsiasi sottoperiodo di ugua-
le lunghezza, l’internal return coincide con il reinvested return. Riarrangiando i
termini dell’equazione riportata in alto si vede infatti che S* = SR t + DR t−k, per
cui S* può essere interpretato come il valore finale dell’investimento, tenuto con-
to del reinvestimento dei payouts.

reversal/reversal strategy Il «rimbalzo» (reversal) è una variazione di prezzo


che va nella direzione opposta alla variazione precedente − ossia, un rialzo segui-
to da un ribasso, o un ribasso seguito da un rialzo. Le strategie d’investimento
dinamiche sono di tipo reversal se comportano un acquisto dopo un ribasso ed
una vendita dopo un rialzo. Queste strategie sono tanto più redditizie quanto più

408
GLOSSARIO

frequenti sono i reversals, dato che comportano posizioni lunghe prima dei rialzi
e corte prima dei ribassi. Si veda trend/trend-following strategy.

rho Il rho è la derivata del valore dell’opzione rispetto al riskless return, r, os-
sia il limite del rapporto incrementale [C(r + ε) − C(r)]/ε, dove C(r) è il valore
dell’opzione quando il riskless return è r e C(r + ε) è il valore dell’opzione quan-
do, ceteris paribus, il riskless return viene aumentato in misura pari a ε.

risk measures, local versus global Le «misure di rischio» (risk measures) pos-
sono essere «locali» (local) o «globali» (global). Le misure di rischio locali, co-
me il delta, valutano il rischio derivante da piccole variazioni del prezzo del sot-
tostante. Le misure di rischio globali guardano invece cosa può succedere in un
orizzonte temporale più lungo e considerano tutte le possibili evoluzioni del prez-
zo del sottostante, incluse anche le variazioni di importo rilevante.

risk-aversion Si ha «avversione al rischio» (risk-aversion) quando, a parità di


altre condizioni, l’investitore preferisce gli investimenti a basso rischio. Nella
«analisi di portafoglio media-varianza» (mean-variance portfolio analysis), a
parità di ritorno atteso, l’investitore avverso al rischio preferisce gli investimenti
con bassa varianza dei ritorni. Data questa ipotesi, dovremmo aspettarci che i
prezzi vengano fissati dal mercato in modo che le attività con ritorni attesi più
elevati siano anche quelle più rischiose. Tuttavia, questa conclusione va modifi-
cata poiché non considera che il rischio di un’attività può essere ridotto attraverso
la diversificazione: questo è il messaggio centrale del «modello di valutazione
delle attività finanziarie» (capital asset pricing model).

risk-neutral/risk-neutral probabilities (P) Un investitore è «neutrale verso il


rischio» (risk-neutral) se non considera il rischio nelle sue decisioni d’investi-
mento. Per questo investitore, l’unico aspetto rilevante della distribuzione proba-
bilistica dei ritorni è la media. Tra due investimenti, preferirà sempre quello con
il ritorno atteso più elevato. Gli state-contingent prices che utilizzerà per valutare
un investimento saranno uguali alle «probabilità soggettive» (subjective probabi-
lities) dei diversi stati, divise per il riskless return, senza aggiustamenti per il ri-
schio. In altre parole, il fattore di aggiustamento per il rischio relativo ad ogni
stato sarà pari a 1.

risk-neutral valuation principle Secondo il «principio della valutazione neu-


trale verso il rischio» (risk-neutral valuation principle), il valore corrente di
un’opzione è pari al valore atteso in un mondo neutrale verso il rischio, attualiz-
zato in base al «ritorno privo di rischio» (riskless return).

riskless arbitrage opportunity C’è un’«opportunità di arbitraggio priva di


rischio» (riskless arbitrage opportunity) se e solo se: si possono creare due por-
tafogli con uguali payoffs in ogni stato ma con costi diversi; o si possono creare
due portafogli con costi uguali, ma il primo portafoglio ha gli stessi payoffs del
secondo in tutti gli stati ed un payoff maggiore in almeno un stato; o si può creare
un portafoglio a costo nullo che ha payoffs non-negativi in tutti gli stati ed un pa-
yoff positivo in almeno uno stato.

409
DERIVATI

riskless return (r, r(t), rk(t), rk,i) I titoli base che offrono «ritorni privi di ri-
schio» (riskless returns) sono gli zero-coupon bonds «privi del rischio d’insol-
venza» (default-free). Nel mondo moderno, l’archetipo della “moneta” è rappre-
sentato dai Treasury bills. Questi titoli, emessi e garantiti dal governo degli Stati
Uniti, sono zero-coupon bonds, dato che non hanno cedole e offrono solo il rim-
borso del capitale alla scadenza. Tra tutte le istituzioni del mondo, il governo sta-
tunitense è quello che ha forse le più basse probabilità di risultare insolvente sulle
sue obbligazioni. Pertanto, il ritorno sul T-bill viene spesso usato come proxy per il
riskless return.

risk premium Il «premio al rischio» (risk premium) di un investimento è la


differenza tra il ritorno atteso e il «ritorno privo di rischio» (riskless return). È
anche detto «extra tasso di rendimento atteso» (expected excess rate of return). Il
risk premium rappresenta la remunerazione aggiuntiva richiesta dal mercato co-
me compenso per l’incertezza dei ritorni.

roll forward/roll down/roll up Il roll forward consiste nel sostituire un’op-


zione con un’altra scritta sullo stesso sottostante ma con vita residua più lunga. Il
roll down (roll up) consiste nel sostituire un’opzione con un’altra scritta sullo
stesso sottostante ma con prezzo d’esercizio più basso (più alto).
Il roll forward, il roll down delle calls o il roll up delle puts possono essere
utilizzati per rinviare l’esborso di denaro. Ad esempio, supponiamo che un inve-
stitore detenga il sottostante ed abbia venduto una call. Se il prezzo del sottostan-
te aumenta e la call viene riacquistata, l’investitore dovrà far fronte ad un esborso
di denaro. Se invece aspetta la scadenza, potrà cedere il titolo ricevendo in cam-
bio il prezzo d’esercizio. Per rinviare questo momento e sperare in una miglior
fortuna, l’investitore può mettere in atto un roll forward and down, sostituendo la
call corta con un’altra call corta a più lunga scadenza e con minore prezzo
d’esercizio. Dato che il ricavato della vendita della nuova call è maggiore
dell’esborso necessario per chiudere la vecchia posizione, l’investitore rinvierà o,
se fortunato, eviterà l’esborso di denaro.

rolling strip hedge È possibile che i futures trattati in borsa abbiano scadenze
troppo brevi o insufficiente liquidità rispetto agli obiettivi degli investitori. In tal
caso, è utile riuscire a replicare i futures a più lungo termine mettendo in atto
strategie basate sui futures a breve termine. L’investimento in un’obbligazione a
lungo termine può essere replicato dal rollover su una serie di obbligazioni a bre-
ve termine. Un risultato simile può essere ottenuto, per quanto riguarda i for-
wards o i futures, attuando una strategia di «rinnovo dello strip hedge» (rolling
strip hedge). In questa strategia, i futures vengono acquistati. Quando scadono si
acquistano nuovi futures ed i profitti e le perdite vengono investiti in moneta.
Questa procedura continua fino alla fine dell’orizzonte temporale.

S Prezzo corrente dell’attività sottostante.

S* Prezzo dell’attività sottostante alla data di scadenza.

410
GLOSSARIO

Sj Il prezzo dell’attività sottostante alla fine di un albero binomiale nello stato j


(ossia, dopo j rialzi).

σ La volatilità di popolazione dell’attività sottostante, o la «volatilità implicita»


(implied volatility) dell’attività sottostante.

σ̄ La stima campionaria della deviazione standard di popolazione del ritorno


logaritmico su base annua.

sample mean (µ̄) La «media campionaria» (sample mean) è una stima della
media di popolazione, µ, basata su un campione di osservazioni. L’idea più natu-
rale è quella che la migliore stima sia rappresentata dalla media aritmetica del
campione: µ̄h ≡ [∑k log(rk)]/n. Ignorando i payouts, dato che r1 = S1/S0, r2 = S2/S1,
..., rn = Sn/Sn−1, otteniamo per sostituzione µ̄h = [log(Sn/So)]/n (dato che S1, S2,...,
Sn−1 si elidono). Pertanto, la nostra stima campionaria dipende solo dai prezzi ini-
ziale e finale, indipendentemente da quello che succede all’interno del campione.

sample statistic Si veda population parameter/sample statistic.

sample variance (σ¯2) La «varianza campionaria» (sample variance) è una sti-


ma della varianza di popolazione, σ2, basata su un campione di osservazioni. Lo
stimatore utilizzato in statistica è σ¯2h ≡ {∑k [log(rk) − µ̄h]2}/(n − 1). Si può dimo-
strare che σ¯2 è uno stimatore corretto; in altri termini, E(σ¯2) = σ2. Per capire cosa
significa questa proprietà, calcoliamo σ¯2 in base al campione. Immaginiamo ora
di poter “rigirare” il passato più volte, estraendo ogni volta una nuova serie stori-
ca. Possiamo usare ogni nuovo campione per calcolare un nuovo σ¯2. In generale,
la nuova stima sarà diversa da quella ottenuta sulla base del campione preceden-
te. Ogni volta che rigiriamo il passato, ci aspettiamo che il σ¯2 osservato sia pari
a σ2. In altri termini, σ¯2 può risultare troppo alto o troppo basso, ma in media ci
aspettiamo che sia pari a σ2.

sampling interval Nell’analisi statistica delle serie storiche, l’«intervallo di


campionamento» (sampling interval) è la frequenza delle singole osservazioni nel
periodo d’interesse. Si veda anche observation period/sampling interval.

savings bonds Le «obbligazioni di risparmio» (saving bonds) emesse negli Sta-


ti Uniti hanno tagli da $50 a $10.000 per attrarre i piccoli risparmiatori. Le prime
emissioni offrivano un tasso di rendimento minimo. In genere questi titoli con-
sentono ai possessori il rimborso anticipato alla pari. Tuttavia, le emissioni effet-
tuate dopo il maggio 1997 e detenute per meno di 5 anni sono soggette ad una
penalizzazione pari a 3 mesi di interessi. Ossia, se i titoli vengono liquidati dopo
x mesi, gli interessi vengono pagati solo su max [0, x − 3] mesi. Gli interessi sono
esenti dalle imposte sui redditi, a livello federale e statale.

scalper Si veda day trader/scalper.

seat Si veda exchange.

411
DERIVATI

seagull I «gabbiani» (seagulls) sono simili alle puts corte fatta eccezione per il
fatto che il payoff è irregolare in prossimità dello strike intermedio.

second fundamental theorem of financial economics Teorema secondo cui le


«probabilità neutrali verso il rischio» (risk-neutral probabilities) sono uniche se
e solo se il mercato è completo.

secondary market Si veda primary/secondary market.

Securities Act of 1933/Securities Exchange Act of 1934 Il Securities Act del


1933 è stata la prima legge varata dal Parlamento degli Stati Uniti per regolamen-
tare il mercato dei titoli. Promulgata in risposta alla Grande Depressione, impose
che i titoli negoziati pubblicamente venissero registrati e fossero soggetti ad ob-
blighi di informativa. Il Securities Exchange Act del 1934 delegò alla Securities
and Exchange Commission le responsabilità per l’attuazione della normativa.

Securities and Exchange Commission (SEC) Organo di vigilanza istituito


con il Securities Act del 1934. Nella home page del sito web della SEC si legge:
«La SEC è un’agenzia indipendente, imparziale, quasi-giudiziaria con responsa-
bilità nell’amministrazione delle leggi federali in materia di titoli. Lo scopo di
queste leggi è quello di proteggere gli investitori che operano onestamente nei
mercati mobiliari e di assicurare che gli investitori abbiano accesso alle informa-
zioni rilevanti circa i titoli negoziati pubblicamente. La Commissione regolamen-
ta anche le ditte che acquistano o vendono titoli, le persone che offrono servizio
di consulenza per gli investimenti e le investment companies». La SEC è retta da
5 commissari designati dal Presidente degli Stati Uniti.

securitisation La «cartolarizzazione» (securitisation) è il processo con cui i


mutui vengono raggruppati in un pool così da formare la base per un solo titolo.

self-financing Una «strategia che si auto-finanzia» (self-financing strategy)


non comporta né entrate né uscite di denaro tra l’inizio e la fine. Ad esempio, le
«opzioni ordinarie» (standard options) sono investimenti che si auto-finanziano
mentre i futures non lo sono. Non sorprende quindi che la «strategia di replica
dinamica» (dynamic replicating strategy) di un’opzione ordinaria si auto-finanzi.

seller Si veda buyer/seller.

settlement price Il prezzo futures alla chiusura del mercato, scelto da un appo-
sito comitato di borsa tra i prezzi rilevati a fine giornata. È il prezzo utilizzato per
il marking-to-the-market, in modo che profitti e perdite siano immediatamente
accreditati e addebitati. Per le opzioni «liquidate per contanti» (cash-settled) il
termine «prezzo di liquidazione» (settlement price) si riferisce al valore del sotto-
stante ai fini della liquidazione del contratto.

short against the box La «vendita allo scoperto» (short sale) di un titolo che
già si possiede. L’alternativa più naturale sarebbe quella di chiudere la posizione
vendendo i titoli che già si possiedono. Con lo shorting against the box risultano

412
GLOSSARIO

aperte simultaneamente due posizioni, una lunga e una corta. Questo tipo di tran-
sazione viene spesso effettuato per motivi fiscali dato che può posticipare la rea-
lizzazione di un guadagno sulla posizione lunga ma allo stesso tempo comporta
un’esposizione netta nulla.

short sale Le «vendite allo scoperto» (short sales) sono vendite effettuate dopo
aver preso in prestito i titoli da vendere.

short sale up-tick rule Negli Stati Uniti, le vendite allo scoperto non sono
consentite quando l’ultima variazione di prezzo durante la giornata è negativa.
Per eseguire la vendita, il venditore allo scoperto deve aspettare che il prezzo
dell’azione si muova al rialzo. Questa è la cosiddetta «regola dell’up-tick».

short squeeze Chi vende allo scoperto può anche rimanere «schiacciato» (short
squeezed) se i prestiti di azioni vengono intenzionalmente monopolizzati per co-
stringerlo a chiudere la sua posizione con acquisti a prezzi esorbitanti. Più in ge-
nerale, quando alcuni investitori tentano di monopolizzare l’offerta di un’attività
per ottenere il controllo del prezzo si dice che essi cercano di «mettere il mercato
alle corde» (cornering the market).

shout Si veda cliquet/shout.

skewness La «media» (mean) misura la tendenza centrale dei ritorni mentre la


«varianza» (variance) misura la dispersione dei ritorni. La skewness arricchisce il
quadro misurando la concentrazione della probabilità di ritorni negativi o positivi.
In caso di skewness positiva, l’elevata probabilità di una piccola perdita è compen-
sata dalla piccola probabilità di una forte vincita. Si parla in questi casi di «tiri da
lunga distanza» (long shots). In caso di skewness negativa, la piccola probabilità di
una forte perdita è compensata dall’elevata probabilità di una piccola vincita. La
consueta funzione di densità normale, «a forma campanulare» (bell-shaped), è
simmetrica ed ha skewness nulla. In genere, date due distribuzioni con stessa me-
dia e stessa varianza, una può avere skewness positiva e l’altra negativa.

specialists Exchange members che possono negoziare per proprio conto o per
conto del pubblico e che hanno l’obbligo di «fare mercato» (make a market);
gestiscono il «libro degli ordini con limite di prezzo» (limit orders book).

specialist system Sistema di negoziazione in cui, per ogni trading pit, c’è uno
specialist che gestisce i limit orders e i market orders. Invece, nel competitive
market-maker system, i market-makers sono in competizione l’uno con l’altro.

speculator Si veda hedger/speculator.

spot market Si veda cash market.

spot price (S) Prezzo corrente a pronti di un’attività.

spread Una posizione su due derivati, nella quale il primo è lungo ed il secon-
do è corto in modo da coprire l’altro. In genere, lo spread è meno rischioso di

413
DERIVATI

ciascuna delle due posizione da cui è formato. Una posizione su due futures al-
trimenti identici ma con diverse date di consegna è detta interdelivery spread.
Una posizione su due futures altrimenti identici ma con diverse attività sottostanti
è detta intercommodity spread. Tra gli esempi di intercommodity spreads figura-
no il NOB spread (Notes Over Bonds), il MOB spread (Municipals Over Bonds),
il crush spread (tra olio di soia e farina di soia), il crack spread (tra petrolio grez-
zo e benzina o gasolio), il gold-silver spread (tra oro e argento) ed il Ted spread
(tra T-bills ed eurodollari). Una posizione su due opzioni identiche ma con diver-
si prezzi d’esercizio è detta bull o bear spread; una posizione su due opzioni i-
dentiche ma con diverse scadenze è detta time spread; una posizione su due op-
zioni identiche ma con diversi prezzi d’esercizio e diverse scadenze è detta dia-
gonal spread.
Nel caso delle opzioni sullo stesso sottostante, il termine spread può anche ri-
ferirsi alle posizioni su due opzioni in cui il numero di ciascun opzione non è lo
stesso. Tra gli spreads di questo tipo figurano: il back (front) spread tra due calls
o due puts, altrimenti identiche, fatta eccezione per i prezzi d’esercizio e in cui il
numero delle calls o delle puts lunghe è maggiore (minore) del numero delle
calls o puts corte; il neutral spread tra due opzioni scritte sullo stesso sottostante
e dello steso tipo (due calls o due puts) dove il numero di ciascuna opzione è
scelto in modo da creare una posizione con un delta nullo.
Nel caso delle opzioni sullo stesso sottostante, il termine spread può a volte
riferirsi alle posizioni su tre opzioni. Tra gli spreads di questo tipo figurano: il
butterfly spread tra tre opzioni, altrimenti identiche, fatta eccezione per i prezzi
d’esercizio, dove si acquista (vende) un’opzione con strike basso ed una con
strike alto e si vendono (comprano) due opzioni con strike intermedio. Alcune
posizioni con due opzioni scritte sullo stesso sottostante, anche se coperte, non
sono considerate spreads: è il caso degli straddles e degli strangles.
Una distinzione che interessa tutti gli spreads di cui sopra è quella tra debit
spreads e credit spreads: i credit spreads comportano un’entrata e i debit spreads
un’uscita. Ad esempio, i bear spreads mediante calls sono di solito credit spre-
ads mentre i bear spreads mediante puts sono di solito debit spreads.

spread option Le «opzioni differenziali» (spread options), diversamente dalle


«opzioni ordinarie» (standard options), sono scritte sulla «differenza» (spread)
tra i prezzi di due attività.

stack hedge La «copertura a pacchetti» (stack hedge) rappresenta un modo per


migliorare il rolling strip hedge. Sfortunatamente, quest’ultimo non funziona
bene se ci sono variazione inattese nei tassi d’interesse o se la base cambia in
modo imprevedibile – ad es. perché l’attività sottostante viene detenuta per fini di
consumo o di produzione. In tal caso ci troviamo nella difficile situazione in cui
non solo i futures a lungo termine non sono disponibili o sono poco liquidi ma
non possiamo neppure contare sulle ipotesi che sono alla base del rolling strip
hedge. Cosa possiamo fare?
Anche se la soluzione non è perfetta, possiamo adottare una stack hedge.
Questo schema consente di approfittare del fatto che i futures con le scadenze più

414
GLOSSARIO

vicine sono spesso i più liquidi. Consideriamo, ad esempio, uno strip hedge me-
diante Eurodollar futures in cui – a dicembre – vendiamo 3 futures con scaden-
za, rispettivamente, a marzo, giugno e settembre dell’anno successivo a copertura
di un prestito di $1.000.000. Supponiamo che i futures per marzo e giugno siano
sufficientemente liquidi mentre il futures per settembre sarà liquido solo a marzo.
Date queste condizioni, possiamo realizzare uno stack hedge se ora (a dicembre)
vendiamo 1 futures con scadenza marzo per $1.000.000 e vendiamo 2 futures su
eurodollari con scadenza giugno per $2.000.000; e a marzo ricompriamo 1 futu-
res con scadenza giugno per $1.000.000 e vendiamo 1 futures con scadenza set-
tembre per $1.000.000. Affinché la copertura funzioni bene, dobbiamo sperare
che il secondo dei 2 futures per giugno si comporti in modo simile al futures per
settembre e che quindi la variazione di prezzo nel periodo dicembre-marzo sia
pressoché la stessa. Chiaramente non sarà proprio così, ed ecco perché questa
copertura non è perfetta. A marzo, quando la liquidità del futures per settembre
migliorerà, potremo crearci una copertura perfetta da quel punto in poi ricom-
prando il secondo futures per giugno e sostituendolo con un futures corto per set-
tembre.

