ELEMENTI DI LINGUISTICA
E FILOLOGIA GERMANICA
LUCIA SINISI
Indice
Il linguaggio umano
L’apparato di fonazione
Classificazione dei foni del linguaggio
Il mutamento linguistico
Il germanico orientale
Il germanico settentrionale
Il germanico occidentale
Il sistema consonantico
Il sistema vocalico
Fricative sorde 94
Fricative sonore
Rotacismo
Metafonia
La mutazione consonantica altotedesca
Alcuni preliminari
Mutamento dell’accento nel protogermanico
Datazione
Antroponimi
Sistema onomastico latino
Antroponimia germanica
Variazione dei temi
La variazione dei temi nei documenti medievali pugliesi
Capitolo I
Il linguaggio umano
• esso è arbitrario; non contempla, cioè, una stretta connessione fra il segnale
e il messaggio, al contrario di quanto accade nella comunicazione animale, in cui
non c’è rapporto intrinseco fra la parola elefante e l’animale a cui essa si
riferisce.
• si trasmette culturalmente, e non geneticamente, come dimostrano i rari
casi di esseri umani cresciuti in isolamento, i quali non hanno sviluppato l’uso
del linguaggio.
• è basato sulla duplice articolazione, si basa, cioè, su un certo numero di
suoni (all’incirca trenta o quaranta) detti fonemi, i quali, di per sé, non hanno
alcun significato, ma che, combinandosi con altri fonemi, danno vita ai
monemi, o unità superiori portatrici di significato: p.es. /s/, /l/, /a/, /e/,
isolatamente pronunciati, non costituiscono un messaggio, mentre uniti fra loro
in italiano danno luogo a /sal-e/, /les-a/, /els-a/.
• la maggior parte degli animali può comunicare soltanto in riferimento a cose
che sono presenti nell’ambiente immediatamente circostante, mentre l’uomo
può far riferimento anche a cose lontane nello spazio e nel tempo. Questo
fenomeno in linguistica è chiamato dislocazione.
• gli animali possono ricorrere ad un numero molto limitato di messaggi da
inviare o da ricevere, mentre per l’uomo il numero di messaggi è pressoché
illimitato. Egli può pronunziare una frase mai pronunciata prima, nella
1
Sin qui da J. Aitchison, Linguistics, Teach Yourself Books, Hodder and Stoughton,
Sevenoaks, 19873, pp. 19-29.
L’apparato di fonazione
All’interno della laringe vi sono due coppie di pieghe sagomate dalla mucosa che
riveste le pareti della scatola laringale: si tratta delle corde vocali (meglio dette
pliche vocaliche) e delle false corde vocali;4 le sacche racchiuse fra le due
coppie di pieghe sono dette ventricoli di Morgagni.
2
B. Malberg, Manuale di fonetica generale, il Mulino, Bologna, 1977, p. 129.
3
Ibidem.
4
A tutt’oggi non si è stati in grado di comprendere quale sia la funzione delle false corde
vocali.
Laringe e trachea (da Bertil Malberg, Manuale di fonetica generale, il Mulino, Bologna 1977)
Le pliche vocaliche
L’articolazione di /p/ e /b/ in it. /pere/ e /bere/, di /t/ e /d/ in it. /tare/ e
/dare/, di /f/ e /v/ di it. /fede/ e /vede/ si differenzia per un solo parametro,
quello della sonorità; vale a dire che mentre le consonanti con cui si iniziano le
parole /pere/, /tare/ e /fede/, sono prodotte senza l’intervento delle pliche
vocaliche, negli esempi /bere/, /dare/ e /vede/, la loro articolazione si
10
11
L labbra
A alveoli
D denti
P palato
F faringe
E epiglottid
CV corde vocali.
V velo palatino
U uvula
PF pilastri faucali
L lingua
F faringe
12
13
I foni
5
L’Alfabeto Fonetico Internazionale è stato messo a punto dall’Associazione Fonetica
Internazionale (International Phonetic Association) fondata da Paul Passy nel 1886.
6
Sebbene se ne possano articolare altre, rare per la verità, procedendo in senso contrario,
immettendo cioè aria dall’esterno verso l’interno, in tal caso saranno dette consonanti
ingressive o inspiratorie. In talune lingue dell’Africa meridionale si realizzano anche le
cosiddette consonanti avulsive (o clic), prodotte “in fase di stasi espiratoria, facendo
schioccare una parte mobile dell’apparato di fonazione, come labbro inferiore o lingua, contro
una parte non mobile, come labbro superiore, guancia, palato duro” (v. T. De Mauro,
Linguistica elementare, Editori Laterza, Bari, 1998, p. 36) come nella produzione di un bacio,
o nello schiocco imitante il galoppo del cavallo del linguaggio infantile.
7
Sotto il profilo della fisica acustica le consonanti comportano vibrazioni aperiodiche (sono
pertanto rumori).
14
Le consonanti
Consonanti egressive
Occlusive
Nella prima fase si impostano gli organi per formare un’occlusione totale del
passaggio dell’aria (l’occlusione, per esempio, può essere prodotta serrando le
labbra saldamente, in tal caso si articolerà una p, o fra la parte anteriore della
lingua e l’arcata superiore dei denti, come avviene per la produzione di una t
dell’italiano o del francese,9 pertanto, a seconda del luogo in cui avviene
l’occlusione, esse si distinguono in:
8
Le vocali sono prodotte da vibrazioni periodiche (sono pertanto suoni).
9
Nella pronuncia di un locutore inglese l’articolazione di questa consonante e della
corrispondente sonora d si presenta come alveolare; d’altro canto tutto il sistema articolatorio
dell’inglese prevede un arretramento della produzione delle dentali verso il luogo alveolare
(si pensi alla n).
15
[p] bilabiale sorda, it. palo, fr. pas, ingl. ripe, ted. Polizei, sp. perro; in inglese, in
inizio di parola, può essere seguita da una fricativa glottidale [ph].
[b] bilabiale sonora, it. bambino, fr. bon, ingl. baby, ted. bitte.
[t] dentale sorda, it. topo, fr. toujours, ted. trinken, sp. todo.
[d] dentale sonora, it. dopo, fr. dent, ted. denken, sp. dulce.
[c] palatale sorda, it. chino, fr. maquillage, ingl. key, ted. Kino, sp. queso.
[k] velare sorda, it. coltello, fr. couteau, ingl. care, ted. können, sp. compañero.
[g] velare sonora, it. gatto, fr. gorge, ingl. gain, ted. gut, sp. garganta.
Fricative
Al contrario delle occlusive che presentano un’ostruzione totale del getto d’aria
proveniente dai polmoni, le fricative si caratterizzano per un’occlusione parziale,
con percezione acustica di frizione, o di sibilo, causato dal flusso d’aria che
supera a fatica la strettoia messa in atto dagli articolatori:
16
[f] labiodentale sorda, it. fuoco, fr. fou, ingl. few, ted. Vater, sp. fuego.
[v] labiodentale sonora, it. velo, fr. valent, ingl. view, ted. wieviel.
[θ] dentale sorda, ingl. thigh, sp. zapatos (in realtà, nello spagnolo la
realizzazione di questo fono può considerarsi interdentale).
10
[s] alveolare sorda, it. sera, fr. soir, ted. essen, ingl. sip, smile, sp. españa
[z] alveolare sonora, it. smemorato, ingl. zip, ted. sehen, sp. mismo.
[ʃ] palatoalveolare sorda, it. scema, sciocco, fr. cherie, ingl. nation, ted.
Schenken.
10
È da osservare come in spagnolo l’articolazione della sibilante alveolare sorda è
particolarmente arretrata rispetto alle realizzazioni nelle altre lingue europee.
17
Affricate
[ts] alveolare sorda, it. ragazza (in cui è geminata), ted. Zeit.
[tʃ] palato-alveolare sorda, it. Cina, ingl. church, ted. Deutsch, sp. muchacho.
Nasali
11
Sarebbe quasi impossibile realizzare una fricativa glottidale sonora, in realtà ciò che
accade nell’esempio riportato è che la glottidale in questione partecipa della vibrazione delle
corde vocali messa in atto per la vocale precedente e seguente.
18
verificare, ponendo il palmo della mano davanti alle narici, il passaggio di aria
procede libero attraverso la cavità nasale. Tutte le nasali sono sonore:
[m] labiale, it. mamma, fr. maman, ingl. mint, ted. Mutter, sp. matador.
[n] dentale, it. noto, fr. nuit, ingl. tenth, ted. nicht, sp. nombre.
[ŋ] velare, it. singolare, ingl. sing, sink,13 ted. springen, sp. cinco.
Laterali
[l] dentale sonora, it. luna, fr. lune, ted. Lied, sp. loco.
[l] alveolare sonora, ingl. lame (può presentarsi come sorda in ingl. play).
[ɬ] velarizzata, si realizza avvicinando la radice della lingua verso il velo palatino;
ricorre in posizione finale o preconsonantica in inglese: will, bottle.14
12
In italiano, e in genere nelle lingue occidentali, la nasale labiodentale è solo un ‘allofono’,
vale a dire: se ad essa sostituiamo una nasale labiale o dentale, la commutazione non implica
un cambiamento di significato della parola.
13
Al contrario di quanto accade nelle altre lingue europee prese in esame, in inglese la
nasale velare è un vero e proprio fonema che, se commutato, può cambiare il significato
della parola. Si vedano le opposizioni thing [θiŋ] ~ thin [θin] e sing [siŋ] ~ sin [sin]
19
Vibranti
Approssimanti o semivocali
14
E’comunemente definita ‘dark ɬ’.
15
Cinque o sei volte per una geminata.
16
Nello spagnolo esiste la realizzazione monovibrante in pero
20
Le vocali
Se all’interno della cavità orale la parte anteriore della lingua si porta nella posizione
più avanzata e più alta possibile si articolerà una [i], se, al contrario, sempre nella
zona anteriore della bocca, assume una posizione molto piatta e bassa (la più bassa
possibile), il risultato sarà una [a]. Arretrando il più possibile la lingua, mantenendola
bassa, si articolerà una [a], e sollevandola il più possibile, sempre nella zona
posteriore, si articolerà una [u]. Abbiamo ottenuto in questo modo quattro vocali
estreme (si potrebbe dire ‘di laboratorio’) con le quali è possibile ‘misurare’ tutte le
vocali prodotte dal linguaggio umano.
