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DERIVATI
Mark Rubinstein
University of California at Berkeley
Derivati
Futures, opzioni e strategie dinamiche
con CD
Mark Rubinstein
5 settembre, 2005
Corte Madera, California
xi
Prefazione all’edizione originale
Abbiamo davvero bisogno di un’altro libro sui derivati? Quando John Cox
ed io abbiamo scritto il nostro libro Options Markets circa 20 anni fa, il
miglior libro allora disponibile era The Stock Options Manual di Gary Ga-
stineau. Dato che il nostro libro era il primo figlio della moderna era
Black-Scholes, colmava una lacuna importante. Ma oggi, a quanto pare, ci
sono infiniti libri sui derivati, inclusi alcuni eccellenti come Options, Fu-
tures and Other Derivatives di John Hull e l’enciclopedico Derivatives:
The Theory and Practice of Financial Engineering di Paul Wilmott.
Ma pochissimi di questi nuovi libri esaminano i derivati con l’intento di
spiegare la teoria economica sottostante e le sue limitazioni pratiche. È ve-
ro, in altri libri vedrete la matematica e verrete aiutati da numerosi esempi,
ma riuscirete davvero a capire la “sostanza” della questione? Questo libro
fa del suo meglio per farvela intuire. Prendendo un esempio da un’altra di-
sciplina, le regole geometriche di Keplero per prevedere il moto dei pianeti
rappresentano un modo coerente di vedere i fenomeni ma non hanno il po-
tere esplicativo della legge di gravità di Newton. Si potrebbe dire che la
legge di Newton guardava oltre le regole di Keplero, mirando ad una rela-
zione più concisa e fondamentale. Inoltre, la sua legge era universale, es-
sendo valida in generale, prevedeva leggere differenze nel moto dei pianeti
che furono più tardi osservate e suggeriva che altre forze, oltre alla gravità,
potevano a volte essere importanti.
Ecco un test per chi ha letto altri libri sui derivati: qual è l’idea economica
fondamentale che sta dietro la moderna teoria della valutazione delle opzioni e
non dietro, ad es., la precedente teoria di valutazione delle attività finanziarie?
È questa: sotto certe condizioni potete supplire ad un mercato incompleto (os-
sia, ad un mercato in cui certi profili di rendimento non sono direttamente os-
servabili) se ribilanciate nel tempo i pesi di un portafoglio composto dai titoli
presenti sul mercato. Il classico esempio è dato dalla replica Black-Scholes di
una call con l’attività sottostante e il contante. E chi ha pensato per primo a
questa possibilità? Black e Scholes nel 1973? No, la proposizione generale è
apparsa in un lavoro pubblicato 20 anni prima dall’economista Kenneth Arrow.
Questa idea è ora nota come “terzo teorema fondamentale dell’econo-
mia finanziaria”. Il primo e il secondo teorema – anche questi scoperti più
o meno da Arrow nello stesso lavoro – formano la base per la precedente
teoria di valutazione delle attività finanziarie (ossia il capital asset pricing
model, sviluppato in parte da William Sharpe).
xiii
DERIVATI
Derivati è diverso dalla maggior parte degli altri libri, sotto diversi a-
spetti. Innanzitutto, è stato scritto con uno stile personale e discorsivo. A
tratti, vi verrà ricordato che l’autore è un essere umano e non un robot.
Secondo: il libro include una rassegna generale di tutti i tipi di derivati.
Si inizia nel Capitolo 1 con l’esempio di una polizza assicurativa contro i
terremoti e si prosegue con una carrellata di numerose applicazioni a cose
che potreste non aver mai considerato come derivati. Segue poi un detta-
gliato capitolo dedicato a forwards, futures e swaps. Questi contratti ven-
gono studiati per primi perché rappresentano casi particolari di derivati più
complessi, noti come “opzioni”. Ad esempio, se non vi siete mai chiesti
perché il tasso di rendimento atteso del sottostante non figura nella formula
Black-Scholes per le opzioni europee, è utile comprendere prima perché i
prezzi dei futures finanziari non dipendono direttamente dalle aspettative
dei futuri prezzi spot delle attività sottostanti.
Terzo: mentre molti altri libri sulle opzioni utilizzano il calcolo stoca-
stico o si limitano a trattazioni superficiali, questo libro non si conforma a
nessuna delle due prassi. Si avvale invece del modello binomiale di valuta-
zione delle opzioni per sviluppare la formula di Black e Scholes, ricavare i
parametri per le coperture – come il delta e il gamma – e determinare il va-
lore delle opzioni su futures, valute e obbligazioni. Questo approccio ri-
chiede solo algebra e statistica elementare e rivela le basi economiche della
valutazione delle opzioni nella forma matematicamente più semplice.
Quarto: per applicare la teoria è necessario misurare certe variabili, in
particolare la volatilità. Pertanto, un intero capitolo è stato dedicato alla
stima di questo parametro.
Quinto: il libro enfatizza i limiti cui è soggetto il terzo teorema fonda-
mentale (e quindi anche la formula Black-Scholes) , che si basa su “certe con-
dizioni”. Se queste condizioni non vengono soddisfatte, le conclusioni sono, al
meglio, buone approssimazioni e, al peggio, possono portare a disastri finan-
ziari (se seguite pedissequamente). Pertanto, l’ultimo capitolo descrive in det-
taglio un caso concreto che utilizza molti dei concetti sviluppati nel libro. Si
è cercato di portare l’esempio ai limiti della prassi corrente, mostrando cosa
può andare storto con le strategie di replica dinamica (e come possono essere
modificate per ridurre i danni). I lettori sono quindi avvertiti: leggere questo
libro senza l’ultimo capitolo potrebbe far male alla loro salute finanziaria.
Sesto: il libro include due bibliografie uniche. La prima elenca, in ordine
cronologico, circa 150 lavori, tra articoli e libri, scritti nell’ultimo secolo,
ognuno corredato da un’annotazione che descrive quello che – a mio avviso
– è il suo principale contributo. Questa parte può essere letta come
un’introduzione alla storia della ricerca nel campo dei derivati, dove si mo-
stra il modo in cui le idee sono state elaborate ed estese. La seconda biblio-
grafia elenca circa 175 applicazioni della teoria dei derivati e raccomanda,
per ciascun caso, un articolo da leggere. Il lettore può quindi utilizzare la bi-
bliografia fornita dagli autori per approfondire ulteriormente gli argomenti.
xiv
PREFAZIONE ALL’EDIZIONE ORIGINALE
Mark Rubinstein
19 novembre, 1999
Corte Madera, California
xv
1
Attività, derivati e mercati
I derivati sono contratti tra due soggetti che specificano le condizioni − in par-
ticolare, le date e i valori delle variabili fondamentali – in base alle quali si de-
terminano i pagamenti, o payoffs, che verranno effettuati tra le controparti.
Ad esempio, gli schemi della previdenza sociale sono derivati che impegnano
gli individui ad una serie di pagamenti a favore dello Stato fino all’età di 65
anni, e impegnano lo Stato a payoffs a favore degli individui dopo i 65 anni e
finché essi restano in vita. In questo caso, i payoffs vengono effettuati a date
prestabilite e dipendono dalla sopravvivenza degli individui. Chi ha contratto
un mutuo ipotecario, con diritto ad estinguerlo in via anticipata, si è imbattuto
− forse inconsapevolmente − in un derivato. Per fare un esempio più dramma-
tico, le polizze assicurative contro i terremoti sono derivati che impegnano gli
individui a regolari pagamenti annuali e le compagnie di assicurazioni a pay-
offs potenzialmente molto più rilevanti se un terremoto dovesse distruggere le
loro proprietà. I derivati sono anche noti come diritti contingenti dato che i
loro payoffs dipendono da eventi relativi alle variabili sottostanti.
I derivati con variabili sottostanti rappresentate da specifici eventi o da
merci esistono da molto tempo. Tuttavia, la forte esplosione di interesse per i
derivati si è manifestata solo dopo che sono apparsi i derivati finanziari, con
variabili sottostanti rappresentate da prezzi di azioni, indici azionari, tassi di
cambio, prezzi di obbligazioni e tassi di interesse. Gli storici alla ricerca di una
data iniziale guardino al 1972, quando è stato costituito l’International Mone-
tary Market (IMM), una divisione della Chicago Mercantile Exchange (CME),
o all’aprile 1973, quando è stata aperta la Chicago Board Options Exchange
(CBOE), le prime due borse moderne per la negoziazione di derivati finanziari.
Parlando filosoficamente (in conformità con lo spirito del libro), considera-
re qualcosa alla stregua di un derivato dipende dal proprio punto di vista. Ad
esempio, si è soliti considerare le azioni ordinarie come attività che potrebbero
1
DERIVATI
Scala
Scaladi
diRichter
Richter Danno
Danno Payoff
Payoff
($)
($)
00––4,9
4,9 Nessuno
Nessuno 00
5,0
5,0––5,4
5,4 Lieve
Lieve 750
750
5,5
5,5––5,9
5,9 Piccolo
Piccolo 10.000
10.000
6,0
6,0––6,9
6,9 Medio
Medio 25.000
25.000
7,0
7,0––8,9
8,9 Grande
Grande 50.000
50.000
essere alla base di derivati, ma generalmente non sono esse stesse considerate
come derivati. Eppure, se si pensa che il payoff di un’azione dipende da qual-
che altra variabile sottostante, come il reddito operativo della società, le stesse
azioni possono essere interpretate come derivati. Se questa interpretazione sia
necessaria o meno, dipende dal particolare obiettivo che si intende perseguire.
Prendiamo un classico esempio da un altro campo di studi. Per certi fini è me-
glio pensare al sole come se fosse fisso nello spazio e alla terra come ad un pia-
neta che ruota intorno ad esso, ma per altri fini è utile adottare la prospettiva
aristotelica della terra fissa nello spazio con il sole che ruota intorno ad essa.
2
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
USD 25.000
25.000
USD 10.000
Nessuna perdita
se i terremoti non si verificano
o sono di minima entità USD 750
3 4 6 7 SCALA DI RICHTER
-25.000
Probabilità soggettive
Da soli, la tavola o il grafico del payoff raccontano solo una parte della storia.
Supponiamo che dobbiate decidere se acquistare la polizza assicurativa contro i
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DERIVATI
0,90 85%
0,80
0,70
Probabilità (Q )
0,60
0,50
0,40
0,30
0,20
10%
0,10
3% 1,5% 0,5%
0,00
2 o meno 3 4 5 6 7 8 o più
Scala di Richter
Un modo sistematico per tener conto di questa seconda dimensione del deri-
vato è quello di assegnare una probabilità soggettiva a tutti i possibili stati
futuri. Perché si tratti di probabilità, questi numeri devono essere non-negativi
e la loro somma deve essere pari a 1. Ogni probabilità soggettiva misura il
grado di confidenza dell’individuo nei confronti del relativo evento.
4
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
0 ≤ Qj ≤ per tutte le j
e
Q 1 + Q2 + … + Qj + … + Qn = 1
Payoff atteso = Q1 X1 + Q2 X2 + … + Qj Xj + … + Qn Xn
In
In alternativa: E(X) ≡≡ΣΣj jQ
alternativa:E(X) Qj jXXj j
5
DERIVATI
[
var ( X ) = ∑ j Q j X j − E ( X ) ] 2
Notate che senza l’elevazione al quadrato del punto (2), avremmo ottenuto:
∑ j Q j [X j − E ( X )]2 = (∑ j Q j X j ) − E ( X )(∑ j Q j )
= E(X ) − E (X ) = 0
6
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
cov( X , Y ) = ∑ j Q j [X j − E (X )][Y j − E (Y )]
Cov(X, Y) può essere positiva, negativa o nulla. La covarianza sarà positiva se
Xj e Yj tendono a muoversi insieme; ovvero, negli stati in cui Xj > E(X), tende
anche ad essere vero che Yj > E(Y); e quando Xj < E(X), tendiamo ad osservare
Yj < E(Y). Di conseguenza, il prodotto tra [Xj − E(X)] e [Yj − E(Y)] tende ad es-
sere il prodotto tra due numeri positivi o tra due numeri negativi − un prodotto
che è comunque positivo. D’altra parte, la covarianza sarà negativa se Xj e Yj
tendono a muoversi in direzioni opposte. In tal caso il prodotto tra [Xj − E(X)] e
[Yj − E(Y)] tende ad essere negativo, essendo il prodotto tra un numero negati-
vo ed un numero positivo. Come ultima possibilità, la covarianza sarà nulla se
non c’è nessuna tendenza da parte delle due variabili a muoversi insieme, in un
modo o nell’altro. In alcuni stati [Xj − E(X)][Yj − E(Y)] > 0, ma in altri [Xj −
E(X)][Yj − E(Y)] < 0. Naturalmente, quando si è in condizioni di certezza, per
tutti gli stati si ha Xj = E(X) e Yj = E(Y), ed anche la covarianza è nulla.
Analogamente alla varianza, la covarianza ha l’inconveniente di essere
espressa in $2. Il modo più comune per riproporzionarla è di dividerla per il
prodotto tra le deviazioni standard delle due variabili casuali. Questa misura
“scalata” di covarianza è stata chiamata correlazione tra le due variabili:
cov( X , Y )
corr( X , Y ) =
std( X ) × std(Y )
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DERIVATI
Scala
Scala Danno
Danno Payoff
Payoff Probabilità
Probabilità Probabilità
Probabilità
di
diRichter
Richter ($)
($) ××Payoff
Payoff($)
($)
00––4,9
4,9 Nessuno
Nessuno 00 0,850
0,850 00
5,0
5,0––5,4
5,4 Lieve
Lieve 750
750 0,100
0,100 75
75
5,5
5,5––5,9
5,9 Piccolo
Piccolo 10.000
10.000 0,030
0,030 300
300
6,0 – 6,9
6,0 – 6,9 Medio
Medio 25.000
25.000 0,015
0,015 375
375
7,0
7,0––8,9
8,9 Grande
Grande 50.000
50.000 0,005
0,005 250
250
Payoff
Payoffatteso:
atteso:$1.000
$1.000
8
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
= 23.931.250
Dietro questa osservazione c’è l’idea della “utilità marginale decrescente”. Se siete
già ricchi, un dollaro in più non è altrettanto prezioso per voi (in termini di benesse-
re o utilità) quanto un dollaro in più se siete poveri. Supponiamo che il vostro pa-
trimonio sia di $100.000. Prendendo un caso estremo, la possibilità di guadagnare
altri $100.000 non ha per voi valore se è controbilanciata dalla possibilità di perde-
re $100.000 (che vi lascerebbe senza un soldo). Gli economisti chiamano avver-
sione al rischio questo atteggiamento insito nella natura umana. Come vedete,
gli economisti sono psicologi in poltrona, come la maggior parte della gente!
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DERIVATI
Probabilità Prob.
Prob.neutrale
neutrale
Scala
Scala Payoff Probabilità Avversione
Payoff neutrale verso
versoililrischio
rischio
di
diRichter
Richter Danno
Danno ($)
($) soggettiva al rischio verso il rischio ×× Payoff($)
Payoff ($)
00––4,9
4,9 Nessuno
Nessuno 00 0,850 × 0,9939 = 0,845 00
5,0
5,0––5,4
5,4 Lieve
Lieve 750
750 0,100 × 0,9976 = 0,100 75
75
5,5
5,5––5,9
5,9 Piccolo
Piccolo 10.000
10.000 0,030 × 1,0472 = 0,031 310
310
6,0
6,0––6,9
6,9 Medio
Medio 25.000
25.000 0,015 × 1,1430 = 0,017 425
425
7,0
7,0––8,9
8,9 Grande
Grande 50.000
50.000 0,005 × 1,3787 = 0,007 350
350
Valore
Valoreatteso:
atteso:$1.160
$1.160
10
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
Nel nostro esempio i pesi aggiustati sono 0,845; 0,100; 0,031; 0,017 e 0,007.
Non è un caso che la loro somma sia pari a 1. Per capirne il motivo, considera-
te di nuovo l’alternativa consistente nel lasciare i soldi in banca per ritrovarsi,
senza correre rischi, con un ritorno di 1,05. Un ritorno sicuro di $1,05 deve ave-
re un valore attuale di $1. Per non correre rischi, il proprietario deve ricevere
$1,05 in ogni futuro stato. Supponiamo che i pesi aggiustati per il rischio siano
P1, P2, P3, P4 e P5. Il valore attuale di $1,05 verrebbe così calcolato:
Pertanto, quali che siano i pesi, la loro somma deve essere pari a 1.
Dato che devono essere tutti positivi e sommare ad uno, i pesi rappresen-
tano probabilità. Ma non dobbiamo portare troppo lontano questa corrispon-
denza tra pesi e probabilità. Non dobbiamo pensare che siano probabilità
soggettive. Per essere soggettive, devono misurare gradi di giudizio. Come
ricorderete, le probabilità soggettive erano pari a 0,850; 0,100; 0,030; 0,015 e
0,005. Invece, le probabilità aggiustate per il rischio che abbiamo calcolato
sono un misto dei gradi di giudizio e dell’avversione al rischio.
11
DERIVATI
12
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
(
var[(1 / m )R1 + (1 / m )R2 + ... + (1 / m )Rm ] = 1 / m 2 )∑ ∑ cov(R , R )
j k j k
(
= 1/ m 2
)m σ
2 2
=σ 2
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DERIVATI
Dato che i prezzi dei derivati dipendono dalle probabilità neutrali verso il ri-
schio fissate dal mercato, possiamo capovolgere la questione e affermare che
le probabilità neutrali verso il rischio fissate dal mercato dipendono dai prezzi
dei derivati. Questo è il cosiddetto problema inverso.
[1 2 3] − [1 1 1] = [0 1 2]
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ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
a[1 2 3] + c[1 1 1] = [a + c 2a + c 3a + c]
dove, nel caso in esame, a = 1 e c = –1. Ma ci sono ancora payoffs che non
possiamo realizzare, come [1 0 0]. Ciò deriva dal fatto che non ci sono va-
lori di a e c tali per cui:
[a + c 2a + c 3a + c] = [1 0 0]
Supponiamo che esista anche un derivato con payoff [1 1 0], così che com-
prando d unità del derivato si realizzi il payoff [d d 0]. Questo derivato è simile
ad una polizza assicurativa che paga un certo importo solo nei peggiori stati.
Utilizzando questo derivato possiamo realizzare qualsiasi payoff della forma:
[a + c + d 2a + c + d 3a + c]
[1 2 3] + 3[1 1 1] – [1 1 0] = [1 0 0]
[1 2 3] + 3[1 1 1] + 2[1 1 0] = [0 1 0]
[1 1 1] – [1 1 0] = [0 0 1]
Questo implica che, per costruire tutti i possibili payoffs, possiamo imma-
ginare che i payoffs dei titoli disponibili siano [1 0 0], [0 1 0] e [0 0 1]. Per
ottenere il payoff arbitrario [x y z] è sufficiente combinare i titoli nel modo
seguente:
Utilizzando questi “titoli base”, è molto facile vedere come si possa co-
struire un qualsiasi payoff arbitrario.
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DERIVATI
S = (1 × P1 + 2 × P2 + 3 × P3 ) / r 2 , 1 / r 2 = (1 × P1 + 1 × P2 + 1 × P3 ) / r 2
C = (1 × P1 + 1 × P2 + 0 × P3 ) / r 2
P1 = 3 − r 2 (S + C ), P2 = r 2 (S + 2C ) − 3, P3 = 1 − r 2C
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ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
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DERIVATI
S = (1 × P1 + 2 × P2 + 3 × P3 ) / r 2
1 / r 2 = (1 × P1 + 1 × P2 + 1 × P3 ) / r 2
3
2,5
S 2
1,5
1
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ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
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DERIVATI
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ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
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DERIVATI
Più comunemente, oltre che da eventi come i terremoti, i derivati dipendono dai
prezzi (o da altre caratteristiche) di titoli o altre attività. Queste attività vengono in
genere chiamate «attività sottostanti» (underlying assets).
Merci
Con la creazione del Chicago Board of Trade (CBOT) nel 1848, le merci agri-
cole – in particolare grano e frumento – divennero le prime attività sottostanti
dei futures negoziati negli Stati Uniti. Fino a venti anni fa, questi erano i de-
rivati più attivamente negoziati. L’interesse per questi contratti è determinato
principalmente dai coltivatori che hanno necessità di eliminare l’incertezza
dei costi e dei ricavi. Inoltre, questi derivati vengono anche utilizzati dalle
imprese alimentari, dalle ditte di stoccaggio, dagli esportatori nazionali e da-
gli importatori stranieri che intendono coprire le loro esposizioni ai prezzi.
L’ampia disponibilità di sottostanti rappresentati da merci consente di
coprire diversi punti del processo produttivo. Ad esempio, esistono futures
e opzioni scritti su petrolio greggio e raffinato (gasolio o benzina). Ciò
permette alle imprese di raffinazione di coprirsi sia dal lato dei costi (com-
prando futures) sia dal lato dei ricavi (vendendo futures).
Fin dal luglio del 1992, vengono negoziati alla Chicago Mercantile Ex-
change (CME) i futures scritti sul Goldman Sachs Commodity Index
(GSCI), che si basa su un portafoglio di 22 merci, con pesi proporzionali alla
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ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
Merci
Grano, avena, semi di soia, farina di soia, olio di soia, frumento, olio di
canola, orzo, mangime per bestiame, bestiame da macello, suini,
pancetta di maiale, cacao, caffé, zucchero-internazionale, zucchero-
domestico, cotone, succo d’arancia, rame, oro, platino, argento,
petrolio grezzo, nafta, benzina, gas naturale, elettricità, GSCI.
Azioni
AXP, T, CHV, KO, DOW, DO, EK, XON, GE, GM, IBM, IP, JNJ, MRK,
MMM, MOB, MO, PG, S, X (circa 2.700 azioni su cui sono state scritte
opzioni).
Indici azionari
Nasdaq-100, Russell 2000, S&P 100, S&P 500, S&P Midcap, Value
Line Index, Major Market Index, Indici di azioni estere (Messico, Hong
Kong, Giappone, Francia, Germania, Regno Unito), Indici settoriali
(tecnologici, bancari, ciclici, servizi di pubblica utilità, servizi diversi, hi-
tech, computer, Internet).
Valute
Euro, yen, sterlina inglese, dollaro canadese, franco svizzero, dollaro
australiano, peso messicano, real brasiliano.
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DERIVATI
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ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
La composizione dei panieri su cui si basano tutti questi indici viene a volte
aggiustata a seguito di fusioni, fallimenti o semplicemente a causa di modifiche
significative nella rilevanza economica delle azioni. Gli indici che non sono
ponderati per le quantità di azioni in circolazione vengono anche aggiustati a
seguito di eventi significativi che ne cambierebbero il livello senza modificare
il valore del portafoglio sottostante. I più rilevanti fra questi eventi sono i fra-
zionamenti, che possono avere l’effetto di ridurre sostanzialmente le quotazioni
senza però incidere in maniera significativa sulla capitalizzazione della società.
Obbligazioni
Nel mondo moderno, l’archetipo della “moneta” è rappresentato dal Trea-
sury bill (o semplicemente T-bill). Questi titoli, emessi e garantiti dal go-
verno degli Stati Uniti, sono zero-coupon bonds dato che non hanno cedo-
le e offrono solo il rimborso del capitale alla scadenza. Attualmente, ogni
lunedì (non festivo) il Tesoro offre all’asta T-bills di nuova emissione a 13
settimane (tre mesi) o 26 settimane (sei mesi), che vengono regolati (pagati
e consegnati) il giovedì successivo. Il quarto giovedì del mese il Tesoro
offre all’asta T-bills a 52 settimane (12 mesi) che vengono regolati il gio-
vedì successivo. Ad esempio, se compriamo un T-bill con vita residua di
50 giorni, tra 50 giorni riceveremo $100.000 in unica soluzione. Se il prez-
zo corrente è $98.000, il ritorno annualizzato è pari a ($100.000 /
$98.000)365/52 = 1,15.
Tra tutte le istituzioni del mondo, il governo statunitense è quello che ha
forse le più basse probabilità di risultare insolvente sulle sue obbligazioni. Per-
tanto, il ritorno sul T-bill viene spesso usato come proxy per il riskless return.
Tuttavia, dato che sono esenti dalle imposte statali (ma non da quelle fede-
rali) sul reddito, probabilmente i T-bills sottostimano il riskless return al lordo
delle tasse. I repurchase agreements, o repos, sono altri strumenti candidati a
svolgere il ruolo di moneta. Questi contratti combinano una vendita a pronti
con un riacquisto a termine, ovvero un prestito di denaro contro un prestito di
titoli. Entrambi i contraenti (riportato e riportatore) sono garantiti e le perdite
sono minime in caso d’insolvenza. In genere, la scadenza dei repos è di un solo
giorno. Se i titoli scambiati sono T-bills, il riportato tenderà a riacquistarli ad
un prezzo più alto. In effetti, sta dando in prestito i titoli e prendendo in prestito
denaro ad un giorno. Il tasso repo overnight su base annua viene così calcolato:
⎛ Tasso repo ⎞
Prezzo a termine = Prezzo a pronti × ⎜1 + ⎟
⎝ 360 ⎠
25
DERIVATI
Il Tesoro degli Stati Uniti emette due tipi di obbligazioni a tasso fisso prov-
viste di cedole: le Treasury notes (che all’origine hanno una scadenza di 10
anni o meno) e i Treasury bonds (che all’origine hanno una scadenza di oltre
10 anni). Alla fine di ogni mese vengono vendute all’asta le T-notes a 2 e a 5
anni, che verranno poi rimborsate nell’ultimo giorno lavorativo del mese di
scadenza. Le T-notes a 3 e a 10 anni vengono vendute all’asta all’inizio di feb-
braio, marzo, agosto e novembre; i T-bonds a 30 anni sono emessi all’inizio di
febbraio ed agosto. Per tutti questi titoli il regolamento del prezzo di acquisto
cade il 15 del mese, le cedole vengono pagate ad intervalli semestrali il 15 del
mese (la prima cedola viene pagata 6 mesi dopo il collocamento) e i titoli ven-
gono rimborsati il 15 del mese di scadenza. Ad esempio, se il tasso cedolare è
pari all’8% e il valore nominale o facciale è di $100.000, l’acquirente riceverà
ogni sei mesi una cedola di importo pari a $100.000 × 0,08 / 2 = $4.000.
Quando le T-notes o i T-bonds vengono acquistati sul mercato secondario,
l’acquirente deve pagare – oltre al prezzo quotato – anche gli interessi matu-
rati. Ad esempio, supponiamo di aver acquistato una T-note con valore nomi-
nale di $100.000 e tasso cedolare dell’8% quando mancano 122 alla prossima
cedola e sono passati 61 giorni dal pagamento dell’ultima. Il venditore non solo
rinuncia al titolo ma anche ai primi 2 mesi di interessi che avrebbe ricevuto se
avesse mantenuto il possesso del titolo per altri 4 mesi. Per convenzione, gli
interessi maturati sarebbero pari a $1.333 [= $100.000 × (0,08 / 2) × (61 / 183)].
Valute
I più grandi mercati a pronti delle valute estere sono quelli per l’euro, lo yen,
la sterlina, il franco svizzero e il dollaro canadese. Le negoziazioni avvengo-
no soprattutto sul mercato over the counter dove le banche offrono i loro ser-
vizi di intermediazione. I trasferimenti vengono in genere effettuati attraver-
so scritture contabili e non con lo spostamento fisico della valuta.
I tassi di cambio delle valute estere possono creare confusione perché
alcuni sono definiti come rapporto tra valuta interna e valuta estera mentre
altri sono definiti come rapporto tra valuta estera e valuta interna. Ad e-
sempio, il tasso di cambio della sterlina è quasi sempre definito in termini
di dollari per sterlina; se occorrono $1,70 per comprare una sola sterlina, il
tasso di cambio è 1,70. Molte altre valute sono invece quotate in termini di
valuta estera per dollaro. Un esempio è dato dal dollaro canadese, quotato
come CAD/USD. Così, se occorrono 5 USD per comprare 7 CAD, il tasso
di cambio è 1,40 (= 7 / 5). Ai nostri fini, per evitare confusione, useremo la
prima convenzione – e questa è la convenzione che adotteremo per tutte le
valute nel resto del libro.
Naturalmente, possiamo anche quotare una valuta estera in termini di
un’altra valuta estera. Questi «tassi di cambio incrociati» (cross exchange
rates) possono essere ricavati in base ai tassi di cambio basati sul dollaro.
Ad esempio, se si conosce il tasso di cambio $/£ ed il tasso di cambio $/€,
possiamo calcolare il cross exchange rate €/£ nel modo seguente:
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ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
€ / £ = ($ / £ ) ÷ ($ / € )
27
DERIVATI
28
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
INCASSI
Presente Futuro
Spot Dare
Presente
a prestito
PAGAMENTI
Forwards e futures
I forwards sono i derivati più semplici.
29
DERIVATI
I futures sono analoghi ai forwards, fatta eccezione per il fatto che vengono
liquidati giornalmente. Ogni giorno, alla chiusura delle negoziazioni, il mercato
fissa un prezzo di liquidazione (settlement price) che azzera il valore del
contratto. Le differenze tra i successivi settlement prices vengono accreditate
ad una parte e addebitate alla controparte.
Swaps
I forwards sono contratti con i quali ci si impegna a scambiare in futuro un
certo importo di denaro con una certa attività il cui futuro valore è incerto.
Gli swaps sono contratti con i quali ci si impegna a scambiare i redditi di due
attività, senza necessariamente scambiare le stesse attività. In altri termini, gli
swaps rappresentano portafogli di forwards con diverse date di consegna.
30
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
Opzioni
Le opzioni rappresentano una classe più complessa di derivati.
Le opzioni ordinarie sono simili ai forwards dato che hanno per oggetto una
futura compravendita il cui prezzo viene fissato ora. Nel caso delle opzioni,
questo prezzo viene chiamato «prezzo d’esercizio» (strike price). Il tempo
mancante alla scadenza dell’opzione è la «vita residua» (time to expiration).
Le opzioni differiscono dai forwards perché una delle controparti – il com-
pratore – può annullare il contratto. Invece, la parte che ha “scritto” l’op-
zione – il venditore – è tenuta ad onorare il suo impegno. Dato che l’opzione
rappresenta per lui un diritto, e non un obbligo, il compratore deciderà di an-
nullare il contratto se ciò è nel suo interesse. Invece, il venditore non ha que-
sta facoltà e deve onorare il contratto se il compratore decide di esercitare
l’opzione. La facoltà di annullare il contratto ha in genere un valore. Pertan-
to, il compratore deve pagare un corrispettivo (il prezzo dell’opzione o
premio) al venditore nel momento in cui l’opzione viene negoziata, anche se
la compravendita sottostante avverrà, eventualmente, in futuro.
Esistono due tipi fondamentali di opzioni, a seconda che il diritto di
annullare il contratto spetti alla controparte che deve ricevere l’attività sot-
tostante o a quella che la deve consegnare.
31
DERIVATI
Se il diritto di annullare il contratto spetta alla parte che deve ricevere l’attività
sottostante, l’opzione è di tipo call; se invece il diritto spetta alla parte che de-
ve consegnare l’attività sottostante, la opzione è di tipo put.
32
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
Una call (put) con prezzo d’esercizio più basso (più alto) del prezzo
dell’attività sottostante è detta in the money perché, se il prezzo dell’attività
sottostante resta immutato, l’opzione verrà esercitata. Invece, una call (put)
con prezzo d’esercizio più alto (più basso) del prezzo dell’attività sottostante è
detta out of the money perché, se il prezzo dell’attività sottostante resta im-
mutato, l’opzione non verrà esercitata. Nel caso intermedio in cui il prezzo
d’esercizio e il prezzo dell’attività sottostante sono uguali, l’opzione è detta at
the money.
Non tenendo conto dei brokers, dei dealers e dello Stato, ciascuna delle due
parti può guadagnare solo a spese dell’altra. È un gioco a somma zero in cui,
indipendentemente dal risultato, i dollari guadagnati da una parte sono esat-
tamente compensati dai dollari persi dall’altra.
Se pensate che sia una buona idea acquistare un forward, una call o una
put, ricordatevi che qualcun altro deve ritenere che la vendita dello stesso
derivato rappresenti un buon affare. Se è importante la percezione del per-
ché volete comprare il derivato, altrettanto importante è capire perché la
controparte voglia vendere. Ad esempio, supponiamo che voi riteniate pro-
babile che i prezzi delle azioni aumentino, o che siano incerti ed estrema-
mente volatili. Pensate quindi che sia tempo di comprare una call. Prima di
farlo, riflettete e ricordatevi che la vostra controparte può saperne quanto
voi. Di conseguenza, soprattutto se avete ragione, è possibile che il prezzo
della call sia già abbastanza alto da riflettere queste informazioni. Se il
prezzo sembra basso, implicitamente dovete credere di essere più informa-
to o più intelligente del venditore.
33
DERIVATI
34
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
Mese
Mesedidiconsegna
consegna/ /scadenza
scadenza
Tipo
Tipo Strike
Strike nov
nov dic
dic gen
gen mar
mar giu
giu
Futures
Futures 717,60
717,60 724,20
724,20 730,00
730,00
Call
Call 700
700 15,10
15,10 22,30
22,30 30,70
30,70
Call
Call 710
710 8,35
8,35 15,95
15,95 24,05
24,05
Call
Call 720
720 3,60
3,60 10,65
10,65 18,10
18,10
Put
Put 700
700 3,85
3,85 11,15
11,15 13,35
13,35
Put
Put 710
710 7,10
7,10 14,70
14,70 16,60
16,60
Put
Put 720
720 12,35
12,35 19,35
19,35 20,50
20,50
Quotazioni di mercato
La Tavola 1.6 riporta le quotazioni di chiusura dei futures e delle opzioni
sullo S&P500, rilevate in occasione delle elezioni presidenziali statunitensi
del 1996. Un obiettivo importante di questo libro è quello di spiegare que-
ste cifre. In particolare, vogliamo rispondere alle seguenti domande:
Perché i prezzi futures (717,60; 724,20; 730,00) sono maggiori del prez-
zo spot dell’attività sottostante (713,60)?
Perché i prezzi futures aumentano con l’allungarsi della scadenza del
contratto (717,60 < 724,20 < 730,00)?
Perché i prezzi delle opzioni call (put) di qualsiasi scadenza diminui-
scono (aumentano) con l’aumentare dei prezzi d’esercizio?
Perché i prezzi delle opzioni, call e put, con un dato prezzo d’esercizio
aumentano con l’aumentare della scadenza?
35
DERIVATI
Cos’è che determina l’esatta relazione tra il prezzo di una call e il prez-
zo della put con stesso prezzo d’esercizio e stessa scadenza?
Più in generale, quali sono le variabili che influiscono sui derivati, e
come interagiscono tra loro per determinarne i livelli di prezzo?
Forwards e futures
In genere, quando gli investitori pensano ai derivati, il mercato che viene
prima in mente è quello dei futures negoziati in borsa, ad esempio i futures
sullo S&P500 quotati alla Chicago Mercantile Exchange (CME). Chi compra
questi futures si impegna nominalmente a pagare un certo prezzo per ricevere
un importo in dollari pari a 250 volte il prezzo di chiusura dello S&P500 alla
scadenza del contratto. Ad esempio, supponiamo che il prezzo futures di oggi
sia pari a $1.000. Alla scadenza, se il prezzo spot dello S&P500 è di $1.020,
il compratore realizzerà un profitto pari a $5.000 [= 250 × ($1.020 –
$1.000)]. Il venditore, che rappresenta l’altro lato della transazione, si è im-
pegnato a pagare un importo in dollari pari a 250 volte il prezzo spot
dell’indice; pertanto, il venditore finirà per perdere $5.000.
Le caratteristiche di alcuni futures sono piuttosto complesse. Ad esempio,
i futures su T-bonds sono contratti che prevedono la consegna – in un certo
mese – di un T-bond con tasso cedolare e scadenza prefissati. Se il prezzo
36
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
Swaps
Gli swaps sono un’evoluzione dei «prestiti paralleli» (parallel loan agree-
ments) in voga negli anni ‘70. Supponiamo, ad esempio, che una società sta-
tunitense prenda in prestito $10.000.000 collocando un’obbligazione negli
Stati Uniti e che una società britannica prenda in prestito l’equivalente di
$10.000.000 in sterline, collocando un’obbligazione in Inghilterra. Le due
società si scambiano poi i titoli. Dapprima si scambiano i capitali incassati
con il collocamento (dollari contro sterline) e poi la società statunitense paga
gli interessi in sterline previsti dal titolo della società britannica, mentre la
società britannica paga gli interessi in dollari previsti dal titolo della società
statunitense. Infine, alla scadenza, le società si scambiano di nuovo i capitali.
La società statunitense è così riuscita a prendere in prestito sterline alle con-
dizioni praticate alla società britannica, mentre la società britannica è riuscita
a prendere in prestito dollari alle condizioni praticate alla società statuniten-
se. Sfortunatamente, questo accordo può comportare un rilevante rischio di
credito. Ad esempio, se la società britannica fallisce, la società statunitense
dovrà continuare a pagare gli interessi ai possessori del titolo britannico.
37
DERIVATI
Nel primo swap, uno «swap su valute» (currency swap) negoziato nel
1981 tra IBM e World Bank, il rischio di credito venne sostanzialmente
ridotto. In questo swap, non solo i capitali non venivano scambiati ma
l’insolvenza di una delle due parti avrebbe posto fine al contratto. Il primo
swap su tassi d’interesse (interest rate swap) – fisso contro variabile – vide
la luce a metà del 1982. Da allora, il mercato degli swaps è cresciuto note-
volmente ed esistono oggi diverse varianti. Le modifiche riguardano:
le attività sottostanti;
il capitale nozionale;
i pagamenti intermedi.
Al primo tipo di variante appartengono gli equity swaps, i commodity
swaps e i basis swaps. Negli «swaps su azioni» (equity swaps), i dividendi
e i capital gains relativi ad un indice azionario vengono scambiati con gli
interessi fissi o variabili. Negli «swaps su merci» (commodity swaps), i
capital gains relativi ad una merce vengono scambiati con gli interessi fissi
o variabili. Negli «swaps di base» (basis swaps), gli interessi variabili su
un certo titolo vengono scambiati con gli interessi variabili su un altro tito-
lo, in genere di diversa scadenza.
Al secondo tipo di variante appartengono gli amortising swaps, gli ac-
creting swaps e i roller-coaster swaps. Negli «swaps con ammortamento»
(amortising swaps), il capitale nozionale diminuisce col passare del tempo,
ad un tasso determinato dalle estinzioni anticipate dei mutui ipotecari. Negli
«swaps ad accumulazione» (accreting swaps), il capitale nozionale aumenta
col passare del tempo. Negli «swaps a montagne russe» (roller-coaster
swaps), il capitale nozionale aumenta o diminuisce col passare del tempo.
Al terzo tipo di variante appartengono gli «swaps di titoli a cedola nulla»
(zero-coupon interest rate swaps). In questi swaps, viene effettuato solo un
pagamento alla scadenza quando una delle due parti corrisponde all’altra la
differenza tra un ritorno fisso e un ritorno variabile, dove quest’ultimo è pari
a quello ottenibile investendo al Libor durante la vita dello swap.
Molti swaps contengono opzioni. Ad esempio, un interest rate swap
con cap (floor) pone un limite massimo (minimo) al tasso d’interesse va-
riabile. Quando lo swap prevede sia un cap sia un floor, si dice che contie-
ne un collar.
38
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
39
DERIVATI
40
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
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DERIVATI
Titoli di Stato
Può sorprendere che anche il Treasury bill – il più elementare di tutti i tito-
li – possa essere analizzato con gli strumenti della teoria di valutazione dei
derivati. Anche se, in genere, si assume che il prezzo di questo titolo sia
noto alla scadenza, tuttavia esso varia prima di tale data in funzione dei
tassi di interesse. All’aumentare (al ridursi) dei tassi d’interesse a breve, il
suo prezzo scende (aumenta). Prima della scadenza, i T-bills possono esse-
re visti come derivati che dipendono dal livello dei tassi d’interesse a breve
termine.
Alcune delle «obbligazioni di risparmio» (saving bonds) emesse negli
Stati Uniti, nel Regno Unito ed in Canada consentono ai possessori il rimbor-
so anticipato alla pari; altre consentono il rimborso anticipato ad un prezzo
che cresce in funzione del tempo. Questi ultimi titoli cercano di offrire un
rendimento tanto più elevato quanto maggiore è il periodo di detenzione.
42
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
Mutui e assicurazioni
I mutui ipotecari rappresentano la quota più importante del mercato crediti-
zio statunitense, maggiore anche di quella del debito statale e federale. In
genere, le rate dei mutui – che contengono una quota interessi ed una quota
capitale – sono costanti. Con l’avvicinarsi della scadenza del mutuo, il debito
residuo e la quota interessi diminuiscono mentre la quota capitale aumenta.
Spesso, al fine di liberare risorse per nuovi impieghi, con un processo di
«cartolarizzazione» (securitization), i mutui vengono raggruppati in un fon-
do (pool) così da formare la base per un solo titolo. I pagamenti effettuati dai
mutuatari vengono aggregati e “passati” all’«obbligazione garantita da ipote-
ca» (mortgage-backed security o pass trough). La prima agenzia governati-
va che ha creato questi pools, con garanzie statali, è stata la Government Na-
tional Mortgage Association (GNMA), nel 1970. Successivamente, anche
agenzie quasi-governative, come la Federal National Mortgage Association
(FNMA) e la Federal Home Loan Mortgage Corporation (FHLMC), hanno
cominciato ad offrire pass-throughs ma senza chiare garanzie statali.
Il principale derivato associato a questi titoli è l’«opzione di estinzione
anticipata» (pre-payment option). Quando i tassi di interesse diminuiscono
ed i mutuatari si attendono un loro rialzo, alcuni dei mutui presenti nel pool
vengono estinti e i possessori delle mortgage-backed securities ricevono un
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DERIVATI
44
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
Opzioni esotiche
Anche se le calls e le puts negoziate in borsa continuano ad essere le op-
zioni più attivamente trattate, si è recentemente sviluppato il mercato over
the counter delle «opzioni esotiche» (exotic options). Queste opzioni sono
di solito simili alle opzioni standard ma hanno qualche particolarità.
I «pacchetti» (packages) rappresentano il tipo più semplice di opzione
esotica, dato che i loro payoffs possono essere replicati da portafogli con-
tenenti obbligazioni, azioni e opzioni standard. Un esempio è dato dal
«colletto» (collar) che ha lo stesso payoff dell’azione sottostante ma con un
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DERIVATI
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ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
(ladder calls) il floor è pari alla differenza tra il «prezzo obiettivo» (target
price) e lo strike se il prezzo dell’azione ad una certa data è maggiore del
target. Nelle «opzioni a grimagliera» (cliquet options) e nelle «opzioni gri-
date» (shout options) il floor è pari alla differenza tra il prezzo dell’azione e
lo strike: nel caso delle cliquets il floor viene determinato ad una data prefis-
sata mentre nel caso delle shouts è il compratore che decide quando “grida-
re” il prezzo corrente per fissare il livello del floor.
Nelle «opzioni di scambio» (exchange options) lo strike è sostituito dal
prezzo di una seconda attività sottostante. Pertanto, queste opzioni consen-
tano di scambiare un’attività con un’altra. Simili sono le «opzioni di mas-
sima performance» (outperformance options) che offrono alla scadenza,
tra le due attività sottostanti, quella di maggior valore.
Le «opzioni su attività in valuta estera e payoff in valuta interna» (cur-
rency-translated options) consentono di investire nei mercati azionari esteri
e di graduare il rischio di cambio. In una delle varianti, il payoff viene tradot-
to nella valuta domestica in base al tasso di cambio corrente alla data di sca-
denza. Ad esempio, l’investitore statunitense che acquista una call sull’indice
inglese FTSE si espone al rischio che la sterlina si deprezzi rispetto al dolla-
ro. Se l’esercizio dell’opzione risulterà conveniente, i profitti in dollari po-
tranno essere sostanzialmente minori a causa del deprezzamento della sterli-
na. In un’altra variante, l’acquirente di un’«opzione quanto» (quanto option)
non è esposto al rischio di cambio, in quanto il payoff dell’opzione viene
convertito nella valuta domestica in base ad un tasso di cambio prefissato.
Le «opzioni arcobaleno» (rainbow options) sono opzioni il cui valore di-
pende da più di un’attività sottostante. Ad esempio, le opzioni sullo S&P500
possono anche essere interpretate come opzioni scritte su 500 attività sotto-
stanti. A volte queste opzioni sono dette «opzioni paniere» (basket options).
Tra gli altri esempi di rainbow options figurano le «opzioni differenziali»
(spread options), che sono scritte sulla «differenza» (spread) tra i prezzi di
due attività.
I «certificati corridoio» (range notes) pagano un tasso d’interesse pari al
prodotto tra il tasso di riferimento osservato ad inizio periodo e la quota dei
giorni nei quali questo tasso resta all’interno di un certo corridoio.
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DERIVATI
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ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
noltre, molti datori di lavoro contribuiscono ai piani con «fondi a proprio cari-
co» (matching funds). I prelevamenti effettuati prima dei 59,5 anni di età sono
penalizzati. I fondi possono essere «trasferiti» (rolled over) in altri piani, senza
oneri fiscali o di altro genere. Dato che alcuni piani vengono valutati annual-
mente, il loro valore al momento del rollover potrebbe anche basarsi su stime
effettuate un anno fa. Pertanto, se il valore si è ridotto rispetto all’ultima data di
valutazione, il rollover può essere conveniente. Questo è un altro esempio di
wildcard option, simile a quella che è incorporata nelle opzioni sullo S&P100.
Esistono opzioni su tassi di interesse trattate in borsa ma, a ben vedere, la
stessa «moneta» (money) è un’opzione. In base all’equazione di Fisher, il tasso
d’interesse nominale è pari alla somma tra il tasso d’interesse reale e il tasso
d’inflazione atteso. Anche se il tasso nominale non può essere negativo (dato
che i soldi possono essere comunque “investiti” sotto un materasso), il tasso
reale e il tasso d’inflazione possono essere negativi. La moneta può quindi es-
sere considerata alla stregua di una call, dato che il suo tasso di rendimento è
pari al maggiore tra zero e la somma tra il tasso reale e il tasso d’inflazione.
L’«assicurazione di portafoglio» (portfolio insurance) è una strategia
d’investimento che è giunta all’apice della sua popolarità poco prima del crash
azionario del 1987. Seguendo questa strategia, i fondi pensione di grandi di-
mensioni, preoccupati di possibili perdite sulla componente azionaria, si assi-
curano contro i ribassi del mercato azionario. Contando su questa strategia,
molti fondi pensione potrebbero aumentare la loro esposizione attesa nei con-
fronti dei prezzi delle azioni. Quest’assicurazione, simile ad un put sul portafo-
glio azionario, verrà estesamente analizzata nel Capitolo 7.
49
DERIVATI
tutto il mondo. Una possibile spiegazione è data dalla paura che le miniere
vengano espropriate da governi ostili. Un’altra, forse più interessante, è che
l’atto costoso di estrarre il metallo è il modo migliore per convincere il mer-
cato che la miniera ha bassi costi d’estrazione, con conseguenze positive sul-
la suo valutazione da parte degli operatori.
È molto più facile capire perché si estraggono le altre risorse naturali, come
petrolio e rame. Diversamente dall’oro, queste merci vengono acquistate so-
prattutto per fini di consumo. Chiaramente, senza l’estrazione non ci potrebbe
essere consumo. Questa situazione è analoga al risultato secondo cui conviene
esercitare anticipatamente un’opzione americana perpetua scritta su un titolo
che paga dividendi sufficientemente alti. Nel caso delle risorse naturali, i “divi-
dendi” sono dati dal valore supplementare della merce in quanto bene consu-
mabile. Questo vantaggio è detto «tasso di convenienza» (convenience yield).
La proprietà di un terreno comporta alcune opzioni, che consentono di sce-
gliere il momento ottimale per lo sviluppo della proprietà, l’intensità dello svi-
luppo e il momento dell’abbandono. Gran parte dello sconto concesso a chi
prende in affitto un terreno è spesso dovuto alla perdita dell’opzione di svilup-
po, un’opzione che spetta al locatore (il proprietario) ma non all’affittuario.
Le risorse naturali e le nostre due prossime categorie (i progetti
d’investimento e le altre opzioni non finanziarie) non possono essere con-
siderate derivati perché manca una controparte esplicita. Tuttavia, vengono
discusse qui perché spesso possono essere utilmente analizzate con gli
stessi metodi che vengono usati per i derivati.
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ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
51
DERIVATI
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ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
1.5 MERCATI
Borse
I derivati vengono negoziati nelle «borse» (exchanges) e nei «mercati pa-
ralleli» (over the counter markets). In genere, le borse sono organismi
centralizzati nei cui «recinti» (trading pits) gli acquirenti e i venditori (o i
loro rappresentanti) si incontrano per effettuare transazioni. Di solito, i de-
rivati di borsa sono estremamente standardizzati. Ad esempio, le opzioni
sullo S&P500 trattate al CBOE vengono negoziate solo per un ristretto
numero di scadenze e di prezzi d’esercizio. Ne trae vantaggio la liquidità
(con positivi riflessi sui costi di transazione) e la velocità degli scambi (da-
to che il numero dei contratti è contenuto). Gli operatori devono necessa-
riamente convenire di aver negoziato al miglior prezzo possibile.
Negli Stati Uniti, le principali borse che trattano derivati sono quattro.
La più antica è il Chicago Board of Trade (CBOT), costituito nel 1848.
Al CBOT e alla Chicago Mercantile Exchange (CME), che deriva dal
Chicago Butter and Egg Board costituito nel 1874, si negoziano futures e
opzioni su futures. Per molti anni, queste borse hanno trattato solo futures
su merci. Più di recente, nel 1972, hanno cominciato a trattare anche futu-
res puramente finanziari e quindi futures su indici azionari, obbligazioni e
valute. Ancora più di recente, nel 1982, hanno cominciato a negoziare op-
zioni su futures (che erano stati vietati dal Commodity Exchange Act del
1936).
La Chicago Board Options Exchange (CBOE) è stata la prima borsa a
negoziare opzioni standard ed è ora la più grande. Aprì cautamente nel
1973 trattando calls su 16 azioni ordinarie. Subito dopo iniziò a trattare
anche le puts, ampliò sostanzialmente il numero delle azioni sottostanti e
cominciò a trattare le opzioni su indici azionari. Anche l’American Stock
Exchange (Amex) tratta opzioni su azioni e su indici azionari.
Il pannello che si trova nelle prossime due pagine riporta un elenco del-
le principali borse del mondo che trattano futures e opzioni.
Le borse vendono i propri «seggi» (seats) e chi li acquista ha diritto a
negoziare sul suo «parterre» (floor). Ogni seggio può essere intestato ad
un solo floor trader. In ultima analisi, le due controparti delle operazioni
concluse in borsa sono in genere rappresentate da un «socio» (member) che
acquista e da un altro socio che vende. Esiste un mercato secondario dei
seggi, per cui i soci possono facilmente vendere i loro seggi ad altri soci.
Negli anni più recenti, il prezzo dei seggi delle principali borse è oscillato
tra $500.000 e $1.500.000.
Gli exchange members possono essere suddivisi in cinque tipologie:
i floor brokers o commission brokers, che negoziano solo per conto del
pubblico;
i market-makers o locals, che negoziano solo per proprio conto ed hanno
l’obbligo di “fare mercato” (in altri termini, devono essere pronti a far
da contropartita agli ordini del pubblico);
53
DERIVATI
gli specialists, che possono negoziare per proprio conto o per conto del
pubblico e che hanno l’obbligo di “fare mercato”;
i registered options traders, che possono negoziare per proprio conto o
per conto del pubblico e che non hanno l’obbligo di “fare mercato”;
i proprietary traders, che negoziano per proprio conto, in genere pas-
sando gli ordini per via elettronica lontano dal floor, e che non hanno
l’obbligo di “fare mercato”.
54
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
Alcuni traders, detti spreaders, non avendo opinioni sulla direzione in cui
muoverà il sottostante, cercano di fare profitti comprando e vendendo con-
tratti i cui prezzi sembrano essere relativamente «disallineati» (mispriced).
Infine, alcuni market makers, detti position traders, assumono posizioni
nella speranza di trarre profitto da un disallineamento dell’attività sotto-
stante che sarà forse corretto solo dopo molte settimane. In genere, gli ope-
ratori che intendono negoziare frequentemente e per quantità rilevanti si
comprano un seggio. In tal modo hanno accesso ad informazioni privilegia-
te sugli ordini del pubblico e possono negoziare a costi molto più bassi ri-
spetto a quelli previsti per il pubblico e con depositi di garanzia sensibil-
mente inferiori.
I metodi utilizzati dalle borse per organizzare gli scambi sono due: il
sistema degli specialists e quello dei market makers. Gli specialists gesti-
scono il libro degli «ordini con limite di prezzo» (limit orders), ossia degli
55
DERIVATI
Stanze di compensazione
Tra il cliente e l’exchange member che esegue l’ordine c’è sempre un sog-
getto che si interpone: si tratta del futures commission merchant (FCM) nei
mercati dei futures e del registered option principal (ROP) nei mercati del-
56
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
Floor Floor
Compratore Broker Borsa Broker Venditore
broker broker
57
DERIVATI
dalle sue attività, dai «depositi di garanzia» (clearing margins) che i clear-
ing members sono tenuti ad effettuare, da un fondo di garanzia e dai «diritti
di prelievo» (drawing rights) nei confronti dei clearing members. Nei casi di
forti variazioni dei prezzi, la clearing house può richiedere ai soci più esposti
di integrare i depositi di garanzia. In genere, i versamenti devono essere ef-
fettuati entro un’ora dalla «richiesta di integrazione» (margin call). Anche
l’importo che va depositato all’apertura di nuova posizione, detto «margine
iniziale» (initial margin), può essere modificato con breve preavviso. Queste
procedure assicurano ai derivati di borsa una notevole integrità finanziaria.
Deve crollare l’intero mercato prima che un’operazione su derivati non
venga onorata. A volte qualche clearing member fallisce ma finora non è
mai fallita nessuna clearing house, pur se la possibilità esiste. La solidità
delle clearing houses può essere minata da forti ed improvvise variazioni
nei prezzi delle attività sottostanti. Tuttavia, le clearing houses sono so-
pravvissute al crollo del mercato azionario del 1987, quando lo S&P500
scese del 20 per cento in un solo giorno e il futures sullo S&P500 scese del
29 per cento.
Negli Stati Uniti, ognuna delle principali borse dove si negoziano futu-
res ha la sua clearing house. La prima venne creata dal Chicago Board of
Trade negli anni ‘20. Invece le quattro borse dove si negoziano opzioni,
incluse due borse regionali (la Pacific Exchange e la Philadelphia Stock
Exchange), controllano congiuntamente una sola clearing house, la Op-
tions Clearing Corporation (OCC).
58
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
59
DERIVATI
60
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
Fin dal giugno 1988, la vendita di opzioni at the money o in the money
è soggetta a un deposito pari al 20% del prezzo dell’attività sottostante, ol-
tre al versamento del 100% del ricavato. Nel caso delle opzioni out of the
money, il deposito del 20% del prezzo dell’attività sottostante è ridotto in
misura pari all’importo per il quale l’opzione è out of the money; in ogni
caso, il deposito deve essere almeno pari al 10% del prezzo dell’attività. Le
opzioni su indici richiedono depositi di minore importo: il 15% invece del
20%. Nel caso delle opzioni su azioni e su indici non si fa nessuna distin-
zione tra margine iniziale e margine di mantenimento.
Invece, se la call venduta è «coperta» (covered), per cui il venditore de-
tiene l’azione sottostante, non è richiesto alcun deposito. In questo caso il
broker è indifferente dato che, se la call termina in the money, il venditore
già possiede l’azione che deve consegnare. In effetti, le attuali regole con-
sentono al venditore della covered call di prendere in prestito fino al 50%
del costo dell’azione e di utilizzare il ricavato della vendita della call per
coprire un’ulteriore quota del costo dell’azione.
Ora che sono negoziabili (mentre fino al 1° maggio 1975 erano fisse),
le commissioni su futures e opzioni variano notevolmente da broker a bro-
ker. Per farsi un’idea delle commissioni su opzioni che ci si può aspettare
da un discount broker, si veda la seguente tavola:
61
DERIVATI
Organi di controllo
La Securities and Exchange Commission (SEC) venne creata con il Securi-
ties Exchange Act del 1933 per regolare le negoziazioni di azioni ed obbliga-
zioni. Nel 1973 le sue responsabilità vennero estese anche al settore delle
opzioni negoziate in borsa. Tra le prerogative della SEC figurano la registra-
zione degli operatori, l’approvazione dei nuovi contratti e l’informativa sui
rischi delle operazioni. Uno dei principali obiettivi è quello di prevenire abu-
si a danno degli investitori con operazioni non appropriate e negoziazioni
eccessive. Gli investitori che intendono utilizzare i derivati negoziati in borsa
devono prima firmare una dichiarazione, richiesta dalla SEC, nella quale af-
fermano di essere a conoscenza dei rischi che le operazioni comportano.
La Commodity Futures Trading Commission (CFTC) venne creata nel
1974, in base ad emendamenti del Commodity Futures Trading Act. La
CFTC ha la responsabilità del funzionamento dei mercati dei futures ma
non è lei che fissa i livelli minimi dei depositi di garanzia, materia che re-
sta di competenza delle singole borse.
La National Futures Association (NFA), un’associazione privata creata
nel 1982, fissa gli standards per la registrazione di chi opera sui mercati dei
futures ed ha l’autorità per imporre multe ai propri associati in caso di con-
dotte non conformi ai principi di deontologia professionale.
62
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
anche riuscire ad ottenere prezzi migliori rispetto a quelli esposti sul suo
schermo. È questo il cosiddetto «miglioramento di prezzo» (price impro-
vement). Il vostro broker/dealer può anche eseguire lui stesso il vostro or-
dine, assumendo per proprio conto una posizione di segno opposto oppure
incrociando il vostro ordine con quello di un altro cliente. In ogni caso, è
tenuto ad applicarvi un prezzo non peggiore del miglior prezzo disponibile
sul suo schermo.
I forwards e gli swaps vengono negoziati nei mercati over the counter.
Invece, tutti i futures vengono negoziati – per legge – in borsa e le opzioni
in entrambi i mercati. La maggior parte delle operazioni su derivati valutari
si svolge nel «mercato interbancario» (interbank market), una rete che le-
ga le principali banche del mondo. Le singole banche agiscono da broker
per la clientela e negoziano con altre banche. Le banche più attive svolgo-
no anche il ruolo di market maker e dispongono di «sale operative» (dea-
ling rooms) con «postazioni» (desks) diverse a seconda delle attività sotto-
stanti e della tipologia di contratti (spot, forwards, opzioni, ecc.).
Dato che le negoziazioni dei mercati over the counter non vengono rego-
late da una clearing house, il rischio di credito può rappresentare un proble-
ma. I dealers con il miglior standing creditizio ne risultano avvantaggiati. A
volte le operazioni vengono garantite da una terza parte (il “garante”).
Diversamente dai derivati di borsa, le condizioni dei contratti negoziati
nei mercati over the counter possono essere personalizzate per andare in-
contro alle necessità delle controparti. Tuttavia, anche l’American Stock
Exchange ha reso possibile la personalizzazione di alcuni opzioni su indi-
ci, le cosiddette FLEX, che consentono alle controparti di scegliere i prezzi
d’esercizio e le date di scadenza (fino a cinque anni).
Invece di comprare futures e opzioni direttamente, è possibile acquistare
appositi fondi a gestione attiva. È bene che gli investitori si avvicinino a que-
sti fondi con attenzione. In particolare, i «fondi di futures su merci» (com-
modity futures funds) sono gravati da elevate commissioni di gestione, pari
a circa il 19% annuo. La performance anche dei migliori tra questi fondi è
difficile da giudicare a causa di una forte «distorsione da sopravvivenza»
(survivorship bias). Infatti, i fondi offerti agli investitori sono quelli che han-
no avuto i migliori risultati, forse solo per caso. Di quelli meno fortunati non
se ne sente parlare perché escono dal mondo degli affari. Pertanto, la perfor-
mance osservata in passato può essere una guida pericolosa per il futuro.
63
DERIVATI
64
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
Wash selling Effettuare una vendita fittizia per ridurre gli oneri fiscali.
65
DERIVATI
66
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
67
DERIVATI
mensione del mercato a pronti. In realtà, secondo le stime della Bank for In-
ternational Settlements con sede a Basilea, la dimensione del mercato over
the counter a fine marzo 1995 era già pari a $47,5 migliaia di miliardi. La
spaccatura per settore mostra che la maggior parte delle operazioni è rappre-
sentata dai derivati su tassi d’interesse e che l’open interest dei futures e dei
forwards tende ad essere maggiore di quello delle opzioni.