Standard and Poor’s 500 Index (SPX, S&P500 Index) Un indice che si basa
su un paniere di 500 azioni a grande capitalizzazione, che coprono circa l’80-
85% del valore di mercato di tutte le azioni quotate alla New York Stock Ex-
change (NYSE). L’indice viene costruito calcolando, per ciascun titolo, la capita-
lizzazione corrente (definita come prodotto tra il prezzo di mercato e il numero
delle azioni in circolazione) e sommando poi i valori ottenuti. Il valore comples-
sivo è stato riproporzionato in modo da risultare pari a 10 nel periodo 1941-43.
Col tempo, il fattore di scala è stato cambiato per evitare che l’indice fosse in-
fluenzato dalle modifiche nella composizione del paniere (per come è costruito,
lo S&P500 non ha bisogno di rettifiche in occasione dei frazionamenti). La sua
serie storica giornaliera è disponibile dal 1928. Questo indice misura solo i «gua-
dagni in conto capitale» (capital gains). Fortunatamente, la Standard & Poor’s ha
rilevato, fin da 1928, anche i dividendi (ma la serie storica giornaliera inizia dal
1988) per cui è possibile calcolare un indice del rendimento complessivo (capital
gains più dividendi), al lordo delle imposte. Lo S&P500 è il benchmark del mer-
cato azionario che viene più utilizzato per confrontare la performance ottenuta
dagli investitori istituzionali.
I futures e le futures options sullo S&P 500 sono trattati alla Chicago Mer-
cantile Exchange. Le opzioni sullo S&P 500 sono trattate alla Chicago Board
Options Exchange. All’American Stock Exchange vengono trattati gli Standard
and Poor’s Depository Receipts, detti spiders. Alcuni «fondi comuni d’investi-
mento aperti» (open-end mutual funds) vengono gestiti in modo da replicare la
performance dello S&P500, come ad esempio il Vanguard Index Trust − 500
Portfolio, il secondo fondo comune per dimensione. Molti altri fondi, con quote
detenute da fondi pensione, vengono gestiti in modo da replicare lo S&P 500.

Standard & Poor’s Depository Receipt (SPDR) Un titolo quotato alla Ameri-
can Stock Exchange rappresentativo di un’azione in uno unit investment trust

415
DERIVATI

che detiene un portafoglio teso a replicare lo S&P500. Gli spiders, così come so-
no chiamati in gergo, offrono un’alternativa agli index funds basati sullo
S&P500 Index e godono di tutti i vantaggi delle azioni liquide, incluso un attivo
mercato infra-giornaliero (mentre le quote degli index funds possono essere com-
prate e vendute solo alla chiusura del mercato). Tra gli altri unit investment trusts
quotati all’Amex figurano i WEBS, una serie di index funds per specifici Paesi, e
i DIAMONDS, che si basano sul Dow Jones Industrial Average.

standard binomial option pricing model Un caso particolare del binomial


option pricing model. Questo modello, noto anche come “Cox-Ross-Rubinstein
model”, assume che l’albero binomiale si ricombini, con volatilità costante, ri-
skless return costante e payout return costante. La Black-Scholes formula è un
ulteriore caso particolare che vale per le European options e si ottiene specifi-
cando un numero infinito di intervalli per l’albero binomiale.

standard deviation (σ) La «varianza» (variance), come misura dell’incertezza


del payoff, ha almeno un significativo inconveniente: mentre il payoff atteso è
denominato in dollari, la varianza – a causa dell’elevazione al quadrato – è e-
spressa in dollari al quadrato ($2). È quindi difficile confrontare i valori attesi con
le varianze. Per superare questo problema, di solito si prende la radice quadrata
(positiva) della varianza. Il valore che si ottiene – espresso in $ – è noto come
«deviazione standard» (standard deviation).

standard option Le «opzioni ordinarie» (standard options) sono contratti per


comprare o vendere l’attività sottostante ad un prezzo predeterminato e ad una
certa data (o entro una certa data), nei quali una delle controparti ha la facoltà di
annullare l’accordo. Se il diritto di annullare il contratto spetta alla parte che deve
ricevere l’attività sottostante, l’opzione è di tipo call; se invece il diritto spetta
alla parte che deve consegnare l’attività sottostante, la opzione è di tipo put.

state-contingent claim/price (πu/πd) I «diritti stato-dipendenti» (state-


contingent claims), detti anche pure securities o Arrow-Debreu securities, paga-
no 1 in un solo stato e 0 negli altri. Questi titoli sono le particelle elementari
dell’economia finanziaria. Gli state-contingent prices sono i prezzi degli state-
contingent claims. Se non ci sono «opportunità di arbitraggio prive di rischio»
(riskless arbitrage opportunities) e in presenza di «mercati perfetti» (perfect
markets), la somma degli state-contingent prices è pari al prezzo corrente di un
titolo privo di rischio con payoff pari a 1. Il «ritorno privo di rischio» (riskless
return) è pari ad 1 diviso per la somma degli state-contingent prices.

static replication Si veda replicating portfolio.

stock market crash of 1987 Il 19 ottobre 1987, lo S&P500 crollò del 20% −
circa il doppio del precedente record storico. Ma il crash fu ancora più estremo.
Dato che alcuni titoli importanti non vennero trattati per un paio d’ore a ridosso
della chiusura, l’indice di fine giornata fu creato sulla base delle ultime quotazio-
ni disponibili. Invece, il futures sullo S&P500 venne scambiato per l’intera gior-

416
GLOSSARIO

nata ed il suo prezzo rappresenta, probabilmente, il miglior indicatore dell’effet-


tivo crollo del mercato azionario statunitense: scese del 29%! Molti osservatori −
tra cui un gruppo di esperti messo su dal Presidente degli Stati Uniti − attribuì le
responsabilità del crash ai derivati su indici e alle strategie dinamiche!

stop-out point Un modo per impedire al «portafoglio assicurato» (insured por-


tfolio) di scendere sotto il floor è quello di chiederci: se il valore corrente del por-
tafoglio assicurato venisse interamente investito in moneta al riskless return pre-
valente, riusciremmo a superare il floor prima della scadenza? Se la risposta è sì,
continuiamo a seguire la «strategia di replica dinamica» (dynamic replication
strategy) con un capture ratio positivo. Se la risposta è no, allora non è più pos-
sibile perseguire un capture ratio positivo (e nello stesso tempo garantire il flo-
or). A questo punto, noto come stop-out point, occorre investire tutto in moneta e
lasciare le cose come stanno fino alla scadenza. Questo è l’unico modo per garan-
tire il floor. In sostanza, i ponti alle nostre spalle sono stati bruciati e non possia-
mo assumerci altri rischi.

straddle Supponiamo di ritenere che stia per essere diffusa una notizia che po-
trà avere forti ripercussioni sulla quotazione di una certa attività. Ci aspettiamo
che, una volta diffusa la notizia, la quotazione avrà un forte rialzo o un forte ri-
basso. Sfortunatamente, non c’è modo di prevedere in che direzione si muoverà.
Questo tipo di notizia è difficile da sfruttare nel mercato spot, ma il mercato delle
opzioni consente soluzioni personalizzate.
Comprando una at the money (ATM) call possiamo beneficiare del rialzo.
Però, questa posizione, da sola, non ci consente di trarre alcun vantaggio dal resto
dell’informazione (la possibilità di un forte ribasso). Se acquistiamo anche una
ATM put possiamo trarre profitto da entrambe le variazioni. Questa posizione,
che combina una call lunga con una put lunga avente lo stesso strike e la stessa
scadenza, è detta straddle. Chiaramente, oltre a pagare per la call, dovremo paga-
re anche per la put; pertanto, perderemo l’intero importo se il prezzo dell’attività
resterà invariato. Questa posizione rappresenta una chiara scommessa sulla vola-
tilità. Se la nostra opinione sulla volatilità è uguale a quella del mercato,
l’importo da pagare è equo. A queste condizioni potremmo essere indifferenti sul
da farsi, ossia se procedere o meno all’acquisto delle opzioni. Se invece ritenia-
mo che l’attività sarà più volatile di quanto è previsto dal mercato, l’acquisto del-
lo straddle potrebbe apparire conveniente. Spesso i traders dicono che il mercato
delle opzioni è in sostanza un mercato di volatilità: chi compra lo straddle (o an-
che solo una call o una put) compra volatilità; chi vende lo straddle vende volati-
lità.

strangle Lo strangle è molto simile allo straddle: entrambi comportano


l’acquisto di una call e di una put con la stessa scadenza. Però, diversamente dal-
lo straddle, la call e la put hanno strikes diversi: lo strike della call è più alto del-
lo strike della put. Questo determina perdite costanti nella regione in cui nessuna
delle due opzioni viene esercitata. Per il resto, il payoff è molto simile a quello
dello straddle. Anche se la massima perdita sullo strangle è minore di quella sul-

417
DERIVATI

lo straddle, non solo è più probabile che questa perdita si verifichi ma il prezzo
del sottostante deve muoversi ancor di più per far sì che la posizione si chiuda
con un profitto.

strap/strip Gli straps sono simili agli straddles ma l’aggressività dell’esposi-


zione ai rialzi viene raddoppiata con l’acquisto di due calls invece di una. Al pari
degli straddles, l’investitore scommette su una forte variazione del prezzo del
sottostante ma ritiene più probabile un rialzo che un ribasso. Simile allo strap è lo
strip, in cui si comprano due puts e una call aventi lo stesso strike e la stessa sca-
denza. Al pari degli straddles, l’investitore scommette su una forte variazione del
prezzo del sottostante ma ritiene più probabile un ribasso che un rialzo.

strike price (K) Le «opzioni ordinarie» (standard options) sono simili ai for-
wards dato che hanno per oggetto una futura compravendita il cui prezzo viene
fissato ora. Nel caso delle opzioni, questo prezzo viene chiamato «prezzo d’eser-
cizio» (strike price o exercise price) invece di «prezzo di consegna» (delivery
price), termine utilizzato per i forwards.

strip hedge Supponiamo di prendere in prestito $1.000.000 per i prossimi 12


mesi. Il «prestito a tasso variabile» (floating rate loan) prevede pagamenti trime-
strali determinati in base al Libor a 3 mesi maggiorato dell’1%. Il finanziamento
viene erogato a dicembre quando il Libor è pari al 6% annuo. Dopo 3 mesi, a
marzo, dovremo quindi pagare il 7% annuo. A marzo, il Libor a 3 mesi risulterà
pari all’x%, per cui 3 mesi dopo, a giugno, dovremo pagare l’equivalente trime-
strale dell’(x + 1)%. Il Libor a 3 mesi osservato a giugno e a settembre determi-
nerà i pagamenti cui saremo tenuti a settembre e a dicembre, rispettivamente.
Temiamo però che i tassi d’interesse possano aumentare, obbligandoci a pa-
gare più del 7% corrente. Per coprirci da questo rischio possiamo utilizzare una
«copertura a strisce» (strip hedge) mediante «futures su eurodollari» (Eurodollar
futures) con dimensione pari a $1.000.000. Vendiamo ora (a dicembre) un futures
con scadenza marzo, un futures con scadenza giugno e un futures con scadenza
settembre. Ogni futures blocca il Libor relativo ai 90 giorni che seguono la sua
scadenza. Pertanto lo strip hedge blocca tre Libor a 3 mesi, per ciascuno dei tre
trimestri da marzo a dicembre. Supponiamo che il Libor a 3 mesi di marzo risulti
pari all’8%, con un costo aggiuntivo sul floating rate loan pari all’equivalente
trimestrale dell’1% (= 8% – 7%). Tale costo verrà compensato dal guadagno
sull’Eurodollar futures con scadenza marzo. Analogamente, i futures con sca-
denza giugno e settembre offrono protezione contro eventuali rialzi del Libor a
giugno e a settembre.

strong/weak backwardation Se la base è negativa (F < S), si dice che il futu-


res è in «forte deporto» (strong backwardation). Questa è la situazione normale
per il petrolio e per molte valute. Se r > d, si dice che il futures è in «debole de-
porto» (weak backwardation) quando il prezzo futures, pur essendo maggiore del
prezzo spot, è minore del prezzo teorico [S (r/d) t nel caso dei futures su indici
azionari]. Questi stessi termini vengono a volte utilizzati con riferimento alla
term structure dei prezzi futures. Ad esempio, se la term structure è inclinata ne-
gativamente, si dice che il mercato è in deporto. Si veda anche backwardation.

418
GLOSSARIO

structured debt Si veda hybrid (or structured) debt.

subjective probabilities (q)/subjective probability diagram Dovete decidere


se acquistare una polizza assicurativa contro i terremoti. La decisione dipende da
quella che, secondo voi, è la probabilità di un terremoto. Se vivete negli Stati del
Midwest, potete concludere che le probabilità sono così remote che non avete biso-
gno di una polizza. Se invece vivete in California, è possibile che la riteniate neces-
saria. Un modo sistematico per tener conto di queste considerazioni è quello di
assegnare una «probabilità soggettiva» (subjective probability) a tutti i possibili
stati futuri. Perché si tratti di probabilità, questi numeri devono essere non-
negativi e la loro somma deve essere pari a 1. Ogni probabilità soggettiva misura
il grado di confidenza dell’individuo nei confronti del relativo evento. Ad esem-
pio, se una probabilità soggettiva è il doppio di un’altra, l’individuo crede che il
primo evento sia due volte più probabile del secondo.
Bisogna fare attenzione a non confondere le probabilità soggettive con le
«probabilità neutrali verso il rischio» (risk-neutral probabilities). Anche se molti
non pensano direttamente in termini di probabilità soggettive, si può dimostrare
che gli individui razionali si comportano come se le utilizzassero (Savage, 1954).

swap Gli swaps sono contratti con i quali ci si impegna a scambiare i redditi di
due attività, per un certo periodo, definendo le condizioni in modo che il valore
iniziale del contratto sia nullo. Gli swaps più diffusi sono i plain-vanilla interest
rate swaps, con i quali si scambiano interessi fissi con interessi variabili, deter-
minati con riferimento allo stesso «capitale nozionale» (notional principal), per
un periodo di lunghezza T (tenor). Gli interessi vengono scambiati a date equi-
spaziate (t = 1, 2, 3, ..., T). In genere, il tasso variabile pagato alla fine di ogni
periodo si basa sul Libor di inizio periodo. Le date nelle quali si osserva il nuovo
tasso variabile sono chiamate reset dates.
Il mercato degli swaps si è sviluppato a seguito della domanda degli investi-
tori, che pur avendo un vantaggio comparato nel prendere in prestito denaro in un
certo mercato, desiderano in realtà finanziarsi nel mercato che è per loro relati-
vamente svantaggioso. Attraverso gli swaps, questi investitori riescono ad ottene-
re condizioni migliori di quelle altrimenti disponibili.

swap rate Il tasso swap (swap rate) dei plain-vanilla interest rate swaps è il
tasso di rendimento effettivo che rende nullo il valore iniziale dello swap. Gli
swaps possono essere replicati o da un portafoglio composto da una posizione
lunga su un titolo a tasso fisso e da una posizione corta su un titolo a tasso varia-
bile oppure da un portafoglio di forwards con date di consegna sequenziali. Que-
sti portafogli possono essere utilizzati per determinare lo swap rate.

swaption Un’opzione scritta su un interest rate swap.

synthetic call/put In base alla put-call parity relation, la call europea sintetica
si ottiene comprando una put, comprando il sottostante e prendendo denaro in
prestito. Analogamente, la put europea sintetica si ottiene comprando una call,
vendendo il sottostante e dando denaro in prestito.

419
DERIVATI

synthetic forward/futures In base alla forward-spot parity relation, il forward


o futures sintetico si ottiene comprando il sottostante con denaro preso a prestito.
I forwards, e in prima approssimazione anche i futures, possono anche essere re-
plicati con portafogli composti da «opzioni ordinarie» (standard options).

t Vita residua (in anni).

T Scadenza di un’obbligazione; tenor di uno swap.

Θ Il theta di un derivato.

Taylor series La «serie di Taylor» (Taylor series) riesprime la differenza tra i


valori di una funzione in due punti con una polinomiale della differenza tra i due
punti:
f ( x + h) − f ( x ) = (∂f / ∂x) h + 2 (∂ 2 f / ∂x 2 )h 2 + 6 (∂ 3 f / ∂x 3 ) h 3 + ...
1 1

Si noti che se f (·) è lineare, l’approssimazione sarà esatta dopo il primo termine
del lato destro, e se f (·) è quadratica, l’approssimazione sarà esatta dopo il se-
condo termine del lato destro. Si consideri, ad es., f (x) = ax2 + bx + c per cui:
∂f / ∂x = 2ax + b, ∂ 2 f / ∂x 2 = 2a, ∂ 3 f / ∂x 3 = ∂ 4 f / ∂x 4 = ... = 0
Sostituendo nel lato sinistro:
f ( x + h) − f ( x ) = [ a ( x + h) 2 + b( x + h) + c ] − (ax 2 + bx + c) = 2axh + ah 2 + bh
e nel lato destro:
(∂f / ∂h)h + 2 (∂ 2 f / ∂h 2 ) h 2 + ... = (2ax + b)h + 2 (2a)h 2 = 2axh + ah 2 + bh
1 1

tenor (T) Il tempo mancante alla scadenza dello swap.

theta (Θ) Una delle prime cose che i libri sulle opzioni tendevano a sottolinea-
re è che le opzioni sono beni “deperibili”. In altri termini, se il prezzo del sotto-
stante rimane inalterato, il valore dell’opzione tende a diminuire col passare del
tempo. Ma quanto velocemente? La risposta è fornita dal theta, ossia dalla deri-
vata del valore dell’opzione rispetto al tempo, che misura di quanto diminuisce il
valore dell’opzione, ceteris paribus, col passare di un istante di tempo.

third fundamental theorem of financial economics Teorema secondo cui,


sotto certe condizioni, la possibilità di modificare, col passare del tempo, il porta-
foglio dei titoli disponibili può porre rimedio alla mancanza di alcuni titoli e
completare efficacemente il mercato.

time spread Lo spread tra due opzioni altrimenti identiche fatta eccezione per
la scadenza. Detto anche horizontal spread o calendar spread.

time-to-delivery (t) Nel caso dei forwards o dei futures, il time-to-delivery è il


tempo mancante alla data di consegna.