All’interno del quadrilatero, fra l’articolazione delle vocali anteriori [i] e [a], si
collocheranno in posizione equidistante la [e], vocale semichiusa, e la [ɛ], vocale
semiaperta; allo stesso modo fra le posteriori [u] e [a], si collocheranno la [o], vocale
[i] anteriore chiusa aprocheila, come in it. vino, fr. merci, ingl. seat, ted. Friede, sp.
perdido.
[e] anteriore semichiusa aprocheila, it. venti (20), fr. blé , ted. sehr, sp. pecho.
[ɛ] anteriore semiaperta aprocheila, it. venti (i venti), bene [benɛ], fr. fer, ted. setzen.
[ɔ] posteriore semiaperta procheila, it. botte (le botte), ted. Wolle, sp. zorro.
17
In italiano e in spagnolo esiste un solo tipo di a, che pertanto sarà realizzata come vocale centrale,
aperta, aprocheila.
23
[o] posteriore semichiusa procheila, it. botte (la botte), fr. mot, ted.doch.
[u] posteriore chiusa procheila, it. uva, fr. tour, ingl. fool, ted. Stuhl, sp. su.
Le vocali secondarie
[] leggermente più aperta e meno arretrata di [i], di questa è variante rilassata
(comporta una minore tensione muscolare. In inglese si oppone alla [i:], creando le
coppie seat [si:t] ~ sit [st]. In tedesco si trova in bitte ['btə].
24
[æ] vocale posta nel trapezio vocalico fra vocale cardinale [] e vocale cardinale.
[ɛ], più arretrata rispetto ad entrambe, ingl. fat.
[ʊ] più aperta e arretrata di [u], è di questa la variante rilassata, ingl. good, ted.
Mutter.
In francese, portoghese e polacco, alcune vocali sono articolate con l’aggiunta della
risonanza nasale. Si tratta del medesimo procedimento che presiede all’articolazione
delle consonanti nasali: il velo palatino si abbassa e consente all’aria di fuoriuscire
dalle cavità nasali simultaneamente all’articolazione della vocale. Qui di seguito sono
riportati i principali fonemi vocalici nasalizzati:
25
26
variante combinatoria
di Luciano Romito
1. Definizione
L’espressione variante combinatoria indica, fra le possibili realizzazioni di un fonema
(➔ allofoni), quelle determinate dal contesto, che cioè dipendono dall’intorno fonetico
in cui compaiono e sono quindi prevedibili. Una variante combinatoria (il termine e
la nozione si devono a Trubeckoj 1939) si sottrae alla scelta del parlante, perché, data
la natura articolatoria e acustica dei suoni che lo precedono e lo seguono, quel
fonema può essere realizzato solo in quel modo (➔fonetica).
Le parole sdentato e stentato, per es., costituiscono una ➔ coppia minima perché si
differenziano per un solo fonema, rispettivamente /d/ e /t/. In realtà, dal punto di
vista strettamente fonetico anche la fricativa /s/ iniziale si realizza in modo
differente in virtù del fonema seguente, e sarà sonora [z] quando è seguita da [d]
([zdenˈtato]), e sorda [s], quando è seguita da [t] ([stenˈtato]). Questa differenza però
non è in grado da sola di determinare due significati distinti e di produrre opposizioni
funzionali. Il tratto sonoro-sordo, così produttivo e con alto rendimento nell’italiano
(si vedano, per es., le coppie /p/ ~ /b/ in patto ~ batto, /t/ ~ /d/ in dado ~ dato, /k/
~ /g/ in gara ~ cara, /f/ ~ /v/ in faro ~ varo, ecc.), è invece in molti casi inattivo o
neutralizzato per la coppia [s] ~ [z] ([ˈkasa ~ ˈkaza] non è una coppia di parole
diverse).
La diversa realizzazione di un fonema in italiano è determinata sincronicamente dal
segmento successivo (è il fenomeno dell’➔assimilazione anticipatoria). Questo
condizionamento però, non deve essere inteso come universale: in inglese, per es.,
dove non è attivo il fenomeno di assimilazione anticipatoria, la pronuncia della
consonante iniziale di slide «scivolamento; diapositiva» o di smell «odorare» sarà
sempre sorda [s]. Nello stesso contesto, invece, in italiano avremmo [z]lancio o
[z]milzo. In inglese però c’è il fenomeno di assimilazione posticipatoria, come in cat[s]
27
«gatti» ~ dog[z] «cani». Con una regola fonologica, possiamo dire che in italiano il
fonema /s/ si realizza nella sua variante combinatoria [z] quando è seguito da un
suono non vocalico sonoro, mentre in inglese si realizza nella sua variante
combinatoria [z] quando è preceduto da un suono non vocalico sonoro.
Se per il fonema /s/, in italiano, il tratto variabile è quello sonoro-sordo, per il
fonema nasale alveolare /n/, invece, il tratto interessato dalla variazione è il luogo di
articolazione. Avremo infatti in ➔ italiano standard un suono nasale velare [ŋ] prima
delle occlusive velari /k/ e /g/, come in [iŋˈkawto] incauto e [iŋˈgrato] ingrato; un
suono nasale labiodentale [ɱ] prima delle fricative labiodentali /f/ e /v/, come in
[iɱˈvero] invero e [iɱˈfat:i] infatti; un suono nasale bilabiale [m] prima delle occlusive
bilabiali /p/ e /b/, come in [umˈbaʧo] un bacio e [nomˈposːo] non posso.
La catena fonica del parlato non è costituita da una somma di fonemi, bensì da una
sequenza di aggiustamenti, di suoni coarticolati e sovrapposti: è in altri termini una
sequenza di allofoni combinatori, frutto di vari processi fonetici e fonologici
(cancellazioni, assimilazioni, inserzioni, riduzioni, rafforzamenti, ecc.; ➔ fonetica).
Solo studiando i suoni nel loro insieme si capisce che [m] di un bacio [umˈbaʧo] è una
variante del fonema nasale alveolare /n/, mentre [m] di mano [ˈmaːno] è variante del
fonema nasale bilabiale /m/. Chi vuole imparare l’italiano con pronuncia da nativo
deve tenere conto non solo dell’inventario fonemico ma anche delle varianti
combinatorie.
Studi
Camilli, Amerindo (19653), Pronuncia e grafia dell’italiano, a cura di P. Fiorelli, Firenze,
Sansoni (1a ed. 1941).
Canepari, Luciano (19863), Italiano standard e pronunce regionali, Padova, CLEUP (1a ed.
1980).
Labov, William (1971), Methodology, in A survey of linguistic science, edited by W.O.
Dingwall, College Park, Maryland University Press, pp. 412-497.
Trubeckoj, Nikolaj S. (1939), Grundzüge der Phonologie, «Travaux du Cercle linguistique
de Prague» 7 (trad. it. Fondamenti di fonologia, Torino, Einaudi, 1971).
28
Fonetica combinatoria
29
Un altro caso degno di nota è la presenza di una [i], in luogo di una [e], nella seconda
e terza persona singolare di taluni verbi del tedesco: ich helfe/du hilfst/er hilft, wir
helfen, ecc. che si giustificano poiché anticamente era presente nella sillaba mediana
di queste forme una -i- che ha modificato il timbro della vocale radicale (helf-i-st,
helf-i-t). Se al contrario è la vocale della sillaba accentata ad influenzare la vocale
della sillaba atona, si è in presenza dell’armonia vocalica, un fenomeno che ha
interessato il turco, per esempio, lì dove il suffisso del plurale -lar, come in atlar
‘cavalli’ (sg. at ‘cavallo’) o adamlar ‘uomini’ (sg. adam ‘uomo’), diviene -ler in güller
‘rose’ (sg. gül ‘rosa’). È evidente come, nell’ultimo caso, la vocale accentata [y], una
vocale secondaria anteriore chiusa procheila, abbia influenzato la vocale [a] del
suffisso, rendendola più chiusa >[e] per avvicinarla ai propri coefficienti articolatori.
30
wanna, risultato dalla assimilazione fra want + to, o al già citato esempio di it.
[donna] < prerom. [domna] < lat. [domina]).
L’assimilazione infine può essere regressiva nel caso in cui un suono si assimila al
suono che segue (it. in + ragionevole > irragionevole, lat. factum > it. fatto) o
progressiva se è il suono che precede ad esercitare la propria influenza sul fono che
segue (romanesco annamo < it. andiamo).
Infine il sandhi che è una forma di assimilazione che si attua fra un fonema che
compare alla fine di una parola con un fonema che si trova all’inizio di un’altra: la
pronuncia della successione un bambino diverrà nella catena parlata [um bambino] o
la liaison che si ha nella lingua francese quando nella successione les amis si
pronuncerà la sibilante sonora davanti ad una parola che si inizia per vocale [lez
aˈmi]; e l’aplologia, o apaxepia, che contempla la contrazione di due sillabe uguali in
una sola: tragicomico < tragico-comico.
31
Testi di riferimento
Jean AITCHISON, Linguistics, Teach Yourself Books, Hodder and Stoughton, Londra,
1972 (rist. 1986).
Federico ALBANO LEONI e Pietro MATURI, Manuale di fonetica, Carocci, Roma, 2004.
Luciano CANEPARI, Introduzione alla fonetica, Einaudi, Torino, 1979.
Tullio DE MAURO, Linguistica elementare, Gius. Laterza, Bari-Roma, 1998.
Bertil MALBERG, Manuale di fonetica generale, Società editrice Il Mulino, Bologna, 1977.
Francesca SANTULLI, “Lineamenti di fonetica fisiologica e di fonologia strutturale”,
in Navādhyāyī, a cura di Mario NEGRI, Il Calamo, Roma, 1996.