Un’altra misura della dimensione dei mercati dei derivati è rappresentata
dal «volume degli scambi» (trading volume), anch’esso determinato in base
al valore nozionale delle attività sottostanti. Assumendo per difetto che il
rapporto tra il volume giornaliero degli scambi e l’open interest sia pari a
8,5, e supponendo che ci siano 252 giorni lavorativi in un anno, il volume
annuo degli scambi è pari a $1.040.000 miliardi [= $35.000 miliardi ×
(252/8,5)], poco più di un milione di miliardi!
Sommario: mercati
I derivati vengono negoziati in due diversi ambienti: le borse e i mercati
over the counter. Ad esempio, i futures sono trattati in borsa mentre i for-
wards e gli swaps vengono negoziati nei mercati over the counter.
Le borse differiscono tra loro nel modo in cui si avvalgono di specia-
lists e di market makers per l’esecuzione degli ordini e nel modo in cui
trattano gli ordini al meglio e quelli con limite di prezzo.
Oltre ad accrescere la liquidità attraverso la standardizzazione dei con-
tratti, le borse riescono di fatto ad annullare il rischio d’insolvenza attra-
verso la regolazione di tutte le operazioni con un’unica clearing house.
I derivati di borsa sono soggetti a specifiche limitazioni (depositi di ga-
ranzia e divieto degli acquisti a credito di opzioni) volte a proteggere i bro-
kers dall’insolvenza dei clienti. Ciò nonostante, gli investitori possono di
fatto indebitarsi di più nei mercati dei derivati che non in quelli a pronti. La
struttura tipica delle commissioni previste per i derivati implica che questi
strumenti sono meno costosi di quelli a pronti se l’orizzonte temporale
dell’investimento non è eccessivamente lungo.
Negli Stati Uniti, il CBOT, la CME, la CBOE e l’Amex rappresentano le
più importanti borse per la negoziazione di derivati. I futures e le opzioni su
futures vengono regolamentati dalla CFTC, mentre le opzioni su spot rien-
trano nella giurisdizione della SEC. La principale clearing house per le op-
zioni è la OCC.
I mercati over the counter contano sulle quotazioni bid e ask riportate
sugli schermi dei computer e sulle comunicazioni telefoniche per offrire ai
clienti prezzi vantaggiosi. Questi sistemi si contrappongono a quelli delle
borse, nelle quali i rappresentanti di compratori e venditori negoziano di
persona sul floor. Per quanto riguarda i derivati valutari, la maggior parte
delle negoziazioni avviene nel mercato interbancario dei forwards. I clienti
possono anche assumere posizioni indirette sui derivati sottoscrivendo le
quote dei commodity futures funds.
68
ATTIVITÀ, DERIVATI E MERCATI
CONCLUSIONI
Questo capitolo introduttivo si è avvalso dell’esempio della polizza assicu-
rativa contro il rischio di terremoti. L’esempio si presta ad illustrare gran
parte dei ragionamenti economici che vengono utilizzati per analizzare i
derivati (e che saranno discussi più avanti in maggior dettaglio). La carat-
teristica più importante di un derivato è la forma del payoff, che può essere
descritta da una tavola, un grafico o una formula. Per determinare il valore
di un derivato, è necessario assegnare ai payoffs le probabilità soggettive,
attualizzarli e tener conto dei rischi che non possono essere diversificati.
Questo compito può essere portato a termine con l’utilizzo delle probabilità
neutrali verso il rischio.
Il problema della valutazione dei derivati può essere “capovolto”. As-
sumendo che il valore dei derivati sia ben rappresentato dai prezzi di mer-
cato, si possono utilizzare le quotazioni per inferire le probabilità neutrali
verso il rischio che determinano il valore dei derivati. Questo è il cosiddet-
to «problema inverso», che ci ha indotto a presentare i concetti di state-
contingent claims, mercati completi, opportunità di arbitraggio prive di ri-
schio, replica dinamica, strategie d’investimento che si auto-finanziano ed i
primi tre teoremi fondamentali dell’economia finanziaria – tutte idee che
sono alla base della moderna teoria di valutazione dei derivati e delle co-
perture mediante derivati.
Le attività sottostanti i derivati possono essere diverse: merci, azioni,
indici, obbligazioni, valute, ecc. Il mercato globale dei derivati è straordi-
nariamente grande e continua a crescere ad un ritmo elevato.
1 Per rendere semplice l’esempio, abbiamo implicitamente assunto che i danni alla casa possano
dipendere solo dalla magnitudo del terremoto. Si noti che gli eventi di magnitudo diversa da
quelle indicate nella tavola (ad es. 5,45) non sono possibili, dato che tutte le magnitudo vengo-
no ufficialmente arrotondate al primo decimale più vicino.
2 Anche se è possibile che la maggior parte degli individui non pensi direttamente in termini di
probabilità soggettive, si può dimostrare che gli individui razionali agiscono come se usassero
le probabilità soggettive. La convincente dimostrazione si trova in Leonard J. Savage, The
Foundations of Statistics, Dover, 1954.
3 Il principale messaggio economico del capital asset pricing model è presente nella nostra
discussione: il valore corrente di un’attività dovrebbe essere influenzato solo dal rischio che
non può essere diversificato.
4 Questa definizione implica che il ritorno di un portafoglio è pari alla media ponderata dei ri-
69
DERIVATI
torni dei singoli titoli, con pesi pari alla quota del valore del portafoglio spiegata da ogni titolo.
5 In questo libro, il ritorno privo di rischio su un singolo periodo è indicato con r. La notazione
che stiamo usando ora anticipa l’estensione che faremo più avanti, nella quale il tempo man-
cante alla scadenza viene suddiviso in due periodi.
6 In realtà, le prime due condizioni implicano la terza. Ad esempio, se vale la seconda condizio-
ne, è possibile costruire un terzo portafoglio andando lunghi sul primo e corti sul secondo. Il
costo di questo terzo portafoglio sarà pari a zero ma i payoffs saranno nulli in alcuni stati e po-
sitivi in tutti gli altri (e questa è precisamente la terza condizione).
7 Un modo abbastanza generale per caratterizzare il nostro obiettivo è il seguente. Dati:
(1) f (x, t), dove x è il futuro prezzo spot dell’attività sottostante al tempo t e f (x, t) è il pa-
yoff di un derivato
(2) il valore corrente (o prezzo corrente) di x
(3) il ritorno privo di rischio, r
vogliamo determinare il valore attuale di f (x, t). I contratti forward sono esempi di contratti
con funzioni di payoff che sono lineari in x, mentre le opzioni sono esempi di contratti con
funzioni di payoff che non sono lineari in x.
70
2
Forwards e futures
71
DERIVATI
Per fare in modo che la seconda strategia sia identica alla prima, occorre che –
tra la data iniziale e la scadenza – gli introiti siano esattamente pari agli esborsi.
Questa è la cosiddetta condizione di «autofinanziamento» (self financing).
Fatta forse eccezione per la data iniziale, gli introiti o gli esborsi delle due
strategie sono sempre uguali. Anzi, ci sono buoni motivi per ritenere che
esse richiedano inizialmente lo stesso investimento. Le forze di mercato
tendono ad uguagliarne i costi iniziali, nello stesso modo in cui fanno sì
che – in due negozi simili vicino a casa nostra – il prezzo di un dentifricio
della stessa marca sia pressoché lo stesso. In effetti, assumeremo in genere
che ciò sia vero e – per descrivere questa situazione – utilizzeremo la se-
guente frase: “non esistono opportunità di arbitraggio prive di rischio”.
Se così è, il costo iniziale della strategia del portafoglio equivalente è
pari al valore iniziale del derivato.
Per capire quindi un derivato, dobbiamo prima studiare la sua attività
sottostante e tener conto della possibilità di ricevere interessi sulla moneta.
72
FORWARDS E FUTURES
S = 100 Payoff
t =1
D = 10
75
73
DERIVATI
S = 100 Profit
t =1
D = 10
25
Buy Asset
(ex-payout)
Buy Asset
(cum-payout)
50 75 125 150
-25
Loss
Le «vendite allo scoperto» (short sales) sono vendite effettuate dopo aver
preso in prestito i titoli da vendere.
74
FORWARDS E FUTURES
S = 100 Profit
t =1
r = 1.15
D = 10
25
Short Asset
Short Asset (con interessi sul ricavato)
50 75 125 150
-25
Loss
75
DERIVATI
S = 100 Profit
t =1
r = 1,15
25
50 75 125 150
-25
Loss
76
FORWARDS E FUTURES
77
DERIVATI
S = 100 Profit
t =1
r = 1,15 50% Asset, 50% Cash
D=0
25
Buy Asset
Lend Cash
50 75 125 150
Principio di additività:
aggiungere all’asse orizzontale
-25 le distanze verticali delle linee
Loss tratteggiate
78
FORWARDS E FUTURES
50 75 125 150
-25
Loss
rk (t ) ≡ [1 / Bk (t )]1 / (t −k )
Nella term structure degli spot returns è implicita la term structure dei «ri-
torni a termine» (forward returns). Il forward return, fk(t, T), su base an-
nua osservato al tempo k per il periodo (t, T), con t ≥ k e T ≥ t, è definito da:
1 / (T −t ) 1 / (T −t )
⎡ B (t ) ⎤ ⎧⎪ [r (T )]T ⎫⎪
f k (t , T ) ≡ ⎢ k ⎥ cosicché f 0 (t , T ) = ⎨ ⎬
⎣ Bk (T ) ⎦ ⎪⎩ [r (t )]t ⎪⎭
79
DERIVATI
Ora Asse
... ... ... del
0 1 k t t+1 T tempo
(t)≡≡[1/B (t,T)≡≡[B
1/(t-k) 1/(T-t)
rrkk(t) [1/Bkk(t)]
(t)]1/(t-k) ffkk(t,T) [Bkk(t)/B
(t)/Bkk(T)]
(T)]1/(T-t)
r(1), r(2), r(3),…,r(t) ≡ term structure corrente degli spot returns
f(1), f(2), f(3),…,f(t) ≡ term structure corrente dei forward returns
80
FORWARDS E FUTURES
Stima della term structure dai prezzi correnti dei coupon bonds di
diversa scadenza (metodo bootstrap):
Bond Scadenza Cedola Prezzo TIR
(anni) (%) ($) (%)
A 1 10 1.000,00 10,00
B 2 10 922,70 14,74
C 3 10 803,10 19,23
Poi, utilizzando questo risultato ed il prezzo del titolo (B) con la scadenza
intermedia, possiamo ricavare r(2) da un’equazione ad una incognita:
da cui r (2 ) = 1,15
100 1.100 100 1.100
922,70 = + = +
r (1) [r (2 )]2 1,10 [r (2 )]2
Infine, utilizzando r(1), r(2) e il prezzo del titolo (C) con la scadenza più
lontana possiamo ricavare r(3). Questo procedimento iterativo è noto come
«metodo bootstrap».
Si noti che, nel caso degli zero-coupon bonds, il rate of return coincide
con lo yield to maturity. Ciò non è vero nel caso dei coupon bonds, a meno
che la term structure sia piatta. Di conseguenza, bisogna fare attenzione a
non confondere la term structure dei rate of returns con la term structure
degli yields to maturity.
Continuando il nostro esempio, possiamo così calcolare i forward re-
turns ad 1 anno:
81
DERIVATI
I contratti che bloccano il forward return sono detti forward rate agreements.
Se si assume: assenza di opportunità di arbitraggio
mercati perfetti
certezza dei futuri spot returns
allora: rt –1(t) = f(t)
per prestiti relativi a periodi futuri. Questi accordi sono chiamati «forward
rate agreements». Ad esempio, utilizzando i T-bonds, è possibile mettersi
d’accordo per ricevere un certo tasso di interesse nel periodo che inizia tra
3 anni e termina un anno dopo. La tavola mostra che questo risultato può
essere ottenuto vendendo i titoli a 3 anni e acquistando i titoli a 4 anni. Con
la vendita delle obbligazioni a 3 anni si compensano tutte le cedole incas-
sate sul titolo a 4 anni, per cui restano solo i payoffs relativi al quarto anno.
Quando effettivamente arriveremo alla fine del terzo anno, il mercato
quoterà uno spot return ad 1 anno. Potremo riceverlo comprando uno zero-
coupon bond ad 1 anno. Abbiamo quindi la possibilità di scegliere. O bloc-
chiamo fin da ora il forward return, f (4), per il quarto anno oppure aspet-
tiamo fino alla fine del terzo anno e accettiamo lo spot return, r3(4), quota-
to dal mercato.
Una domanda che ha interessato gli economisti finanziari per gran parte
del XX secolo è stata la seguente: come sono legati tra loro il forward
return e il futuro spot return? Un utile punto di partenza, sul quale c’è
completo accordo, è rappresentato dal seguente scenario:
(1) supponiamo che gli investitori fissino i prezzi dei titoli in modo che
non ci siano opportunità di arbitraggio prive di rischio. In questo caso,
vogliamo dire che due investimenti (o due piani d’investimento) privi
di rischio, iniziati contemporaneamente e allo stesso costo, devono ave-
re lo stesso valore in qualsiasi futuro istante;
(2) quando compriamo e vendiamo titoli, paghiamo i costi di transazione
(commissioni, bid-ask spreads e impatto sul mercato); supponiamo in-
vece che i costi di transazione siano nulli. Inoltre, supponiamo di poter
82
FORWARDS E FUTURES
83
DERIVATI
10
Tasso d’interesse (%)
Forward rate
9
Spot rate
8
6
0,08 0,25 0,5 0,75 1 1,5 2 3 4 5 7 10 15 20
84
FORWARDS E FUTURES
Anche se è vero che la term structure dei tassi spot tende ad essere inclinata
verso l’alto, ci sono periodi in cui è meno inclinata o in cui è inclinata verso
il basso. Uno dei principali motivi di queste variazioni è rappresentato dal
cambiamento delle previsioni d’inflazione. Per determinare la term structure
dei tassi d’interesse, il mercato si interroga sui tassi d’inflazione. Maggiore è
il tasso atteso d’inflazione, più elevato è il tasso di rendimento richiesto dai
compratori delle obbligazioni (che vogliono essere compensati per le future
perdite di potere d’acquisto). Al contrario, le aspettative di riduzione del tas-
so d’inflazione potrebbero contrastare la tendenza dei tassi d’interesse ad
aumentare con la scadenza. Un secondo motivo che può spiegare le variazio-
ni di forma della term structure è rappresentato dal cambiamento delle aspet-
tative sulla crescita del reddito. Ad esempio, se si aspettano che il reddito
cresca a tassi più elevati rispetto al passato, gli individui tenderanno ad inde-
bitarsi per consumare ora parte dei più elevati redditi futuri. L’accresciuta
domanda di finanziamenti comporterà un aumento dei livelli correnti dei tas-
si d’interesse spot rispetto a quelli futuri.
Duration
Il rischio di un’azione è comunemente misurato dal suo beta, ossia dalla
sensibilità dell’extra rendimento dell’azione rispetto all’extra rendimento
di un indice di borsa. Ad esempio, se un’azione ha un beta pari a 2 e ci si
attende che il rendimento del mercato azionario sarà maggiore dell’x% ri-
spetto al tasso d’interesse privo di rischio, il valore atteso dell’extra rendi-
mento dell’azione è pari a 2 × x%.
Il rischio di un derivato è in genere misurato dal suo delta, ossia dalla
sensibilità del prezzo in dollari del derivato rispetto al prezzo in dollari del-
la sua attività sottostante. Ad esempio, se il delta è di 0,5, una (piccola) va-
riazione di $1 nel prezzo dell’attività sottostante darà luogo ad una varia-
zione di $0,50 nel prezzo del derivato.
Anche i titoli obbligazionari hanno la loro misura di rischio, la «durata
finanziaria» (duration). La duration misura la sensibilità del prezzo del titolo
rispetto al livello generale dei tassi di interesse. Prima però di vedere la dura-
tion come misura di rischio, la definiremo come misura di durata.
La duration è una misura del tempo medio mancante ai pagamenti pre-
visti da un’obbligazione. Consideriamo il caso più semplice di uno zero-
coupon bond con scadenza al tempo T. Se la duration è definita in modo
ragionevole, dovremmo aspettarci che essa sia pari a T (dato che l’unico
pagamento verrà effettuato al tempo T) e, in effetti, vedremo che così è.
Consideriamo ora il caso più complesso di un coupon bond, come quel-
lo riportato nella Tavola 2.4, in cui gli interessi vengono pagati alla fine del
85
DERIVATI
1°, 2°, 3° e 4° anno mentre il capitale viene rimborsato alla fine del 4° an-
no. Chiaramente, il tempo medio mancante ai pagamenti dovrebbe essere
compreso tra 1 e 4 anni. Inoltre, vorremmo che venisse dato più peso alla
data (la fine del 4° anno) nella quale il pagamento è relativamente più
grande. In altri termini, ci aspettiamo che il tempo medio sia più vicino a 4
che a 1.
La formula della duration gode di questa proprietà. Più precisamente,
ogni data viene ponderata con la frazione del valore attuale del titolo che è
rappresentata dal pagamento effettuato in quella data. Utilizzando la simbo-
logia della Tavola 2.4, il valore attuale, B, del titolo è dato da ∑t Xt /yt, dove
Xt è il pagamento al tempo t e y il tasso di rendimento effettivo. Pertanto, il
peso utilizzato per la data t è (Xt /yt)/B. Nell’esempio, la duration, D, è pari a:
86
FORWARDS E FUTURES
87
DERIVATI
La duration è pari a:
D=
( ) ( ) (
1× (60 / 1,09) + 2 × 60 / 1,09 2 + ... + 24 × 60 / 1,09 24 + 25 × 1.060 / 1,09 25 )
705,32
= 11,49
⎡ 60 ⎤
∑t =1 1,091t ⎥⎦ + 1,09 25 = 697,95
24 1.060
B=⎢
⎣
Si noti come questo valore sia vicino a quello calcolato in base alla duration.
Supponiamo ora che il tasso di rendimento effettivo passi dal 9%
all’11%. In quel caso, il calcolo basato sulla duration ci suggerisce che il
prezzo del titolo dovrebbe diminuire di circa il 21%:
( )
∂B = (∂B / ∂y )∂y + ½ ∂ 2 B / ∂y 2 (∂y )2 + ...
88
FORWARDS E FUTURES
( )
∂B / B = (∂B / ∂y )(1 / B )∂y + ½ ∂ 2 B / ∂y 2 (1 / B )(∂y )2 + ...
Per calcolare la convexity differenziamo ancora una volta il prezzo del tito-
lo rispetto al tasso di rendimento effettivo:
∂2B 1
=
∑t t (t + 1)X t y −t −2
∂y 2 B B
Sostituendo:
D1 ⎛ D ⎞
− B1 ∂y + n⎜⎜ − B2 2 ∂y ⎟⎟ = 0
y ⎝ y ⎠
Risolvendo quest’equazione rispetto a n:
B1D1
n=−
B2 D2
89
DERIVATI
effettivo. Pertanto, anche se può essere adeguato per variazioni modeste dei
tassi di rendimento, il duration-based hedge ratio non funziona per variazio-
ni più rilevanti. Un modo per risolvere questo problema è quello di utilizzare
un terzo titolo che tenga conto della convessità del portafoglio.
Riesamineremo questa problematica in maggior dettaglio nei Capitoli 4
e 5 quando ci occuperemo delle stesse misure di rischio (il delta e il gam-
ma) utilizzate per le opzioni.
90
FORWARDS E FUTURES
91
DERIVATI
S = 100 Profit
t =1
r = 1,15
d = 1,00
25
50 75 125 150
-25 F = S(r/d)t
= 100 × (1,15/1,00)1 = 115
Loss
92
FORWARDS E FUTURES
93
DERIVATI
94
FORWARDS E FUTURES
95
DERIVATI
96
FORWARDS E FUTURES
⇒ F = F
97
DERIVATI
98
FORWARDS E FUTURES
Assunzioni: S = 100
assenza di opportunità di arbitraggio t =1
mercati perfetti r = 1,15
attività sottostante non detenuta per fini di consumo o di produzione d = 1,00
Forward-spot parity
Avendo stabilito che futures e forwards altrimenti identici devono avere gli
stessi prezzi, limiteremo d’ora in poi le nostra analisi al più facile contesto
dei forwards. Useremo quindi il simbolo F per indicare sia i prezzi forward
sia i prezzi futures.
L’analisi che segue richiede solo due delle nostre tre consuete assun-
zioni:
assenza di opportunità di arbitraggio;
mercati perfetti.
I nostri prossimi risultati valgono anche se i futuri spot returns non sono noti.
Avremo però bisogno di un’altra assunzione, che discuteremo più avanti:
l’attività sottostante non viene detenuta per fini di consumo o di produ-
zione.
Inoltre, assumeremo implicitamente che il payout return dell’attività sotto-
stante, durante la vita del forward, sia noto in anticipo.
L’esempio numerico della Tavola 2.9 mostra come si calcola il prezzo
forward in base al prezzo spot corrente ($100) e al riskless return su base
99
DERIVATI
S = 100 Profit
t =1 Buy Asset
r = 1,15
d = 1,00
25 Forward sintetico
50 75 125 150
Borrowing
-25
Valore iniziale del forward
Loss = $100 – ($115/1,15)1 = $0
annua (1,15) quando non ci sono payouts durante la vita del contratto for-
ward.
Consideriamo un contratto forward con scadenza tra 1 anno:
(1) il payoff del contratto forward può essere replicato formando un porta-
foglio che contiene un’unità dell’attività sottostante, il cui acquisto è
stato interamente finanziato prendendo a prestito un importo pari al va-
lore attuale, PV0, del prezzo forward. Si noti che il prestito comporta
l’obbligo di restituire alla data di consegna un importo pari a
(F /1,15)×1,15 = F
a titolo sia di interessi sia di capitale;
(2) dato che il portafoglio equivalente ha sempre lo stesso payoff del con-
tratto forward, il suo costo corrente in assenza di opportunità di arbi-
traggio deve essere uguale al costo corrente del contratto forward;
(3) dato che il costo corrente del contratto forward è nullo, il costo corrente
del portafoglio equivalente deve essere anch’esso nullo; ne segue quindi
che deve valere l’equazione riportata nella tavola: –$100 + F/1,15 = 0;
(4) risolvendo quest’equazione rispetto a F si ottiene che il prezzo forward
deve essere pari a $115.
Il diagramma di profitti e perdite riportato nella Figura 2.9 rappresenta un
altro modo per illustrare la «relazione d’arbitraggio tra prezzo forward e
prezzo spot» (forward-spot parity). Essa mostra che il payoff di un contrat-
to forward può essere replicato prendendo denaro a prestito per comprare
spot l’attività sottostante.
100
FORWARDS E FUTURES
Dato che la retta dei profitti e delle perdite del forward sintetico inter-
seca l’asse delle ascisse a 115, il prezzo forward deve essere pari a $115, a
conferma della nostra analisi numerica. Invece, il valore iniziale del con-
tratto forward deve essere pari a zero.
Una dimostrazione algebrica del nostro esempio, payouts inclusi, è ripor-
tata nell’apposita «tavola d’arbitraggio» (arbitrage table). La Tavola 2.10
mostra che il prezzo forward (fissato in modo che il valore attuale del con-
tratto forward sia nullo) deve essere pari al prezzo spot corrente, S, moltipli-
cato per la t-esima potenza del rapporto tra il riskless return, r, e il payout
return, d. La dimostrazione si basa sull’assunzione che non esistano oppor-
tunità di arbitraggio e che i mercati siano perfetti (e, implicitamente, che
l’attività sottostante non sia detenuta per fini di consumo o di produzione).11
Il filo logico della dimostrazione è il seguente:
101
DERIVATI
102
FORWARDS E FUTURES
di meno perché, per ottenere S* alla data di consegna, l’attività non do-
vrebbe essere utilizzata per fini di consumo o di produzione. Pertanto, il
prezzo forward sarà tanto minore quanto maggiore è il valore del sottostan-
te per fini di consumo o di produzione. In altri termini, quando paghiamo S
per l’attività sottostante stiamo in effetti comprando tre cose:
il valore del bene alla data di consegna;
i futuri payouts (al netto dei costi di immagazzinamento);
l’opzione di consumo o di produzione.
In pratica, gli indici azionari, i tassi d’interesse, le valute, l’oro e l’argento
non vengono utilizzati per fini di consumo o di produzione, per cui la no-
stra analisi rimane valida. Però, non lo è in altri casi, come quando il sotto-
stante è rappresentato da petrolio, frumento o soia, tutte merci che vengono
utilizzate per fini di consumo o di produzione. In questi casi, il valore
dell’opzione di consumo o di produzione può essere tale da far scendere il
prezzo forward al di sotto del prezzo spot.
103
DERIVATI
nicipals Over Bonds), il crush spread (tra olio di soia e farina di soia), il
crack spread (tra petrolio grezzo e benzina o gasolio), il gold-silver spread
(tra oro e argento) ed il Ted spread (tra T-bills ed eurodollari).
In generale, siano Fl e S1* il prezzo futures ed il prezzo spot alla data di
consegna della prima merce. Inoltre, siano F2 e S2* il prezzo futures ed il
prezzo spot alla data di consegna della prima merce. L’intercommodity
spread viene creato comprando nl (nl > 0) futures sulla prima merce e ven-
dendo n2 (n2 < 0) futures sulla seconda. I due contratti hanno la stessa data
di consegna, per cui il payoff dello spread è pari a:
( ) ( ) ( )
n1 S1* − F1 + n2 S 2* − F2 = n1S1* + n2 S 2* − (n1 F1 + n2 F2 )
Pertanto, lo spread equivale ad un futures scritto sulla somma ponderata
delle due attività sottostanti, con prezzo futures pari a nlF1 + n2F2.
La Tavola 2.11 riporta i prezzi futures di contratti scritti su quattro di-
verse attività − lo S&P500, l’oro, il grano ed il petrolio greggio.
Lo S&P500 è chiaramente in riporto − ossia, la base è positiva per tutte
le scadenze. Inoltre, il prezzo futures dello S&P500 aumenta con la sca-
denza − una situazione che è nota come «mercato normale» (normal mar-
ket). Questo è quanto dovremmo attenderci, dato che di solito, su questo
mercato, si ha r > d. Per comprare un interdelivery spread potremmo
comprare il futures con scadenza giugno e vendere il futures con scadenza
marzo.
Anche i prezzi futures dell’oro crescono con la scadenza. È quanto do-
vremmo attenderci dato che l’oro non ha payouts, ha costi di immagazzi-
namento trascurabili ed è detenuto soprattutto per fini d’investimento.
104
FORWARDS E FUTURES
Cost of Carry: tutti i costi al netto dei benefici rivenienti dal possesso
dell’attività sottostante fino alla data di consegna
Implied Repo Return: F = S(r/d) t ⇒ r = d(F/S)1/ t
111
Prezzo spot / futures ($)
109
r = 1,08 d = 1,03
107
105
Prezzo futures
103
101
Prezzo spot
99
97
90 84 78 72 66 60 54 48 42 36 30 24 18 12 6 0
Vita residua (giorni)
105
DERIVATI
106
FORWARDS E FUTURES
107
DERIVATI
108
FORWARDS E FUTURES
109
DERIVATI
B, F B* T–t
0 t T
trebbe scadere tra nove mesi e il forward tra sei mesi. Alla data di scadenza
del forward il T-bill che verrà consegnato avrà una vita residua pari a T – t,
ossia a 3 mesi (= 9 mesi – 6 mesi).
Sia r(T) lo spot return corrente su base annua per la scadenza T. Il tasso
di rendimento su base annua del T-bill a T anni è pari a r(T) – 1. Pertanto,
se il T-bill paga $1 alla data di scadenza, allora B = [r(T)]−T. Analogamen-
te, r(t) indica lo spot return corrente su base annua per la scadenza t.
Le quotazioni dei T-bills sono espresse in termini di «tassi di sconto»
(discount rates) percentuali, calcolati in base alla regola di calcolo giorni
«effettivi / 360» (actual / 360). Se B è il prezzo spot di un T-bill con scaden-
za tra n giorni e valore nominale $100, la quotazione spot del T-bill è pari a:
(100 − B )× (360 / n )
Ad esempio, se il prezzo spot corrente di un T-bill, con scadenza tra 90 gior-
ni e valore nominale $100, è pari a $98, la quotazione spot del T-bill è pari a:
110
FORWARDS E FUTURES
Il prezzo forward, F, non contiene altre informazioni circa i futuri spot returns oltre a
quelle già contenute nel forward return corrente, f(t,T), relativo al periodo tra t e T.
Se la term structure è inclinata positivamente (ossia i forward returns correnti cre-
scono con t), quanto più lontana è la scadenza del forward, tanto minore è il prezzo
forward, F.
111
DERIVATI
Forwards su valute
Consideriamo ora i «forwards su valute» (currency forwards o FX forwards),
il cui sottostante è rappresentato da una valuta estera. Il nostro esempio stan-
dard sarà quello di un investitore statunitense che compra sterline. Il forward
che prenderemo in esame prevede la consegna di una sterlina contro il paga-
mento di un importo pari a F dollari. Cos’è che determina F in questo caso?
Faremo uso della seguente simbologia. Sia X il tasso di cambio corrente
spot del dollaro rispetto alla sterlina ($/£) e sia X* il tasso di cambio spot
alla scadenza del contratto. Si noti che X è noto ma X* no. Si noti, inoltre,
che abbiamo definito il tasso di cambio come unità di valuta interna per
unità di valuta estera, ossia come quantità di dollari da scambiare con
un’unità della valuta estera. In pratica, questa convenzione viene utilizzata
per alcune valute mentre per altre (come, ad esempio, lo yen giapponese) si
usa la convenzione opposta (unità di valuta estera per unità di valuta inter-
na). In questo libro, per evitare confusione, useremo sempre la prima con-
venzione. In tal modo renderemo i nostri risultati più facilmente compara-
bili con quelli relativi ad altre attività sottostanti, il cui prezzo spot è quota-
to in dollari per unità dell’attività sottostante (e non, ad esempio, in azioni
per dollaro).
Ad esempio, se F = $2, il compratore del forward si impegna a pagare $2,00
per ricevere una sterlina (£1) alla scadenza del contratto. Se alla scadenza il
tasso di cambio spot $/£ è pari a X* = $2,5, il compratore del forward potrà
rivendere la sterlina sul mercato spot ricevendo in cambio $2,50. Così facen-
do, realizzerà un profitto pari a X* − F, ossia a $0,50 ($2,50 – $2,00).
112
FORWARDS E FUTURES
Per analizzare i forwards su valute avremo bisogno non solo del risk-
less return interno, r, ma anche del riskless return estero, rf. Quest’ultimo è
il ritorno privo di rischio che un investitore statunitense può realizzare
dando a prestito sterline nel Regno Unito (si noti che questo investimento è
privo di rischio in termini di sterline ma non in termini di dollari).
Le posizioni lunghe su un FX forward hanno un valore iniziale nullo ed
un valore finale pari a X* − F, che sarà positivo o negativo a seconda che il
tasso di cambio alla scadenza (X*) sia maggiore o minore del tasso di cam-
bio forward, F, fissato all’origine. Per definizione, F è stato scelto in modo
da rendere nullo il valore attuale del payoff, X* − F.
Per replicare il payoff di un FX forward possiamo costruire un portafo-
glio composto da un’obbligazione lunga in valuta estera e da un’obbliga-
zione corta in valuta interna (Tavola 2.16). In altri termini, compriamo un
bond in sterline con un riskless return pari a rf e vendiamo un bond in dol-
lari con un riskless return pari a r.
Ad esempio, supponiamo che il tasso di cambio corrente, X, sia pari a
$2,00, che il riskless return in sterline, rf, sia pari a 1,1 e che la vita resi-
dua, t, del forward sia pari ad 1 anno. Se investiamo Xrf−t dollari (ossia
$2,00/1,1 = £1/1,1) su uno zero-coupon bond in sterline, tra un anno rice-
veremo £1 [= (£1/1,1) × 1,1]. A quella data, se convertiamo £1 in base al
tasso di cambio spot X*, il payoff del nostro investimento sarà pari a X* dol-
lari.
Analogamente, se prendiamo in prestito Fr−t dollari emettendo uno ze-
ro-coupon bond in dollari, dovremo pagare l’importo (−Fr−t)rt = −F alla
data di scadenza.
113
DERIVATI
– S ct + F r–t = 0 ⇒ F = S (r c) t
Si è indicato con c – 1 lo storage cost annuo in rapporto al prezzo spot della merce.
Lo storage cost è trascurabile nel caso dei metalli preziosi (oro, argento, ecc.).
Si è ipotizzato che il convenience yield, y, sia nullo.
Forwards su merci
I «forwards su merci» (commodity forwards) hanno due peculiarità: il costo
di immagazzinamento e il «tasso di convenienza» (convenience yield).
Diversamente dai titoli, le merci comportano costi significativi per il nolo
del magazzino, il deterioramento o l’invecchiamento, l’assicurazione e il tra-
sporto. L’insieme di questi costi è detto «costo di immagazzinamento» (sto-
rage cost). Lo storage cost annuo in rapporto al prezzo spot della merce ver-
rà indicato con c – 1. Nel caso dei metalli preziosi, come oro e argento, lo
storage cost è molto basso in rapporto al valore dei metalli e quindi influenza
poco i prezzi forward. All’estremo opposto, ci sono merci – come l’elettricità
– che non possono essere facilmente immagazzinate. Il modo più efficiente è
quello di utilizzare l’energia per trasportare acqua in cima agli impianti idro-
elettrici. Se ne spreca così circa il 40%. Altre merci, come il frumento, hanno
114
FORWARDS E FUTURES
F ≥ S (r c / y) t ⇒ S (c / y) t – F r – t ≤ 0
Si è ipotizzato che il convenience yield, y, non sia nullo.
Il convenience yield, y, misura i benefici che derivano dal possesso della merce
ossia dalla sua disponibilità. Chi possiede la merce ha la facoltà di venderla per fini
di consumo o di utilizzarla nel processo produttivo. Supponiamo, ad esempio, che il
raccolto di frumento sia stato magro quest’anno ma che si preveda abbondante nel
prossimo anno. Forse tutte le scorte di frumento andrebbero consumate piuttosto
che mantenute fino al prossimo raccolto. Chi vende allo scoperto deve prendere in
prestito la merce da chi già la detiene. Se viene data in prestito, la merce non potrà
più essere proficuamente utilizzata per fini di consumo. Chi la dà in prestito sa che,
quando la riavrà (dopo il prossimo raccolto), la merce avrà un valore minore di quello
odierno. Pertanto, chi intende vendere allo scoperto deve versare a chi gli dà in
prestito la merce un corrispettivo come compenso per questa perdita di valore. Il
corrispettivo è diverso dal versamento del payout, dato che chi mantiene la merce
fino alla data di consegna non riceve alcun payout. Pertanto: S (r c / y) t ≤ F ≤ S(rc) t
storage costs piuttosto elevati, per cui vengono immagazzinate solo per brevi
periodi. Forse le merci più interessanti sono quelle, come il petrolio, per le
quali gli storage costs annui in rapporto ai prezzi delle merci (escludendo i
costi di trasporto) rappresentano una percentuale intermedia, dell’ordine del
20%.
L’arbitraggio presentato nella Tavola 2.17 introduce i costi di imma-
gazzinamento nella nostra precedente analisi. Questi costi possono essere
considerati come redditi negativi. Invece di ricevere un reddito, chi possie-
de la merce sostiene un costo ma ha la disponibilità immediata della merce.
Pertanto, il risultato netto (come ci si dovrebbe aspettare) è che occorre so-
stituire d con 1/c nella formula per il prezzo forward. In altri termini, inve-
ce di F = S(r/d)t, abbiamo ora F = S(rc)t.
Diversamente dai titoli, molte merci vengono consumate o utilizzate
nei processi produttivi. Finora abbiamo ipotizzato che l’attività sottostante
non avesse valore ai fini di consumo o di produzione. In altri termini, ab-
biamo ipotizzato che il valore corrente di una merce fosse determinato solo
dal suo prezzo spot alla data di scadenza del contratto forward (dedotti gli
storage costs). Se invece parte del prezzo spot della merce è dovuto
all’opzione di consumo o di produzione, il valore attuale di S* non è più Sct
ma qualcosa di meno dato che, per avere S* alla data di scadenza del con-
115
DERIVATI
tratto forward, potremo compensare parte degli storage costs con i benefici
derivanti dall’utilizzo della merce per fini di consumo o di produzione.
Comunque, S(rc)t rappresenta un limite superiore per il prezzo forward,
giustificato dal fatto che è sempre possibile tenere la merce in magazzino e
rinunciare ai benefici derivanti dal suo utilizzo per fini di consumo o di
produzione. Tuttavia, affinché risulti F ≤ S(rc)t occorre poter vendere la
merce allo scoperto. In tal caso, dobbiamo prendere in prestito la merce,
privando così il proprietario dei benefici derivanti dal suo utilizzo per fini
di consumo o di produzione, per venderla sul mercato spot. Di conseguen-
za, quando restituiremo la merce al proprietario da cui l’abbiamo presa in
prestito, lo dovremo compensare per la sua rinuncia ai benefici che la di-
sponibilità della merce comporta. Il compenso annuo, per unità di merce
presa in prestito, è detto convenience yield (lo indicheremo con y – 1). Per-
tanto, per ogni unità di merce presa in prestito, dovremo restituire y t unità
alla scadenza. In alternativa, per restituire un’unità di merce alla scadenza,
dovremo prendere in prestito 1/y t unità di merce.
L’arbitraggio presentato nella Tavola 2.18 mostra che il convenience
yield fa abbassare il limite inferiore del prezzo forward a S(rc/y)t. Pertanto,
in presenza del convenience yield e affinché non esistano opportunità di
arbitraggio, occorre che il prezzo forward cada nel seguente intervallo:
S(rc/y)t ≤ F ≤ S(rc)t. Un problema pratico con il limite inferiore è rappre-
sentato dalla difficoltà di stimare il convenience yield. Nel caso di alcune
merci – come l’elettricità – per le quali sia il convenience yield sia lo sto-
rage cost sono molto elevati, gli intervalli sono così ampi che poco si può
dire circa i loro prezzi forward e futures basandosi solo su considerazioni
di assenza di opportunità di arbitraggio.13
116
FORWARDS E FUTURES
Le specifiche contrattuali del futures sul grano trattato alla Chicago Board of
Trade sono le seguenti:
basic trading unit: 5.000 bushels
deliverable grade: US #2 yellow corn (con spread in caso di sostituzione)
price quotation: cents per bushel (minimo: un quarto di cent per bushel)
daily price limit: 12 cents per bushel (nessun limite nel mese di consegna)
contract months: marzo, maggio, luglio, settembre e dicembre
last trading day: il giorno prima degli ultimi 7 giorni del mese di scadenza
last delivery day: l’ultimo giorno lavorativo del mese di scadenza
speculator margin: $600 (iniziale), $400 (di mantenimento)
first listed: 2 gennaio 1877
117
DERIVATI
118
FORWARDS E FUTURES
Le specifiche contrattuali del futures sul petrolio trattato alla New York
Mercantile Exchange sono le seguenti:
basic trading unit: 1.000 barili (42.000 galloni)
deliverable grade: grezzo (par crude); West Texas Intermediate 0,4% sulfur, 40
API gravity (con spread in caso di sostituzione)
price quotation: centesimi per barile ($10 per contratto)
daily price limit: $1 per barile (minimo: $10 per contratto)
contract months: i prossimi 30 mesi. Inoltre, tutti i mesi relativi ai futures
originariamente quotati con scadenze dopo 36, 48, 60, 72 e 84 mesi.
last trading day: il terzo giorno lavorativo prima del 25-esimo giorno del mese
che precede il mese di scadenza
speculator margin: $3.000 (iniziale), $2.100 (di mantenimento)
first listed: 1983
¢250 – ¢12) e ¢262 (= ¢250 + ¢12). Se, nel corso della giornata, le quota-
zioni raggiungono il limite inferiore di ¢238, il mercato viene chiuso e il
giorno dopo i prezzi potranno oscillare all’interno dell’intervallo compreso
tra ¢226 (= ¢238 – ¢12) e ¢250 (= ¢238 + ¢12).
Futures sull’oro
L’oro, l’archetipo dei metalli preziosi, viene detenuto soprattutto come ri-
serva di valore. Storicamente, è stato spesso la moneta di riserva in tempi
d’instabilità politica o economica. Dato che la maggior parte dell’oro esi-
stente al mondo giace in sale blindate piuttosto che nel sottosuolo e dato
che non può essere ancora prodotto artificialmente (nonostante una lunga
storia di alchimisti, tra cui Isaac Newton) ed è immune dall’usura del tem-
po, la sua offerta è più o meno stabile.14 La stabilità dell’offerta tende ad
accrescere la stabilità del prezzo (aggiustato per tener conto dell’inflazio-
ne) e la stabilità del prezzo giustifica il ruolo svolto storicamente dall’oro.
L’oro è anche l’archetipo delle attività utili per diversificare i rischi, poiché
si ritiene che il suo ritorno sia correlato negativamente con i ritorni di altre
importanti categorie di attività, come le azioni. Inoltre, l’oro è stato stori-
camente uno dei beni-rifugio più efficaci contro l’inflazione.
Anche se il suo convenience yield è basso, la disponibilità immediata di
oro offre qualche beneficio, dato che l’oro protegge contro il rischio di di-
sastri, a livello nazionale o mondiale. Questo può spiegare il tasso dell’1%
tipico dei prestiti di oro (necessari per le vendite allo scoperto).
Le caratteristiche dei «futures sull’oro» (gold futures) negoziati alla New
York Commodity Exchange sono riportate nella Tavola 2.20.
119
DERIVATI
120
FORWARDS E FUTURES
tal caso, la risorsa verrebbe totalmente estratta perché il ricavato della vendi-
ta potrebbe essere investito ad un tasso di rendimento maggiore di quello ot-
tenibile lasciando la risorsa nel sottosuolo. In entrambi i casi l’assunzione di
indifferenza tra estrazione immediata e ritardata verrebbe violata.
Sfortunatamente, il principio di Hotelling non riesce a spiegare la ba-
ckwardation che si osserva sui mercati del petrolio senza assumere che i
costi di estrazione crescano a tassi irrealisticamente elevati. Probabilmente,
la backwardation è dovuta in parte all’incertezza sui futuri prezzi spot. In
mancanza di informazioni sui futuri prezzi del petrolio, il proprietario di un
pozzo petrolifero possiede una preziosa «opzione di differimento» (option
to delay) che gli consente di differire l’estrazione. Questa opzione fa au-
mentare il prezzo spot rispetto al prezzo futures perché spetta solo a chi ha
un pozzo petrolifero e non a chi ha comprato un futures. Il valore dell’op-
zione può essere sufficientemente elevato da far sì che il prezzo spot del
petrolio sia maggiore del prezzo futures.
Dato che, come vedremo, il valore di un’opzione è tanto più elevato
quanto maggiore è l’incertezza circa i futuri prezzi dell’attività sottostante,
questa teoria suggerisce che la strong backwardation tenderà ad essere os-
servata nei periodi di maggiore incertezza sui futuri prezzi del petrolio.
121
DERIVATI
Futures su eurodollari
Gli eurodollari sono dollari statunitensi depositati dalle banche presso ban-
che estere, soprattutto a Londra e nell’Europa continentale. I «futures su eu-
rodollari» (Eurodollar futures) sono i contratti futures più attivamente nego-
ziati in tutto il mondo. Le caratteristiche di questi contratti, negoziati alla
Chicago Mercantile Exchange, sono riportate nella Tavola 2.23.
Diversamente dai T-bills, che quotano a sconto, i depositi di eurodollari
prevedono il pagamento posticipato degli interessi. Supponiamo di investi-
re $1.000.000 a 90 giorni in eurodollari, ad un Libor dell’8 per cento. Dopo
90 giorni, il payoff sarà pari a:
1.000.000 + 1.000.000 × 0,08 × (90 / 360) = 1.020.000
122
FORWARDS E FUTURES
123
DERIVATI
124
FORWARDS E FUTURES
Strip hedge
Supponiamo di dover prendere in prestito $1.000.000 per i prossimi 12 me-
si e di ottenere da una banca un «prestito a tasso variabile» (floating rate
loan) con pagamenti trimestrali determinati in base al Libor a 3 mesi mag-
giorato dell’1%. Il finanziamento viene erogato a dicembre quando il Libor
è pari al 6% annuo. Dopo 3 mesi, a marzo, dovremo quindi pagare il 7%
annuo. A marzo, il Libor a 3 mesi risulterà pari all’x%, per cui tre mesi do-
po, a giugno, dovremo pagare l’equivalente trimestrale dell’(x + 1)%. Il
Libor a 3 mesi osservato a giugno e a settembre determinerà i pagamenti
cui saremo tenuti a settembre e a dicembre, rispettivamente.
125
DERIVATI
126
FORWARDS E FUTURES
127
DERIVATI
Stack hedge
Sfortunatamente, il rolling strip hedge non funziona bene se ci sono varia-
zione inattese nei tassi d’interesse o se la base (F – S) cambia in modo im-
prevedibile – ad es. perché l’attività sottostante viene detenuta per fini di
consumo o di produzione. In tal caso ci troviamo nella difficile situazione
in cui non solo i futures a lungo termine non sono disponibili o sono poco
liquidi ma non possiamo neppure contare sulle ipotesi che sono alla base
del rolling strip hedge. Cosa possiamo fare?
Anche se una copertura perfetta non esiste, possiamo cercare di miglio-
rarne l’efficacia rispetto a quella offerta dal rolling strip hedge se adottia-
mo una «copertura a pacchetti» (stack hedge). Questo schema consente di
approfittare del fatto che i futures con le scadenze più vicine sono spesso i
più liquidi. Consideriamo nuovamente lo strip hedge precedente in cui – a
dicembre – vendevamo 3 futures con scadenza, rispettivamente, a marzo,
giugno e settembre dell’anno successivo. Supponiamo che i futures per
marzo e giugno siano sufficientemente liquidi mentre il futures per settem-
bre sarà liquido solo a marzo. Date queste condizioni, possiamo realizzare
uno stack hedge se ora (a dicembre)
vendiamo 1 futures su eurodollari con scadenza marzo;
vendiamo 2 futures su eurodollari con scadenza giugno;
e a marzo
ricompriamo 1 futures su eurodollari con scadenza giugno;
vendiamo 1 futures su eurodollari con scadenza settembre.
128
FORWARDS E FUTURES
Attenzione!
Negli anni ‘90, l’avvertimento contenuto nella Tavola 2.26 non venne segui-
to dalla società tedesca Metallgesellschaft. In breve, la società si era impe-
gnata a consegnare un certo numero di barili di petrolio al mese, ad un certo
prezzo, per un periodo di 10 anni. Per coprire la sua esposizione, decise di
entrare in una serie di futures ad 1 mese, in modo tale che ogni mese il nume-
ro dei contratti in essere compensasse esattamente la sua esposizione residua.
Ad esempio, se l’accordo era quello di consegnare 1.000.000 di barili al me-
se per 10 anni, la Metallgesellschaft avrebbe inizialmente comprato futures
ad 1 mese scritti su 120.000.000 (= 10 × 12 × 1.000.000) di barili. Alla fine
del primo mese, dopo aver consegnato 1.000.000 di barili, avrebbe ricompra-
to futures ad 1 mese scritti su 119.000.000 di barili; e così via.
Metallgesellschaft credeva di essersi completamente coperta. Inoltre, da-
to che in precedenza il mercato dei futures sul petrolio era stato “normale”
(ossia con prezzi futures a lungo termine maggiori dei prezzi futures a bre-
ve), la società si aspettava di poter guadagnare la differenza tra i due prezzi:
129
DERIVATI
per 10 anni avrebbe comprato a prezzi bassi (con l’acquisto dei futures a bre-
ve) e avrebbe venduto a prezzi alti (in base al contratto di fornitura).
Sfortunatamente, si realizzarono tutte le circostanze negative menzionate
nella tavola. Il prezzo spot del petrolio scese, causando enormi perdite sui
futures a breve. Le plusvalenze sul contratto di fornitura a lungo termine re-
starono per la maggior parte sulla carta, non potendo essere realizzate. Inol-
tre, il mercato futures cambiò inclinazione, passando da “normale” ad “in-
verso” e le perdite divennero insostenibili. La società non rinnovò i futures in
scadenza e dovette poi constatare i successivi aumenti dei prezzi spot ed il
ripristino della normale configurazione dei prezzi sul mercato futures.
130
FORWARDS E FUTURES
2.5 SWAPS
Swaps su tassi d’interesse
Gli «swaps su tassi d’interesse» (interest rate swaps) sono contratti con i
quali due controparti si impegnano a scambiarsi gli interessi per un certo
periodo, il cosiddetto tenor. Le condizioni contrattuali vengono concordate
in modo che il valore attuale dello swap sia nullo.
Il plain-vanilla interest rate swap, che è il tipo più comune di swap su
tassi d’interesse, prevede lo scambio – alle date t = 1, 2, 3, ..., T – di interessi
variabili contro interessi fissi, calcolati facendo riferimento ad uno stesso
«capitale nozionale» (notional principal), X. Gli interessi fissi vengono cal-
131
DERIVATI
colati in base al «tasso swap» (swap rate) mentre gli interessi variabili ven-
gono calcolati in base al Libor osservato alle date t – 1 = 0, 1, 2, ..., T – 1.
Continueremo ad usare il simbolo rk(t) per indicare lo spot return tra il
tempo k e il tempo t. Pertanto, ro(1) è lo spot return corrente, relativo al pri-
mo periodo unitario, mentre rt−1(t), per t = 2, 3,..., T, indica gli spot returns
relativi ai futuri periodi unitari. Il tasso swap, y − 1, è quel tasso cedolare che
rende nullo il valore iniziale dello swap. Gli interessi fissi sono pari a X(y −
1), mentre gli interessi variabili sono pari a X[rt−1(t) − 1].
I payoffs di un interest rate swap possono essere così sintetizzati:
dove y viene fissato all’origine in modo che il valore attuale, PV0, dei pa-
yoffs risulti nullo [PV0(∑t Payofft) = 0].
Anche se, all’origine, il valore attuale dei payoffs dello swap è nullo, il
valore attuale di ogni payoff non deve essere necessariamente nullo.
Consideriamo il seguente esempio. La società A entra in uno swap con
scadenza dopo 2 anni e capitale nozionale di $1.000.000. Ogni sei mesi
riceve dalla società B l’equivalente semestrale del 5% annuo e paga alla so-
cietà B il Libor a 6 mesi:
Libor
Società A Società B
5,0%
Il riquadro in basso illustra lo scambio degli interessi tra le due società, dal
punto di vista di A. Lo swap ha origine il 1° luglio 1998. Non c’è alcuno
scambio di denaro fino a 6 mesi dopo (il 1° gennaio 1999), quando A riceve
l’equivalente semestrale del 5% annuo sul capitale nozionale, ossia
$25.000 (= ½ × 0,05 × $1.000.000). In cambio, dato che il Libor a 6 mesi
osservato 6 mesi prima (il 1° luglio 1998) è pari al 4,5%, A paga il 4,5%
sul capitale nozionale, ossia $22.500 (= ½ × 0,045 × $1.000.000). In prati-
1° gen 1999 5,0 25.000 4,7 22.500 (=½ × 0,045 × 1.000.000) 2.500
1° lug 1999 5,0 25.000 4,9 23.500 (=½ × 0,047 × 1.000.000) 1.500
1° gen 2000 5,0 25.000 5,2 24.500 (=½ × 0,049 × 1.000.000) 500
132
FORWARDS E FUTURES
ca, le due società si scambiano solo il saldo tra i due pagamenti. Pertanto, A
riceve da B $2.500 (= $25.000 − $22.500). Lo scambio successivo ha luogo
6 mesi dopo (il 1° luglio 1999). Anche in questo caso A riceve $25.000 ma
questa volta paga $23.500 (= ½ × 0,047 × US$1,000,000), dato che il Libor
a 6 mesi osservato 6 mesi prima (il 1° gennaio 1999) è pari al 4,7%. Il sal-
do tra i due pagamenti, ancora a favore di A, è di $1.500 (= $25.000 −
$23.500).
Di solito, gli swaps vengono negoziati con l’intermediazione di una
banca, che tipicamente viene compensata con una provvigione pari a 3
punti base (0,03%) del capitale nozionale dello swap.
Libor Libor
Società A Banca Società B
4,985% 5,015%
133
DERIVATI
Valutazione
Per valutare gli interest rate swaps seguiremo l’approccio più ricorrente in
questo libro: ci chiediamo qual è il portafoglio che replica lo swap. A que-
sto fine, possiamo considerare lo swap in due diversi modi:
come portafoglio composto da due posizioni, di segno opposto, su un ti-
tolo a tasso fisso e su un titolo a tasso variabile;
come portafoglio composto da contratti forward con varie scadenze.
Consideriamo innanzitutto il primo portafoglio. Dato che il valore iniziale
dello swap è nullo, le due gambe devono avere lo stesso valore. Sia:
BFL≡ valore corrente del titolo a tasso variabile con valore nominale X;
BFX≡ valore corrente del titolo a tasso fisso con valore nominale X e
tasso di rendimento y – 1.
Immediatamente dopo il pagamento di una cedola, il valore del titolo a tas-
so variabile deve essere uguale al valore nominale, dato che la cedola rela-
tiva al prossimo intervallo viene fissata in base al tasso corrente di merca-
to. Pertanto, in ogni data di revisione delle cedole, deve risultare BFL = X.
Supponiamo, per semplicità, che lo swap scada dopo 2 anni e che il tas-
so variabile venga rivisto una sola volta, alla fine del primo anno. Il titolo a
tasso fisso paga due cedole annuali, entrambe pari a X(y − 1). Ne segue che
il valore attuale del titolo a tasso fisso è pari a:
y −1 y −1 1
BFX = X +X +X
r (1) r (2 )2
r (2 )2
dove i pagamenti vengono attualizzati sulla base della term structure cor-
rente (stimata, con il metodo bootstrap, sulla base dei prezzi di coupon
bonds di diversa scadenza). All’origine, il valore dello swap è nullo, per
cui BFX − BFL deve essere pari a zero. Pertanto:
⎡ y −1 y −1 1 ⎤
X − ⎢X +X +X ⎥=0
⎣⎢ r (1) r (2)2
r (2)2 ⎦⎥
In altri termini, il tasso cedolare del titolo a tasso fisso deve essere deter-
minato in modo che il titolo quoti alla pari. Dato che l’equazione è lineare
in y, possiamo risolverla e ricavare il tasso swap, y − 1:
r (2 )2 − 1
y − 1 = r (1)
r (2 )2 + r (1)
134
FORWARDS E FUTURES
Dobbiamo fare attenzione a distinguere gli spot returns noti, r0(1) e ro(2),
dallo spot return non noto, r1(2). Scritti in questo modo, i payoffs dello swap
sono uguali a quelli di un portafoglio composto da due forwards. Dato che il
primo payoff è noto all’origine, il suo valore attuale è semplicemente pari a:
X [ y − r0 (1)] Xy
= −X
r0 (1) r0 (1)
Xy / r0 (2 )2 − PV0 [Xr1 (2 )]
Infine, sommando i valori attuali dei due payoffs, otteniamo il valore cor-
rente dello swap:
Xy Xy X
−X+ − =0
r0 (1) r0 (2)2 r0 (1)
135
DERIVATI
X ( y − 1) X ( y − 1) X
X− + + =0
r0 (1) r0 (2 )2 r0 (2 )2
Currency swaps
Diversamente dai plain-vanilla interest rate swaps, gli «swaps su valute»
(currency swaps) prevedono non solo lo scambio degli interessi ma anche dei
capitali. Supponiamo che la società americana A voglia finanziarsi in sterline
e che la società inglese B voglia finanziarsi in dollari. Essendo ben nota negli
Stati Uniti, A può finanziarsi in dollari ad un tasso più basso di B, mentre B,
essendo ben nota nel Regno Unito, può finanziarsi in sterline ad un tasso più
basso di A. Pertanto, se A e B, dopo essersi finanziate rispettivamente in dol-
lari e in sterline, entrano in uno swap in cui pagano, rispettivamente, sterline
e dollari, entrambe le società possono trarre beneficio dalle migliori condi-
zioni ottenute sui finanziamenti denominati nelle rispettive valute.
Per essere più specifici, supponiamo che A voglia prendere in prestito
£10.000.000 per 2 anni, che B voglia prendere in prestito $16.000.000 per 2
anni e che il tasso di cambio corrente $/£ sia pari a $1,6. Supponiamo che A
possa finanziarsi in dollari all’8% e che B possa finanziarsi in sterline al
10%.
All’origine, A prende in prestito $16.000.000 nel suo mercato domesti-
co, quello statunitense, e B prende in prestito £10.000.000 nel suo mercato
domestico, quello inglese. Immediatamente, A paga a B $16.000.000 e B
paga ad A £10.000.000.
Alla fine del primo e del secondo anno, A paga a B £1.000.000 (=
£10.000.000 × 0,1), che B gira alla banca inglese presso la quale si è finan-
ziata. Inoltre, B paga ad A $1.248.000 (= $16.000.000 × 0,08), che A gira
alla banca statunitense presso la quale si è finanziata.
Inoltre, alla fine del secondo anno, A restituisce £10.000.000 a B men-
tre B restituisce $16.000.000 ad A. Entrambi gli importi vengono girati alle
banche presso le quali A e B si sono finanziate.
In genere, le condizioni dello swap vengono determinate in modo tale
che il valore iniziale del contratto sia nullo. Nel nostro esempio, il valore
iniziale è effettivamente nullo, dato il tasso di cambio corrente. Si ha infatti
$16.000.000 − ($1,6/£1) × £1.000.000 = 0. Tuttavia, entrambe le controparti
traggono beneficio dal contratto, dato che finiscono col finanziarsi a tassi
più bassi di quelli altrimenti disponibili.
In molti casi, anche se una delle due società non ha un vantaggio asso-
luto rispetto all’altra nel proprio mercato domestico, lo swap può ancora
essere vantaggioso per entrambe le parti. La condizione necessaria è che
ognuna delle due società abbia un vantaggio comparato nel proprio merca-
136
FORWARDS E FUTURES
Sommario: swaps
Gli interest rate swaps sono contratti con i quali due controparti si impe-
gnano a scambiarsi gli interessi per un certo periodo, il cosiddetto tenor.
Le condizioni contrattuali vengono concordate in modo che il valore attua-
le dello swap sia nullo. Il plain-vanilla interest rate swap, che è il tipo più
comune di swap su tassi d’interesse, prevede lo scambio di interessi variabili
contro interessi fissi. Di solito, gli swaps vengono negoziati con l’inter-
mediazione di una banca, piuttosto che direttamente tra le parti. La banca
svolge un ruolo simile a quello svolto dalla clearing house per i derivati di
borsa. Al pari della clearing house, la banca imputa alle controparti una
commissione sotto forma di spread tra il tasso fisso che riceve e il tasso
fisso che paga. Diversamente dalla clearing house, la banca può detenere
temporaneamente un magazzino di swaps, in attesa di trovare le controparti
interessate ad assumere le posizioni opposte.
Il problema fondamentale per la valutazione di questi swaps è quello
della determinazione dello swap rate, ossia del tasso d’interesse fisso che
rende nullo il valore iniziale dello swap. Gli swaps possono essere repli-
cati sia con un portafoglio di due titoli, uno a tasso fisso e l’altro a tasso
variabile, sia con un portafoglio di forwards. Le strategie di replica posso-
no essere utilizzate per determinare lo swap rate.
Gli swaps più diffusi dopo gli interest rate swaps sono i currency
swaps. In genere, questi contratti vengono conclusi tra due società di due
diversi Paesi quando entrambe hanno un vantaggio comparato a finanziarsi
nella valuta interna ma desiderano prendere in prestito la valuta estera. Ti-
picamente nei currency swaps si scambiano sia gli interessi sia i capitali.
CONCLUSIONI
In questo capitolo abbiamo affrontato il tema della valutazione dei derivati
e della loro copertura. Sotto questo secondo aspetto, abbiamo esaminato le
strategie che replicano i payoffs dei derivati e che si autofinanziano. Per
sviluppare questi argomenti, abbiamo ritenuto utile descrivere i singoli de-
rivati con i diagrammi dei profitti e delle perdite. I diagrammi più elemen-
tari si riferiscono alle posizioni, lunghe o corte, sul sottostante e sulla mo-
neta, disgiuntamente o congiuntamente. I titoli privi del rischio d’insol-
venza sono stati distinti principalmente in base alla duration, che misura il
137
DERIVATI
8
Le cifre indicate sugli assi verticali dei due tipi di diagramma non rappresentano il valore at-
tuale dei payoffs o il valore attuale dei profitti e delle perdite. I dollari futuri vengono confron-
tati con i dollari correnti senza essere prima attualizzati.