420
GLOSSARIO

time-to-expiration (t) Nel caso delle opzioni, il time-to-expiration è il tempo


mancante alla scadenza del contratto.

trading cost I «costi di transazione» (trading costs) includono le commissioni,


i bid-ask spreads e l’impatto sul mercato. Di questi, il primo è il più facile da mi-
surare. In genere, il bid-ask spread quotato rappresenta un limite superiore per il
secondo tipo di trading cost. Molti ordini vengono eseguiti all’interno del bid-ask
spread e molti ordini vengono compensati da altri ordini, senza passare attraverso
lo specialist o il market-maker. Per questi ultimi lo spread è nullo. Gli ordini di
importo rilevante comportano un impatto sul mercato sia attraverso il temporaneo
disequilibrio tra domanda e offerta sia perché sono spesso interpretati dagli altri
traders come segnali di buone o cattive notizie. Un quarto tipo di costo riguarda
solo i limit orders: il costo della mancata esecuzione.

trading rules Il termine «regola operativa» (trading rule) viene utilizzato in


questo libro a proposito della frequenza e della dimensione delle negoziazioni
necessarie per far sì che il delta di un portafoglio sia molto vicino ad un certo
delta obiettivo. A causa dei costi di transazione, la trading rule della revisione
continua non è realizzabile.

trading volume Il numero di unità (azioni, contratti, lotti minimi, ecc.) nego-
ziate in un mercato in un certo periodo di tempo. Solo un lato di ogni transazione
viene contato − il numero acquistato o il numero venduto. Il «volume degli
scambi» (trading volume) può non essere un buon indicatore dell’attività svolta
sul mercato perché tratta allo stesso modo tutte le unità anche se si basano su
numeri diversi e su prezzi diversi del sottostante. Invece, il «controvalore degli
scambi» (dollar trading volume) tiene conto del prezzo a cui ogni unità è stata
negoziata.

Treasury bill (T-bill) Un titolo emesso e garantito dal governo degli Stati Uni-
ti. I T-bills sono zero-coupon bonds perché non hanno cedole e rimborsano il ca-
pitale solo alla scadenza. Al pari di Treasury notes e Treasury bonds, vengono
collocati mediante asta in tagli compresi tra $10.000 e $1.000.000.
Considerate un T-bill con vita residua di 52 giorni e valore nominale di
$100.000. Se il loro valore corrente è di $98.000, il ritorno su base annua è pari a
1,15 [= ($100.000/$98.000)365/52]. Il ritorno dei T-bills viene spesso utilizzato
dagli economisti come proxy del riskless return dato che, tra tutte le istituzioni
del mondo, il governo statunitense è quello che ha forse le più basse probabilità
di risultare insolvente sulle sue obbligazioni.

Treasury bill forward Un contratto forward scritto su un Treasury bill. Dob-


biamo distinguere tra la vita residua, T, del Treasury bill e la vita residua, t, del
contratto forward. Supponiamo, ad esempio, che la vita residua del Treasury bill
sia di 9 mesi, per cui T = 0,75. Supponiamo, inoltre, che la vita residua del con-
tratto forward sia di 6 mesi, per cui t = 0,5. Alla scadenza del contratto forward,
il Treasury bill che verrà consegnato avrà una vita residua pari a T – t, ossia a 9
mesi − 6 mesi = 3 mesi.

421
DERIVATI

Treasury bond/T-bond futures I Treasury bonds sono titoli di Stato a lungo


termine garantiti dal governo degli Stati Uniti. I T-bonds hanno scadenze di 10
anni o più e vengono collocati mediante asta. I T-bond futures, che sono tra i fu-
tures più attivamente negoziati in tutto il mondo, comportano la consegna di un
T-bond alla scadenza. Dato che l’offerta di uno specifico T-bond poteva essere
insufficiente a soddisfare la domanda, il Chicago Board of Trade ha stabilito
che possa essere consegnato un qualsiasi T-bond con vita residua di 15 anni o più
alla prima data utile per la consegna. In tal modo l’offerta disponibile viene so-
stanzialmente accresciuta e viene rimosso ogni inconveniente che potrebbe deri-
vare dall’insufficiente offerta di uno specifico T-bond.

Treasury note (T-note) Le Treasury notes sono titoli di Stato a medio termine
garantiti dal governo degli Stati Uniti. Le T-notes hanno scadenze comprese tra 1
e 10 anni e vengono collocate mediante asta.

trend/trend-following strategy Il trend è una variazione di prezzo che va nella


stessa direzione della variazione precedente − ossia, un rialzo seguito da un rial-
zo, o un ribasso seguito da un ribasso. Le strategie d’investimento dinamiche so-
no di tipo trend-following se comportano un acquisto dopo un rialzo ed una ven-
dita dopo un ribasso. Queste strategie sono tanto più redditizie quanto più fre-
quenti sono i trends. Si veda reversal/reversal strategy.

trinomial model Nei «modelli trinomiali» (trinomial models) il prezzo del sot-
tostante può muoversi verso tre livelli prima che sia possibile una nuova transa-
zione. Nel caso degli alberi trinomiali viene meno la proprietà fondamentale del
modello binomiale standard secondo cui il payoff di un derivato può essere repli-
cato negoziando solo il sottostante e la moneta. Ciononostante, i modelli trino-
miali vengono spesso utilizzati per valutare le opzioni, dato che permettono una
maggiore flessibilità nella definizione della dinamica del prezzo del sottostante o
perché spesso consentono l’utilizzo di tecniche numeriche più efficienti.

triple witching hour L’«ora della triplice stregoneria» (triple witching hour)
indica la simultanea scadenza degli stock index futures, delle stock index options
e delle stock index futures options che si verifica ogni tre mesi (il terzo venerdì di
marzo, giugno, settembre e dicembre).

u Ritorno (ex-payout) del sottostante in caso di rialzo (alberi binomiali).

u’ Ritorno del futures in caso di rialzo (alberi binomiali).

uncovered call Una call corta non coperta da una posizione lunga sul sotto-
stante. Questa posizione è anche detta vendita di una call «nuda» (naked).

unit investment trust Un «fondo patrimoniale» (trust) che racchiude un certo


portafoglio di investimenti che viene liquidato ad una data prefissata o alla sca-
denza dei titoli. Le quote del trust vengono acquistate dagli investitori. Gli unit
investment trusts sono regolati dalla Securities and Exchange Commission in

422
GLOSSARIO

base all’Investment Company Act del 1940. Recentemente, gli investimenti am-
messi sono stati estesi e includono i portafogli che replicano gli indici di mercato.
Ad esempio, le Standard & Poor’s Depository Receipts sono azioni di uno unit
investment trust che replica lo S&P500 Index.

upside capture (α) L’«assicurazione di portafoglio» (portfolio insurance)


promette un «limite inferiore» (floor) in caso di ribasso e un «rapporto di cattura»
(capture ratio) in caso di rialzo. Dato che il «portafoglio assicurato» (insured
portfolio) deve comportarsi meglio del sottostante in caso di ribasso, dovrà com-
portarsi peggio in caso di rialzo. Dato il floor, la seconda priorità è quella di mi-
nimizzare questa «sotto-performance» (shortfall) rispetto al sottostante in caso di
rialzo (S* > floor). In genere, la shortfall viene misurata dal capture ratio, il rap-
porto tra il valore dell’insured portfolio ed il valore del sottostante alla scadenza.

up-tick Si veda down-tick/up-tick.

utility function Descrizione matematica delle preferenze di un investitore ra-


zionale. La «funzione di utilità» (utility function) trasforma le diverse alternative
in «punteggi» (scores). Più alto è lo score, più desiderabile è la scelta.

var (x) Varianza di x.

value (di un’attività o di un derivato.) Si veda price/value.

value-at-risk (VAR) Un’innovazione relativamente recente per misurare il ri-


schio di una posizione su derivati. Per misurare il rischio, si fissa innanzitutto un
livello di confidenza, ad es. l’x%, ed un orizzonte temporale. Il «valore a rischio»
(value-at-risk) è la più piccola perdita che si dovrebbe verificare il 100 − x% del-
le volte, entro la fine dell’orizzonte temporale, se la posizione non viene rivista.
Ad esempio, supponiamo che il livello di confidenza sia pari al 99% e che l’o-
rizzonte temporale sia di 1 mese. Se l’1% delle volte la posizione su derivati può
comportare perdite pari a $1.000.000 o più nel prossimo mese, il value-at-risk è
pari a $1.000.000.
Tra le alternative al value-at-risk figurano il delta e la standard deviation dei
ritorni. Il delta è una misura locale di rischio (che misura le perdite derivanti da
una piccola, improvvisa variazione del prezzo del sottostante) mentre la standard
deviation è una misura globale di rischio. Sfortunatamente, il delta ha parecchi
difetti: 1) misura solo il rischio derivante dalle variazioni avverse del prezzo del
sottostante (anche altre variabili, come la volatilità, possono causare perdite); 2)
il delta non cattura le perdite dovute a discontinuità del prezzo del sottostante; 3)
il delta si riferisce ad un singolo sottostante mentre il vero problema è quello di
misurare il rischio di un portafoglio di derivati scritto su diversi sottostanti.
D’altra parte, la standard deviation è carente perché, nel caso di distribuzioni a-
simmetriche, leptocurtiche o platicurtiche, non è facile tradurla in perdite. Se la
posizione su derivati è complessa, la standard deviation dei ritorni della posizio-
ne può essere molto difficile da misurare. Inoltre, la standard deviation non sem-

423
DERIVATI

pre si traduce in una quantificazione del rischio facilmente comprensibile. Il va-


lue-at-risk supera questi difetti ed è diventato molto comune − al punto da essere
imposto dalle autorità di vigilanza − come metodo per la misurazione del rischio.

variance [var (x)] Misura la dispersione di un insieme di numeri. In partico-


lare, dati i payoffs X1, X2, X3,..., Xn, la media è m = (X1 + X2 + X3 +... + Xn)/n e la
varianza è [(X1 − m)2 + (X2 − m)2 + (X3 − m)3 +... (X − m)2]/n. La varianza viene
usata come misura del grado d’incertezza del risultato di una variabile casuale ed
è definita come valore atteso dei quadrati degli scarti tra i payoffs osservati e la
media dei payoffs.
Per ogni futuro stato j, dapprima calcoliamo la differenza tra il payoff effetti-
vo, Xj, e il payoff atteso, E(X): Xj − E(X); quindi eleviamo questa differenza al
quadrato: [Xj − E(X)]2; poi ponderiamo il quadrato di ogni differenza con la corri-
spondente probabilità soggettiva: Qj [Xj − E(X)]2; infine, per ottenere la varianza,
sommiamo i quadrati ponderati delle differenze relative ai diversi stati: var(X) ≡
∑ j Qj[Xj − E(X)]2.

variation margin L’importo di denaro pagato dal compratore al venditore di


un «contratto futures» (futures contract), o dal venditore al compratore, alla
chiusura di ogni giornata lavorativa, in conseguenza del marking-to-the-market.

vega La derivata del valore di un derivato rispetto alla volatilità, σ, del sotto-
stante: vega = [C(σ + ε) − C(σ)]/ε, dove C(σ) è il valore dell’opzione quando la
volatilità è σ e C(σ + ε) è il valore dell’opzione quando, ceteris paribus, la volati-
lità viene aumentata in misura pari a ε. Se si considera la «formula di Black e
Scholes» (Black-Scholes formula), il vega di una call o di una put europee è pari

a: ∂C/∂σ = ∂P/∂σ = S d−t √ t n(x).

volatility (σ, σ̄) La «volatilità» (volatility), una statistica simile alla «deviazio-
ne standard» (standard deviation), misura l’incertezza dei ritorni su base annua
del sottostante. Più precisamente, la volatilità è la deviazione standard su base
annua dei logaritmi naturali dei ritorni del sottostante.
Delle 6 variabili fondamentali che determinano il valore di un’opzione, la vo-
latilità è la più difficile da misurare. Per chi si occupa di statistica, il modo natu-
rale per stimare la volatilità è quello di esaminare la serie storica dei ritorni in un
certo «periodo di osservazione» (observation period). Dato un certo «intervallo
di campionamento» (sampling interval), i ritorni vengono rilevati ad intervalli
equispaziati e si considerano estratti dalla stessa distribuzione probabilistica. Sot-
to certe condizioni, la «varianza campionaria» (sample variance) è la migliore
stima della varianza di popolazione. Se il passato è una buona guida per il futuro,
questa stima rappresenta anche la migliore previsione della varianza che verrà
osservata durante la vita dell’opzione. La stima della volatilità può essere miglio-
rata estendendo il periodo di osservazione o aumentando la frequenza del cam-
pionamento mentre la stima del ritorno atteso non può essere migliorata aumen-
tando la frequenza del campionamento. Può essere migliorata solo estendendo il
periodo di osservazione.

424
GLOSSARIO

Un secondo metodo di stima delle volatilità sfrutta le informazioni contenute


nei prezzi delle stesse opzioni. Dato che i prezzi di mercato delle opzioni dovreb-
bero dipendere dalle volatilità, è possibile utilizzarli per stimare le future volatili-
tà delle attività sottostanti. Le stime ottenute, le cosiddette «volatilità implicite»
(implied volatilities), sono pari al livello di volatilità che inserito nella formula
Black-Scholes eguaglia il prezzo di mercato dell’opzione al suo valore teorico.
L’algoritmo di Newton-Raphson è uno dei metodi numerici che vengono utiliz-
zati per trovare le volatilità implicite.

warrant I warrants vengono collocati dalle società, spesso insieme ad altri tito-
li, per raccogliere capitali. Di solito, incorporano il diritto a comprare – dalla
stessa società – un certo numero di azioni, ad un prezzo prefissato, entro 5-10
anni. In genere, i warrants non sono protetti contro lo stacco dei dividendi. Per-
tanto, il loro valore può significativamente ridursi in seguito al pagamento dei
dividendi. Di conseguenza, dato che i portatori dei warrants non hanno influenza
sulle politiche di distribuzione degli utili, a volte vengono introdotte clausole di
“anti-diluizione”. Queste clausole possono comportare la riduzione dei prezzi
d’esercizio se i dividendi distribuiti eccedono un certo livello.

wash sale L’acquisto e la vendita dello stesso titolo simultaneamente o entro un


breve periodo di tempo, effettuata allo scopo di trarre beneficio dall’aumento o
dalla riduzione del prezzo del titolo o per realizzare perdite fiscalmente rilevanti
senza alterare l’esposizione. Secondo le attuali norme fiscali dell’Internal Reve-
nue Service si ha una wash sale se la vendita avviene entro 30 giorni dall’acqui-
sto. Le perdite su queste transazioni non sono deducibili ai fini delle imposte sui
redditi. Queste norme non si applicano ai securities dealers e ai market-makers.
Il Tax Reform Act del 1984 ha esteso la normativa sulle wash sales ai titoli che
sono sostanzialmente identici.

wildcard option Le opzioni sullo S&P100 hanno anche un’altra particolarità.


Alla Chicago Board Options Exchange, le contrattazioni terminano alle 15:15
(ora di Chicago), ma quelle sull’attività sottostante (i titoli appartenenti al panie-
re) terminano alle 15. I compratori delle opzioni possono aspettare fino alle 15:20
per decidere se esercitare. Tuttavia, il «prezzo di liquidazione» (settlement price)
è quello rilevato 20 minuti prima, alle 15. Di conseguenza, nei contratti c’è
un’«opzione incorporata» (embedded option), chiamata wildcard, a favore dei
compratori. Supponiamo, ad esempio, che il prezzo spot di chiusura dell’indice,
alle 15, sia pari a $1.005. Notizie negative giungono sul mercato tra le 15 e le
15:20. Gli operatori sono sicuri che il giorno dopo l’indice aprirà in ribasso, a
$995. Il compratore di una call con prezzo d’esercizio di $1.000 potrebbe utiliz-
zare queste informazioni per esercitare l’opzione entro le 15:20, in modo da bloc-
care il prezzo di $1.005.
Un altro esempio di wildcard option si ha nei «piani di risparmio con differi-
mento delle imposte» (deferred-tax savings plans) identificati dalla sigla 401 (k).
Questi piani consentono di investire in esenzione fiscale parte del reddito imponibi-

425
DERIVATI

le e di percepire redditi esenti da imposte. Solo in caso di prelevamenti (di solito,


all’atto del pensionamento) l’investimento iniziale e i redditi reinvestiti vengono
assoggettati a tassazione, con un’aliquota che è in genere inferiore a quella che sa-
rebbe stata applicata in precedenza. Inoltre, molti datori di lavoro contribuiscono ai
piani con «fondi a proprio carico» (matching funds). I prelevamenti effettuati prima
dei 59,5 anni di età sono penalizzati. I fondi possono essere «trasferiti» (rolled o-
ver) in altri piani, senza oneri fiscali o di altro genere. Dato che alcuni piani vengo-
no valutati annualmente, il loro valore al momento del rollover potrebbe anche ba-
sarsi su stime effettuate un anno fa. Pertanto, se il valore si è ridotto rispetto
all’ultima data di valutazione, il rollover può essere conveniente.
Anche i Treasury bond futures incorporano una wildcard option a favore dei
venditori. Il prezzo futures su cui si basa l’invoice price viene fissato alle 14 ma
il venditore può ritardare fino alle 20 l’avviso dell’intenzione di effettuare la con-
segna.

X Nel caso di futures e opzioni su valute, il tasso di cambio corrente. Nel caso
degli swaps, il capitale nozionale.

X* Il tasso di cambio alla data di scadenza.

y Nel caso di futures e opzioni su merci, il convenience yield su base annua.


Nel caso degli swaps, lo swap return (y − 1 è lo swap rate). Nel caso delle obbli-
gazioni, il «tasso di rendimento effettivo» (yield-to-maturity) su base annua.

yield-to-maturity (y) Il «tasso di rendimento effettivo» (yield-to-maturity) su


base annua di un’obbligazione è il tasso di attualizzazione in base al quale il va-
lore attuale dei pagamenti previsti dal titolo, per interessi e capitale, risulta ugua-
le al prezzo corrente del titolo. Pertanto, lo yield-to-maturity è l’internal rate of
return dell’obbligazione. Consideriamo, ad esempio, un titolo a 2 anni con cedola
del 10% e prezzo corrente di $922,70. Il tasso di rendimento effettivo si ottiene
risolvendo la seguente equazione rispetto a y: $922,70 = $100 / (1 + y) + $1.100 /
(1 + y)2. La soluzione è y = 0,1474, per cui l’yield-to-maturity è pari al 14,74%.

zero-cost option Un’«opzione esotica» (exotic option) disegnata in modo da


non richiedere il versamento di un premio iniziale. Diversamente dalle «opzioni
ordinarie» (standard options), è possibile che, alla scadenza, il compratore fini-
sca con l’effettuare un versamento a favore del venditore. Ad esempio, il compra-
tore di un’«opzione a premio differito» (pay-later call) paga il premio (alla sca-
denza) solo se il payoff della corrispondente call ordinaria è positivo. È possibile
che, alla scadenza, il compratore debba qualcosa al venditore.

zero-coupon bonds (zeros) Gli zero-coupon bonds (o discount bonds) non


hanno cedole. Pertanto, l’intero payoff è rappresentato dal pagamento del valore
nominale (o valore facciale) alla scadenza. Per offrire agli investitori un ritorno
positivo, questi titoli quotano a sconto rispetto al nominale, prima della scadenza.

426
Bibliografia annotata

Questa bibliografia elenca gli articoli, i working papers e i libri che sono stati selezionati per
rappresentare i migliori lavori teorici e/o empirici sui derivati. Le voci, ognuna con una breve
annotazione, sono state poste in ordine cronologico per offrire uno schema di come si è
sviluppata storicamente la letteratura sui derivati. Il capitolo o i capitoli di questo libro dove
l’argomento che è oggetto della voce è stato principalmente discusso appaiono tra parentesi
dopo le annotazioni.