Forse il sito più completo nel web, messo a disposizione da Luciano Canepari
(Università di Venezia):
http://venus.unive.it/canipa/
32
33
34
35
36
Test di autovalutazione
ignorante [………………………..]
ascensore [………………………..]
cielo [………………………..]
schiaccianoci [………………………..]
cuore [………………………..]
sbucciare [………………………..]
ammagliare [………………………..]
zeppa [………………………..]
azzurro [………………………..]
azione [………………………..]
a prescindere [……………………………. .]
37
Capitolo II
La cerchia nordica
38
• germanico orientale
• germanico occidentale
• germanico settentrionale
protogermanico
39
• parti della versione della Bibbia effettuata dal greco dal vescovo visigoto Wulfila
nel IV secolo.
40
Una traccia della sopravvivenza in Crimea di una lingua dai tratti germanico-
orientali (probabilmente ostrogotico) è costituita dall’elenco di una ottantina di
parole raccolte dal fiammingo Ghiselin de Busbeck, inviato imperiale ad Istambul
nel 1560-62, da due uomini, di cui uno, parlante il gotico, ma vissuto per molti
anni fra parlanti la lingua greca, l’altro non di madre lingua gotica, aveva imparato
il gotico.18
18
Intorno al 1250 il francescano Guglielmo di Rubruk, nella sua cronaca di viaggio alla volta
della sede di corte di Gengis-khan, dove era stato inviato dal re di Francia, diede notizia della
presenza di un popolo di “lingua tedesca” nelle regioni asiatiche da lui attraversate.
41
Il norvegese, che, nella sua fase antica (dal 1000 al 1350) era parlato in Norvegia,
nelle isole Færøer, nelle Shetland, nelle Orcadi, nelle Ebridi, nell’isola di Man e in
42
Nel XIV la Norvegia fu annessa alla Danimarca, il cui dominio durò sino agli inizi
del XIX secolo. La anomala situazione politica determinò anche una anomalia di
tipo linguistico, una sorta di bilinguismo che sfociò nella contrapposizione fra il
riksmål “norvegese di Stato” (in cui scrive Henrik Ibsen) e il landsmål “lingua
popolare” (il cui propugnatore fu Ivar Aasen). Al giorno d’oggi il riksmål
(altrimenti definito bokmål) è la varietà usata prevalentemente dalla stampa, mentre
il landsmål (o nynorsk) è parlato nelle regioni occidentali dal 20% della popolazione.
43
L’islandese altro non è che la lingua portata in Islanda nel IX secolo dai
norvegesi, allontanatisi dalla madre patria essenzialmente per motivi politici.
La fase linguistica di maggior splendore letterario (XII sec.), in cui fiorì in Islanda
una ricca letteratura di cui l’Edda poetica, una raccolta di canti mitologici ed eroici,
è mirabile esemplare, vede ancora l’islandese molto vicino al norvegese, al punto
da essere designati entrambi, nella fase antica, con il termine ‘norreno’.
44
• anglo-frisio
• tedesco
19
La notizia della migrazione dei Germani in Britannia, ammantata da elementi leggendari (tre
stirpi, Angli, Sassoni, Juti, su tre navi), è riferita da Beda il Venerabile nel suo famoso trattato
storico Historia Ecclesiastica gentis Anglorum (Storia ecclesiastica delle genti angle), che
costituisce l’unica e per questo preziosissima fonte di documentazione sull’origine del popolo
inglese. Bisogna ricordare, però, che Beda scriveva nell’VIII sec., alla distanza di circa tre
secoli dalla migrazione dei cosiddetti anglo-sassoni. I recenti rinvenimenti archeologici hanno
accertato che agli Angli, Sassoni e Juti si erano uniti contingenti di Frisoni.
45
46
L’alto tedesco si divide, a sua volta, in alto tedesco superiore e alto tedesco
medio.
L’alto tedesco superiore è costituito dal dialetto alemanno, il quale si distingue
in alemanno settentrionale (o svevo), meridionale (o svizzero) e occidentale (o
alsaziano) e bavarese, suddiviso in settentrionale (o danubiano) e meridionale (o
tirolese), quest’ultimo parlato da minoranze linguistiche anche in Italia, Slovenia e
Ungheria.
47
48
49
Alla luce di questa ipotesi si può dunque proporre un albero genealogico così
modificato:
protogermanico
germ. orientale germ. nord-occidentale
50
51
Testi di riferimento
52
Capitolo III
1. sanscrito pitàr-, greco patèr, latino páter, persiano antico pita, irlandese antico athir,
protogermanico *faðer (da cui sassone antico fadar, gotico fadar, frisone antico feder,
olandese vader, nordico antico faðir, alto tedesco antico fatar (>tedesco Vater),
inglese antico fæder (>inglese father).
2. sanscrito dvau, avestico dva, greco duo, latino duo, gallese antico dou, lituano dvi,
slavo ecclesiastico antico duva, il primo elemento nel composto ittito ta-ugash “di
due anni”, protogermanico *twa (> inglese antico twa, femminile e neutro di
twegen “due”, sassone antico e frisone antico twene, twa, nordico antico tveir, tvau,
olandese twee, alto tedesco antico zwene, zwo (> tedesco zwei) gotico twai).
53
1. protoindoeropeo * pǝtèr.
Erano i primi anni del Raj, quando Sir William Jones, funzionario britannico in
India, presentò una sorprendente relazione alla Bengal Asiatic Society, che egli
stesso aveva fondato poco dopo il suo arrivo. Quella sera del 2 febbraio 1786 egli
annunciò che gli studi condotti sugli antichi testi sanscriti lo avevano indotto a
ritenere che l’antica lingua indiana, in cui erano stati redatti famosi poemi epici,
quali il Mahabaratha, condivideva con il latino e il greco
“…a stronger affinity [...] than could possibly have been produced by accident;
so strong, indeed, that no philologer could examine them all three, without
believing them to have sprung from some common source, which, perhaps, no
longer exists [...]” 20
Nella sua relazione egli osservava come ind.a. pitár “padre” fosse molto simile al
gr. patér e al lat. páter, così come ind.a. mātár a gr. mēter e lat. māter.
Ancor prima della relazione di Sir William Jones erano stati già intrapresi studi su
lingue antiche, diverse dal latino e dal greco: alcuni europei, per lo più missionari,
avevano imparato il sanscrito per comprendere meglio le popolazioni presso cui
erano stati inviati. In una lettera inviata dall’India dal mercante italiano Filippo
20
“[...] una affinità [...] più forte di quanto avrebbe potuto verificarsi per mera casualità, così tanto
forte che nessun filologo potrebbe esaminare tutte e tre senza credere che esse sia siano originate
da una fonte comune, che, probabilmente, non esiste più [...]”
54
Sassetti nel XVI sec., si sottolineano le sorprendenti somiglianze fra ind.a. deva- e
it. dio, fra ind.a. sarpa e it. serpe, e inoltre fra i numerali ind.a. sapta, aštau e nava con
it. sette, otto e nove.21
Il fermento suscitato dalle osservazioni esposte da Sir William Jones indusse gli
studiosi in Europa al confronto sistematico fra le forme documentate delle diverse
lingue euroasiatiche. Il loro lavoro portò nel XIX sec. alla loro classificazione nella
famiglia dell’indoeuropeo, e allo sviluppo della linguistica come disciplina. 23
Nel 1808 apparve in Germania uno scritto di Friedrich von Schlegel, Über die
Sprache und Weisheit der Indier (Sulla lingua e la cultura dei popoli dell’India).
Egli aveva lavorato su manoscritti originali e traduzioni della letteratura sanscrita.
Anche a lui fu chiara la parentela tra India e Europa.
L’interesse per gli aspetti culturali, oltre che linguistici, delle antiche civiltà orientali
indusse il giovane studente tedesco Franz Bopp a lasciare, nel 1812, la città di
Aschaffenburg per recarsi, un po’ a piedi, e un po’ servendosi della diligenza
postale, a Parigi, col preciso intento di imparare le lingue orientali, e il sanscrito in
particolare, dai grandi maestri dell’Università della capitale francese. Aveva seguito
le lezioni di diritto naturale e internazionale, di logica, di estetica e anche di storia e
filosofia. Ma lo avevano interessato soprattutto le lingue antiche dell’oriente.
Il 16 maggio del 1816, dopo tre anni e mezzo di soggiorno a Parigi, Bopp
pubblicava a Francoforte uno dei lavori più poderosi del XIX secolo nell’ambito
delle scienze umanistiche, dal lungo titolo Űber das Conjugationssystem der
Sanskritsprache in Vergleichung mit jenem der griechischen, lateinischen, persischen und
21
In Paul Thieme, “The Indo-European Language,” Scientific American, CXLIX, 4, ottobre
1958, pp. 63-74).
22
Il nome ‘indoeuropeo’ è stato attribuito da Thomas Young nel 1819 (indoeuropean). Poiché
il gruppo germanico si colloca geograficamente nell’area nord-occidentale, molti linguisti,
prevalentemente tedeschi, gli diedero la definizione di ‘lingua indogermanica’
(indogermanisch), usando il termine coniato da Conrad Malte-Brun. Altri la denominarono
lingua ‘ariana’, dal sanscr. arya ‘signore’, termine con il quale le antiche popolazioni indiane e
celtiche designavano se stesse.
23
Allo stesso modo si determinarono altre famiglie linguistiche: nel 1799 il linguista ungherese
Sámuel Gyarmathí pose le basi per l’identificazione del ceppo linguistico ugro-finnico.
55
Franz Bopp trascorse a Berlino gli ultimi anni della sua vita, stimato da Wilhelm
von Humboldt e da Jacob Grimm. Quando nel 1867 depose per sempre la penna,
sulla sua scrivania venne trovato un lavoro che aveva iniziato, sulla cui ultima
pagina, con alcuni esempi relativi alla scomparsa della –s finale del tedesco antico
di fronte a forme con nominativo sigmatico nel gotico, si leggeva questa
annotazione: “Si confronti…”
Un ulteriore e decisivo contributo per la ricerca della ‘lingua comune’ fu dato da
Jacob Grimm (1785-1863), più conosciuto, con il fratello Wilhelm, come
ricercatore di elementi del folclore tedesco. Nella seconda edizione della sua
Deutsche Grammatik del 1822, dando sistemazione agli studi compiuti dal linguista
danese Rasmus Rask, dimostrò senza ombra di dubbio che il ted. Vater (e l’ingl.
father) è riconducibile alla stessa radice indoeuropea che ha dato sanscr. pítar e lat.
pāter. A questo punto la base indoeuropea comune era evidente anche per le lingue
germaniche.