9
Più in generale, quando un gruppo di investitori tenta di monopolizzare l’offerta di una merce
per poterne controllare il prezzo, si dice che essi cercano di «mettere il mercato alle corde»
(cornering the market). Negli anni più recenti, l’esempio più famoso di un tentativo del genere
è stato quello dei fratelli Hunt. Verso la fine degli anni ‘70, i fratelli Hunt accumularono enor-
mi posizioni lunghe sui mercati spot e futures dell’argento. Da un livello di circa $9 per oncia
nel luglio 1979, il prezzo dell’argento passò a $35 entro la fine dell’anno, mentre i fratelli
Hunt controllavano circa 195 milioni di once, ossia circa il 15% delle riserve mondiali. Verso
la metà di gennaio del 1980, il prezzo futures raggiunse un massimo di oltre $50. Sfortunata-
mente per loro, i fratelli Hunt non furono in grado di mantenere il controllo del mercato e per-
sero miliardi di dollari. Alla fine di marzo del 1980 il prezzo scese a $11 e i fratelli Hunt do-
vettero far ricorso alla procedura fallimentare.
10
Naturalmente, se ci discostiamo dall’assunzione di mercati perfetti, i prezzi forward e i prezzi
futures di contratti altrimenti identici possono essere diversi. Ad esempio, uno dei due mercati
138
FORWARDS E FUTURES
può essere più liquido dell’altro, così da diventare il mercato preferito dagli investitori.
11
Se il payout return non è costante durante la vita del contratto forward, è facile dimostrare
che la forward-spot parity F = S (r/d) t continua ad essere valida. In tal caso, d è una media dei
payout returns nel periodo di vita del forward. Inoltre, se è noto il valore assoluto dei payouts,
piuttosto che il livello dei payout returns, la forward-spot parity diventa F = Srt − D, dove D è
il valore attuale dei payouts.
12
La base è stata qui definita come F − S. Altrove viene invece definita come differenza tra il
prezzo spot e il prezzo futures: S − F.
13
Alcuni autori definiscono il convenience yield come il livello di y in base al quale risulta F
= S ( rc/y ) t . In tal caso, y deve anche riflettere l’avversione al rischio del mercato e il valore
atteso di S * . Il concetto di convenience yield che è stato qui utilizzato è indipendente da queste
variabili.
14
La produzione annuale di oro, che è all’incirca uguale al consumo annuo (monete, medaglie,
gioielli, utilizzi in odontoiatria, ecc.), rappresenta l’1%-2% delle riserve mondiali.
15
A volte, i futures su indici azionari esteri vengono liquidati in dollari e il valore dell’indice
estero viene semplicemente definito in dollari senza trasformarlo sulla base del tasso di cam-
bio. In tal caso, l’attività su cui è scritto il futures non è un bene negoziabile e le nostre argo-
mentazioni di arbitraggio devono essere riviste.
16
Finora, la performance è stata eccellente. Citiamo una pubblicazione della CME ( The Finan-
cial Safeguard System of the Chicago Mercantile Exchange, 1996):
«Nei quasi 100 anni di storia della Chicago Mercantile Exchange e dell’organizzazione che
l’ha preceduta, non si è mai verificato che un clearing member non abbia adempiuto
all’obbligo di versare alla Clearing House i margini di variazione; (...) non si è mai verifica-
to che un clearing member non abbia adempiuto agli obblighi derivanti dall’esercizio di un
contratto d’opzione; (...) e non si è mai verificato che l’insolvenza di un clearing member
abbia comportato perdite per la clientela».
139
3
Introduzione alle opzioni
Il valore finale di una call verrà indicato con C*. È molto semplice da deter-
minare, essendo funzione solo del prezzo finale, S*, dell’attività sottostante e
dal prezzo d’esercizio, K, dell’opzione: C* = max[0, S* − K]. In altri termini,
se S* < K la call scade priva di valore, dato che è più conveniente acquistare
sul mercato spot l’attività sottostante al prezzo S*, piuttosto che al prezzo più
elevato, K, previsto dalla call. Se invece risulta S* > K, il possessore della
call si trova nell’invidiabile posizione di poter comprare l’attività sottostante
141
DERIVATI
Il payoff della call dipende dal prezzo finale dell’attività sottostante e nessun
compenso è previsto per eventuali payouts, come i dividendi, distribuiti durante
la vita dell’opzione. In questo caso, che è tipico delle opzioni trattate in borsa, si
dice che l’opzione non è payout-protected ossia che è unprotected.
Le opzioni europee sono, per loro natura, più facili da valutare rispetto alle
opzioni americane e il compratore non deve sempre preoccuparsi se sia
meglio esercitarle oppure lasciarle in vita. Tuttavia, la possibilità dell’e-
sercizio anticipato assicura al possessore di un’opzione americana che la
quotazione dell’opzione non scenderà mai al di sotto di un certo limite (S −
K per le calls e K − S per le puts).
Sul mercato over the counter è possibile trovare opzioni con stili
d’esercizio “esotici”. Le opzioni che possono essere esercitate solo durante
una parte specifica della loro vita sono dette Bermuda. Questa caratteristi-
ca è condivisa dalle employee stock options, che di solito sono esercitabili
solo nell’ultima parte della loro vita. Se le date d’esercizio non sono prefis-
142
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI
8 novembre 1976
compriamo 1 call, con strike $50 e scadenza gennaio, scritta su ALCOA a $312,50
143
DERIVATI
S = 100 Profit
K = 100
t =1
r = 1,15
d = 1,00 25
σ = 0,3
50 75 125 150
Loss
144
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI
Profit S = 100
K = 100
t =1
r = 1,15
25 d = 1,00
σ = 0,3
Valore della call = $18,84
50 75 125 150
Strategia:
Strategia:vendere
venderel’upside
l’upside
dell’attività
dell’attivitàsottostante
sottostante -25
Loss
Il diagramma dei profitti e delle perdite della Figura 3.2 mostra che la
vendita di una call è l’immagine speculare dell’acquisto di una call. I gua-
dagni di chi compra la call sono uguali alle perdite di chi la vende, e vicever-
sa. Le opzioni sono «giochi a somma zero» (zero-sum games).
Nei veri mercati ci sono altri due giocatori: il broker e lo Stato. I pro-
fitti vengono decurtati dei costi di transazione e possono aumentare o ri-
dursi a seconda delle norme fiscali.
La vendita di una call può essere assimilata all’incasso di un importo fis-
so ($18,84) in cambio della cessione dei profitti realizzabili in caso di rialzo.
La Figura 3.3 mostra invece i profitti e le perdite di una put lunga con
K = S. Dati i seguenti valori delle 6 variabili:
prezzo spot dell’attività sottostante, S = $100;
prezzo d’esercizio, K = $100;
vita residua, t = 1 anno;
riskless return, r = 1,15 su base annua;
payout return, d = 1,00 su base annua;
volatilità, σ = 30% su base annua;
il prezzo corrente della put, secondo la formula Black-Scholes, è di $5,80.
In caso di rialzo (S* > K) la put scade priva di valore ed il compratore non
recupera il costo iniziale dell’opzione. In caso di ribasso (S* < K), il compra-
tore della put dapprima compensa gradualmente il costo iniziale con un rica-
vo, che è, dollaro per dollaro, uguale al profitto di chi ha venduto allo scoper-
to il sottostante. Se il prezzo si porta a S* = $94,20 (= $100 – $5,80), il com-
pratore della put finisce in pareggio, dato che il ricavo copre esattamente il
costo dell’opzione. Per S* < $94,20, il compratore della put realizza un profitto.
145
DERIVATI
S = 100 Profit
K = 100
t =1
r = 1,15
d = 1,00 25
σ = 0,3
50 75 125 150
Futuro Prezzo Spot
Loss
L’acquisto di una put può essere assimilato alla vendita allo scoperto
dell’attività sottostante, ma con perdite più contenute in caso di rialzo. Il
costo di questa protezione è rappresentato dal fatto che, in caso di ribasso,
il profitto è minore di $5,80 rispetto a quello di chi vende allo scoperto.
Il diagramma dei profitti e delle perdite della Figura 3.4 mostra che la
vendita di una put è l’immagine speculare dell’acquisto di una put. I gua-
S = 100 Profit
K = 100
t =1
r = 1,15
d = 1,00 25
σ = 0,3
Valore della put = $5,80
50 75 125 150
Strategia:
Strategia:assumersi
assumersiilil
downside
downside delsottostante
del sottostante
-25
Loss
146
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI
CC==5,80
5,80++100
100––100/1,15
100/1,15==18,84
18,84
Per semplicità, si è ipotizzato che non vengano distribuiti payouts.
dagni di chi compra la put sono uguali alle perdite di chi la vende, e vicever-
sa. La vendita di una put può essere assimilata all’incasso di un importo fisso
($5,80) a fronte dell’impegno ad accollarsi le perdite in caso di ribasso.
Put-call parity
La Tavola 3.2 mostra come si può ricavare il prezzo di una call europea se
si conosce il prezzo dell’attività sottostante, il riskless return e il prezzo di
una put altrimenti identica. Nell’esempio il prezzo corrente dell’attività
sottostante è di $100, il riskless return è di 1,15 su base annua e il prezzo
corrente della put è di $5,80.
Consideriamo una call europea con scadenza tra 1 anno.
(1) il payoff della call può essere replicato da un portafoglio che contiene
una posizione lunga sulla put, una posizione lunga sull’attività sotto-
stante e una posizione corta su uno zero-coupon bond con valore nomi-
nale pari al prezzo d’esercizio delle opzioni. Alla scadenza, il rimborso
dello zero-coupon bond comporterà un’uscita pari a:
(100 / 1,15)×1,15 = 100
per capitale e interessi. Per quanto riguarda le opzioni, dobbiamo di-
stinguere tra il caso di ribasso (S* < 100) e il caso di rialzo (S* > 100);
(2) dato che il payoff di questo portafoglio è sempre uguale a quello della
call, in assenza di opportunità di arbitraggio il valore corrente del por-
tafoglio deve essere uguale al valore corrente della call; si ha quindi
l’equazione: C = $5,80 + $100 − $100/1,15;
(3) questa equazione fornisce il valore, C , della call: $18,84.
147
DERIVATI
S = 100 Profit
K = 100
t =1
r = 1,15 Buy Asset
d = 1,00 Synthetic Call
25
σ = 0,3
Buy Put
50 75 125 150
Futuro Prezzo Spot
Borrowing
-25
CC==$5,80
$5,80++$100
$100––$100
$100/ /1,15
1,15
==$18,84
$18,84
Loss
CC==PP++Sd –t –t
Sd–t––Kr
Kr–t
Vale solo nel caso di opzioni europee con payout returns noti.
148
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI
149
DERIVATI
mine –Sd−t, si vede che possiamo vendere allo scoperto il sottostante com-
prando una put, vendendo una call e prendendo in prestito un importo pari a
Kr−t. Quest’alternativa è utile se non siamo in grado di ricevere interessi sul
ricavato della vendita allo scoperto. In effetti, se utilizziamo il mercato delle
opzioni, il ricavato della vendita allo scoperto ci frutta interessi al tasso r − 1.
La put-call parity ci dice anche qual è il riskless return utilizzato dagli
operatori per determinare il prezzo delle opzioni. Esplicitando r, otteniamo
il cosiddetto option-implied riskless return. Le coppie di calls e puts, con
uguale strike e uguale scadenza, scritte sullo stesso sottostante dovrebbero
avere lo stesso riskless return implicito. In effetti, analogamente al repo
rate implicito nei forwards, ci dovremmo attendere che il riskless return
implicito sia lo stesso anche se le opzioni sono scritte su sottostanti diversi.
Dalla put-call parity si desume anche che il portafoglio composto da
una put e dal sottostante – noto come «put difensiva» (protective put) – e-
quivale al portafoglio composto da una call e dalla moneta [noto come
«call fiduciaria» (fiduciary call)].
Probabilmente, l’implicazione più interessante della put-call parity è
l’ultima, per il suo significato circa le determinanti dei prezzi delle opzioni.
Esplicitando C – P, si vede che le uniche determinanti della differenza tra i
prezzi di una call e una put, altrimenti identiche, sono rappresentate da 5
variabili: il prezzo spot del sottostante, S, il prezzo d’esercizio, K, la vita re-
sidua, t, il riskless return, r, e il payout return, d. Anche se possono esserci
altre determinanti, queste cinque variabili devono influenzare i prezzi delle
calls e delle puts europee nella stessa direzione e per gli stessi importi. Ad
esempio, la volatilità, che misura l’incertezza circa il return del sottostante,
150
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI
151
DERIVATI
Valore
Valoredell’opzione
dell’opzione== Exercisable
Exercisablevalue
value++Premio
Premiorispetto
rispettoall’Exercisable
all’ExercisableValue
Value
C = P + Sd −t − Kr −t
Dato che il valore minimo di una put è 0, la call deve valere almeno Sd−t −
Kr−t. Inoltre, dato che la call non può avere un valore negativo, il suo valo-
re minimo è max[0, Sd−t − Kr−t]. Questo è anche il valore di una call scritta
su un sottostante privo di rischio, ossia su un’attività con volatilità nulla.
Un altro modo per verificare questo limite inferiore è quello di argomenta-
re che, se il sottostante avesse una volatilità nulla, il suo prezzo spot alla
scadenza sarebbe già noto, per cui il compratore della call già saprebbe se
esercitare l’opzione oppure no. Se eserciterà l’opzione, riceverà S* in cam-
bio dello strike, K, e quindi il valore corrente della call sarà Sd−t − Kr−t,
dato che il valore attuale di S* è Sd−t ed il valore attuale di K è Kr−t. Se non
eserciterà l’opzione, il valore corrente della call sarà 0. Dato che vorrà
152
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI
Coperture elementari
Tra le posizioni che combinano opzioni con altre opzioni, o con l’attività sotto-
stante, la più diffusa è la vendita di una call combinata con l’acquisto del sotto-
stante. Questa posizione è detta «call coperta» (covered call), per distinguerla
dalla «call scoperta» (uncovered call), che è semplicemente la vendita della call.
Non è accidentale che i diagrammi dei profitti e delle perdite della covered
call e della put corta siano simili, con l’unica differenza che il primo è più
spostato verso l’alto. In base alla put-call parity, la covered call equivale
ad una put corta più un prestito privo di rischio.
La strategia consistente nella vendita di una call a fronte di un’attività
che si intende comunque acquistare è detta option overwriting.
Questa strategia viene spesso suggerita perché produce un incasso im-
mediato pari al prezzo della call. Tuttavia, la vendita della call comporta la
rinuncia ai possibili profitti che si sarebbero potuti realizzare sul sottostan-
te, in caso di rialzo. Se il mercato delle opzioni valuta la call correttamen-
153
DERIVATI
Profit
Buy Asset
25
Al secondo posto per diffusione, tra le posizioni che combinano opzioni con altre
opzioni, o con l’attività sottostante, figura l’acquisto di una put combinato con
l’acquisto del sottostante. Questa posizione è detta «put difensiva» (protective
put) per distinguerla dal semplice acquisto di una put.
154
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI
S = 100 Profit
K = 100
t =1 Buy Asset
r = 1,15
Protective Put
d = 1,00 25
σ = 0,3
50 75 125 150
Futuro Prezzo Spot
Buy Put
-25
Strategia:
Strategia:simile
simileall’acquisto
all’acquisto
didiuna
unapolizza
polizzaassicurativa,
assicurativa,
trae
traebeneficio
beneficiodai
daitrends
trends
Loss
Forwards e opzioni
Quando si confrontano i forwards con le opzioni europee, emerge
un’interessante asimmetria: mentre è possibile replicare il payoff di un for-
ward con un portafoglio statico di opzioni europee, non è invece possibile
fare il contrario. In particolare, la Tavola 3.6 mostra che un contratto for-
ward lungo può essere replicato da un portafoglio composto da una call
lunga e da una put corta, con prezzi d’esercizio pari al prezzo forward cor-
rente e scadenze pari a quella del forward.
L’equivalenza tra il forward lungo ed il portafoglio composto da una
call lunga e da una put corta è anche illustrata dal diagramma dei profitti e
delle perdite mostrato nella Figura 3.8. Il diagramma spiega anche perché
non sia possibile replicare le opzioni con i forwards. I profitti e le perdite
155
DERIVATI
del forward sono rappresentati da una linea retta, mentre i profitti e le per-
dite delle opzioni sono rappresentati da una spezzata. Allineando i «punti
di discontinuità» (kinks) della call lunga e della put corta (con lo stesso
strike), i kinks si elidono e la risultante è una linea retta. Invece, i forwards
(come pure l’attività e la moneta, anch’esse caratterizzate da payoffs linea-
ri) non possono essere sommati tra loro per generare una linea spezzata.
Si noti che la call e la put della Figura 3.8 hanno lo stesso valore
($11,92) e che quindi il valore corrente del portafoglio equivalente è nullo,
così come il valore iniziale del forward.
Questa stretta relazione tra opzioni e forwards (e quindi anche futures)
ha avuto importanti conseguenze sullo sviluppo della regolamentazione dei
mercati dei derivati. Il Chicago Board of Trade (CBOT), che cominciò a
trattare i primi futures nel 1848, ha preceduto di 125 anni la Chicago Board
Options Exchange (CBOE), la prima borsa per la negoziazione di opzioni.
Anche quando la CBOE iniziò ad operare, nel 1973, gli strumenti trattati
nei mercati dei futures sembravano avere poco in comune con le opzioni. Il
CBOT si era specializzato soprattutto sui futures scritti su merci e la CBOE
negoziava solo calls su azioni. Non sembrò quindi strano, allora, che i
mercati dei futures e delle opzioni venissero regolati, rispettivamente, dal-
la Commodity Futures Trading Commission (CFTC) e dalla Securities Ex-
change Commission (SEC), che controllava anche il mercato azionario.
Ora però vengono trattati futures e opzioni scritti su attività che si so-
vrappongono (indici, obbligazioni e valute). Attualmente, le futures op-
tions sono sotto il controllo della CFTC mentre le spot options sono sotto il
controllo della SEC.22 Questo stato di fatto, e la forte somiglianza (illustra-
156
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI
S = 100 Profit
K = 115
t =1
r = 1,15 Synthetic Futures
d = 1,00 25
σ = 0,3
Sell Put
50 75 125 150
-25
CC––PP==$11,92
$11,92––$11,92
$11,92==$0
$0
Loss
ta nella Figura 3.8) tra le posizioni che si possono assumere nei due merca-
ti, ha dato origine ad una significativa competizione tra organi di vigilanza.
Nel complesso, questa competizione ha probabilmente accelerato l’inno-
vazione sui mercati dei derivati.
157
DERIVATI
Bull spreads
Supponiamo di ritenere probabile che il prezzo dell’attività sottostante au-
menti ma di voler limitare le perdite nel caso in cui questo non accada. Po-
tremmo acquistare una call. Supponiamo però di ritenere che il prezzo
dell’attività salirà ma non di molto. Siamo quindi disposti a dar via i profit-
ti relativi alla coda destra della distribuzione. Possiamo allora vendere una
call con strike più alto di quello della call che abbiamo acquistato. Conti-
nueremo a perdere in caso di ribasso, perché la call lunga (con strike più
basso) costa più della call corta (con strike più alto). Comunque, la perdita
sarà minore di quella che avremmo subito se non avessimo venduto la call.
Questa posizione è detta «spread al rialzo» (bull spread): spread perché è
formata da opzioni dello stesso tipo (o solo calls o solo puts) e bull perché
trae beneficio dal rialzo dei prezzi dell’attività sottostante.
158
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI
Bear spreads
Supponiamo ora di ritenere probabile che il prezzo dell’attività sottostante
diminuisca ma di voler limitare le perdite nel caso in cui questo non acca-
da. Potremmo acquistare una put. Supponiamo però di ritenere che il prez-
zo dell’attività scenderà ma non di molto. Siamo quindi disposti a dar via i
159
DERIVATI
S = 100 Profit
K1 = 90 Buy ITM call a $24,81
K2 = 110 Sell OTM call a $13,97
t =1
r = 1,15 25
d = 1,00
σ = 0,3
50 75 125 150
profitti relativi alla coda sinistra della distribuzione. Possiamo allora ven-
dere una put con strike più basso di quello della put che abbiamo acquista-
to. Continueremo a perdere in caso di rialzo, perché la put lunga (con strike
più alto) costa più della call corta (con strike più basso). Comunque, la
perdita sarà minore di quella che avremmo subito se non avessimo venduto
la put. Questa posizione è detta «spread al ribasso» (bear spread): spread
perché è formata da opzioni dello stesso tipo (o solo calls o solo puts) e
bear perché trae beneficio dal ribasso dei prezzi dell’attività sottostante.
I profitti e le perdite, Π, del bear spread mediante puts, con prezzi d’e-
sercizio K1 e K2 (K1 < S < K2), sono pari a:
( ) ( )
Profit/Los s = max 0, K 2 − S * − max 0, K1 − S * − [P (K 2 ) − P (K1 )]
I possibili risultati sono tre:
(1) S * < K1 : Profit/Loss = (K 2 − K1 ) − [P(K 2 ) − P(K1 )]
( )
(2) K1 ≤ S ≤ K 2 : Profit/Loss = K 2 − S * − [P(K 2 ) − P(K1 )]
*
160
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI
Profit S = 100
Sell OTM put a $3,07 K1 = 90
Buy ITM put a $9,62 K2 = 110
t =1
25 r = 1,15
d = 1,00
σ = 0,3
50 75 125 150
Futuro Prezzo Spot
Cilindri
Per replicare il payoff di un forward lungo, sappiamo che dobbiamo com-
prare un call e vendere una put con strikes uguali al prezzo forward. Invece
i «cilindri al rialzo» (bull cylinders) comportano l’acquisto di una call con
strike alto, K2, e la vendita di una put con strike basso, K1 (K1 < K2).
Come dovevamo aspettarci, i profitti e le perdite sono simili a quelli di
un forward lungo, fatta eccezione per la «zona piatta» (plateau) intorno al
prezzo corrente del sottostante (Figura 3.11).
I profitti e le perdite, Π, del bull cylinder (K1 < S < K2) sono pari a:
( ) ( )
Profit/Los s = max 0, S * − K 2 − max 0, K1 − S * − [C (K 2 ) − P (K1 )]
I possibili risultati sono tre:
161
DERIVATI
S = 100 Profit
K1 = 90
K2 = 110
t =1
r = 1,15 25
d = 1,00
σ = 0,3
50 75 125 150
Loss
(1) S * < K1 : ( )
Profit/Loss = − K1 − S * − [C (K 2 ) − P(K1 )]
(2) K1 ≤ S ≤ K 2 : Profit/Loss = −[C (K 2 ) − P(K1 )]
*
(3) K2 < S* : ( )
Profit/Loss = S * − K 2 − [C (K 2 ) − P(K1 )]
uno per ciascuno dei tre segmenti della spezzata riportata nella Figura 3.11.
Il bull cylinder è anche detto risk reversal lungo, potendo essere visto
come una scommessa sulla «asimmetria» (skewness) positiva della distribu-
zione dei ritorni. Questa posizione potrebbe essere appropriata se riteniamo
che un ritorno molto alto sia ben più probabile di un ritorno molto basso.
162
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI
S = 100 Profit
Buy ATM call a $18,84
K = 100
Buy ATM put a $5,80
t =1
r = 1,15
d = 1,00 25
σ = 0,3
50 75 125 150
Straddles
Supponiamo di ritenere che stia per essere diffusa una notizia che potrà a-
vere forti ripercussioni sulla quotazione di una certa attività. Ci aspettiamo
che, una volta diffusa la notizia, la quotazione avrà un forte rialzo o un for-
te ribasso. Sfortunatamente, non c’è modo di prevedere in che direzione si
muoverà. Questo tipo di notizia è difficile da sfruttare nel mercato spot, ma
il mercato delle opzioni consente soluzioni personalizzate.
Comprando una at the money (ATM) call possiamo beneficiare del ri-
alzo. Però, questa posizione, da sola, non ci consente di trarre alcun van-
taggio dal resto dell’informazione (la possibilità di un forte ribasso). Se
acquistiamo anche una ATM put possiamo trarre profitto da entrambe le
variazioni. Chiaramente, nel nostro esempio standard (Figura 3.12), oltre a
pagare $18,84 per la call, dovremo pagare anche $5,80 per la put; pertanto,
perderemo $24,64 (= $18,84 + $5,80) se il prezzo dell’attività resterà inva-
riato. Questa posizione, che combina una call lunga con una put lunga a-
vente lo stesso strike e la stessa scadenza, è detta straddle.
Questa posizione rappresenta una chiara scommessa sulla volatilità. Se
la nostra opinione sulla volatilità è uguale a quella del mercato, i $24,64
rappresentano un prezzo equo da pagare. A queste condizioni potremmo
essere indifferenti sul da farsi, ossia se procedere o meno all’acquisto delle
opzioni. Se invece riteniamo che l’attività sarà più volatile di quanto è pre-
visto dal mercato, l’acquisto dello straddle potrebbe apparire conveniente.
Spesso i traders dicono che il mercato delle opzioni è in sostanza un
mercato di volatilità: chi compra lo straddle (o anche solo una call o una
put) compra volatilità; chi vende lo straddle vende volatilità.
163
DERIVATI
S = 100 Profit
Buy OTM put a $3,07
K1 = 90
Buy OTM call a $13,97
K2 = 110
t =1
r = 1,15 25
d = 1,00
σ = 0,3
50 75 125 150
Strangles
Lo strangle è molto simile allo straddle: entrambi comportano l’acquisto di
una call e di una put con la stessa scadenza. Però, diversamente dallo
straddle, la call e la put hanno strikes diversi: lo strike della call è più alto
dello strike della put. Questo determina perdite costanti nella regione in cui
nessuna delle due opzioni viene esercitata (Figura 3.13). Per il resto, il
payoff è molto simile a quello dello straddle. Anche se la massima perdita
164
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI
S = 100 Profit
Buy asset a $100
K1 = 90
Buy OTM put a $3,07
K2 = 110
Sell OTM call a $13,97
t =1
r = 1,15 25
d = 1,00
σ = 0,3
50 75 125 150
Loss
sullo strangle è minore di quella sullo straddle ($17,04 contro $24,64), non
solo è più probabile che questa perdita si verifichi ma il prezzo del sotto-
stante deve muoversi ancor di più per far sì che la posizione si chiuda con
un profitto.
I profitti e le perdite, Π, dello strangle (K1 < S < K2) sono pari a:
( ) ( )
Profit/Los s = max 0, S * − K 2 + max 0, K1 − S * − [C (K 2 ) + P (K1 )]
I possibili risultati sono tre:
(1) S * < K1 : ( )
Profit/Loss = K1 − S * − [C (K 2 ) + P(K1 )]
(2) K1 ≤ S ≤ K 2 : Profit/Loss = −[C (K 2 ) + P(K1 )]
*
(3) K2 < S* : ( )
Profit/Loss = S * − K 2 − [C (K 2 ) + P(K1 )]
uno per ciascuno dei tre segmenti della spezzata riportata nella Figura 3.13.
Collars
Il collar combina l’attività sottostante con una out-of-the-money put lunga
e una out-of-the-money call corta.
I profitti e le perdite, Π, del collar (K1 < S < K2) sono pari a:
( )
Profit/Los s = S * + max 0, K1 − S * − max 0, S * − K 2 ( )
I possibili risultati sono tre:
(1) S * < K1 : Profit/Loss = K1 − [S + P(K1 ) − C (K 2 )]
(2) K1 ≤ S * ≤ K 2 : Profit/Loss = S * − [S + P(K1 ) − C (K 2 )]
(3) K2 < S* : Profit/Loss = K 2 − [S + P(K1 ) − C (K 2 )]
uno per ciascuno dei tre segmenti della spezzata riportata nella Figura 3.14.
165
DERIVATI
S = 100 Profit
Buy forward a $0
K1 = 105
Buy ITM put a $7,57
K2 = 128,6
Sell OTM call a $7,57
t =1
r = 1,15 25
d = 1,00
σ = 0,3 F= S(r/d) t = $115
50 75 125 150
Loss
Il profit/loss diagram del collar è molto simile a quello del bull spread,
fatta eccezione per il fatto che, in questo caso, il costo della posizione è mol-
to più elevato e quindi la spezzata risulta spostata verso l’alto. Il collar tra-
sforma il campo di oscillazione (−100%, +∞%) del tasso di rendimento del
sottostante ponendo un limite sia alle perdite sia ai profitti.
Range forwards
Il range forward combina un forward lungo (il cui valore è inizialmente
nullo) con una put lunga ed una call corta. Il prezzo d’esercizio della put è
maggiore del prezzo forward (F < K2) e il prezzo d’esercizio della call è
minore del prezzo forward (K1 < F). Inoltre, i prezzi d’esercizio vengono
scelti in modo che i premi della call e della put siano uguali. Il valore com-
plessivo della posizione è quindi nullo.
I profitti e le perdite, Π, del range forward (K1 < F < K2) sono pari a:
( ) (
Profit/Los s = S * − F + max 0, K1 − S * − max 0, S * − K 2 )
dove, naturalmente, PV0(S* − F) = 0 e P(K1) = C(K2).
I possibili risultati sono tre:
(1) S * < K1 : Profit/Loss = K1 − F
(2) K1 ≤ S ≤ K 2 : Profit/Loss = S * − F
*
166
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI
S = 100 Profit
K1 = 100 Sell ATM call a $18,84
K2 = 110 Buy 2 OTM calls a $13,97 l’una
t =1
r = 1,15 25
d = 1,00
σ = 0,3
50 75 125 150
Loss
Se gli strikes della put e della call fossero uguali al prezzo forward, la
posizione continuerebbe ad avere un costo nullo, ma avrebbe anche un valore
finale nullo. Pertanto, ciò che rende il range forward interessante è l’accor-
gimento consistente nel differenziare gli strikes delle due opzioni ma sce-
gliendoli in modo che il valore della call sia uguale a quello della put.
I range forwards sono anche detti fences o flexible forwards.
Un esempio ancor più semplice di posizione a costo nullo è dato dal
break forward (o Boston option): si acquista una call con strike uguale al
prezzo forward ma il premio, invece di essere pagato subito, viene pagato
alla scadenza, indipendentemente dal fatto che l’opzione finisca in-the-
money o out-of-the-money. Le opzioni di questo tipo sono anche dette de-
layed payment options. Una posizione a costo nullo più complessa è rap-
presentata da una contingent premium option che prevede il pagamento del
premio alla scadenza solo se l’opzione finisce in-the-money.
167
DERIVATI
S = 100 Profit
Buy 2 ATM calls a $18,84 l’una
K = 100
Buy ATM put a $5,80
t =1
r = 1,15
d = 1,00 25
σ = 0,3
50 75 125 150
Loss
I profitti e le perdite, Π, del back spread (K1 < S = K2) sono pari a:
( ) ( )
Profit/Los s = 2 × max 0, S * − K 2 − max 0, S * − K1 − [2C (K 2 ) − C (K1 )]
I possibili risultati sono tre:
(1) S * < K1 : Profit/Loss = −[2C (K 2 ) − C (K1 )]
(
(2) K1 ≤ S * ≤ K 2 : Profit/Loss = − S * − K1 − [2C (K 2 ) − C (K1 )])
(3) K2 < S : *
( *
)
Profit/Loss = S − 2 K 2 + K1 − [2C (K 2 ) − C (K1 )]
uno per ciascuno dei tre segmenti della spezzata riportata nella Figura 3.16.
Anche i back spreads rappresentano uno dei modi per comprare volatilità.
La posizione opposta, in cui il numero delle calls (puts) corte è maggiore
del numero delle calls (puts) lunghe è detta front spread.
Straps e strips
Gli straps sono simili agli straddles ma l’aggressività dell’esposizione ai ri-
alzi viene raddoppiata con l’acquisto di due calls invece di una. Al pari de-
gli straddles, l’investitore scommette su una forte variazione del prezzo del
sottostante ma ritiene più probabile un rialzo che un ribasso.
I profitti e le perdite, Π, dello strap (S = K) sono pari a:
( ) ( )
Profit/Los s = 2 × max 0, S * − K − max 0, K − S * − [2C (K ) + P (K )]
I possibili risultati sono due:
(1) ( )
S * ≤ K : Profit/Los s = K − S * − [2C (K ) + P (K )]
(
(2) K < S * : Profit/Los s = 2 S * − K − [2C (K ) + P (K )])
uno per ciascuno dei due segmenti della spezzata riportata nella Figura 3.17.
168
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI
S = 100 Profit
K1 = 90 Buy ITM call a $24,81
K2 = 100 Sell 2 ATM calls a $18,84 l’una
K3 = 110 Buy OTM call a $13,97
t =1 25
r = 1,15
d = 1,00
σ = 0,3
50 75 125 150
Simile allo strap è lo strip, in cui si comprano due puts e una call aven-
ti lo stesso strike e la stessa scadenza. Al pari degli straddles, l’investitore
scommette su una forte variazione del prezzo del sottostante ma ritiene più
probabile un ribasso che un rialzo.
Butterfly spreads
La Figura 3.18 illustra il ben noto «spread a farfalla» (butterfly spread),
detto anche sandwich spread, il cui payoff dimostra che le opzioni possono
essere utilizzate con precisione chirurgica per trarre beneficio da convin-
zioni che differiscono nettamente da quelle degli altri investitori. In questo
caso, scommettiamo che il prezzo dell’attività sottostante finirà molto vici-
no al livello corrente e ci esponiamo ad una piccola perdita ($1,10) se ciò
non si verifica. Spostando gli strikes delle tre opzioni verso sinistra (destra)
il picco del payoff triangolare si sposta in corrispondenza di un prezzo più
basso (più alto).
Per costruire il butterfly spread compriamo innanzitutto una call con strike
basso ($90) e vendiamo una call con strike intermedio ($100), formando così
un bull spread. Vendendo la seconda call con strike intermedio, otteniamo
un ratio spread. Infine, comprando la terza call con strike alto ($110) affran-
chiamo la posizione dalle perdite che si verificherebbero in caso di rialzo.
Il butterfly spread è molto simile ad uno state-contingent claim, ossia
ad un titolo che paga un importo prefissato se, alla data di scadenza, il
prezzo dell’attività sottostante cade in un certo intervallo, e nulla altrimen-
ti. I butterfly spreads rappresentano un’approssimazione degli state-
contingent claims perché pagano un importo variabile in un certo interval-
169
DERIVATI
S = 100 Profit
K1 = 90 Buy DITM call a $24,81
K2 = 95 Sell ITM call a $21,69
K3 = 105 Sell OTM call a $16,27
K4 = 110 Buy DOTM call a $13,97
25
t =1
r = 1,15
d = 1,00
σ = 0,3 50 75 125 150
( )
(3) K 2 ≤ S * ≤ K 3 : Profit/Loss = 2 K 2 − K1 − S * − [C (K1 ) − 2C (K 2 ) + C (K 3 )]
( 4) K 3 < S * : Profit/Loss = (K1 − 2 K 2 + K 3 ) − [C (K1 ) − 2C (K 2 ) + C (K 3 )]
uno per ciascuno dei 4 segmenti della spezzata riportata nella Figura 3.18.
I butterfly spreads possono anche essere costruiti sulla base delle puts,
comprando una put con strike basso, comprando una put con strike alto e
vendendo due puts con strike intermedio.
Condor
Il condor (Figura 3.19) è molto simile al butterfly spread fatta eccezione per
il fatto che, nell’intervallo tra gli strikes estremi, il payoff è in parte piatto.
Per costruire il condor, invece di vendere due calls con lo stesso strike, oc-
corre vendere due calls con strikes un po’ diversi. Si utilizzano quindi quat-
tro diverse calls.
170
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI
S = 100 Profit
K1 = 90 Sell OTM put a $3,07
K2 = 100 Buy ATM call a $18,84
K3 = 110 Sell OTM call a $13,97
t =1 25
r = 1,15
d = 1,00
σ = 0,3
50 75 125 150
Loss
Seagulls
I «gabbiani» (seagulls) sono simili alle puts corte fatta eccezione per il fat-
to che il payoff è irregolare in prossimità dello strike intermedio.
I profitti e le perdite, Π, del seagull (K1 < S = K2 < K3) sono pari a:
( ) ( )
Profit/Loss = max 0, S * − K 2 − max 0, S * − K 3 − max 0, K1 − S *( )
− [C (K 2 ) − C (K 3 ) − P(K1 )]
I possibili risultati sono quattro:
(1) S * < K1 : ( )
Profit/Loss = K1 − S * − [C (K 2 ) − C (K 3 ) − P (K1 )]
( 2) K1 ≤ S < K 2 : Profit/Loss = −[C (K 2 ) − C (K 3 ) − P(K1 )]
*
( )
(3) K 2 ≤ S * ≤ K 3 : Profit/Loss = S * − K 2 − [C (K 2 ) − C (K 3 ) − P (K1 )]
( 4) K 3 < S * : Profit/Loss = (K 3 − K 2 ) − [C (K 2 ) − C (K 3 ) − P(K1 )]
uno per ciascuno dei 4 segmenti della spezzata riportata nella Figura 3.20.
Dopo questi ultimi due esempi, c’è da sperare che non si pensi che la
teoria delle opzioni sia materia da ornitologi ...
171
DERIVATI
3.3 VALUTAZIONE
La Tavola 3.8 riporta i valori Black-Scholes di alcune calls e puts europee,
con uguale scadenza (1 anno), scritte sullo stesso sottostante (prezzo cor-
rente $100). Sono gli stessi valori che abbiamo utilizzato per costruire i
profit/loss diagrams delle posizioni fondamentali e combinate.
Possiamo notare diverse regolarità nei prezzi:
(1) il prezzo di ogni call è sempre maggiore di max[0, Sd−t − Kr−t]. I limiti
inferiori per i prezzi delle calls, con strikes K = 90, 95, 100, 105, 110 e
115, sono 21,74; 17,39; 13,04; 8,70; 4,35 e 0, rispettivamente. Inoltre,
il prezzo di ogni put è sempre maggiore di max[0, Kr−t − Sd−t];
(2) se consideriamo una qualsiasi coppia di calls, la differenza tra i due
valori correnti è sempre minore della differenza tra i rispettivi strikes.
Ad esempio, la differenza tra i valori correnti delle calls con strikes $95
e $100 è pari a $2,85 (= $21,69 – 18,84), molto meno della differenza
($5) tra $100 e $95. In realtà, un esame più attento ci consentirà di veri-
ficare che la differenza tra i prezzi di due calls europee con strikes Kl e
K2 (K1 < K2) deve essere sempre minore di (K2 − K1) r−t. Inoltre, per
qualsiasi coppia di puts europee con strikes Kl e K2 (K1 < K2), la diffe-
renza tra i due valori correnti deve essere anch’essa sempre minore di
(K2 − K1) r−t;
172
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI
K Call Put
($) ($) ($)
90 24,81 3,07
95 21,69 4,30
100 18,84 5,80
105 16,27 7,57
110 13,97 9,62
115 11,92 11,92
173
DERIVATI
Hedge Relation:
S ≥ C ≥ max[0, S – K, Sd–t – Kr–t ]
174
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI
all’origine, per cui C(t2) ≥ C(t1). Tuttavia, nel caso delle calls europee,
questa relazione non vale necessariamente se i payouts nel periodo (t1, t2)
sono sufficientemente elevati da indurre ad esercitare al tempo t1 la call
con scadenza t2, in modo da ricevere i payouts che verranno successiva-
mente distribuiti sul sottostante.
Negli stati (1) e (6) i payoffs delle due strategie sono identici. Negli stati
(2) e (4), il valore del portafoglio di opzioni è chiaramente maggiore di
quello dell’opzione sul portafoglio. Anche nello stato (3), dato che
( ) ( )
S1* + S 2* − 2 K = S1* − K + S 2* − K ≤ S1* − K
( ) ( )
S1* + S 2* − 2 K = S1* − K + S 2* − K ≤ S 2* − K
175
DERIVATI
Effetto
Effettodell’aumento
dell’aumentodeldelfattore
fattoresu:
su:
Fattore
Fattore valore
valoredella
dellacall
call valore
valoredella
dellaput
put
1.
1. Prezzo
Prezzocorrente
correntedel
delsottostante
sottostante ↑↑ ↓↓
2. Prezzo d’esercizio dell’opzione
2. Prezzo d’esercizio dell’opzione ↓↓ ↑↑
3.
3. Volatilità
Volatilitàdel
delsottostante
sottostante ↑↑ ↑↑
4. Riskless return
4. Riskless return ↑↑ ↓↓
5.
5. Payout
Payoutreturn
return ↓↓ ↑↑
6.
6. Vitaresidua
Vita residuadell’opzione
dell’opzione ↑↑* * ↑↑* *
* Nel caso delle opzioni europee, l’effetto della vita residua è ambiguo
176
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI
177
DERIVATI
178
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI
Più in generale, in ogni istante della vita della put americana, c’è un prezzo
del sottostante al di sotto del quale l’effetto riskless return prevale sull’effet-
to volatilità, comportando così l’esercizio immediato. Questo è il cosiddetto
«prezzo critico» (critical price), che varia nel corso della vita della put e ten-
de ad essere tanto più elevato quanto minore è la vita residua dell’opzione.
Dato che il prezzo critico non è prefissato ma varia nel tempo, la sua
determinazione pone serie difficoltà all’analisi delle puts americane. Tutta-
via, le perdite dovute al fatto che l’esercizio delle puts venga ritardato di al-
cuni giorni sono meno rilevanti di quelle dovute all’esercizio sub-ottimale
delle calls scritte su attività, come le azioni, che hanno payouts irregolari.
Nel primo caso si possono al massimo perdere gli interessi di qualche gior-
no sullo strike mentre nel secondo caso si perde l’intero dividendo.
179
DERIVATI
Come si vede, la differenza tra una call ed una put europee, altrimenti i-
dentiche, può dipendere solo da S, K, t, r e d.
Ad esempio, se S aumenta (o K diminuisce), la differenza tra C e P au-
menta. Qualsiasi altra variabile, ad esempio la volatilità, che pure influen-
zando C e P, deve aumentare o ridurre il valore di entrambe le opzioni, e in
ugual misura. Altrimenti, se la variabile influenza la differenza C − P, lo fa
indirettamente attraverso il suo effetto su S, K, t, r o d.
Pertanto, se fosse vero che il ritorno atteso del sottostante influenza il
valore delle opzioni nel modo ipotizzato (ossia in direzioni opposte), il suo
effetto dovrebbe essere indiretto. Una possibilità è che il ritorno atteso in-
fluenzi il prezzo spot del sottostante. Un aumento del ritorno atteso potreb-
be portare ad un aumento di S, che a sua volta farebbe aumentare C e dimi-
nuire P. In ogni caso, non è possibile che il ritorno atteso influenzi diretta-
mente C e P, e alteri la loro differenza.
Come vedremo, nella formula di Black e Scholes, il ritorno atteso non
svolge alcun ruolo diretto sul prezzo delle singole opzioni. Si tratta di una
buona notizia, dato che il ritorno atteso è molto difficile da stimare.
Sommario: valutazione
Se assumiamo che i mercati siano perfetti e che non esistano opportunità di
arbitraggio, cosa possiamo dire circa il valore corrente delle opzioni, euro-
pee e americane? Queste assunzioni ci consentono di ricavare:
un limite inferiore per il prezzo delle opzioni (hedge relation);
un limite superiore per la differenza tra i prezzi di due opzioni dello
stesso tipo ma con strikes diversi (bull spread relation);
un limite per la relazione tra i prezzi di tre opzioni dello stesso tipo ma
con strikes diversi (butterfly spread relation).
Possiamo anche dimostrare che un portafoglio di opzioni vale più di
un’opzione su un portafoglio.
Sei variabili svolgono sempre un ruolo importante nella valutazione
delle opzioni: il prezzo corrente del sottostante; il prezzo d’esercizio
dell’opzione; la volatilità del sottostante; il riskless return; il payout return
del sottostante e la vita residua dell’opzione. Di queste variabili, l’ultima è
la più complessa; la vita residua influenza il valore dell’opzione indiretta-
mente, attraverso i suoi effetti su volatilità, riskless return e payout return.
L’analisi delle determinanti dei prezzi delle opzioni porta ad alcune
conclusioni generali circa la strategia d’esercizio ottimale delle opzioni
americane. Le calls che sono protette contro la distribuzione dei payouts o
per le quali i payouts sono trascurabili non andrebbero mai esercitate prima
della scadenza. Se i payouts sono significativi, l’esercizio anticipato di una
call potrebbe essere conveniente solo prima di una data di stacco.
Il ritorno atteso del sottostante non può svolgere alcun ruolo diretto nel-
la valutazione delle opzioni. Le affermazioni intuitive basate sul signifi-
180
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI
S = 100 Profit
K = 100
t =1
r = 1,15
d = 1,00 25
σ = 0,3
Valore della call = $18,84
50 75 125 150
Prezzo Spot
La
Lapendenza
pendenzadi diquesta
questa
retta
rettaèèpari
parial
alnumero
numero
Borrowing = valore della call – -25 di
diazioni
azioninel
nelportafoglio
portafoglio
(prezzo corrente dell’azione × delta) equivalente:
equivalente:
Loss ∆∆==0,731
0,731
181
DERIVATI
182
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI
S = 100 Profit
K = 100
t = 0,5
r = 1,15
d = 1,00 25
σ = 0,3
Valore della call = $11,97
50 75 125 150
Prezzo Spot
183
DERIVATI
prezzo della call si muove in misura minore di $1. Per affinare il compor-
tamento del portafoglio equivalente, dobbiamo finanziare l’acquisto delle
azioni in parte con denaro di nostra proprietà ed in parte con denaro preso a
prestito. A causa del leverage, il valore del portafoglio equivalente cambie-
rà ora in misura superiore all’1% quando il prezzo dell’azione si modifi-
cherà in misura pari all’1%.
Abbiamo così costruito il portafoglio equivalente. Successivamente,
non apporteremo nuovi fondi né preleveremo denaro; la strategia si deve
autofinanziare, al pari della call. Entro la scadenza, prima di verificare se
saremo riusciti a replicare il payoff della call, dovremo restituire il denaro
preso in prestito, più gli interessi.
Col passare del tempo, se il prezzo dell’azione aumenta, dovremo com-
prare nuove azioni, dato che la call diventa più sensibile ad ulteriori varia-
zioni del prezzo dell’azione. Per rispettare il vincolo dell’autofinanzia-
mento, le nuove azioni verranno acquistate con denaro preso a prestito. En-
tro la scadenza, prima di verificare se saremo riusciti a replicare il payoff
della call, dovremo restituire anche questo denaro preso a prestito, più gli
interessi.
Se invece il prezzo dell’azione diminuisce, dovremo ridurre l’esposi-
zione del nostro portafoglio vendendo parte delle azioni. Per rispettare il
vincolo dell’autofinanziamento, non potremo intascarci il ricavato della
vendita. Lo utilizzeremo per ridurre il debito, restituendo parte del denaro
preso a prestito, più gli interessi.
Inoltre, con l’avvicinarsi della scadenza, anche se il prezzo dell’azione
non cambia, dovremo gradualmente aggiustare il numero delle azioni in
portafoglio in modo da avere meno azioni se la call è out-of-the-money e
più azioni se la call è in-the-money.
Supponiamo ora di aver seguito fedelmente la strategia di replica della
call per tutto il suo periodo di vita. Quando arriviamo alla scadenza, come
faremo a capire di essere riusciti a replicarla? Se la call finisce in-the-
money, il suo valore sarà pari a S* − K; se invece finisce out-of-the-money,
il suo valore sarà pari a zero. Se la strategia di replica dinamica funziona, il
portafoglio equivalente dovrà avere questi stessi valori.
In particolare, se la call finisce in-the-money e tutto funziona perfetta-
mente, il portafoglio equivalente deve contenere esattamente un’azione ed
il debito accumulato, comprensivo degli interessi, deve essere pari a K. Il
valore di un tale portafoglio è ovviamente pari a S* − K.
D’altra parte, se la call finisce out-of-the-money e tutto funziona perfet-
tamente, il portafoglio equivalente deve contenere zero azioni e tutto il de-
bito accumulato, comprensivo degli interessi, deve essere stato ripagato. È
ovvio che il valore di un tale portafoglio è nullo.
Ad esser sinceri, le nostre argomentazioni non provano che la strategia
di replica che abbiamo delineato funzionerà. Ma, chiaramente, ci portano
nella giusta direzione. Se la call finisce in-the-money ed abbiamo comprato
184
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI
Posizione Caratteristiche
su opzioni statiche dinamiche
(se il prezzo del sottostante aumenta)
ulteriori frazioni del sottostante via via che il suo prezzo cresceva, è possi-
bile che alla fine il nostro portafoglio contenga un’azione. Se la call finisce
out-of-the-money ed abbiamo venduto via la frazione iniziale del sottostan-
te ripagando col ricavato il debito accumulato più gli interessi, è possibile
che alla fine il nostro portafoglio non contenga né azioni né debito.
Dimostreremo più avanti che la strategia del portafoglio equivalente
può funzionare perfettamente se vi apportiamo gli opportuni aggiustamenti.
Supponiamo per ora che la strategia del portafoglio equivalente riesca
perfettamente a replicare il payoff dell’opzione. Dato che sia la strategia di
replica sia l’opzione offrono lo stesso payoff e si autofinanziano, il costo
iniziale del portafoglio equivalente deve essere pari al prezzo dell’opzione
(in assenza di opportunità di arbitraggio). Pertanto, la replica e la valutazione
rappresentano i due lati della stessa medaglia.
Non deve quindi sorprendere che il valore corrente dell’opzione sia pari
al costo corrente del portafoglio equivalente, ossia a:
(Prezzo dell’azione × Delta) + Moneta
In effetti, come vedremo, la formula di Black e Scholes assume proprio
questa forma.
185
DERIVATI
186
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI
Profit
Profit&&loss
lossdiagram
diagram Strategia
Strategiadi
direplica
replicadinamica
dinamica
Pendenza
Pendenza>>00(∆ 0) →
(∆>>0) → buy
buyasset
asset
0 (∆ < 0) →
Pendenza > 0 (∆ < 0) → shortasset
Pendenza > short asset
Convessità
Convessità →
→ se
seililprezzo
prezzodel
delsottostante
sottostanteaumenta:
aumenta:
buy
buyasset,
asset,aumentare
aumentareililborrowing
borrowing
Concavità
Concavità →
→ se
seililprezzo
prezzodeldelsottostante
sottostanteaumenta:
aumenta:
short
shortasset,
asset,ridurre
ridurreililborrowing
borrowing
Maggiore curvatura →
Maggiorecurvatura → maggiore
maggioreturnover
turnovereemaggiore
maggioresensibilità
sensibilità
alla
allavolatilità
volatilitàeealle
allediscontinuità
discontinuitàdi
diprezzo
prezzo
(S(S××∆)/C
∆)/C>>11 →
→ borrowing
borrowing
(S × ∆)/C
(S × ∆)/C<<11 → lending
→ lending
187
DERIVATI
S = 100 Profit
t =1
r = 1,15
Long asset.
d = 1,00 Short asset. Accrescere
Ridurre la posizione
σ = 0,3 la posizione col ridursi 25 con l’aumentare del prezzo
del prezzo
50 75 125 150
188
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI
Replica statica
Se il mercato dei derivati è sufficientemente ricco di titoli, si può ottenere il
payoff desiderato, in modo più semplice ed affidabile, comprando un porta-
189
DERIVATI
Payoff
S = 100
t =1
r = 1,15
d = 1,00 λ4
σ = 0,3 125
50 λ1 75 λ2 λ3 125 150
K1 K2 K3 K4 Futuro Prezzo Spot (S*)
λ0
K0 = intercetta
K1, K2, K3, K4 = break points
75 λ0, λ1, λ2, λ3, λ4 = coeff. angolari
K0
floor
190
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI
191
DERIVATI
CONCLUSIONI
Questo capitolo è stato dedicato all’analisi grafica e matematica di calls e
puts, ma anche di posizioni ottenute combinando il sottostante, la moneta e
diverse opzioni. Tra queste posizioni, le più diffuse sono le covered calls
e le protective puts. Inoltre, gli spreads, che combinano tra loro opzioni
dello stesso tipo, consentono payoffs con svariate configurazioni.
In questo capitolo abbiamo anche visto cosa si può dire circa la valuta-
zione e la replica di calls e puts basandosi solo sulle assunzioni di assenza
di opportunità di arbitraggio e di mercati perfetti. In particolare, prima del
Paragrafo 3.4 sulle strategie di replica, non abbiamo fatto assunzioni circa
la dinamica dei prezzi del sottostante o del riskless return.
Sotto queste assunzioni, il nostro risultato più importante è rappresenta-
to dalla put-call parity, ossia dalla relazione tra il valore di una call euro-
pea e quello della corrispondente put. Altri risultati assumono la forma di
disuguaglianze tra il valore corrente di una call, da un lato, ed il prezzo del
sottostante, il prezzo di un’altra call e i prezzi di due altre calls, dall’altro.
Risultati analoghi valgono anche per le puts.
Abbiamo sostenuto che, prima della scadenza, il valore delle opzioni
sarà sempre influenzato da sei variabili − il prezzo del sottostante, il prezzo
d’esercizio, la vita residua, il riskless return, il payout return e la volatilità
− e che queste variabili fondamentali influenzeranno il prezzo delle opzioni
in modi prevedibili. Questa analisi può essere utilizzata per prevedere le
condizioni che possono rendere conveniente l’esercizio anticipato delle op-
zioni americane. Infine, abbiamo accennato ad uno dei grandi puzzles della
moderna teoria di valutazione delle opzioni: perché il ritorno atteso del sot-
tostante non può avere un’influenza diretta sui prezzi delle opzioni, ma
solo un’influenza indiretta attraverso i suoi effetti sulle sei variabili fon-
damentali.
L’intuizione fondamentale che sta dietro la moderna teoria di valuta-
zione delle opzioni è rappresentata dal terzo teorema fondamentale
dell’economia finanziaria. Applicato alle opzioni, questo teorema implica
che è possibile replicare il payoff di un’opzione attraverso una strategia di-
namica che si autofinanzia e che utilizza solo il sottostante e la moneta. Il
numero di unità del sottostante contenuto nel portafoglio equivalente è
chiamato delta.
192
INTRODUZIONE ALLE OPZIONI
17
Il valore corrente di un’opzione è spesso chiamato «premio» (premium ).
18
Il prezzo d’esercizio è anche detto “base”.
19
La data in cui scade l’opzione è anche detta expiration date, exercise date o maturity date.
20
Per memoria, i profit/loss diagrams sono stati tracciati senza tentare di aggiustare i paga-
menti in base al tempo in cui vengono effettuati. In particolare, nella Figura 3.1 il prezzo
dell’opzione, C = $18,84, viene pagato ora ma è semplicemente sottratto da max [0, S* − K ]
per determinare il profitto la perdita.
21
Il termine premium, spesso utilizzato per indicare il valore corrente dell’opzione, deve le sue
origini ai giorni in cui le borse per la negoziazione delle opzioni ancora non esistevano e quasi
tutte le opzioni trattate nei mercati over-the-counter venivano vendute at-the-money. In tal ca-
so, il prezzo iniziale delle opzioni era uguale al premio rispetto al valore intrinseco (nullo).
22
C’è solo un’interessante eccezione. Anche se un accordo tra SEC e CFTC (il Johnson-Shad
Accord) vieta la quotazione di futures su singoli titoli, i futures (e le futures options) su indici
azionari sono ammessi e la loro quotazione richiede l’approvazione preventiva (congiunta) di
entrambi gli organi di controllo.
23
Questo rapporto può anche essere ricavato dall’equazione: Prezzo dell’opzione = (Prezzo
dell’azione × Delta) + Moneta. Quest’equazione implica che:
1 − (Moneta /Prezzo dell’opzione) = (Prezzo dell’azione × Delta)/Prezzo dell’opzione.
193
4
Modello binomiale
195
DERIVATI
essere più specifici, avremo ora bisogno di fare assunzioni circa il compor-
tamento del sottostante e del riskless return. Saremo in grado di trovare
una formula esatta coerente con i precedenti risultati, ma dobbiamo tenere
presente che questi nuovi risultati non saranno altrettanto affidabili, dato
che poggiano su ipotesi meno generali.
Per iniziare, valuteremo una call prima della scadenza in una situazione
molto semplice ma comunque interessante: la call scade alla fine di un cer-
to periodo (di durata arbitraria) in cui il prezzo del sottostante sale da S a
uS o scende da S a dS.
Ad esempio, supponiamo che il prezzo corrente di un’azione sia pari a
$100 e che possa aumentare del 20% o ridursi del 10%. Usando la consueta
simbologia, S = $100, u = 1,2 e d = 0,9. Alla scadenza, il prezzo dell’azio-
ne sarà pari a uS = $120 (= $100 × 1,2) o dS = $90 (= $100 × 0,9).
Dato che in un certo periodo il prezzo del sottostante può assumere solo due
valori, questo approccio, che può essere generalizzato a molti periodi, è detto
«modello binomiale» (binomial model) per la valutazione delle opzioni.
Avremo anche opinioni personali circa quello che potrà accadere. Misure-
remo le nostre convinzioni assegnando probabilità soggettive a ciascuno dei
due possibili eventi: q rappresenta la nostra probabilità soggettiva di rialzo
mentre 1 − q rappresenta la nostra probabilità soggettiva di ribasso. Dato
che è una probabilità, q sarà compresa tra 0 e 1.
Non faremo l’ipotesi che gli investitori vedano il mondo tutti allo stes-
so modo. Ogni singolo investitore avrà la sua probabilità soggettiva, q. Tut-
tavia, assumeremo che gli investitori siano d’accordo su due questioni: che
S si muoverà in modo binomiale e che le variazioni siano misurate da u e d.
Supporremo inoltre che r sia il riskless return periodale, per cui il valo-
re finale dell’investimento di $1 è pari a $1 × r alla fine del periodo. Si noti
che abbiamo usato il carattere r in tondo, piuttosto che in corsivo, per di-
stinguerlo dal nostro consueto simbolo, r, che rappresenta il riskless return
su base annua.
Assumeremo, come al solito, che non ci siano opportunità di arbitrag-
gio prive di rischio. In particolare, questo vuol dire che u, d e r, quali che
siano i loro effettivi valori, devono soddisfare la condizione u > r > d. Per
convenzione u > d. Supponiamo per assurdo che u e d siano entrambi mag-
giori (minori) di r. In tal caso, l’investimento nel sottostante renderebbe
sicuramente più (meno) dell’investimento in moneta. In assenza di oppor-
tunità di arbitraggio, ciò non è possibile. Se escludiamo queste possibilità,
occorre che u > r > d. La dimostrazione è riportata nella Tavola 4.1.
A fine periodo può verificarsi uno dei due seguenti eventi: il prezzo del
sottostante, S, sale a uS o scende a dS. In entrambi i casi, il valore finale di
B dollari investiti in moneta sarà pari a rB. Questo importo comprende sia il
capitale, B, sia gli interessi, B(r − 1), per cui:
196
MODELLO BINOMIALE
Assenza
Assenzadi
diopportunità
opportunitàdi arbitraggio ⇒
diarbitraggio ⇒ uu >> rr >>dd
B + B(r − 1) = rB
Consideriamo inoltre una call europea con valore corrente C. Il valore del-
la call alla fine del periodo sarà Cu o Cd, a seconda che il prezzo del sotto-
stante si sia mosso al rialzo o al ribasso. Se la fine del periodo coincide
con la data di scadenza dell’opzione, allora:
Cu = max(0, uS − K ) e Cd = max(0, dS − K )
197
DERIVATI
q uS q rB
S Asset B Cash
1–q dS 1–q rB
q Cu [ = max(0, uS – K) ]
C Call
1 – q Cd [ = max(0, dS – K) ]
198
MODELLO BINOMIALE
1 = πu r + πdr
S = π u (uS ) + π d (dS )
C = π u C u + π d Cd
πu =
(r − d )/ (u − d ) e πd =
(u − r )/ (u − d )
r r
π u = p/r e π d = (1 − p )/r
C = [ pCu + (1 − p )Cd ]/ r
Abbiamo così ottenuto una formula esatta per il valore corrente di una call.
Questo risultato verrà esaminato in dettaglio nel prossimo paragrafo.
199
DERIVATI
q uS (ex-payout) q rB
S Asset B Cash
q Cu [ = max(0, uS – K) ]
C Call
1–q Cd [ = max[0, dS – K) ]
200
MODELLO BINOMIALE
Portafoglio equivalente
Seguendo l’idea di Black e Scholes, costruiamo un portafoglio equivalente
comprando ∆ unità (azioni) del sottostante ed investendo B dollari in mo-
neta. Il portafoglio costa S∆ + B dollari. Si noti che, essendo S denominato
in $ per unità di azioni ed essendo ∆ denominato in unità, S∆ è denominato
in $. Dato che B è denominato in $, anche S∆ + B è denominato in $.