1900 Bachelier, L., “Theorie de la Speculation”, Annales de l’Ecole Normale Superieure


17, pp. 21-86; tradotto in inglese da Boness, A. J., in Cootner, P. H., (ed.) The
Random Character of Stock Market Prices (MIT Press, 1967), pp. 17-78.
La prima descrizione matematica di un processo stocastico a tempo continuo e a
variabile continua (moto aritmetico Browniano), con il sorprendente obiettivo di
valutare le opzioni (in francese, rentes). Anche se l’obiettivo è stato solo in parte
raggiunto, lo studio - una tesi discussa all’Accademia di Parigi - anticipa di 6 anni il
lavoro di Einstein sul moto Browniano e di 73 anni le basi matematiche della for-
mula Black-Scholes (che si basa sul moto geometrico Browniano). Dimenticata, ma
riscoperta dagli economisti finanziari negli anni ‘60. (Formula Black-Scholes)

1916 Cassel, G., “The Present Situation on the Foreign Exchanges”, Economic Journal
26 (March), pp. 62-5.
L’origine della teoria sulla parità dei poteri d’acquisto come spiegazione delle dif-
ferenze tra i tassi d’interesse a livello internazionale. (Attività, Derivati e Mercati)

1930 Fisher, I., The Theory of Interest (Macmillan).


Uno dei classici di economia del XX secolo. Tra i molti contributi al pensiero
economico figura l’equazione di Fisher che lega tra loro il tasso d’interesse
nominale, il tasso d’interesse reale e il tasso d’inflazione. (Attività, Derivati e
Mercati)

1930 Keynes, J. M., A Treatise on Money, Volume 2 (Macmillan).


Assumendo che gli hedgers siano naturalmente corti e quindi che gli speculatori
siano naturalmente lunghi, Keynes argomenta che gli hedgers pagano un premio al
rischio. Ne segue quella che chiamò normal backwardation − i prezzi futures che
sono stime per difetto dei futuri prezzi spot. (Forwards e Futures)

1931 Hotelling, H., “The Economics of Exhaustible Resources”, Journal of Political


Economy 39(2), pp. 137-75.
Sviluppa il “principio di Hotelling”, secondo cui, sotto l’ipotesi di certezza e di
concorrenza perfetta, il prezzo netto (il prezzo al netto dei costi di estrazione) di

427
DERIVATI

una risorsa esauribile dovrebbe aumentare nel tempo in base al riskless return
fintanto che conviene estrarre la risorsa solo in parte; questa condizione dipende
dall’ipotesi che ogni produttore sia indifferente tra produzione corrente e futura.
(Forwards e Futures)

1939 Kaldor, N., “Speculation and Economic Stability”, Review of Economic Studies
7(1), pp. 1-27.
L’origine del concetto di convenience yield come spiegazione della backwardation.
(Forwards e Futures)

1953 Arrow, K. J., “The Role of Securities in the Optimal Allocation of Risk-
Bearing”, Review of Economic Studies 31(2), 1964, pp. 91-6; pubblicato origina-
riamente in francese su Econometrie, CNRS, Paris (1953), pp. 41-7.
Meglio noto per l’invenzione del concetto di state-contingent claims, quest’articolo
contiene anche la prima occorrenza pubblica dell’idea che un mercato forward
incompleto può essere efficacemente completato aggiustando opportunamente nel
tempo la composizione di un portafoglio − l’idea chiave che è dietro la moderna
teoria di valutazione delle opzioni. Pregevoli estensioni di questo lavoro si trovano
in J. H. Dreze, 1970, “Market Allocation Under Uncertainty”, European Economic
Review 2, pp. 133-65, dove, in particolare, si dimostra che i prezzi degli state-
contingent claims possono essere ottenuti moltiplicando le probabilità soggettive
per i fattori di avversione al rischio, che il valore attuale di un’attività può essere
visto come valore atteso attualizzato in cui gli state-contingent prices sono pari alle
probabilità soggettive che prevarrebbero in un mondo neutrale verso il rischio, e
che titoli simili alle opzioni possono sostituire gli state-contingent claims nel
completamento del mercato. (Attività, Derivati e Mercati; Modello Binomiale)

1957 Houthakker, H. S., “Can Speculators Forecast Prices?” Review of Economics and
Statistics 39(2), pp. 143-51.
Verifica se i prezzi futures sono maggiori o minori dei valori attesi dei futuri prezzi
spot. Conclude che – nel caso di grano, frumento e cotone (dal 1937 al 1957) – i
prezzi futures sono stati in genere minori dei corrispondenti futuri prezzi spot, che
le posizioni lunghe su futures hanno quindi comportato profitti e che i profitti attesi
possono essere stati il giusto compenso per il rischio. (Forwards e Futures)

1958 Brennan, M. J., “The Supply of Storage”, American Economic Review 48(1),
pp. 50-72.
Spiega come l’avversione al rischio determini l’esatta collocazione del prezzo
forward nell’intervallo determinato dal convenience yield. (Forwards e Futures)

1958 Telser, L. G., “Futures Trading and the Storage of Cotton and Wheat”, Journal
of Political Economy 66(2), pp. 233-55.
Contraddice Houthakker (1957), trovando che i prezzi futures sono previsori
corretti dei futuri prezzi spot; esamina il cotone dal 1926 al 1950 ed il frumento dal
1927 al 1954. (Forwards e Futures)

1959 Osborne, M. F. M., “Brownian Motion in the Stock Market”, Operations


Research 7 (March-April), pp. 145-73.
Propone che i prezzi delle azioni seguano una random walk. È il primo lavoro a

428
BIBLIOGRAFIA ANNOTATA

suggerire la distribuzione log-normale (piuttosto che normale) per i prezzi delle


azioni. Scritto apparentemente senza conoscere il precedente lavoro di Bachelier;
anticipa molti successivi lavori che giustificano la distribuzione log-normale come
risultato di un equilibrio in cui gli investitori hanno funzioni di utilità logaritmiche.
(Formula Black-Scholes)

1962 Sprenkle, C. M., “Warrant Prices as Indicators of Expectations and


Preferences”, Yale Economic Essays 1, pp. 172-231.
Ricava quella che sarebbe divenuta nota come formula Black-Scholes integrando il
payoff di un’opzione sotto l’ipotesi di log-normalità del prezzo dell’attività sotto-
stante; la formula contiene il tasso di rendimento atteso del sottostante ed un tasso
di attualizzazione aggiustato per il rischio. Sprenkle non realizza che entrambi
potevano essere sostituiti dal riskless rate of return. (Formula Black-Scholes)

1964 Boness, A. J., “Elements of a Theory of Stock-Option Value”, Journal of Political


Economy 72(2), pp. 163-75.
Adatta la formula di Sprenkle al caso in cui gli investitori sono neutrali verso il
rischio ed ottiene quella che sarebbe divenuta nota come formula Black-Scholes
[equazione (4), p. 170]; non realizza che l’utilizzo del riskless rate of return può
essere giustificato in assenza di opportunità di arbitraggi (Formula Black-Scholes)

1964 Kruizenga, R. J., “Introduction to the Option Contract”, in Cootner, P. H., (ed)
The Random Character of Stock Market Prices (MIT Press, 1967), pp. 377-411.
Utilizza i payoff diagrams e una rappresentazione vettoriale per analizzare le
singole opzioni e i portafogli di opzioni. (Introduzione alle Opzioni)

1967 Thorp, E. 0., e Kassoff, S. T., Beat the Market: A Scientific Stock Market System
(Random House).
Una delle prime applicazioni ai warrants dei payoff diagrams e delle tecniche di
valutazione delle opzioni, incluso l’utilizzo di «linee a profitto nullo» (zero-profit
lines) − che anticipano in parte l’argomentazione del delta-hedging utilizzata da
Black e Scholes. Cfr. pp. 81-3. (Introduzione alle Opzioni)

1967 Shelton, J. P., “The Relation of the Pricing of a Warrant to the Price of Its
Associated Common Stock”, Financial Analysts Journal 23(3 e 4), pp. 143-51 e
88-99.
Una delle prime regressioni per la valutazione delle opzioni; un approccio state-of-
the-art nel 1967 ma ora obsoleto. (Introduzione alle Opzioni)

1969 Stoll, H. R., “The Relationship Between Put e Call Option Prices”, Journal of
Finance 24(5), pp. 802-24.
Dimostrazione della put-call parity per le opzioni europee altrimenti identiche.
(Introduzione alle Opzioni)

1971 Hirshleifer, J., “Liquidity, Uncertainty and the Accumulation of Information”,


Working paper, University of California at Los Angeles (January).
Il primo lavoro che esamina le implicazioni della risoluzione dell’incertezza e della
irreversibilità degli investimenti in beni materiali; spiega la domanda di liquidità
come derivante dalla coesistenza dell’incertezza (che viene in parte rimossa col

429
DERIVATI

passare del tempo), della capacità di differire gli impegni e della parziale irrever-
sibilità degli investimenti di più lungo termine in beni materiali.

1972 Rosenberg, B., “The Behavior of Random Variables with Nonstationary


Variance and the Distribution of Security Prices”, Working paper, University of
California at Berkeley (December).
Forse il primo lavoro a proporre un modello a volatilità stocastica per i prezzi delle
azioni. Uno shock nella volatilità locale determina la volatilità della nuova distribu-
zione log-normale dalla quale il nuovo prezzo viene estratto. In grado di spiegare la
curtosi delle distribuzioni osservate.

1973 Merton, R. C., “The Relationship Between Put and Call Option Prices: Comment”,
Journal of Finance 28(1), pp. 183-4.
L’osservazione secondo cui la put-call parity vale solo per le opzioni europee dato
che, soprattutto nel caso delle puts americane, è possibile che convenga l’esercizio
anticipato. (Introduzione alle Opzioni)

1973 Black, F., e Scholes, M., “The Pricing of Options and Corporate Liabilities”,
Journal of Political Economy 81(3), pp. 637-59.
Il classico articolo sulla valutazione dei derivati che propone la formula Black-
Scholes. Si basa sull’idea che un portafoglio composto da un’opzione e dal sotto-
stante è privo di rischio se i suoi pesi vengono aggiustati dinamicamente; inoltre,
dimostra che la teoria può essere applicata ai titoli emessi dalle società (azioni e
obbligazioni), che possono essere interpretati come opzioni. Un working paper
pressoché identico dal titolo “A Theoretical Valuation Formula for Options,
Warrants, and Other Securities” è datato 1° ottobre 1970. (Formula Black-Scholes)

1973 Merton, R. C., “Theory of Rational Option Pricing”, Bell Journal of Economics
and Management Science 4(1), pp. 141-83.
Integra il lavoro di Black e Scholes (1973). Presenta le relazioni generali che
devono valere in assenza di opportunità di arbitraggio ed estende la nuova teoria
della valutazione delle opzioni in diversi modi, inclusa la presenza di payouts e di
tassi d’interesse incerti. (Introduzione alle Opzioni; Formula Black-Scholes)

1974 Merton, R. C., “On the Pricing of Corporate Debt: The Risk Structure of Interest
Rates”, Journal of Finance 29(2), pp. 449-70.
Estende la metodologia di Black e Scholes alla valutazione degli zero-coupon
bonds emessi dalle società, non rimborsabili anticipatamente, non convertibili e
privi di clausole di garanzia a favore degli obbligazionisti. Dimostra che il default
premium è funzione della volatilità delle attività e della scadenza dei titoli.

1975 Cox, J. C., e Ross, S. A., “The Pricing of Options for Jump Processes”, Working
paper, University of Pennsylvania (April).
Il modello binomiale per la valutazione delle opzioni in cui si ha una piccola
variazione (al rialzo o al ribasso) con probabilità neutrale verso il rischio molto alta
o una forte variazione nell’altra direzione con probabilità neutrale verso il rischio
molto bassa. Al crescere del numero degli intervalli dell’albero, la piccola variazio-
ne diventa ancora più piccola e la forte variazione rimane costante ma la sua
probabilità tende a zero. (Modello Binomiale)

430
BIBLIOGRAFIA ANNOTATA

1975 McCulloch, J. H., “The Tax-Adjusted Yield Curve”, Journal of Finance 30(2), pp.
811-30.
Probabilmente la procedura più ampiamente usata per la stima della term structure
dei tassi d’interesse dai prezzi dei coupon bonds. Affronta in particolare il problema
della diversa vita residua dei pagamenti per interessi. Applica il metodo
d’interpolazione delle cubic splines. (Forwards e Futures).

1975 Black, F., “Fact and Fantasy in the Use of Options”, Financial Analysts Journal
31(4), pp. 36-41, 61-72.
Consiglia come utilizzare in pratica la formula Black-Scholes. (Formula Black-
Scholes)

1975 Cox, J. C., “Notes on Option Pricing I: Constant Elasticity of Variance Diffusions”,
unpublished document, Stanford University (September).
Cinque pagine di note dattiloscritte che descrivono il modello diffusivo ad elasticità
della varianza costante – una generalizzazione della formula Black-Scholes che
incorpora una correlazione negativa tra il prezzo del sottostante e la sua volatilità
locale. Una versione di queste note è stata pubblicata con il titolo “The Constant
Elasticity of Variance Option Pricing Model” nel Journal of Portfolio Management,
Special Issue: A Tribute to Fischer Black, December 1996, pp. 15-17.

1976 Black, F., “The Pricing of Commodity Contracts”, Journal of Financial Economics
3(1), pp. 167-79.
Ricava la formula per le opzioni su futures nota in pratica come la “formula di
Black”. (Formula Black-Scholes)

1976 Cox, J. C., e Ross, S. A., “The Valuation of Options for Alternative Stochastic
Processes”, Journal of Financial Economics 3(1), pp. 145-66.
Offre la “scorciatoia” di Cox e Ross per la valutazione delle opzioni: se l’opzione
può essere replicata da un portafoglio, composto dal sottostante e dalla moneta, i
cui pesi vengono aggiustati dinamicamente, il valore dell’opzione può essere
ottenuto assumendo che l’opzione sia negoziata in un mondo neutrale verso il
rischio in cui l’opzione, l’attività sottostante e la moneta hanno tutti lo stesso tasso
di rendimento atteso. (Modello Binomiale; Formula Black-Scholes)

1976 Merton, R. C., “Option Pricing When Underlying Stock Returns are Discon-
tinuous”, Journal of Financial Economics 3(1), pp. 125-44.
Generalizzazione della formula Black-Scholes che ammette la possibilità di
«discontinuità» (jumps) à la Poisson nel prezzo dell’attività sottostante. Utilizza le
argomentazioni della valutazione neutrale verso il rischio, consentite
dall’assunzione che i jumps (ma non necessariamente le variazioni continue) del
prezzo del sottostante siano incorrelati con la ricchezza aggregata, e conclude che
il valore dell’opzione è una media ponderata dei valori Black-Scholes, uno per ogni
possibile numero di jumps lungo la vita dell’opzione.

1976 Ross, S. A., “Options and Efficiency”, Quarterly Journal of Economics 90(1), pp.
75-89.
Utilizza una serie di calls, al posto degli state-contingent claims, per completare il
mercato e dimostra come identificare il loro portafoglio sottostante.

431
DERIVATI

1976 Black, F., e Cox, J. C., “Valuing Corporate Securities: Some Effects of Bond
Indenture Provisions”, Journal of Finance 31(2), pp. 351-68.
Estensione della metodologia di Black e Scholes (e di Merton, 1974) per valutare le
obbligazioni. Assume che esista una clausola di garanzia in base alla quale la
società fallisce anche prima della scadenza del debito se il valore delle attività
scende al di sotto di un certo livello. Simile a una down-and-out barrier option.

1976 Latane, H. A., e Rendleman, R. J., “Standard Deviations of Stock Prices Ratios
Implied in Option Prices”, Journal of Finance 31(2), pp. 369-82.
Il primo articolo che utilizza le volatilità implicite per confrontare i prezzi delle
opzioni. (Volatilità)

1976 Garman, M., “A General Theory of Asset Valuation under Diffusion State
Processes”, Working paper, University of California at Berkeley.
Uno dei primi modelli di equilibrio generale basati sull’assenza di opportunità di
arbitraggio e su processi diffusivi multivariati per i prezzi dei titoli. Ammette, tra
l’altro, che la volatilità sia puramente stocastica.

1976 Black, F., “Studies of Stock Price Volatility Changes”, Proceedings of the 1976
Meetings of the American Statistical Association, Business and Economics Statistics
Section (August), pp. 177-81.
Una delle prime discussioni del comportamento empirico della volatilità locale
dell’attività sottostante, che, contrariamente alle assunzioni di Black e Scholes, si
comporta come una variabile casuale. In particolare, sostiene che la volatilità si
muove inversamente al prezzo dell’attività sottostante. (Volatilità)

1976 Rubinstein, M., “The Valuation of Uncertain Income Streams and the Pricing of
Options”, Bell Journal of Economics 7(2), pp. 407-25.
Ricava la formula Black-Scholes nell’ambito di un capital asset pricing model in
cui le preferenze espresse dal mercato godono della proprietà di constant propor-
tional risk-aversion e i ritorni del sottostante sono soggettivamente log-normali.
Diversamente dall’approccio Black-Scholes, non è necessaria l’assunzione di
negoziazioni continue. (Formula Black-Scholes)

1976 Garman, M., “An Algebra for Evaluating Hedge Portfolios”, Journal of Financial
Economics 3(4), pp. 403-27.
Sviluppa la replica statica delle opzioni mostrando che ogni payoff rappresentato da
una spezzata può essere replicato da un portafoglio di opzioni. Mostra che le
relazioni generali di arbitraggio sono necessarie e sufficienti affinché non esistano
opportunità prive di rischio sfruttabili con portafogli di opzioni scritte sullo stesso
sottostante. (Introduzione alle Opzioni)

1977 Schwartz, E. S., “The Valuation of Warrants: Implementing a New Approach”,


Journal of Financial Economics 4(1), pp. 79-93.
La prima applicazione dei metodi numerici delle differenze finite per risolvere
l’equazione differenziale che deve essere soddisfatta dal valore di un’opzione.

432
BIBLIOGRAFIA ANNOTATA

1977 Boyle, P., “Options: A Monte Carlo Approach”, Journal of Financial Economics
4(3), pp. 323-38.
La prima applicazione del metodo Monte Carlo per valutare le opzioni europee.
Utilizza la tecnica della variabile di controllo per accelerare i calcoli.

1977 Merton, R. C., “On the Pricing of Contingent Claims and the Modigliani-Miller
Theorem”, Journal of Financial Economics 5(2), pp. 241-50.
Nella dimostrazione originale di Black e Scholes, il portafoglio equivalente alla
moneta è composto dall’opzione e dall’attività sottostante. Merton suggerisce che è
meglio pensare al portafoglio equivalente all’opzione composto dall’attività
sottostante e dalla moneta. (Introduzione alle Opzioni)

1977 Myers, S. C., “Determinants of Corporate Borrowing”, Journal of Financial


Economics 5(2), pp. 147-76.
Il primo lavoro che interpreta le opportunità d’investimento come opzioni. In
particolare, gli investimenti correnti hanno opzioni incorporate. Queste consentono
di effettuare successivi investimenti.