56
24
Sulla cronologia e le modalità delle prime migrazioni degli indoeuropei non vi è affatto accordo
fra gli studiosi. Alcuni ritengono che si siano verificate intorno a 8000-5000 a.C., altri ritengono
che siano accadute molto più tardi, intorno al 3000 a.C. Qui si è ritenuto di indicare una datazione
che si pone intermedia fra le due opinioni. Quanto alle modalità con le quali le ondate migratorie
sono state portate avanti, si ritiene ormai superata l’idea di una massiccia e aggressiva
colonizzazione che rapidamente annienta le preesistenti popolazioni non indoeuropee, favorendo
l’ipotesi di una lenta e costante penetrazione, che pian piano vede sovrapporsi alle popolazioni
indigene i nuovi arrivati.
25
Si definisce isoglossa una “linea immaginaria che, in una rappresentazione cartografica, segna i
confini di un’area in cui è presente uno stesso fenomeno linguistico; anche agg.f.: linea i. | estens.,
il fenomeno stesso” (dal Dizionario della lingua italiana per il terzo millennio a cura di T. De
Mauro, PBM Editori, Milano, 2000, s. v. “isoglossa”.)
57
58
The Indo-European language groups as of 500 B.C.E, along with selected isoglosses.
Blue: Centum languages Tan: Languages exhibiting PIE *-tt- > -st-
Red-orange: Satem languages Green: Languages exhibiting PIE *-tt- > -ss-
Orange: Languages exhibiting augment Pink: Languages in which the instrumental, dative, and ablative plurals, as well as certain singulars and duals,
exhibit endings beginning in -m-, rather than the usual *-bh-
59
Bibliografia
Anna Giacalone RAMAT / Paolo RAMAT (a cura di), Le lingue indoeuropee, Bologna: il
Mulino, 1993.
Sitografia
Proto-Indo-European
http://www.colfa.utsa.edu/drinka/pie/pie.html
60
indoarie vedico
sanscrito
indoiranico
iraniche avestico
persiano antico
26
Si ritiene che alcune parti dell’Avesta siano opera dello stesso Zaratustra.
61
ittito
occidentale
armeno
orientale
illirico: parlato dagli antichi Illiri e Messapi, la lingua illirica si è esistinta già in
epoca antica. Nei secoli immediatamente precedenti l’era volgare era in uso
nell’odierno Salento e nell’area nord-occidentale della penisola balcanica, ma in
epoche più antiche si presume fosse molto più diffusa. Della lingua degli antichi
Illiri sono conservate solo poche glosse e alcuni nomi propri; del messapico sono
tramandate circa 300 iscrizioni.
illirico
62
albanese: diviso in due rami, il tosco a sud e il ghego a nord. È parlato, oltre che
in Albania, in diverse colonie in Grecia, Sicilia, Calabria e Puglia. La prima
documentazione, tarda, risale al XV secolo.
tosco (sud)
albanese
ghego (nord)
63
osco
osco-umbro
umbro
italico
latino-falisco falisco
irlandese
gaelico scozzese
c. insulare manx
cornico
bretone
c. continentale gallico
64
lituano
orientale lettone
baltico
russo
bielorusso
orientale
ucraino
slavo ceco
occidentale
polacco
65
tocario: estinto, era parlato nel Turkestan cinese e nella Battriana (attuale
Afghanistan). Già nella fase antica si presentava distinto in due dialetti (tocario A,
o orientale, e tocario B, o occidentale). Documentato a partire dal VII – VIII sec.
d. C., non è stato fino ad oggi possibile stabilire l’epoca della sua estinzione. Sotto
il profilo della classificazione esso rappresenta un mistero, poiché pur mostrando
di appartenere al gruppo delle lingue indoeuropee del tipo centum, esso è
geograficamente attestato all’estremo lembo dei territori occupati tradizionalmente
da lingue indoeuropee del tipo satem.
A (orientale)
tocario
B (occidentale)
Sono esclusi dal novero delle lingue indoeuropee l’ungherese, il finnico, l’estone, il
turco, e il basco (cfr. ind. a. trayes, gr. trêis, irl. a. tri, lit. trỹs, ingl. a. þrīe, ru. tri, toc. A
tre, ma finn. kolme “tre”, ungh. három “tre”!)
66
67
Carta delle principali famiglie linguistiche indoeuropee. Riprodotta da Encyclopedia of Indo-European Culture, edited by James P. Mallory
and Douglas Q. Adams, London - Chicago, Fitzroy Dearborn Publishers, 1997, p. 300
68
Testi di riferimento
Thomas PYLES, The Origins and Development of the English Language, Harcourt, Brace &
World, New York, Chicago, Burlingame, 1964.
Giacalone Anna RAMAT e Paolo RAMAT (a cura di), Le lingue indoeuropee, il Mulino,
Bologna, 1993.
H. RIX et al., Lexikon der indogermanischen Verben. Die Wurzeln und ihre
Primärstammbildung. Wiesbaden: Reichert, 1998 (II ed. riv. 2001).
Il sistema consonantico
Il sistema consonantico dell’indoeuropeo, così come risulta all’applicazione del
metodo comparativo ricostruttivo, appare composto da una serie di consonanti
occlusive distinte in sorde, sonore e sonore aspirate disposte su tre differenti
luoghi di articolazione: bilabiali, dentali, velari (queste ultime potevano essere
realizzate con simultaneo arrotondamento labiale, dando origine alle labiovelari)
sorde p t k kw
sonore b d g gw
non sembra vi fosse una serie di fricative, ad eccezione della sibilante alveolare
sorda /s/, con la variante sonora /z/ (quando in nesso con consonante sonora);
due nasali m n
la laterale l
la vibrante r
le sonanti27 m̥ ̥ ̥ ̥
le semivocali28 j w
27
Con il termine sonanti si indicano quelle consonanti che in una sillaba priva di vocali
costituivano apice di sonorità, avevano pertanto funzione di vocale, così come accade in talune
lingue slave: ceco Br̥no, slov. Tr̥st (it. Trieste). Non si confonda il segno diacritico ̥ usato in
indoeuropeistica con lo stesso segno usato nell’Alfabeto Fonetico Internazionale, che indica al
contrario desonorizzazione!
28
In indoeuropeistica si è soliti rappresentare le semivocali con il segno diacritico ,̯ così i̯ e u̯
sono da ritenere equivalenti di /j / e /w/.
70
p t k kw
b d g gw
bh dh gh gwh
s(z)
m n
j w
71
Sistema vocalico
vocali brevi a e i o u ə
vocali lunghe ā ē ī ō ū
dittonghi ai̯ e̯ o̯
au̯ e̯ o̯
72
Vocali
i:/ i u: / u
e:/ e o: / o
a: / a
Dittonghi
ei eu oi ou
ai au
73
Accento
Tipologia linguistica
29
L’accento di parola dell’italiano è di tipo misto: benché prevalentemente intensivo,
esso può comportare anche variazioni dell’altezza delle vibrazioni delle pliche
vocaliche, e dunque presentarsi come tonale (si veda, per esempio, l’opposizione fra la
congz. perché e il pron. interr. perché?); esso è inoltre assolutamente libero
nell’ambito della parola (si vedano le opposizioni cápito/ capíto/ capitò).
74
Testi di riferimento
Language Reconstruction
https://www.youtube.com/watch?v=0yj_TrtaS4k
75
Capitolo IV
Nel saggio Undersøgelse on det gamle Nordiske eller Islandske Sprogs Oprindelse (“Indagine
sull’ origine della lingua nordica antica o islandese”), presentato all’Accademia di
Copenhagen nel 1818, il linguista danese Rasmus Rask, ponendo a confronto le
lingue nordiche con il finnico, il lettone, le lingue celtiche, e slave ecc., evidenziava il
diverso trattamento che le lingue germaniche riservavano alle occlusive indoeuropee,
rispetto, per es., al greco e al latino.
Jacob Grimm si affrettò a dare sistemazione alla eccezionale scoperta nella seconda
edizione della Deutsche Grammatik, pubblicata nel 1822.
I tratti di regolarità che caratterizzano questo mutamento hanno fatto sì che fosse
chiamato legge di Grimm, o, più comunemente, prima mutazione consonantica
(Erste o Germanische Lautverschiebung, o First Consonant Shift)30.
30
Sarebbe preferibile, tuttavia, denominarla mutazione consonantica del germanico, dal
momento che la cosiddetta ‘seconda mutazione consonantica’ non ha interessato il
protogermanico, bensì solo l’area dell’alto tedesco.
76
indoeuropeo germanico
p t k kw ()f θ x xw
b d g gw p t k kw
bh dh gh gwh β ð ɣ ɣw
Ess:
- ie. *peku- «bestiame» (ind.a. paśu [paʃu], lat. pecu) > germ. *fexu > got. faihu [fɛxu]
«denaro», ags. feoh «bestiame» (ingl. fee «onorario»), sass.a. fehu, a.t.a. fihu (ted. Vieh).
- ie. * tu- « tu » (lat. tu) > germ. *θu > got. þu, ags. þu (ingl. thou /
ðau/) “tu”.
- v. peku-
- ie. *sekw- «seguire» (lat. sequor) > germ. *sexw- > got. saihwan [sɛxwan], a.t.a. sass.a.
sehan, ags. seon, fris.a. sia (ol. zien), norr. sjā (dan. sved. se).