Alla fine del periodo, un’unità del sottostante vale δuS o δdS, inclusi i
payouts. Pertanto, le ∆ unità presenti nel portafoglio equivalente valgono
δuS∆ o δdS∆. A questo importo dobbiamo aggiungere il payoff dell’inve-
stimento in moneta, rB, per ottenere il valore finale del portafoglio equiva-
lente.
Affinché la replica abbia successo, il portafoglio equivalente dovrà es-
sere selezionato con cura (Figura 4.3). Sappiamo che il valore finale della
call alla fine del periodo è Cu o Cd. Ora, se scegliamo ∆ e B in modo che
δuS∆ + rB = C u e δdS∆ + rB = Cd
201
DERIVATI
q δuS∆ + rB
S∆ + B Asset + Cash
1–q δdS∆ + rB
rispetto a ∆ e a B.
Risolviamo quindi queste due equazioni rispetto a ∆, il numero delle
unità del sottostante nel portafoglio equivalente, e a B, i dollari investiti in
moneta. Risolvendo la seconda equazione rispetto a B si ha:
δ d S ∆ + rB = Cd ⇒ B = (Cd − δ d S ∆ ) / r
δ u S ∆ + rB = C u ⇒ δ u S ∆ + r (Cd − δ d S ∆ ) / r = C u
⇒ δ (u − d ) S ∆ = C u − C d ⇒ ∆ = (C u − Cd ) /[δ (u − d ) S ]
202
MODELLO BINOMIALE
riusciremo a replicare il payoff della call alla fine del periodo. Pertanto,
esistono due modi per raggiungere un identico obiettivo, indipendentemen-
te da quello che sarà lo stato finale: comprare la call e mantenerla fino alla
scadenza; o comprare il portafoglio equivalente (sulla base dei valori di ∆
e di B ottenuti) e mantenerlo fino alla scadenza. Affinché non esistano
opportunità di arbitraggio, il costo corrente di questi due investimenti deve
essere lo stesso. In altri termini, il valore corrente della call deve essere
uguale al valore corrente del portafoglio equivalente. Otteniamo così una
terza equazione:
C = S∆ + B
C u − Cd uCd − dC u
C=S +
δ(u − d )S (u − d )r
⎡
=
1
(Cu − Cd ) r + (uCd − dCu )⎤⎥
(u − d )r ⎢⎣ δ ⎦
1 ⎡⎛ r ⎞ ⎛ r⎞ ⎤
= ⎜ − d ⎟ C + ⎜ u − ⎟ Cd ⎥
(u − d )r ⎢⎣⎝ δ ⎠ u ⎝ δ ⎠ ⎦
=
(r / δ ) − d C + u − (r / δ) C
(u − d )r u (u − d )r d
1− p = 1−
(r / δ ) − d = u − d − [(r / δ ) − d ] = u − (r / δ )
u −d u −d u −d
Interpretazione
Ci sono diversi commenti da fare. È stato facile scrivere la formula per il
valore finale di una call, max[0, S* − K]; abbiamo poi ricavato anche la for-
mula per il valore corrente della call in termini dei suoi possibili valori alla
fine del periodo, Cu e Cd. La formula dipende solo da S, K, u, d, r e δ (S e K
attraverso i payoffs Cu = max[0, uS − K] e Cd = max[0, dS − K]). Interpretan-
do la differenza tra u e d come un’approssimazione della volatilità, queste
variabili, unitamente alla vita residua, rappresentano le determinanti fon-
damentale del prezzo di un’opzione.
La cosa più interessante è che la formula non dipende da: q (la probabilità
soggettiva di rialzo) o da parametri che hanno a che fare con l’avversione al
rischio degli investitori. Non dipendendo da q, è come se non dipendesse dal
ritorno atteso del sottostante. In effetti, dato che ci sono soltanto due stati,
203
DERIVATI
Questa equazione ci dice che il valore atteso del total return del sottostante,
calcolato in base a p, deve essere uguale al riskless return. Pertanto, p è la
204
MODELLO BINOMIALE
probabilità che rende il valore atteso del total return del sottostante pari al
riskless return. Ciò vuol dire che p è una probabilità neutrale verso il rischio.
Se l’economia fosse avversa al rischio, allora dovremmo osservare q > p
per molte attività. Pertanto, in termini di q (essendo u > d):
q δ u + (1 − q )δ d = r
L’idea che il valore corrente di un’opzione sia pari al valore atteso risk-neutral
attualizzato in base al riskless return si applica sia ai derivati sia alle attività
sottostanti e si rivela molto utile per la loro valutazione. È questo il «principio
della valutazione neutrale verso il rischio» (risk-neutral valuation principle).
Finora abbiamo assunto che l’opzione sia europea. In altri termini, abbia-
mo assunto che l’opzione ha valore oggi solo perché potrà avere valore
domani. Ma per le calls americane c’è un’altra possibilità. La call potrebbe
valere quello che ora si ricava in caso d’esercizio, ossia S − K. Pertanto,
per calcolare il valore di una call americana, dobbiamo confrontare il suo
«valore in caso d’esercizio» (exercisable value), S − K, con il «valore che
avrebbe se venisse tenuta in vita ancora per un periodo» (holding value),
[pCu + (1 − p)Cd]/r. Il valore corrente dell’opzione è pari al maggiore tra i
due, quale che esso sia. Anche dietro questo risultato c’è l’assunzione che
non esistano opportunità di arbitraggio. Supponiamo infatti che il prezzo
dell’opzione sia uguale all’holding value, quando questo è minore dell’ex-
ercisable value. Comprando l’opzione ed esercitandola immediatamente
potremmo realizzare un profitto d’arbitraggio. Se invece il prezzo
dell’opzione fosse uguale all’exercisable value, quando questo è minore
dell’holding value, potremmo realizzare un profitto d’arbitraggio com-
prando l’opzione ed evitando di esercitarla immediatamente.
Pertanto, il valore corrente della call americana è max{[pCu + (1 −
p)Cd]/r, S − K}, dove, se l’opzione scade alla fine del periodo, Cu = max[0,
uS − K] e Cd = max[0, dS − K]. Se r > 1 e il payout return, δ, è pari a 1, è fa-
cile dimostrare che [pCu + (1 − p)Cd]/r > S − K, per cui l’esercizio anticipato
non conviene mai. Questo risultato è coerente con quanto abbiamo già detto
a proposito delle determinanti fondamentali del valore di un’opzione.
Supponiamo che r > 1, mentre δ = 1. Vogliamo dimostrare [pCu + (1 −
p)Cd]/r > S − K, con p ≡ [(r/δ) − d]/(u − d), Cu = max[0, uS − K] e Cd =
max[0, dS − K]. Sono possibili tre tipi di payoff a seconda che:
205
DERIVATI
Modello trinomiale
Quanto è importante la nostra assunzione secondo cui i movimenti dei
prezzi sono binomiali? Riconsideriamo l’intuizione originale che sta dietro
il modello binomiale: in presenza di tre titoli (l’attività, la moneta, l’op-
zione) ma solo due stati, uno dei titoli è ridondante nel senso che il suo
payoff può essere replicato da un portafoglio contenente gli altri due. Di
conseguenza, in assenza di opportunità di arbitraggio, siamo stati in grado
di valutare il terzo titolo in base ai prezzi degli altri due.
Supponiamo ora che siano possibili tre stati, invece di due. Nel caso
più semplice, il prezzo dell’attività sottostante può muoversi, nel prossimo
periodo, al ribasso o al rialzo, oppure restare fermo. In questo caso il mo-
dello sarebbe trinomiale, invece di binomiale. Possiamo immaginare che
cosa accadrebbe. Non avremmo più un titolo ridondante. Non potremmo
replicare il payoff dell’opzione in base agli altri due titoli. Non potremmo
più valutare il terzo titolo in base ai prezzi degli altri due.
Generalizzando l’argomentazione binomiale al caso dei tre stati, do-
vremmo risolvere tre equazioni in due incognite:
δ u S ∆ + rB = Cu δ S ∆ + rB = Cs δ d S ∆ + rB = Cd
206
MODELLO BINOMIALE
207
DERIVATI
208
MODELLO BINOMIALE
Ora t Asse
h ... del
0 1 2 3 n–1 n tempo
h≡t/n
209
DERIVATI
210
MODELLO BINOMIALE
Cu = [ pC uu + (1 − p )Cdu ]/ r
Cd = [ pCdu + (1 − p )Cdd ]/ r
Otteniamo così:
[
C u = p 2C uuu + 2 p (1 − p )Cduu + (1 − p )2 Cddu / r 2 ]
Cd = [p C
2
duu + 2 p (1 − p )Cddu + (1 − p ) Cddd
2
]/ r 2
Si noti che abbiamo ora espresso il valore dell’opzione due periodi prima
della scadenza in termini dei payoffs alla scadenza. Continuando in questo
modo ancora una volta, otteniamo il valore corrente dell’opzione:
[
C = p 3C uuu + 3 p 2 (1 − p )Cduu + 3 p (1 − p )2 Cddu + (1 − p )3 Cddd / r 3 ]
Come si poteva immaginare, il numeratore non è altro che il valore atteso
risk-neutral del payoff dell’opzione. I valori finali del sottostante sono
quattro. La probabilità risk-neutral di tre rialzi consecutivi è p3. La proba-
bilità risk-neutral di due rialzi e un ribasso è p2(1 − p) e sono tre i sentieri
che contengono due rialzi e un ribasso (su-su-giù, su-giù-su e giù-su-su).
Pertanto, la probabilità che il prezzo finale del sottostante sia duuS è pari a
3p2(1 − p). A volte, p2(1 − p) è detta «probabilità di sentiero» (path prob-
ability) e 3p2(1 − p) «probabilità nodale» (nodal probability). Il valore atte-
so risk-neutral del payoff dell’opzione è pari alla somma dei payoffs alla
scadenza ponderati con le rispettive probabilità nodali. Il valore corrente
dell’opzione è pari al valore atteso risk-neutral del payoff dell’opzione at-
tualizzato in base al riskless return relativo ai tre periodi, r3. Anche qui ve-
diamo all’opera il principio della valutazione neutrale verso il rischio.
Modello a n stadi
Estenderemo ora l’analisi precedente dal caso di 3 periodi al caso gene-
rale di n periodi. La prima colonna della Tavola 4.3 mostra, per un albero
a n stadi, il numero di rialzi presenti in ciascun sentiero. Ad esempio il “2”
indicato nella terza riga vuol dire che nel sentiero sono presenti 2 rialzi e n
− 2 ribassi. In generale, il numero dei rialzi è rappresentato da j e il numero
dei ribassi presenti nello stesso sentiero da n − j.
La seconda colonna mostra il prezzo del sottostante alla fine di ciascun
sentiero (ossia alla scadenza). Ad esempio, nella seconda riga della secon-
da colonna troviamo u2d n−2 S, che è il prezzo finale del sottostante nel caso
211
DERIVATI
∑ j = a c( j , n) p j (1 − p)n − j
n
=
1
Triangolo di Pascal 1 1
(prime sei righe) 1 2 1
1 3 3 1
1 4 6 4 1
1 5 10 10 5 1
212
MODELLO BINOMIALE
dove la sommatoria va da j = 0 a j = n.
Questa formula può essere semplificata e resa più interessante se com-
biniamo i termini che contengono S e i termini che contengono K.
Quando il numero dei rialzi, j, è talmente piccolo per cui u jd n−j S < K,
l’opzione finisce out-of-the-money e il termine corrispondente che figura
nella sommatoria è 0. Abbiamo quindi bisogno di sommare solo i termini
per i casi in cui l’opzione finisce in-the-money, ossia i termini per i quali u
j n−j
d S > K. Sia j = a il più piccolo intero non negativo per il quale u ad n−a S
> K (a è il numero minimo di rialzi che fa finire l’opzione in-the-money).
Per trovare a, risolviamo u ad n−a S/K > 1. Prendendo i logaritmi naturali di
entrambi i lati della disuguaglianza, otteniamo a(log u) + (n − a)(log d) +
log(S/K) > 0. Pertanto, a[(log u) − (log d)] > −n(log d) − log(S/K) e quindi
a > log(K/Sdn)/log(u/d). Se a è maggiore del lato destro di questa disugua-
glianza, la call finisce in-the-money. Lo specifico valore di a che ci serve è
il più piccolo intero non negativo che soddisfa la disuguaglianza.
Ottenuto a, possiamo ulteriormente semplificare l’espressione per C:
C= {∑ c( j, n)× p (1 − p)
j
j n− j
[
× max 0, u j d n − j S − K ]} / r n
dove la sommatoria va da j = a a j = n.
Si noti che u jd n−j S − K ha sostituito max[0, u jd n−j S − K], dato che ora
consideriamo solo i sentieri con j ≥ a che fanno finire in-the-money la call.
Siamo ora pronti a raggruppare i termini che contengono S e i termini
che contengono K:
C = S⎡ ∑ × u j d n − j ⎤⎥ / r n
⎢⎣ j c( j , n ) × p (1 − p )
j n− j
⎦
− K⎡ ∑ n− j ⎤ n
⎢⎣ j c( j , n ) × p (1 − p ) ⎥⎦ / r
j
213
DERIVATI
σ t/n
S = 100 t = 0,25 r = 1,10 u≡ e = 1,06938
K= 0 σ = 0,3 d = 1,00 d ≡ 1/u = 0,935118
n= 5 r ≡ rt/n = 1,00478
Esempi
Il modello binomiale standard per la valutazione delle opzioni verrà ora
illustrato con diversi esempi numerici. Iniziamo con l’albero riportato nella
Figura 4.5.
Il primo passo per applicare il modello è quello di determinare i valori
delle variabili fondamentali: il prezzo corrente del sottostante, S, lo strike, K,
la vita residua, t, il riskless return, r, il payout return, d, e la volatilità, σ.
Il secondo passo è quello di fissare il numero degli intervalli, n, presen-
ti nell’albero. Come vedremo, è ragionevole scegliere un numero maggiore
di 30, ma perché l’esempio sia trattabile ci limiteremo a considerare n = 5.
Il terzo passo è quello di tradurre le variabili fondamentali nei para-
metri utilizzati dall’albero. Ad esempio, il riskless return, r, è espresso su
base annua (ad es. 1,10), mentre il modello binomiale richiede il riskless
return periodale, r. Dobbiamo quindi scegliere r in modo che rn = rt. Que-
sto vuol dire che il riskless return relativo all’intero periodo è lo stesso, sia
che venga espresso in base ai ritorni periodali sia che venga espresso in
base ai ritorni annui. Risolvendo l’equazione rispetto a r otteniamo r = rt/n.
Nel nostro esempio, r = 1,100,25/5 = 1,00478. Analogamente, si ha δ = dt/n.
Dobbiamo inoltre tradurre la volatilità, σ, ossia la deviazione standard
del logaritmo naturale del ritorno del sottostante, negli equivalenti bino-
miali, u e d. Una traduzione naturale, che giustificheremo più avanti, è
⎯
quella di porre log u⎯ = −log d = σ√t/n. Risolvendo rispetto a u e a d si ot-
tiene u = (1/d) = eσ√t/n. Queste formule hanno diverse implicazioni:
(1) u e d sono moltiplicativamente simmetrici; ossia, un rialzo seguito da
un ribasso porta il prezzo del sottostante al livello iniziale (ud = 1);
214
MODELLO BINOMIALE
σ t/n
S = 100 t = 0,25 r = 1,10 u≡ e = 1,06938
K = 100 σ = 0,3 d = 1,00 d ≡ 1/u = 0,935118
n= 5 r ≡ rt/n = 1,00478
(2) quanto più elevato è σ, tanto più alto è u e tanto più basso è d;
(3) maggiore è l’ampiezza dell’intervallo ⎯⎯⎯binomiale, t/n, più alto è u e più
basso è d. Nel nostro esempio, u = e0,3√ 0,25/5 = 1,06938 e d = 1/1,06938 =
0,935118.
Il quarto passo per applicare il modello binomiale è quello di guardare in
avanti e sviluppare l’albero con i prezzi del sottostante. Si inizia dal prezzo
corrente all’inizio dell’albero e si utilizzano i valori di u e d per ottenere
tutti i prezzi successivi. Nel nostro esempio, il prezzo iniziale è S = 100.
Alla fine del primo intervallo si ha 106,94 (uS = 1,06938 ×100) e 93,51 (=
dS = 0,935118 × 100). Alla fine del secondo intervallo si ha 114,36 [=
u(uS) = 1,06938 × 106,94], 100 [= d(uS) = u(dS) = 0,935118 × 106,94) e
87,44 [= d(dS) = 0,935118 × 93,51].
Il quinto passo è quello di calcolare la probabilità di rialzo risk-neutral:
p = 0,518814 [= (1,00478 − 0,935118)/(1,06938 − 0,935118)].
Il sesto passo è quello di andare alla fine dell’albero, là dove l’opzione
scade, e di scrivere il payoff dell’opzione in corrispondenza di ciascun no-
do. La formula per il payoff della call è max[0, S* − K]. I valori della call
ai nodi finali rappresentano le «condizioni al contorno» (boundary condi-
tions). Nella Figura 4.6 lo strike è pari a 100, per cui il payoff è max[0, S* −
100]. Nell’albero del sottostante riportato nella Figura 4.5, K era stato posto
uguale a 0 per indicare che lo stesso sottostante può essere visto come una
call con strike nullo. Nella Figura 4.5 i prezzi finali sono: 139,85; 122,29;
106,94; 93,51; 81,77 e 71,50. I corrispondenti payoffs della call con strike
100 sono: 39,85; 22,29; 6,94; 0; 0 e 0 (Figura 4.6). I nodi della Figura 4.6 in
corrispondenza dei quali l’esercizio è conveniente sono stati sottolineati.
215
DERIVATI
216
MODELLO BINOMIALE
σ t/n
S = 100 t = 0,25 r = 1,10 u≡ e = 1,06938
K = 100 σ = 0,3 d = 1,00 d ≡ 1/u = 0,935118
n= 5 r ≡ rt/n = 1,00478
217
218
DERIVATI
Payoff Numero dei sentieri Path probability Nodal probability Riskless return Valore corrente del payoff
(1) (2) (3) (4)= (2) × (3) (5) (6) = (1) × (4) / (5)
219
DERIVATI
stribuzione dei payouts tende a far aumentare l’holding value della put dato
che, continuando a tenerla in vita, possiamo evitare di effettuare i paga-
menti cui è tenuto chi vende il sottostante allo scoperto.
Tuttavia, se aumentiamo il numero, n, degli intervalli senza cambiare la
vita residua dell’opzione, vedremo che l’esercizio anticipato risulterà con-
veniente. In qualche nodo prossimo alla scadenza, il prezzo del sottostante
sarà talmente piccolo che poco valore potrebbe essere aggiunto dalla vola-
tilità. Inoltre, avendo ipotizzato che i payouts siano pari ad una quota co-
stante, δ, del prezzo del sottostante, quando il prezzo del sottostante è suf-
ficientemente basso la perdita di payouts conseguente alla consegna antici-
pata del sottostante sarebbe relativamente piccola. Invece, dato che lo strike
resta sempre pari a K, gli interessi che si guadagnano ricevendo K in antici-
po sono sempre gli stessi. In qualche nodo questo beneficio prevarrà e la
put verrà esercitata anticipatamente anche in presenza di payouts. Non è
questo il caso della put americana della Figura 4.9 perché la griglia dei
prezzi non è sufficientemente fine in prossimità della scadenza.
Sentieri campionari
L’albero binomiale segue un approccio poco intelligente (o da computer).
Non sapendo logicamente o intuitivamente come escludere certi risultati,
considera laboriosamente ogni possibilità, quale che sia la sua rilevanza o
probabilità. L’albero binomiale riporta ogni possibile risultato per il prezzo
del sottostante, non solo mostrando dove può finire alla scadenza ma anche
come può esserci arrivato. Le possibili strade (Figura 4.10) per andare
dall’inizio alla fine dell’albero sono chiamate «sentieri campionari» (sam-
ple path). I sentieri campionari rappresentano campioni, o esempi, di ciò
che potrebbe succedere in futuro.
In genere, uno stesso nodo finale può essere raggiunto da diversi sen-
tieri. La Figura 4.10 illustra questa possibilità per il caso Suddud = Sddduu.
In effetti, il triangolo di Pascal ci dice che questo nodo può essere raggiun-
to seguendo 10 diversi sentieri. Le opzioni europee ordinarie sono relati-
vamente facili da valutare perché i loro payoffs dipendono solo dai nodi
finali dell’albero; in altri termini, i payoffs sono funzioni solo di S* perché i
diversi modi con cui si giunge allo stesso nodo producono lo stesso payoff.
Pertanto, il valore corrente dell’opzione può dipendere solo dai nodi finali, non
dai sentieri seguiti per arrivarci. È per questo che le opzioni europee sono
«sentiero-indipendenti» (path-independent).
220
MODELLO BINOMIALE
II«sentieri
«sentiericampionari»
campionari»
(sample
(samplepaths)
paths)sono
sonosequenze
sequenze
di
dirialzi
rialzieeribassi
ribassidall’inizio
dall’inizioalla
alla
fine
finedell’albero.
dell’albero.
S
Suddud = Sddduu
Le
Leopzioni
opzionisono
sono«sentiero-
«sentiero-
indipendenti»
indipendenti»(path-independent)
(path-independent)
se
seililloro
loropayoff
payoffdipende
dipendesolo
solodal
dal
valore
valoredeldelsottostante
sottostanteosservato
osservato
alla
allascadenza.
scadenza.
Altre opzioni fuori standard o esotiche hanno payoffs che sono diretta-
mente definiti in termini del sentiero seguito dal prezzo del sottostante. Ad
esempio, i payoffs delle opzioni lookback dipendono non solo dal prezzo
finale del sottostante ma anche dal prezzo minimo o dal prezzo massimo
osservato durante la vita dell’opzione. Queste opzioni «sentiero-dipen-
denti» (path-dependent) sono notoriamente difficili da valutare rispetto
alle calls e alle puts europee o americane, anche se gli ingegneri finanziari
hanno fatto notevoli progressi negli ultimi anni.
Il modello binomiale standard presenta alcune caratteristiche curiose.
Innanzitutto, abbiamo assunto che, partendo da un qualsiasi nodo
dell’albero per il sottostante, un rialzo seguito da un ribasso porta allo stes-
so nodo cui si giunge dopo un ribasso seguito da un rialzo. In altri termini:
ud = du. A causa di questa caratteristica, diciamo che l’albero si ricombina.
Ma ciò non è necessariamente vero in generale. Ad esempio, supponiamo
che il sottostante abbia un payout, D, costante piuttosto che un payout re-
turn, δ, costante e che u e d misurino i cum-payout returns. In questo caso,
l’albero dei prezzi ex-payout potrebbe assumere la seguente forma:
u(uS – D) – D
uS – D
d(uS – D) – D
S
u(dS – D) – D
dS – D
d(dS – D) – D
221
DERIVATI
p
1–p
p(1 – p) =(1 – p)p
p
1–p
Volatilità
Nella maggior parte delle circostanze economiche in cui è coinvolta una
variabile casuale, esistono tre tipi di volatilità:
222
MODELLO BINOMIALE
{[log(u )]
2
}
+ [log(d )]2 + [log(u )]2 + [log(u )]2 + [log(d )]2 / 5 = [log(u )]2
{[log(d )]
2
}
+ [log(d )]2 + [log(u )]2 + [log(u )]2 + [log(u )]2 / 5 = [log(u )]2
Questa è una situazione fuori dal comune. Nella vita reale, la storia vissuta
può essere interpretata come un campione estratto da una popolazione di
possibili storie. Sarebbe davvero strano se ogni campione avesse la stessa
volatilità.
223
DERIVATI
⇒ ⇒
A B A B A B
A B
224
MODELLO BINOMIALE
Rette tangenti
Alberi impliciti
Supponiamo che, invece di conoscere la dimensione dei rialzi (u) e dei ribas-
si (d), eventualmente stimati in base alla volatilità σ, siano noti i prezzi cor-
renti di alcune calls europee, con diversi prezzi d’esercizio e la stessa sca-
denza (t = 0,25), scritte sullo stesso sottostante (S = 100, d = 1,00). Possiamo
allora ricavare l’albero binomiale “implicito” che è coerente con queste in-
formazioni. In altri termini, l’«albero binomiale implicito» (implied binomial
tree) finisce col produrre, per tutte le opzioni, valori che sono uguali ai prezzi
di mercato. È questo il problema inverso discusso nel Capitolo 1. L’approc-
cio è analogo a quello seguito quando si stima la term structure degli spot
returns, o dei forward returns, dai prezzi correnti di obbligazioni con diverse
scadenze.
Nell’esempio seguente, illustrato nella Figura 4.13, vedremo come si
stima l’albero binomiale coerente con i prezzi del sottostante e di cinque
calls che scadono dopo cinque intervalli binomiali:
C (K i ) = ⎡
⎢⎣ ∑ j Pj max(0, S j − K i )⎤⎥⎦ / r 5 per i = 1, 2 , 3, 4, 5
225
DERIVATI
S5 = 139,85 (P5 = ?)
p = (r – ? )/( ? – ? )= ?
?
? S4 = 122,29 (P4 = ?)
? ?
? ? S3 = 106,94 (P3 = ?)
100 ? ?
? ? S2 = 93,51 (P2 = ?)
? ?
? S1 = 81,77 (P1 = ?)
Principio della risk-neutral valuation ?
C(Ki) = ΣjPjmax(0, Sj – Ki)/r5 S =ΣjPjSj/r5 S0 = 71,50 (P0 = ?)
S = ⎛⎜
⎝ ∑ j Pj S j ⎞⎟⎠ / r 5
Confrontando le due equazioni, possiamo notare che il sottostante viene
valutato come se fosse una call con strike pari a 0.
Abbiamo quindi un sistema di sei equazioni in sei incognite: P0, P1, P2,
P3, P4 e P5 (Tavola 4.5):
226
MODELLO BINOMIALE
P0 = P0 / 1 = 0,025797 / 1 = 0,025797
P1 = P1 / 5 = 0,139070 / 5 = 0,027814
P2 = P2 / 10 = 0,299890 / 10 = 0,029989
P3 = P3 / 10 = 0,323341 / 10 = 0,033341
P4 = P4 / 5 = 0,174313 / 5 = 0,034863
P5 = P5 / 1 = 0,037589 / 1 = 0,037589
p
Pj+1
Pi + Pj+1
Pj
1–p
dove Pj e Pj+1 sono le probabilità risk-neutral che uno dei sentieri finisca al
nodo finale j e j + 1, rispettivamente. Tornando indietro di un periodo, la
probabilità risk-neutral che un sentiero arrivi in quel punto è pari alla som-
ma delle probabilità di muoversi lungo uno dei due rami che conducono ai
nodi finali. Pertanto, la probabilità risk-neutral che uno dei sentieri arrivi
al nodo precedente è semplicemente Pj + Pj+1.
Passo 4 La probabilità di rialzo, p, ossia la probabilità di arrivare ad un
certo nodo, condizionata dal trovarsi nel nodo inferiore precedente, è pari a
Pj+1/(Pj + Pj+ 1).
227
228
DERIVATI
5 5
C (K j ) =
∑ j =0 Pj max(0, S j − K ) e S=
∑ j =0 P j S j
r5 r5
C(K2) = 13,70 = [P2(93,51 – 90) + P3(106,94 – 90) + P4(122,29 – 90) + P5(139,85 – 90)]/1,004785 ⇒ P2 = 0,299890
C(K1) = 22,10 = [P1(81,77 – 80) + P2(93,51 – 80) + P3(106,94 – 80) + P4(122,29 – 80) + P5(139,85 – 80)]/1,004785 ⇒ P1 = 0,139070
Tavola 4.5 Alberi impliciti: probabilità nodali
S1 S2 S3
u= = =
[(1 − p )S 0 + pS1 ]/ r [(1 − p )S1 + pS 2 ]/ r [(1 − p )S 2 + pS3 ]/ r
S4 S5
= =
[(1 − p )S3 + pS 4 ]/ r [(1 − p )S 4 + pS5 ]/ r
= 1,06938
S0 S1 S2
d= = =
[(1 − p )S 0 + pS1 ]/ r [(1 − p )S1 + pS 2 ]/ r [(1 − p )S 2 + pS3 ]/ r
S3 S4
= =
[(1 − p )S3 + pS 4 ]/ r [(1 − p )S 4 + pS5 ]/ r
= 0,935118
Piuttosto che assumere di conoscere u e d per poi ricavare il valore delle op-
zioni, abbiamo fatto il contrario: abbiamo assunto di conoscere i prezzi delle
opzioni e li abbiamo utilizzati per trovare l’albero binomiale implicito.
229
DERIVATI
230
MODELLO BINOMIALE
∆ = (C u − Cd ) /[δ(u − d )S ]
dove non è un caso che il simbolo greco scelto per rappresentare questo
concetto sia proprio il delta, ∆. La formula definisce un rapporto incremen-
tale. Il denominatore è la differenza tra due diversi prezzi (cum payouts)
del sottostante, δuS − δdS, e il numeratore è la differenza tra i corrispon-
denti valori delle opzioni (in effetti, ∆ è anche influenzato dal passaggio
del tempo lungo l’albero, ma per un albero con intervalli sufficientemente
piccoli, il passaggio del tempo ha decisamente un effetto di second’ordine
sul prezzo dell’opzione).
Il delta può quindi essere facilmente calcolato. Tornando indietro
nell’albero, fermiamoci un periodo prima dell’inizio, osserviamo i due va-
lori dell’opzione, Cu e Cd, e svolgiamo i calcoli mostrati nella Figura 4.14.
Il delta è il numero di unità del sottostante nel portafoglio equivalente.
Se però utilizziamo un albero binomiale con pochi intervalli e vogliamo
231
DERIVATI
Cuuu
Cuu
Cu Cuud
Cu − Cd
∆ Cud ∆=
δ(u − d)S
Cd Cudd
Cdd
Cddd
Se d = 1/u, un’approssimazione del delta un po’ più accurata (per n → ∞) è:
∆ = (C+ – C–) / [(u2 – d2)S]
+ –
dove C (C ) è il valore corrente dell’opzione se il prezzo corrente del sottostante
fosse Su2 (Sd2) invece di S. I valori di C+ e C– si ottengono estendendo l’albero
binomiale all’indietro di due periodi e considerando i nodi sopra e sotto C.
Cuuu
+
C Cuu
Cu Cuud
C Cud
Cd Cudd
C– Cdd
Cddd
C+ − C−
∆=
(u 2
− d2 S)
232
MODELLO BINOMIALE
Cuuu
Cuu − Cud
Cuu ∆u =
δ(u − d)uS
∆u Cuud
∆u − ∆ d
Γ Cud Γ=
δ(u − d)S
∆d Cudd
Cdu − Cdd
Cdd ∆d =
δ(u − d)dS
Cddd
Se d = 1/u, un’approssimazione del gamma un po’ più accurata (per n → ∞) è:
Γ = { [(C+ – C)/(u2 –1)S] – [(C – C–)/(1 – d2)S] } / [(u2 –d2)S]
dove C+ (C–) è il valore corrente dell’opzione se il prezzo corrente del sottostante
fosse Su2 (Sd2) invece di S. I valori di C+ e C– si ottengono estendendo l’albero
binomiale all’indietro di due periodi e considerando i nodi sopra e sotto C.
Gamma
Il delta è un parametro così importante che gli option traders vogliono
anche sapere di quanto il delta si modifica quando il prezzo del sottostante
cambia. Questa derivata seconda è chiamata gamma, Γ.
Per le calls, ad esempio, al crescere del prezzo del sottostante, il delta (il
numero di unità del sottostante nel portafoglio equivalente) aumenta, passan-
do da un minimo prossimo a 0 ad un massimo prossimo a 1. Pertanto, le calls
lunghe sono “gamma-positive” dato che il loro delta aumenta col crescere del
prezzo del sottostante. Invece, le calls corte sono “gamma-negative”. Il se-
gno del gamma è una misura della convessità del payoff dell’opzione. Le po-
sizioni su opzioni con payoff convesso sono gamma-positive. Le posizioni su
opzioni con payoff concavo sono gamma-negative.
Le posizioni su opzioni con gamma molto positivi o molto negativi
possono essere pericolose per la vostra salute finanziaria. I motivi sono due:
(1) se vi coprite per neutralizzare le variazioni di valore dell’opzione e il
delta cambia rapidamente (dato che il gamma è elevato), può essere dif-
ficile aggiustare dinamicamente la copertura per far fronte alla mutevo-
le esposizione dell’opzione rispetto al prezzo del sottostante. L’aggiu-
stamento può comportare pesanti costi di transazione.
(2) in pratica, la volatilità del sottostante è essa stessa incerta. Se sale, i
prezzi della call tendono a salire e, se scende, tendono a scendere. Le
posizioni con gamma elevati sono più sensibili alle variazioni di volati-
lità rispetto alle posizioni con gamma bassi. Per fare un caso estremo, il
prezzo di un’opzione è ovviamente più sensibile alle variazioni di vola-
tilità che non il prezzo del sottostante (che ha un gamma nullo).
233
DERIVATI
Omega e theta
L’elasticità, omega, del prezzo dell’opzione rispetto al prezzo del sotto-
stante è una delle altre «lettere greche» (Greeks) utilizzate per indicare le
sensitività delle opzioni. Per comprenderla meglio, è utile pensare al delta
come al rapporto tra una piccola variazione del valore dell’opzione, ∂ C, e
una piccola variazione del prezzo del sottostante, ∂ S: ossia, ∆ = ∂ C/∂ S.
L’elasticità, Ω, è pari a:
∂C /C
Ω = ∆(S / C ) = = (S ∆ ) / C
∂S /S
Pertanto, mentre il delta è il rapporto tra le variazioni assolute del valore
dell’opzione e del prezzo del sottostante, l’omega è il rapporto tra le corri-
spondenti variazioni percentuali. In effetti, l’omega misura l’amplificazione
del tasso di rendimento del sottostante generata dall’opzione.
L’omega, scritto come (S∆)/C, può anche essere interpretato come la
quantità di leverage implicita nell’opzione. S∆ è il valore del sottostante
presente nel portafoglio equivalente e C è il valore corrente del portafoglio
equivalente. Abbiamo già osservato in precedenza che questo rapporto è
anche detto “mix”.
Se le calls sono at-the-money, il tipico omega potrebbe essere pari a 5 [=
(100 × 0,5)/10]. È come se, con la call, comprassimo $5 del sottostante
mettendoci solo $1 di denaro nostro e prendendo in prestito gli altri $4. Se
le calls sono out-of-the-money, il tipico omega potrebbe essere pari a 20.
Non è strano che le opzioni siano considerate titoli ad alto rischio!
Una delle prime cose che i libri sulle opzioni tendevano a sottolineare è
che le opzioni sono beni “deperibili”. In altri termini, se il prezzo del sotto-
stante rimane inalterato, il valore dell’opzione tende a diminuire col passa-
234
MODELLO BINOMIALE
Cuuu
Cuu
Cu Cuud
Cud − C
C Cud Θ=
2h
Cd Cudd
Cdd h ≡ t/n
Cddd
235
DERIVATI
Anche questo metodo, come quello utilizzato per stimare il vega, si con-
traddice. Lo stesso commento vale per il lambda, la derivata del valore
dell’opzione rispetto al payout return.
Fugit
Mark Garman, quando era uno dei docenti in attività a Berkeley, ha utiliz-
zato gli alberi binomiali per calcolare il valore atteso risk-neutral della vita
di un’opzione americana, ossia il valore atteso risk-neutral del tempo man-
cante all’esercizio. Come inventore di questo concetto, aveva tutto il diritto
di assegnargli un nome: fugit.
Garman ha dimostrato che il fugit può essere facilmente calcolato tor-
nando indietro nell’albero. La Figura 4.17 illustra questo metodo utilizzan-
do un albero a due stadi. Si inizia alla data di scadenza e, in corrispondenza
di ciascuno dei nodi finali, si scrive n, il numero degli intervalli dell’albe-
ro. Nel nostro esempio, scriviamo 2 in corrispondenza di ognuno dei tre
nodi finali. Nei corrispondenti nodi alla fine dell’intervallo precedente,
calcoliamo la vita attesa dell’opzione assumendo che l’opzione resti in vita
fino a quel nodo. A questo punto dell’albero, la vita attesa è una media
ponderata di 1 e 2, con pesi pari a ξ e 1 − ξ, rispettivamente. La variabile ξ
è pari a 0, se in quel nodo l’opzione va tenuta in vita, o ad 1, se invece
l’opzione va esercitata. Ad esempio, se l’esercizio anticipato non conviene:
Si noti che 2 è la vita attesa dell’opzione, condizionata dal fatto che ci tro-
viamo in quel nodo e che l’opzione non va esercitata, mentre 1 è la vita at-
tesa dell’opzione, condizionata dal fatto che ci troviamo in quel nodo e che
l’opzione va esercitata.
Continuiamo a tornare indietro nell’albero, ponderando con ξ il numero
degli intervalli necessari per raggiungere il nodo dall’origine e con (1 − ξ)
236
MODELLO BINOMIALE
fuu = 2
fu = ξu1 + (1 – ξu)[pfuu + (1 – p)fdu ]
f = ξ0 + (1 – ξ)[pfu + (1 – p)fd ] fdu = 2
fd = ξd1 + (1 – ξd)[pfdu + (1 – p)fdd ]
fdd = 2
237
DERIVATI
4.4 ESTENSIONI
Opzioni su futures
Strettamente collegate alle opzioni su spot sono le «opzioni su futures» (op-
tions on futures o futures options). Il payoff di una call scritta su un futures
è pari al maggiore tra zero e la differenza tra il prezzo futures alla scadenza e
lo strike. Le futures options americane possono essere esercitate anticipata-
mente in modo da ricevere la differenza tra il prezzo futures e lo strike alla
data d’esercizio. Inoltre, chi esercita riceve anche un contratto futures, ma
dato che il valore del contratto è nullo all’origine (il prezzo futures viene fis-
sato in modo da rendere nullo il valore del contratto) questo non aggiunge
nulla al valore dell’opzione. Ma, se è così, che differenza fa ricevere un con-
tratto futures privo di valore? Anche se il futures ha un valore nullo, esso
consente di mantenere l’esposizione nei confronti del sottostante e potrebbe
rivelarsi importante − soprattutto per il venditore che può aver venduto l’op-
zione come parte di un hedge (o di uno spread).
Nel modello binomiale per le opzioni su futures, si assume che il prez-
zo futures corrente, F, salga a u’F o scenda a d’F nel prossimo intervallo e
che il prezzo della call passi da C a Cu’. o Cd’. La notazione u’ e d’ è stata
utilizzata per distinguere le variazioni del prezzo futures dalle variazioni u
e d del prezzo spot. Inoltre, si assume che il prezzo futures raggiunga la
data di consegna in m intervalli. Invece, si assume che l’opzione scada tra
n intervalli − ma non dopo la data di consegna, per cui n ≤ m. La simbolo-
gia utilizzata per le opzioni su futures è riportata nella Tavola 4.6.
Le possibili evoluzioni del prezzo futures e del prezzo della futures call
sono mostrate nella Figura 4.18, dalla quale risulta anche che la nostra ana-
lisi presuppone l’utilizzo della moneta, con riskless return r. È chiaro che
la situazione è molto simile a quella che abbiamo esaminato per le opzioni
su spot. La principale differenza è che F è il prezzo futures.
Per costruire il portafoglio equivalente (Figura 4.19), compriamo ∆ fu-
tures e diamo in prestito B dollari. Dato che il futures ha un costo nullo, il
nostro investimento iniziale complessivo è pari a B. Supponiamo che alla
fine del periodo la posizione sul futures venga marked-to-the-market. In
altri termini, dopo un rialzo, per ogni futures acquistato il compratore rice-
ve (e il venditore paga) u’F − F dollari mentre, dopo un ribasso, per ogni
futures acquistato il compratore paga (e il venditore riceve) F − d’F dollari.
238
MODELLO BINOMIALE
Assenza
Assenzadi
diopportunità
opportunità di arbitraggio ⇒
di arbitraggio ⇒ uu >> (r/δ)
(r/δ) >>dd
Nel complesso, il valore del portafoglio equivalente alla fine del periodo
sarà pari a (u’F − F)∆ + rB o (d’F − F)∆ + rB.
Per replicare l’opzione, dovremo scegliere ∆ e B in modo che:
(u ' F − F )∆ + rB = Cu ' e (d' F − F )∆ + rB = Cd '
Procedendo in modo simile a quanto abbiamo fatto per le opzioni su spot,
risolviamo le due equazioni
(u ' F − F )∆ + rB = Cu ' e (d' F − F )∆ + rB = Cd '
rispetto a ∆ e a B:
∆ = (C u ' − Cd ' ) / [(u '−d ') F ] e B = [ p ' C u ' + (1 − p ')Cd ' ]/ r
Anche se la formula per la futures call assomiglia alla formula per la spot
call, le due formule non sono uguali perché p’, Cu’ e Cd’ sostituiscono p, Cu
239
DERIVATI
u'F rB
F Futures B Cash
d'S rB
C Call on futures
e Cd. Tuttavia, queste equazioni mostrano che, iniziando con l’albero bi-
nomiale per le opzioni su spot, se apportiamo le seguenti sostituzioni, otte-
niamo l’albero binomiale per le opzioni su futures:
S ⇐ F , δ ⇐ r, u ⇐ u ' e d ⇐ d '
La principale sostituzione è quella che riguarda il payout return, che va
sostituito dal riskless return.
In assenza di opportunità di arbitraggio tra il prezzo futures e il prez-
zo spot, possiamo ricavare le relazioni che legano tra loro p e p’, u e u’, d e
d’. Possiamo allora utilizzare le informazioni sul prezzo spot del sottostan-
te per valutare una futures option. La forward-spot parity ci dice che, du-
rante la vita del contratto futures, affinché non esistano opportunità di arbi-
traggio, il prezzo futures deve essere uguale al prezzo spot moltiplicato per
il rapporto tra il riskless return e il payout return fino alla data di conse-
gna.25 In particolare,
F = S (r / δ )m e u ' F = u S (r / δ )m −1 e d ' F = d S (r / δ )m −1
Sostituendo questi valori nei nostri precedenti risultati, con un po’ di alge-
bra si ottiene che:
u ' = u / (r / δ ), d ' = d / (r / δ ) e p' = p
240
MODELLO BINOMIALE
(u'F – F)∆ + rB
B Futures + Cash
(d'F – F)∆ + rB
Per dimostrare che l’esercizio anticipato delle futures calls americane può es-
sere ottimale, si consideri il caso di una call che finirà certamente in the
money, per cui
Opzioni su valute
Anche le «opzioni su valute» (options on currencies o options on foreign
exchange rates) possono essere valutate con gli alberi binomiali. In questo
caso, si ipotizza che il tasso di cambio salga da X a uX o scenda da X a dX.
Come abbiamo già fatto quando abbiamo trattato i forwards su valute, dob-
241
DERIVATI
uX rB
dX rB
uXrf Bf
dXrf Bf
biamo distinguere tra due riskless returns periodali − r, il riskless return in-
terno, e rf, il riskless return estero.
In questo caso, per evitare opportunità di arbitraggio tra investimenti in
obbligazioni interne ed estere, il riskless return interno deve essere compre-
so all’interno dell’intervallo rf u > r > rf d, dove agli estremi figurano i ri-
torni dell’investimento di un dollaro in un’obbligazione estera, realizzati
rispettivamente dopo un rialzo e un ribasso del tasso di cambio.
La Figura 4.20 mostra che nel prossimo intervallo il tasso di cambio sa-
le da X a uX o scende da X a dX. Ad esempio, supponiamo che i dollari ($)
rappresentino la valuta interna e che le sterline (£) rappresentino la valuta
estera. Seguendo la convenzione utilizzata in questo libro, il tasso di cam-
bio è dato dal rapporto $/£. L’investimento di B dollari in un’obbligazione
interna diventa pari a rB dollari alla fine del periodo. Analogamente, l’in-
vestimento di Bf sterline, diventa pari a rfBf sterline alla fine del periodo.
Per convertire un investimento estero da sterline a dollari, dobbiamo mol-
tiplicarlo per il tasso di cambio $/£. Pertanto, un investimento estero di Bf
sterline costa ora XBf dollari. Alla fine del periodo il valore dell’investimento
estero sarà pari a uX rf Bf o dX rf Bf’ dollari (abbiamo riconvertito le sterline
in dollari sulla base del tasso di cambio, uX o dX, di fine periodo).
Per formare il portafoglio equivalente, investiamo Bf sterline in obbliga-
zioni estere e B dollari in obbligazioni interne (Figura 4.21). Il costo del
portafoglio è pari a XBf + B dollari. Alla fine del periodo, il valore del por-
tafoglio è pari a uX rf Bf + rB o dX rf Bf + rB dollari (abbiamo convertito le
sterline in dollari sulla base del tasso di cambio prevalente alla fine del pe-
riodo).
242
MODELLO BINOMIALE
uXrf Bf + rB
dXrfBf + rB
Cu [ = max(0, uX – K)]
Cd [ = max(0, dX – K)]
Questo risultato è molto simile alla formula binomiale per le calls su spot.
In effetti, possiamo facilmente trasformare una formula nell’altra se fac-
ciamo le seguenti sostituzioni:
243
DERIVATI
S ⇐ X , δ ⇐ rf
Generalizzazioni
Il modello binomiale standard assume che:
i riskless returns e i payout returns futuri, così come le dimensioni dei
futuri rialzi e dei futuri ribassi, sono uguali a quelli correnti.
Queste assunzioni sono incorporate nell’albero, il quale presuppone che ad
ogni nodo futuro, pur non sapendo se ci sarà un rialzo o un ribasso, sap-
piamo che r, δ, u e d rimarranno uguali a quelli del primo periodo.
Una prima, modesta, generalizzazione consiste nel riformulare l’albero
binomiale in modo che i riskless returns, i payout returns e le dimensioni
dei rialzi e dei ribassi cambino nel tempo in modo prevedibile.
Consideriamo ad esempio una call europea ed un albero a due stadi do-
ve r1 ≠ r, δ1 ≠ δ, u1 ≠ u e d1 ≠ d indicano i diversi valori del riskless return,
del payout return e delle dimensioni dei rialzi e dei ribassi nel secondo pe-
riodo. Si ha:
[ ]
Cu = p1 C uu 1 + (1 − p )C ud1 / r1
Cd = [p1 Cdu 1
+ (1 − p )Cdd ] / r1
1
C = [ p Cu + (1 − p )Cd ]/ r
[ ]
C = p p1 C uu 1 + p (1 − p1 )C ud 1 + (1 − p ) p1 Cdu 1 + (1 − p )(1 − p1 )Cdd 1 / (r × r1 )
244
MODELLO BINOMIALE
245
DERIVATI
Sommario: estensioni
Il modello binomiale per le opzioni su spot può essere facilmente esteso
alle opzioni su futures e alle opzioni su valute. Nel caso delle opzioni su
futures, la principale modifica consiste nel tener conto che il valore ini-
ziale del contratto futures è nullo. L’opzione viene valutata sostituendo il
prezzo spot corrente con il prezzo futures corrente, il payout return con il
riskless return, la volatilità del prezzo spot (approssimata dalla differenza
tra u e d) con la volatilità del prezzo futures. Nel caso delle opzioni su va-
lute, la principale modifica consiste nel tener conto che il sottostante è
rappresentato da un’obbligazione in valuta estera. L’opzione viene valutata
sostituendo il prezzo spot del sottostante con il tasso di cambio corrente, il
payout return con il riskless return estero e la volatilità del prezzo spot con
la volatilità del tasso di cambio.
Il modello binomiale può anche essere generalizzato in modo da far di-
pendere il riskless return, il payout return e le dimensioni dei rialzi e dei
ribassi dal tempo, dal futuro prezzo spot del sottostante o dal sentiero se-
246
MODELLO BINOMIALE
guito dai futuri prezzi spot del sottostante. Anche sotto queste generalizza-
zioni, l’opzione può essere valutata in base al portafoglio equivalente. Se
invece vogliamo far dipendere il riskless return, il payout return e le di-
mensioni dei rialzi e dei ribassi da una qualche variabile casuale diversa
dal prezzo spot del sottostante, il metodo binomiale di arbitraggio soccom-
be sotto il peso di questa ulteriore generalizzazione.
247
DERIVATI
p = 0,4
r3,3 = 1,02
r2,2 = 1,05
r2,0 = 1,13
r3,0 = 1,15
I prezzi dello zero-coupon bond alla fine del terzo anno vanno determinati
attualizzando 100 in base ai riskless returns dei nodi finali. Ad esempio:
248
MODELLO BINOMIALE
I prezzi alla fine del secondo anno sono più difficili da ricavare. Conside-
riamo, ad esempio, B2,2. Questo prezzo dipende dai due prezzi che il titolo
potrà avere alla fine del terzo anno, B3,3 = 98,04 e B3,2 = 94,34. Al nodo
(2,2) siamo quindi incerti circa il valore che il titolo avrà dopo 1 anno. Per
il momento assumeremo semplicemente che la probabilità di rialzo risk-
neutral, p, al nodo (2,2) sia pari a 0,4. Pertanto:
[
B2, 2 = pB3,3 + (1 − p ) B3, 2 / r2, 2 ]
= [(0,4 × 98,04 ) + (0,6 × 94,34 )]/ 1,05 = 91,26
Si noti che il valore atteso risk-neutral del titolo alla fine dell’anno può
essere attualizzato in base al corrispondente riskless return perché p e (1 −
p) sono probabilità risk-neutral. Per attualizzare il valore atteso risk-
neutral del titolo alla fine dell’anno, abbiamo quindi utilizzato il riskless
return r2,2 = 1,05 (Figura 4.23).
[ ]
Bk , j = pBk +1, j +1 + (1 − p ) Bk +1, j / rk , j
e tornare indietro per ricavare l’albero che mostra l’evoluzione dei prezzi
del bond dal livello corrente di 71,06 a 100 (Figura 4.24).
Siamo ora pronti per valutare le opzioni europee o americane scritte
sullo zero-coupon bond a 4 anni. Ad esempio, si consideri una call europea,
249
DERIVATI
con strike 82 e scadenza tra 2 anni. Alla data di scadenza, i suoi tre possibi-
li valori sono:
C2, 2 = max(0, 91,26 − 82) = 9,26
C2,1 = max(0, 84,66 − 82) = 2,66
C2,0 = max(0, 78,35 − 82) = 0
Due obiezioni
Almeno due cose del nostro modello non sono molto soddisfacenti:
(1) che basi abbiamo per assumere che la probabilità di rialzo risk-neutral,
p, sia uguale in ogni nodo e, inoltre, che sia esattamente pari a 0,4?
(2) come abbiamo fatto a costruire l’albero che descrive l’evoluzione dei
riskless returns periodali?
Esaminiamo le due obiezioni una alla volta. Assumiamo che tutti i titoli privi
del rischio d’insolvenza siano valutati in modo che, nel periodo successivo,
la differenza tra il ritorno atteso e il riskless return periodale, divisa per la
deviazione standard del ritorno, sia la stessa in ogni nodo. Indichiamo con λ
questo rapporto tra extra ritorno e rischio, una misura che gli economisti fi-
nanziari chiamano «prezzo di mercato del rischio» (market price of risk):
mk , j ≡ q k , j
Bk +1, j +1
Bk , j
(
+ 1 − qk , j ) BBk +1, j
k, j
2 2
⎛ Bk +1, j +1 ⎞ ⎛ Bk +1, j ⎞
≡ qk , j ⎜
vk2, j
⎜ Bk , j ⎟
(
− mk , j ⎟ + 1 − q k , j ) ⎜
⎜ Bk , j
− mk , j ⎟
⎟
⎝ ⎠ ⎝ ⎠
mk , j − rk , j
λ≡
vk , j
250
MODELLO BINOMIALE
Modello Ho-Lee
Per far sì che i valori teorici delle bond options siano coerenti con i prezzi
degli zero-coupon bonds di varia scadenza, si inizia in genere dai prezzi
dei titoli e si risolve il problema inverso determinando l’albero dei riskless
returns coerente con i prezzi osservati. Questo importante problema è stato
risolto per la prima volta da Ho e Lee nel 1986.
Così come abbiamo fatto anche noi, Ho e Lee assumono che l’evolu-
zione del riskless return periodale possa essere descritta da un albero bi-
nomiale che si ricombina. Nel nostro esempio a 4 stadi, ciò vuol dire che
251
DERIVATI
p = 0,4
r3,3 = 1,0918
r2,2 = 1,0971
r2,0 = 1,0971
r3,0 = 1,0918
Boundary condition per il bond: B4, j = 100
Regola iterativa per il bond: Bk, j = [pBk+1, j+1 + (1 – p)Bk+1, j ]/rk, j
Come si può vedere dalla Figura 4.25, non c’è incertezza circa i futuri risk-
less returns. Sappiamo dal Capitolo 2 che, in assenza d’incertezza, i for-
ward returns correnti devono essere uguali ai futuri spot returns. Pertanto,
l’evoluzione dei riskless returns poteva essere semplicemente determinata
con il metodo bootstrap.
252
MODELLO BINOMIALE
Utilizzando l’albero della Figura 4.25, il valore corrente della call, con
strike di 82 e scadenza tra 2 anni, scritta sullo zero-coupon bond a 4 anni,
risulta pari a $1,26 − un valore ben diverso da quello che avevamo ottenuto
in precedenza per la stessa opzione ($2,37).
Per risolvere tale indeterminatezza, dobbiamo dare più struttura al mo-
dello. Inoltre, vogliamo che questa struttura porti ad un’evoluzione ragio-
nevole del riskless return − e probabilmente non ad un’evoluzione, come
quella dell’albero mostrato nella Figura 4.25, in cui non c’è incertezza.
Il modo più naturale per risolvere il problema dell’indeterminatezza è
quello di imporre altre 6 condizioni. Da questa prospettiva, il modello bi-
nomiale standard risolve il problema prendendo per dato il prezzo corrente
dell’attività sottostante e assumendo che la volatilità, ossia la deviazione
standard del logaritmo naturale del ritorno del sottostante, sia costante in
tutto l’albero. Sfortunatamente, questa soluzione non è appropriata quando
il sottostante è rappresentato dal prezzo di uno zero-coupon bond, essendo
impossibile che il bond abbia la stessa volatilità in ogni nodo.
È però possibile che l’albero dei riskless returns abbia una volatilità
costante. Ecco quindi il modo più naturale per imporre le 6 condizioni. Al
nodo (k, j), il logaritmo naturale del riskless return periodale ha media pari a:
( ) ( ) (
µ k , j h ≡ qk , j log rk +1, j +1 + 1 − qk , j log rk +1, j )
e varianza pari a:
[ ( ) ] (
σ 2k , j h ≡ qk , j log rk +1, j +1 − µ k , j h 2 + 1 − qk , j ) [log(rk +1, j ) − µ k , j h]2
Semplificando si ottiene:
[ ( ) (
σ k , j h = log rk +1, j − log rk +1, j +1 )] qk , j (1 − qk , j )
[ ]
rk , j = B0,0 (k ) p + (1 − p ) φ k / B0,0 (k + 1) φ k − j
–
con φ ≡ e−2σh√h se, ad ogni nodo, la probabilità di rialzo soggettiva, q, è pari a
0,5. Nel nostro esempio, sia h = 1, p = 0,4 e σ = 0,01.
La Figura 4.26 mostra l’evoluzione, secondo il modello di Ho e Lee,
del riskless return coerente con i seguenti prezzi dei quattro zero-coupon
bonds:
253
DERIVATI
h=1
q = 0,5 r3,3 = 1,05250
p = 0,4
σ = 0,01 r2,2 = 1,06123
r2,0 = 1,10454
r3,0 = 1,11758
rk, j = B0,0(k)[p + (1 – p)φk]/B0,0(k + 1)φk–j
dove φ ≡ e–2σh√h
B0,0 (1) = 92,593 B0,0 (2 ) = 85,446 B0,0 (3) = 78,622 B0,0 (4 ) = 72,090
Questi prezzi sono stati sottolineati, nella Figura 4.26, per indicare che si
tratta di dati esogeni, piuttosto che di dati endogeni.
Per verificare che l’albero generi effettivamente le giuste volatilità,
consideriamo, ad esempio, la volatilità del riskless return nei nodi adiacenti
(1,1) e (1, 0)
σ h = [log(1,09240 ) − log(1,07077 )]/ 2 = 0,01
e nei nodi (2, 2) e (2, 1). In entrambi i casi il risultato è coerente con il va-
lore che avevamo ipotizzato (σ = 0,01):
σ h = [log(1,08266 ) − log(1,06123)]/ 2 = 0,01
254
MODELLO BINOMIALE
B3,7(4) = ? r3,7 = ?
B2,3(4) = ?
r2,3 = ?
B2,3(3) = ?
B3,6(4) = ? r3,6 = ?
B1,1(4) = ?
B1,1(3) = ? r1,1 = ?
B1,1(2) = ? B3,5(4) = ? r3,5 = ?
B2,2(4) = ?
r2,2 = ?
B2,2(3) = ?
B3,4(4) = ? r3,4 = ?
r0,0 = ?
B3,3(4) = ? r3,3 = ?
B2,1(4) = ?
r2,1 = ?
B2,1(3) = ?
B3,2(4) = ? r3,2 = ?
B1,0(4) = ?
B1,0(3) = ? r1,0 = ?
B1,0(2) = ? B3,1(4) = ? r3,1 = ?
B2,0(4) = ?
r2,0 = ?
B2,0(3) = ?
B3,0(4) = ? r3,0 = ?