1977 Vasicek, O., “An Equilibrium Characterization of the Term Structure”, Journal of
Financial Economics 5(2), pp. 177-88.
Il primo modello di valutazione delle obbligazioni basato su un processo diffusivo
per il tasso d’interesse spot di durata istantanea. In qualsiasi istante, il rapporto tra
il valore atteso dell’excess return di qualsiasi titolo e la sua volatilità locale (il
prezzo di mercato del rischio) è sempre lo stesso, indipendentemente dalla scadenza
del titolo. Combinando la costanza del prezzo di mercato del rischio con un proces-
so del tipo Ornstein-Uhlenbeck (un processo univariato, mean-reverting, a volatilità
costante) per il tasso d’interesse spot istantaneo, Vasicek ottiene una formula chiusa
per il valore corrente di uno zero-coupon bond.

1977 Brennan, M. J., e Schwartz, E. S., “Convertible Bonds: Valuation of Optimal


Strategies for Call and Conversion”, Journal of Finance 32(5), pp. 1699-716.
Estensione della metodologia di Black e Scholes (e di Merton, 1974) per valutare le
obbligazioni convertibili in azioni da parte degli investitori e rimborsabili anticipa-
tamente da parte della società che le ha emesse. Un’estensione di quest’articolo al
caso in cui i tassi d’interesse sono incerti si trova in M. J. Brennan e E. S. Schwartz,
1980, “Analyzing Convertible Bonds”, Journal of Financial and Quantitative Analysis
15(4), pp. 907-29.

1978 Margrabe, W., “The Value of an Option to Exchange One Asset for Another”,
Journal of Finance 33(1), pp. 177-86.
Uno dei primi articoli sulle opzioni esotiche. Estende la formula Black-Scholes al
caso di prezzi d’esercizio aleatori, che (in termini risk-neutral) sono log-normali
congiuntamente al prezzo dell’attività sottostante.

1978 Hakansson, N. H., “Welfare Aspects of Options and Supershares”, Journal of


Finance 33(3), pp. 754-76.
Investiga le implicazioni dell’assunzione che l’unica fonte di disomogeneità tra gli
investitori sia rappresentata dalle probabilità soggettive relative alla performance
del portafoglio di mercato. Dato che le probabilità soggettive condizionate degli

433
DERIVATI

investitori circa i ritorni dei singoli titoli sono le stesse, gli state-contingent claims
sul portafoglio di mercato sono gli unici titoli di cui il mercato ha bisogno.

1978 Ross, S. A., “A Simple Approach to the Valuation of Risky Streams”, Journal of
Business 51(3), pp. 453-75.
Regole per calcolare il valore attuale di payoffs – ricevuti a date diverse – che sono
funzioni lineari di altre variabili. Ottenute assumendo che non esistano opportunità
di arbitraggio. (Forwards e Futures)

1978 Brennan, M. J., e Schwartz, E. S., “Finite Difference Methods and Jump Processes
Arising from Contingent Claims: A Synthesis”, Journal of Financial and Quantita-
tive Analysis 13(3), pp. 461-74.
Chiara rassegna del metodo esplicito ed implicito delle differenze finite per la
valutazione delle opzioni.

1978 Breeden, D. T., e Litzenberger, R. H., “Prices of State-Contingent Claims Implicit


in Option Prices”, Journal of Business 51(4), pp. 621-51.
Mostra come ricavare la distribuzione neutrale verso il rischio dai prezzi correnti
delle opzioni europee, con uguale scadenza, scritte sullo stesso sottostante quando
esiste un continuum di opzioni con prezzi d’esercizio diversi. Le probabilità risk-
neutral sono simili ai prezzi di butterfly spreads con distanze arbitrariamente brevi
tra i prezzi d’esercizio.

1979 Brennan, M. J., “The Pricing of Contingent Claims in Discrete-Time Models”,


Journal of Finance 34(1), pp. 53-68.
Dimostra che la constant proportional risk-aversion di mercato non è solo suffi-
ciente ma anche necessaria per produrre la formula Black-Scholes, senza assumere
che le negoziazioni siano continue, in un mercato in cui i ritorni del sottostante
sono soggettivamente log-normali. Estensione di Rubinstein (1976).

1979 Brennan, M. J., e Schwartz, E. S., “A Continuous-Time Approach to the Pricing of


Bonds”, Journal of Banking and Finance 3(3), pp. 133-55.
Un modello di valutazione delle obbligazioni costruito su un processo diffusivo a
due fattori (il tasso d’interesse istantaneo e quello con scadenza infinita). Anche se
non viene fornita una soluzione in forma chiusa, per cui occorre risolvere numeri-
camente l’equazione differenziale per i prezzi dei titoli, il model genera term
structures molto più complesse di quelle ottenibili con i modelli ad un fattore.

1979 Geske, R., “The Valuation of Compound Options”, Journal of Financial


Economics 7(1), pp. 63-81.
Ricava una formula del tipo Black-Scholes per la valutazione delle compound
options – opzioni esotiche il cui sottostante è esso stesso un’opzione.

1979 Tourinho, O. A., “The Option Value of Reserves of Natural Resources”, Working
paper, University of California at Berkeley (September).
Il primo lavoro che analizza le risorse naturali come opzioni. Il paradosso del
perché vengano sfruttate viene aggirato assumendo che i costi di estrazione cresca-
no ad un tasso superiore al tasso d’interesse.

434
BIBLIOGRAFIA ANNOTATA

1979 Harrison, J. M., e Kreps, D. M., “Martingales and Arbitrage in Multiperiod


Securities Markets”, Journal of Economic Theory 20(3), pp. 381-408.
Sviluppo formale della relazione tra probabilità neutrali verso il rischio e assenza di
opportunità di arbitraggio. Formalizza la nozione di strategie che si autofinanziano.
(Modello Binomiale; Formula Black-Scholes)

1979 Cox, J. C., Ross, S. A., e Rubinstein, M., “Option Pricing: A Simplified
Approach”, Journal of Financial Economics 7(3), pp. 229-63.
Il classico articolo che sviluppa il modello binomiale. Mostra che, prendendo il
limite in tempo continuo, il modello binomiale può convergere alla formula Black-
Scholes. Enfatizza i vantaggi del modello binomiale per la valutazione delle opzioni
americane. (Modello Binomiale)

1979 Rendleman, R. J., e Bartter, B. J., “Two-State Option Pricing”, Journal of Finance
34(5), pp. 1093-110.
Un approccio meno noto al modello binomiale. Sviluppato simultaneamente e
indipendentemente. (Modello Binomiale)

1979 Goldman, B. M., Sosin, H. B., e Gatto, M. A., “Path Dependent Options:
Buy at the Low, Sell at the High”, Journal of Finance 34(5), pp. 1111-28.
Uno dei primi lavori che applica la logica Black-Scholes alle opzioni esotiche o
fuori standard. Ricava una formula per la valutazione di quelle che ora sono
chiamate lookback options.

1980 Rendleman, R. J., e Bartter, B. J., “The Pricing of Options on Debt Securi-
ties”, Journal of Financial and Quantitative Analysis 15(1), pp. 11-24.
Il primo modello binomiale per le bond options. Assume che il tasso d’interesse a
più breve termine segua un processo binomiale che si ricombina e che valga
l’ipotesi delle aspettative corrette: i bonds di diversa scadenza hanno tutti lo stesso
tasso di rendimento atteso nel prossimo intervallo. (Modello Binomiale)

1980 Leland, H. E., “Who Should Buy Portfolio Insurance?” Journal of Finance 35(2),
pp. 581-94.
Perché alcuni investitori preferiscono payoff lines convesse e altri payoff lines
concave? Enfatizza il movente della copertura: il tasso al quale l’avversione al
rischio di un investitore cambia quando il suo patrimonio cambia rispetto al tasso di
variazione per l’intero mercato. (Strategie Dinamiche)

1981 Harrison, J. M., e Pliska, S. R., “Martingales and Stochastic Integrals in the Theory
of Continuous Trading”, Stochastic Processes and Their Applications 11, pp. 215-
60.
La continuazione di Harrison e Kreps (1979). (Formula Black-Scholes)

1981 Cox, J. C., Ingersoll, J. E., e Ross, S. A., “The Relation Between Forward
Prices and Futures Prices”, Journal of Financial Economics 9(4), pp. 321-46.
Dimostra che, in assenza di opportunità di arbitraggio e sotto l’ipotesi di mercati
perfetti e di certezza sui futuri tassi d’interesse spot, i prezzi forward e i prezzi
futures di contratti altrimenti identici sono uguali tra loro. (Forwards e Futures)

435
DERIVATI

1981 Rubinstein, M., e Leland, H. E., “Replicating Options with Positions in Stock
and Cash”, Financial Analysts Journal 37(4), pp. 63-72.
Le implicazioni dell’idea che le opzioni possono essere replicate da un portafoglio
aggiustato dinamicamente che si autofinanzia ed è composto dal sottostante e dalla
moneta. Una trattazione facile da leggere. (Introduzione alle Opzioni; Modello
Binomiale)

1981 Brennan, M. J., e Solanki, R., “Optimal Portfolio Insurance”, Journal of Financial
and Quantitative Analysis 16(3), pp. 279-300.
Ricava la payoff function ottimale (che massimizza l’utilità attesa dell’investitore),
quando è nota la funzione di utilità ed il portafoglio sottostante si distribuisce in
modo log-normale. (Strategie Dinamiche)

1982 Stulz, R. M., “Options on the Minimum or the Maximum of Two Risky
Assets: Analysis and Applications”, Journal of Financial Economics 10(2),
pp. 161-85.
Uno dei primi articoli sulle opzioni esotiche. Estende la replica dinamica ai payoffs
che dipendono dai prezzi di due attività sottostanti.

1982 Baldwin, C., “Optimal Sequential Investment When Capital is Not Readily
Reversible”, Journal of Finance 37(3), pp. 763-82.
Argomenta che le imprese con «potere di mercato» (market power) dovrebbero
richiedere un premio rispetto al net present value, calcolato nel modo tradizionale,
come compenso per la perdita di futura flessibilità derivante dall’aver intrapreso un
investimento irreversibile.

1982 Engle, R. K., “Autoregressive Conditional Heteroskedasticity with Estimates


of the Variance of United Kingdom Inflation”, Econometrica 50(4),
pp. 987-1008.
Propone un nuovo approccio, ora molto diffuso, per la previsione della varianza.
Secondo il modello Arch(q) lineare, il livello corrente delle varianza locale è pari
alla somma di due termini, una costante più una media ponderata degli ultimi q
ritorni al quadrato. Il modello tiene esplicitamente conto del volatility clustering,
ossia della tendenza della volatilità a convergere verso un livello medio di lungo
periodo. (Volatilità)

1983 Rubinstein, M., “Displaced-Diffusion Option Pricing”, Journal of Finance 38(1),


pp. 213-17.
Estensione della formula Black-Scholes. Vale nel caso in cui i futuri prezzi del
sottostante sono pari ad una costante positiva più una variabile casuale distribuita in
modo log-normale.

1983 Garman, M., e Kohlhagen, S., “Foreign Currency Option Values”, Journal of
International Money and Finance 2(3), pp. 231-7.
Ricava una formula di tipo Black-Scholes per le opzioni su valute. L’aspetto
fondamentale è che il payout return va sostituito con il riskless return estero.
(Modello Binomiale)

436
BIBLIOGRAFIA ANNOTATA

1983 Ball, C. A., e Torous, W. N., “Bond Price Dynamics and Options”, Journal of
Financial and Quantitative Analysis 18(4), pp. 517-31.
Modello di valutazione per le bond options. Assume che il prezzo del bond sotto-
stante inizi e finisca a livelli noti e che nel periodo intermedio vaghi in modo
casuale ma con una forza di attrazione verso il valore finale noto − una forza che, al
pari di un magnete, diventa sempre più forte con l’avvicinarsi della scadenza.

1983 Cox, J. C., e Leland, H. E., “On Dynamic Investment Strategies”, Working
paper, Massachusetts Institute of Technology and University of California at
Berkeley (December).
Nella maggior parte dei lavori, le strategie dinamiche ottimali che si autofinanziano
vengono ricavate sulla base di date attitudini verso il rischio. In questo working
paper viene risolto il problema inverso: data una certa strategia dinamica, come
facciamo a sostenere che si autofinanzia, comporta risultati path-independent ed è
coerente con la massimizzazione dell’utilità attesa? Il lavoro si concentra sulla
scelta tra un’unica attività rischiosa (il portafoglio di mercato), che segue un moto
geometrico Browniano, e la moneta, con riskless return costante. Uno dei principali
risultati è che le strategie dinamiche path-independent sono le uniche coerenti con
la massimizzazione dell’utilità attesa. (Strategie Dinamiche)

1984 Rubinstein, M., “A Simple Formula for the Expected Rate of Return of an
Option over a Finite Time Period”, Journal of Finance 39(5), pp. 1503-9.
Dimostra che il payoff atteso di un’opzione europea in un orizzonte finito è pari al
valore Black-Scholes dell’opzione con inputs leggermente modificati. Assume che
valga la formula Black-Scholes e che i prezzi dell’attività sottostante siano sogget-
tivamente log-normali. (Formula Black-Scholes)

1985 Cox, J. C., Ingersoll, J. E., e Ross, S. A., “A Theory of the Term Structure of
Interest Rates”, Econometrica 53(2), pp. 385-408.
Ricava, sulla base di un modello di equilibrio generale, la formula chiusa di Cox,
Ingersoll e Ross per il valore delle bond options. Assume che l’unico fattore di
rischio (il tasso d’interesse istantaneo) segua un processo diffusivo con mean-
reversion e che la volatilità locale vari in funzione della radice quadrata del
logaritmo del fattore.

1985 Cox, J. C., e Rubinstein, M., Options Markets (Prentice-Hall).


Testo classico sui mercati delle opzioni. Contiene la più dettagliata esposizione del
modello binomiale. Anche se superato da nuovi testi che recepiscono i più recenti
sviluppi del mercato dei derivati, continua ad essere il miglior riferimento per la
teoria economica che è alla base della valutazione delle opzioni.

1985 Rubinstein, M., “Nonparametric Tests of Alternative Option Pricing Models


Using All Reported Trades and Quotes on the 30 Most Active CBOE Option
Classes from August 23, 1976 through August 31, 1978”, Journal of Finance
40(2), pp. 455-80.
Dettagliata e accurata verifica, transazione-per-transazione della formula Black-
Scholes, applicata alle opzioni su singole azioni sul finire degli anni ‘70. Le
volatilità implicite di calls che differiscono solo per il prezzo d’esercizio o la

437
DERIVATI

scadenza vengono confrontate sulla base di statistiche non-parametriche relativa-


mente deboli. Documenta deviazioni dalla formula Black-Scholes statisticamente,
ma non economicamente, significative.

1985 Rubinstein, M., “Alternative Paths to Portfolio Insurance”, Financial Analysts


Journal 41(4), pp. 42-52.
Confronta diverse alternative per garantire un floor alla payoff function. In parti-
colare, prende in esame gli ordini stop-loss, il rinnovo di opzioni a breve termine e
le strategie dinamiche del tipo Black-Scholes. (Strategie Dinamiche)

1985 Leland, H. E., “Option Pricing and Replication with Transactions Costs”,
Journal of Finance 40(5), pp. 1283-301.
Incorpora i «costi di transazione» (trading costs) proporzionali nella replica
dinamica di una payoff function sempre convessa o sempre concava. Nel caso di
payoffs convessi i trading costs equivalgono ad un aumento della volatilità, mentre
nel caso di payoffs concavi i trading costs equivalgono ad una riduzione della
volatilità. (Strategie Dinamiche)

1986 French, K. R., e Roll, R., “Stock Return Variances: The Arrival of Infor-
mation and the Reaction of Traders”, Journal of Financial Economics
17(1), pp. 5-26.
Mostra che la volatilità oraria delle azioni è molto (13-100 volte) più alta quando le
borse sono aperte che non quando sono chiuse (ad esempio, la varianza durante il
weekend è solo di poco più alta della varianza durante un qualsiasi giorno lavorati-
vo). I risultati sono rilevanti ai fini degli aggiustamenti temporali da apportare
quando si utilizzano le osservazioni storiche per la stima della volatilità. (Volatilità)

1986 Bollerslev, T., “Generalized Autoregressive Conditional Heteroskedasticity”,


Journal of Econometrics 31(3), pp. 307-27.
Propone il modello Garch(p, q) lineare, l’estensione più nota del modello Arch(q)
di Engle. Il livello corrente della varianza locale è pari alla somma di tre termini:
una costante più una media ponderata degli ultimi q ritorni al quadrato più una
media ponderata delle ultime p varianze locali. Tiene conto esplicitamente del
volatility clustering, ossia della tendenza della volatilità a convergere verso un
livello medio di lungo periodo anche quando p = q = 1. (Volatilità)

1986 Ho, T. S. Y., e Lee, S.-B., “Term Structure Movements and Pricing Interest
Rate Contingent Claims”, Journal of Finance 41(5), pp. 1011-29.
Il primo modello per la valutazione delle bond options che è stato calibrato per
essere coerente con i prezzi correnti dei bonds di diversa scadenza. Assume la
forma di un modello binomiale del riskless return a breve termine. L’albero
binomiale che si ottiene può essere utilizzato per valutare un’ampia varietà di
contingent claims, tra cui bond options e callable bonds. (Modello Binomiale)

1987 Hull, J., e White, A., “The Pricing of Options on Assets with Stochastic
Volatilities”, Journal of Finance 42(2), pp. 281-300.
Uno dei primi modelli analitici per la valutazione delle opzioni in presenza di
volatilità stocastica (non correlata con il prezzo del sottostante). Utilizza argomen-
tazioni neutrali verso il rischio consentite dall’assunzione che la volatilità non è

438
BIBLIOGRAFIA ANNOTATA

correlata con la ricchezza aggregata. Conclude che il valore dell’opzione è una


media ponderata dei valori Black-Scholes, uno per ogni possibile livello della
volatilità media osservata durante la vita dell’opzione. Un’estensione al caso in cui
la volatilità locale è correlata con il prezzo del sottostante si trova in Hull e White,
1988, “An Analysis of the Bias in Option Pricing Caused by Stochastic Volatility”,
Advances in Futures and Options Research 3, pp. 29-61.

1987 Barone-Adesi, G., e Whaley, R. E., “Efficient Analytic Approximation of


American Option Values”, Journal of Finance 42(2), pp. 301-20.
Un algoritmo per approssimare il valore di calls e puts americane. Veloce dal punto
di vista computazionale, ragionevolmente accurato (per le opzioni a breve termine)
e non-iterativo. Quest’articolo è un’estensione di un precedente lavoro che si trova
in L. W. Macmillan, 1986, “Analytic Approximation for the American Put Option”,
Advances in Futures and Options Research 1, Part A: Options, pp. 119-39.

1987 Schaefer, S., e Schwartz, E. S., “Time-Dependent Variance and the Pricing of
Options on Bonds”, Journal of Finance 42(5), pp. 1113-28.
Modello diffusivo ad un fattore per i prezzi dei bonds. La varianza locale è propor-
zionale alla duration del bond.

1988 Seidenverg, E., “A Case of Confused Identity”, Financial Analysts Journal 44(4),
pp. 63-7.
Dimostra che la strategia dinamica stop-loss, start-gain non replica bene il payoff di
una call. Utilizza l’esempio per offrire una dimostrazione alternativa ed un’inter-
pretazione della formula binomiale per la valutazione delle opzioni. (Modello
Binomiale)

1989 Garman, M., “Semper Tempus Fugit”, Risk 2(5), pp. 34-5.
Calcolo binomiale della vita attesa di un’opzione americana in un mondo neutrale
verso il rischio. (Modello Binomiale)

1989 Jamshidian, F., “An Exact Bond Pricing Model”, Journal of Finance 44(1),
pp. 205-9.
Estende Vasicek (1977) offrendo una formula chiusa per il valore delle opzioni
europee su zero-coupon bonds e su coupon bonds. Dimostra che un’opzione su un
portafoglio di zero-coupon bonds equivale ad un portafoglio di opzioni su singoli
discount bonds.