77
Eccezioni
Nei nessi composti dalla sibilante alveolare /s/ e occlusiva sorda /p, t, k/ queste
ultime rimangono invariate, probabilmente in ragione dell’impegno articolatorio che
la sibilante comporta, che rende, per così dire, vigile il parlante, il quale continuerà a
pronunciare le occlusive, senza modificazioni:
Ess:
- ie. * sp(h)jeu-/ speiw- «sputare» (lat. spuere) > germ. *spiw- > got. speiwan [spi: wan], ags.
spiwan (ingl. spew), a.t.a. spī(w)an (ted. speien [ʃpaiən]), sass.a. spīwan, fris.a. spīa (ol.
spuwen), norr. spyja (dan. sved. spy).
- ie. * ster- «stella»> lat. stella (< ster-la) > germ. *ster(n)- > got. stairno [stɛrno, norr.
stjarna, ags. steorra (> ingl star), ted. Stern.
- ie. * pisk(os) «pesce» (lat. piscis) > germ. *fiskaz > got. fisks, fris. a. fisk, sass. a., a.t.a.
fisc (neerl. visch, ted. Fisch), ags. fisc [fiʃ]
Nei nessi /pt/ e /kt/ muta solo il primo fonema: /ft/ e /xt/:
Ess:
- ie. * hapt- (lat. captus “preso”) > germ. *haft- > got. hafts “vincolato”, a.t.a. e sass. a.
haft.
- ie. * nokt- «notte» (lat. noct-em (acc.), gr. nukt-, lit. naktís, sl.a. nošti) > germ. *naht- >
got. nahts, norr. natt, nott, sass.a., fris. a., a.t.a. naht (ted. Nacht), ingl.a. niht, næht, neaht
(ing. night).
78
Ess:
- ie. *dheubos (lit. dubùs) «profondo» > germ. * deupaz > norr. diupr, ingl.a. deop, s.a. diop,
got. *diups (: diupo NSg. Nt. fl deb.)
- ie. *dekm̥ «dieci» (gr. déka, ind.a. daśa [daʃa], lat. decem) > got. taihun [tɛxun], sass.a.
tehan, ingl.a. tēon (ingl. ten), a.t.a. zehan (ted. zehn).
- ie. * ego «io» > lat. ego = germ. * ik > got. ik. norr. ek, sass. a. ik, ags. ic > ingl. I.
- ie. * gwem «andare» (lat. * gwen- > uen-ire “venire”) > germ. * kwem- > got. qiman
[kwiman], ags. coman, ata. queman [kweman].
79
Ess:
- ie. *bhodhio (lat. fodio «io scavo») > germ. *baðja «letto»> got. badi, norr. beþr, ingl.a.
bedd, sass.a. bed(di), a.t.a. betti;
ie. *nebhas- (ind. a. nábhas-, gr. néphos, nephéle, lat. nebula nuvola, nube) > germ. *neβel
> norr. nifl, sass. a. neβel, a.t. a. nebul, ingl. a. nifol [nivol] “scuro”;
ie. *ambhi/ṃbhi preposiz. “intorno a” (ind. a. abhí, gr. amphí) > germ. umbi > sass. a.,
a.t.a. umbi (ted. um), ingl.a. ymb(e).
- ie. *dhuktēr « figlia» (lit. dukte) > germ. * duhter > got. dauhtar, norr. dotter, ingl.a. dohtor
( ingl. daughter), sass.a dohtar, a.t.a. tohter (ted. Tochter);
ie. *medhios «mediano» (ind. a. mádhyaḥ, lat. medius) > germ. *meðjiaz > got. midjis
[miðjis], norr. miđr, fris. a. midde, sass. a. middi, ingl.a. midd, a.t.a. mitti (per la
geminazione della consonante v. p. 100);
ie. *bhendh- «legare» (ind. a. bándhati “egli lega” > germ. *bind-an > got., fris. a. norr.
bindan, a.t.a. bintan.
- ie. *ghostis «straniero» (lat. hostis, sl.a. gosti «ospite») > germ. *gastiz «ospite» >
protonord. gastir, got. gasts, norr. gestr, ingl.a. gæst, giest, a.t.a. sass.a. gast;
ie. *steigh-, stigh- «salire» (ind. a. stighnutē “egli sale”, gr. steíkho) > germ. *stiɣ- > got.
steigan [sti:ɣan] , ingl. a. stīgan [sti:ɣan], norr., fris. a. stīga, sass. a., a.t.a. stīgan (ted.
steigen).
80
- ie. *senghw-, songwh- «cantare» > germ. *singw- > got. siggwan [siŋgwan], norr. syngva, ma
Dal punto di vista acustico una occlusiva aspirata è caratterizzata da un soffio che si
percepisce fra l’esplosione e la vocale che segue, particolarmente avvertito se la sillaba
in questione è accentata.
Se l’aspirazione è molto forte le aspirate tendono a passare alla serie delle affricate.
Il Meillet nel 1917 esponeva la sua teoria sulle modificazioni apportate dal germanico
al sistema fonologico dell’indoeuropeo giustificandole sulla base di una diversa
articolazione delle occlusive sorde da parte dei parlanti germanici. 32
31
La fricativa labiovelare sonora aspirata doveva costituire in germanico un fono molto instabile,
poiché la documentazione mostra un trattamento differenziato, probabilmente in dipendenza dal
contesto fonico in cui veniva a trovarsi; sembrerebbe che gw > g davanti alla vocale u (perde
dunque il coefficiente di labialità, poiché questo si assimila a quello della vocale procheila
seguente); gw > w dinanzi a vocali anteriori a, e, i (rimane solo l’elemento labiale w, mentre si
perde il tratto velare). Ess. ie. *gwhunt- «battaglia» > ingl. a. guđe, sass. a. guđea, a.t.a. gundfano
“vessillo di combattimento” (cfr. it. gonfalone!), ie. *gwhormos «calore» > got. warmjan
“riscaldare”, isl. a. varmn, ingl. a. wearm, fris. a., sass. a., a.t.a warm.
32
[...] Il existe deux types principaux d’articulation des occlusives qui se distinguent par la manière
dont se comporte la glotte. Dans l’un des types, que l’on observe notamment dans presque toutes
les langues romanes, et en particulier en français, et dans les langues slaves, la glotte est le plus
fermée qu’il est possible et prêt à articuler la voyelle suivante des le moment où cesse la consonne.
Les occlusives sourdes se prononcent alors avec la glotte fermée ; done durant la fermeture des
organes d’occlusion depuis le moment de l’« implosion » jusqu’à celui de l’ « explosion », il ne
s’accumule pas d’air derrière l’organe dont l’ouverture brusque produit le bruit caractéristique de la
consonne, et le vibrations glottales de la voyelle suivante commencent aussi tôt après l’explosion
de la consonne. Quant aux occlusives sonores, elles sont accompagnées de vibrations glottales
durant toute la période d’occlusion. Dans l’autre type, qu’on observe notamment dans des parlers
allemands septentrionaux et dans certaines parlers arméniens modernes, les occlusives sourdes se
pronaucent avec la glotte mal fermée durant la période d’occlusion; de l’air s’accumule dans la
bouche pendant la durée de l’occlusion, et cet air doit être expulsé après l’explosion de
l’occlusive; les occlusives sourdes de ce type, où l’émission d’un souffle s’intercale entre
l’explosion de la consonne et le commencement de la voyelle, sont dites «aspirée». “Esistono due
81
Si ritiene, sulla base dei prestiti germanici in latino, che essa sia avvenuta nei secoli
immediatamente precedenti l’era volgare.
Legge di Verner
Una importante eccezione alla Legge di Grimm è costituita dalla Legge di Verner,
così detta dal nome del linguista che per primo diede ragione di alcuni esiti anomali
delle occlusive indoeuropee nel germanico.33
- ie. *bhrấter > ind.a. *bhrấtar, gr. phrấtor, lat. frāter = got. broþar [broθar], norr. broðir,
ags. broðor, a.t.a. bruoder.
- ie. * pətér > ind.a. pitár, gr. patér, lat. pater = got. fadar [faðar], norr. faðir, ags. fæder,
a.t.a. fater.
tipi principali di articolazione delle occlusive, che si distinguono per il modo in cui si comporta la
glottide. Per un tipo che si rileva principalmente nei parlanti le lingue romanze, e in particolare per
il francese, e le lingue slave, la glottide è assolutamente chiusa e pronta ad articolare la vocale
successiva, non appena finisce l’articolazione della consonante. Quindi non si accumula aria
durante la fase della tenuta. Per l’altro tipo, che si osserva in particolar modo fra i tedeschi
settentrionali e gli armeni, le occlusive sorde sono articolate con la glottide non saldamente chiusa
durante il periodo dell’occlusione; un po’ di aria si accumula, dunque, nella bocca durante la tenuta
dell’occlusione, e quest’aria dovrà essere espulsa al momento dell’esplosione dell’occlusiva; le
occlusive sorde di questo tipo, nelle quali l’emissione di un soffio si intercala fra l’esplosione della
consonante e l’inizio della vocale, sono dette “ aspirate”. ” (A. MEILLET, Caractères généraux des
langues germaniques, Parigi, 1917, pp. 34-41).
33
Karl Adolf Verner (1846-1896) glottologo, oriundo tedesco, docente di slavistica all’Università
di Copenhagen.
82
Nel 1877, a distanza di ben 55 anni dalla formulazione della prima mutazione
consonantica da parte di Jacob Grimm, Karl Verner nel famoso articolo Eine
Ausnahme der ersten Lautverschiebung, apparso nel numero XXIII della rivista fondata da
Albert Kuhn “Zeitschrift für vergleichende Sprachforschung”, offrì una spiegazione a
tale apparente incongruità, facendo osservare come una occlusiva dell’indoeuropeo dà
come esito una fricativa sonora e non già una sorda, quando la consonante in
questione si trova in ambiente sonoro (bei tönender Nachbarschaft) e non è preceduta
immediatamente dall’accento (im Nachlaute betonter Silbe) .
Allo stesso fenomeno partecipa la sibilante alvolare sorda /s/, la quale si sonorizza in
/z/, nelle medesime condizioni, passando infine a vibrante alveolare /r/ in tutte le
lingue germaniche, ad esclusione del gotico:
- ie. *snusós, snusá “nuora” > ind.a. snusá “nuora”, gr. nyós, lat. nurus = germ. *snuzo >
norr. snor, ags. snoru, fris.a. snore, a.t.a. snur(a).