255
DERIVATI
σ3,7(4) = 0,00000
q = 0,5 σ2,3(4) = 0,01449
p = 0,4 σ2,3(3) = 0,00000
σ1,1(4) = 0,01657 σ3,6(4) = 0,00000
σ1,1(3) = 0,01422
σ1,1(2) = 0,00000 σ3,5(4) = 0,00000
σ2,2(4) = 0,01395
σ2,2(3) = 0,00000
σ0,0(4) = 0,02182 B0,0(4) = 72,090 σ3,4(4) = 0,00000
σ0,0(3) = 0,02081 B0,0(3) = 78,622
σ0,0(2) = 0,01852 B0,0(2) = 85,446
σ3,3(4) = 0,00000
σ0,0(1) = 0,00000 B0,0(1) = 92,593
σ2,1(4) = 0,01370
σ2,1(3) = 0,00000
σ1,0(4) = 0,01261 σ3,2(4) = 0,00000
σ1,0(3) = 0,01358
σ1,0(2) = 0,00000 σ3,1(4) = 0,00000
σ2,0(4) = 0,01786
σ2,0(3) = 0,00000
σ3,0(4) = 0,00000
256
MODELLO BINOMIALE
rk , j = 100 / Bk , j (k + 1) (1)
[ ]
Bk , j (t ) = pBk +1, 2 j +1 (t ) + (1 − p ) Bk +1, 2 j (t ) / rk , j (2)
Il valore atteso soggettivo del logaritmo del return to maturity su base an-
nua del bond, alla fine dell’intervallo successivo, è:
µ k , j (t ) ≡
⎡⎛ 1 / (t − k −1) ⎤ ⎡⎛ 1 / (t − k −1) ⎤
⎞ 100 ⎞⎟
⎢ ⎥ + (1 − q )log ⎢ ⎥
⎜ 100 ⎟ ⎜
q log
⎢⎜ Bk +1, 2 j +1 (t ) ⎟ ⎥ ⎢⎜ Bk +1, 2 j (t ) ⎟ ⎥
⎣⎢⎝ ⎠ ⎦⎥ ⎣⎢⎝ ⎠ ⎦⎥
σ k2 , j (t ) ≡
1 / (t − k −1) ⎤
2
⎧ ⎡⎛ ⎞ ⎫
⎪ ⎥ − µ (t )⎪⎬
q ⎨log ⎢⎜
100 ⎟
⎪ ⎢⎣⎢⎝ Bk +1, 2 j +1 (t ) ⎠
⎜ ⎟ ⎥ k, j
⎦⎥ ⎪
⎩ ⎭
1 / (t − k −1) ⎤
2
⎧ ⎡⎛ ⎫
⎪ ⎢⎜ 100 ⎞⎟ ⎥ − µ (t )⎪⎬
+ (1 − q )⎨log
⎪ ⎢⎢⎣⎝ Bk +1, 2 j (t ) ⎠
⎜ ⎟ ⎥ k , j
⎥⎦ ⎪
⎩ ⎭
{ [ ] [
σ k , j (t ) = log Bk +1, 2 j +1 (t ) − log Bk +1, 2 j (t ) ]} tq−(1k−−q1) (3)
257
258
DERIVATI
B0,0(2), r0,0
B1,1(2) op σ0,0(2) op B1,0(2)
n n
r1,1 r1,0
B0,0(3), r0,0
B1,1(3) op σ0,0(3) op B1,0(3)
n n n n
r2,3 r2,2 r2,1 r2,0
B0,0(4), r0,0
B1,1(4) op σ0,0(4) op B1,0(4)
n n n n n n n n
Figura 4.29 Bond Options: metodo iterativo (HJM)
equazione (3): σ 0,0 (2) = 0,01852 = {log [ B1,1 (2)] − log [ B1,0 (2)]} /(2 × 1)
La soluzione di queste due equazioni è
B1,1 ( 2) = 94,340 B1,0 (2) = 90,909
per cui:
equazione (1): r1,1 = 100 / B1,1 (2) = 100 / 94,340 = 1,06
equazione (3): σ 0,0 (3) = 0,02081 = {log [ B1,1 (3)] − log [ B1,0 (3)]} /(2 × 2)
Risolvendo queste due equazioni si ottiene:
B1,1 (3) = 89,185 B1,0 (3) = 82,062
equazione (3): σ1,1 (3) = 0,01422 = {log [ B2,3 (3)] − log [ B2, 2 (3)]} /( 2 × 1)
nonché B2,1(3) e B2,0(3) dalle equazioni:
equazione (2): B1,0 (3) = 82,062 = [0,4 B2,1 (3) + 0,6 B2,0 (3)] / 1,10
equazione (3): σ1,0 (3) = 0,01358 = {log [ B2,1 (3)] − log [ B2,0 (3)]} /(2 × 1)
Risolvendo queste due coppie di equazioni separatamente, si ottiene:
B2,3 (3) = 96,154, B2, 2 (3) = 93,458, B2,1 (3) = 91,743, B2,0 (3) = 89,286
Pertanto
equazione (1): r2,3 = 100 / B2,3 (3) = 100 / 96,154 = 1,04
259
260
DERIVATI
B2,2(4) = 86,712
B2,2(3) = 93,458 r2,2 = 1,07
B2,1(4) = 83,570
B2,1(3) = 91,743 r2,1 = 1,09
B2,0(4) = 79,460
Bk,j(t ) = [pBk+1,2j+1(t ) + (1 – p)Bk+1,2j(t )]/rk,j r2,0 = 1,12
B2,0(3) = 89,286
σk,j(t ) = {log[Bk+1,2j+1(t )] – log[Bk+1,2j(t )]}[√(q(1 – q))]/(t – k – 1)
rk,j = 100/Bk,j(k + 1)
r3,0 = 1,14
Figura 4.30 Bond Options: prezzi impliciti (HJM)
B3,0(4) = 87,719
CONCLUSIONI
Il modello binomiale rappresenta l’approccio più flessibile, intuitivo e dif-
fuso per valutare le opzioni. Si basa sulla semplificazione secondo cui, in
un dato periodo (di durata molto breve), il prezzo del sottostante può as-
sumere solo uno di due possibili valori. Tra gli altri pregi, il modello in-
corpora le assunzioni che i mercati siano perfetti e che non esistano oppor-
tunità di arbitraggio. Non assume che gli investitori siano avversi al rischio
o che siano razionali, né richiede che venga stimato il ritorno atteso del
sottostante. Il modello incorpora anche il principio della valutazione neu-
trale verso il rischio, che può essere utilizzato come scorciatoia per la valu-
tazione delle opzioni europee. La formula Black-Scholes può essere otte-
nuta specificando un albero binomiale con un numero infinito di intervalli.
Tuttavia, gli alberi binomiali hanno diverse curiose caratteristiche che
ne possono limitare l’applicazione. Ad esempio, tutti i sentieri che condu-
cono allo stesso nodo hanno la stessa probabilità risk-neutral. I diversi tipi
261
DERIVATI
24
Tuttavia, come vedremo tra poco, il principio può essere applicato anche alle opzioni ame-
ricane. Se conosciamo la probabilità risk-neutral associata ad ognuno dei payoffs realizzati
quando conviene esercitare l’opzione anticipatamente, possiamo calcolare il valore atteso risk-
neutral di questi payoffs. Se poi facciamo ben attenzione ad attualizzare ciascun termine pre-
sente nel valore atteso con il riskless return appropriato alla data in cui il payoff viene in-
cassato, riusciamo ad ottenere lo stesso valore dell’opzione che ci viene fornito dall’albero
binomiale (Figura 4.20).
25
Per essere più precisi, dobbiamo assumere che i mercati siano perfetti, che i futuri spot re-
turns siano noti e che il sottostante non venga detenuto per fini di consumo o di produzione.
26
Un modo per far fronte a questa situazione è di ricorrere ad un altro derivato scritto sullo
stesso sottostante per poi valutare il primo in termini del secondo.
27
Esempi di questo approccio sono dati dal «modello dell’opzione composta» (compound option
model) e dal «modello diffusivo spiazzato» (displaced diffusion model). Applicato alle opzioni
su azioni, il compound option model assume che il valore complessivo di un’impresa (capita-
le proprio + debito) segua un processo binomiale moltiplicativo con volatilità costante. Tor-
nando indietro nell’albero, si ricava il processo binomiale per il valore delle azioni tenendo
conto che l’impresa ha l’«opzione di fallire» (option to default ). Il processo binomiale per il
valore delle opzioni ha volatilità variabile. Infine, questo processo viene utilizzato per tornare
indietro e ricavare l’albero binomiale con i valori dell’opzione.
262
5
Formula Black-Scholes
5.1 DERIVAZIONE
Come limite del modello binomiale
Ora che abbiamo ricavato la formula binomiale per un numero arbitrario, n,
di intervalli, siamo pronti per rispondere alla seconda domanda che viene
naturale a chi si occupa di matematica: cosa succede se, mantenendo costan-
te la vita residua, t, il numero degli intervalli, n, va all’infinito? In alternati-
va, cosa succede se l’ampiezza, h (= t/n), di ogni intervallo va a zero?
Chiaramente, dobbiamo far sì che i parametri binomiali r, δ, u e d cam-
bino al crescere di n. Ad esempio, il riskless return complessivo, relativo al
periodo t, è rn. Se r restasse invariato, mentre n va all’infinito, anche rn di-
venterebbe infinito. Avremmo così un riskless return arbitrariamente ele-
vato per il periodo (0, t), il che è chiaramente assurdo. In realtà, il riskless
return per il periodo (0, t) non dovrebbe essere influenzato dal modo in
cui dividiamo il periodo in sotto-intervalli. È invece ragionevole fissare il
ritorno complessivo per la scadenza t, che indicheremo con r’ (si noti che
utilizziamo il carattere corsivo r), e scegliere il ritorno periodale r in modo
che il ritorno complessivo, rn, sia uguale a rt. Così facendo si ha r = rt/n.
263
DERIVATI
1 2
La funzione di densità della normale standardizzata è n(x) ≡ e–x /2 e la
2π
h
probabilità che x cada nell’intervallo k < x < h è ⌠ n(x)dx. La funzione di di-
⌡ k
h
N(h) ≡ ⌠ n(x)dx. Pertanto,
stribuzione della normale standardizzata è
⌡ –∞
N(h) è la probabilità che x cada nell’intervallo –∞ < x < h.
∞ ∞
Si ha, inoltre, E(x) = ⌠ xn(x)dx = 0 e var(x) = ⌠ x2n(x)dx = 1.
⌡–∞ ⌡–∞
Tra le utili proprietà di N(h) figurano: N(−∞) = 0; N(∞) = 1; 0 ≤ N(h) ≤ 1;
N(−h) = 1 − N(h); N(−2) = 0,02275; N(−1) = 0,15866; N(0) = 0,5; N(1) =
0,84134 e N(2) = 0,97725.
Nella maggior parte dei casi, ai fini della valutazione delle opzioni, N(h) può
essere approssimata in base alla seguente regola
264
FORMULA BLACK-SCHOLES
h≡ t/n
Domanda: per dato t, se n → ∞ (o, in alternativa, se h → 0),
in che modo facciamo dipendere r, δ, u, d da n?
rn = r t ⇒ r = rt/n = rh δn = dt ⇒ δ = dt/n = dh
Per vedere perché la volatilità va moltiplicata per la radice quadrata del tem-
po, consideriamo il ritorno complessivo su n periodi: R ≡ S*/S. Il ritorno R è il
risultato di n osservazioni, xi, estratte in modo indipendente dalla stessa distri-
buzione probabilistica con varianza σ2, per cui R = x1·x2·...·xn. Dato che log(R)
= log(x1) + log(x2) + ... + log(xn), la varianza di log(R) è:
[q log(u ) + (1 − q ) log(d )] n
265
DERIVATI
Convergenza
Convergenza della volatilità –
Consideriamo i seguenti valori per u e d: u = eσ√h e d = 1/u. Questi valori
soddisfano diverse condizioni. Innanzitutto, u e d sono simmetrici, per cui
ud = 1. Inoltre, u, che è inizialmente maggiore di 1, si avvicina ad 1 col
diminuire di h; analogamente, d, che è inizialmente minore di 1, si avvicina
a 1 col diminuire di h. In altri termini, le dimensioni dei rialzi e dei ribassi
diventano sempre più piccole col ridursi dell’ampiezza degli intervalli.
In ogni intervallo, il valore atteso (locale) soggettivo del ritorno loga-
ritmico è pari a:
mh = q log(u ) + (1 − q ) log(d )
Sostituendo d = 1/u:
mh = q log( u ) − (1 − q ) log( u ) = ( 2q − 1) log( u )
v 2 h = σ 2 h [1 − (2q − 1) 2 ] ⇒ v 2 = σ 2 [1 − ( 2q − 1) 2 ]
266
FORMULA BLACK-SCHOLES
0,10
0,08
0,06
← →
0,04
0,02
0
0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30
Nodo finale (j = 0, . . ., n)
SS* * == 52 52 72
72 100
100 139
139 193
193
log(S **
log(S/S) /S) == –0,657
–0,657 –0,329
–0,329 00 0,329
0,329 0,657
0,657
mh − log(d ) 1 mh + σ h
q= =
log(u ) − log(d ) 2 σ h
1
per h → 0 : q → e quindi v → σ
2
267
DERIVATI
Queste probabilità sono riportate nella Figura 5.1. Possiamo vedere che, già
per un livello abbastanza piccolo di n (n = 30), la distribuzione è quasi nor-
male. Si può anche dimostrare che la media della distribuzione converge a
µ t = [log(r / d ) − ½ σ 2 ] t
− un risultato che dimostreremo e utilizzeremo tra poco.
268
FORMULA BLACK-SCHOLES
0,3
Binomiale – Black-Scholes
0,2
0,1
0
5 8 11 14 17 20 23 26 29 32 35 38 41 44 47 50 53 56 59 62 65 68 71 74 77 80 83 86 89 92 95 98
-0,1
Dimensione dell'albero (n)
-0,2
-0,3
269
DERIVATI
270
FORMULA BLACK-SCHOLES
Ai nostri fini, dato che vogliamo sapere cosa succede quando h → 0, possiamo
ignorare tutti i termini della serie di Taylor che sono di ordine h2 o superiore.
Per capirne il motivo, confrontiamo h con h2 quando h diventa piccolo. Se h
= 0,5, allora h2 = 0,25 e h/h2 = 2. Se h = 0,1, allora h2 = 0,01 e h/h2 = 10. È
chiaro che se h → 0, allora h/h2 → ∞.
Utilizzando l’approssimazione in serie di Taylor del primo ordine (h) −
1
f ( x + h) = f ( x) + (∂ f / ∂ x) h + (∂ 2 f / ∂ x 2 ) h 2 + ...
2
⇒ r/δ = (r / d ) h ≅ 1 + log(r / d ) h
ex+σ = e x + e x σ h + e x σ 2 h + ... ⇒ u = e σ
1 1
h h
≅ 1 + σ h + σ 2h
2 2
e x −σ = e x − e x σ h + e x σ 2 h + ... ⇒ d = e −σ
1 1
h h
≅ 1 − σ h + σ2h
2 2
Cd = C [S + (d − 1) S , t − h]
1
≅ C + (d − 1) S (∂ C / ∂ S ) + (d − 1) 2 S 2 (∂ 2C / ∂ S 2 ) − h (∂ C / ∂ t )
2
La «legge della dinamica» (law of motion) definisce il modo in cui una va-
riabile passa da un valore a quello successivo. Nel caso del modello bino-
miale in cui:
C = [ pC u + (1 − p ) Cd ] / r dove p ≡ [(r/δ) − d ) /( u − d )
271
DERIVATI
Cd = C [S + (d − 1) S , t − h]
1
≅ C + (d − 1) S (∂ C / ∂ S ) + (d − 1) 2 S 2 (∂ 2C / ∂ S 2 ) − h (∂ C / ∂ t )
2
r/δ = (r / d ) h = 1 + log(r / d ) h
u = eσ
1
h
= 1 + σ h + σ 2h
2
d = e −σ
1
h
= 1 − σ h + σ2h
2
C = Sd −t N ( x) − Kr −t N ( x − σ t ) dove x ≡ [log(S d −t / K r −t ) /( σ t )] + σ t
1
2
272
FORMULA BLACK-SCHOLES
1
p [C + (u − 1) S (∂ C / ∂ S ) + (u − 1) 2 S 2 (∂ 2C / ∂ S 2 ) − h (∂ C / ∂ t )]
2
1
+ (1 − p ) [C + (d − 1) S (∂ C / ∂ S ) + (d − 1) 2 S 2 (∂ 2C / ∂ S 2 ) − h (∂ C / ∂ t )] − r C
2
=0
Per semplificare, raccogliamo separatamente i termini che riguardano C,
∂C/∂t, ∂C/∂S e ∂ 2C/∂S 2:
C pC + (1 − p ) C − r C = −(r − 1) C
∂C/∂t − p h (∂ C / ∂ t ) − (1 − p ) h (∂ C / ∂ t ) = − h (∂ C / ∂ t )
p ( u − 1) S (∂ C / ∂ S ) + (1 − p ) (d − 1) S (∂ C / ∂ S )
∂C/∂S
Termini in
= {[ p u + (1 − p) d ] − 1} S (∂ C / ∂ S ) = [(r/δ) − 1] S (∂ C / ∂ S )
1 1
p (u − 1) 2 S 2 (∂ 2C / ∂ S 2 ) + (1 − p ) (d − 1) 2 S 2 (∂ 2C / ∂ S 2 )
2 2
1
∂ 2C/∂S 2 = [ p ( u − 1) 2 + (1 − p ) (d − 1) 2 ] S 2 (∂ 2C / ∂ S 2 )
2
1
= (r/δ) (u + d − 2) S 2 (∂ 2C / ∂ S 2 )
2
Per completare la dipendenza di questi termini da h, facciamo le analoghe
sostituzioni per r, r/δ, u e d:
C −( r − 1) C = − log( r ) h C
∂C/∂S [(r/δ) − 1] S (∂ C / ∂ S ) = log(r / d ) h S (∂ C / ∂ S )
1
(r/δ)(u + d − 2) S 2 (∂ 2C / ∂ S 2 )
2
= [1 + log(r / d ) h]
Termini in
1 1
× [1 + σ h + σ 2 h + 1 − σ h + σ 2 h − 2]
2 2
2 2
∂ C/∂S 1
× S 2 (∂ 2 C / ∂ S 2 )
2
1
= [1 + log(r / d ) h] σ 2 h S 2 (∂ 2C / ∂ S 2 )
2
1
= σ 2 h S 2 (∂ 2C / ∂ S 2 )
2
Sommando tra loro i termini in ∂2C/∂S2, ∂C/∂S, ∂C/∂t e C, otteniamo:
1
σ 2 h S 2 (∂ 2C / ∂ S 2 ) + log( r / d ) h S (∂ C / ∂ S ) − h (∂ C / ∂ t ) − log( r ) h C = 0
2
Infine, dividendo tutto per h:
1 2
σ S 2 (∂ 2C / ∂ S 2 ) + log( r / d ) S (∂ C / ∂ S ) − (∂ C / ∂ t ) − log( r ) C = 0
2
Formula Black-Scholes
Sul finire degli anni ‘60 e all’inizio degli anni ‘70, Myron Scholes e
Fischer Black lavoravano insieme al MIT per risolvere il problema della
valutazione delle opzioni. Lo analizzarono da due diverse prospettive.
Dapprima utilizzarono un modello d’equilibrio (il capital asset pricing
model) e poi un’argomentazione di arbitraggio proposta dal loro collega
Robert Merton, che aveva lavorato allo stesso problema insieme a Paul
273
DERIVATI
La formula Black-Scholes
log(S d −t /K r −t )
C = Sd −t N(x) − Kr −t N(x − σ t ) dove
1
x≡ + σ t
σ t 2
r = r t / n , δ = d t / n , u = eσ t /n
, d = 1/ u
Sostituendo r, δ, u e d, otteniamo:
274
FORMULA BLACK-SCHOLES
mente in-the-money (ossia, S* > K). In tal caso, la volatilità deve essere
nulla ed il prezzo dell’attività sottostante deve crescere ad un tasso annuo
pari a r/d – 1.
Per capirne il motivo, ricordiamoci che Black e Scholes assumono che
la distribuzione risk-neutral del logaritmo del ritorno, log(S*/S), sia log-
normale. In tal caso, c’è una piccola probabilità che log(S*/S) possa essere
pari ad un numero negativo arbitrariamente grande. Di conseguenza, il ri-
torno S*/S (e quindi lo stesso S*) potrebbe essere arbitrariamente prossimo
a 0. Ma se S* può essere prossimo a zero, non possiamo essere sicuri in anti-
cipo che la call finisca in-the-money. L’unico modo per essere sicuri che la
call finisca in-the-money è che la distribuzione normale abbia volatilità
nulla. In tal caso il ritorno è privo di rischio. Pertanto, se siamo sicuri che
S* > K, allora σ = 0 e S* = S(r/d)t. In tal caso:
log(S d −t / K r −t ) 1 log(S * / K )
x≡ + σ t =
σ t 2 0
S d −t N ( x) − K r −t N ( x − σ t ) = S d −t (1) − K r −t (1) = S d −t − K r −t
Questo è esattamente il valore che una call europea deve avere, in assenza
di opportunità di arbitraggio, se siamo sicuri che finisca in-the-money.
Ragionando in modo analogo, se sappiamo che la call finirà certamente
out-of-the-money (S* < K), allora x =−∞ e N(x) = N(x − σ t) = 0. In tal ca-
so:
S d − t N ( x ) − K r − t N ( x − σ t ) = S d − t ( 0) − K r − t ( 0) = 0
Questo è esattamente il valore che una call europea deve avere, in assenza
di opportunità di arbitraggio, se siamo sicuri che finisca out-of-the-money.
Più in generale, non sappiamo in anticipo se l’opzione finirà in-the-
money o out-of-the-money. In generale, allora, il valore Black-Scholes è pari
alla differenza tra il valore attuale dei benefici alla scadenza (Sd−t) e il valore
attuale dei costi di esercizio (Kr−t), ciascuno ponderato con un numero com-
preso tra 0 e 1. Maggiore è la probabilità risk-neutral di esercizio, maggiori
–
sono questi pesi. In realtà, si può dimostrare che il secondo peso, N(x − σ√ t ),
è esattamente pari alla probabilità di esercizio risk-neutral, prob(S* > K),
mentre il primo, N(x), è pari a E[(S*r−t/Sd−t) | S* > K] × prob(S* > K).
Infine, il delta della call è la derivata ∂C/∂S, che risulta pari a d−tN(x).
Pertanto, i termini della formula Black-Scholes corrispondono esattamente
a quelli presenti nel portafoglio equivalente.
275
DERIVATI
P = [ S d −t N ( x) − K r −t N ( x − σ t )] − S d −t + K r −t
= K r − t [1 − N ( x − σ t )] + S d − t [ N ( x) − 1]
P = K r −t [ N (− x + σ t )] − S d −t [ N ( − x )]
P = K r −t N ( y + σ t ) − S d −t N ( y )
Possiamo quindi pensare che il valore di un’opzione, sia essa una call o una
put, dipenda solo da tre numeri: Sd−t, Kr−t e σ t. Come dovevamo aspettar-
ci, le variazioni del prezzo del sottostante, del payout return, del prezzo
d’esercizio e del riskless return hanno effetti opposti sul valore della call e
della put. Inoltre, la vita residua, t, influenzerà il valore dell’opzione in tre
modi: attraverso la sua influenza diretta sugli effetti del payout return, d,
del riskless return, r, e della volatilità, σ.
Si noti inoltre che il riskless return, r, entra nella formula in due modi:
(1) nel valore attuale di K [che moltiplica N(x − σ t) o N(y + σ t)];
(2) nelle definizioni di x e y.
Nel primo caso r svolge il ruolo di fattore di attualizzazione; nel secondo
fissa il tasso di crescita risk-neutral del prezzo del sottostante (cum pa-
youts).
Analogamente, il payout return, d, entra nella formula in due modi:
(1) nel valore attuale di S [che moltiplica N(x) o N(y)];
(2) nelle definizioni di x e y.
276
FORMULA BLACK-SCHOLES
∫[log(( SKe/ S ) −µ t ] / σ− Kt ) n ( X ) d x
µ t +σ t x
E (C * ) =
Il valore atteso del payoff dell’opzione è stato calcolato in base alle proba-
bilità risk-neutral. Il valore atteso risk-neutral del ritorno (ex payout) del
sottostante, E(R), è pari al ritorno di un investimento sulla moneta, defla-
zionato in base al payout return, (r/d)t. Come abbiamo visto, ciò equivale,
nel caso di ritorni log-normali, ad uguagliare il valore atteso del logaritmo
del ritorno, µt = E[log (R)], a [log (r/d) − ½σ2] t.30
Sostituiamo ora [log(r/d) − ½σ2] t a µt sia nel primo integrando sia
nei limiti inferiori degli intervalli di integrazione dei due integrali. La fun-
zione esponenziale che figura nel primo integrando diventa:
eµ t + σ = e[log(r / d ) −½σ ]t + σ t x
= (r / d ) t e −½σ t +σ t x
2 2
tx
277
DERIVATI
E (C * ) ∞ − ½σ 2 t + σ t x ∞
C=
r t
= S d −t ∫a e n( x ) dx − Kr − t ∫a n( x) dx
Utilizzando le proprietà di simmetria della distribuzione normale standar-
dizzata, secondo cui l’integrale da a a +∞ è uguale all’integrale da −∞ a
−a, possiamo invertire i limiti di integrazione in modo che i limiti inferiori
siano −∞ e i limiti superiori siano:
log(S d −t / K r −t ) 1
−a = − σ t
σ t 2
Sommario: derivazione
La formula Black-Scholes può essere ricavata come limite del modello bi-
nomiale standard facendo crescere all’infinito il numero degli intervalli, a
parità di vita residua dell’opzione, o, in modo equivalente, facendo tendere
a zero l’ampiezza di ciascuno degli intervalli. L’accorgimento da utilizzare
è quello di far dipendere nel modo giusto la dimensione dei rialzi e dei ri-
bassi dal numero degli intervalli. Dobbiamo fare in modo che, al crescere
del numero degli intervalli, la dimensione assoluta dei rialzi e dei ribassi
diventi più piccola. Se operiamo nel modo giusto, la distribuzione probabi-
listica alla fine dell’albero binomiale, quando il numero degli intervalli ten-
de all’infinito, si conforma gradualmente alla forma della distribuzione di
una variabile casuale log-normale risk-neutral − che è la distribuzione ipo-
tizzata da Black e Scholes. Di conseguenza, il valore dell’opzione diventa
sempre più vicino al valore Black-Scholes. Fortunatamente, ci vuole un
numero di intervalli relativamente piccolo prima che il valore binomiale ed
il valore Black-Scholes diventino molto vicini. La convergenza verso il
modello Black-Scholes è stata anche dimostrata in termini di volatilità, di
distribuzione e di dinamica.
278
FORMULA BLACK-SCHOLES
279
DERIVATI
Delta: ∂C / ∂S = d − t N ( x ) ≡ ∆ > 0
∂P / ∂S = d − t [N ( x ) − 1] ≡ ∆ < 0
Gamma: ∂C 2 / ∂S 2 = ∂P 2 / ∂S 2 = d − t / (Sσ t )n( x ) ≡ Γ > 0
Omega: (∂C / C ) / (∂S / S ) = (S / C )d − t N ( x ) ≡ Ω > 0
(∂P / P ) / (∂S / S ) = (S / P )d − t [N ( x ) − 1] ≡ Ω < 0
Theta: − ∂C / ∂t = Sd − t log(d )N ( x ) − Kr − t log(r )N ( x − σ t ) − σSd − t / (2 t )n( x ) ≡ Θ
− ∂P / ∂t = −Sd − t log(d )N ( − x ) + Kr − t log( r )N ( − x + σ t ) − σSd − t / (2 t )n( x ) ≡ Θ
Vega: ∂C / ∂σ = ∂P / ∂σ = Sd − t t n( x ) > 0
Rho: ∂C / ∂r = t K r − (t + 1)N ( x − σ t ) > 0
∂P / ∂r = t K r − (t + 1) [N ( x − σ t ) − 1] < 0
Lambda: ∂C / ∂d = −t S d − (t + 1)N ( x ) ≡ Λ < 0
∂P / ∂d = −t S d − (t + 1) [N ( x ) − 1] ≡ Λ > 0
Analogamente, il delta della put è uguale al delta della call meno d−t (o
semplicemente meno 1 se il payout return è uguale a 1). Prima della scaden-
za, 0 < N(x) < 1, per cui il delta della call è positivo mentre il delta della put
è negativo − esattamente quello che dovevamo aspettarci in base alla no-
stra precedente analisi degli aspetti statici dei portafogli equivalenti.
Non possiamo assegnare un segno univoco al theta (−∂C/∂t o −∂P/∂t),
perché l’allungamento della vita residua può abbassare il valore dell’op-
zione a causa della presenza dei payouts, nel caso di una call, e a causa
dell’effetto del riskless return, nel caso della put. Si noti che l’equazione
differenziale fondamentale di Black e Scholes vincola la relazione tra valo-
re dell’opzione, delta, gamma e theta:
1 2 2
σ S Γ + log( r / d ) S ∆ + Θ − log( r ) C = 0
2
Il gamma di una put è uguale al gamma di una call, così come il vega di
una put è uguale al vega di una call. Gamma e vega sono sempre positivi, a
causa della convessità dei payoffs.
Come si può vedere dalle formule, il gamma e il vega sono strettamente
legati tra loro; in effetti, vega = Γ × S2σ t.
Nel caso delle opzioni con uguale scadenza ma con strikes diversi, il
vega cambia proporzionalmente al gamma. È per questo che gli option
traders parlano del gamma come se misurasse il loro rischio di volatilità.
In un breve intervallo di tempo, il ritorno delle opzioni è approssimato
dal ritorno del portafoglio equivalente (ovvero è “localmente equivalente” al
ritorno del portafoglio equivalente). Possiamo utilizzare questa relazione per
calcolare il ritorno atteso, la volatilità e il beta dell’opzione (Tavola 5.3).
280
FORMULA BLACK-SCHOLES
βC = Ωβ σC = Ωσ
La logica che è dietro queste formule può essere compresa in modo
intuitivo considerando le formule per la volatilità ed il beta del
portafoglio che è localmente equivalente all'opzione:
281
DERIVATI
Ipotesi:
(1) il prezzo dell'attività sottostante è soggettivamente log-normale (per
qualsiasi orizzonte temporale, h) con ritorno atteso annuo pari a m
(2) in qualsiasi data futura (trascorso l'intervallo h), l'opzione viene
valutata in base alla formula Black-Scholes: C = C(S, K, t – h, r, d, σ)
∞
E (C | h ) = ∫ [Se d h − t N ( x ) − Kr h −t N ( X − σ t − h )]f ( X ;µh , σ h )dX
X
Tesi:
−∞
1
dove : µ = log(m ) − 2 σ 2
x ≡ log(Se X d h − t Kr h −t )/(σ t − h ) + 2 σ t − h
1
E (C | h ) = C (Sd − h m h , Kr h , t , r , d , σ)
Il valore atteso dell'opzione è pari al valore corrente ottenuto inserendo
nella formula Black-Scholes un prezzo del sottostante pari a Sd–hmh ed
un prezzo d'esercizio pari a Krh.
−(X − µt)2/2σ2t
dove f (X) ≡ [1/(σ 2π t)]e .
282
FORMULA BLACK-SCHOLES
Delta
La Tavola 5.5 riporta alcune informazioni sul delta di un portafoglio.
Il delta di una call è sempre non negativo ed il delta di una put è sem-
pre non positivo. In entrambi i casi, il delta rappresenta la derivata del va-
lore dell’opzione rispetto al prezzo del sottostante. Indicando il valore cor-
283
DERIVATI
rente dell’opzione con V (sia essa una call o una put), ∆ = ∂V/∂S indica il
delta dell’opzione. Possiamo anche parlare di delta dello stesso sottostante;
in tal caso, V rappresenta il valore dell’attività sottostante, S. Dato che la
derivata di una variabile rispetto a se stessa è pari a 1, il delta del sottostan-
te è sempre pari a 1. Invece, il delta di una posizione sulla moneta è sempre
pari a 0.
Consideriamo ora un portafoglio composto da due di questi titoli: calls,
puts, attività sottostante, moneta. Supponiamo di comprare n1 unità del
primo titolo con valore corrente unitario V1 e n2 unità del secondo con va-
lore corrente unitario V2. Valori positivi di n1 o n2 corrispondono ad un ac-
quisto; valori negativi corrispondono ad una vendita allo scoperto. Il valore
corrente del portafoglio è semplicemente pari a n1V1 + n2V2.
La domanda ora è: qual è il delta del portafoglio? Vogliamo che il delta
del portafoglio misuri la variazione di valore del portafoglio conseguente
ad un piccolo aumento del prezzo del sottostante. Pertanto, il delta del por-
tafoglio è pari a ∂(n1V1 + n2V2)/∂S. Dato che la derivata di una somma è
pari alla somma delle derivate, possiamo esprimere il delta del portafoglio
nel modo seguente:
∂ (n1V1 + n2V2 ) / ∂ S = n1 (∂ V1 / ∂ S ) + n2 (∂ V2 / ∂ S ) = n1∆1 + n2 ∆ 2
284
FORMULA BLACK-SCHOLES
285
DERIVATI
1,2
t = 1
r = 1,15
1 d = 1,00
σ = 0,3
0,8
Delta
0,6
Call
K = 90
Call
0,4
K = 110
Bull
0,2
Spread
0
50 55 60 65 70 75 80 85 90 95 100 105 110 115 120 125 130 135 140 145 150
Prezzo dell'attività sottostante ($)
Delta hedging
La Figura 5.3 mostra come il delta Black-Scholes di una call dipende dalla
relazione tra il prezzo corrente del sottostante ed il prezzo d’esercizio.
Quando la call diventa out-of-the-money (S < K), il delta tende a 0 mentre
quando diventa in-the-money (S > K), il delta tende a 1. In prima approssi-
mazione, il delta è pari a 0,5 quando S = K(r/d)−t. Nel grafico, questo si ve-
rifica quando S = $78 nel caso della call con strike di $90 e quando S = $95
nel caso della call con strike di $110.
Il delta di un bull spread mediante calls (una call lunga con strike di
$90 ed una call corta con strike di $110) oscilla molto meno rispetto a cia-
scuna delle due calls considerate separatamente − proprio quello che do-
vemmo aspettarci dal una posizione coperta. Quando cresce il delta di una
call, la crescita è almeno in parte compensata della crescita del delta
dell’altra call. È facile vedere che il delta del bull spread è semplicemente
pari alla differenza tra le curve che rappresentano i delta delle due calls, a
conferma del fatto che il delta del portafoglio è pari alla somma ponderata
dei delta dei titoli che lo compongono. In questo caso i pesi sono 1 e −1.
La nostra regola secondo cui il delta di una call è pari a 0,5 quando S =
K(r/d)−t deriva da una rapida analisi del delta Black-Scholes:
286
FORMULA BLACK-SCHOLES
log(S d −t / K r −t ) 1
∆ = d -t N ( x ) dove x ≡ + σ t
σ t 2
⎛1 ⎞
∆ = d -t N ⎜ σ t ⎟
⎝2 ⎠
Gamma di un portafoglio
La Tavola 5.7 riporta alcune informazioni sul gamma di un portafoglio.
I gamma di calls e puts sono sempre non negativi. Il gamma rappresen-
ta la derivata del delta dell’opzione rispetto al prezzo del sottostante. Se ∆
è il delta dell’opzione (sia essa una call o una put), il gamma dell’opzione
è definito da Γ = ∂∆/∂S. Possiamo anche parlare di gamma dello stesso sot-
tostante; in tal caso, ∆ rappresenta il delta dell’attività sottostante. Dato che
il delta dell’attività sottostante è 1 ed essendo la derivata di una costante
pari a 0, il gamma dell’attività sottostante è sempre pari a 0. Analogamen-
te, il gamma della moneta è sempre pari a 0.
Consideriamo ora un portafoglio composto da due di questi titoli: calls,
puts, attività sottostante, moneta. Supponiamo di comprare n1 unità del
primo titolo con delta unitario ∆1 e n2 unità del secondo con delta unitario
∆2. Valori positivi di n1 o n2 corrispondono ad un acquisto; valori negativi
287
DERIVATI
Gamma hedging
La Figura 5.4 mostra che, in prima approssimazione, il gamma di una call
raggiunge il punto di massimo quando il prezzo corrente, S, del sottostante
è prossimo al valore attuale del prezzo d’esercizio aggiustato per tener con-
to dei dividendi, K(r/d)−t. Nel caso di una call con strike di $90, il punto di
massimo si ha per S = $78, mentre per la call con strike di $110 si ha per S
= $95. In effetti, quando il prezzo del sottostante è vicino a questi livelli, è
difficile replicare la call con un portafoglio composto dal sottostante e dal-
la moneta. I delta-neutral traders sono spesso molto preoccupati per i loro
portafogli quando il gamma è molto alto, dato che in questi casi la replica è
molto difficile. Inoltre, in questi casi, sono molto esposti alle variazioni di
volatilità ed alle improvvise discontinuità dei prezzi del sottostante.
Di conseguenza, questi traders cercheranno sia di essere delta neutral sia
di avere un basso gamma. Come si vede nel grafico, il bull spread ha un
gamma sempre più basso di quello della call lunga. Pertanto, le opzioni pos-
288
FORMULA BLACK-SCHOLES
0,02
t = 1
r = 1,15
0,015 d = 1,00
σ = 0,3
0,01
Gamma
Call
0,005
K = 90
Call
0
50 55 60 65 70 75 80 85 90 95 100 105 110 115 120 125 130 135 140 145 150 K = 110
Bull
-0,005
Spread
-0,01
Prezzo dell'attività sottostante ($)
sono essere utilizzate per ridurre il gamma del portafoglio. In effetti, quando
il prezzo del sottostante è pari a $83, il gamma del bull spread è nullo. In ba-
se alla Figura 5.3, il delta del bull spread per S = $83 è uguale a 0,27. Pertan-
to, combinando il bull spread con una posizione corta di 0,27 unità del sotto-
stante, il delta e il gamma del portafoglio sono entrambi nulli.
È anche facile vedere che il gamma del bull spread è semplicemente
pari alla differenza tra le curve che rappresentano i gamma delle due calls,
a conferma del fatto che il gamma del portafoglio è pari alla somma ponde-
rata dei gamma dei titoli che lo compongono.
Possiamo anche imparare qualcosa circa i portafogli delta-neutral se
esaminiamo l’equazione differenziale di Black-Scholes:
1 2 2
σ S Γ + log(r / d ) S ∆ + Θ − log(r ) C = 0
2
289
DERIVATI
5.3 ESTENSIONI
Opzioni su futures
Combinando la forward-spot parity per un contratto futures, F = S(r/d)T,
con la formula Black-Scholes per una call scritta sullo stesso sottostante, è
possibile ricavare la formula, tipo Black-Scholes, per una call scritta su un
futures.31
Come al solito, t è la vita residua dell’opzione. La vita residua del con-
tratto futures sottostante è T ≥ t. Alla data di scadenza dell’opzione, la vita
residua del futures è T − t, per cui a quella data il prezzo futures è F* =
S*(r/d)T−t.
Una call europea, con prezzo d’esercizio K, scritta su un futures ha un
payoff pari a max[0, F* − K], dopo che è trascorso il tempo t. Pertanto, il
payoff della call è:
max[0, S * (r / d )T − t − K ]
Un accorgimento utilizzato per valutare le opzioni con payoffs insoliti è
quello di cercare di convertirne il payoff in qualcosa che rassomigli ad una
call sul sottostante. Nel nostro caso, terremo conto del fatto che:
290
FORMULA BLACK-SCHOLES
Ora t (S *, F *) T
Formula di Black
Riconsideriamo il nostro risultato: il valore corrente di una call scritta su
un contratto futures è uguale al valore corrente di (r/d)T−t calls, con prezzo
d’esercizio K(d/r)T−t e vita residua t, scritte sul sottostante.
La formula Black-Scholes per una call con prezzo d’esercizio K e vita re-
sidua t, è:
C = S d −t N ( x) − K r −t N ( x − σ t )
con
log( X r f−t / K r −t ) 1
x≡ + σ t
σ t 2
Per valutare una call, con prezzo d’esercizio K(d/r)T−t, sostituiamo sempli-
cemente il K della formula, quale esso sia, con K(d/r)T−t, e per valutare
291
DERIVATI
C = ( r / d )T − t [ S d −t N ( x ) − K (d / r )T − t r −t N ( x − σ t )]
C = ( r / d )T − t [ F ( d / r )T d −t N ( x) − K (d / r )T − t r −t N ( x − σ t )]
C = r −t [ F N ( x) − K N ( x − σ t )]
con x ≡ [1og(F/K) ÷ σ t] + ½ σ t.
Dato che questa formula è stata originariamente pubblicata da Fischer
Black nel 1976, è ora nota come formula di Black.
Osserviamo che il payout return, d, è scomparso dalla formula. Quando
si valutano le opzioni su futures, d è sintetizzato dal prezzo futures corren-
te, F. Si noti inoltre che il riskless return, r, appare solo una volta, nel suo
ruolo di fattore di attualizzazione del valore atteso risk-neutral del futuro
payoff, [FN(x) − KN(x − σ t)]. Il suo secondo ruolo di contribuire a deter-
minare il tasso di crescita risk-neutral del prezzo del sottostante è sintetiz-
zato da F.
Possiamo utilizzare la formula Black-Scholes per le spot options, pro-
grammata nel nostro computer, per valutare anche le futures options se re-
interpretiamo due delle variabili di input. Al posto del prezzo spot del sot-
tostante, inseriamo il prezzo futures:
S⇐F
e al posto del payout return, inseriamo il riskless return:
d⇐r
Non è invece necessario sostituire la volatilità del prezzo spot con la vola-
tilità del prezzo futures. Potrebbe sembrare sorprendente ma, se non esisto-
no opportunità di arbitraggio, la volatilità di queste due variabili deve esse-
re la stessa. Infatti, dato che F = S(r/d)T e F* = S*(r/d)T−t:
F * / F = ( S * / S )(r / d ) −t
292
FORMULA BLACK-SCHOLES
Opzioni su valute
Formula di Garman e Kohlhagen
La formula binomiale per le opzioni su valute tende ad una formula di tipo
Black-Scholes:
C = X r f−t N ( x ) − K r −t N ( x − σ t )
log( X r f− t / K r − t ) 1
dove x ≡ + σ t
σ t 2
Generalizzazioni
Abbiamo visto nel Capitolo 4 che il modello binomiale standard per la
valutazione delle opzioni può essere facilmente modificato nel caso in cui
i parametri (r, δ, u e d) dipendono dal tempo ma sono comunque perfetta-
mente prevedibili.
Prendendo il limite in tempo continuo della formula binomiale, otte-
niamo di nuovo la formula Black-Scholes, fatta eccezione per il fatto che
293
DERIVATI
294
FORMULA BLACK-SCHOLES
0,12
Normale
Simmetrica - leptocurtica
0,1
Asimmetrica negativa
0,08
Probabilità
0,06
0,04
0,02
0
-4,0 -3,6 -3,2 -2,8 -2,4 -2,0 -1,6 -1,2 -0,8 -0,4 0,0 0,4 0,8 1,2 1,6 2,0 2,4 2,8 3,2 3,6 4,0
Ritorni logaritmici standardizzati
295
DERIVATI
Sommario: estensioni
Quando vogliamo valutare le futures options con il modello binomiale,
possiamo semplicemente utilizzare il modello per le spot options sosti-
tuendo il prezzo spot con il prezzo futures, il payout return con il riskless
return e la volatilità del prezzo spot con la volatilità del prezzo futures.
Non dovrebbe quindi sorprendere che la formula Black-Scholes per le spot
options possa essere trasformata nella formula per le futures options. Ana-
logamente, la formula Black-Scholes per le spot options può essere tra-
sformata anche nella formula per le currency options effettuando alcune
semplici sostituzioni.
Per ricavare la formula Black-Scholes, abbiamo assunto che il riskless
return, il payout return e la volatilità siano non solo noti in anticipo ma
siano anche costanti durante la vita dell’opzione. Tuttavia, reinterpretando
alcune delle variabili di input, è facile generalizzare la formula per consen-
tire a queste variabili di assumere valori non costanti, ossia di cambiare in
modo prevedibile col passare del tempo. In breve, il riskless return può
essere sostituito dal ritorno su base annua di uno zero-coupon bond privo
di rischio con rimborso alla data di scadenza dell’opzione. Il payout return
può essere sostituito dal payout return medio e la volatilità dalla volatilità
media.
Abbiamo infine riesaminato le cinque assunzioni utilizzate per ricavare
la formula Black-Scholes: assenza di opportunità di arbitraggio; mercati
perfetti; certezza dei futuri riskless returns e payout returns; certezza della
futura volatilità; assenza di discontinuità nei prezzi del sottostante. Pur
senza dare formule esatte di valutazione, abbiamo esaminato gli effetti
qualitativi della rimozione delle ultime due assunzioni.
CONCLUSIONI
Nel 1973, Fischer Black e Myron Scholes pubblicarono il loro articolo su
“The Pricing of Options and Corporate Liabilities”. Questo lavoro, che rap-
presenta il più significativo contributo all’economia finanziaria dai tempi
del lavoro di Harry Markowitz sulla selezione di portafoglio, ha stimolato
migliaia di articoli e libri sui derivati, incluso questo, ed ha senza dubbio
alimentato la diffusione dei derivati presso gli investitori. Black e Scholes
296
FORMULA BLACK-SCHOLES
28
Il secondo metodo assume che la dimensione del rialzo, u, sia fissa e indipendente dal numero
degli intervalli, n, ma che la dimensione del ribasso, d, diventi sempre più vicina ad 1 col cre-
scere di n. Per evitare che, al limite, il prezzo del sottostante tenda all’infinito, la probabilità
risk-neutral di rialzo tende a 0 al crescere di n e la probabilità risk-neutral di ribasso tende a 1.
Questo metodo comporta «sentieri campionari a denti di sega» (saw-tooth sample paths), che
sono chiaramente irrealistici per quasi tutte le attività sottostanti (in alternativa, la dimensione
del ribasso è fissa e la dimensione del rialzo diventa sempre più vicina ad 1 col crescere di n).
29
Le opzioni che non sono correntemente at-the-money convergono rapidamente ma non necessa-
riamente in modo monotono.
30
Naturalmente, per utilizzare questa relazione dobbiamo assumere che i mercati siano perfetti,
che i futuri spot returns siano noti e che il sottostante non venga detenuto per fini di consumo
o di produzione.
31
Nella precedente analisi abbiamo fatto uso delle seguenti proprietà della variabile casuale, X,
distribuita in modo log-normale:
E ( X ) = e µ +½ σ
2
297
DERIVATI
dove x ≡ log(X) e
1 ∞ 1 ∞ 1
e −( x −µ ) /( 2σ ) E ( X ) = ∫−∞ e e − ( x −µ ) ∫−∞ σ e − ( x −µ )
2 2 2
/( 2 σ 2 ) 2
/( 2σ 2 ) + x
f ( x) ≡ x
dx = dx
σ 2π σ 2π 2π
Dato che l’esponente di e è pari a µ + ½σ2 − (x − µ − σ2)2/2σ2
∞
1
E ( X ) = e µ +½ σ ∫ e −[ x − (µ −σ ) dx =e µ +½ σ
2
] /(2σ 2 )
2 2 2
−∞ σ 2π
∞
∫
f ( x) dx = 1 e (µ − σ) può essere interpretato
2
L’integrale deve essere pari a 1 dato che
−∞
come una costante, al pari di µ.
32
Queste assunzioni sono sufficienti ma non necessarie affinché la formula Black-Scholes sia
valida. Anche se esse individuano probabilmente la strada migliore, la formula può essere rica-
vata sulla base di altre assunzioni. Possiamo ritenere, ad esempio, che in molti casi l’assenza
dei costi di transazione sia una ragionevole approssimazione della realtà, dato che i costi di
transazione sono spesso poco importanti se confrontati ad altre variabili di rilievo. Ad esempio,
quando le nostre relazioni generali di arbitraggio non dipendevano da strategie dinamiche ma
da strategie statiche, non c’erano problemi. Purtroppo, il modo in cui abbiamo ricavato la for-
mula Black-Scholes richiede una continua revisione dei pesi del portafoglio equivalente. In ta-
le contesto, l’assumere che i costi di transazione siano nulli può farci sentire un po’ a disagio.
Fortunatamente, c’è anche un’altra strada che ci porta alla formula Black-Scholes, basata su
una strategia statica e su una limitata espansione del numero di titoli disponibili. Questo se-
condo approccio richiede assunzioni più stringenti circa la dinamica del prezzo del sottostante
e nuove assunzioni circa l’avversione al rischio del mercato. Ma ci porterebbe ben oltre gli
scopi di questo libro.
298
6
Volatilità
299
DERIVATI
Ora t Asse
h ... ... del
0 1 2 k n–1 n tempo
Random Walk Model: supponiamo che r1, r2, ... , rk, ... , rn–1, rn sia una
serie storica di asset returns. Assumiamo che ogni osservazione sia
stata estratta dalla stessa distribuzione probabilistica (log-normale).
L'intervallo campionario è h ≡ t/n ed il periodo di osservazione è t.
L'ultimo prezzo osservato è Sn ed il primo è S0. Trascurando i payouts:
Sn = S0 × r1 × r2 × ...× rk ×...× rn–1 × rn
Siano µh e σ h la media e la deviazione standard di popolazione di
log(rk), distribuito in modo normale. Siano µ e σ le stime campionarie di
µ e σ.
Quest’ultima uguaglianza richiede che i ritorni non siamo correlati tra loro.
Per ipotesi, le varianze sono costanti e pari a var[log(r)]. La loro somma è
quindi pari a 12 × var[log(r)]. Pertanto, σ2(1/12) = var[log(r)].
Sfortunatamente, nessuno può dirci quali siano in realtà µ e σ. Quello
che possiamo fare è una ragionevole stima. Abbiamo a disposizione la se-
rie storica degli n ritorni r1, r2, ..., rk, ..., rn-1, rn, dove r1 è l’osservazione
più lontana e rn è quella più vicina. Vogliamo utilizzare queste osservazio-
ni per stimare µ e σ. Le nostre supposizioni rappresentano «stime campio-
narie» (sample estimates). Verranno indicate con µ̄ e σ̄ per distinguerle dai
veri parametri, µ e σ, che sono però ignoti. È come se fossimo stati chiama-
ti ad investigare su un omicidio, avendo a disposizione come unici indizi i
ritorni osservati storicamente. Il vero assassino è (µ, σ) e, sulla base degli
indizi, noi accusiamo (µ̄, σ̄).
300
VOLATILITÀ
301
DERIVATI
Prendendo le aspettative:
E ( µ h ) = E[ µ h + σ h ( ∑ k ε k ) / n] = E (µh) + E[σ h( ∑ k ε k ) / n]
µh + σ h [ ∑ k E (ε k )] / n]
Ma dato che E(εk) = 0, questo secondo termine si annulla, per cui E(µ̄h) = µh.
Mettendo in evidenza h e semplificando, si ha E(µ̄) = µ.
Vogliamo ora dimostrare che var(µ̄) = σ2/t. Dato che E(µ̄h) = µh:
var(µ h) = E[(µ h − µ h) 2 ] = E{[µ h + σ h ( ∑ k ε k ) / n − µ h ]2 }
= E{[σ h (∑ ε k ) / n]2 } = σ 2 hn − 2 E[(∑ ε k ) 2 ]
k k
var(µh) = σ 2 hn −2 E[( ∑ k ε k ) 2 ] = σ 2 hn −2 n = σ 2 hn −1
Mettendo in evidenza h, var(µ̄) = h−2 σ2h n−1 = σ2 (hn)−1 = σ2/t.
Si noti inoltre che, se log(rk) è una variabile casuale normale, µ̄h è la
somma di variabili casuali normali, divisa per una costante. Pertanto, anche
la media campionaria è distribuita in modo normale. A parte quest’ultima
osservazione, i risultati che abbiamo appena ottenuto per µ̄h sono validi
anche se εk non è una variabile casuale normale, a condizione che la sua
media sia 0, la sua varianza sia 1 e che non sia serialmente correlata.
302
VOLATILITÀ
σ 2 h ≡ {∑ k [log(rk ) − µ h ]2 } / (n − 1)
σ 2h ≡ [ ∑ k (µh + σ hεk − µ h) 2 ] / (n − 1)
= [ ∑ (µh + σ hε k − µh − σ h ∑ ε k / n ) 2 ] / (n − 1)
k k
= [ ∑ (σ hε k − σ h ∑ ε k / n ) 2 ] / (n − 1) = σ2h(n − 1)− 1[ ∑ (ε k − ∑ ε k / n ) 2 ]
k k k k
= σ2h(n − 1)−1{∑ [ε 2k − 2ε k ∑ ε k / n + (∑ ε k / n )2 ] }
k k k
Al pari di µ̄, anche σ¯2 è uno stimatore corretto; in altri termini, E(σ¯2) =
2
σ . La dimostrazione è riportata nella Tavola 6.2.
Ricordiamoci che non possiamo migliorare la stima della media µ au-
mentando la frequenza campionaria, n. Questo è stato uno dei motivi di sod-
disfazione per il fatto che la formula Black-Scholes non ci chiede il ritorno
atteso. Fortunatamente, invece, aumentando la frequenza campionaria n (os-
sia riducendo h) riusciamo a migliorare la nostra stima della volatilità nel
senso che var(σ¯2) = E[(σ¯2 − σ2)2] diventa più piccola. Date le nostre assun-
zioni, si può dimostrare che var(σ¯2) = 2σ4/(n − 1). Pertanto, dato t, al tendere
di n all’infinito, ossia al tendere di h ≡ t/n a zero, anche var(σ¯2) tende a zero.
Si noti inoltre che, essendo log(rk) una variabile casuale normale, anche
log(rk) − µ̄h è una variabile casuale normale. Ma dato che il quadrato della
variabile casuale normale, [log(rk) − µ̄h]2, non è distribuito in modo normale,
σ¯2h non è distribuito in modo normale. Avrà invece una distribuzione chi-
quadro, che è però spesso ben approssimata dalla distribuzione normale.
Vogliamo ora dimostrare alcune delle nostre affermazioni circa lo sti-
matore della varianza del ritorno: σ¯2h ≡ {∑k[log(rk) − µ̄h]2}/(n − 1). Ricor-
diamoci di aver assunto che la distribuzione di log(rk) è normale con media
–
di popolazione µh e deviazione standard σ√h, e che i log(rk) non sono cor-
–
relati tra loro. Pertanto, log(rk) = µh + σ√h εk, dove E(ε) = 0, var(ε) = 1 e le
εk non sono correlate tra loro. La Tavola 6.2 ci mostra che, se il ritorno se-
gue una random walk, E(σ¯2) = σ2.
È molto più difficile dimostrare che var(σ¯2) = 2σ4/(n − 1). I principali
passi della dimostrazione sono i seguenti. Dato che E(σ¯2h) = σ2h, var(σ¯2h) =
E[(σ¯2h − σ2h)2]. Sostituendo E(σ¯2h) e var(σ¯2h) nelle definizioni di σ¯2h e µ̄h,
303
DERIVATI
Esaminiamo ora, uno per uno, i tre termini che figurano nella parentesi
graffa, assumendo un campione di n = 3. Ecco il primo termine:
2n −1 E[( ∑ k ε k2 )(∑ k ε k ) 2 ]
= 2n −1 E[(ε12 + ε 22 + ε 32 )(ε12 + ε 22 + ε 32 + 2ε1ε 2 + 2ε1ε 3 + 2ε 2 ε 3 )]
= 2n −1 E[(ε12 + ε 22 + ε 32 ) 2 ]
Il risultato è simile a quello del primo termine, per cui 2n−1E[(∑k εk2) (∑k
εk)2] = 2n−1E[(∑k εk2)2] = 2n−1n(n + 2) = 2(n + 2)
Esaminiamo il terzo termine e ignoriamo gli elementi come E[εl3 ε2]:
n −2 E[( ∑ k ε k ) 4 ] = n −2 E[(ε1 + ε 2 + ε 3 ) 2 (ε1 + ε 2 + ε 3 ) 2 ]
= n − 2 E (ε14 + ε 42 + ε 34 + 6ε12 ε 22 + 6ε12 ε 32 + 6ε 22 ε 32 )
= n − 2 [3n + 6n(n − 1) / 2]
=3
Mettendo insieme i diversi risultati:
var(σ 2 h) = σ 4 h 2 (n − 1) −2 {n(n + 2) − 2(n + 2) + 3} − σ 4 h 2
= 2σ 4 h 2 (n − 1) −1
da cui:
var(σ 2 ) = 2σ 4 (n − 1) −1
304
VOLATILITÀ
305
DERIVATI
Esempio
Nella Tavola 6.3 sono riportati alcuni dati e alcuni dei calcoli necessari per
ottenere una stima della volatilità storica: σ¯2h ≡ {∑k [log(rk) − µ̄h]2}/(n −
1). I dati, rilevati ogni 2 settimane, si riferiscono ai livelli di chiusura dello
S&P500 nel 1987, l’anno del grande crash del mercato azionario.
Il 19 ottobre 1987, lo S&P500 crollò del 20% − circa il doppio del pre-
cedente record storico. Ma il crash fu ancora più estremo. Dato che alcuni
titoli importanti non vennero trattati per un paio d’ore a ridosso della chiu-
sura, l’indice di fine giornata fu creato sulla base delle ultime quotazioni
disponibili. Invece, il futures sullo S&P500 venne scambiato per l’intera
giornata ed il suo prezzo rappresenta, probabilmente, il miglior indicatore
dell’effettivo crollo del mercato azionario statunitense: scese del 29%!
L’aver qui riportato i dati sul 1987 è una scelta po’ ironica dato che molti
osservatori − tra cui un gruppo di esperti messo su dal Presidente degli Sta-
ti Uniti − attribuì le responsabilità del crash ai derivati su indici e alle stra-
tegie dinamiche!
La prima colonna mostra la data (k) e la seconda elenca le quotazioni di
chiusura dell’indice (Sk); ad esempio, venerdì 2 gennaio 1987 (il primo
giorno lavorativo dell’anno) lo S&P500 chiuse a 246,45 e venerdì 16 gen-
naio 1987 (la fine della seconda settimana di negoziazioni del 1987) l’in-
dice chiuse a 266,28. La terza colonna trasforma i livelli dell’indice in ri-
torni; ad esempio, il ritorno relativo alle prime due settimane dell’anno è
pari a rk = 1,0805 (= 266,28 / 246,45). La quarta colonna riporta i logaritmi
naturali dei ritorni; ad esempio, il ritorno logaritmico delle prime due set-
timane è log(rk) = 0,0774 [= log(1,0805)]. Si noti che, per numeri come
questo (molto vicini a 1), log(rk) può essere approssimato da rk − 1.
La media dei ritorni logaritmici quindicinali (4a colonna) è:
Nei nostri calcoli non abbiamo considerato i dividendi; i ritorni sono basati
solo sui livelli di chiusura dell’indice. Se il dividend yield quindicinale fos-
se costante, la stima della volatilità non cambierebbe. Altrimenti, per tener
306
VOLATILITÀ
307
DERIVATI
Σk log(rk) = 0,00255
Numero di osservazioni = 26
µh = 0,00255 / 26 = 0,000098
Σk[log(rk) – µh]2 = 0,090938
σ2h = 0,090938 / 25 = 0,003638
Stima della varianza annua: σ2 = 0,003638 × 26 = 0,09459
Stima della volatilità annua: σ = 0,09459 = 0,3076
308
VOLATILITÀ
log(rk ) / mk = µ h mk + σ h ε k
µh ≡
∑ k log(rk ) e σ 2h ≡
∑ k {[log(rk ) / mk ] − µ h mk }2
n n −1
dove n continua ad indicare il numero degli intervalli di ampiezza h.
Possiamo ora ipotizzare che la varianza nel weekend sia maggiore del
30% rispetto alla varianza dei ritorni tra giorni contigui infrasettimanali. In
tal caso, mk = 1 per i giorni infrasettimanali e mk = 1,3 per i weekends. Pos-
siamo anche ipotizzare stagionalità infrasettimanali scegliendo diversi mk.
Finora abbiamo ipotizzato che i ritorni siano tutti estratti dalla stessa
distribuzione probabilistica – in particolare, una distribuzione probabilisti-
ca con la stessa varianza. Come facciamo a capire dal campione se l’as-
sunzione è troppo restrittiva?
Forse il modo più ovvio è quello di suddividere il periodo di osserva-
zione in m intervalli equispaziati, 1, 2, ..., j, ..., m, e calcolare la varianza
campionaria su base annua, σ¯j2, per ogni sotto-periodo, utilizzando la me-
dia campionaria su base annua, µ¯j2, relativa a ciascun sotto-periodo. Se le
varianze sono molto diverse l’una dall’altra, è probabile che i campioni
siano stati estratti da diverse distribuzioni. Naturalmente, queste varianze
non saranno mai tutte uguali tra loro, semplicemente per effetto del caso.
Allora, quanto diverse devono essere tra loro perché si possa desumere che
la distribuzione non è costante nel tempo? Se assumiamo che i campioni
siano estratti da distribuzioni normali, con medie e varianze possibilmente
diverse, il test di Bartlett ci indica la probabilità che la varianza di popo-
lazione relativa ad ogni sotto-periodo sia la stessa:
309
DERIVATI
310
VOLATILITÀ
1
σ 2h ≡ {α [log(r1 ) − µh]2 + α (1 − α)[log(r2 ) − µh]2
n −1
+ α (1 − α) 2 [log(r3 ) − µh]2 + ... + α (1 − α) n −1[log(rn ) − µh]2 }
311
DERIVATI
Potrebbe sembrare che una via praticabile, piuttosto che ampliare il cam-
pione (estendendo il periodo di osservazione) o utilizzare uno schema di
ponderazione esponenziale o Garch, sia quella di aumentare il numero dei
campioni estratti da un dato periodo di osservazione. Per fare un caso limi-
te, potremmo rilevare ogni transazione oppure ogni variazione della media
tra le quotazioni denaro e lettera.
Potremmo essere davvero tentati da questa strada. Sappiamo che var(σ¯ 2)
= 2σ4(n – 1)–1. Ad esempio, se σ = 0,20 e la frequenza di campionamento è
– —–– – ———
giornaliera, std(σ¯ 2) = 0,003571 (=√2 σ2 / √n – 1 = √2 × 0,22 /√252 – 1). Per-
2
tanto, la regione intorno ad una deviazione standard di σ¯ è 0,04 ± 0,003571.
Possiamo quindi facilmente commettere un errore del 9% (= 0,003571 / 0,04)
nella nostra stima di σ2. Vediamo invece cosa succede se rileviamo tutte le
transazioni, diciamo 300 osservazioni al giorno. In tal caso, std(σ¯ 2) =
– —–– – —————–
0,000206 (= √2 σ2/√n – 1 = √2 × 0,22 / √252 × 300 – 1) e la regione intorno
2
ad una deviazione standard di σ¯ è 0,04 ± 0,000206, un errore dello 0,5%.
Sfortunatamente, questo miglioramento può comportare costi inaccettabi-
li. Supponiamo di rilevare tutte le transazioni di un’attività che quota intorno
a $100, con un bid-ask spread di $0,125 (= $⅛). Assumiamo che ogni tran-
sazione venga effettuata con uguale probabilità al prezzo bid o al prezzo ask,
mentre il “vero prezzo” è pari alla media dei prezzi bid e ask. Questo vuol
dire che ogni transazione comporterà un errore di $0,0625 (= $1/16). Il ritorno
ingloba così un errore di circa ±0,000625 (= ±$0,0625 / $100). La varianza
dell’errore è di 0,0006252. Se σ = 0,20, allora la vera varianza del ritorno per
transazione è pari a 0,0007252 [= 0,22 / (252 × 300)], un livello che è dello
stesso ordine di grandezza dell’errore. In conclusione, quando si utilizzano i
prezzi delle singole transazioni può essere importante trovare un modo per
tener conto dell’oscillazione causata dal bid-ask spread; ma questo ci porte-
rebbe di nuovo oltre gli scopi di questo libro.