1989 Duffie, D., Futures Markets (Prentice-Hall).


Il miglior testo dedicato esclusivamente ai forwards e ai futures. Copre gli aspetti
istituzionali e teorici dei mercati dei futures. (Forwards e Futures)

1990 Black, F., Derman, E., e Toy, W., “A One-Factor Model of Interest Rates and
Its Applications to Treasury Bond Options”, Financial Analysts Journal 46(1),
pp. 33-9.
Propone un modello binomiale ad un fattore (il tasso d’interesse a più breve
termine) per valutare i derivati su tassi d’interesse. L’albero è calibrato per essere
coerente con la term structure corrente degli spot returns e con stime esogene delle
volatilità.

439
DERIVATI

1990 Brennan, M. J., “Latent Assets”, Journal of Finance 45(3) (Presidential Address
to the American Finance Association, July), pp. 709-30.
Considera il paradosso secondo cui sarebbe conveniente estrarre tutto l’oro che si
trova nel sottosuolo quando valgono le seguenti condizioni: l’oro viene detenuto
solo per fini d’investimento, il costo dell’estrazione aumenta più lentamente del
tasso d’interesse e la miniera non può essere espropriata. In tal caso, l’oro è simile
ad un’opzione americana, perpetua e payout-protected, che non va mai esercitata
anticipatamente. (Forwards e Futures)

1990 Nelson, D. B., e Ramaswamy, K., “Simple Binomial Processes as Diffusion


Approximations in Financial Models”, Review of Financial Studies 3(3),
pp. 393-430.
Dimostra che gli alberi binomiali path-independents che non si ricombinano
possono essere trasformati in alberi che si ricombinano ed hanno lo stesso limite in
tempo continuo.

1990 Hull, J., e White, A., “Pricing Interest Rate Derivative Securities”, Review of
Financial Studies 3(4), pp. 573-92.
Dimostra che i modelli ad un fattore di Vasicek (1977) e di Cox, Ingersoll e Ross
(1985) possono essere estesi, nello spirito di Ho e Lee (1986), per essere coerenti
con la term structure corrente dei tassi d’interesse e con le volatilità correnti
(stimate esogenamente) di tutti gli spot returns o con le volatilità correnti (stimate
esogenamente) di tutti i forward returns.

1991 Nelson, D., “Conditional Heteroskedasticity in Asset Returns: A New


Approach”, Econometrica 59(2), pp. 347-70.
Propone il modello Egarch(p, q) lineare, un’estensione del Garch(p, q) di Boller-
slev. Il livello corrente della varianza locale è pari alla somma di tre termini: una
costante più una media ponderata di funzioni degli ultimi q ritorni al quadrato più
una media ponderata delle ultime p varianze locali. Le funzioni degli ultimi q
ritorni al quadrato tengono conto esplicitamente della risposta asimmetrica della
volatilità locale verso la direzione dei ritorni storici (Volatilità)

1991 He, H., “Convergence from Discrete-Time to Continuous-Time Contingent


Claims Prices”, Review of Financial Studies 4(3), pp. 523-46.
Generalizzazione del modello binomiale alle opzioni su più di un sottostante.
Conserva le proprietà di arbitraggio dinamico e la convergenza verso una distribu-
zione multivariata dei ritorni, log-normale e risk-neutral.

1992 Heath, D., Jarrow, R., e Morton, A., “Bond Pricing and the Term Structure of
Interest Rates: A New Methodology for Contingent Claims Valuation”, Econome-
trica 60(1), pp. 77-105.
Sviluppa un modello dei derivati su tassi d’interesse in tempo continuo, a più di un
fattore e in tempo continuo. Generalizza diversi modelli sviluppati da altri ricerca-
tori. Nello spirito di Ho e Lee (1986), il modello viene reso coerente con i prezzi
correnti di tutti gli zero-coupon bonds imponendo proprietà stocastiche esogene
all’evoluzione dei forward rates.

440
BIBLIOGRAFIA ANNOTATA

1992 Ingersoll, J. E., e Ross, S. A., “Waiting to Invest: Investment and Uncertainty”,
Journal of Business 65(1), pp. 1-29.
L’accoglimento oggi di un progetto d’investimento e l’accoglimento domani sono
mutuamente esclusivi. Di conseguenza, il progetto non va accolto oggi solo perché
il suo valore corrente è positivo. Quest’articolo considera, oltre all’effetto della
term structure corrente su questo tradeoff, anche l’influenza dell’incertezza dei
futuri tasso spot. L’incertezza può far aumentare notevolmente il valore opzionale
dell’attesa e influenzare il livello aggregato degli investimenti.

1992 Bernstein, P. L., Capital Ideas: The Improbable Origins of Modern Wall Street (Free
Press).
La storia dei contributi accademici alla pratica finanziaria, da Bachelier (1900) ai
premi Nobel assegnati per le ricerche in economia finanziaria (1990). Offre cenni
biografici di Louis Bachelier, Fischer Black, Alfred Cowles, Charles Dow, Eugene
Fama, Hayne Leland, John McQuown, Harry Markowitz, Robert Merton, Merton
Miller, Franco Modigliani, M. F. M Osborne, Harry Roberts, Barr Rosenberg, A. D.
Roy, Mark Rubinstein, Paul Samuelson, Myron Scholes, William Sharpe, James
Tobin, Jack Treynor, James Vertin, John Burr Williams e Holbrook Working, molti
basati su interviste personali. Include un capitolo sulla formula Black-Scholes ed
uno sulla portfolio insurance.

1992 Longstaff, F. A., e Schwartz, E. S., “Interest Rate Volatility and the Term
Structure: A Two-Factor General Equilibrium Model”, Journal of Finance
47(4), pp. 1259-82.
Modello d’equilibrio generale della term structure a 2 fattori. I due fattori sono il
tasso d’interesse istantaneo e la sua volatilità. Offre soluzioni in forma chiusa per i
prezzi di bonds e bond options.

1993 Heston, S. L., “A Closed-Form Solution for Options with Stochastic Volatility
and Applications to Bond and Currency Options”, Review of Financial Studies
6(2), pp. 327-43.
Generalizzazione del modello a volatilità stocastica di Hull-White (1987). Permette
una correlazione arbitraria tra prezzo e volatilità del sottostante, oltre a tassi
d’interesse stocastici. Una misura delle attitudini verso il rischio di volatilità (il
prezzo del rischio di volatilità) figura tra i parametri ed è uguale per tutte le
opzioni, con la stessa vita residua, scritte sullo stesso sottostante.

1993 He, H., e Leland, H. E., “On Equilibrium Asset Price Processes”, Review of
Financial Studies 6(3), pp. 593-617.
Ricava le condizioni necessarie e sufficienti (in forma di equazione differenziale
parziale) che governano la relazione tra le attitudini di mercato verso il rischio e il
processo stocastico del portafoglio di mercato che deve valere in equilibrio.
Assume un’economia con la moneta ed una sola attività rischiosa (il portafoglio di
mercato). Il ritorno sull’attività rischiosa segue un processo diffusivo, il riskless
return viene specificato esogenamente e gli investitori massimizzano una funzione
di utilità della ricchezza ad una certa data futura.

441
DERIVATI

1993 Wilmott, P., Dewynne, J., e Howison, S., Option Pricing: Mathematical Models
and Computation (Oxford Financial Press).
Un testo molto matematico che enfatizza le equazioni differenziali e i metodi delle
differenze finite. Tratta sia di opzioni ordinarie sia di opzioni esotiche.

1994 Dupire, B., “Pricing with a Smile”, Risk 7(1), pp. 18-20.
Discute un’equazione differenziale - una sorta di duale dell’equazione differenziale
di Black e Scholes ma in circostanze nelle quali la volatilità locale può essere una
qualsiasi funzione continua del tempo e del livello corrente del sottostante - che
lega la volatilità locale alla derivata seconda del valore dell’opzione rispetto al
prezzo d’esercizio (il prezzo di uno state-contingent claim) e alla derivata prima del
valore dell’opzione rispetto alla vita residua.

1994 Derman, E., e Kani, I., “Riding on the Smile”, Risk 7(2), pp. 32-9.
Definisce in maniera univoca l’albero binomiale che descrive simultaneamente tutti
i prezzi delle opzioni europee ordinarie scritte sullo stesso sottostante. Le opzioni
disponibili coprono tutti i prezzi d’esercizio e le vite residue corrispondenti ai nodi
dell’albero. L’albero si ricombina.

1994 Rubinstein, M., “Implied Binomial Trees”, Journal of Finance 49(3) (Presidential
Address to the American Finance Association, July), pp. 771-818.
Generalizzazione del modello binomiale per distribuzioni risk-neutral arbitraria-
mente specificate, relative ad una certa scadenza. Presenta inoltre nuovi metodi per
ricavare la distribuzione probabilistica risk-neutral relativa ad una certa scadenza
dai prezzi di opzioni europee ordinarie altrimenti identiche, con diversi prezzi
d’esercizio. (Modello Binomiale)

1994 Dixit, A. K., e Pindyck, R. S., Investment Under Uncertainty (Princeton University
Press).
Testo che integra gran parte del lavoro sulle opzioni reali (con enfasi sulle radici
nella letteratura economica).

1994 Hull, J., e White, A., “Numerical Procedures for Implementing Term Structu-
re Models I: Single-Factor Models”, Journal of Derivatives 2(1), pp. 7-16.
Dimostra come utilizzare gli alberi trinomiali per stimare diversi modelli ad un
fattore per la valutazione delle opzioni su tassi d’interesse. I modelli in questione,
tra cui Ho & Lee (1986) e Hull & White (1990), sono coerenti con la term structure
iniziale. Un lavoro analogo per i modelli a due fattori si trova in Journal of Derivati-
ves 2(2), 1994, pp. 37-48. Un lavoro più recente, che contiene altri risultati per i
modelli ad un fattore, si trova in Journal of Derivatives 3(3), 1996, pp. 25-36.

1994 Leland, H. E., “Corporate Debt Value, Bond Covenants and Optimal Capital
Structure”, Journal of Finance 49(4), pp. 1213-52.
Estensione del modello di Black e Cox (1976) per la valutazione in forma chiusa delle
obbligazioni in presenza di clausole di garanzia, imposte differenziali e costi
fallimentari. Assume che il debito sia perpetuo e che il fallimento venga determina-
to endogenamente. In alternativa, assume che il debito a brevissimo termine venga
continuamente rinnovato e che il fallimento si verifichi quando il patrimonio netto
aziendale diventa negativo. Nell’articolo delle stesso autore dal titolo “Bond Prices,

442
BIBLIOGRAFIA ANNOTATA

Yield Spreads and Optimal Capital Structure with Default Risk” (working paper,
University of California at Berkeley, November 1994) il modello viene esteso al
caso di un debito di qualsiasi scadenza che viene continuamente rinnovato.

1995 Hull, J., e White, A., “The Impact of Default Risk on the Prices of Options and
Other Derivative Securities”, Journal of Banking and Finance 19(2), pp. 299-
322.
Uno dei migliori lavori scritti di recente sui credit derivatives.

1995 Mason, S., Merton, R., Perold, A., e Tufano, P., Cases in Financial Engineering:
Applied Studies of Financial Innovation (Prentice-Hall).
La migliore fonte di case studies sui derivati, inclusa un’eccellente introduzione. I
case studies riguardano: le opzioni incorporate nei titoli di Stato e nelle obbligazio-
ni, i mortgage-backed securities, gli asset-backed securities, i potable common
stocks, il callable equity, le employee stock options, le exchangeable securities, le
zero-coupon convertibles, gli interest rate swaps, i foreign exchange swaps, le
commodity-linked structures, la bond insurance e la portfolio insurance.

1995 Litzenberger, R. H., e Rabinowitz, N., “Backwardation in Oil Futures Markets:


Theory and Empirical Evidence”, Journal of Finance 50(5), pp. 1517-45.
Il principio di Hotelling (Hotelling, 1931) non può spiegare la backwardation che si
osserva nei mercati dei futures su merci senza fare l’ipotesi irrealistica di costi di
estrazione rapidamente crescenti. Questo lavoro presenta un modello – in condizio-
ni d’incertezza – in cui, a causa del valore opzionale dell’estrazione differita, la
backwardation è necessaria. Come corollario, più alta è la volatilità del sottostante,
maggiore è il valore opzionale dell’estrazione differita e maggiore è la backwarda-
tion. (Forwards e Futures)

1996 Jarrow, R. A., Modeling Fixed Income Securities and Interest Rate Options
(McGraw-Hill).
Le opzioni su tassi d’interesse vengono spiegate utilizzando soprattutto gli alberi
binomiali come strumento pedagogico.

1996 Trigeorgis, L., Real Options: Managerial Flexibility and Strategy in Resource
Allocation (MIT Press ).
Testo che integra gran parte del lavoro sulle opzioni reali (con enfasi sulle radici
nella letteratura economica).

1996 Bergman, Y. Z., Grundy, B. D., e Wiener, Z., “General Properties of Option
Prices”, Journal of Finance 51(5), pp. 1573-610.
Dato un riskless return costante ed un processo diffusivo univariato per il prezzo
del sottostante (un processo in tempo continuo e a variabile continua in cui la
volatilità locale è una funzione continua del prezzo del sottostante e del tempo),
questo lavoro mostra che ogni derivato europeo (con una payoff function continua,
non solo calls e puts) eredita in qualsiasi momento le proprietà fondamentali della
payoff function: limiti superiori e inferiori per il delta, monotonicità e convessità o
concavità. (Introduzione alle Opzioni)

443
DERIVATI

1996 Jackwerth, J. C., “Recovering Risk Aversion from Option Prices and Realized
Returns”, Working paper, University of California at Berkeley (August).
Gli state-contingent prices vengono spiegati dall’avversione al rischio del mercato
e dalle probabilità soggettive del mercato. Questo lavoro mostra come utilizzare i
prezzi delle opzioni (che implicano gli state-contingent prices) e le frequenze dei
ritorni osservati (che approssimano le probabilità soggettive) per ricavare l’avver-
sione al rischio del mercato in un modo che non dipende dalla presenza di ritorni
dovuti ad eventi rari ma significativi.

1996 Jackwerth, J. C., e Rubinstein, M., “Recovering Probability Distributions from


Option Prices”, Journal of Finance 51(5), pp. 1611-31.
Utilizzando lo S&P500 come esempio, quest’articolo argomenta che, almeno dal
crash del 1987, l’assunzione di log-normalità del modello Black-Scholes non è
supportata né dai ritorni osservati né dalle distribuzioni implicite nei prezzi delle
opzioni europee. L’articolo confronta metodi alternativi per ricavare queste
distribuzioni dai prezzi delle opzioni. Estensione di Rubinstein (1994).

1996 Jackwerth, J. C., e Rubinstein, M., “Recovering Stochastic Processes from Option
Prices”, Working paper, University of California at Berkeley (December).
Un confronto empirico tra diversi approcci per la valutazione delle opzioni - Black-
Scholes, CEV, jump-diffusion, volatilità stocastica, implied binomial trees e due
semplici modelli operativi. Utilizza la metrica della previsione dei futuri volatility
smiles in base all’informazione corrente.

1996 Leland, H. E., “Options and Expectations”, Journal of Portfolio Management


(Special Issue: A Tribute to Fischer Black, December), pp. 43-51.
Perché alcuni investitori comprano le opzioni ed altri le vendono? Perché alcuni
investitori comprano le opzioni esotiche path-dependent ed altri le vendono? Ad
integrazione dell’articolo del 1980, che spiegava le coperture in base alle differenze
rispetto all’avversione al rischio del mercato, questo studio spiega le speculazioni in
base alle differenze rispetto alle aspettative del mercato. (Strategie Dinamiche)

1997 Dybvig, P. H., e Rogers, L. C. G., “Recovery of Preferences from Observed


Wealth in a Single Realization”, Review of Financial Studies 10(1), pp. 151-74.
Utilizza un modello binomiale in cui il sottostante viene interpretato come il
portafoglio di attività rischiose detenuto da un investitore. Ad ogni nodo
l’investitore sceglie l’allocazione ottimale della ricchezza tra questo portafoglio e la
moneta. Osservando solo le allocazioni lungo l’unico sentiero osservato è possibile
stimare quali sarebbero state le allocazioni in tutti gli altri nodi (che non sono stati
osservati). (Strategie Dinamiche)

1997 Duffie, D., e Pan, J., “An Overview of Value at Risk”, Journal of Derivatives 4(3),
pp. 7-49.
Eccellente discussione del valore a rischio (VAR), la nuova misura di rischio per i
portafogli di derivati. Discute i diversi metodi di stima e il modo in cui il VaR
dipende dalle assunzioni circa la distribuzione dei ritorni.

1997 Hull, J. C., Options, Futures and Other Derivatives, Third edition (Prentice-Hall).

444
BIBLIOGRAFIA ANNOTATA

(First edition, 1989; fourth edition, 2000)


Il più strutturato tra i testi sui derivati attualmente disponibili.

1997 Miller, M., Merton Miller on Derivatives (Wiley).


Una discussione di recenti casi di contenzioso concernenti i derivati. La base è
rappresentata da casi giudiziari riguardanti perdite di società e fondi pubblici.

1997 Minton, B. A., “An Empirical Examination of Basic Valuation Models for
Plain-Vanilla U.S. Interest Rate Swaps”, Journal of Financial Economics 44(2),
pp. 251-77.
Confronta empiricamente i due principali metodi per valutare i plain-vanilla
interest rate swaps - come portafogli di obbligazioni e come portafogli di contratti
forward. Dimostra che le differenze di prezzo possono dipendere dalle differenze
tra le due strategie di replica per quanto concerne il rischio d’insolvenza. (Forwards
e Futures)

1997 Routledge, B. R., Seppi, D. J., e Spatt, C. S., “Equilibrium Forward Curves for
Commodities”, Working paper, Carnegie Mellon University (June).
Questo articolo propone un modello di valutazione dei contratti forward scritti su
merci utilizzate per fini di consumo o di produzione. Come in Litzenberger e
Rabinowitz (1995), gli autori ricavano endogenamente il processo stocastico per il
convenience yield. Mentre Litzenberger e Rabinowitz basano il loro approccio sul
valore che la merce ha per fini produttivi, questi autori considerano l’opzione creata
dal possesso della merce in magazzino. In particolare, essi ricavano endogenamente
la correlazione tra il prezzo spot della merce sottostante e il suo convenience yield.
(Forwards e Futures)

1997 Toft, K. B., e Prycyk, B., “Options on Levered Equity: Theory and Empirical
Tests”, Journal of Finance 52(3), 1151-80.
Ricava un formula di valutazione delle opzioni per il modello di Leland (1994) di
levered corporate equity. Come previsto, spiega parte dello smile della formula
Black-Scholes con il corporate leverage e la vita residua del debito: maggiore è il
leverage e più breve è la scadenza del debito, più pronunciato è lo smile. Estensione
di Geske (1979).

1997 Broadie, M., e Glasserman, P., “Monte Carlo Methods for Pricing High
Dimensional American Options: An Overview”, Net Exposure: The Electronic
Journal of Financial Risk, Issue 3 (December), pp. 15-37.
In risposta alla domanda di derivati il cui valore dipende da diverse variabili
casuali, si è sviluppata una notevole letteratura sull’applicazione di tecniche
avanzate di tipo Monte Carlo. Gli autori passano in rassegna questa letteratura.