- norr. meire, ags. fris.a. mara, sass.a. a.t.a. mero, ma got. maiza “più”!34
34
La legge di Verner, come la trasformazione della sibilante sonora /z/ in vibrante alveolare /r/,
altrimenti detta rotacismo (ma vedi infra, p. 95) non caratterizza solo il germanico, ma è presente
anche in latino: si confronti lat. flos, che presenta /r/ in tutti gli altri casi flessi (floris, ecc.), da una
antica forma *floz-, in cui la sibilante originaria /s/ si trovava in posizione intervocalica.
83
84
Alternanza grammaticale
Tale divergenza risulta spiegabile solo risalendo alle originarie forme indoeuropee,
ricostruite con l’ausilio del sanscrito:
Si può ipotizzare, dunque, che nel lungo lasso di tempo che costituisce il secondo
periodo del protogermanico, l’accento non si fosse ancora fissato stabilmente sulla
sillaba radicale e che i paradigmi verbali presentassero rizotonia solo sulla 1° persona
singolare del presente e del preterito, ma nella prima persona del preterito plurale e
nel participio passato l’accento cadesse dopo la consonante in questione. Nei primi
due casi essa fu dunque sottoposta al trattamento della mutazione consonantica del
germanico, mentre nella 1° plurale del preterito e nel participio passato subì gli effetti
della lenizione previsti dalla Legge di Verner:
85
come d’altro canto successivamente faranno, in larga misura, anche le altre lingue
germaniche; tracce dell’antica alternanza grammaticale permangono in opposizioni
del tipo ingl. was/were (le forme equivalenti in a.t.a. was/waren vengono livellate in
war/waren nel tedesco), ted. ziehe/gezogen (rispettivamente infinito e participio passato
del verbo ziehen “tirare”).
Testi di riferimento
www.maldura.unipd.it/ddlcs/beninca/dispIst2005Diacr.pdf
86
ǎ ĕ ǐ ǒ ǔ ə
ā ē ī ō ū
35
Trascurerò di annotare la presenza di dittonghi con vocale lunga, poiché in epoca storica essi
appaiono abbreviati o addirittura ridotti a vocale semplice.
87
m̥ n̥ l̥ r̥
Trasformazioni spontanee
• ǒ > ǎ ā > ō
• ē > got. ē, germ. nord-occ. ā, ma sass. occ. ǣ!!
• ei > ī
• m̥ n̥ l̥ r̥ > um un ul ur
Ess:
36
Le lingue slave intaccano anch’esse il sistema vocalico dell’indoeuropeo, confondendo i
timbri vocalici a e o, ma gli esiti saranno diametralmente opposti a quelli verificatisi nel
germanico: ǎ > ǒ, ō > ā.
88
i.e. * saldom ‘sale’> lit. saldùs ‘dolce’, senza ampliamento in –d gr. hals e irl.a. salann,
lat. sallō (< *saldō), germ. *salt- >got., ing.a., fris.a., s.a. salt, a.t.a. salz (s = [ts]).
i.e. * por ‘viaggiare’> gr. poreuomai, lat. portō, russ. poróm ‘viaggio’, germ. *far- >got.,
ing.a., fris.a., sass.a., a.t.a. faran, n.a. e fris.a. fara.
i.e. ə > a in tutte le lingue, tranne nel gruppo indo-iraniano dove ə > i
i.e. * stətis ‘ lo stare’> ind.a. sthiti-, lat. stati-ō, germ. *staiz- >got. staþs, n.a. stađr,
a.t.a. stat > ted. Stätte.
i.e. * bhrāter ‘fratello’> ind.a. bhrātargr. phrātor, lat. frāter, irl.a. brāthir, germ.
*brōar- > got. brōþar, n.a. brōđer, ing.a. brođor, fris.a. brōther, s.a. brōđar, a.t.a. bruoder.
i.e. * bhlō- ‘fiorire’, i.e. * bhlōmen ‘fiore’ > lat. flōs, germ. *blōmen- >got. blōma, n.a.
blōme, ing.a. blōma, a.t.a. bluoma
i.e. * ghaidis ‘capra’ > lat. haedus (< *ghaidos), germ. *gaitiz- >got. gaits (ai = [ɛ]), n.a.
geit, a.t.a. geiʒ geis], ing.a. gāt, s.a. gēt.
89
i.e. * oinos ‘uno’ > lat. a. (oino(m)>) unum, gr. oinè, germ. *ainaz- >got. ains (ai = [ɛ]),
n.a. einn, ing.a. ān, s.a. ēn, fris.a. ān / ēn, a.t.a. einn.
i.e. * aug- ‘aumentare’ > lat. augēre, gr. augo, lit. áugu, germ. *auk- >got. aukan (au =
[ɔ]), n.a. auka, ing.a. eacian, s.a. ōkian, a.t.a. ouhhon.
i.e. * roudhos ‘rosso’ > lat. rufus, lit. raũdas, germ. rauðaz > got. rauþs, n.a. rauđr, ing.a.
rēad , s.a. rōd, a.t.a. rōt
i.e. ē > germ. ? > got. ē, germ. sett. ā, gruppo ted. ā, fris. ā (> ē),
ingl.a. ǣ/ē
90
Ess:
i.e. * dhē- ‘porre, collocare, fare’, i.e. * dhētis ‘fatto, evento’ > gr. títhemi, lat. fēci ‘ho
fatto’, germ. *dǣ(?)ðiz- >got. (ga)-dēþs, n.a. dāđ, ing.a. (sass. occ. dǣd, angl. kent. dēd)
> ingl. deed, s.a. dād, fris.a. dēd, a.t.a. tāt > ted. Tat
Ess:
i.e. * steigh- ‘camminare’ > gr. stéicho, germ. *stīɣan-- > got. steigan [sti:ɣan]), n.a. stīga,
ing.a., s.a., a.t.a. stīgan.
Ess:
i.e. * km̥tóm ‘cento’>ind.a. śatám, gr. he-katón, lat. centum, germ. *xundam >got. hund,
ing.a. hund, a.t.a. hunt.
91
i.e. * n̥ - ‘in-’ > ind.a., gr. an-, a-, lat. in-, germ. *un- > ags., a.t.a. un-
i.e. *mr̥-, *mr̥-tro- ‘uccisione’> ind.a. mriyáte ‘egli muore’, lat. morior ‘muoio’, germ.
*murðram > got. maurþr, ingl.a. morðor.
i.e. *pl̥nos ‘pieno’> ind.a. -pr̥na-, lit. pìlnas > germ. *fulnaz > got. fulls, an. fullr, ingl.a.,
fris. a., s.a. > full, a.t.a. fol
i i: u u:
e e: o:
æ: (?)
a
37
Si tenga conto anche della riduzione dei dittonghi che da sei nell’indoeuropeo si riducono a
tre nel germanico: ai, eu, au.
92
Trasformazioni condizionate
Ess:
i.e. *ghl̥t(on)om ‘oro’ > germ. *gulθa- > n.a. goll, ingl.a., fris.a., s.a., a.t.a. gold, ma got.
gulþ!!
93
Ess:
germ. * braŋxtō ‘portai’ (1°sg. preterito ind. del verbo bringan) > got. brahta, a.t.a.
s.a. brāhta, ingl.a. brōhte.38 Si noti come l’inglese antico presenti nella sillaba radicale
una ō in luogo della ā documentata dalle altre lingue germaniche. Tale discrepanza
ci consente di stabilire che la nasalizzazione era ancora presente in germanico e
viene eliminata solo in fase postunitaria, poiché l’inglese antico davanti a nasale
trasforma tutte le a lunghe in o.
38
La presenza nella forma del preterito della fricativa velare sorda [x] in luogo della sonora
[ɣ (si confronti con l’infinito bringan) dipende dal fenomeno dell’assimilazione, in questo
caso regressiva, poiché è la occlusiva dentale sorda della desinenza del preterito debole ad
assimilare la consonante che precede.
94
Capitolo VI
Fricative sorde
Nel complesso le fricative sorde, derivate dalle occlusive sorde ie., seguono le
seguenti tendenze:
cfr. got. broþar [broθar] ‘fratello’, isl.a. broþer e broðer, ags. broðor, fris.a. brother
In tedesco la fricativa dentale sorda [θ] passa a occlusiva sonora [d] in tutti i
contesti (VIII sec.):39
got. þreis [θri:s] ‘tre’, isl.a. þrīr, ags. þrie (ingl. three) sass.a. thrie, ma a.t.a. drī!!
39
Il fenomeno si attua dapprima in area meridionale, per estendersi via via anche all’area basso
tedesca.
95
Fricative sonore
Le fricative sonore, derivate dalle occlusive sonore aspirate ie. per legge di Grimm,
o da occlusive sorde per legge di Verner, mostrano già in fase unitaria la tendenza
all’occlusione in posizione iniziale e postnasale;
Rotacismo
(germanico settentrionale e occidentale)
96
Ess.:
i.e. * snusós, *snusá (si confronti ind.a. snusa, gr. nyós (da * nysós, lat. nurus, germ.
*snuzo > isl.a. snor, ags. snoru, fris.a. snore, a.t.a. snur(a) ‘nuora’;
isl.a. meire, ags. fris.a. mara, sass.a. a.t.a mero, ma got. maiza!!
Successive tendenze al livellamento analogico hanno per lo più oscurato gli esiti
del rotacismo germanico nelle lingue da esso derivate, ma se ne trovano ancora
relitti, per esempio in inglese nell’alternanza delle forme del preterito singolare e
plurale del verbo ‘essere’: was / were (da germ. *was / *wēzun) e del verbo ‘perdere’,
lose/ (vor)lorn, da un più antico (vor)loren (< germ. *liusana/ *luzenaz), che si
accompagna anche all’alternanza grammaticale (ma v. p. 84)
Metafonia
(germanico settentrionale e occidentale)
40
Il termine è un calco della parola coniata da J. Grimm, Umlaut, la quale, a sua volta
rappresenta un calco tedesco del gr. ά “oltre” e φωνή “suono”.