312
VOLATILITÀ
namento. Dopo pochi mesi / anni di frequenti osservazioni resta poca incer-
tezza circa σ2. Si tratta di una buona notizia, nell’ottica della formula Black-
Scholes, che dipende dalla varianza (variabile relativamente facile da stima-
re) ma non dalla media (variabile piena di errori di stima).
Per essere concreti, abbiamo stimato la volatilità dello S&P500 sulla base
delle osservazioni del 1987, rilevate ogni due settimane.
Il paragrafo si è concluso con alcuni affinamenti: come stimare la vola-
tilità sulla base di osservazioni non equispaziate, come verificare che
l’assunzione di volatilità costante sia giustificata, come scegliere il periodo di
osservazione, come ponderare le osservazioni (exponential smoothing e
Garch) e come scegliere l’intervallo di campionamento.
313
DERIVATI
Algoritmo di Newton-Raphson
Purtroppo, dato che σ vi appare in posti di difficile accesso, l’equazione
C = Sd −t N ( x ) − Kr −t N ( x − σ t ) dove x ≡ [log(S d −t / K r −t ) /( σ t )] + σ t
1
2
non può essere esplicitata rispetto a σ. In altri termini, l’equazione non può
essere riscritta in modo che σ sia isolata a sinistra del segno di uguaglianza.
Tuttavia, l’equazione può essere risolta per via implicita. Il metodo più sem-
plice è quello di usare il “fucile da caccia”. Supponiamo di essere quasi sicu-
ri che la soluzione si trovi tra 0,01 e 1,00. Allora, proviamo 10.000 possibili
soluzioni equispaziate in questo intervallo e scegliamo quella per la quale
f (σ ) ≡ [ Sd −t N ( x ) − Kr −t N ( x − σ t )] − C
è più vicina a zero.
Questa procedura può essere molto costosa in termini di tempo. Un me-
todo molto più efficiente per trovare la soluzione è rappresentato dall’al-
goritmo di Newton-Raphson. Per capirne il funzionamento, tracciamo
f(σ) in funzione di σ (Figura 6.1). Si noti che sia la derivata prima sia la
derivata seconda di f(σ) sono sempre positive. Se la curva interseca l’asse
orizzontale, può farlo una sola volta. In termini geometrici, il nostro pro-
blema è quello di trovare il valore di σ per il quale si ha f (σ) = 0; indiche-
remo questo particolare valore con σ = σ*.
Come primo tentativo, poniamo σ = σ0. Quindi calcoliamo f (σ0). Trac-
ciamo poi la retta tangente alla curva nel punto [σ0, f (σ0)]. Il nostro secondo
tentativo sarà rappresentato dal valore σ = σ1 che si trova nel punto di inter-
sezione tra la tangente e l’asse delle ascisse. Utilizzando σ1, calcoliamo
f (σ1). Tracciamo la retta tangente alla curva nel punto [σ1, f (σ1)]. Il nostro
terzo tentativo sarà rappresentato dal valore σ = σ2 che si trova nel punto di
intersezione tra la tangente e l’asse delle ascisse; e così via.
Si noti che ogni nuovo tentativo ci porta sempre più vicino alla soluzione
esatta, σ = σ*. Se la curva f (σ) fosse in realtà una retta, questa procedura ci
consentirebbe di determinare la soluzione esatta (σ = σ*) in un solo passo.
Anche con una curva molto convessa, com’è quella riportata nella figura, ci
vogliono solo pochi passi per arrivare molto vicino alla soluzione esatta.
Esprimiamo l’algoritmo di Newton-Raphson algebricamente. In base al
valore iniziale, σ = σ0, calcoliamo f (σ0) e la derivata prima di f (σ) nel pun-
to σ0 – ossia il vega, f ‘(σ0). In simboli, dati S, K, t, r, d e C, calcoliamo:
f (σ 0 ) ≡ [ Sd −t N ( x ) − Kr −t N ( x − σ t )] − C
f ' (σ 0 ) = S d − t t n ( x )
— 2
[n(x) è la funzione di densità della normale standardizzata, (1/√2π)e–x /2].
Possiamo ora determinare il punto σ1 sull’asse delle ascisse perché la
pendenza della tangente nel punto [σ0, f (σ0)] è data dal rapporto tra la di-
stanza verticale di f (σ0) dall’asse delle ascisse, f (σ0) – 0, e la distanza o-
rizzontale tra σ0 e σ1, ossia σ0 – σ1:
314
VOLATILITÀ
f(σ1)
0 σ
σ* σ2 σ1 σ0
f(σ*)
f(σ*)==00
e ancora:
σ 3 = σ 2 − f (σ 2 ) / f ' (σ 2 )
ecc.
Alla k-esima iterazione f (σk) sarà molto vicino a zero. Potremo allora
interrompere la ricerca, essendo σk un’ottima approssimazione di σ*.
Ecco un esempio di come utilizzare l’algoritmo di Newton-Raphson per
calcolare la volatilità implicita nella formula di Black e Scholes. Sia S = K
= 40; t = 0,333; r = 1,05; d = 1,00 e C = 2,17. Supponiamo che la stima iniziale
sia σ0 = 0,3. Usiamo le formule:
f (σ ) ≡ [ Sd −t N ( x ) − Kr −t N ( x − σ t )] − C
f ' (σ ) = S d − t t n( x )
–
con x ≡ [1og(Sd–r/Kr–t) ÷ σ√t] + ½ σ√ t , e la relazione iterativa
σ k +1 = σ k − f (σ k ) / f ' (σ k )
315
DERIVATI
σσ0 == == 0,03
0,03
0
σσ1 == σσ0 ––f(σ
f(σ00)/f'(σ
)/f'(σ00)) == 0,2004
0,2004
1 0
σσ2 == σσ1 ––f(σ
f(σ )/f'(σ ) == 0,2003
2 1 11)/f'(σ11) 0,2003
σσ3 == σσ2 ––f(σ
f(σ )/f'(σ ))
2 )/f'(σ 2 == 0,2003
0,2003
3 2 2 2
iterazione
iterazione inputσσ
input f(σ)
f(σ) f'(σ)
f'(σ) outputσσ
output
11 0,3
0,3 0,90273
0,90273 9,0643
9,0643 0,2004
0,2004
22 0,2004
0,2004 0,0009
0,0009 9,0336
9,0336 0,2003
0,2003
33 0,2003
0,2003 0,0000
0,0000 9,0335
9,0335 0,2003
0,2003
316
VOLATILITÀ
317
DERIVATI
318
VOLATILITÀ
26
Asimmetrica a sinistra
24
22
20
18
16
–2,5 –2,0 –1,5 –1,0 –0,5 0,0 0,5 1,0 1,5 2,0 2,5
Prezzo d'esercizio (deviazioni standard rispetto a K = S0)
319
DERIVATI
non siano più valide. Tuttavia queste quotazioni sono volutamente lontane
dal prezzo atteso della prossima transazione (il bid è più basso, l’ask è più
alto). Il modo naturale per superare questo problema è quello di utilizzare
la media delle quotazioni bid e ask.
A parte queste difficoltà di applicazione, il vero problema è più serio: il
modello Black-Scholes (oppure il modello binomiale per le opzioni ameri-
cane) può essere sbagliato. Tuttavia, l’esame di questo argomento ci porte-
rebbe ben oltre gli scopi del libro.
Comunque, volendo utilizzare la formula Black-Scholes, è bene cercare
di stimare la volatilità nel miglior modo possibile, anche nei casi in cui le
volatilità implicite non sono costanti. Un ovvio approccio al problema è
quello di stimare, innanzitutto, le volatilità implicite in ciascuna delle opzioni
disponibili, ossia σ(Ki) per l’opzione con strike Ki, e poi calcolare la media
aritmetica ponderata di queste volatilità implicite, con pesi, xi, che somma-
no ad uno.
Quali pesi dovremmo utilizzare? A causa degli errori nei prezzi (dovuti
a mancanza di liquidità o all’ampiezza delle variazioni minime di prezzo),
è bene ignorare le opzioni deep in-the-money e deep out-of-the-money e
assegnare tutto il peso alle calls (puts) che sono at-the-money o leggermen-
te out-of-(in-)the-money. Sono queste le opzioni che risultano più sensibili
alle variazioni di volatilità (hanno i vega più elevati).
Un’ultima domanda: le volatilità implicite prevedono le future volatili-
tà meglio di altre stime, basate ad esempio sulle volatilità storiche? Anche
se c’è un’ampia letteratura empirica su questo argomento, non è emerso un
chiaro consenso. Sembra esserci però una relazione persistente, la tendenza
della volatilità implicita ad essere più alta della futura volatilità. È possibi-
le che ciò sia dovuto al fatto che il mercato si attende forti discontinuità nei
prezzi, che però si possono osservare solo raramente.
320
VOLATILITÀ
rilevanza di questo indicatore è tale che spesso non vengono quotati i prez-
zi delle opzioni ma le loro volatilità implicite. In genere, per provare la va-
lidità della formula Black-Scholes, si verifica se le volatilità implicite nelle
opzioni di uguale scadenza sono le stesse, indipendentemente dai loro
prezzi d’esercizio. La relazione tra volatilità implicite e prezzi d’esercizio
definisce il cosiddetto volatility smile. In pratica, l’incertezza circa la futu-
ra volatilità e la possibilità che i prezzi del sottostante siano soggetti a forti
discontinuità sono probabilmente i motivi più importanti per cui si osser-
vano volatility smiles incoerenti con la formula Black-Scholes.
Il paragrafo si è concluso con alcuni affinamenti: come far fronte alla
non simultaneità della rilevazione dei prezzi delle opzioni e del sottostante,
agli errori di misura dei riskless returns e dei payout returns, alle oscilla-
zioni dei prezzi delle singole transazioni causate dai bid-ask spreads.
CONCLUSIONI
Per applicare la formula Black-Scholes sono richieste sei variabili: il prez-
zo del sottostante, il prezzo d’esercizio, la vita residua, il riskless return, il
payout return e la volatilità. Fortunatamente, non è necessario conoscere il
ritorno atteso del sottostante. Di queste sei variabili, la più difficile da sti-
mare è senz’altro la volatilità (ma anche il payout return può essere diffici-
le da stimare nel caso delle opzioni a lunga scadenza). È questo il motivo
per cui abbiamo dedicato un intero capitolo alla stima della volatilità.
Per chi si occupa di statistica, il modo naturale per stimare la volatilità
è quello di esaminare la serie storica dei ritorni, dato un certo periodo di
osservazione. I ritorni vengono rilevati ad intervalli equispaziati e si consi-
derano estratti dalla stessa distribuzione probabilistica. Sotto certe condi-
zioni, la varianza campionaria è la migliore stima della varianza a livello di
popolazione. Se il passato è una buona guida per il futuro, questa stima
rappresenta anche la migliore previsione della varianza che verrà osservata
durante la vita dell’opzione. Un importante aspetto di questo approccio è
che la stima della volatilità può essere migliorata estendendo il periodo di
osservazione o aumentando la frequenza del campionamento.
Invece, anche se la media campionaria rappresenta la migliore stima
della media a livello di popolazione, la stima del ritorno atteso non può es-
sere migliorata aumentando la frequenza del campionamento. Può essere
migliorata solo estendendo il periodo di osservazione.
La stima della volatilità può essere facilmente corretta per tener conto
del fatto che le osservazioni non sono a volte equispaziate. Abbiamo visto
come si può verificare se l’assunzione di costanza della volatilità è giustifi-
cata, e cosa bisogna fare se non lo è.
Un secondo metodo di stima delle volatilità sfrutta le informazioni con-
tenute nei prezzi delle stesse opzioni. Dato che i prezzi di mercato delle
opzioni dovrebbero dipendere dalle volatilità, è possibile utilizzarli per
stimare le future volatilità delle attività sottostanti. Le stime ottenute, le
321
DERIVATI
322
7
Strategie dinamiche
323
DERIVATI
324
STRATEGIE DINAMICHE
325
DERIVATI
La linea desiderata dei payoffs sarà una certa funzione, V(S*; t), del prezzo
del portafoglio di riferimento alla data di scadenza. Il prezzo S* determina il
valore, V(S*; t), del portafoglio dell’investitore. La «funzione dei payoffs» (pay-
off function), V(S*; t), verrà anche semplicemente indicata con V*.
326
STRATEGIE DINAMICHE
In genere, gli investitori desiderano una payoff function che abbia do-
vunque una pendenza positiva. Sarà chiaramente così per l’investitore me-
dio, che detiene staticamente il portafoglio di mercato.
Gli investitori hanno differenti preferenze circa il grado di inclinazione
della curva. La pendenza della payoff function indica se l’investitore sta dan-
do in prestito denaro o se invece lo sta prendendo in prestito. Chi presta de-
naro è in genere più avverso al rischio della media e la pendenza della curva
è minore di 1; al contrario, chi prende in prestito denaro è in genere meno
avverso al rischio della media e la pendenza della curva è maggiore di 1.
Gli investitori hanno anche differenti preferenze circa la concavità o la
convessità della payoff function. Gli investitori che preferiscono payoff
functions concave (con derivata seconda negativa) si aspettano, rispetto
all’investitore medio, che i ritorni dell’index fund saranno o meno variabili o
più inclini a tornare verso livelli medi di lungo periodo. Oppure, semplice-
mente desiderano rischiare meno quando il patrimonio cresce. Questo
comportamento è descritto dalla payoff function, la cui pendenza si riduce
sempre di più con l’aumentare dei ritorni del portafoglio.
Per creare una payoff function concava occorre vendere l’index fund
quando sale e comprarlo quando scende. La distribuzione probabilistica dei
payoffs avrà un’asimmetria negativa rispetto alla distribuzione dell’inve-
stitore medio perché vendendo l’index fund quando sale si riducono le pro-
babilità di payoffs molto alti e comprando l’index fund quando scende si
aumentano le probabilità di payoffs molto bassi.
Le payoff functions concave possono anche essere approssimate da stra-
tegie statiche che fanno uso di index options. Se sono disponibili entrambe
le possibilità (la replica statica o quella dinamica), la scelta può dipendere
dalle aspettative circa la volatilità. Ad esempio, se riteniamo che la futura
volatilità sarà più alta della volatilità implicita nei prezzi delle index op-
tions, troveremo conveniente l’acquisto delle index options e preferiremo
quindi la replica statica. Invece, come vedremo tra breve, se utilizziamo la
replica dinamica finiremo in effetti col pagare un prezzo per le opzioni che
rifletterà l’effettiva volatilità del portafoglio sottostante piuttosto che la
volatilità implicita nei prezzi delle opzioni.
Chiaramente, le conclusioni sono opposte per gli investitori che prefe-
riscono payoff functions convesse (con derivata seconda positiva).
La Figura 7.1 mostra due payoff functions. Sono entrambe sempre cre-
scenti – per cui quanto più elevato è il futuro valore del portafoglio di rife-
rimento, tanto maggiore è il payoff. Facendo il confronto, la funzione con-
cava offre risultati migliori fintanto che il valore del portafoglio di riferi-
mento si mantiene in prossimità del valore corrente (100); invece, la fun-
zione convessa offre risultati migliori quando il valore del portafoglio di
riferimento subisce variazioni estreme, al rialzo o al ribasso. Dato che ciò è
più probabile quando la volatilità è alta, gli investitori con aspettative di
alta volatilità dovrebbero preferire payoff functions convesse.
327
DERIVATI
S = 100 Payoff (V *)
t=1
125
50 75 125 150
75
Si noti che la media tra le due payoff functions, per il modo in cui so-
no state costruite, è rappresentata da una diagonale passante per l’origine
– che non è nient’altro se non il payoff del portafoglio di riferimento. Que-
sta considerazione suggerisce che per ogni investitore che sceglie una pay-
off function convessa (forse perché si aspetta un’elevata volatilità), ce ne
dev’essere un altro – dall’altro lato del mercato – che sceglie una funzione
concava (forse perché si aspetta una bassa volatilità).
Come si è visto nel Capitolo 3, le strategie statiche o dinamiche necessa-
rie per creare queste due payoff functions sono complementari. L’investitore
che persegue – con la replica dinamica – un payoff concavo deve vendere
l’index fund quando il suo valore aumenta. Probabilmente, troverà –
dall’altro lato del mercato – qualcuno che sarà pronto a comprarlo, ossia un
investitore che persegue – con la replica dinamica – un payoff convesso e
che vuole acquistare l’index fund quando il suo valore aumenta.
328
STRATEGIE DINAMICHE
V * = max(100, 0,963S * )
329
DERIVATI
80 90 110 120
60% – 40%
buy-and-hold 90 V * = max(100, 0,963S *)
capture ratio = 0,963
mix iniziale = 0,647
80
330
STRATEGIE DINAMICHE
V * = K + max[0 / α, ( α S * − K ) / α] = K + α max(0, S * − K / α)
331
DERIVATI
problema. Per questi motivi, la portfolio insurance viene spesso attuata con
strategie di replica dinamica.
Non importa quale interpretazione venga data alla portfolio insurance –
se come fiduciary call o protective put – la strategia di replica dinamica
inizia con l’investimento di parte del capitale nel portafoglio sottostante e
col prestito della quota residua. Se il 100% del capitale è già investito nel
portafoglio sottostante, se ne vende una parte ed il ricavato viene dato in
prestito.
Poi, come nel caso della call, se il valore del sottostante diminuisce, si
deve monetizzare parte dell’investimento; viene così garantito il floor, la
prima promessa della portfolio insurance. Se invece il valore del sottostan-
te aumenta, si deve accrescere l’investimento nel sottostante; viene così
garantito il capture ratio, la seconda promessa della portfolio insurance.
All’inizio degli anni ‘80, questa strategia apparve a molti investitori
come un miracolo, perché il suo payoff – un floor più gran parte dell’up-
side potential – non richiedeva che fosse nota la futura direzione del sotto-
stante. Come nel caso di molti “miracoli”, una piccola dose di scienza rive-
la che, dietro la tela, si cela un uomo qualunque, non un mago.
Naturalmente, questa strategia non cattura l’intero upside potential. Il
sottostante aumenta ma, anche se compriamo, non saremo mai pienamente
investiti. Analogamente, in caso di ribasso, non riusciamo ad evitare le
perdite. Anche se vendiamo, non saremo mai pienamente disinvestiti.
Comunque, se seguiamo correttamente la strategia di replica, sarà que-
sto il risultato. In caso di ribasso, è vero, perderemo soldi sul nostro inve-
stimento nel sottostante – ma guadagneremo interessi sulla quota crescente
di moneta. Se le dosi sono esatte, troveremo alla fine che gli interessi e i
payouts ricevuti compensano esattamente le perdite sull’investimento, per
cui le perdite nette saranno pari a zero. In caso di rialzo, il denaro che per-
deremo rispetto ad un investimento del 100% nel sottostante sarà stato pie-
namente anticipato – essendo misurato dal complemento ad uno del cap-
ture ratio.
La strategia deve assicurare il floor in caso di ribasso e il capture ratio
in caso di rialzo. Se va tutto bene, sarà questo il risultato.
Anche se non dimostrano che la strategia di replica dinamica deve fun-
zionare perfettamente, le nostre argomentazioni almeno indicano come do-
vrebbe funzionare. La questione non è se la strategia funzionerà perfetta-
mente, perché ciò non accadrà mai. La questione è: quanto ci arriviamo
vicini?
332
STRATEGIE DINAMICHE
C = Sd −t N ( x ) − Kr −t N ( x − σ t )
x ≡ [log( S d −t / K r −t ) /(σ t )] + σ t
1
dove
2
V = Kr −t + α [ S d −t N ( x ) − ( K / α ) r −t N ( x − σ t )]
dove x ≡ {log[ S d −t /( K / α) r −t ] /(σ t )} + σ t
1
2
S = Kr −t + α [ S d −t N ( x ) − ( K / α) r −t N ( x − σ t )]
333
DERIVATI
V = Kr −t + α [Vd −t N ( x ) − ( K / α) r −t N ( x − σ t )
dove x ≡ {log[V d −t /( K / α) r −t ] /(σ t )] + σ t
1
2
334
STRATEGIE DINAMICHE
335
DERIVATI
336
STRATEGIE DINAMICHE
S = 100 Payoff (V *)
σ = 0,08
120
K = 100 capture ratio = 0,995
t =1 σ = 0,16
capture ratio = 0,963
r = 1,10
d = 1,00
110 σ = 0,24
capture ratio = 0,917
80 90 110 120
90
80
337
DERIVATI
S = 100 Payoff (V *)
K = 100 120
t =1
r = 1,10
d = 1,00 110
σ = 0,16
floor
0,25 0,50 0,75 1,00
Tempo (anni)
90 Stop-out point
Valore
Valoreminimo
minimo
del
delportafoglio
portafoglioassicurato
assicurato
che
che garantisceililfloor
garantisce floor
80
338
STRATEGIE DINAMICHE
339
DERIVATI
340
STRATEGIE DINAMICHE
341
DERIVATI
essere risolta rispetto al capture ratio per ottenerne il livello coerente con il
floor, la data di scadenza e l’investimento iniziale.
Se le assunzioni di Black e Scholes fossero valide, potremmo lasciare
invariato il capture ratio e non dovremmo effettuare alcun aggiustamento
prima della scadenza. Sfortunatamente, molte assunzioni non sono perfet-
tamente valide: la volatilità e il riskless return possono cambiare, il porta-
foglio equivalente non può essere aggiustato continuamente e si possono
verificare discontinuità nei prezzi del sottostante. Per mantenere lo stesso
floor, occorre ricalcolare il capture ratio immediatamente prima di aggiu-
stare il delta del portafoglio equivalente. Purtroppo, così facendo, il cap-
ture ratio finale sarà in genere diverso da quello atteso all’inizio.
In pratica, a causa dei costi di transazione e di altre considerazioni,
spesso la portfolio insurance viene attuata utilizzando i mercati futures in-
vece dei mercati spot.
Tuttavia, anche se si utilizzano i mercati futures, continuano ad esistere
problemi pratici legati ai costi di transazione, alle variazioni del riskless
return, alle variazioni di volatilità e ai jumps nei prezzi del sottostante. La
strategia può essere modificata per tener conto di tutti questi fattori. Ma
anche se si effettuano i necessari aggiustamenti, è possibile che venga rag-
giunto lo stop-out point dove, per garantire il floor, sarà necessario concen-
trare sulla moneta il 100% del valore del portafoglio assicurato e mantene-
re inalterato l’investimento fino alla data di scadenza.
7.3 SIMULAZIONE
1985
Esaminiamo ora la strategia dinamica di replica della portfolio insurance
attraverso un esempio concreto che fa uso dei ritorni giornalieri dello
S&P500, calcolati in base alle quotazioni di chiusura rilevate nel 1985
(Tavola 7.2). Supponiamo di essere al 31 dicembre 1984, per cui il tempo
mancante alla scadenza della portfolio insurance è di 1 anno. Il portafoglio
sottostante è quello dello S&P500 e la moneta è rappresentata dal Treasury
bill che scade il 31 dicembre 1985. Il floor viene fissato in modo che le
perdite siano nulle (zero-percent floor). La trading rule è particolarmente
semplice: il portafoglio assicurato viene revisionato ogni volta che il rap-
porto tra il ritorno del sottostante e il ritorno del T-bill è prossimo a 1,04 o
0,96 rispetto alla data dell’ultima revisione. Quando il rapporto è vicino a
1,04 o 0,96, diremo che si è verificata una «mossa» (move) e aggiusteremo
i pesi del portafoglio. Se invece sono trascorsi 32 giorni lavorativi senza
aver fatto aggiustamenti, rivedremo i pesi del portafoglio e diremo che si è
verificata una «mossa parziale» (partial move). Anche se il sottostante è
cambiato di poco, il passaggio del tempo fa sì che il delta corrente sia di-
verso dal delta obiettivo e ciò rende necessaria una nuova revisione.
Per mettere in atto la strategia, dobbiamo conoscere il tasso d’interesse
ad 1 anno. Alla data del 31 dicembre 1984, il tasso di rendimento a scaden-
342
STRATEGIE DINAMICHE
za del T-bill ad 1 anno era pari al 9,4%. In base ai dati relativi agli ultimi
due anni, le nostre stime per il 1985 erano dell’11,5% per la volatilità (σ1)
del sottostante, del 2% per la volatilità (σ2) della moneta e di 0,20 per la cor-
relazione (ρ) tra i ritorni del sottostante e della moneta. Pertanto, la «volati-
lità relativa» (relative volatility) era pari a:
343
DERIVATI
344
STRATEGIE DINAMICHE
Treasury Portafoglio
Moves Data S&P 500 bills Mix Moltiplicatore Scarto assicurato
ci si sposta sulla destra in qualsiasi riga, a causa dei costi connessi con
la maggiore volatilità;
(3) l’ultima colonna riporta la probabilità che il tasso di rendimento del
sottostante sia minore o uguale al valore indicato nella prima colonna.
Le probabilità sono state calcolate sotto l’ipotesi che il ritorno del sot-
tostante sia distribuito in modo log-normale con media (aritmetica) pari
a 1,128 e volatilità (logaritmica) pari a 0,115. Ad esempio, la probabili-
tà che il tasso di rendimento del sottostante sia maggiore del 40% è pari
al 2,6% (= 100% – 97,4%).
Di solito, l’investitore decide, sulla base della payoff table, se ritiene ap-
propriata la specifica strategia di portfolio insurance. Spesso una tavola
non basta. L’investitore vorrà valutare gli effetti che le diverse alternative
– in termini di floor e di scadenza – hanno sui risultati previsti. Ma una vo-
lta che l’investitore accetta la tavola, è compito del gestore rispettare gli
impegni.
La Tavola 7.4 mostra cos’è successo nel 1985. La strategia di replica
della portfolio insurance ad 1 anno, con zero-percent floor, viene iniziata il
31 dicembre 1984. Il livello iniziale degli indici relativi al portafoglio sot-
tostante (lo S&P500), alla moneta (il T-bill ad 1 anno) e al portafoglio as-
sicurato viene posto uguale a 1.000. Il mix iniziale (che è originariamente
pari al delta) era di 0,746. Pertanto, per ogni $1.000 di portafoglio assicu-
rato, si inizia investendo $746 nello S&P500 e i restanti $254 nel T-bill.
Dopo 3 settimane, il 21 gennaio 1985, si osserva la prima relative move
(al livello del 4%). Infatti, lo S&P500, rettificato per tener conto dei divi-
dendi distribuiti, registra un aumento del 4,9% ed il T-bill (cui mancano
345
DERIVATI
ora solo 49 settimane alla scadenza) registra un aumento dello 0,8%. Per-
tanto la relative move è di 1,04 (= 1.049 / 1.008). Il valore corrente del por-
tafoglio assicurato è ora di $1.039 [= ($746 × 1,049) + ($254 × 1,008)]. Per
semplicità, trascuriamo i costi di transazione.
In base al nuovo valore del portafoglio assicurato ($1.039), calcoliamo
i nuovi valori del capture ratio, del riskless rate su base annua [0,091 =
(1,094 / l,008) × 52 ⁄ 49 – 1] e della volatilità relativa [0,120 = 0,113 ×
1,06, dove 1,06 è il moltiplicatore indicato nella Tavola 7.4]. La nuova
stima della volatilità per l’intero anno riflette il fatto che la volatilità osser-
vata nella prima parte dell’anno è maggiore di quella attesa (ossia, c’è vo-
luto meno tempo del previsto per osservare la prima relative move). La sti-
ma iniziale del capture ratio (0,983) viene lievemente modificata. Sulla
base delle nuove stime, il mix risulta ora pari a 0,835. Se non rivedessimo
la composizione del portafoglio, il mix sarebbe pari a 0,753 [= (746 ×
1,049) / 1.039]. Non sorprende quindi che, date le caratteristiche della stra-
tegia di replica della portfolio insurance, si debba spostare denaro dal T-
bill allo S&P500 finché non si ottiene il mix di 0,835. Occorre quindi che
l’investimento nello S&P500 risulti pari a $868 (= 0,835 × $1.039). Dato
che il valore corrente del nostro investimento è di $783 (=$746 × 1.049),
dobbiamo comprare lo S&P500 per un importo pari alla differenza: $85
(=$868 – $783). Si noti che ora il mix è diverso dal delta. La relazione tra
mix e delta è la seguente:
346
STRATEGIE DINAMICHE
347
DERIVATI
Treasury Portafoglio
Moves Data S&P 500 bills Mix Moltiplicatore Scarto assicurato
0,0 31 dicembre 1980 1.000 1.000 0,892 1,00 0,00 1.000
1,1 22 gennaio 1981 961 1.001 0,788 1,07 -0,13 965
1,9 19 febbraio 1981 940 1.014 0,676 1,10 -0,18 951
2,8 27 febbraio 1981 977 1.016 0,765 1,17 -0,41 977
2,8 15 aprile 1981 1.002 1.036 0,833 1,08 -0,19 1.001
3,4 3 giugno 1981 985 1.049 0,792 1,02 0,03 989
4,3 6 luglio 1981 962 1.065 0,631 1,06 -0,06 974
5,3 5 agosto 1981 1.005 1.073 0,800 1,08 -0,18 1.004
7,4 24 agosto 1981 956 1.081 0,418 1,24 -0,79 966
8,3 3 settembre 1981 926 1.086 0,199 1,28 -0,73 956
9,6 17 settembre 1981 895 1.097 0,000 1,34 -0,54 958*
10,6 25 settembre 1981 863 1.101 0,000 1,39 -0,17 961*
12,6 2 ottobre 1981 914 1.103 0,000 1,49 -0,74 963*
12,7 18 novembre 1981 928 1.131 0,000 1,38 -0,15 987*
13,7 27 novembre 1981 968 1.134 0,000 1,41 -0,51 990*
14,1 31 dicembre 1981 951 1.145 0,000 1,37 -0,01 1.000*
* Stop-out point
1981
Il 1985 è stato un anno positivo per lo S&P500. Vediamo ora, invece, co-
me avrebbe funzionato la stessa strategia in un anno negativo per lo
S&P500, ad esempio il 1981. Come mostra la Tavola 7.6, lo S&P500 (ret-
tificato per tener conto dei dividendi) scende del 4,9% (e il nostro indice
passa da 1.000 a 951). La strategia inizia con un mix di 0,892 e prosegue
con vendite del sottostante per quasi tutto l’anno, parallelamente al ribasso
del mercato. Alla data del 17 settembre 1981, il mix si annulla e tutto risulta
investito in T-bills. Come promesso per gli anni di ribasso, il portafoglio
assicurato termina sui livelli iniziali (l’indice inizia a 1.000 e finisce a
1.000), anche se la volatilità effettiva risulta maggiore di 1,37 volte rispetto
a quella attesa. La revisione del capture ratio prima del ricalcolo del delta
ha consentito alla strategia di tener conto, col passare del tempo, della vo-
latilità insolitamente elevata. Di conseguenza, il floor non ha subìto effetti.
Anche se tutto alla fine va per il verso giusto, c’è comunque un proble-
ma. Il 17 settembre 1981, quando il mix si annulla, viene raggiunto uno
stop-out point. Di conseguenza, c’è solo quanto basta ad assicurare il floor
se tutto viene investito nel T-bill. In questa data i $1.000 iniziali valgono
$958 ed il riskless return (periodale) per il tempo che manca alla scadenza
è di 1,0438 (=1.145/1.097). Solo investendo tutti i $958 in T-bill si riesce a
garantire il floor di $1.000 (= $958 × 1,0438).
Fortunatamente, lo S&P500 non aumentò dopo quella data e non finì ad
un livello superiore a quello di inizio anno. Se fosse accaduto il contrario,
non avremmo potuto beneficiare dell’aumento e avremmo potuto subire
348
STRATEGIE DINAMICHE
1982
Il 1982 è stato il primo anno civile – dal 1928 – in cui lo S&P500 raggiun-
ge un minimo significativo a metà anno e poi recupera portandosi ad un
livello superiore a quello di inizio anno. Come mostra la Tavola 7.8, nel pe-
riodo tra il 31 dicembre 1981 e il 9 agosto 1982, lo S&P500 (rettificato per
tener conto dei dividendi) scende del 12,9% (e il nostro indice passa da
1.000 a 871). Nell’intero anno, lo S&P500 chiude con un rialzo del 21,7%
(e il nostro indice passa da 1.000 a 1.217).
Il 1982 è stato un disastro per la replica dinamica della portfolio insur-
ance. Il mercato chiude l’anno con un rialzo del 21,7% ma il tasso di ren-
dimento del portafoglio assicurato non supera il 7,9%, con una shortfall
del 13,8% (= 21,7% – 7,9%). La volatilità effettiva è maggiore di 1,78 volte
rispetto a quella attesa, per cui la shortfall effettiva prevista dalla payoff
table dovrebbe essere molto maggiore del normale, ma non così elevata.
La colonna “Scarti” della Tavola 7.8 riporta le deviazioni rispetto alla
payoff table che, in base alle informazioni via via disponibili, possiamo
349
DERIVATI
Treasury Portafoglio
Moves Data S&P 500 bills Mix Moltiplicatore Scarto assicurato
0,0 31 dicembre 1981 1.000 1.000 0,880 1,00 0,0 1.000
1,3 11 gennaio 1982 954 997 0,746 1,08 -0,2 959
3,2 22 febbraio 1982 920 1.015 0,531 1,21 -0,6 938
4,6 8 marzo 1982 887 1.026 0,334 1,30 -0,8 925
6,2 22 marzo 1982 933 1.027 0,448 1,41 -1,6 941
7,3 23 aprile 1982 984 1.041 0,562 1,47 -2,0 971
8,2 19 maggio 1982 960 1.053 0,439 1,52 -1,6 963
9,4 4 giugno 1982 923 1.059 0,281 1,60 -1,3 950
9,5 22 luglio 1982 939 1.084 0,303 1,49 -0,6 970
10,6 30 luglio 1982 903 1.087 0,147 1,55 -0,6 961
11,6 9 agosto 1982 871 1.092 0,052 1,59 -0,4 960
13,3 17 agosto 1982 925 1.102 0,098 1,67 -1,1 971
15,7 23 agosto 1982 986 1.106 0,177 1,79 -2,5 981
16,5 2 settembre 1982 1.025 1.107 0,263 1,80 -3,5 989
17,6 6 ottobre 1982 1.076 1.118 0,425 1,74 -4,6 1.009
18,5 8 ottobre 1982 1.120 1.120 0,567 1,78 -6,1 1.027
19,6 13 ottobre 1982 1.168 1.121 0,720 1,81 -7,5 1.053
20,8 3 novembre 1982 1.224 1.126 0,891 1,80 -8,9 1.091
21,8 15 novembre 1982 1.178 1.128 0,785 1,81 -8,1 1.054
22,9 7 dicembre 1982 1.232 1.134 0,969 1,79 -9,5 1.094
23,9 14 dicembre 1982 1.187 1.136 0,897 1,81 -8,9 1.055
24,1 31 dicembre 1982 1.217 1.140 0,899 1,78 -9,5 1.079
350
STRATEGIE DINAMICHE
Sommario: simulazione
In questo paragrafo abbiamo visto cosa succede se seguiamo una strategia
di replica dinamica della portfolio insurance, con uno zero-percent floor,
quando il sottostante è rappresentato dallo S&P500 e la moneta dal T-bill ad
1 anno. Abbiamo visto cosa sarebbe successo in 3 anni – 1985, 1981 e 1982
– se avessimo seguito la trading rule di rivedere i pesi del portafoglio
quando il rapporto tra il ritorno del sottostante e il ritorno della moneta
cambia di circa il 4% o quando passano 32 giorni dall’ultima revisione.
351
DERIVATI
CONCLUSIONI
Questo capitolo ha descritto in dettaglio un case study ossia un’importante
applicazione di molti dei concetti sviluppati in questo libro, cercando di
portare l’esempio fino ai limiti della pratica corrente. Tra i concetti che ab-
biamo illustrato figurano:
le payoff functions, convesse e concave;
la formula Black-Scholes;
i limiti della replica dinamica secondo Black-Scholes;
l’utilizzo dei futures nelle strategie di replica.
Inoltre, abbiamo accennato ai metodi per tradurre le attitudini verso il ri-
schio e le probabilità soggettive degli investitori in posizioni ottimali.
Il nostro case study ha avuto per oggetto la portfolio insurance, che vi-
ene spesso messa in atto utilizzando o una strategia di replica dinamica,
che si autofinanzia, o, a volte, una strategia di replica statica mediante op-
zioni. La portfolio insurance ci ha portato oltre l’asset allocation tradizio-
nale di tipo media-varianza, dato che ci consente di utilizzare misure di ri-
schio più complesse della varianza e di considerare l’opportunità di una
revisione dinamica dei pesi del portafoglio.
352
STRATEGIE DINAMICHE
353
Glossario
accreting swap L’accreting swap è un interest rate swap il cui «capitale no-
zionale» (notional principal) cresce durante la vita del contratto. Se il contratto
consente al capitale nozionale di salire e scendere in modo imprevedibile, lo
swap è detto «otto-volante» (roller-coaster). È l’opposto di un amortising swap.
accrual swap Una variante dell’interest rate swap in cui l’interesse di una delle
due «gambe» (legs) dello swap matura solo nei giorni in cui il tasso variabile uti-
lizzato nello swap risulta compreso all’interno di un certo intervallo.
355
DERIVATI
All Ordinaries Share Price Index Un indice, basato su un ampio paniere, che
misura la performance dei titoli azionari quotati in Australia.
alligator spread Uno spread che "vi mangia vivi" a causa degli alti costi di
transazione. È improbabile che questa posizione possa risultare redditizia, dedotte
le commissioni, anche se si verificano le circostanze più favorevoli.
alpha La parte del ritorno di un titolo che non può essere spiegata dal «ritorno
privo di rischio» (riskless return) o dalla sua «correlazione» (correlation) con il
ritorno di mercato. Supponiamo che il riskless return sia di 1,10, il beta di 2, il
ritorno di mercato di 1,20 e il ritorno del titolo di 1,35. Allora l’«alfa» (alpha) è
pari alla differenza tra il ritorno ex post del titolo e
Riskless return + Beta × Premio al rischio di mercato ex\post
ossia a 0,05 {= 1,35 – [1,10 + 2 × (1,20 – 1,10)]}. Questo è il cosiddetto «alfa
realizzato» (realised alpha). Secondo il «modello di valutazione delle attività
finanziarie» (capital asset pricing model), l’«alfa atteso» (expected alpha) è
sempre nullo, mentre il beta misura la sensitività dell’extra ritorno del titolo ri-
spetto all’extra ritorno del «portafoglio di mercato» (market portfolio), ossia ri-
spetto al «premio al rischio» (risk premium) del portafoglio di mercato. Pertanto,
secondo il capital asset pricing model, il ritorno ex ante del titolo è pari a:
Riskless return + Beta × Premio al rischio di mercato ex\ante
American option Un’opzione, call o put, che può essere esercitata in qualsiasi
giorno lavorativo della sua vita. Si veda European option.
American Stock Exchange (Amex) La seconda borsa degli Stati Uniti, per
dimensione, dopo la New York Stock Exchange. Oltre ai titoli azionari, l’Amex
tratta le opzioni su azioni e le opzioni su indici azionari.
Asian option Simile ad un’opzione ordinaria, fatta eccezione per il fatto che il
prezzo d’esercizio è una media aritmetica del prezzo del sottostante durante la
vita dell’opzione.
ask/bid I market makers quotano due prezzi, uno al quale sono disposti a com-
prare (il «prezzo denaro» o bid price) e l’altro al quale sono disposti a vendere (il
«prezzo lettera» o ask price). Ad esempio, quando viaggiate all’estero e volete
356
GLOSSARIO
scambiare la vostra valuta con la valuta del Paese in cui siete, avrete notato che il
«mediatore» (dealer) compra e vende a prezzi diversi e che il prezzo a cui vende
è sempre maggiore del prezzo a cui acquista. La differenza tra questi due prezzi è
il bid-ask spread.
Bk,j(t) Prezzo di uno zero-coupon bond dopo k mosse, j delle quali al rialzo (al-
beri binomiali che si ricombinano), oppure prezzo di uno zero-coupon bond dopo
k mosse lungo il sentiero j (alberi binomiali che non si ricombinano).
357
DERIVATI
Barings Bank Una banca inglese portata al fallimento, all’inizio degli anni ‘90,
dalle posizioni in futures di un unico trader, mal controllato.
barrier option Molte «opzioni con barriera» (barrier options) del tipo «sogget-
to a cancellazione» (knock-out) iniziano la loro vita in modo simile alle standard
options ma, se il prezzo del sottostante tocca o attraversa una certa barriera, ven-
gono cancellate e non pagano nulla indipendentemente da quel che succede dopo.
Se invece la barriera, ossia il «prezzo di cancellazione» (knock-out price), non
viene mai raggiunta, la barrier option ha lo stesso payoff di una standard option.
Le opzioni con barriera appartengono alla categoria generale delle «opzioni sen-
tiero-dipendenti» (path-dependent options) dato che il loro payoff non dipende
solo dal prezzo finale del sottostante ma anche dai prezzi osservati in precedenza
(ossia dal sentiero tracciato durante la vita dell’opzione). Le opzioni sono del tipo
«giù e fuori» (down-and-out) o «su e fuori» (up-and-out) a seconda che la barrie-
ra si trovi inizialmente al di sotto o al di sopra del prezzo del sottostante.
Le opzioni con barriera del tipo «in attesa di validazione» (knock-in) iniziano
a vivere solo se il prezzo del sottostante tocca o attraversa una certa barriera, nel
qual caso diventano pienamente assimilabili alle standard options, quale che sia
358
GLOSSARIO
la loro vita residua. Le opzioni sono del tipo «giù e dentro» (down-and-in) o «su
e dentro» (up-and-in) a seconda che la barriera si trovi inizialmente al di sotto o
al di sopra del prezzo del sottostante.
basis/basis risk La base è la differenza tra prezzo futures e prezzo spot, diffe-
renza che tende a restringersi, fino ad annullarsi alla data di consegna. L’incer-
tezza circa l’ampiezza della base è chiamata «rischio base» (basis risk). Questo
rischio può essere rilevante se l’investitore vuole chiudere la sua posizione prima
della data di consegna, o se intende attuare una strategia di rollover su una serie
di contratti. In questo secondo caso, l’investitore sostiene il rischio base ogni vol-
ta che sostituisce il contratto sotto scadenza con un nuovo contratto che prevede
una data di consegna più lontana nel tempo.
basis point Un centesimo di punto percentuale. Pertanto, 100 «punti base» (ba-
sis points) equivalgono all’1%.
basis swap Negli «swaps di base» (basis swaps o yield curve swaps), gli inte-
ressi variabili su un certo titolo vengono scambiati con gli interessi variabili su un
altro titolo, in genere di diversa scadenza, consentendo ai contraenti di scommet-
tere sulla pendenza della «curva dei tassi di rendimento» (yield curve). Ad esem-
pio, una delle due parti potrebbe ricevere il Libor a 6 mesi e pagare in cambio,
ogni 6 mesi, il tasso sui Treasury bonds a 10 anni. Questo swap è in realtà la
combinazione di due swaps: una plain-vanilla swap (Libor contro fisso) e uno
swap fuori standard (fisso contro T-bond variabile).
bear market warrant Un put warrant il cui strike viene uguagliato al prezzo
del sottostante se ad una certa data il prezzo del sottostante risulta maggiore del
prezzo d’esercizio. In tal modo, il put warrant continua ad essere interessante.
bear spread Supponiamo di ritenere probabile che il prezzo del sottostante di-
minuisca ma di voler limitare le perdite nel caso in cui questo non accada. Po-
tremmo acquistare una put. Supponiamo però di ritenere che il prezzo dell’attivi-
tà scenderà ma non di molto. Siamo quindi disposti a dar via i profitti relativi alla
coda sinistra della distribuzione. Possiamo allora vendere una put con strike più
basso di quello della put che abbiamo acquistato. Continueremo a perdere in caso
di rialzo, perché la put lunga (con strike più alto) costa più della call corta (con
359
DERIVATI
strike più basso). Comunque, la perdita sarà minore di quella che avremmo subito
se non avessimo venduto la put. Questa posizione è detta «spread al ribasso»
(bear spread): spread perché è formata da opzioni dello stesso tipo (o solo calls o
solo puts) e bear perché trae beneficio dal ribasso dei prezzi dell’attività sotto-
stante. Tra gli altri nomi utilizzati per questa posizione figurano bearish vertical
spread, bearish price spread, bearish money spread e bearish strike spread.
Bermudan option Le opzioni che possono essere esercitate solo durante una
parte specifica della loro vita sono dette Bermuda. Questa caratteristica è condi-
visa dalle employee stock options, che di solito sono esercitabili solo nell’ultima
parte della loro vita.
beta (β) Il rischio di un’azione è comunemente misurato dal suo beta, ossia dal-
la sensibilità dell’extra rendimento dell’azione rispetto all’extra rendimento di un
indice di borsa. Ad esempio, se un’azione ha una beta pari a 2 e ci si attende che
il rendimento del mercato azionario sarà maggiore dell’x% rispetto al tasso
d’interesse privo di rischio, il valore atteso dell’extra rendimento dell’azione è
pari a 2 × x%. Più in generale, secondo il capital asset pricing model, il beta mi-
sura il rischio di qualsiasi attività come sensitività del suo extra ritorno rispetto
all’extra ritorno del «portafoglio di mercato» (market portfolio).
360
GLOSSARIO
bisection search Un semplice algoritmo iterativo che può essere utilizzato per
risolvere un’equazione del tipo f (x) = 0 rispetto a x se non può essere risolta per
via analitica (ossia se x non può essere isolato a sinistra del segno d’uguaglianza).
Perché l’algoritmo sia affidabile, f (x) deve essere monotona in x; ossia, f ‘ (x) > 0
per tutte le x nel dominio rilevante o f ‘ (x) < 0 per tutte le x nel dominio rilevante.
361
DERIVATI
box spread Per sfruttare eventuali violazioni della put-call parity senza assu-
mere posizioni sul sottostante, si può costruire un box spread, un’operazione che
coinvolge due coppie di opzioni, formate ognuna da una put e una call (le opzioni
hanno tutte la stessa scadenza ma ogni coppia ha un prezzo d’esercizio diverso).
break forward (Boston option) Una call con strike uguale al prezzo forward,
il cui premio, invece di essere pagato subito, viene pagato alla scadenza, indipen-
dentemente dal fatto che l’opzione finisca in-the-money o out-of-the-money. Le
opzioni di questo tipo, che comportano una posizione a costo nullo ancora più
semplice del range forward, sono anche dette delayed payment options.
bucketing Gli ordini dei clienti devono essere portati in borsa in modo da poter
essere eseguiti ai migliori prezzi, bid o ask. Se il broker non rispetta quest’obbli-
go, «monopolizzando» (bucketing) gli ordini ed eseguendoli internamente, per il
proprio tornaconto, commette un reato.
I bucket shops erano ditte illegali d’intermediazione finanziaria, probabil-
mente estinte, che rinviavano sistematicamente l’esecuzione degli ordini della
clientela. Nel caso di ordini d’acquisto, il rinvio dell’esecuzione comportava a
volte, per il cliente, il pagamento di un prezzo più elevato. Se invece l’acquisto
veniva effettuato ad un prezzo minore di quello quotato al momento il cui l’ordi-
ne era stato ricevuto, il cliente pagava comunque il prezzo più elevato e la ditta si
intascava la differenza.
362
GLOSSARIO
butterfly spread (sandwich spread) Uno spread costruito con tre opzioni del-
lo stesso tipo, con strikes diversi ma uguale scadenza, scritte sullo stesso sotto-
stante. Nel butterfly lungo, si acquista un’opzione con strike basso ed una con
strike alto e si vendono due opzioni con strike intermedio.
buyer/seller Il «compratore» (buyer) è chi versa denaro per ricevere dal «ven-
ditore» (seller) un bene o un servizio. Nel «contratto forward» (forward con-
tract), il buyer è chi si impegna a pagare per ricevere un bene in futuro. Se il con-
tratto riguarda un’«opzione ordinaria» (standard option), il buyer è chi versa un
premio iniziale per avere il diritto di risolvere il contratto, mentre il seller è chi è
invece obbligato a rispettare il contratto se la controparte non ne chiede la risolu-
zione. In diversi derivati fuori standard (ad es. negli swaps), il buyer e il seller
sono più difficilmente identificabili. In questi casi si parla genericamente di “con-
troparti”.
Cud Valore di una call dopo un rialzo, seguito da un ribasso (alberi binomiali).
CAC-40 Index Indice basato sulle azioni di 40 delle 100 principali società quo-
tate alla Borsa di Parigi. È comparabile con il Dow Jones Industrial Average. Esi-
ste un mercato di borsa per la negoziazione di futures e opzioni scritti su
quest’indice.
363
DERIVATI
call (C, C*, Cu/Cd) Le opzioni ordinarie sono contratti per acquistare o vendere
una certa attività, ad un certo prezzo e ad una certa data (o entro una certa data),
in cui una sola delle due controparti può risolvere il contratto. Se il diritto di an-
nullare il contratto spetta alla parte che deve ricevere l’attività sottostante, l’op-
zione è di tipo call; se invece il diritto spetta alla parte che deve consegnare
l’attività sottostante, la opzione è di tipo put.
Le opzioni ordinarie sono simili ai forwards dato che hanno per oggetto una
futura compravendita il cui prezzo viene fissato ora. Nel caso delle opzioni, que-
sto prezzo viene chiamato «prezzo d’esercizio» (strike price). Il tempo mancante
alla scadenza dell’opzione è la «vita residua» (time-to-expiration). Le opzioni
differiscono dai forwards perché una delle controparti – il «compratore» (buyer)
– può annullare il contratto. Invece, la parte che ha “scritto” l’opzione – il «ven-
ditore» (seller) – è tenuta ad onorare il suo impegno. Dato che l’opzione rappre-
senta per lui un diritto, e non un obbligo, il compratore deciderà di annullare il
contratto se ciò è nel suo interesse. Invece, il venditore non ha questa facoltà e
deve onorare il contratto se il compratore decide di esercitare l’opzione. La facol-
tà di annullare il contratto ha in genere un valore. Pertanto, il compratore deve
pagare un corrispettivo [il «prezzo dell’opzione» (option price) o «premio»
(premium)] al venditore nel momento in cui l’opzione viene negoziata, anche se
la compravendita sottostante avverrà, eventualmente, in futuro.
Ad esempio, si consideri una call negoziata in borsa che consente di acquista-
re, tra 1 anno (vita residua), 100 azioni General Motors (GM) a $50 l’una (prezzo
d’esercizio o strike). Tra 1 anno, il compratore dell’opzione deciderà se utilizzare
la call per comprare le azioni oppure annullare il contratto. Se il prezzo dell’a-
zione GM sarà maggiore di $50 – ad es. $70 – deciderà senza dubbio di esercitare
l’opzione, costringendo così il venditore dell’opzione a cedergli le azioni a $50
l’una. Potrà poi vendere le azioni realizzando un profitto di $20 (= $70– $50) per
ogni azione venduta. Il profitto totale sarà pari a 100 volte questo importo, ossia a
$2.000 (= $20 × 100), dato che le calls negoziate in borsa gli permettono di com-
prare 100 azioni. Invece, se il prezzo dell’azione sarà minore di $50, il comprato-
re della call annullerà il contratto semplicemente limitandosi a non esercitare
l’opzione. Se davvero volesse comprare le azioni GM, gli converrebbe acquistar-
le direttamente sul mercato. Si noti che, se invece di una call avesse comprato un
forward, il compratore avrebbe dovuto pagare $50 per ogni azione anche nel caso
in cui il loro prezzo di mercato fosse risultato molto più basso, ad es. $30.
Gli strani nomi “call” e “put” derivano dalle operazioni che possono essere
effettuate da chi compra un’opzione. Il compratore di una call può “richiedere” il
sottostante al venditore mentre il compratore della put può “collocare” il sotto-
stante presso il venditore.
364
GLOSSARIO
cap option Un’opzione che forza l’esercizio nel momento in cui il prezzo del
sottostante tocca o attraversa una certa barriera.
cash market Detto anche «mercato a pronti» (spot market), è il mercato dove
si hanno scambi immediati di attività contro moneta. Ad esempio, la New York
Stock Exchange è una buona approssimazione del cash market, dato che il pa-
365
DERIVATI
gamento e la consegna dei titoli avvengono in genere 3 giorni lavorativi dopo che
la transazione è stata eseguita. Si veda forward market.
Chicago Board of Trade (CBOT) La più antica tra le quattro principali borse
statunitensi che trattano derivati, costituita nel 1848. Al CBOT e alla Chicago
Mercantile Exchange (CME) si negoziano futures e opzioni su futures. Per mol-
ti anni, queste borse hanno trattato solo futures su merci. Più di recente, nel 1972,
hanno cominciato a trattare anche futures puramente finanziari e quindi futures su
indici azionari, obbligazioni e valute. Ancora più di recente, nel 1982, hanno co-
minciato a negoziare opzioni su futures (che erano state vietate dal Commodity
Exchange Act del 1936).
366
GLOSSARIO
Chicago Mercantile Exchange (CME) Una delle quattro principali borse sta-
tunitensi che trattano derivati. Deriva dal Chicago Butter and Egg Board, costitui-
to nel 1874. Alla CME si negoziano futures e opzioni su futures. Si veda anche
Chicago Board of Trade.
chumming I market makers o i locals hanno interesse ad attrarre gli ordini del
pubblico sui titoli a loro assegnati. Un modo per farlo è di creare una parvenza di
liquidità con negoziazioni incrociate che gonfiano i volumi scambiati. Una volta
che gli ordini arrivano, i floor traders possono incassare il bid-ask spread. Questa
pratica illegale è detta «inciucio» (chumming).
churning Pratica illegale operata dai brokers che, generando ampi volumi di
negoziazioni (con pochi o nulli benefici per il cliente), si arricchiscono a loro
spese. Sebbene illegale l’«eccesso di rotazione» (churning) è difficile da dimo-
strare. Verso la fine degli anni ‘80, alcuni intermediari finanziari hanno offerto
piani d’investimento che prevedevano commissioni su opzioni pari al 25%-40%
dei premi e la rotazione dei portafogli ogni 2-10 settimane. Ad esempio, un clien-
te con un piano da $5.000 e commissioni pari al 25%, avrebbe pagato $1.000 in
commissioni, investendo in effetti solo $4.000. Se fosse riuscito ad andare in pa-
ri, due settimane dopo avrebbe pagato altri $800 in commissioni, reinvestendo
solo $3.200. Per riavere a fine anno i $5.000 iniziali, il tasso di rendimento a-
vrebbe dovuto essere pari al 21.000%! Tale fu l’ingenuità dei clienti e
l’ambiguità delle tecniche di marketing che decine di migliaia di investitori per-
sero centinaia di milioni di dollari.
clearing house I contratti che vengono negoziati sul floor della borsa sono ga-
rantiti da una «stanza di compensazione» (clearing house), controllata da una o
più borse. I soci della clearing house possono «compensare le negoziazioni»
(clear trades) ossia inoltrare le transazioni alla clearing house. La clearing house
abbina gli ordini di acquisto e di vendita dello stesso contratto. Le negoziazioni le
cui descrizioni, inoltrate dalle due controparti, non collimano sono chiamate out
trades. Questi discordanze vengono in genere riconciliate prima dell’apertura del
mercato. I regolamenti per contanti tra le controparti avvengono attraverso la
clearing house, che si comporta come un intermediario. Dato che ad ogni acqui-
sto corrisponde sempre una vendita, il saldo dei pagamenti effettuati attraverso la
clearing house è sempre nullo, se si trascura una piccola «commissione di com-
pensazione» (clearing fee) e si assume che non vi siano insolvenze. Una volta
che la negoziazione è stata effettuata, la clearing house si interpone tra i due con-
traenti sollevando entrambi dal rischio che la controparte risulti insolvente.
clearing margin La solvibilità della clearing house è assicurata, oltre che dalle
sue attività, dai «depositi di garanzia» (clearing margins) dei soci, da un fondo di
367
DERIVATI
garanzia e dai «diritti di prelievo» (drawing rights) nei confronti dei soci. Nel
caso di una forte variazione dei prezzi, la clearing house può richiedere ai soci
più esposti di integrare i depositi di garanzia. In genere, i versamenti devono es-
sere effettuati entro un’ora dalla «richiesta di integrazione» (margin call). Anche
l’importo che va depositato all’apertura di nuova posizione, detto «margine ini-
ziale» (initial margin), può essere modificato con breve preavviso. Queste proce-
dure assicurano ai derivati di borsa una notevole integrità finanziaria.
368
GLOSSARIO
competitive market Un mercato in cui tutti i buyers e i sellers (o, più gene-
ralmente, le controparti) non colludono ed agiscono come se le loro operazioni
avessero effetti trascurabili sui prezzi. Si ha quindi un «mercato concorrenziale»
(competitive market) anche se i partecipanti ne possono influenzare i prezzi ma la
loro influenza è lieve o non è comunque alla base della transazione.
competitive market-maker system Nel sistema dei market makers, gli ordini
del pubblico vengono passati ai floor brokers che, mediante «aste alle grida» (o-
pen outcry auctions) condotte nei trading pits, li associano ad ordini di segno op-
posto di altri floor brokers o di market makers. Diversamente dal sistema degli
specialists, in cui – per ogni trading pit – c’è un solo specialist, nel sistema dei
market makers diversi operatori competono l’uno contro l’altro. Le informazioni
relative agli ordini con limite di prezzo vengono curate da un «funzionario addet-
to al libro ordini» (order book official), che le rende disponibili a tutti i traders.
contingent claim I derivati sono anche noti come «diritti contingenti» (contin-
gent claims) dato che i loro payoffs dipendono da eventi relativi alle variabili sotto-
stanti.
369
DERIVATI
contract Accordo volontario tra due o più parti per lo scambio di denaro, attivi-
tà, titoli o servizi. Perché sia valido, occorre che le parti abbiano titolo per assu-
mersi i reciproci impegni che formano oggetto del contratto.
convenience yield (y) Chi possiede una merce come il petrolio gode di un «tas-
so di convenienza» (convenience yield). La disponibilità della merce gli consente di
poterla utilizzare per fini di consumo o di produzione. È il convenience yield che
determina gli estremi entro cui può oscillare il prezzo futures.
370
GLOSSARIO
$50. I fratelli Hunt non furono però in grado di mantenere il controllo del merca-
to e persero miliardi di dollari. A fine marzo del 1980 il prezzo scese a $11 e i
fratelli Hunt dovettero far ricorso alle procedure fallimentari.
cost of carry Per coprire una posizione corta su futures si può comprare a pron-
ti l’attività sottostante. I costi connessi con la posizione spot, inclusi gli interessi
e i costi d’immagazzinamento, rappresentano il cosiddetto «costo di trasferimen-
to» (cost of carry). I payouts vanno a compensare il cost of carry.
covered call La vendita di una call combinata con l’acquisto dell’attività sotto-
stante. Rappresenta la posizione più comune tra quelle che riguardano le opzioni
e le attività sottostanti. Una call venduta è detta semplicemente uncovered call.
credit (o counterparty) risk Il rischio che l’altra parte di un contratto non ono-
ri i suoi impegni. In genere il counterparty risk coincide con il «rischio
d’insolvenza» (default risk): l’incapacità di effettuare pagamenti a causa del «fal-
limento» (bankruptcy). Lo scopo principale della clearing house e del marking
to market è quello di ridurre il counterparty risk.
credit spread/debit spread Esistono due tipi di (bull o bear) spreads: i credit
spreads che comportano un incasso e i debit spreads che comportano un esborso.
Ad esempio, i bear spreads mediante calls sono in genere credit spreads men-
tre i bear spreads mediante puts sono in genere debit spreads.
371
DERIVATI
currency swap Diversamente dai plain-vanilla interest rate swaps, gli «swaps
su valute» (currency swaps) prevedono non solo lo scambio degli interessi ma
anche dei capitali. Supponiamo che la società americana A voglia finanziarsi in
sterline e che la società inglese B voglia finanziarsi in dollari. Essendo ben nota
negli Stati Uniti, A può finanziarsi in dollari ad un tasso più basso di B, mentre B,
essendo ben nota nel Regno Unito, può finanziarsi in sterline ad un tasso più bas-
so di A. Pertanto, se A e B, dopo essersi finanziate rispettivamente in dollari e in
sterline, entrano in uno swap in cui pagano, rispettivamente, sterline e dollari,
entrambe le società possono trarre beneficio dalle migliori condizioni ottenute sui
finanziamenti denominati nelle rispettive valute.