1998 Derman, E., e Kani, I., “Stochastic Implied Trees: Arbitrage Pricing with
Stochastic Term and Strike Structure of Volatility”, International Journal of
Theoretical and Applied Finance 1(1), pp. 61-110.
Estensione degli implied binomial trees. Ammette che la volatilità possa dipendere
da una seconda variabile casuale, oltre che dal prezzo del sottostante.

445
DERIVATI

1998 Constantinides, G. M., “Transactions Costs and the Volatility Implied by Option
Prices”, Working paper, University of Chicago (January).
Ricava i limiti inferiori e superiori per i prezzi delle opzioni europee in presenza di
costi di transazione proporzionali e limiti plausibili di avversione al rischio.
Dimostra che, in base a costi di transazione realistici, questi limiti non possono da
soli spiegare il volatility smile delle opzioni sullo S&P500.

1998 Rubinstein, M., “Edgeworth Binomial Trees”, Journal of Derivatives 5(3), pp.
20-7.
Propone un semplice metodo per incorporare le opinioni circa l’asimmetria e la
curtosi (oltre alla volatilità) della distribuzione risk-neutral nel valore delle opzioni
europee e, con l’aiuto del metodo degli implied binomial trees, nel calcolo delle
greche e nella valore delle opzioni americane.

1998 McDonald, R. L., e Schroder, M. D., “A Parity Result for American Options”,
Journal of Computational Finance 1(3), pp. 5-13.
Dimostra che quando il prezzo del sottostante è governato dal moto geometrico
Browniano (come ipotizzato da Black e Scholes) o da un processo binomiale
discreto (dove ud = 1), la put americana ha lo stesso valore di una put americana
altrimenti identica ma in presenza di una trasposizione del prezzo del sottostante,
del prezzo d’esercizio, del riskless return e del payout return. (Modello Binomiale)

1998 Rubinstein, M., “Derivatives Performance Attribution”, Working paper, University


of California at Berkeley (April).
Separa le componenti dei profitti sulle opzioni in profitti derivanti da variazioni
direzionali del prezzo del sottostante e profitti dovuti al mispricing dell’opzione
rispetto al sottostante. L’aspetto fondamentale è la definizione del «vero valore
relativo» (true relative value) dell’opzione ottenuto utilizzando, come variabile di
controllo del metodo Monte Carlo, il futuro valore di una strategia di replica
dinamica che si autofinanzia.. Dimostra inoltre che, se la formula benchmark
utilizzata per sostenere l’attribuzione rappresenta una buona stima della formula
utilizzata dal mercato per valutare le opzioni, la seconda fonte di profitto può essa
stessa essere suddivisa in profitto da superiore previsione della volatilità e profitto
da superiore formula di valutazione dell’opzione.

1998 Stix, G., “A Calculus of Risk”, Scientific American (May), pp. 92-7.
Probabilmente la migliore descrizione del crescente significato dei moderni mercati
dei derivati, insieme ad una breve ma accurata descrizione della moderna teoria di
valutazione delle opzioni. L’articolo che potreste raccomandare ad un parente
curioso che voglia capire di che cosa vi occupate.

1998 Steinherr, A., Derivatives: The Wild Beast of Finance (John Wiley).
Uno lavoro dettagliato sulla storia dell’utilizzo dei derivati e del loro ambiente
istituzionale e regolamentare. Enfatizza il ruolo importante e positivo svolto dai
derivati nel plasmare i moderni mercati finanziari globali. Offre anche un breve
accenno al lato negativo del ruolo dei derivati, rappresentato dal crash del mercato
azionario nel 1987, dalla crisi del Sistema Monetario Europeo nel 1992-93, dalla
Metallgesellschaft, da Barings, da Bankers Trust/Procter & Gamble, da Orange
County e dalla svalutazione del peso messicano nel 1994.

446
BIBLIOGRAFIA ANNOTATA

1998 Leland, H. E., “Agency Costs, Risk Management and Capital Structure”, Journal
of Finance 53(4) (Presidential Address to the American Finance Association,
August), pp. 1213-43.
Estensione del modello in forma chiusa di Leland (1994) sul levered corporate
equity. Ammette che l’impresa scelga non solo diversi aspetti della sua capital
structure (importo del debito, scadenza del debito e politica dei rimborsi anticipati)
ma anche il rischio del suo capital budget in circostanze in cui il fallimento viene
determinato endogenamente dall’incapacità dell’impresa di raccogliere ulteriore
capitale di rischio ad un qualsiasi prezzo. In questo contesto, l’impresa sceglie una
capital structure ottimale, che compensi i vantaggi fiscali del debito con i costi
fallimentari e i costi di collocamento delle obbligazioni. Gli agency costs del debito
sono misurati come differenza tra il costo del debito quando le decisioni di capital
budgeting avvengono ex post o ex ante rispetto al finanziamento.

1998 Longstaff, F. A., e Schwartz, E. S., “Valuing American Options by Simulations: A


Simple Least-Squares Approach”, Working paper, UCLA (October).
Le path-dependent American options, come le asiatiche e le lookbacks, sono molto
difficili da valutare. Longstaff e Schwartz combinano il metodo Monte Carlo con la
regressione e la backward induction per risolvere il problema in un modo che
sembra numericamente conveniente. Il metodo inizia col generare un numero
modesto di sentieri Monte Carlo per il prezzo del sottostante. L’exercisable value
dell’opzione viene posto alla fine di ciascun sentiero. Si determina il valore attuale,
X, dell’opzione alla fine del periodo precedente. Per ottenere una stima dell’holding
value dell’opzione, X viene regredito su una funzione del prezzo corrente del
sottostante. Il valore ottenuto viene quindi confrontato con l’exercisable value ed il
maggiore tra i due viene posto in corrispondenza del punto in questione lungo il
sentiero. Questa procedura viene quindi ripetuta in modo iterativo con il metodo
della backward induction.

1998 Wilmott, P., Derivatives: The Theory and Practice of Financial Engineering (Wiley).
Questo libro è il riferimento di gran lunga più esaustivo sulla matematica che è alla
base della valutazione e della copertura dei derivati. Sostituisce il libro molto più
breve di Wilmott, Dewynne e Howison (1993). Include un utile CD-ROM.

1998 Shaw, W., Modelling Financial Derivatives with Mathematica© (Cambridge).


Giusto quello che il titolo dice. Include un CD-ROM.

1998 Zhang, P. G., Exotic Options: A Guide to Second Generation Options (Second
edition, World Scientific).
Una rassegna quasi completa delle opzioni esotiche. Si concentra sulle soluzioni in
forma chiusa. Spiega il loro utilizzo e la loro storia.

1999 Leland, H. E., “Beyond Mean-Variance: Risk and Performance Measurement in a


Nonsymmetrical World”, Financial Analysts Journal 55(1), pp. 27-36.
Nel mondo Black-Scholes, la tradizionale analisi media-varianza applicata alla
misurazione della performance di portafogli contenenti significative posizioni su
derivati o basati su strategie d’investimento dinamiche è inadeguata perché assume
distribuzioni normali e non tiene conto delle attitudini degli investitori nei confronti
dell’asimmetria e dei momenti di ordine più elevato. Questo lavoro dimostra che la

447
DERIVATI

performance attesa dalle posizioni su opzioni valutate secondo la formula Black-


Scholes, aggiustata per il rischio, è maggiore o minore di quella del mercato. Il
lavoro modifica il tradizionale approccio media-varianza per eliminare questi errori.

1999 Ritchken, P., e Trevor, R., “Pricing Options under Generalized GARCH and
Stochastic Volatility Processes”, Journal of Finance 54(1), pp. 377-402.
Una soluzione che fa uso degli alberi binomiali per valutare le opzioni in presenza
di processi stocastici per il sottostante che hanno varie forme di volatilità stocastica,
inclusi il Garch e il Garch generalizzato.

1999 Das, S. R., e Sundaram, R. K., “Of Smiles and Smirks: A Term Structure
Perspective”, Journal of Financial and Quantitative Analysis 34(2), pp. 211-39.
Per distinguere tra un jump process ed un processo a volatilità stocastica (entrambi i
processi possono spiegare l’eccesso di curtosi) si può confrontare il modo in cui i
momenti di ordine più elevato dipendono dall’intervallo di campionamento Questo
lavoro ricava le espressioni algebriche dei momenti per entrambi i tipi di processo
in funzione dell’intervallo di campionamento. (Volatilità)

1999 Berk, J., “A Simple Approach for Deciding When to Invest”, American Economic
Review (forthcoming).
Seguito di Ingersoll e Ross (1992). Mostra che, per investimenti con certi cashflows
(o, più in generale, noti gli equivalenti dei cashflows in condizioni di certezza), la
regola standard del valore attuale può essere facilmente modificata per attualizzare
in base al prepayable mortgage rate.

448
Bibliografia delle applicazioni

Questa è una bibliografia di articoli e working papers che sono stati appositamente
selezionati per offrire una panoramica sulle applicazioni della teoria della valutazione e della
replica dei derivati. Molti di questi derivati (ma non tutti) sono stati discussi nel Capitolo 1,
paragrafo 4: “Esempi di derivati”.

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459
Indice degli autori e degli argomenti

A bilities
abandon, option to 50 profit/loss lines vedi profit/loss diagrams
accreting swaps 38 replication vedi replication strategy
American options SEC 156
binomial option pricing model, single short sales 73-6, 90
205, 207 single-period option model 200-1
definitions 142 underlying 22-8
exchange-traded calls and puts 39 commodities 22-4,27,141
portfolio insurance 331 fixed income securities 25-6, 141
pricing problems 195 foreign currencies 26-7, 141, 241-4
sample paths 220 indexes 24-5, 141
terminology 152,153 stocks, common 24-5, 27, 141, 177
three-period recursive model 208-10 transformation into standard option
Amex (American Stock Exchange) 48, 53, 63 195
amortising swaps 38 volatility vedi volatility of assets
APs (associated persons) 57 wasting 234
arbitrage tables 101-2, 115, 116 Atlantic options 143
Arrow, K. 18 ATM (at-the-money) 167
Asian options 46 vedi anche call and put options
assets
allocation B
dynamic 323-9 back and front spreads (options) 167-8
traditional, and 323-5, 328 Bank for International Settlements (Basle)
capital, options as 50-1 68
cash, and 71-90, 201 Barings Bank 164
complete markets, and 13-21 barrier options 46
cum-payout 73 Bartlett’s test statistic 309
diagrams and tables 2-3, 21, 72-9 basis swaps 38
ex-payout 73, 200, 201 basket options 47
forward and futures contracts 71-90 bear-market warrants 46
diagrams 72-9 bears
duration of bonds 85-90 cylinders 161-2
riskless returns, term structure spreads 159-61,171
78-85 Bermudan options 142
inverse problem, and vedi inverse problem beta (measure for stock risk) 85
‘long’ 73 binomial option pricing model 195-262
options on bonds, options on 247-61
bonds 247-61 defined 196
foreign currencies 241-4 extensions 238-47
futures 156, 238-41 currencies, options on 241-4
payoff dates 73 futures, options on 238-41
probabilities s payoff calculations; risk- generalisations 244-6
neutral probabilities; subjective proba- hedging 231-8

461
DERIVATI

binomial option pricing model (continued) Ho-Lee model 251-4, 261


hedging parameters market price of risk 250
gamma 233-4, 237, 297 modelling complications 247
lambda 236, 279, 297 objections 250-1
omega 234, 279, 297 riskless return tree, assumed 248-9
rho 236, 279, 297 savings 42
theta 235, 279, 297 T-bonds 26,112,123-4
vega 235, 238, 279, 297 zero-coupon 25, 79-83, 85-6
limit 263-6 box spreads 151, 157
multiperiod model 208-31 bucketing (investor abuse) 64
single-period model 199-208 bulls
Black, F. 14,197 cylinders 161-2
Black-Scholes formula, option calculation spreads 158-9,171,173
binomial, limit of 263-6 butterfly spreads (options) 169-70, 172, 174
convergence 266-73,278
distribution, in 267-8 C
formula 268-70 call provision (corporate bonds) 41
law of motion 270-3 call and put options
monotonic 269 American vedi American options
rapid 268 at-the-money 153,158,167
‘Richardson’s extrapolation’ 270 cliquets 47
volatility, in 266-7 covered calls 61
definitions 273-6 current values 141-2
derivation 263-79 deep out-of-the-money 153
European options 276, 320-1 deep-in-the-money 153
extensions 290-6 defined 32, 141-2
currencies 293 European vedi European options
futures, options on 290-3 examples of derivatives 38-9
generalisations 293-6 fiduciary calls 150, 331, 332, 341
Garman-Kohlhagen formula, and 293 in-the-money 33, 153, 158
‘heat equation’ 274 index options 39
hedging parameters 279-90 ITMs (puts) 158
delta 283-7, 289 ladder calls 46-7
portfolio gamma 287-9 lookback 46
origins 273-4 name derivation 32
portfolio insurance 332-5, 341-2 OTMs (calls) 158, 167
Pricing of Options and Corporate Liabilities out-of-the-money 33, 153, 158, 165
296 payoff derivatives, as 3
replication 181-2 payout-protected 38, 142
risk-neutral derivation 163, 264-5, 276-8 protective put 150, 154-5, 332, 341
single-period binomial model 199, 207, shouts 47
261 uncovered calls 60
valuation of options 172, 176, 178, 198 unprotected 142
volatility 266-7, 317-19 vedi anche options
bonds capital asset options 50-1
corporate 41 CAPM (capital asset pricing model) 176, 273
duration 85-90 capping (investor abuse) 66
inflation-indexed 41 cash settlements
internal rate of return 80 S&P100 93
maturity date 73 stock index futures 121
modified duration 86 CAT (national and regional catastrophe insu-
options on 247-61 rance) 12
Heath-Jarrow-Morton model 254-61 CBOE (Chicago Board Options Exchange)

462
INDICE

calls and puts 38, 39, 142 CMOs (collateralised mortgage obligations)
equity-linked securities 45 44
as exchange 53, 68 collar options 45-6, 165-6
history of derivatives 1 commission brokers 53
regulations, history 156 commodities
CBOT (Chicago Board of Trade) convenience yield 50,116
clearing houses 58 forward contracts 114-17
corn futures 117 futures contracts 63, 117-19
creation 22 price changes 27
as exchange 53, 68 swaps 38
insurance 44 underlying assets, as 22-4
regulations, history 156 vedi anche gold; oil; precious metals
risk-neutral possibilities 12 Commodity Futures Trading Commission
T-bond futures 123-4 (CFTC) 62, 64,156
underlying assets 22 commodity swaps 38
certificates of deposit, equity-linked 45 common stocks 24-5, 27, 141, 177
CFTC (Commodity Futures Trading Com- complete markets 15-19
mission) 62, 64, 156 compound options 46
Chicago Board Options Exchange vedi CBOE condors (options) 170-2
(Chicago Board Options Exchange) contingent-premium options 46
Chicago Board of Trade vedi CBOT (Chica- convenience yields 50,116
go Board of Trade) convergence, Black-Scholes formula vedi
Chicago Mercantile Exchange vedi CME Black-Scholes formula, option calcula-
(Chicago Mercantile Exchange) tion: convergence
chooser options 46 corn futures 117-19
chumming (investor abuse) 66 corporate debt securities 40-2
classes of derivatives covariance 7
derivatives, reasons for use 34-5 Cox, J. 263
forward and future contracts 28, 29-30 CPI-W (Consumer Price Index - Wage Ear-
hedgers 28 ners) 121
options 31-3 credit spreads 160
sample market prices 35-6 ‘cross-exchange rates’ 26
speculators 28 currencies, foreign 26-7, 112-14, 241-4
swaps 30-1 currency swaps 38
zero-sum game 33-4 currency-translated options 47
clearing houses current exercisable value (options) 152, 158
APs 57 cylinders, bulls and bears 161-2
brokers 57
clear trades 57 D
clearing margins 58 ‘day traders’ (exchange members) 54
Counterparties 57 de Moivre, A. 264
FCMs 56,95 debit spreads 160
OCCs 58, 68 delivery dates (forward and futures) 73
out trades 57 delivery prices (forward and futures) 29, 91
ROPs 56 delta (hedging parameter)
RRs 57 delta-neutral portfolios 284-7
cliquets (calls) 47 hedging, options
closed-end investment companies 44 binomial pricing model 231-2,237
CME (Chicago Mercantile Exchange) Black-Scholes formula 283--7, 289
examples of derivatives 36 replication 182,191
as exchange 53, 68 riskless returns, term structure 85
futures 93 derivatives
history of derivatives 1 absolute and relative values 71

463
DERIVATI

derivatives (continued) terminology 152


classes 28-36 three-move recursive model 210-11
defined 1 exchange-traded calls and puts 38-9
examples 36-52 exchanges, organised
reasons for use 34-5 Amex 53
size of market 66-8 CBOE vedi CBOE (Chicago Board Op-
Dow Jones Industrial Average Index (DJIA) tions Exchange)
24 CBOT v. CBOT (Chicago Board of Trade)
duration of bonds 85-90 CME vedi CME (Chicago Mercantile E-
duration-based hedge ratio 89 xchange)
dynamic strategies competitive market-maker system 56
asset allocation 323-9 exchange members 53-4
traditional, and 323-5, 328 exercise limits 56
mean-variance portfolio analysis 323 hedgers 56
payoff functions, convex and concave limit moves 56
326-8,341 limit orders 55-6
portfolio insurance 329-42 market-makers 54-5
American options 331 order book officials 56
basic strategy 329-32 position limits 56
Black Scholes replicating strategy specialist system 55-6
332-5,341-2 exotic options 45-7
European options 331 explicit corporate options 40
futures, implementation with 335-6 extensions
jumps 340-1 binomial option pricing model
problems in practice 336-41 currencies, options on 241-4
riskless returns, uncertain 336-7 futures, options on 238-41
simulation 344-52 generalisations 244-6
stopping out 338-9 Black formula 292
trading costs 339-40 Black-Scholes formula
trading frequency 340-1 currencies 293
upside capture 329, 334, 341 futures 290-3
volatility 336-7 generalisations 293-6
replication of assets 325-6 currencies, options on 241-4, 293
vedi anche replication strategy futures, options on 238-41, 290-3
simulation 342-52 generalisations 244-6
utility functions 326
F
E FCM (futures commission merchant) 56, 95
EFP (exchange for physicals) 93 FDIC (Federal Deposit Insurance Corpora-
Einstein, A. 20 tion) 43
elbow trade (investor abuse) 66 Federal Deposit Insurance Corporation
employee stock options 142 (FDIC) 43
equity swaps 38 federal farm price supports 43
ESOs (employee stock options) 40 FHLMC (Federal Home Loan Mortgage
Eurodollars, futures contracts 25, 122-3 Corporation) 43
European options financial engineering 52
Black-Scholes formula 276, 320-1 financial institutions, securities of 44-5
combined positions 158 financial leverage principle 77
definitions 142 fixed income securities 25-6
exchange-traded calls and puts 39 Eurodollars 25
hedges, elementary 155 repos 25
portfolio insurance 331 T-bill 25,109-12,116
pricing problems 195 T-bonds 26, 112, 116, 123-4