97
sceso ad interessare in modo più (p. es. l’inglese antico) o meno (p. es. l’alto
tedesco) intenso il germanico occidentale. Si parlerà di metafonia palatale – che è
la più estesa – quando le vocali a, o, u e i dittonghi in –u- sono modificate da una i
o j (cfr. got. þugkjan ‘sembrare’, isl.a. þykkja, ags. þyncan, a.t.a. dunchen, a.t.m. dünken).
Di metafonia velare – che interessa soltanto il germanico settentrionale e l’inglese
antico – quando la vocale che determina il mutamento è una u (cfr. got. handum
(dat. pl.), nord. a. hondom).
got. halja, nord.a. hel, a.t.a. hella, sass. hellia, ingl.a. hella ‘inferno’
got. fulljan, nord.a. fylla, a.t.a. fullen, asass. fullian, ags. fyllan ‘riempire’
got. sokjan, nord.a. søkja, a.t.a. suohhan, sass.a. sokian, ingl.a. secan ‘cercare’;
got. hausjan, nord.a. heyra, a.t.a. horan, sass.a. horian, ingl.a. hieran/hyran (angl.
heran) ‘ascoltare’.
98
In inglese antico la metafonia ha operato verso la fine del VII sec. secondo
queste direttrici:
i y u
e ø o
æ
Una successiva evoluzione diacronica del processo di metafonia può avere per
risultato l’instaurazione di alternanze in sincronia: laddove le vocali che hanno
esercitato l’azione assimilativa sono poi cadute o si sono confuse in una stessa
realizzazione, alla differenziazione della vocale metafonizzata è rimasta affidata la
flessione non più segnalata dai morfemi vocalici desinenziali. Nelle lingue
99
germaniche l’Umlaut da *-i non più conservata segnala il plurale, ad es. in ted. Gast
‘ospite’, pl. Gäste, Fuss ‘piede’, Füsse, ingl. foot/ feet, mouse/mice.41
Geminazione consonantica
(germanico occidentale)
germ. *satjan ‘collocare’ > got. satjan, isl.a. setja, ma germ. occ. *sattjan > ags. settan
(> ingl. set), fris.a. setta, a.t.a. sezzan (> ted. setzen), sass.a. settian.
germ. *bidjan ‘pregare’ > got. bidjan [biðjan], isl.a. bidia, ma germ. occ. *biddjan >
ags. biddan (> ingl. bid), fris.a. bidda, a.t.a. bitten (> ted. bitten), sass.a. biddian.
41
Vedi Ramat, Introduzione alla linguistica germanica, cit., pp. 44-47
100
42
Per la comprensione dell’area di diffusione della mutazione consonantica altotedesca è
consigliabile tener presente la divisione dialettale nell’ambito del tedesco, di cui si è discusso a
pag. 38.
101
Linea di Benrath
(da J.A. Kossmann-Putto e E.H. Kossmann Die Niederlande. Geschichte und Sprache der Nördlichen und Südlichen Niederlande. Rekkem: "Stichting
Ons Erfdeel vzw"1993, p. 72)
102
pf ts kx
p t k
ff ss xx
Ess.:
t > ts ags. tien ‘dieci’ (ingl. ten), sass.a. tehan, ma a.t.a. zehan (ted. zehn);44
ss got. itan ‘mangiare’, ags. etan (ingl. eat), ma a.t.a. eʒʒan (ted. essen);45
43
In posizione finale, se le fricative intense sono precedute da una vocale lunga, tendono a
semplificarsi.
44
In grafia il mutamento è espresso con i grafemi <tz> o <z>.
45
In grafia il mutamento è espresso con i grafemi <Ʒ> o <z>.
103
b d g > p t k
Nell’alto tedesco superiore, tuttavia, dovevano già essere passate tutte ad occlusive
sonore, poiché queste si trasformano senza eccezioni in occlusive sorde. Nell’alto
tedesco medio, invece, ad eccesione della fricativa dentale che doveva essere
passata a occlusiva dentale dappertutto nell’alto tedesco, si mantengono fricative
sonore la bilabiale e la velare, in posizione intervocalica e in particolari contesti
sonori, sino al momento dell’attuazione della mutazione consonantica altotedesca;
pertanto nei dialetti franchi non si avranno i seguenti esiti: /b/ > /p/ e /g/ >
/k/.47
Ess.:
b > p sass.a. geƀan ‘dare’, a. t. superiore kepan (ma a.t. medio geban!)
46
In grafia espressa con <ch>.
47
Ma gli esiti /b/ > /p/ e /g/ > /k/ si verificheranno anche nell’alto tedesco medio se
all’interno di parola questi fonemi si presentano geminati: sass.a. sibbia ‘stirpe’, a.t.a. sippa
(ted. Sippe), sass.a. hruggi ‘dorso’, a.t.a. hrukki (ted. Rucken).
104
g > k sass.a. god ‘dio’, a.t. superiore kot (ma a.t. medio got!)48
Ess.:
48
Poiché il tedesco moderno standard si sviluppa su una base dialettale mediotedesca, non
troveremo in esso tutte le trasformazioni che risultano dalla mutazione consonantica
altotedesca, mancheranno dunque gli esiti /b/ > /p/ e /g/ > /k/.
105
(da M. van der Wal, Geschiedenis van het Nederlands, Utrecht, 1992, p. 46.
106
Test di autovalutazione
107
3. Come si spiega la correlazione fra lat. caput e got. hauiþ ‘testa, capo’?
108
109
i.e. *gwīwo-s > lat. vivus > it. vivo, ingl. … ick “vivace”, “veloce”, ted. … ick “vivo”
(ambedue da i.e. *gwīgwo-s);
ie. *dekm̥ «dieci» > gr. déka, ind.a. daśa [daʃa], lat. decem; got. […ɛxun], sass.a. …ehan,
ingl.a. …ēon (> ingl. …en), a.t.a. zehan (> ted. zehn);
ie. *dheubos (lit. dubùs) «profondo» > germ. *…eupaz > norr. diupr, ingl.a. …eop (>
…eep), s.a. …iop, got. *diups, a.t.a …iof (> ted. …ief);
ie. *bhodhio (lat. fodio «io scavo») > germ. *…a…ja «letto» > got. [ba…i], norr. …eþr,
ingl.a. …edd, sass.a. …ed(di), a.t.a. …etti;
ie. *medhios «mediano» (ind. a. mádhyaḥ, lat. medius) > germ. *me…jiaz > got. midjis
[mi…jis], norr. miđr, fris. a. midde, sass. a. middi, ingl.a. midd, a.t.a. mitti;
i.e. *uértō-, *(ue)uórta-, *(ue)uŗtəmé-, *uŗtonós- (ind.a. vártā-mi, vavárta, vavŗtimá, vŗtānáḥ)
> germ. *wer…ō, *war ... (a), *wur … um(i), * wur … an(a)z, > ingl.a. weorð, wearð,
wurdon, worden, a.t.a. werda, ward, wurtum, wortan, ma got. wairþa, warþ, waurþum,
waurþans.
110
germ. *skap-iana- “creare” > got. ga-skapjan, germ.occ. *ska…jan > s.a. ske…ian,
ingl.a. sce…an [ʃe…an] > ingl. shape, a.t.a. ske….en > ted. scha…en;
germ. *fulka- “schiera”, “popolo” > a.t. sup. folch [fol….], s.a. folk;
germ. *upana- “aperto”> n.a. opinn, s.a. opan, ingl.a. open, a.t.a. o...an > ted. o...en;
germ. *grīpana- “afferrare” > got. greipan [gripan]; n.a. grīpa, s.a. ingl.a. grīpan, a.t.a. grī
....an (> grei....en):
germ. *skipa- “nave” > got., n.a., s.a. skip, ingl.a. scip [ʃip], a.t.a. ski ….(> schi….);
germ. *haitana- “chiamare” > got. haitan [hɛtan], n.a. heita; ingl. a. hātan, s.a. hētan, a.t.a.
hei…(…)an (> hei….en);
ingl. forget “dimenticare”, ted. verge…..en; (for-/ver- prefisso non accentato con valore:
1. senso di compimento dell’azione. 2. senso negativo all’azione. 3. trasformazione,
trapasso. + getan “ottenere”;
ingl. gape “stare a bocca aperta” “guardare con stupore”, ted. ga ….en “fissare con
meraviglia”;
i.e. *ghaidos > lat. haedus “capretto”, ingl. goat, ted. Gei….;
111
germ. *sat-jana- “porre” > got. ga-satjan, germ. occ. *sa….jan > ingl.a. s….an, s.a.
s….ian, a.t.a. s….zzen [s……..en];
germ. *bid-jana- “pregare” > got. bidjan, germ. occ. *bi.....jan >ingl.a. bi....an, s.a.
bi.....ian, a.t.a. bi.....en;
germ. *lag-jana- “posare” > got. lagjan, germ.occ. *la......jan > ingl.a. l....cgan, s.a.
l....ggjan, a.t.a. l.....ggen, l....kken;
germ. *sal-jana- “dare”, “consegnare” > got. saljan, germ. occ. *sa…..jan > ingl.a.
s……..an, s.a. s…..ian, a.t.a. s……..en;
germ. *kunja- “genere”, “stirpe” > got. kuni, germ.occ. *ku.....ja- > ingl.a. c......., s.a.,
a.t.a. ku.....i;
germ. *sōk-jana- “cercare” >got. sōkjan, n.a. sōkja, s.a. sōkian, ingl.a. sēcan (> seek –
beseech “implorare”), a.t.a. suohhen [suo.....en] (> suchen);
112
Capitolo VII
Alcuni preliminari
113
Nel protogermanico l’accento mutò da libero a fisso sulla sillaba radicale (si parla
perciò di rizotonia del germanico) e da tonale a intensivo; tale trasformazione,
che non è caratteristica esclusiva del germanico, ma si osserva anche nell’osco-
umbro, nell’irlandese e nel francese ( dove l’accento tende a cadere sull’ultima
sillaba), e che si ipotizza anche per il latino predocumentario, avrà profonde
ripercussioni sull’intero sistema fonologico e morfosintattico delle lingue
germaniche che dal protogermanico si svilupparono, poiché perderà la sua
funzione distintiva sul piano morfosemantico (pérdono ~ perdonò ~ perdòno) per
guadagnare la funzione di mero elemento demarcativo di inizio o fine di parola.