372
GLOSSARIO
vendono. In genere, questi operatori sono day traders, nel senso che chiudono le
posizioni nello stesso giorno in cui le aprono, in modo da essere «pareggiati»
(flat) dopo la chiusura. Nonostante il margine d’intermediazione su ogni coppia
di transazioni, questi operatori migliorano la liquidità del mercato.
delta (δ) La sensibilità del valore del derivato rispetto al prezzo del sottostante.
È pari al numero di unità del sottostante da inserire nel «portafoglio equivalente»
(replicating portfolio). Il valore corrente di un’opzione è pari al prodotto tra il
delta ed il prezzo corrente del sottostante meno l’importo del finanziamento che
figura nel portafoglio equivalente.
Il delta di un portafoglio di derivati scritti sulla stessa attività sottostante è la
media ponderata dei delta dei singoli derivati in portafoglio. Il delta del portafo-
glio misura l’esposizione del portafoglio a piccole variazioni del prezzo
dell’attività sottostante. Ad esempio, se il delta del portafoglio è pari a −145, il
portafoglio equivale ad una posizione corta su 145 unità dell’attività sottostante.
Il segno del delta del portafoglio indica se il portafoglio è attualmente lungo (del-
ta positivo) o corto (delta negativo). I portafogli delta positivi (negativi) sono ap-
propriati per gli investitori che hanno aspettative rialziste (ribassiste) circa il
prezzo dell’attività sottostante. Se il delta del portafoglio è nullo, il portafoglio
non è localmente né lungo né corto: si dice che il portafoglio è «neutrale rispet-
to al delta» (delta-neutral).
Il delta è un parametro così importante che gli option traders vogliono
anche sapere di quanto il delta si modifica quando il prezzo del sottostante cam-
bia. Questa derivata seconda è chiamata gamma.
373
DERIVATI
derivative I «derivati» (derivatives) sono contratti tra due soggetti che specifi-
cano le condizioni − in particolare, le date ed i valori delle variabili fondamentali
– in base alle quali si determinano i pagamenti, o payoffs, che verranno effettuati
tra le controparti.
diagonal spread Gli spreads che combinano due opzioni dello stesso tipo con
strikes diversi e scadenze diverse sono chiamati «spreads diagonali» (diagonal
spreads).
differential (o diff) swap Un interest rate swap in cui il tasso variabile deno-
minato in una valuta viene scambiato con il tasso variabile denominato in un’altra
valuta ma entrambi i tassi vengono applicati ad un unico capitale nozionale.
Dow Jones Industrial Average (DJIA) Basato su 30 titoli, il DJIA è il più an-
tico e più noto indice azionario statunitense. Diversamente dallo S&P500, il DJIA
viene calcolato semplicemente sommando i prezzi di mercato dei suoi 30 titoli
senza ponderarli per il numero delle azioni in circolazione. Nel 1997, la Dow Jo-
nes & Company, che è proprietaria del marchio DJIA, ha dato il suo benestare
alla negoziazione di derivati basati sul suo indice.
374
GLOSSARIO
dynamic asset allocation Gli approcci seguiti dagli investitori istituzionali per
gestire i loro portafogli si basano in genere sul tradeoff tra ritorno atteso e rischio
(che è in genere misurato dalla varianza dei ritorni). L’approccio media-varianza
ha però due limiti fondamentali: il rischio viene sintetizzato da un solo parametro
(mentre, in effetti, ha molte dimensioni); inoltre, l’approccio trascura il fatto che
la composizione del portafoglio potrà essere poi rivista. La dynamic asset alloca-
tion generalizza l’approccio media-varianza per superarne i limiti. Affronta il
problema fondamentale dell’asset allocation – quello di ripartire un certo patri-
monio tra moneta e portafoglio di mercato – data una payoff function obiettivo
(ovvero una distribuzione soggettiva di payoffs) ad una certa scadenza. Il pro-
blema affrontato consiste nel replicare una certa payoff function utilizzando op-
zioni e strategie dinamiche nonché nel determinare l’investimento corrente mi-
nimo che consenta di raggiungere quest’obiettivo con una «strategia che si auto-
finanzia» (self-financing strategy). In genere, se il mercato dei derivati è suffi-
cientemente ampio, gli obiettivi della dynamic asset allocation possono essere
raggiunti con una «replica statica» (static replication). In effetti, se la payoff line
è rappresentata da una spezzata, si può costruire un portafoglio composto da mo-
neta, sottostante ed opzioni europee che replichi esattamente il payoff desiderato.
EAFE (Europe and Australasia, Far East Equity Index) Un indice azionario
internazionale gestito da Morgan Stanley. Esistono futures e opzioni scritti su
questo indice.
elbow trading Gli ordini che giungono al trading pit dovrebbero essere esegui-
ti in un’asta alle grida aperta a tutti i traders. Un modo per privare il cliente del
prezzo equo risultante da questo meccanismo competitivo è quello di partecipare
375
DERIVATI
ad una «negoziazione disgiunta» (elbow trade), in cui due traders vicini l’un
l’altro nel trading pit eseguono privatamente l’ordine senza mostrarlo agli altri.
European option Un’opzione che può essere esercitata solo alla scadenza. Si
veda American option.
376
GLOSSARIO
exchange Le borse sono organismi centralizzati nei cui «recinti» (trading pits)
gli acquirenti e i venditori (o i loro rappresentanti) si incontrano. Le borse vendo-
no i propri «seggi» (seats) e chi li acquista ha diritto a negoziare sul suo
«parterre» (floor). Ogni seggio può essere intestato ad un solo floor trader. In
ultima analisi, le due controparti della maggior parte delle operazioni concluse in
borsa sono rappresentate da un «socio» (member) che acquista e da un altro socio
che vende. Esiste un mercato secondario dei seggi. Negli anni più recenti, il prez-
zo dei seggi delle principali borse è oscillato tra $500.000 e $1.500.000. Gli ex-
change members possono essere suddivisi in 5 tipologie: floor brokers o com-
mission brokers, che negoziano solo per conto del pubblico; market-markers o
locals, che negoziano solo per proprio conto ed hanno l’obbligo di “fare merca-
to”; specialists, che possono negoziare per proprio conto o per conto del pubblico
e che hanno l’obbligo di “fare mercato”; registered option traders, che possono
negoziare per proprio conto o per conto del pubblico e che non hanno l’obbligo
di “fare mercato”; e proprietary members, che negoziano per proprio conto, in
genere passando gli ordini per via elettronica lontano dal floor, e che non hanno
l’obbligo di “fare mercato”.
exchange for physicals (EFP) Uno dei tre modi in cui vengono chiuse le posi-
zioni su futures. Mediante l’EFP, i futures possono essere chiusi con la consegna
del sottostante anche prima del periodo previsto dalla borsa (se c’è accordo tra
compratore e venditore). Inoltre, le parti possono convenire che la consegna ven-
ga effettuata in una località diversa da quella standard e che la qualità sia diversa
da quella standard. Spesso gli EFPs sono più diffusi delle consegne standard.
exchange rate I tassi di cambio delle valute estere possono creare confusione
perché alcuni sono definiti come rapporto tra valuta interna e valuta estera mentre
altri sono definiti come rapporto tra valuta estera e valuta interna. Ad esempio, il
tasso di cambio della sterlina è quasi sempre definito in termini di dollari per
sterlina; se occorrono $1,70 per comprare una sola sterlina, il tasso di cambio è
1,70. Molte altre valute sono invece quotate in termini di valuta estera per dolla-
ro. Un esempio è dato dal dollaro canadese, quotato come CAD/USD. Così, se
occorrono USD5 per comprare CAD7, il tasso di cambio è 1,40 (= 7 / 5).
377
DERIVATI
exercise L’esercizio rappresenta uno dei 3 modi per chiudere una posizione su
opzioni. In caso d’esercizio, il portatore della call paga lo strike e riceve il sotto-
stante, mentre il portatore della put riceve lo strike e consegna il sottostante. Con
l’esercizio, gli obblighi e i diritti di compratore e venditore si estinguono. Le op-
zioni che possono essere esercitate in un qualsiasi momento della loro vita sono
dette «opzioni americane» (American options) mentre quelle che possono essere
esercitate solo alla scadenza sono dette «opzioni europee» (European options).
exercise limits Limiti, fissati dagli organi di vigilanza, che riguardano la di-
mensione delle posizioni su derivati. Si veda position limits/exercise limits.
Federal National Mortgage Association (FNMA) Creata nel 1938 come so-
cietà a capitale pubblico, la FNMA viene finanziata dal governo degli Stati Uniti
affinché acquisti mutui, li raggruppi e li venda agli investitori in forma di mort-
gage-backed securities. Le garanzie offerte sono di alta qualità ma manca la ga-
ranzia diretta del governo federale. Il soprannome di FNMA è “Fannie Mae”.
fiduciary call La put-call parity C = P + Sd–t – Kr– t può essere riscritta come
Sd–t + P = C + Kr– t. Il lato sinistro di questa relazione rappresenta una “pro-
tective put” mentre il lato destro è una “fiduciary call”:
Protective put = Fiduciary call (Asset + Put = Call + Cash)
378
GLOSSARIO
first/last notice day Il contratto futures specifica «il primo e l’ultimo giorno di
consegna» (first and last notice day) che definiscono il periodo nel quale il vendi-
tore può inviare alla clearing house della borsa un «avviso dell’intenzione di ef-
fettuare la consegna» (notice of intention to deliver). L’ultimo giorno di contrat-
tazione cade qualche giorno primo del last notice day. Quando riceve l’avviso, la
clearing house sceglie il compratore, con la posizione in essere da più tempo, che
dovrà accettare la consegna. Nel giorno di consegna, il venditore trasferisce la
proprietà della merce al compratore, dietro pagamento del corrispettivo.
floor broker Un socio della borsa che negozia solo per conto del pubblico in
cambio di una commissione; è anche detto commission broker. Si veda exchan-
ge.
379
DERIVATI
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GLOSSARIO
381
DERIVATI
Per legge, i futures possono essere negoziati solo in borsa mentre i forwards
sono trattati nei mercati over-the-counter.
gamma (Γ) Misura di quanto si modifica il delta quando il prezzo del sotto-
stante cambia. Per le calls, ad esempio, al crescere del prezzo del sottostante, il
delta (il numero di unità del sottostante nel portafoglio equivalente) aumenta,
passando da un minimo prossimo a 0 ad un massimo prossimo a 1. Pertanto, le
calls lunghe sono “gamma-positive” dato che il loro delta aumenta col crescere
del prezzo del sottostante. Invece, le calls corte sono “gamma-negative”. Il segno
del gamma è una misura della convessità del payoff dell’opzione. Le posizioni su
opzioni con payoff convesso sono gamma-positive. Le posizioni su opzioni con
payoff concavo sono gamma-negative.
Il gamma di una call o di una put è la derivata seconda del valore dell’opzio-
ne rispetto al prezzo del sottostante. Pertanto, nella formula Black-Scholes:
–
∂2C/∂S2 = ∂2P/∂S2 = [d–t /(Sσ√ t )]n(x). Come derivata seconda, il gamma misura il
grado di curvatura di una funzione. Ad esempio, dato che la derivata prima è co-
stante, il gamma di una retta è nullo. Di conseguenza, il termine “curvatura” è a
volte utilizzato per indicare il gamma.
382
GLOSSARIO
Greeks (∆, Γ, Θ) I parametri (delta, gamma, theta, vega, rho, lambda, ecc.)
utili per la copertura delle posizioni su opzioni sono spesso chiamati “greche”.
Hang Seng Index Un indice che misura la performance del mercato azionario
di Hong Kong. È basato su 33 società ad elevata capitalizzazione.
383
DERIVATI
hedge ratio Il «rapporto di copertura» (hedge ratio) tra due titoli è il rapporto
in cui uno dei due titoli deve essere detenuto rispetto all’altro per avere la “mi-
gliore copertura” (ossia quella col minimo rischio). Nel caso di un’opzione e del
sottostante, il delta secondo Black-Scholes, cambiato di segno, rappresenta
l’hedge ratio che minimizza il rischio per “brevi” periodi di detenzione dell’op-
zione. Nel caso di due opzioni, l’inverso del rapporto tra i rispettivi delta, cam-
biato di segno, minimizza il rischio e, in tal senso, rappresenta il loro hedge ratio.
Ho-Lee model Per far sì che i valori teorici delle bond options siano coerenti
con i prezzi degli zero-coupon bonds di varia scadenza, si inizia in genere dai
prezzi dei titoli e si risolve il problema inverso determinando l’albero dei riskless
returns coerente con i prezzi osservati. Questo importante problema è stato risol-
to per la prima volta da Thomas Ho e Sang-Bin Lee nel 1986.
holding value Per calcolare il valore di una call americana, dobbiamo confron-
tare il suo «valore in caso d’esercizio» (exercisable value) con il «valore che a-
vrebbe se venisse tenuta in vita ancora per un periodo» (holding value). Il valore
corrente dell’opzione è pari al maggiore tra i due, quale che esso sia.
384
GLOSSARIO
duttori, il prezzo netto di una risorsa esauribile, ossia il prezzo di mercato meno i
costi di estrazione, dovrebbe crescere nel tempo in base al ritorno privo di ri-
schio, fintanto che risulta conveniente estrarla solo in parte e lasciarne il resto nel
sottosuolo. Questo principio presuppone che ogni produttore sia indifferente tra
produzione corrente e futura.
implied repo rate Un utile modo per valutare i «prezzi futures» (futures pri-
ces) è quello di risolvere la forward-spot parity, F = S ( r/d ) t , rispetto al tasso
d’interesse privo di rischio, r – 1, da cui r − 1 = d(F/S)l/t − 1. Questo è il cosiddet-
to «tasso di riporto implicito» (implied repo rate). Grosso modo, tassi impliciti
elevati indicano prezzi futures elevati, e viceversa.
385
DERIVATI
in-the-money Una call (put) con prezzo d’esercizio minore (maggiore) del
prezzo corrente del sottostante è detta in-the-money dato che se il prezzo del sot-
tostante resta invariato, alla fine converrà esercitare l’opzione. Il «valore in caso
d’esercizio» (exercisable value), max [0, S – K], di una in-the-money call è S – K
> 0. L’exercisable value, max [0, K – S], di una in-the-money put è K – S. Si veda
anche at-the-money e out-of-the-money.
index options Le opzioni sullo S&P500 negoziate alla CBOE sono un impor-
tante esempio di «opzioni su indici» (index options). Queste opzioni sono simili
ai futures sullo S&P500, ma il compratore della call ha il diritto, non l’obbligo, di
ricevere un importo pari a 100 volte la differenza tra il prezzo spot dello S&P500
alla scadenza e il prezzo d’esercizio dell’opzione. Le opzioni sullo S&P500, e-
sercitabili solo alla scadenza, sono dette “europee”, mentre quelle sullo S&P100
(così come le opzioni su singole azioni), esercitabili anche prima della scadenza,
sono dette “americane”.
386
GLOSSARIO
insured portfolio (V, V*) È importante distinguere tra due portafogli: il «porta-
foglio sottostante» (underlying portfolio), (S, S*), ed il «portafoglio assicurato»
(insured portfolio), (V, V*). Ad esempio, il portafoglio sottostante potrebbe essere
quello dello S&P500. Il portafoglio assicurato viene gestito in modo da produrre
il payoff della portfolio insurance – in particolare, il floor e l’upside capture. Si
può pensare che, all’inizio della strategia, l’investitore sia già in possesso del por-
tafoglio dello S&P500 e che decida di “assicurarsi” contro il rischio di perdite.
Invece di versare altro denaro e comprare una polizza assicurativa, l’investitore
decide di seguire la strategia dinamica suggerita dalla portfolio insurance.
All’inizio, i valori del portafoglio sottostante e del portafoglio assicurato coinci-
dono, ossia V = S. Successivamente, a meno che il valore del portafoglio sotto-
stante non finisca per caso con l’uguagliare il floor, i due valori saranno diversi.
International Monetary Market (IMM) Creato nel 1972, l’IMM è una divi-
sione della Chicago Mercantile Exchange specializzata in currency futures, inte-
rest rate futures e stock index futures, così come in futures options.
387
DERIVATI
inverse problem Dato che i prezzi dei derivati dipendono dalle «probabilità
neutrali verso il rischio» (risk-neutral probabilities) fissate dal mercato, possia-
mo capovolgere la questione e affermare che le probabilità neutrali verso il ri-
schio fissate dal mercato dipendono dai prezzi dei derivati. Questo è il cosiddetto
«problema inverso» (inverse problem). Ogni che volta che incontriamo un nuovo
derivato, impariamo qualcosa in più sulle probabilità neutrali verso il rischio fis-
sate dal mercato. L’arte della moderna valutazione dei derivati consiste
nell’imparare quanto più è possibile circa queste probabilità in base al minor nu-
mero possibile di derivati.
Investment Company Act Legge approvata nel 1940 dal Parlamento degli Sta-
ti Uniti riguardante la regolamentazione delle investment companies (closed-end
investment companies, open-end mutual funds e unit investment trusts). L’In-
vestment Company Act richiede, tra l’altro, che questi fondi si registrino presso la
Securities and Exchange Commission. Fissa inoltre regole in aree quali la pro-
mozione delle operazioni di raccolta del risparmio, i prospetti e i rendiconti per
gli investitori, la valutazione dei titoli e la ripartizione dei fondi tra i vari investi-
menti.
jump Forse il limite più importante per le strategie di replica delle opzioni è
rappresentato dalle «discontinuità» (jumps) dei prezzi. Si ha un jump quando il
388
GLOSSARIO
prezzo passa da un livello all’altro senza prima passare per tutti i possibili livelli
intermedi.
La significatività dei jumps dipende moltissimo da quando si verificano. Se il
salto di prezzo avviene in un periodo di basso gamma, non ci sono problemi, per-
ché il livello del prezzo prima e dopo il salto ha poca rilevanza per il delta obiet-
tivo. Se, invece, il salto di prezzo avviene in un periodo di alto gamma, gli errori
di replica saranno rilevanti.
law of large numbers La «legge dei grandi numeri» (law of large numbers) è
la legge statistica secondo cui se un esperimento viene ripetuto più volte in iden-
tiche condizioni, la frequenza relativa di un evento tende ad essere pari alla pro-
babilità che l’evento si verifichi, con un errore di approssimazione che diventa
sempre più piccolo al crescere del numero degli esperimenti.
389
DERIVATI
limit order «Ordine con limite di prezzo» (limit order): ordine di acquisto o
vendita al prezzo specificato o migliore. Si veda market order.
limit order book Un elenco dei limit orders relativi ad un certo titolo, ordinato
con criteri di prezzo e di tempo, a cura dello specialist o dell’order book official.
Nel caso degli ordini di acquisto (vendita), viene data priorità agli ordini non e-
seguiti che hanno il prezzo più elevato (più basso) e sono stati dati da più lungo
tempo. È responsabilità dello specialist o dell’order book official garantire che le
priorità di prezzo e di tempo vengano rispettate.
390
GLOSSARIO
Major Market Index (MMI) Un altro indice del mercato azionario statuniten-
se. Più piccolo anche dello S&P100, questo indice si basa solo su 20 titoli, la
maggior parte dei quali fa parte del paniere di 30 titoli del Dow Jones Industrial
Average, il più antico e più noto indice azionario. Diversamente dallo S&P500 e
dallo S&P100, il Major Market Index viene calcolato semplicemente sommando i
prezzi di mercato dei suoi 20 titoli senza ponderarli per il numero delle azioni in
circolazione. L’MMI rispecchia da vicino il DJIA, che è calcolato nello stesso
modo. L’MMI è stato creato perché la Dow Jones & Company, che è proprietaria
del marchio DJIA, non ha dato il suo benestare, fino al 1997, alla negoziazione di
derivati basati sul suo indice.
391
DERIVATI
market price of risk (λ) Assumiamo che tutti i titoli privi del rischio
d’insolvenza siano valutati in modo che, nel periodo successivo, la differenza tra
il ritorno atteso e il riskless return periodale, divisa per la deviazione standard del
ritorno, sia la stessa in ogni nodo. Indichiamo con λ questo rapporto tra extra ri-
torno e rischio, una misura che gli economisti finanziari chiamano «prezzo di
mercato del rischio» (market price of risk):
mk , j ≡ q k , j [ Bk +1, j +1 / Bk , j ] + (1 − q k , j )[ Bk +1, j / Bk , j ]
λ ≡ (mk , j − rk , j ) / vk , j
392
GLOSSARIO
l’analista può individuare il mix ottimale. Questo mix riflette non solo le condi-
zioni correnti ma anche, nell’ottica dell’investitore, il suo tradeoff tra rischio e
ritorno atteso del portafoglio, dove, con le tecniche tradizionali, il rischio è misu-
rato dalla volatilità del portafoglio o dalla varianza.
393
DERIVATI
neutral spread Uno spread tra due opzioni dello stesso tipo (due calls o due
puts) scritte sullo stesso sottostante, dove il numero relativo delle due opzioni
viene scelto in modo da creare una posizione con delta nullo.
New York Mercantile Exchange (Nymex) La più grande borsa del mondo per
la negoziazione di futures su merci non agricoli.
New York Stock Exchange (NYSE) La prima borsa degli Stati Uniti e la più
grande del mondo. Creata nel 1792, ha funzionato da allora senza interruzioni.
Nikkei 225 Stock Average Un indice dei 225 principali titoli quotati alla To-
kyo Stock Exchange.
394
GLOSSARIO
offset Le posizioni sui futures vengono chiuse in uno dei tre seguenti modi:
l’offset; la consegna (o, in alcuni casi, il cash settlement); l’exchange for physi-
cals. Per «chiudere» (offset) un futures, il buyer o il seller negoziano un contratto
di segno opposto: il buyer vende, il seller compra.
omega (Ω) L’elasticità del prezzo dell’opzione rispetto al prezzo del sottostan-
te. Anche questa è una «greca» (Greek). Il delta è la derivata del prezzo
dell’opzione rispetto al prezzo del sottostante; ossia, ∆ = ∂C/∂S. L’omega viene
così calcolato: Ω = ∆(S/C) = [(∂C)/C] ÷ [∂S/S] = (S∆)/C.
open interest L’«open interest» è il numero dei contratti in essere ad una certa
data. Nei mercati dei futures e delle opzioni, l’open interest è il numero dei con-
tratti detenuti dai compratori. Naturalmente, dato che ci sono tanti compratori
quanti venditori, l’open interest può anche essere definito come il numero dei
contratti detenuti dai venditori. Questa misura non tiene conto delle differenze
sostanziali tra i vari contratti per quanto riguarda il numero di unità o il prezzo
dell’attività sottostante.
395
DERIVATI
out-of-the-money Una call (put) con prezzo d’esercizio maggiore (minore) del
prezzo corrente del sottostante è detta out-of-the-money dato che, se il prezzo del
sottostante resta invariato, non converrà mai esercitare l’opzione. Il «valore in
caso d’esercizio» (exercisable value), max [0, S – K], di una out-of-the-money
call è 0. L’exercisable value, max [0, K – S], di una out-of-the-money put è 0. Si
veda anche at-the-money e in-the-money.
out trades I contratti negoziati sul floor della borsa sono garantiti da una
«stanza di compensazione» (clearing house), controllata da una o più borse. I
soci della clearing house possono «compensare le negoziazioni» (clear trades),
ossia inoltrare le transazioni alla clearing house. La clearing house abbina gli
396
GLOSSARIO
Pacific Stock Exchange (PSE) Borsa regionale con sedi a San Francisco e Los
Angeles. È una delle 4 borse statunitensi per la negoziazione di opzioni. Al pari
della Chicago Board Options Exchange, utilizza il competitive market-maker
system.
package Il tipo più semplice di «opzione esotica» (exotic option). Il suo payoff
può essere replicato da un portafoglio che contiene una o più opzioni, il sotto-
stante e la moneta. Un esempio di «pacchetto» (package) è il «colletto» (collar)
che ha lo stesso payoff del sottostante ma con un minimo (floor) ed un massimo
(cap). Può essere replicato comprando uno zero-coupon bond con valore nomina-
le pari al floor, comprando una call con strike pari al floor e vendendo una call
con strike pari al cap.
painting the tape Un broker ha eseguito un ordine di vendita per 10.000 azioni
397
DERIVATI
Pascal’s triangle Il numero dei sentieri che arrivano in ogni nodo di un albero
binomiale può essere calcolato in base ad un altro albero, noto come triangolo di
Pascal, dal nome del suo inventore, Blaise Pascal, il famoso filosofo e matemati-
co del 17° secolo.
1
Triangolo di 1 1
Pascal
(prime sei 1 2 1
righe)
1 3 3 1
1 4 6 4 1
1 5 10 10 5 1
398
GLOSSARIO
payoff table Forse il modo più semplice, ma anche più generale, per descrivere
un «derivato» (derivative) è dato dalla payoff table. Questa tavola ha due colon-
ne principali (ma può contenerne anche di più): il valore della variabile sottostan-
te e il corrispondente payoff a favore di una delle due parti.
399
DERIVATI
pit In borsa, il luogo in cui vengono negoziati certi contratti. In genere, il pit è
formato da gradini concentrici che facilitano l’operatività dei traders. Ad esem-
pio, il pit della Chicago Board Options Exchange dove si negoziano le opzioni
sullo S&P100 consente a diverse centinaia di traders di conversare simultanea-
mente l’uno con l’altro.
plain-vanilla interest rate swap I plain-vanilla interest rate swaps sono con-
tratti con i quali si scambiano interessi fissi con interessi variabili, determinati in
base al Libor (London interbank offer rate). Il tasso d’interesse fisso, quotato in
genere come spread rispetto al tasso sui Treasuries di una certa scadenza, è chia-
mato «tasso swap» (swap rate). In genere, il tasso variabile pagato alla fine di
ogni periodo si basa sul Libor di inizio periodo. Le date nelle quali si osserva il
nuovo tasso variabile sono chiamate reset dates. I due flussi di pagamento degli
swaps rappresentano la «gamba fissa» (fixed leg) e la «gamba variabile» (floating
leg) del contratto. La vita di uno swap è detta tenor. Nel caso degli interest rate
swaps si scambiano solo gli interessi e non i capitali. La dimensione degli swaps
è misurata dal «capitale nozionale» (notional principal). Ad esempio, una delle
due parti (“il compratore”) si impegna a pagare un tasso d’interesse fisso – pari al
tasso cedolare sulle Treasury notes a 5 anni maggiorato di 65 punti base (0,65%)
– mentre la controparte (“il venditore”) si impegna a pagare semestralmente – per
gli stessi 5 anni – il Libor a 6 mesi. Entrambi i pagamenti vengono effettuati fa-
cendo riferimento ad un capitale di $1.000.000. In questo caso, il capitale nozio-
nale è di $1.000.000 ed il tenor dello swap è di 5 anni. Lo spread sui Treasuries
fa sì che lo swap quoti «alla pari» (flat), analogamente ai forwards, per cui
all’origine non vengono effettuati pagamenti compensativi da una parte all’altra.
400
GLOSSARIO
Ponzi scheme Uno schema fraudolento che utilizza gli investimenti degli ulti-
mi investitori per rimborsare i primi, facendo passare i nuovi fondi per “utili con-
seguiti”. Deriva il suo nome da Charles Ponzi, un truffatore degli anni ‘20.
401
DERIVATI
present value [PVt(x)] Il valore corrente di un payoff è pari al valore atteso del
payoff, in un mondo «neutrale verso il rischio» (risk-neutral), attualizzato in base
al «ritorno privo di rischio» (riskless return). Il valore atteso risk-neutral tiene
402
GLOSSARIO
Procter and Gamble (P&G) Una società venuta alla ribalta per le perdite subi-
te a causa di uno swap esotico negoziato con Bankers Trust nel 1994. Il contratto
la esponeva a perdite molto elevate nell’improbabile circostanza che i tassi
403
DERIVATI
protective put Al 2° posto per diffusione (dopo la covered call), tra le posizioni
che combinano opzioni con altre opzioni, o con l’attività sottostante, figura l’acqui-
sto di una put combinato con l’acquisto del sottostante. Questa posizione è detta
«put difensiva» (protective put) per distinguerla dal semplice acquisto di una put.
Le protective puts sono simili all’acquisto di una polizza assicurativa. Se le
cose vanno male (i prezzi scendono), l’investitore può esercitare la put e compen-
sare le perdite sul sottostante; se le cose vanno bene (i prezzi salgono), l’investi-
tore trae beneficio dal rialzo del prezzo del sottostante e sostiene solo il costo del-
la put. La situazione è analoga a quella tipica di un soggetto che ha acquistato
una polizza assicurativa.
404
GLOSSARIO
fine il tasso di cambio dovrebbe aggiustarsi in modo che il costo reale dei beni
rimanga lo stesso indipendentemente da quale valuta si usa per comprarli. Se X è
il tasso di cambio corrente e X* è il tasso di cambio futuro, i è il ritorno
d’inflazione domestico e if è il ritorno d’inflazione estero, X* dovrebbe risultare
pari a X(i / if). Inoltre, in ciascuno dei due Paesi dovrebbe valere l’«equazione di
Fisher» (Fisher equation), che mette in relazione il riskless return nominale con
il riskless return reale e il ritorno atteso d’inflazione. Se r è il riskless return no-
minale domestico, rf è il riskless return nominale estero ed entrambi i Paesi han-
no lo stesso riskless return reale, ρ (come dovrebbe essere se i mercati finanziari
fossero efficienti e completamente integrati), si avrebbe r = ρ i e rf = ρ if. Metten-
do insieme le due relazioni, dovremmo aspettarci X* = X (r / rf).
put (P, P*) Le «opzioni ordinarie» (standard options) sono contratti per com-
prare o vendere l’attività sottostante ad un prezzo predeterminato e ad una certa
data (o entro una certa data), nei quali una delle controparti ha la facoltà di annul-
lare l’accordo. Se il diritto di annullare il contratto spetta alla parte che deve rice-
vere l’attività sottostante, l’opzione è di tipo call; se invece il diritto spetta alla
parte che deve consegnare l’attività sottostante, l’opzione è di tipo put.
put-call parity relation La relazione tra i valori di una call e una put europee
altrimenti identiche: C = P + Sd–t – Kr–t. Viene ricavata dimostrando che un por-
tafoglio composto da una put europea, dal sottostante e da denaro preso a prestito
ha lo stesso payoff di una call altrimenti identica alla put. Riarrangiando i termini
dell’equazione si può vedere come utilizzare le calls e le puts per creare posizioni
corte sintetiche sul sottostante o su uno zero-coupon bond. Inoltre, dalla relazione
si vede che la differenza tra i valori di una call ed una put europee altrimenti i-
dentiche può dipendere solo dal prezzo e dal payout return del sottostante, dal
prezzo d’esercizio e dalla scadenza delle opzioni, nonché dal riskless return.
rk(t) Riskless return su base annua, al tempo k, di uno zero-coupon bond con
scadenza al tempo t ≥ k.
405
DERIVATI
rk,j Nel caso di un albero binomiale che si ricombina, il riskless return unipe-
riodale dopo k mosse, j delle quali al rialzo. Nel caso di un albero binomiale che
non si ricombina, il riskless return uniperiodale dopo k mosse lungo il sentiero j.
r(t) Riskless return su base annua, al tempo corrente, di uno zero-coupon bond
con scadenza al tempo t.
range forward Il range forward combina un forward lungo con una put lunga
ed una call corta. Il prezzo d’esercizio della put è maggiore del prezzo forward
(F < K2) e il prezzo d’esercizio della call è minore del prezzo forward (K1 < F).
Inoltre, i prezzi d’esercizio vengono scelti in modo che i premi della call e della
put siano uguali. Il valore complessivo della posizione è quindi nullo.
ratio writer Un investitore che vende calls in numero maggiore del sottostante
che detiene. Questo rapporto è pari a 1:1 nel caso di un covered call writer.
406
GLOSSARIO
replicating portfolio Data una payoff function o una payoff line, il portafoglio
(composto dall’attività sottostante, dalla moneta e dai derivati) che replica il pa-
yoff è chiamato «portafoglio equivalente» (replicating portfolio). Se la composi-
zione del portafoglio equivalente non deve essere rivista, ossia se i pesi del porta-
foglio non devono essere aggiustati nel tempo, la strategia di replica viene detta
“statica”. Se invece, i pesi del portafoglio equivalente devono essere aggiustati
nel tempo, la strategia di replica viene detta “dinamica”.
407
DERIVATI
return (rt) Il «ritorno» (return) di un investimento viene misurato tra due date,
una data iniziale ed una finale. In assenza di payouts, il ritorno è semplicemente
il rapporto tra valore (o prezzo) finale dell’investimento, S*, e valore (o prezzo)
iniziale, S, cosicché il ritorno è pari a S*/S. Per rendere più confrontabili i ritorni
su diversi investimenti, anche se relativi a periodi diversi, si è soliti riportarli su
base annua. Per farlo si eleva il ritorno alla (1/t)-esima potenza, dove t è la lun-
ghezza in anni del periodo a cui il ritorno si riferisce. Ne segue che R ≡ (S*/S)1/t è
il ritorno su base annua. Il tasso di rendimento su base annua è pari al ritorno su
base annua meno uno.
Se vengono distribuiti payouts, la misurazione del ritorno può risultare molto
più complessa. Consideriamo innanzitutto l’esempio più semplice. Supponiamo
che il payout D venga distribuito solo alla data finale e che S* sia il valore (o
prezzo) ex-payout; in tal caso, il ritorno su base annua è R = [(S* + D)/S] 1/ t. Se il
payout viene distribuito al tempo k, si è soliti calcolare il «tasso di rendimento
interno» (internal rate of return), R − 1, dell’investimento risolvendo l’equazio-
ne S = (D/R k) + (S*/R t).
Se – tra la data iniziale e quella finale – vengono distribuiti diversi payouts,
alcuni dei quali positivi ed altri negativi, questa impostazione può comportare
problemi, dato che l’equazione per l’internal rate of return può avere soluzioni
multiple. In queste circostanze, per ottenere un unico ritorno, si può calcolare un
«ritorno reinvestito» (reinvested return) immaginando che i payouts possano es-
sere reinvestiti non appena vengono incassati. L’investimento viene allora appro-
priatamente scalato da allora in poi, verso l’alto o verso il basso, ed è quindi por-
tato in questo modo fino alla scadenza. Il ritorno è pari al rapporto tra il valore
finale dell’investimento, tenuto conto del reinvestimento dei payouts, ed il valore
iniziale.
Ogni volta che è calcolabile ed è lo stesso per qualsiasi sottoperiodo di ugua-
le lunghezza, l’internal return coincide con il reinvested return. Riarrangiando i
termini dell’equazione riportata in alto si vede infatti che S* = SR t + DR t−k, per
cui S* può essere interpretato come il valore finale dell’investimento, tenuto con-
to del reinvestimento dei payouts.
408
GLOSSARIO
frequenti sono i reversals, dato che comportano posizioni lunghe prima dei rialzi
e corte prima dei ribassi. Si veda trend/trend-following strategy.
rho Il rho è la derivata del valore dell’opzione rispetto al riskless return, r, os-
sia il limite del rapporto incrementale [C(r + ε) − C(r)]/ε, dove C(r) è il valore
dell’opzione quando il riskless return è r e C(r + ε) è il valore dell’opzione quan-
do, ceteris paribus, il riskless return viene aumentato in misura pari a ε.
risk measures, local versus global Le «misure di rischio» (risk measures) pos-
sono essere «locali» (local) o «globali» (global). Le misure di rischio locali, co-
me il delta, valutano il rischio derivante da piccole variazioni del prezzo del sot-
tostante. Le misure di rischio globali guardano invece cosa può succedere in un
orizzonte temporale più lungo e considerano tutte le possibili evoluzioni del prez-
zo del sottostante, incluse anche le variazioni di importo rilevante.
409
DERIVATI
riskless return (r, r(t), rk(t), rk,i) I titoli base che offrono «ritorni privi di ri-
schio» (riskless returns) sono gli zero-coupon bonds «privi del rischio d’insol-
venza» (default-free). Nel mondo moderno, l’archetipo della “moneta” è rappre-
sentato dai Treasury bills. Questi titoli, emessi e garantiti dal governo degli Stati
Uniti, sono zero-coupon bonds, dato che non hanno cedole e offrono solo il rim-
borso del capitale alla scadenza. Tra tutte le istituzioni del mondo, il governo sta-
tunitense è quello che ha forse le più basse probabilità di risultare insolvente sulle
sue obbligazioni. Pertanto, il ritorno sul T-bill viene spesso usato come proxy per il
riskless return.
rolling strip hedge È possibile che i futures trattati in borsa abbiano scadenze
troppo brevi o insufficiente liquidità rispetto agli obiettivi degli investitori. In tal
caso, è utile riuscire a replicare i futures a più lungo termine mettendo in atto
strategie basate sui futures a breve termine. L’investimento in un’obbligazione a
lungo termine può essere replicato dal rollover su una serie di obbligazioni a bre-
ve termine. Un risultato simile può essere ottenuto, per quanto riguarda i for-
wards o i futures, attuando una strategia di «rinnovo dello strip hedge» (rolling
strip hedge). In questa strategia, i futures vengono acquistati. Quando scadono si
acquistano nuovi futures ed i profitti e le perdite vengono investiti in moneta.
Questa procedura continua fino alla fine dell’orizzonte temporale.
410
GLOSSARIO
sample mean (µ̄) La «media campionaria» (sample mean) è una stima della
media di popolazione, µ, basata su un campione di osservazioni. L’idea più natu-
rale è quella che la migliore stima sia rappresentata dalla media aritmetica del
campione: µ̄h ≡ [∑k log(rk)]/n. Ignorando i payouts, dato che r1 = S1/S0, r2 = S2/S1,
..., rn = Sn/Sn−1, otteniamo per sostituzione µ̄h = [log(Sn/So)]/n (dato che S1, S2,...,
Sn−1 si elidono). Pertanto, la nostra stima campionaria dipende solo dai prezzi ini-
ziale e finale, indipendentemente da quello che succede all’interno del campione.
411
DERIVATI
seagull I «gabbiani» (seagulls) sono simili alle puts corte fatta eccezione per il
fatto che il payoff è irregolare in prossimità dello strike intermedio.
settlement price Il prezzo futures alla chiusura del mercato, scelto da un appo-
sito comitato di borsa tra i prezzi rilevati a fine giornata. È il prezzo utilizzato per
il marking-to-the-market, in modo che profitti e perdite siano immediatamente
accreditati e addebitati. Per le opzioni «liquidate per contanti» (cash-settled) il
termine «prezzo di liquidazione» (settlement price) si riferisce al valore del sotto-
stante ai fini della liquidazione del contratto.
short against the box La «vendita allo scoperto» (short sale) di un titolo che
già si possiede. L’alternativa più naturale sarebbe quella di chiudere la posizione
vendendo i titoli che già si possiedono. Con lo shorting against the box risultano
412
GLOSSARIO
aperte simultaneamente due posizioni, una lunga e una corta. Questo tipo di tran-
sazione viene spesso effettuato per motivi fiscali dato che può posticipare la rea-
lizzazione di un guadagno sulla posizione lunga ma allo stesso tempo comporta
un’esposizione netta nulla.
short sale Le «vendite allo scoperto» (short sales) sono vendite effettuate dopo
aver preso in prestito i titoli da vendere.
short sale up-tick rule Negli Stati Uniti, le vendite allo scoperto non sono
consentite quando l’ultima variazione di prezzo durante la giornata è negativa.
Per eseguire la vendita, il venditore allo scoperto deve aspettare che il prezzo
dell’azione si muova al rialzo. Questa è la cosiddetta «regola dell’up-tick».
short squeeze Chi vende allo scoperto può anche rimanere «schiacciato» (short
squeezed) se i prestiti di azioni vengono intenzionalmente monopolizzati per co-
stringerlo a chiudere la sua posizione con acquisti a prezzi esorbitanti. Più in ge-
nerale, quando alcuni investitori tentano di monopolizzare l’offerta di un’attività
per ottenere il controllo del prezzo si dice che essi cercano di «mettere il mercato
alle corde» (cornering the market).
specialists Exchange members che possono negoziare per proprio conto o per
conto del pubblico e che hanno l’obbligo di «fare mercato» (make a market);
gestiscono il «libro degli ordini con limite di prezzo» (limit orders book).
specialist system Sistema di negoziazione in cui, per ogni trading pit, c’è uno
specialist che gestisce i limit orders e i market orders. Invece, nel competitive
market-maker system, i market-makers sono in competizione l’uno con l’altro.
spread Una posizione su due derivati, nella quale il primo è lungo ed il secon-
do è corto in modo da coprire l’altro. In genere, lo spread è meno rischioso di
413
DERIVATI
ciascuna delle due posizione da cui è formato. Una posizione su due futures al-
trimenti identici ma con diverse date di consegna è detta interdelivery spread.
Una posizione su due futures altrimenti identici ma con diverse attività sottostanti
è detta intercommodity spread. Tra gli esempi di intercommodity spreads figura-
no il NOB spread (Notes Over Bonds), il MOB spread (Municipals Over Bonds),
il crush spread (tra olio di soia e farina di soia), il crack spread (tra petrolio grez-
zo e benzina o gasolio), il gold-silver spread (tra oro e argento) ed il Ted spread
(tra T-bills ed eurodollari). Una posizione su due opzioni identiche ma con diver-
si prezzi d’esercizio è detta bull o bear spread; una posizione su due opzioni i-
dentiche ma con diverse scadenze è detta time spread; una posizione su due op-
zioni identiche ma con diversi prezzi d’esercizio e diverse scadenze è detta dia-
gonal spread.
Nel caso delle opzioni sullo stesso sottostante, il termine spread può anche ri-
ferirsi alle posizioni su due opzioni in cui il numero di ciascun opzione non è lo
stesso. Tra gli spreads di questo tipo figurano: il back (front) spread tra due calls
o due puts, altrimenti identiche, fatta eccezione per i prezzi d’esercizio e in cui il
numero delle calls o delle puts lunghe è maggiore (minore) del numero delle
calls o puts corte; il neutral spread tra due opzioni scritte sullo stesso sottostante
e dello steso tipo (due calls o due puts) dove il numero di ciascuna opzione è
scelto in modo da creare una posizione con un delta nullo.
Nel caso delle opzioni sullo stesso sottostante, il termine spread può a volte
riferirsi alle posizioni su tre opzioni. Tra gli spreads di questo tipo figurano: il
butterfly spread tra tre opzioni, altrimenti identiche, fatta eccezione per i prezzi
d’esercizio, dove si acquista (vende) un’opzione con strike basso ed una con
strike alto e si vendono (comprano) due opzioni con strike intermedio. Alcune
posizioni con due opzioni scritte sullo stesso sottostante, anche se coperte, non
sono considerate spreads: è il caso degli straddles e degli strangles.
Una distinzione che interessa tutti gli spreads di cui sopra è quella tra debit
spreads e credit spreads: i credit spreads comportano un’entrata e i debit spreads
un’uscita. Ad esempio, i bear spreads mediante calls sono di solito credit spre-
ads mentre i bear spreads mediante puts sono di solito debit spreads.
414
GLOSSARIO
vicine sono spesso i più liquidi. Consideriamo, ad esempio, uno strip hedge me-
diante Eurodollar futures in cui – a dicembre – vendiamo 3 futures con scaden-
za, rispettivamente, a marzo, giugno e settembre dell’anno successivo a copertura
di un prestito di $1.000.000. Supponiamo che i futures per marzo e giugno siano
sufficientemente liquidi mentre il futures per settembre sarà liquido solo a marzo.
Date queste condizioni, possiamo realizzare uno stack hedge se ora (a dicembre)
vendiamo 1 futures con scadenza marzo per $1.000.000 e vendiamo 2 futures su
eurodollari con scadenza giugno per $2.000.000; e a marzo ricompriamo 1 futu-
res con scadenza giugno per $1.000.000 e vendiamo 1 futures con scadenza set-
tembre per $1.000.000. Affinché la copertura funzioni bene, dobbiamo sperare
che il secondo dei 2 futures per giugno si comporti in modo simile al futures per
settembre e che quindi la variazione di prezzo nel periodo dicembre-marzo sia
pressoché la stessa. Chiaramente non sarà proprio così, ed ecco perché questa
copertura non è perfetta. A marzo, quando la liquidità del futures per settembre
migliorerà, potremo crearci una copertura perfetta da quel punto in poi ricom-
prando il secondo futures per giugno e sostituendolo con un futures corto per set-
tembre.
Standard and Poor’s 500 Index (SPX, S&P500 Index) Un indice che si basa
su un paniere di 500 azioni a grande capitalizzazione, che coprono circa l’80-
85% del valore di mercato di tutte le azioni quotate alla New York Stock Ex-
change (NYSE). L’indice viene costruito calcolando, per ciascun titolo, la capita-
lizzazione corrente (definita come prodotto tra il prezzo di mercato e il numero
delle azioni in circolazione) e sommando poi i valori ottenuti. Il valore comples-
sivo è stato riproporzionato in modo da risultare pari a 10 nel periodo 1941-43.
Col tempo, il fattore di scala è stato cambiato per evitare che l’indice fosse in-
fluenzato dalle modifiche nella composizione del paniere (per come è costruito,
lo S&P500 non ha bisogno di rettifiche in occasione dei frazionamenti). La sua
serie storica giornaliera è disponibile dal 1928. Questo indice misura solo i «gua-
dagni in conto capitale» (capital gains). Fortunatamente, la Standard & Poor’s ha
rilevato, fin da 1928, anche i dividendi (ma la serie storica giornaliera inizia dal
1988) per cui è possibile calcolare un indice del rendimento complessivo (capital
gains più dividendi), al lordo delle imposte. Lo S&P500 è il benchmark del mer-
cato azionario che viene più utilizzato per confrontare la performance ottenuta
dagli investitori istituzionali.
I futures e le futures options sullo S&P 500 sono trattati alla Chicago Mer-
cantile Exchange. Le opzioni sullo S&P 500 sono trattate alla Chicago Board
Options Exchange. All’American Stock Exchange vengono trattati gli Standard
and Poor’s Depository Receipts, detti spiders. Alcuni «fondi comuni d’investi-
mento aperti» (open-end mutual funds) vengono gestiti in modo da replicare la
performance dello S&P500, come ad esempio il Vanguard Index Trust − 500
Portfolio, il secondo fondo comune per dimensione. Molti altri fondi, con quote
detenute da fondi pensione, vengono gestiti in modo da replicare lo S&P 500.
Standard & Poor’s Depository Receipt (SPDR) Un titolo quotato alla Ameri-
can Stock Exchange rappresentativo di un’azione in uno unit investment trust
415
DERIVATI
che detiene un portafoglio teso a replicare lo S&P500. Gli spiders, così come so-
no chiamati in gergo, offrono un’alternativa agli index funds basati sullo
S&P500 Index e godono di tutti i vantaggi delle azioni liquide, incluso un attivo
mercato infra-giornaliero (mentre le quote degli index funds possono essere com-
prate e vendute solo alla chiusura del mercato). Tra gli altri unit investment trusts
quotati all’Amex figurano i WEBS, una serie di index funds per specifici Paesi, e
i DIAMONDS, che si basano sul Dow Jones Industrial Average.
stock market crash of 1987 Il 19 ottobre 1987, lo S&P500 crollò del 20% −
circa il doppio del precedente record storico. Ma il crash fu ancora più estremo.
Dato che alcuni titoli importanti non vennero trattati per un paio d’ore a ridosso
della chiusura, l’indice di fine giornata fu creato sulla base delle ultime quotazio-
ni disponibili. Invece, il futures sullo S&P500 venne scambiato per l’intera gior-
416
GLOSSARIO
straddle Supponiamo di ritenere che stia per essere diffusa una notizia che po-
trà avere forti ripercussioni sulla quotazione di una certa attività. Ci aspettiamo
che, una volta diffusa la notizia, la quotazione avrà un forte rialzo o un forte ri-
basso. Sfortunatamente, non c’è modo di prevedere in che direzione si muoverà.
Questo tipo di notizia è difficile da sfruttare nel mercato spot, ma il mercato delle
opzioni consente soluzioni personalizzate.
Comprando una at the money (ATM) call possiamo beneficiare del rialzo.
Però, questa posizione, da sola, non ci consente di trarre alcun vantaggio dal resto
dell’informazione (la possibilità di un forte ribasso). Se acquistiamo anche una
ATM put possiamo trarre profitto da entrambe le variazioni. Questa posizione,
che combina una call lunga con una put lunga avente lo stesso strike e la stessa
scadenza, è detta straddle. Chiaramente, oltre a pagare per la call, dovremo paga-
re anche per la put; pertanto, perderemo l’intero importo se il prezzo dell’attività
resterà invariato. Questa posizione rappresenta una chiara scommessa sulla vola-
tilità. Se la nostra opinione sulla volatilità è uguale a quella del mercato,
l’importo da pagare è equo. A queste condizioni potremmo essere indifferenti sul
da farsi, ossia se procedere o meno all’acquisto delle opzioni. Se invece ritenia-
mo che l’attività sarà più volatile di quanto è previsto dal mercato, l’acquisto del-
lo straddle potrebbe apparire conveniente. Spesso i traders dicono che il mercato
delle opzioni è in sostanza un mercato di volatilità: chi compra lo straddle (o an-
che solo una call o una put) compra volatilità; chi vende lo straddle vende volati-
lità.
417
DERIVATI
lo straddle, non solo è più probabile che questa perdita si verifichi ma il prezzo
del sottostante deve muoversi ancor di più per far sì che la posizione si chiuda
con un profitto.
strike price (K) Le «opzioni ordinarie» (standard options) sono simili ai for-
wards dato che hanno per oggetto una futura compravendita il cui prezzo viene
fissato ora. Nel caso delle opzioni, questo prezzo viene chiamato «prezzo d’eser-
cizio» (strike price o exercise price) invece di «prezzo di consegna» (delivery
price), termine utilizzato per i forwards.
418
GLOSSARIO
swap Gli swaps sono contratti con i quali ci si impegna a scambiare i redditi di
due attività, per un certo periodo, definendo le condizioni in modo che il valore
iniziale del contratto sia nullo. Gli swaps più diffusi sono i plain-vanilla interest
rate swaps, con i quali si scambiano interessi fissi con interessi variabili, deter-
minati con riferimento allo stesso «capitale nozionale» (notional principal), per
un periodo di lunghezza T (tenor). Gli interessi vengono scambiati a date equi-
spaziate (t = 1, 2, 3, ..., T). In genere, il tasso variabile pagato alla fine di ogni
periodo si basa sul Libor di inizio periodo. Le date nelle quali si osserva il nuovo
tasso variabile sono chiamate reset dates.
Il mercato degli swaps si è sviluppato a seguito della domanda degli investi-
tori, che pur avendo un vantaggio comparato nel prendere in prestito denaro in un
certo mercato, desiderano in realtà finanziarsi nel mercato che è per loro relati-
vamente svantaggioso. Attraverso gli swaps, questi investitori riescono ad ottene-
re condizioni migliori di quelle altrimenti disponibili.
swap rate Il tasso swap (swap rate) dei plain-vanilla interest rate swaps è il
tasso di rendimento effettivo che rende nullo il valore iniziale dello swap. Gli
swaps possono essere replicati o da un portafoglio composto da una posizione
lunga su un titolo a tasso fisso e da una posizione corta su un titolo a tasso varia-
bile oppure da un portafoglio di forwards con date di consegna sequenziali. Que-
sti portafogli possono essere utilizzati per determinare lo swap rate.
synthetic call/put In base alla put-call parity relation, la call europea sintetica
si ottiene comprando una put, comprando il sottostante e prendendo denaro in
prestito. Analogamente, la put europea sintetica si ottiene comprando una call,
vendendo il sottostante e dando denaro in prestito.
419
DERIVATI
Θ Il theta di un derivato.
Si noti che se f (·) è lineare, l’approssimazione sarà esatta dopo il primo termine
del lato destro, e se f (·) è quadratica, l’approssimazione sarà esatta dopo il se-
condo termine del lato destro. Si consideri, ad es., f (x) = ax2 + bx + c per cui:
∂f / ∂x = 2ax + b, ∂ 2 f / ∂x 2 = 2a, ∂ 3 f / ∂x 3 = ∂ 4 f / ∂x 4 = ... = 0
Sostituendo nel lato sinistro:
f ( x + h) − f ( x ) = [ a ( x + h) 2 + b( x + h) + c ] − (ax 2 + bx + c) = 2axh + ah 2 + bh
e nel lato destro:
(∂f / ∂h)h + 2 (∂ 2 f / ∂h 2 ) h 2 + ... = (2ax + b)h + 2 (2a)h 2 = 2axh + ah 2 + bh
1 1
theta (Θ) Una delle prime cose che i libri sulle opzioni tendevano a sottolinea-
re è che le opzioni sono beni “deperibili”. In altri termini, se il prezzo del sotto-
stante rimane inalterato, il valore dell’opzione tende a diminuire col passare del
tempo. Ma quanto velocemente? La risposta è fornita dal theta, ossia dalla deri-
vata del valore dell’opzione rispetto al tempo, che misura di quanto diminuisce il
valore dell’opzione, ceteris paribus, col passare di un istante di tempo.
time spread Lo spread tra due opzioni altrimenti identiche fatta eccezione per
la scadenza. Detto anche horizontal spread o calendar spread.
420
GLOSSARIO
trading volume Il numero di unità (azioni, contratti, lotti minimi, ecc.) nego-
ziate in un mercato in un certo periodo di tempo. Solo un lato di ogni transazione
viene contato − il numero acquistato o il numero venduto. Il «volume degli
scambi» (trading volume) può non essere un buon indicatore dell’attività svolta
sul mercato perché tratta allo stesso modo tutte le unità anche se si basano su
numeri diversi e su prezzi diversi del sottostante. Invece, il «controvalore degli
scambi» (dollar trading volume) tiene conto del prezzo a cui ogni unità è stata
negoziata.
Treasury bill (T-bill) Un titolo emesso e garantito dal governo degli Stati Uni-
ti. I T-bills sono zero-coupon bonds perché non hanno cedole e rimborsano il ca-
pitale solo alla scadenza. Al pari di Treasury notes e Treasury bonds, vengono
collocati mediante asta in tagli compresi tra $10.000 e $1.000.000.
Considerate un T-bill con vita residua di 52 giorni e valore nominale di
$100.000. Se il loro valore corrente è di $98.000, il ritorno su base annua è pari a
1,15 [= ($100.000/$98.000)365/52]. Il ritorno dei T-bills viene spesso utilizzato
dagli economisti come proxy del riskless return dato che, tra tutte le istituzioni
del mondo, il governo statunitense è quello che ha forse le più basse probabilità
di risultare insolvente sulle sue obbligazioni.
421
DERIVATI
Treasury note (T-note) Le Treasury notes sono titoli di Stato a medio termine
garantiti dal governo degli Stati Uniti. Le T-notes hanno scadenze comprese tra 1
e 10 anni e vengono collocate mediante asta.
trinomial model Nei «modelli trinomiali» (trinomial models) il prezzo del sot-
tostante può muoversi verso tre livelli prima che sia possibile una nuova transa-
zione. Nel caso degli alberi trinomiali viene meno la proprietà fondamentale del
modello binomiale standard secondo cui il payoff di un derivato può essere repli-
cato negoziando solo il sottostante e la moneta. Ciononostante, i modelli trino-
miali vengono spesso utilizzati per valutare le opzioni, dato che permettono una
maggiore flessibilità nella definizione della dinamica del prezzo del sottostante o
perché spesso consentono l’utilizzo di tecniche numeriche più efficienti.
triple witching hour L’«ora della triplice stregoneria» (triple witching hour)
indica la simultanea scadenza degli stock index futures, delle stock index options
e delle stock index futures options che si verifica ogni tre mesi (il terzo venerdì di
marzo, giugno, settembre e dicembre).
uncovered call Una call corta non coperta da una posizione lunga sul sotto-
stante. Questa posizione è anche detta vendita di una call «nuda» (naked).
422
GLOSSARIO
base all’Investment Company Act del 1940. Recentemente, gli investimenti am-
messi sono stati estesi e includono i portafogli che replicano gli indici di mercato.
Ad esempio, le Standard & Poor’s Depository Receipts sono azioni di uno unit
investment trust che replica lo S&P500 Index.
423
DERIVATI
vega La derivata del valore di un derivato rispetto alla volatilità, σ, del sotto-
stante: vega = [C(σ + ε) − C(σ)]/ε, dove C(σ) è il valore dell’opzione quando la
volatilità è σ e C(σ + ε) è il valore dell’opzione quando, ceteris paribus, la volati-
lità viene aumentata in misura pari a ε. Se si considera la «formula di Black e
Scholes» (Black-Scholes formula), il vega di una call o di una put europee è pari
–
a: ∂C/∂σ = ∂P/∂σ = S d−t √ t n(x).
volatility (σ, σ̄) La «volatilità» (volatility), una statistica simile alla «deviazio-
ne standard» (standard deviation), misura l’incertezza dei ritorni su base annua
del sottostante. Più precisamente, la volatilità è la deviazione standard su base
annua dei logaritmi naturali dei ritorni del sottostante.
Delle 6 variabili fondamentali che determinano il valore di un’opzione, la vo-
latilità è la più difficile da misurare. Per chi si occupa di statistica, il modo natu-
rale per stimare la volatilità è quello di esaminare la serie storica dei ritorni in un
certo «periodo di osservazione» (observation period). Dato un certo «intervallo
di campionamento» (sampling interval), i ritorni vengono rilevati ad intervalli
equispaziati e si considerano estratti dalla stessa distribuzione probabilistica. Sot-
to certe condizioni, la «varianza campionaria» (sample variance) è la migliore
stima della varianza di popolazione. Se il passato è una buona guida per il futuro,
questa stima rappresenta anche la migliore previsione della varianza che verrà
osservata durante la vita dell’opzione. La stima della volatilità può essere miglio-
rata estendendo il periodo di osservazione o aumentando la frequenza del cam-
pionamento mentre la stima del ritorno atteso non può essere migliorata aumen-
tando la frequenza del campionamento. Può essere migliorata solo estendendo il
periodo di osservazione.
424
GLOSSARIO
warrant I warrants vengono collocati dalle società, spesso insieme ad altri tito-
li, per raccogliere capitali. Di solito, incorporano il diritto a comprare – dalla
stessa società – un certo numero di azioni, ad un prezzo prefissato, entro 5-10
anni. In genere, i warrants non sono protetti contro lo stacco dei dividendi. Per-
tanto, il loro valore può significativamente ridursi in seguito al pagamento dei
dividendi. Di conseguenza, dato che i portatori dei warrants non hanno influenza
sulle politiche di distribuzione degli utili, a volte vengono introdotte clausole di
“anti-diluizione”. Queste clausole possono comportare la riduzione dei prezzi
d’esercizio se i dividendi distribuiti eccedono un certo livello.
425
DERIVATI
X Nel caso di futures e opzioni su valute, il tasso di cambio corrente. Nel caso
degli swaps, il capitale nozionale.
426
Bibliografia annotata
Questa bibliografia elenca gli articoli, i working papers e i libri che sono stati selezionati per
rappresentare i migliori lavori teorici e/o empirici sui derivati. Le voci, ognuna con una breve
annotazione, sono state poste in ordine cronologico per offrire uno schema di come si è
sviluppata storicamente la letteratura sui derivati. Il capitolo o i capitoli di questo libro dove
l’argomento che è oggetto della voce è stato principalmente discusso appaiono tra parentesi
dopo le annotazioni.
1916 Cassel, G., “The Present Situation on the Foreign Exchanges”, Economic Journal
26 (March), pp. 62-5.
L’origine della teoria sulla parità dei poteri d’acquisto come spiegazione delle dif-
ferenze tra i tassi d’interesse a livello internazionale. (Attività, Derivati e Mercati)
427
DERIVATI
una risorsa esauribile dovrebbe aumentare nel tempo in base al riskless return
fintanto che conviene estrarre la risorsa solo in parte; questa condizione dipende
dall’ipotesi che ogni produttore sia indifferente tra produzione corrente e futura.
(Forwards e Futures)
1939 Kaldor, N., “Speculation and Economic Stability”, Review of Economic Studies
7(1), pp. 1-27.
L’origine del concetto di convenience yield come spiegazione della backwardation.
(Forwards e Futures)
1953 Arrow, K. J., “The Role of Securities in the Optimal Allocation of Risk-
Bearing”, Review of Economic Studies 31(2), 1964, pp. 91-6; pubblicato origina-
riamente in francese su Econometrie, CNRS, Paris (1953), pp. 41-7.