464
INDICE

T-notes 26 portfolio insurance 335-6


zero-coupon bonds 25, 79-82 prices 30
floor brokers 53 programme trading 122
FNMA (Federal National Mortgage Associa- reasons for use 130-1
tion) 43 settlement price 95-6
foreign currencies stock index 120, 121-2
assets, underlying 26-7 strategy 98
forward contracts 112-14 T-bonds 26,112,116,123-4
options on 241-4, 293 terminology 103-8
forward and futures contracts variation margin 96
assets and cash 71-90 hedging 28, 125-31
bonds, duration 85-90 notional value 67
classes of derivatives 29-30 payoff derivatives, as 3
counterparties 29 payout return 91
delivery dates 73 riskless returns, term structure 78-85
delivery prices 29, 91 speculators 28
diagrams 72-9 spot price 91
examples 36-7,110-25 standard 91-3
FCM (futures commission merchant) 56, terminology
95 backwardation 103
forward basis risk 103
commodities 114-17 contango 103, 104
covered interest rate parity relation 114 implied repo rate 105
defined 29 intercommodity spread 103
foreign currency 26-7,112-14 interdelivery spread 103
futures distinguished 93, 94-103 inverted market 105
options contrasted 155-7 normal market 104
precious metals 114, 117 time-to-delivery 29, 110
prices 29-30, 92 valuation and replication 91-110
static strategies 72 volatility 37
‘storage costs’ 114,117 forward rate agreement 82
strategy 98 forward return, annualised 79-2
T-bills 25,109-12,116 forward-spot parity relation 99-103,
forward-spot parity relation 99-103, 106-8,110
106-8,110 forward-start options 46
futures front running (investor abuse) 66
Black-Scholes formula 290-3 fundamental theorems of financial eco-
CFTC, and 156 nomics 17-18, 20,191
closing of positions 93 futures contracts vedi forward and futures
commodities 63,117-19 contracts
corn 117-19 FX (foreign exchange) forwards 112-14
defined 30, 93
EFP 93 G
Eurodollars 25,122-3 gamma hedging parameter 233-4,237,
first notice day 118 287-9,297
forward distinguished 93, 94-103 Garch (generalised autoregressive conditio-
gold 118,119 nal heteroscedasticity)
invoice price 124 techniques 311-12, 313
last notice day 118 Garman, M. 236
marking-to-the-market 95-6 Garman-Kohlhagen formula 293
offsetting 93 general arbitrage relations 173-6
oil 119,120-1 GNMA (Government National Mortgage
options on 238-41, 290-3 Association) 43

465
DERIVATI

gold MMI 24
forward contracts 114, 117 Property Claims Services National Cata-
futures contracts 118, 119 strophe Index 121
as natural resources option 49-50 ‘random walk’ 27
government securities 42-3 risk premium 323
grant dates (ESOs) 40 S&P100 vedi S&P100 (Standard & Poor’s
Greek symbols (hedging parameters) 500 Index)
delta vedi delta (measure for derivative stock index futures 120, 121-2
risk) inflation-indexed bonds 41
gamma 233-4,237,287-9,297 insurance, examples of derivatives 43-4
omega 234, 279, 297 vedi anche portfolios: insurance
theta 235, 279, 297 interbank market 63
vedi also hedging interest rate swaps 38
GSCI (Goldman Sachs Commodity Index) International Monetary Market (IMM) 1
22 International Settlements, Bank for 68
intrinsic value (options) 152
H inverse problem 13-19
Heath-Jarrow-Morton model (bond option) binomial trees, implied 225
254-61 complete market 15-18
‘hedge funds’ 324 HJM model 256
hedging Ho-Lee model 253
Black-Scholes formula 279-90 riskless arbitrage opportunity 16
delta measure 283-7, 289 state-contingent claims 15
gamma measure 287-9 investors, abuses of 63-6
parameters 279-83 IOs (interest only mortgage-backed securi-
classes of derivatives 28 ties) 44
futures contracts ITM (in-the-money) 158
classes of derivatives 28 vedi anche call and put options
futures, reasons for use 130-1
rolling strip hedges 126-8 J
stack hedges 128-9 jumps
strip hedges 125-6 infrequent 295
warnings 129-30 portfolio insurance 337, 340-1
neutral hedges 285 replication strategy 189
options 153-5, 231-8 volatility 317-19
organised exchanges 56
parameters vedi Greek symbols (hedging L
parameters) ladder calls 46-7
vedi anche delta (measure for derivative leases, operating 42
risk); gamma; Greek symbols, option LIBOR (London interbank offer rate) 25
pricing limit orders 55-6
HJM model (bond option) 254-61 locals 53
Ho-Lee model (bond option) 251-4,261 lookback calls and puts 46
Hotelling Principle (oil futures) 120-1 LYONS (Liquid Yield Option Notes) 42
hybrid debt 42
M
I margin requirements 58-62
ICONS (indexed currency option notes) 42 account equity 58
IMM (International Monetary Market) 1, commissions 61-2
111 percentage initial requirement 58
indexes 24-5 percentage maintenance requirement 59
DJIA (Dow Jones Industrial Average) 24 market orders 56
GSCI 22 market prices

466
INDICE

risk-aversion 13 non-financial options 51-2


sample 35-6
market-makers 53, 54, 56 O
markets 53-69 OCC (Options Clearing Corporation) 58, 68
abuses of investors 63-6 oil
clearinghouses 56-8 futures contracts 119, 120-1
commissions 61-2 natural resources option, as 50
complete 15-19 open interest (number of outstanding deriva-
informationally efficient, as 13 tives contracts) 67
investors, abuses of 63-6 open-end mutual funds 44
margin requirements 58-62 operating leases 42
organised exchanges 53-6 option traders, registered 54
over-the-counter 62-3, 68 options
perfect vedi perfect markets 401(k) deferred-tax savings plan 48-9
regulators 62 American vedi American options
size of derivatives market 66-8 ask price 47
Markowitz, H. 296,324-5 back and front spreads 167-8, 172
marriage as option 51-2 basic positions 141-57
maturity dates (bonds) 73 bear cylinders 162
Merton, R. 14, 273-4 bear spreads 159-61, 171
MITTS (Market Index Target-Term Securi- bid prices 47
ties) 45 bid-ask spreads 47,151
MMI (Major Market Index) 24 binomial pricing model 195-262
money-back options 46 Black-Scholes formula vedi Black-
mortgages 43-4 Scholes formula
multiperiod binomial option pricing Boston 167
model box spreads 151, 157
boundary conditions 215 break forward 167
continuous-time limit 223-5 bull cylinders 161-2
examples 214-20 bull spreads 158-9, 171, 173
implied trees 225-30 butterfly spread 169-70, 172, 174
n-move recursive model 211-13 call and put vedi call and put options
nodal probability 211 capital assets 50-1
nodes 208 classes of derivatives 31-3
path probability 211 collar 45-6,165-6
path-independent options 220 combined positions 158-72
paths 208 condors 170-2
recombining binomial tree 208 contingent premium 167
sample paths 220-2 counterparties 31
three-move European recursive model credit spreads 160
210-11,216,217,230 debit spreads 160
three-period American recursive model defined 31
208-10,216,217,219 delayed payment 167
volatility 222-3 dynamic strategies v. dynamic strategies
European vedi European options
N exercising 31
National Futures Association (NFA) 62 exotic 45-7
national and regional catastrophe insurance expiration dates 73
(CAT) 12 explicit corporate 40
natural resources, options as 49-50 federal farm price supports 43
Newton-Raphson search, implied volatility fences 167
314-17 flexible forwards 167
NFA (National Futures Association) 62 foreign currencies, on 241-4

467
DERIVATI

forwards contrasted 155-7 portfolios 14-15


futures contracts, on 238-41 replications 185-8
options (continued) simulation 344-52
hedges, elementary 153-5 subjective probabilities 4-5, 7-8
legging-in risk 151 tables and diagrams 2-3, 21, 72-3, 344-52
‘local’ measures vedi Greek symbols, op- utility functions 326
tion pricing payoff dates 73
natural resources 49-50 pegging (investor abuse) 66
non-financial 51-2 PERCS (preferred equity redemption cumu-
opening and closing transactions 143 lative stocks) 42
option price 31 perfect markets
payoff derivatives, as 3 binomial option pricing model, and 204,
premium 31 207,225
profit/loss diagrams 143-7 forward and futures contracts, and 82, 83,
put vedi call and put options 97-9,108-9
put-call parity relation 147-51, 179-80 put-pull parity relation, and 149
range forwards 166-7 PERLS (principal exchange rate-linked secu-
replication strategy 181-92 rities) 42
vedi anche replication strategy Philadelphia Stock Exchange 58
ROP (registered option principal) 56 portfolios
sandwich spread 169 defined 14
seagulls 171, 172 delta measures 283-7, 289
skewness, positive or negative 162 dynamic replicating portfolio strategy ve-
standard, defined 141-3 di dynamic strategies
state-contingent claims 169 example 14-15
straddle 163-4, 286 insurance 49,329-42
strangle 164-5 American options 331
straps and strips 168-9, 172 basic strategy 329-32
strike price 31 Black Scholes formula 332-5, 341-2
terminology 151-3 European options 331
time spreads 161, 174 fiduciary calls 150, 331, 332, 341
time-to-expiration 31, 177, 178, 224, 237 futures, implementation with 335-6
trinomial model 206-7 jumps 337,340-1
valuation 172-81 problems in practice 336-41
wildcards 39,124 riskless returns, uncertain 336-7
zero-volatility value 152 simulation 344-52
Options Clearing Corporation (OCC) 58, 68 stopping out 338-9
organised exchanges vedi exchanges, organi- trading costs 339-40
sed trading frequency 340-1
OTM (out-of-the-money call) 158,167 upside capture 329, 334, 341
vedi anche call and put options volatility 336-7
outperformance options 47 mean-variance analysis 323
over-the-counter markets 62-3, 68, 93, 142 portfolio of options versus option on por-
tfolio 175-6
P replicating strategy 19, 71-2, 109
Pacific Exchange 58 revision 18-19
packages (exotic options) 45 POs (principal only mortgage-backed securi-
pay-later options 46 ties) 44
payoff calculations postpone, option to 50
convex and concave functions 326-238, precious metals, forward contracts 114, 117
341 vedi anche gold
dynamic strategies 326-8 preferred stock 41-2
options 3,185-8 premium over current exercisable value (op-

468
INDICE

tions) 152,158 present values 11, 21


probabilities risk-aversion 9-10
risk-neutral 9-13 riskless arbitrage opportunities 17-18
subjective 3-9 sample paths 222
profit/loss diagrams vedi anche subjective probabilities
forward and future contracts 72-9, 90 riskless arbitrage opportunities
options 143-7, 157 binomial option pricing model, and 204,
Property Claims Services National Catastro- 207, 225
phe Index 121 forward and futures contracts, and 78-9,
proprietary traders 54 82,106-8
purchasing power parity 27 put-pull parity relation, and 149
put options vedi call and put options risk-neutral possibilities 17-18
put-call parity relation, options 147-51, 157, vedi anche arbitrage tables; general arbi-
179-80 trage relations
riskless returns
Q bond options, assumed riskless return
quanto options 47 tree 248-9
defined 78
R options, valuation 177
rainbow options 47 payout return as 240
range forward options 166-7 portfolio insurance, problems 336-7
range notes 47 profit/loss diagrams 77
regulators 62 single-period 253
relativity theory 20 subjective probabilities 8-9, 21
Rendleman, R. 248 term structure 78-85
replication strategies rolling strip hedges 126-8
binomial option pricing model (single- ROP (registered option principal) 56
period) 201-3 Ross, S. 263
Black-Scholes formula 332-5 RRs (registered representatives) 57
calls 181-5
delta measure 182, 191 S
dynamic 19, 71-2, 325-6 S&P100 (Standard & Poor’s 500 Index)
forward and futures contracts 71-2, calls and puts 39
91-110 cash settlements 93
jumps 189 defined 24
limitations 188-9 financial institutions, securities of 45
payoffs, general 185-8 futures 104
reversal strategy 186 programme trading 122
single-period option model 201-3 simulation, portfolio insurance, and
static 72, 189-91 344-52
swaps 134-6 savings bonds 42
trend-following 186 ‘scalpers’ (exchange members) 54
valuation, and 91-110 Scholes, M. 14, 197, 273
repo (repurchase agreement) 25 vedi anche Black-Scholes formula, option
Richter scale 2-3 calculation
risk-aversion 9-10,13 seagull options 171, 172
risk-neutral probabilities 9-13, 21 SEC (Securities and Exchange Commission)
binomial option pricing model 207, 227 62, 64, 156
Black-Scholes formula 264-5, 276-8 securities
complete markets 17-19 corporate debt 40-2
‘diminishing marginal utility’ 9 financial institutions 44-5
inverse problem 13-19 fixed income 25-6
‘national catastrophe insurance’ 12 government 42-3

469
DERIVATI

Securities and Exchange Commission (SEC) vedi anche risk-neutral probabilities


62, 64, 156 suicide, as option 52
securitisation 43 swaps
self-financing strategy 72 accreting 38
Sharpe, W. 197-8 amortising 38
short sales 73-6, 90 basis 38
shouts (calls) 47 classes of derivatives 30-1
simulation strategies 342-52 commodity 38
moves 342 currency 38, 136-7
payoff tables 344-52 defined 30
relative volatility 343 equity 38
single-period binomial option pricing model examples of derivatives 37
199-208 floating leg 30
assets 200 interest rate 38
calls 201 notional principal 30,131
cash 201 payoff derivatives, as 3
exercisable value 205 plain-vanilla interest rate swap 30, 132
holding value 205 reset dates 30
interpretation 203-6 standard 131-3
payouts 200-1 swap rate 30, 132
replicating portfolio 201-3 tenor 30, 131
trinomial model, and 206-7 valuation 134-6
specialists (exchange members) 54 zero-coupon interest rate 38
speculators 28 switch, option to 50
spot price (forward and futures) 91
spot returns (yield-to-maturity) 79-81, 90, T
98 T-bills 25, 109-12, 116, 336
spread options 47 T-bonds 26,112,116,123-4
‘spreaders’(exchange traders) 55 T-notes 26
stack hedges 128-9 time spreads 161, 174
Standard & Poor’s 500 Index vedi S&P100 time-to-delivery 29, 110
(Standard & Poor’s 500 Index) time-to-expiration 31, 177, 178, 224, 237
standard deviation 6 time-to-maturity 110
state-contingent claims 15 ‘trading pits’ 53
states (potential events) 2 Treasury-bill forwards contracts 25, 109-12,
stock index futures contracts 120, 121-2 116,336
stocks, common 24-5, 27, 141, 177 Treasury-bond futures contracts 26, 112,
straddle options 163-4, 286 116,123-4
strangle options 164-5 trinomial option model 206-7
straps and strips (options) 168-9
strip hedges 125-6 V
structured debt 42 valuation
student education, as option 51 forward and futures contracts 91-110
subjective probabilities 3-9 options 172-81
bond option model 251 fundamental determinants of value
correlation of variables 7 176-8
covariance 7 general arbitrage relations 173-6
payoff calculations 4-5, 7-8 optimal timing of exercise 178-9
risk-neutral probabilities, and 10, 11 portfolio of options versus options on por-
riskless returns vedi riskless returns tfolio 175-6
standard deviation 6 swaps 134-6
timing of payments 8 Vanguard Index Trust-600 Portfolio 45
variance 5-6 variables, correlation of 7

470
INDICE

variance 5-6 replication strategy 189


vesting dates (ESOs) 40 standard 141
volatility of assets straddles 163
Bartlett’s test statistic 309 subjective population 223, 230
binomial option pricing model, multipe- valuation 176, 177-8
riod 222-3, 230 zero-volatility value 152
Black-Scholes formula, and 266-7, 317-19 portfolio insurance 336-7
estimating random walk model 299-300, 312
art of 308-12,319 -20 realised 299-313,336
Bartlett’s test statistic 309 relative 343
Garch techniques 311-12, 313 sample statistics, variance of 305-8, 312
kurtosis 310 sampling intervals 299
means 300-2 uncertain 317-19
observation periods 301, 310 volatilities, estimating 302-4
sample variance 302
sampling intervals 310 W
volatilities 300-4 warrants 40, 46
forward and futures contracts 37 wildcards 39, 124
implied 313-22
jumps 317-19 Y
means, estimating 300-2 yield-to-maturity (spot return) 79-81, 90, 98
Newton-Raphson search 314-16
options Z
Ho-Lee model 253 zero-coupon bonds 25, 78-83, 85-6
objective population 223, 230 zero-coupon interest rate swaps 38
puts 179 zero-sum game 33-4,145
realised sample 223, 230

471
Software

Al libro è allegato un CD con centinaia di megabytes di software, disegnato e-


spressamente per essere da complemento al libro. Il CD comprende 342 diapositi-
ve in PowerPoint che possono essere utilizzate per migliorare l’apprendimento o
facilitare l’insegnamento della materia. Vi trovate inoltre quattro applicativi per
PC (inclusi MATLAB for Derivatives e parte del Rubinstein’s Options Calculator),
molti esempi numerici con le relative soluzioni, esercizi su computer ed altri do-
cumenti, un glossario, con oltre 600 voci collegate ad indirizzi Internet, e 100 files
audio con mini-lezioni di 1-12 minuti tratte da lezioni svolte in aula a Berkeley.

Installazione
Il CD contiene il file SETUP.EXE che consente l’installazione guidata del softwa-
re. Il file viene eseguito automaticamente dopo aver inserito il CD nell’apposito
drive. Le istruzioni per l’installazione sono in inglese.

Diapositive
Ci sono due modi per vedere le diapositive contenute nel CD-ROM che avete in-
stallato sul vostro computer:
(1) utilizzare la vostra copia di PowerPoint.
In questa modalità, potete vedere le diapositive con la visualizzazione Pre-
sentazione o con la visualizzazione Normale. Quando utilizzate la visualizza-
zione Normale potete modificare il contenuto e l’ordine delle diapositive. Po-
tete anche nasconderne alcune, se volete.
Per sfruttare a pieno i vantaggi di questa modalità, dovete essere in grado
di creare le diapositive con PowerPoint.
Per vedere le diapositive in questa modalità potete:
(a) richiedere l’avvio immediato alla fine dell’installazione, o
(b) fare click sull’icona PicturesV1 sul desktop, o
(c) fare click sul file PicturesV1.pps che si trova nella cartella In-The-
Money\Picture Books.
(2) utilizzare il PowerPoint Viewer della Microsoft.
Utilizzate questa modalità se non avete PowerPoint nel vostro computer. In
questa modalità, potete solo stampare o visualizzare le diapositive (proprio
come farebbe un docente in aula); in particolare, non sarete in grado di modifi-
care le diapositive. Tuttavia, potrete eliminare i suoni collegati alle transizioni
di alcune diapositive semplicemente spegnendo l’audio sul vostro computer.
Anche se avete già il Viewer nel vostro computer, è meglio scaricare e in-
stallare l’ultima versione. Microsoft la rende gratuitamente disponibile nel sito
http://officeupdate.microsoft.com

473
RUBINSTEIN ON DERIVATIVES

Dopo aver scaricato il Viewer, fate click sul file Ppview32.exe. Nella finestra
di dialogo indicate la cartella nella quale avete installato il software del CD (la
cartella pre-impostata è C:\Program Files\In-The-Money\Picture Books) e quindi
selezionate dal menu il file PicturesV1.pps.
Quale che sia la modalità selezionata, facendo click sui pulsanti e le icone che
appaiono nell’angolo in alto a destra di ogni diapositiva, avrete accesso a docu-
menti in Word, al Glossario e ad alcuni applicativi per computer (MATLAB for
Derivatives, parte del Rubinstein’s Options Calculator, Options.live e Hedge 99).

Files audio
Le mini-lezioni svolte in aula a Berkeley si trovano nella cartella Mini-Lectures
del CD (non vengono copiate durante l’installazione).

474
Stampa: Legoprint S.p.A., via G. Galilei, 11 - 38015 Lavis (Trento)
Il Sole 24 Ore S.p.A.

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