Meglio noto per l’invenzione del concetto di state-contingent claims, quest’articolo
contiene anche la prima occorrenza pubblica dell’idea che un mercato forward
incompleto può essere efficacemente completato aggiustando opportunamente nel
tempo la composizione di un portafoglio − l’idea chiave che è dietro la moderna
teoria di valutazione delle opzioni. Pregevoli estensioni di questo lavoro si trovano
in J. H. Dreze, 1970, “Market Allocation Under Uncertainty”, European Economic
Review 2, pp. 133-65, dove, in particolare, si dimostra che i prezzi degli state-
contingent claims possono essere ottenuti moltiplicando le probabilità soggettive
per i fattori di avversione al rischio, che il valore attuale di un’attività può essere
visto come valore atteso attualizzato in cui gli state-contingent prices sono pari alle
probabilità soggettive che prevarrebbero in un mondo neutrale verso il rischio, e
che titoli simili alle opzioni possono sostituire gli state-contingent claims nel
completamento del mercato. (Attività, Derivati e Mercati; Modello Binomiale)
1957 Houthakker, H. S., “Can Speculators Forecast Prices?” Review of Economics and
Statistics 39(2), pp. 143-51.
Verifica se i prezzi futures sono maggiori o minori dei valori attesi dei futuri prezzi
spot. Conclude che – nel caso di grano, frumento e cotone (dal 1937 al 1957) – i
prezzi futures sono stati in genere minori dei corrispondenti futuri prezzi spot, che
le posizioni lunghe su futures hanno quindi comportato profitti e che i profitti attesi
possono essere stati il giusto compenso per il rischio. (Forwards e Futures)
1958 Brennan, M. J., “The Supply of Storage”, American Economic Review 48(1),
pp. 50-72.
Spiega come l’avversione al rischio determini l’esatta collocazione del prezzo
forward nell’intervallo determinato dal convenience yield. (Forwards e Futures)
1958 Telser, L. G., “Futures Trading and the Storage of Cotton and Wheat”, Journal
of Political Economy 66(2), pp. 233-55.
Contraddice Houthakker (1957), trovando che i prezzi futures sono previsori
corretti dei futuri prezzi spot; esamina il cotone dal 1926 al 1950 ed il frumento dal
1927 al 1954. (Forwards e Futures)
428
BIBLIOGRAFIA ANNOTATA
1964 Kruizenga, R. J., “Introduction to the Option Contract”, in Cootner, P. H., (ed)
The Random Character of Stock Market Prices (MIT Press, 1967), pp. 377-411.
Utilizza i payoff diagrams e una rappresentazione vettoriale per analizzare le
singole opzioni e i portafogli di opzioni. (Introduzione alle Opzioni)
1967 Thorp, E. 0., e Kassoff, S. T., Beat the Market: A Scientific Stock Market System
(Random House).
Una delle prime applicazioni ai warrants dei payoff diagrams e delle tecniche di
valutazione delle opzioni, incluso l’utilizzo di «linee a profitto nullo» (zero-profit
lines) − che anticipano in parte l’argomentazione del delta-hedging utilizzata da
Black e Scholes. Cfr. pp. 81-3. (Introduzione alle Opzioni)
1967 Shelton, J. P., “The Relation of the Pricing of a Warrant to the Price of Its
Associated Common Stock”, Financial Analysts Journal 23(3 e 4), pp. 143-51 e
88-99.
Una delle prime regressioni per la valutazione delle opzioni; un approccio state-of-
the-art nel 1967 ma ora obsoleto. (Introduzione alle Opzioni)
1969 Stoll, H. R., “The Relationship Between Put e Call Option Prices”, Journal of
Finance 24(5), pp. 802-24.
Dimostrazione della put-call parity per le opzioni europee altrimenti identiche.
(Introduzione alle Opzioni)
429
DERIVATI
passare del tempo), della capacità di differire gli impegni e della parziale irrever-
sibilità degli investimenti di più lungo termine in beni materiali.
1973 Merton, R. C., “The Relationship Between Put and Call Option Prices: Comment”,
Journal of Finance 28(1), pp. 183-4.
L’osservazione secondo cui la put-call parity vale solo per le opzioni europee dato
che, soprattutto nel caso delle puts americane, è possibile che convenga l’esercizio
anticipato. (Introduzione alle Opzioni)
1973 Black, F., e Scholes, M., “The Pricing of Options and Corporate Liabilities”,
Journal of Political Economy 81(3), pp. 637-59.
Il classico articolo sulla valutazione dei derivati che propone la formula Black-
Scholes. Si basa sull’idea che un portafoglio composto da un’opzione e dal sotto-
stante è privo di rischio se i suoi pesi vengono aggiustati dinamicamente; inoltre,
dimostra che la teoria può essere applicata ai titoli emessi dalle società (azioni e
obbligazioni), che possono essere interpretati come opzioni. Un working paper
pressoché identico dal titolo “A Theoretical Valuation Formula for Options,
Warrants, and Other Securities” è datato 1° ottobre 1970. (Formula Black-Scholes)
1973 Merton, R. C., “Theory of Rational Option Pricing”, Bell Journal of Economics
and Management Science 4(1), pp. 141-83.
Integra il lavoro di Black e Scholes (1973). Presenta le relazioni generali che
devono valere in assenza di opportunità di arbitraggio ed estende la nuova teoria
della valutazione delle opzioni in diversi modi, inclusa la presenza di payouts e di
tassi d’interesse incerti. (Introduzione alle Opzioni; Formula Black-Scholes)
1974 Merton, R. C., “On the Pricing of Corporate Debt: The Risk Structure of Interest
Rates”, Journal of Finance 29(2), pp. 449-70.
Estende la metodologia di Black e Scholes alla valutazione degli zero-coupon
bonds emessi dalle società, non rimborsabili anticipatamente, non convertibili e
privi di clausole di garanzia a favore degli obbligazionisti. Dimostra che il default
premium è funzione della volatilità delle attività e della scadenza dei titoli.
1975 Cox, J. C., e Ross, S. A., “The Pricing of Options for Jump Processes”, Working
paper, University of Pennsylvania (April).
Il modello binomiale per la valutazione delle opzioni in cui si ha una piccola
variazione (al rialzo o al ribasso) con probabilità neutrale verso il rischio molto alta
o una forte variazione nell’altra direzione con probabilità neutrale verso il rischio
molto bassa. Al crescere del numero degli intervalli dell’albero, la piccola variazio-
ne diventa ancora più piccola e la forte variazione rimane costante ma la sua
probabilità tende a zero. (Modello Binomiale)
430
BIBLIOGRAFIA ANNOTATA
1975 McCulloch, J. H., “The Tax-Adjusted Yield Curve”, Journal of Finance 30(2), pp.
811-30.
Probabilmente la procedura più ampiamente usata per la stima della term structure
dei tassi d’interesse dai prezzi dei coupon bonds. Affronta in particolare il problema
della diversa vita residua dei pagamenti per interessi. Applica il metodo
d’interpolazione delle cubic splines. (Forwards e Futures).
1975 Black, F., “Fact and Fantasy in the Use of Options”, Financial Analysts Journal
31(4), pp. 36-41, 61-72.
Consiglia come utilizzare in pratica la formula Black-Scholes. (Formula Black-
Scholes)
1975 Cox, J. C., “Notes on Option Pricing I: Constant Elasticity of Variance Diffusions”,
unpublished document, Stanford University (September).
Cinque pagine di note dattiloscritte che descrivono il modello diffusivo ad elasticità
della varianza costante – una generalizzazione della formula Black-Scholes che
incorpora una correlazione negativa tra il prezzo del sottostante e la sua volatilità
locale. Una versione di queste note è stata pubblicata con il titolo “The Constant
Elasticity of Variance Option Pricing Model” nel Journal of Portfolio Management,
Special Issue: A Tribute to Fischer Black, December 1996, pp. 15-17.
1976 Black, F., “The Pricing of Commodity Contracts”, Journal of Financial Economics
3(1), pp. 167-79.
Ricava la formula per le opzioni su futures nota in pratica come la “formula di
Black”. (Formula Black-Scholes)
1976 Cox, J. C., e Ross, S. A., “The Valuation of Options for Alternative Stochastic
Processes”, Journal of Financial Economics 3(1), pp. 145-66.
Offre la “scorciatoia” di Cox e Ross per la valutazione delle opzioni: se l’opzione
può essere replicata da un portafoglio, composto dal sottostante e dalla moneta, i
cui pesi vengono aggiustati dinamicamente, il valore dell’opzione può essere
ottenuto assumendo che l’opzione sia negoziata in un mondo neutrale verso il
rischio in cui l’opzione, l’attività sottostante e la moneta hanno tutti lo stesso tasso
di rendimento atteso. (Modello Binomiale; Formula Black-Scholes)
1976 Merton, R. C., “Option Pricing When Underlying Stock Returns are Discon-
tinuous”, Journal of Financial Economics 3(1), pp. 125-44.
Generalizzazione della formula Black-Scholes che ammette la possibilità di
«discontinuità» (jumps) à la Poisson nel prezzo dell’attività sottostante. Utilizza le
argomentazioni della valutazione neutrale verso il rischio, consentite
dall’assunzione che i jumps (ma non necessariamente le variazioni continue) del
prezzo del sottostante siano incorrelati con la ricchezza aggregata, e conclude che
il valore dell’opzione è una media ponderata dei valori Black-Scholes, uno per ogni
possibile numero di jumps lungo la vita dell’opzione.
1976 Ross, S. A., “Options and Efficiency”, Quarterly Journal of Economics 90(1), pp.
75-89.
Utilizza una serie di calls, al posto degli state-contingent claims, per completare il
mercato e dimostra come identificare il loro portafoglio sottostante.
431
DERIVATI
1976 Black, F., e Cox, J. C., “Valuing Corporate Securities: Some Effects of Bond
Indenture Provisions”, Journal of Finance 31(2), pp. 351-68.
Estensione della metodologia di Black e Scholes (e di Merton, 1974) per valutare le
obbligazioni. Assume che esista una clausola di garanzia in base alla quale la
società fallisce anche prima della scadenza del debito se il valore delle attività
scende al di sotto di un certo livello. Simile a una down-and-out barrier option.
1976 Latane, H. A., e Rendleman, R. J., “Standard Deviations of Stock Prices Ratios
Implied in Option Prices”, Journal of Finance 31(2), pp. 369-82.
Il primo articolo che utilizza le volatilità implicite per confrontare i prezzi delle
opzioni. (Volatilità)
1976 Garman, M., “A General Theory of Asset Valuation under Diffusion State
Processes”, Working paper, University of California at Berkeley.
Uno dei primi modelli di equilibrio generale basati sull’assenza di opportunità di
arbitraggio e su processi diffusivi multivariati per i prezzi dei titoli. Ammette, tra
l’altro, che la volatilità sia puramente stocastica.
1976 Black, F., “Studies of Stock Price Volatility Changes”, Proceedings of the 1976
Meetings of the American Statistical Association, Business and Economics Statistics
Section (August), pp. 177-81.
Una delle prime discussioni del comportamento empirico della volatilità locale
dell’attività sottostante, che, contrariamente alle assunzioni di Black e Scholes, si
comporta come una variabile casuale. In particolare, sostiene che la volatilità si
muove inversamente al prezzo dell’attività sottostante. (Volatilità)
1976 Rubinstein, M., “The Valuation of Uncertain Income Streams and the Pricing of
Options”, Bell Journal of Economics 7(2), pp. 407-25.
Ricava la formula Black-Scholes nell’ambito di un capital asset pricing model in
cui le preferenze espresse dal mercato godono della proprietà di constant propor-
tional risk-aversion e i ritorni del sottostante sono soggettivamente log-normali.
Diversamente dall’approccio Black-Scholes, non è necessaria l’assunzione di
negoziazioni continue. (Formula Black-Scholes)
1976 Garman, M., “An Algebra for Evaluating Hedge Portfolios”, Journal of Financial
Economics 3(4), pp. 403-27.
Sviluppa la replica statica delle opzioni mostrando che ogni payoff rappresentato da
una spezzata può essere replicato da un portafoglio di opzioni. Mostra che le
relazioni generali di arbitraggio sono necessarie e sufficienti affinché non esistano
opportunità prive di rischio sfruttabili con portafogli di opzioni scritte sullo stesso
sottostante. (Introduzione alle Opzioni)
432
BIBLIOGRAFIA ANNOTATA
1977 Boyle, P., “Options: A Monte Carlo Approach”, Journal of Financial Economics
4(3), pp. 323-38.
La prima applicazione del metodo Monte Carlo per valutare le opzioni europee.
Utilizza la tecnica della variabile di controllo per accelerare i calcoli.
1977 Merton, R. C., “On the Pricing of Contingent Claims and the Modigliani-Miller
Theorem”, Journal of Financial Economics 5(2), pp. 241-50.
Nella dimostrazione originale di Black e Scholes, il portafoglio equivalente alla
moneta è composto dall’opzione e dall’attività sottostante. Merton suggerisce che è
meglio pensare al portafoglio equivalente all’opzione composto dall’attività
sottostante e dalla moneta. (Introduzione alle Opzioni)
1977 Vasicek, O., “An Equilibrium Characterization of the Term Structure”, Journal of
Financial Economics 5(2), pp. 177-88.
Il primo modello di valutazione delle obbligazioni basato su un processo diffusivo
per il tasso d’interesse spot di durata istantanea. In qualsiasi istante, il rapporto tra
il valore atteso dell’excess return di qualsiasi titolo e la sua volatilità locale (il
prezzo di mercato del rischio) è sempre lo stesso, indipendentemente dalla scadenza
del titolo. Combinando la costanza del prezzo di mercato del rischio con un proces-
so del tipo Ornstein-Uhlenbeck (un processo univariato, mean-reverting, a volatilità
costante) per il tasso d’interesse spot istantaneo, Vasicek ottiene una formula chiusa
per il valore corrente di uno zero-coupon bond.
1978 Margrabe, W., “The Value of an Option to Exchange One Asset for Another”,
Journal of Finance 33(1), pp. 177-86.
Uno dei primi articoli sulle opzioni esotiche. Estende la formula Black-Scholes al
caso di prezzi d’esercizio aleatori, che (in termini risk-neutral) sono log-normali
congiuntamente al prezzo dell’attività sottostante.
433
DERIVATI
investitori circa i ritorni dei singoli titoli sono le stesse, gli state-contingent claims
sul portafoglio di mercato sono gli unici titoli di cui il mercato ha bisogno.
1978 Ross, S. A., “A Simple Approach to the Valuation of Risky Streams”, Journal of
Business 51(3), pp. 453-75.
Regole per calcolare il valore attuale di payoffs – ricevuti a date diverse – che sono
funzioni lineari di altre variabili. Ottenute assumendo che non esistano opportunità
di arbitraggio. (Forwards e Futures)
1978 Brennan, M. J., e Schwartz, E. S., “Finite Difference Methods and Jump Processes
Arising from Contingent Claims: A Synthesis”, Journal of Financial and Quantita-
tive Analysis 13(3), pp. 461-74.
Chiara rassegna del metodo esplicito ed implicito delle differenze finite per la
valutazione delle opzioni.
1979 Tourinho, O. A., “The Option Value of Reserves of Natural Resources”, Working
paper, University of California at Berkeley (September).
Il primo lavoro che analizza le risorse naturali come opzioni. Il paradosso del
perché vengano sfruttate viene aggirato assumendo che i costi di estrazione cresca-
no ad un tasso superiore al tasso d’interesse.
434
BIBLIOGRAFIA ANNOTATA
1979 Cox, J. C., Ross, S. A., e Rubinstein, M., “Option Pricing: A Simplified
Approach”, Journal of Financial Economics 7(3), pp. 229-63.
Il classico articolo che sviluppa il modello binomiale. Mostra che, prendendo il
limite in tempo continuo, il modello binomiale può convergere alla formula Black-
Scholes. Enfatizza i vantaggi del modello binomiale per la valutazione delle opzioni
americane. (Modello Binomiale)
1979 Rendleman, R. J., e Bartter, B. J., “Two-State Option Pricing”, Journal of Finance
34(5), pp. 1093-110.
Un approccio meno noto al modello binomiale. Sviluppato simultaneamente e
indipendentemente. (Modello Binomiale)
1979 Goldman, B. M., Sosin, H. B., e Gatto, M. A., “Path Dependent Options:
Buy at the Low, Sell at the High”, Journal of Finance 34(5), pp. 1111-28.
Uno dei primi lavori che applica la logica Black-Scholes alle opzioni esotiche o
fuori standard. Ricava una formula per la valutazione di quelle che ora sono
chiamate lookback options.
1980 Rendleman, R. J., e Bartter, B. J., “The Pricing of Options on Debt Securi-
ties”, Journal of Financial and Quantitative Analysis 15(1), pp. 11-24.
Il primo modello binomiale per le bond options. Assume che il tasso d’interesse a
più breve termine segua un processo binomiale che si ricombina e che valga
l’ipotesi delle aspettative corrette: i bonds di diversa scadenza hanno tutti lo stesso
tasso di rendimento atteso nel prossimo intervallo. (Modello Binomiale)
1980 Leland, H. E., “Who Should Buy Portfolio Insurance?” Journal of Finance 35(2),
pp. 581-94.
Perché alcuni investitori preferiscono payoff lines convesse e altri payoff lines
concave? Enfatizza il movente della copertura: il tasso al quale l’avversione al
rischio di un investitore cambia quando il suo patrimonio cambia rispetto al tasso di
variazione per l’intero mercato. (Strategie Dinamiche)
1981 Harrison, J. M., e Pliska, S. R., “Martingales and Stochastic Integrals in the Theory
of Continuous Trading”, Stochastic Processes and Their Applications 11, pp. 215-
60.
La continuazione di Harrison e Kreps (1979). (Formula Black-Scholes)
1981 Cox, J. C., Ingersoll, J. E., e Ross, S. A., “The Relation Between Forward
Prices and Futures Prices”, Journal of Financial Economics 9(4), pp. 321-46.
Dimostra che, in assenza di opportunità di arbitraggio e sotto l’ipotesi di mercati
perfetti e di certezza sui futuri tassi d’interesse spot, i prezzi forward e i prezzi
futures di contratti altrimenti identici sono uguali tra loro. (Forwards e Futures)
435
DERIVATI
1981 Rubinstein, M., e Leland, H. E., “Replicating Options with Positions in Stock
and Cash”, Financial Analysts Journal 37(4), pp. 63-72.
Le implicazioni dell’idea che le opzioni possono essere replicate da un portafoglio
aggiustato dinamicamente che si autofinanzia ed è composto dal sottostante e dalla
moneta. Una trattazione facile da leggere. (Introduzione alle Opzioni; Modello
Binomiale)
1981 Brennan, M. J., e Solanki, R., “Optimal Portfolio Insurance”, Journal of Financial
and Quantitative Analysis 16(3), pp. 279-300.
Ricava la payoff function ottimale (che massimizza l’utilità attesa dell’investitore),
quando è nota la funzione di utilità ed il portafoglio sottostante si distribuisce in
modo log-normale. (Strategie Dinamiche)
1982 Stulz, R. M., “Options on the Minimum or the Maximum of Two Risky
Assets: Analysis and Applications”, Journal of Financial Economics 10(2),
pp. 161-85.
Uno dei primi articoli sulle opzioni esotiche. Estende la replica dinamica ai payoffs
che dipendono dai prezzi di due attività sottostanti.
1982 Baldwin, C., “Optimal Sequential Investment When Capital is Not Readily
Reversible”, Journal of Finance 37(3), pp. 763-82.
Argomenta che le imprese con «potere di mercato» (market power) dovrebbero
richiedere un premio rispetto al net present value, calcolato nel modo tradizionale,
come compenso per la perdita di futura flessibilità derivante dall’aver intrapreso un
investimento irreversibile.
1983 Garman, M., e Kohlhagen, S., “Foreign Currency Option Values”, Journal of
International Money and Finance 2(3), pp. 231-7.
Ricava una formula di tipo Black-Scholes per le opzioni su valute. L’aspetto
fondamentale è che il payout return va sostituito con il riskless return estero.
(Modello Binomiale)
436
BIBLIOGRAFIA ANNOTATA
1983 Ball, C. A., e Torous, W. N., “Bond Price Dynamics and Options”, Journal of
Financial and Quantitative Analysis 18(4), pp. 517-31.
Modello di valutazione per le bond options. Assume che il prezzo del bond sotto-
stante inizi e finisca a livelli noti e che nel periodo intermedio vaghi in modo
casuale ma con una forza di attrazione verso il valore finale noto − una forza che, al
pari di un magnete, diventa sempre più forte con l’avvicinarsi della scadenza.
1983 Cox, J. C., e Leland, H. E., “On Dynamic Investment Strategies”, Working
paper, Massachusetts Institute of Technology and University of California at
Berkeley (December).
Nella maggior parte dei lavori, le strategie dinamiche ottimali che si autofinanziano
vengono ricavate sulla base di date attitudini verso il rischio. In questo working
paper viene risolto il problema inverso: data una certa strategia dinamica, come
facciamo a sostenere che si autofinanzia, comporta risultati path-independent ed è
coerente con la massimizzazione dell’utilità attesa? Il lavoro si concentra sulla
scelta tra un’unica attività rischiosa (il portafoglio di mercato), che segue un moto
geometrico Browniano, e la moneta, con riskless return costante. Uno dei principali
risultati è che le strategie dinamiche path-independent sono le uniche coerenti con
la massimizzazione dell’utilità attesa. (Strategie Dinamiche)
1984 Rubinstein, M., “A Simple Formula for the Expected Rate of Return of an
Option over a Finite Time Period”, Journal of Finance 39(5), pp. 1503-9.
Dimostra che il payoff atteso di un’opzione europea in un orizzonte finito è pari al
valore Black-Scholes dell’opzione con inputs leggermente modificati. Assume che
valga la formula Black-Scholes e che i prezzi dell’attività sottostante siano sogget-
tivamente log-normali. (Formula Black-Scholes)
1985 Cox, J. C., Ingersoll, J. E., e Ross, S. A., “A Theory of the Term Structure of
Interest Rates”, Econometrica 53(2), pp. 385-408.
Ricava, sulla base di un modello di equilibrio generale, la formula chiusa di Cox,
Ingersoll e Ross per il valore delle bond options. Assume che l’unico fattore di
rischio (il tasso d’interesse istantaneo) segua un processo diffusivo con mean-
reversion e che la volatilità locale vari in funzione della radice quadrata del
logaritmo del fattore.
437
DERIVATI
1985 Leland, H. E., “Option Pricing and Replication with Transactions Costs”,
Journal of Finance 40(5), pp. 1283-301.
Incorpora i «costi di transazione» (trading costs) proporzionali nella replica
dinamica di una payoff function sempre convessa o sempre concava. Nel caso di
payoffs convessi i trading costs equivalgono ad un aumento della volatilità, mentre
nel caso di payoffs concavi i trading costs equivalgono ad una riduzione della
volatilità. (Strategie Dinamiche)
1986 French, K. R., e Roll, R., “Stock Return Variances: The Arrival of Infor-
mation and the Reaction of Traders”, Journal of Financial Economics
17(1), pp. 5-26.
Mostra che la volatilità oraria delle azioni è molto (13-100 volte) più alta quando le
borse sono aperte che non quando sono chiuse (ad esempio, la varianza durante il
weekend è solo di poco più alta della varianza durante un qualsiasi giorno lavorati-
vo). I risultati sono rilevanti ai fini degli aggiustamenti temporali da apportare
quando si utilizzano le osservazioni storiche per la stima della volatilità. (Volatilità)
1986 Ho, T. S. Y., e Lee, S.-B., “Term Structure Movements and Pricing Interest
Rate Contingent Claims”, Journal of Finance 41(5), pp. 1011-29.
Il primo modello per la valutazione delle bond options che è stato calibrato per
essere coerente con i prezzi correnti dei bonds di diversa scadenza. Assume la
forma di un modello binomiale del riskless return a breve termine. L’albero
binomiale che si ottiene può essere utilizzato per valutare un’ampia varietà di
contingent claims, tra cui bond options e callable bonds. (Modello Binomiale)
1987 Hull, J., e White, A., “The Pricing of Options on Assets with Stochastic
Volatilities”, Journal of Finance 42(2), pp. 281-300.
Uno dei primi modelli analitici per la valutazione delle opzioni in presenza di
volatilità stocastica (non correlata con il prezzo del sottostante). Utilizza argomen-
tazioni neutrali verso il rischio consentite dall’assunzione che la volatilità non è
438
BIBLIOGRAFIA ANNOTATA
1987 Schaefer, S., e Schwartz, E. S., “Time-Dependent Variance and the Pricing of
Options on Bonds”, Journal of Finance 42(5), pp. 1113-28.
Modello diffusivo ad un fattore per i prezzi dei bonds. La varianza locale è propor-
zionale alla duration del bond.
1988 Seidenverg, E., “A Case of Confused Identity”, Financial Analysts Journal 44(4),
pp. 63-7.
Dimostra che la strategia dinamica stop-loss, start-gain non replica bene il payoff di
una call. Utilizza l’esempio per offrire una dimostrazione alternativa ed un’inter-
pretazione della formula binomiale per la valutazione delle opzioni. (Modello
Binomiale)
1989 Garman, M., “Semper Tempus Fugit”, Risk 2(5), pp. 34-5.
Calcolo binomiale della vita attesa di un’opzione americana in un mondo neutrale
verso il rischio. (Modello Binomiale)
1989 Jamshidian, F., “An Exact Bond Pricing Model”, Journal of Finance 44(1),
pp. 205-9.
Estende Vasicek (1977) offrendo una formula chiusa per il valore delle opzioni
europee su zero-coupon bonds e su coupon bonds. Dimostra che un’opzione su un
portafoglio di zero-coupon bonds equivale ad un portafoglio di opzioni su singoli
discount bonds.
1990 Black, F., Derman, E., e Toy, W., “A One-Factor Model of Interest Rates and
Its Applications to Treasury Bond Options”, Financial Analysts Journal 46(1),
pp. 33-9.
Propone un modello binomiale ad un fattore (il tasso d’interesse a più breve
termine) per valutare i derivati su tassi d’interesse. L’albero è calibrato per essere
coerente con la term structure corrente degli spot returns e con stime esogene delle
volatilità.
439
DERIVATI
1990 Brennan, M. J., “Latent Assets”, Journal of Finance 45(3) (Presidential Address
to the American Finance Association, July), pp. 709-30.
Considera il paradosso secondo cui sarebbe conveniente estrarre tutto l’oro che si
trova nel sottosuolo quando valgono le seguenti condizioni: l’oro viene detenuto
solo per fini d’investimento, il costo dell’estrazione aumenta più lentamente del
tasso d’interesse e la miniera non può essere espropriata. In tal caso, l’oro è simile
ad un’opzione americana, perpetua e payout-protected, che non va mai esercitata
anticipatamente. (Forwards e Futures)
1990 Hull, J., e White, A., “Pricing Interest Rate Derivative Securities”, Review of
Financial Studies 3(4), pp. 573-92.
Dimostra che i modelli ad un fattore di Vasicek (1977) e di Cox, Ingersoll e Ross
(1985) possono essere estesi, nello spirito di Ho e Lee (1986), per essere coerenti
con la term structure corrente dei tassi d’interesse e con le volatilità correnti
(stimate esogenamente) di tutti gli spot returns o con le volatilità correnti (stimate
esogenamente) di tutti i forward returns.
1992 Heath, D., Jarrow, R., e Morton, A., “Bond Pricing and the Term Structure of
Interest Rates: A New Methodology for Contingent Claims Valuation”, Econome-
trica 60(1), pp. 77-105.
Sviluppa un modello dei derivati su tassi d’interesse in tempo continuo, a più di un
fattore e in tempo continuo. Generalizza diversi modelli sviluppati da altri ricerca-
tori. Nello spirito di Ho e Lee (1986), il modello viene reso coerente con i prezzi
correnti di tutti gli zero-coupon bonds imponendo proprietà stocastiche esogene
all’evoluzione dei forward rates.
440
BIBLIOGRAFIA ANNOTATA
1992 Ingersoll, J. E., e Ross, S. A., “Waiting to Invest: Investment and Uncertainty”,
Journal of Business 65(1), pp. 1-29.
L’accoglimento oggi di un progetto d’investimento e l’accoglimento domani sono
mutuamente esclusivi. Di conseguenza, il progetto non va accolto oggi solo perché
il suo valore corrente è positivo. Quest’articolo considera, oltre all’effetto della
term structure corrente su questo tradeoff, anche l’influenza dell’incertezza dei
futuri tasso spot. L’incertezza può far aumentare notevolmente il valore opzionale
dell’attesa e influenzare il livello aggregato degli investimenti.
1992 Bernstein, P. L., Capital Ideas: The Improbable Origins of Modern Wall Street (Free
Press).
La storia dei contributi accademici alla pratica finanziaria, da Bachelier (1900) ai
premi Nobel assegnati per le ricerche in economia finanziaria (1990). Offre cenni
biografici di Louis Bachelier, Fischer Black, Alfred Cowles, Charles Dow, Eugene
Fama, Hayne Leland, John McQuown, Harry Markowitz, Robert Merton, Merton
Miller, Franco Modigliani, M. F. M Osborne, Harry Roberts, Barr Rosenberg, A. D.
Roy, Mark Rubinstein, Paul Samuelson, Myron Scholes, William Sharpe, James
Tobin, Jack Treynor, James Vertin, John Burr Williams e Holbrook Working, molti
basati su interviste personali. Include un capitolo sulla formula Black-Scholes ed
uno sulla portfolio insurance.
1992 Longstaff, F. A., e Schwartz, E. S., “Interest Rate Volatility and the Term
Structure: A Two-Factor General Equilibrium Model”, Journal of Finance
47(4), pp. 1259-82.
Modello d’equilibrio generale della term structure a 2 fattori. I due fattori sono il
tasso d’interesse istantaneo e la sua volatilità. Offre soluzioni in forma chiusa per i
prezzi di bonds e bond options.
1993 Heston, S. L., “A Closed-Form Solution for Options with Stochastic Volatility
and Applications to Bond and Currency Options”, Review of Financial Studies
6(2), pp. 327-43.
Generalizzazione del modello a volatilità stocastica di Hull-White (1987). Permette
una correlazione arbitraria tra prezzo e volatilità del sottostante, oltre a tassi
d’interesse stocastici. Una misura delle attitudini verso il rischio di volatilità (il
prezzo del rischio di volatilità) figura tra i parametri ed è uguale per tutte le
opzioni, con la stessa vita residua, scritte sullo stesso sottostante.
1993 He, H., e Leland, H. E., “On Equilibrium Asset Price Processes”, Review of
Financial Studies 6(3), pp. 593-617.
Ricava le condizioni necessarie e sufficienti (in forma di equazione differenziale
parziale) che governano la relazione tra le attitudini di mercato verso il rischio e il
processo stocastico del portafoglio di mercato che deve valere in equilibrio.
Assume un’economia con la moneta ed una sola attività rischiosa (il portafoglio di
mercato). Il ritorno sull’attività rischiosa segue un processo diffusivo, il riskless
return viene specificato esogenamente e gli investitori massimizzano una funzione
di utilità della ricchezza ad una certa data futura.
441
DERIVATI
1993 Wilmott, P., Dewynne, J., e Howison, S., Option Pricing: Mathematical Models
and Computation (Oxford Financial Press).
Un testo molto matematico che enfatizza le equazioni differenziali e i metodi delle
differenze finite. Tratta sia di opzioni ordinarie sia di opzioni esotiche.
1994 Dupire, B., “Pricing with a Smile”, Risk 7(1), pp. 18-20.
Discute un’equazione differenziale - una sorta di duale dell’equazione differenziale
di Black e Scholes ma in circostanze nelle quali la volatilità locale può essere una
qualsiasi funzione continua del tempo e del livello corrente del sottostante - che
lega la volatilità locale alla derivata seconda del valore dell’opzione rispetto al
prezzo d’esercizio (il prezzo di uno state-contingent claim) e alla derivata prima del
valore dell’opzione rispetto alla vita residua.
1994 Derman, E., e Kani, I., “Riding on the Smile”, Risk 7(2), pp. 32-9.
Definisce in maniera univoca l’albero binomiale che descrive simultaneamente tutti
i prezzi delle opzioni europee ordinarie scritte sullo stesso sottostante. Le opzioni
disponibili coprono tutti i prezzi d’esercizio e le vite residue corrispondenti ai nodi
dell’albero. L’albero si ricombina.
1994 Rubinstein, M., “Implied Binomial Trees”, Journal of Finance 49(3) (Presidential
Address to the American Finance Association, July), pp. 771-818.
Generalizzazione del modello binomiale per distribuzioni risk-neutral arbitraria-
mente specificate, relative ad una certa scadenza. Presenta inoltre nuovi metodi per
ricavare la distribuzione probabilistica risk-neutral relativa ad una certa scadenza
dai prezzi di opzioni europee ordinarie altrimenti identiche, con diversi prezzi
d’esercizio. (Modello Binomiale)
1994 Dixit, A. K., e Pindyck, R. S., Investment Under Uncertainty (Princeton University
Press).
Testo che integra gran parte del lavoro sulle opzioni reali (con enfasi sulle radici
nella letteratura economica).
1994 Hull, J., e White, A., “Numerical Procedures for Implementing Term Structu-
re Models I: Single-Factor Models”, Journal of Derivatives 2(1), pp. 7-16.
Dimostra come utilizzare gli alberi trinomiali per stimare diversi modelli ad un
fattore per la valutazione delle opzioni su tassi d’interesse. I modelli in questione,
tra cui Ho & Lee (1986) e Hull & White (1990), sono coerenti con la term structure
iniziale. Un lavoro analogo per i modelli a due fattori si trova in Journal of Derivati-
ves 2(2), 1994, pp. 37-48. Un lavoro più recente, che contiene altri risultati per i
modelli ad un fattore, si trova in Journal of Derivatives 3(3), 1996, pp. 25-36.
1994 Leland, H. E., “Corporate Debt Value, Bond Covenants and Optimal Capital
Structure”, Journal of Finance 49(4), pp. 1213-52.
Estensione del modello di Black e Cox (1976) per la valutazione in forma chiusa delle
obbligazioni in presenza di clausole di garanzia, imposte differenziali e costi
fallimentari. Assume che il debito sia perpetuo e che il fallimento venga determina-
to endogenamente. In alternativa, assume che il debito a brevissimo termine venga
continuamente rinnovato e che il fallimento si verifichi quando il patrimonio netto
aziendale diventa negativo. Nell’articolo delle stesso autore dal titolo “Bond Prices,
442
BIBLIOGRAFIA ANNOTATA
Yield Spreads and Optimal Capital Structure with Default Risk” (working paper,
University of California at Berkeley, November 1994) il modello viene esteso al
caso di un debito di qualsiasi scadenza che viene continuamente rinnovato.
1995 Hull, J., e White, A., “The Impact of Default Risk on the Prices of Options and
Other Derivative Securities”, Journal of Banking and Finance 19(2), pp. 299-
322.
Uno dei migliori lavori scritti di recente sui credit derivatives.
1995 Mason, S., Merton, R., Perold, A., e Tufano, P., Cases in Financial Engineering:
Applied Studies of Financial Innovation (Prentice-Hall).
La migliore fonte di case studies sui derivati, inclusa un’eccellente introduzione. I
case studies riguardano: le opzioni incorporate nei titoli di Stato e nelle obbligazio-
ni, i mortgage-backed securities, gli asset-backed securities, i potable common
stocks, il callable equity, le employee stock options, le exchangeable securities, le
zero-coupon convertibles, gli interest rate swaps, i foreign exchange swaps, le
commodity-linked structures, la bond insurance e la portfolio insurance.
1996 Jarrow, R. A., Modeling Fixed Income Securities and Interest Rate Options
(McGraw-Hill).
Le opzioni su tassi d’interesse vengono spiegate utilizzando soprattutto gli alberi
binomiali come strumento pedagogico.
1996 Trigeorgis, L., Real Options: Managerial Flexibility and Strategy in Resource
Allocation (MIT Press ).
Testo che integra gran parte del lavoro sulle opzioni reali (con enfasi sulle radici
nella letteratura economica).
1996 Bergman, Y. Z., Grundy, B. D., e Wiener, Z., “General Properties of Option
Prices”, Journal of Finance 51(5), pp. 1573-610.
Dato un riskless return costante ed un processo diffusivo univariato per il prezzo
del sottostante (un processo in tempo continuo e a variabile continua in cui la
volatilità locale è una funzione continua del prezzo del sottostante e del tempo),
questo lavoro mostra che ogni derivato europeo (con una payoff function continua,
non solo calls e puts) eredita in qualsiasi momento le proprietà fondamentali della
payoff function: limiti superiori e inferiori per il delta, monotonicità e convessità o
concavità. (Introduzione alle Opzioni)
443
DERIVATI
1996 Jackwerth, J. C., “Recovering Risk Aversion from Option Prices and Realized
Returns”, Working paper, University of California at Berkeley (August).
Gli state-contingent prices vengono spiegati dall’avversione al rischio del mercato
e dalle probabilità soggettive del mercato. Questo lavoro mostra come utilizzare i
prezzi delle opzioni (che implicano gli state-contingent prices) e le frequenze dei
ritorni osservati (che approssimano le probabilità soggettive) per ricavare l’avver-
sione al rischio del mercato in un modo che non dipende dalla presenza di ritorni
dovuti ad eventi rari ma significativi.
1996 Jackwerth, J. C., e Rubinstein, M., “Recovering Stochastic Processes from Option
Prices”, Working paper, University of California at Berkeley (December).
Un confronto empirico tra diversi approcci per la valutazione delle opzioni - Black-
Scholes, CEV, jump-diffusion, volatilità stocastica, implied binomial trees e due
semplici modelli operativi. Utilizza la metrica della previsione dei futuri volatility
smiles in base all’informazione corrente.
1997 Duffie, D., e Pan, J., “An Overview of Value at Risk”, Journal of Derivatives 4(3),
pp. 7-49.
Eccellente discussione del valore a rischio (VAR), la nuova misura di rischio per i
portafogli di derivati. Discute i diversi metodi di stima e il modo in cui il VaR
dipende dalle assunzioni circa la distribuzione dei ritorni.
1997 Hull, J. C., Options, Futures and Other Derivatives, Third edition (Prentice-Hall).
444
BIBLIOGRAFIA ANNOTATA
1997 Minton, B. A., “An Empirical Examination of Basic Valuation Models for
Plain-Vanilla U.S. Interest Rate Swaps”, Journal of Financial Economics 44(2),
pp. 251-77.
Confronta empiricamente i due principali metodi per valutare i plain-vanilla
interest rate swaps - come portafogli di obbligazioni e come portafogli di contratti
forward. Dimostra che le differenze di prezzo possono dipendere dalle differenze
tra le due strategie di replica per quanto concerne il rischio d’insolvenza. (Forwards
e Futures)
1997 Routledge, B. R., Seppi, D. J., e Spatt, C. S., “Equilibrium Forward Curves for
Commodities”, Working paper, Carnegie Mellon University (June).
Questo articolo propone un modello di valutazione dei contratti forward scritti su
merci utilizzate per fini di consumo o di produzione. Come in Litzenberger e
Rabinowitz (1995), gli autori ricavano endogenamente il processo stocastico per il
convenience yield. Mentre Litzenberger e Rabinowitz basano il loro approccio sul
valore che la merce ha per fini produttivi, questi autori considerano l’opzione creata
dal possesso della merce in magazzino. In particolare, essi ricavano endogenamente
la correlazione tra il prezzo spot della merce sottostante e il suo convenience yield.
(Forwards e Futures)
1997 Toft, K. B., e Prycyk, B., “Options on Levered Equity: Theory and Empirical
Tests”, Journal of Finance 52(3), 1151-80.
Ricava un formula di valutazione delle opzioni per il modello di Leland (1994) di
levered corporate equity. Come previsto, spiega parte dello smile della formula
Black-Scholes con il corporate leverage e la vita residua del debito: maggiore è il
leverage e più breve è la scadenza del debito, più pronunciato è lo smile. Estensione
di Geske (1979).
1997 Broadie, M., e Glasserman, P., “Monte Carlo Methods for Pricing High
Dimensional American Options: An Overview”, Net Exposure: The Electronic
Journal of Financial Risk, Issue 3 (December), pp. 15-37.
In risposta alla domanda di derivati il cui valore dipende da diverse variabili
casuali, si è sviluppata una notevole letteratura sull’applicazione di tecniche
avanzate di tipo Monte Carlo. Gli autori passano in rassegna questa letteratura.
1998 Derman, E., e Kani, I., “Stochastic Implied Trees: Arbitrage Pricing with
Stochastic Term and Strike Structure of Volatility”, International Journal of
Theoretical and Applied Finance 1(1), pp. 61-110.
Estensione degli implied binomial trees. Ammette che la volatilità possa dipendere
da una seconda variabile casuale, oltre che dal prezzo del sottostante.
445
DERIVATI
1998 Constantinides, G. M., “Transactions Costs and the Volatility Implied by Option
Prices”, Working paper, University of Chicago (January).
Ricava i limiti inferiori e superiori per i prezzi delle opzioni europee in presenza di
costi di transazione proporzionali e limiti plausibili di avversione al rischio.
Dimostra che, in base a costi di transazione realistici, questi limiti non possono da
soli spiegare il volatility smile delle opzioni sullo S&P500.
1998 Rubinstein, M., “Edgeworth Binomial Trees”, Journal of Derivatives 5(3), pp.
20-7.
Propone un semplice metodo per incorporare le opinioni circa l’asimmetria e la
curtosi (oltre alla volatilità) della distribuzione risk-neutral nel valore delle opzioni
europee e, con l’aiuto del metodo degli implied binomial trees, nel calcolo delle
greche e nella valore delle opzioni americane.
1998 McDonald, R. L., e Schroder, M. D., “A Parity Result for American Options”,
Journal of Computational Finance 1(3), pp. 5-13.
Dimostra che quando il prezzo del sottostante è governato dal moto geometrico
Browniano (come ipotizzato da Black e Scholes) o da un processo binomiale
discreto (dove ud = 1), la put americana ha lo stesso valore di una put americana
altrimenti identica ma in presenza di una trasposizione del prezzo del sottostante,
del prezzo d’esercizio, del riskless return e del payout return. (Modello Binomiale)
1998 Stix, G., “A Calculus of Risk”, Scientific American (May), pp. 92-7.
Probabilmente la migliore descrizione del crescente significato dei moderni mercati
dei derivati, insieme ad una breve ma accurata descrizione della moderna teoria di
valutazione delle opzioni. L’articolo che potreste raccomandare ad un parente
curioso che voglia capire di che cosa vi occupate.
1998 Steinherr, A., Derivatives: The Wild Beast of Finance (John Wiley).
Uno lavoro dettagliato sulla storia dell’utilizzo dei derivati e del loro ambiente
istituzionale e regolamentare. Enfatizza il ruolo importante e positivo svolto dai
derivati nel plasmare i moderni mercati finanziari globali. Offre anche un breve
accenno al lato negativo del ruolo dei derivati, rappresentato dal crash del mercato
azionario nel 1987, dalla crisi del Sistema Monetario Europeo nel 1992-93, dalla
Metallgesellschaft, da Barings, da Bankers Trust/Procter & Gamble, da Orange
County e dalla svalutazione del peso messicano nel 1994.
446
BIBLIOGRAFIA ANNOTATA
1998 Leland, H. E., “Agency Costs, Risk Management and Capital Structure”, Journal
of Finance 53(4) (Presidential Address to the American Finance Association,
August), pp. 1213-43.
Estensione del modello in forma chiusa di Leland (1994) sul levered corporate
equity. Ammette che l’impresa scelga non solo diversi aspetti della sua capital
structure (importo del debito, scadenza del debito e politica dei rimborsi anticipati)
ma anche il rischio del suo capital budget in circostanze in cui il fallimento viene
determinato endogenamente dall’incapacità dell’impresa di raccogliere ulteriore
capitale di rischio ad un qualsiasi prezzo. In questo contesto, l’impresa sceglie una
capital structure ottimale, che compensi i vantaggi fiscali del debito con i costi
fallimentari e i costi di collocamento delle obbligazioni. Gli agency costs del debito
sono misurati come differenza tra il costo del debito quando le decisioni di capital
budgeting avvengono ex post o ex ante rispetto al finanziamento.
1998 Wilmott, P., Derivatives: The Theory and Practice of Financial Engineering (Wiley).
Questo libro è il riferimento di gran lunga più esaustivo sulla matematica che è alla
base della valutazione e della copertura dei derivati. Sostituisce il libro molto più
breve di Wilmott, Dewynne e Howison (1993). Include un utile CD-ROM.
1998 Zhang, P. G., Exotic Options: A Guide to Second Generation Options (Second
edition, World Scientific).
Una rassegna quasi completa delle opzioni esotiche. Si concentra sulle soluzioni in
forma chiusa. Spiega il loro utilizzo e la loro storia.
447
DERIVATI
1999 Ritchken, P., e Trevor, R., “Pricing Options under Generalized GARCH and
Stochastic Volatility Processes”, Journal of Finance 54(1), pp. 377-402.
Una soluzione che fa uso degli alberi binomiali per valutare le opzioni in presenza
di processi stocastici per il sottostante che hanno varie forme di volatilità stocastica,
inclusi il Garch e il Garch generalizzato.
1999 Das, S. R., e Sundaram, R. K., “Of Smiles and Smirks: A Term Structure
Perspective”, Journal of Financial and Quantitative Analysis 34(2), pp. 211-39.
Per distinguere tra un jump process ed un processo a volatilità stocastica (entrambi i
processi possono spiegare l’eccesso di curtosi) si può confrontare il modo in cui i
momenti di ordine più elevato dipendono dall’intervallo di campionamento Questo
lavoro ricava le espressioni algebriche dei momenti per entrambi i tipi di processo
in funzione dell’intervallo di campionamento. (Volatilità)
1999 Berk, J., “A Simple Approach for Deciding When to Invest”, American Economic
Review (forthcoming).
Seguito di Ingersoll e Ross (1992). Mostra che, per investimenti con certi cashflows
(o, più in generale, noti gli equivalenti dei cashflows in condizioni di certezza), la
regola standard del valore attuale può essere facilmente modificata per attualizzare
in base al prepayable mortgage rate.
448
Bibliografia delle applicazioni
Questa è una bibliografia di articoli e working papers che sono stati appositamente
selezionati per offrire una panoramica sulle applicazioni della teoria della valutazione e della
replica dei derivati. Molti di questi derivati (ma non tutti) sono stati discussi nel Capitolo 1,
paragrafo 4: “Esempi di derivati”.
449
DERIVATI
Cap, floor and swap options Hull, J., e White, A., 1993, “The Pricing of Options
on Interest-Rate Caps and Floors Using the Hull-White Model”, Journal of
Financial Engineering 2(3), pp. 287-96.
Capital budgeting Mason, S. P., e Merton, R. C., 1985, “The Role of Contingent
Claims Analysis in Corporate Finance”, in Altman, E., e Subrahmanyam, M.,
(eds) Recent Advances in Corporate Finance (Irwin), pp. 7-54.
Capital budgeting: option to abandon Myers, S. C., e Majd, S., 1990, “Abandon-
ment Value and Project Life”, Advances in Futures and Options Research 4, pp. 1-21.
Capital budgeting: option to expand or contract scale Trigeorgis, L., e Mason,
S. P., 1987, “Valuing Managerial Flexibility”, Midland Corporate Finance Journal
5(1), pp. 14-21.
Capital budgeting: option to postpone McDonald, R., e Siegel, D. R., 1986, “The
Value of Waiting to Invest”, Quarterly Journal of Economics 101(4), pp. 707-27.
Capital budgeting: option to temporarily shut down McDonald, R., e Siegel, D. R.,
1985, “Investment and the Valuation of Firms When There is an Option to Shut
Down”, International Economic Review 26(2), pp. 331-49.
Capital budgeting: time-to-build Majd, S., e Pindyck, R. S., 1987, “Time to Build,
Option Value, and Investment Decisions”, Journal of Financial Economics 18(1),
pp. 7-27.
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Chooser options Rubinstein, M., 1991, “Options for the Undecided”, Risk 4(4), p. 43.
COLA plans Stulz, R. M., 1982, “Options on the Minimum or Maximum of Two
Risky Assets: Analysis and Applications”, Journal of Financial Economics 10(2),
pp. 161-85.
Commodity futures Brennan, M. J., 1991, “The Price of Convenience Yield and the
Valuation of Commodity Contingent Claims”, in Lund, D., e Oksendal, B., (eds)
Stochastic Models and Option Values (North-Holland).
Commodity futures: oil futures Litzenberger, R. H., e Rabinowitz, N., 1995,
“Backwardation in Oil Futures Markets: Theory and Empirical Evidence”, Journal
450
BIBLIOGRAFIA DELLE APPLICAZIONI
451
DERIVATI
452
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bility as a Complex Option”, Journal of Finance 45(3), pp. 549-65.
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401(k) deferred-tax saving plans Stanton, R., 1996, “From Cradle to Grave: How to
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DERIVATI
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Leases: option to purchase Grenadier, S. R., 1996, “Leasing and Credit Risk”, Journal
of Financial Economics 42(3), pp. 333-64.
Leases: percentage performance leases Grenadier, S. R., 1996, “Leasing and Credit
Risk, “ Journal of Financial Economics 42(3), pp. 333-64.
Leases: prepaid rent Grenadier, S. R., 1996, “Leasing and Credit Risk”, Journal
of Financial Economics 42(3), pp. 333-64.
Leases: security deposits Grenadier, S. R., 1996, “Leasing and Credit Risk”, Journal
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Exchange One Asset for Another”, Journal of Finance 33(1), pp. 177-98.
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Analysis of Reset Notes and Rating-Sensitive Notes”, Journal of Financial
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Retractable/extendible bonds Brennan, M. J., e Schwartz, E. S., 1977, “Savings
Bonds, Retractable Bonds and Callable Bonds”, Journal of Financial Economics 5(1),
pp. 67-88.
Rights versus underwriting agreements Smith, C. W., 1977, “Alternative Methods
for Raising Capital: Rights Versus Underwritten Offerings”, Journal of Financial
Economics 5(3), pp. 273-307.
Russian options Shepp, L., e Shiryaev, A. N., 1993, “The Russian Option:
Reduced Regret”, Annals of Applied Probability 3(3), pp. 631-40.
Savings bonds Brennan, M. J., e Schwartz, E. S., 1977, “Savings Bonds, Retractable
Bonds and Callable Bonds”, Journal of Financial Economics 5(1), pp. 67-88.
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Income”, Working paper, Organization for Economic Cooperation and Develop-
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Tax delinquency O’Flarerty, B., 1990, “The Option Value of Tax Delinquency:
Theory”, Journal of Urban Economics 28(3), pp. 277-317.
458
BIBLIOGRAFIA DELLE APPLICAZIONI
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Conditions”, Journal of Financial Engineering 1(1), pp. 82-104.
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Zero-coupon swaps Litzenberger, R. H., 1992, “Swaps: Plain and Fanciful”, Journal
of Finance 47(3) (Presidential Address to the American Finance Association, July),
pp. 831-50.
459
Indice degli autori e degli argomenti
A bilities
abandon, option to 50 profit/loss lines vedi profit/loss diagrams
accreting swaps 38 replication vedi replication strategy
American options SEC 156
binomial option pricing model, single short sales 73-6, 90
205, 207 single-period option model 200-1
definitions 142 underlying 22-8
exchange-traded calls and puts 39 commodities 22-4,27,141
portfolio insurance 331 fixed income securities 25-6, 141
pricing problems 195 foreign currencies 26-7, 141, 241-4
sample paths 220 indexes 24-5, 141
terminology 152,153 stocks, common 24-5, 27, 141, 177
three-period recursive model 208-10 transformation into standard option
Amex (American Stock Exchange) 48, 53, 63 195
amortising swaps 38 volatility vedi volatility of assets
APs (associated persons) 57 wasting 234
arbitrage tables 101-2, 115, 116 Atlantic options 143
Arrow, K. 18 ATM (at-the-money) 167
Asian options 46 vedi anche call and put options
assets
allocation B
dynamic 323-9 back and front spreads (options) 167-8
traditional, and 323-5, 328 Bank for International Settlements (Basle)
capital, options as 50-1 68
cash, and 71-90, 201 Barings Bank 164
complete markets, and 13-21 barrier options 46
cum-payout 73 Bartlett’s test statistic 309
diagrams and tables 2-3, 21, 72-9 basis swaps 38
ex-payout 73, 200, 201 basket options 47
forward and futures contracts 71-90 bear-market warrants 46
diagrams 72-9 bears
duration of bonds 85-90 cylinders 161-2
riskless returns, term structure spreads 159-61,171
78-85 Bermudan options 142
inverse problem, and vedi inverse problem beta (measure for stock risk) 85
‘long’ 73 binomial option pricing model 195-262
options on bonds, options on 247-61
bonds 247-61 defined 196
foreign currencies 241-4 extensions 238-47
futures 156, 238-41 currencies, options on 241-4
payoff dates 73 futures, options on 238-41
probabilities s payoff calculations; risk- generalisations 244-6
neutral probabilities; subjective proba- hedging 231-8
461
DERIVATI
462
INDICE
calls and puts 38, 39, 142 CMOs (collateralised mortgage obligations)
equity-linked securities 45 44
as exchange 53, 68 collar options 45-6, 165-6
history of derivatives 1 commission brokers 53
regulations, history 156 commodities
CBOT (Chicago Board of Trade) convenience yield 50,116
clearing houses 58 forward contracts 114-17
corn futures 117 futures contracts 63, 117-19
creation 22 price changes 27
as exchange 53, 68 swaps 38
insurance 44 underlying assets, as 22-4
regulations, history 156 vedi anche gold; oil; precious metals
risk-neutral possibilities 12 Commodity Futures Trading Commission
T-bond futures 123-4 (CFTC) 62, 64,156
underlying assets 22 commodity swaps 38
certificates of deposit, equity-linked 45 common stocks 24-5, 27, 141, 177
CFTC (Commodity Futures Trading Com- complete markets 15-19
mission) 62, 64, 156 compound options 46
Chicago Board Options Exchange vedi CBOE condors (options) 170-2
(Chicago Board Options Exchange) contingent-premium options 46
Chicago Board of Trade vedi CBOT (Chica- convenience yields 50,116
go Board of Trade) convergence, Black-Scholes formula vedi
Chicago Mercantile Exchange vedi CME Black-Scholes formula, option calcula-
(Chicago Mercantile Exchange) tion: convergence
chooser options 46 corn futures 117-19
chumming (investor abuse) 66 corporate debt securities 40-2
classes of derivatives covariance 7
derivatives, reasons for use 34-5 Cox, J. 263
forward and future contracts 28, 29-30 CPI-W (Consumer Price Index - Wage Ear-
hedgers 28 ners) 121
options 31-3 credit spreads 160
sample market prices 35-6 ‘cross-exchange rates’ 26
speculators 28 currencies, foreign 26-7, 112-14, 241-4
swaps 30-1 currency swaps 38
zero-sum game 33-4 currency-translated options 47
clearing houses current exercisable value (options) 152, 158
APs 57 cylinders, bulls and bears 161-2
brokers 57
clear trades 57 D
clearing margins 58 ‘day traders’ (exchange members) 54
Counterparties 57 de Moivre, A. 264
FCMs 56,95 debit spreads 160
OCCs 58, 68 delivery dates (forward and futures) 73
out trades 57 delivery prices (forward and futures) 29, 91
ROPs 56 delta (hedging parameter)
RRs 57 delta-neutral portfolios 284-7
cliquets (calls) 47 hedging, options
closed-end investment companies 44 binomial pricing model 231-2,237
CME (Chicago Mercantile Exchange) Black-Scholes formula 283--7, 289
examples of derivatives 36 replication 182,191
as exchange 53, 68 riskless returns, term structure 85
futures 93 derivatives
history of derivatives 1 absolute and relative values 71
463
DERIVATI
464
INDICE
465
DERIVATI
gold MMI 24
forward contracts 114, 117 Property Claims Services National Cata-
futures contracts 118, 119 strophe Index 121
as natural resources option 49-50 ‘random walk’ 27
government securities 42-3 risk premium 323
grant dates (ESOs) 40 S&P100 vedi S&P100 (Standard & Poor’s
Greek symbols (hedging parameters) 500 Index)
delta vedi delta (measure for derivative stock index futures 120, 121-2
risk) inflation-indexed bonds 41
gamma 233-4,237,287-9,297 insurance, examples of derivatives 43-4
omega 234, 279, 297 vedi anche portfolios: insurance
theta 235, 279, 297 interbank market 63
vedi also hedging interest rate swaps 38
GSCI (Goldman Sachs Commodity Index) International Monetary Market (IMM) 1
22 International Settlements, Bank for 68
intrinsic value (options) 152
H inverse problem 13-19
Heath-Jarrow-Morton model (bond option) binomial trees, implied 225
254-61 complete market 15-18
‘hedge funds’ 324 HJM model 256
hedging Ho-Lee model 253
Black-Scholes formula 279-90 riskless arbitrage opportunity 16
delta measure 283-7, 289 state-contingent claims 15
gamma measure 287-9 investors, abuses of 63-6
parameters 279-83 IOs (interest only mortgage-backed securi-
classes of derivatives 28 ties) 44
futures contracts ITM (in-the-money) 158
classes of derivatives 28 vedi anche call and put options
futures, reasons for use 130-1
rolling strip hedges 126-8 J
stack hedges 128-9 jumps
strip hedges 125-6 infrequent 295
warnings 129-30 portfolio insurance 337, 340-1
neutral hedges 285 replication strategy 189
options 153-5, 231-8 volatility 317-19
organised exchanges 56
parameters vedi Greek symbols (hedging L
parameters) ladder calls 46-7
vedi anche delta (measure for derivative leases, operating 42
risk); gamma; Greek symbols, option LIBOR (London interbank offer rate) 25
pricing limit orders 55-6
HJM model (bond option) 254-61 locals 53
Ho-Lee model (bond option) 251-4,261 lookback calls and puts 46
Hotelling Principle (oil futures) 120-1 LYONS (Liquid Yield Option Notes) 42
hybrid debt 42
M
I margin requirements 58-62
ICONS (indexed currency option notes) 42 account equity 58
IMM (International Monetary Market) 1, commissions 61-2
111 percentage initial requirement 58
indexes 24-5 percentage maintenance requirement 59
DJIA (Dow Jones Industrial Average) 24 market orders 56
GSCI 22 market prices
466
INDICE
467
DERIVATI
468
INDICE
469
DERIVATI
470
INDICE
471
Software
Installazione
Il CD contiene il file SETUP.EXE che consente l’installazione guidata del softwa-
re. Il file viene eseguito automaticamente dopo aver inserito il CD nell’apposito
drive. Le istruzioni per l’installazione sono in inglese.
Diapositive
Ci sono due modi per vedere le diapositive contenute nel CD-ROM che avete in-
stallato sul vostro computer:
(1) utilizzare la vostra copia di PowerPoint.
In questa modalità, potete vedere le diapositive con la visualizzazione Pre-
sentazione o con la visualizzazione Normale. Quando utilizzate la visualizza-
zione Normale potete modificare il contenuto e l’ordine delle diapositive. Po-
tete anche nasconderne alcune, se volete.
Per sfruttare a pieno i vantaggi di questa modalità, dovete essere in grado
di creare le diapositive con PowerPoint.
Per vedere le diapositive in questa modalità potete:
(a) richiedere l’avvio immediato alla fine dell’installazione, o
(b) fare click sull’icona PicturesV1 sul desktop, o
(c) fare click sul file PicturesV1.pps che si trova nella cartella In-The-
Money\Picture Books.
(2) utilizzare il PowerPoint Viewer della Microsoft.
Utilizzate questa modalità se non avete PowerPoint nel vostro computer. In
questa modalità, potete solo stampare o visualizzare le diapositive (proprio
come farebbe un docente in aula); in particolare, non sarete in grado di modifi-
care le diapositive. Tuttavia, potrete eliminare i suoni collegati alle transizioni
di alcune diapositive semplicemente spegnendo l’audio sul vostro computer.
Anche se avete già il Viewer nel vostro computer, è meglio scaricare e in-
stallare l’ultima versione. Microsoft la rende gratuitamente disponibile nel sito
http://officeupdate.microsoft.com
473
RUBINSTEIN ON DERIVATIVES
Dopo aver scaricato il Viewer, fate click sul file Ppview32.exe. Nella finestra
di dialogo indicate la cartella nella quale avete installato il software del CD (la
cartella pre-impostata è C:\Program Files\In-The-Money\Picture Books) e quindi
selezionate dal menu il file PicturesV1.pps.
Quale che sia la modalità selezionata, facendo click sui pulsanti e le icone che
appaiono nell’angolo in alto a destra di ogni diapositiva, avrete accesso a docu-
menti in Word, al Glossario e ad alcuni applicativi per computer (MATLAB for
Derivatives, parte del Rubinstein’s Options Calculator, Options.live e Hedge 99).
Files audio
Le mini-lezioni svolte in aula a Berkeley si trovano nella cartella Mini-Lectures
del CD (non vengono copiate durante l’installazione).
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Stampa: Legoprint S.p.A., via G. Galilei, 11 - 38015 Lavis (Trento)
Il Sole 24 Ore S.p.A.