Ramat (p. 34) osserva: “solo in epoca più recente le lingue germaniche hanno
parzialmente riacquistata all’accento una funzione oppositiva (cfr. ingl. the súbject
vs. to subject, ted. ǘbersetzen “traghettare” vs. übersétzen “tradurre”)”.
Datazione
Frans van Coetsem in Kurzer Grundriss der germanischen Philogie ha tentato di tracciare
una cronologia dei mutamenti più importanti verificatisi nel protogermanico
individuando la seguente periodizzazione:
114
Ovviamente tale cronologia non può che essere approssimativa, con scarti di
centinaia di anni, a causa della perniciosa mancanza di documenti che possano
convalidare le teorie di van Coetsem, ciò che, tuttavia, è importante tenere a mente
è che le caratteristiche più salienti del gruppo linguistico germanico si affermano
prima dell’inizio dell’era volgare e sono strettamente interdipendenti fra loro; così
la prima mutazione consonantica, con la sua appendice costituita dalla Legge di
Verner e il cambiamento del timbro vocalico ǒ > ǎ e ā > ō sono
indissolubilmente correlate alla variazione dell’accento germanico da tonale a
intensivo.
Un esempio di tale interdipendenza è dato dal fenomeno chiamato alternanza
grammaticale, che si riscontra nei paradigmi dei verbi forti (con apofonia:
variazione del timbro vocalico nella sillaba radicale), ma v. ultra p.124.
115
116
(sin qui da P. Ramat, Introduzione alla linguistica germanica, Il Mulino, Bologna, 1986,
pp.35-7)
117
Sviluppo dell’articolo
49
Ad esclusione delle lingue slave. Di queste solo il bulgaro svilupperà l’articolo per
influsso di lingue balcaniche limitrofe.
50
Almeno nel latino classico e libresco, ben diversa la situazione nel sermo vulgaris!
118
non potrà che essere resa con the king meets the bishop, e non ammetterà l’inversione
fra soggetto e complemento oggetto (the bishop meets the king), possibile, come si è
visto nella fase antica.
Testi di riferimento
http://www.ehistling-pub.meotod.de/01_lec01.php
51
Al presente indicativo l’inglese conserva solo la distinzione della 3° persona
singolare, alla quale aggiunge la terminazione in sibilante (-s, o –es).
119
Capitolo VIII
• sincretismo casuale
• creazione della flessione debole del sostantivo
• creazione della flessione debole dell’aggettivo
È preliminare, ai fini del nostro excursus sul verbo germanico, fornire alcune
informazioni di base sulla struttura del verbo nelle lingue flessive in generale, e in
particolare in indoeuropeo.
Il verbo è quella parte variabile del discorso che indica un modo di essere o un’azione
del soggetto.
120
Nelle lingue flessive è caratterizzato da genere, forma, modi, tempi, persone, numeri.
L’insieme delle variazioni del verbo costituisce la coniugazione.
In una forma verbale latina, p. es., si distinguono due elementi fondamentali: il tema
e le terminazioni. Il tema si compone, a sua volta, di due parti: la radice (monema o
morfema lessicale), che trasmette il significato del verbo, e la vocale tematica, che
indica a quale classe il verbo appartiene, e dunque quali saranno le terminazioni che si
dovranno impiegare. Le terminazioni danno informazioni sul modo, tempo, persona,
numero, ecc. (morfemi grammaticali) e sono costituite da
• suffissi, che indicano il modo e il tempo di un verbo
• desinenze, che indicano la persona e il numero
TEMA TERMINAZIONI
Il verbo indoeuropeo, relativamente alla diatesi, distingueva una forma attiva, una
forma media e una forma passiva.52
52
La diatesi del verbo è attiva, quando il soggetto compie l’azione espressa dal verbo, così gr.
λύ (lýo) «io sciolgo»; si tratta di diatesi media, quando il soggetto compie un’azione con
riferimento a se stesso; essa si distingue in: medio riflessivo o diretto, quando l’azione si riflette
sul sogg., che viene ad essere così anche l’oggetto, es.: gr. ύ (lúo) «io lavo», ύ
(lúomai) «io mi lavo», e medio d’interesse, quando esprime un’azione che il soggetto compie nel
proprio interesse, es.: ίί ο ἶo (oikízo tòn oíkon) «costruisco la casa» / ἰί ὸ
ἶo (oikízomai tòn oíkon) «mi costruisco la casa». La diatesi passiva, indica un’azione che il
soggetto non compie, ma subisce.
121
numero duale, ne mostra un uso alquanto raro, mentre il latino opera una riduzione
dei numeri, eliminandolo.
Relativamente alle persone l’indoeuropeo distingueva: prima, seconda, terza
persona.
Il modo esprime il punto di vista di chi parla in rapporto all’azione espressa dal
verbo. Esistono modi finiti e modi indefiniti.
I modi finiti, cioè determinati dalla persona e dal numero, sono, p. es. indicativo,
congiuntivo, ottativo, imperativo.
I modi indefiniti, cioè indeterminati riguardo alla persona e a volte al numero,
sono, p. es. participio, infinito, gerundio.
53
Il greco usava l’aoristo (che corrisponde pressappoco al nostro passato remoto: ἔ (élysa) =
io sciolsi, o al nostro trapassato prossimo o remoto: ἔ (élekse) = disse, o anche ebbe o aveva
detto) per esprimere l’azione puntuale nel passato. Talvolta l’aoristo indica l’azione nel punto in
cui comincia (aoristo ingressivo: ἐά (édakryse) = scoppiò in lacrime) o nel momento in cui
finisce (aoristo perfettivo: ἔ (émae) = apprese, venne a sapere). Il perfetto era usato per
l’azione compiuta nel presente (corrisponde pressappoco al nostro passato prossimo: έ
(lélyka) = ho sciolto). In greco il raddoppiamento è il prefisso proprio del tema del perfetto, da
cui si formano il perfetto e il piuccheperfetto. Es.: ύ ‘sciolgo’, tema verb. -, tema del perf.
--; ‘persuado’, tema verb. -, tema del perf. -ο-. Cfr. con lat. pello ‘scaccio’,
perf. pe-pul-i; cado ‘cado’, perf. ce-cid-i; cano ‘canto’, perf. ce-cin-i, ecc.
122
Il verbo in germanico
Per quanto riguarda invece l’attenzione che l’indoeuropeo volgeva all’aspetto del
verbo, il germanico sembra stravolgere questo atteggiamento in favore di una
maggiore considerazione per le opposizioni temporali, mantenendo il carattere
durativo dell’azione solo nel tema del presente, con il quale si esprimeranno anche le
funzioni del futuro, una forma che nelle prime documentazioni delle lingue
germaniche si mostrerà del tutto assente.55 Mentre di un’azione svoltasi al passato si
perderà l’antica distinzione fra aspetto puntuale e aspetto perfettivo, privilegiando
l’aspetto temporale, che indicherà a questo punto solo il valore temporale dell’azione
(svoltasi al passato). Tale forma, che deriva dal perfetto indoeuropeo, prende il nome
di preterito (non essendo più né paragonabile ad un perfetto, né ad un aoristo).
Venuta a mancare la distinzione dell’aspetto durativo al passato, non si avrà pertanto
una forma per l’imperfetto.
54
Solo nella forma attiva.
55
Il futuro si svilupperà perifrasticamente solo in seguito, con l’impiego di verbi ausiliari e
conserverà a lungo il carattere di modalità.
123
anglosassone. Cfr. lat. laudo ‘lodo’ laudor ‘sono lodato’, got. baira ‘porto’/ bairada
‘sono portato’ (ma solo per il presente, al preterito si usa la forma perifrastica formata
dal part. passato e l’ausiliare wisan o wairþan); in anglosassone si conserva solo il vb.
hātan ‘chiamarsi’. Per esprimere il passivo le lingue germaniche faranno ricorso a
forme perifrastiche costruite con verbi ausiliari, come del resto è accaduto anche in
altre lingue di origine indoeuropea.
grado normale, forte e zero della radice, cfr. lat. mens ‘mente’, lat. moneo ‘avvertire,
ammonire’, gr. έ (mnémosyne) ‘memoria’, e ted. Minne ‘amore’, Mann
‘uomo’, got. munan ‘ricordare’), mentre la creazione del preterito debole (costruito
mediante la semplice aggiunta di un suffisso in dentale) costituisce senza dubbio un
tratto di innovazione.
124
125
I ei oi i i
i: ai i i
II eu ou u u
eu au u u
126
127
Presente Preterito
128
Presente Preterito
Imperativo
Sg.
2 *nem
3 *nemadau
Du.
2 *nemats
Pl.
2 *nemiþ(i)s
3 *nemandau
129
Presente Preterito
indicativo congiuntivo indicativo congiuntivo
Sg. nima nimau Sg. nam nemjau
nimis nimais namt nemeis
nimiþ nimai nam nemi
Du. nimos nimaiwa nēmu nēmeiwa
nimats nimaits nemuts nemeits
Pl. nimam nimaima Pl. nēmum nemeina
nimaþ nimaiþ nēmuþ nemeiþ
nimand nimaina nēmun nemeina
Presente Passivo
indicativo congiuntivo
Sg. nimada nimaidau
nimaza nimaizau
nimada nimaidau
Du. ----- -----
----- nimats
Pl. nimanda nimaindau
nimanda nimaindau
nimanda nimaindau
Imperativo
Sg.
2 nim
3 nimadau
Du.
2 nimats
Pl.
2 nimiþ
3 nimandau
130
I verbi così formati possono avere, sotto il profilo semantico, valore causativo: got.
*satjan, documentato in ga)satjan “porre (originariamente “far sedere”), che affianca un
più antico verbo sitan “sedere”; o fattitivo: got. hailjan “guarire” dall’aggettivo germ.
*hail-az “sano” (> got. hails, con lo stesso significato).
Il valore semantico dei verbi appartenenti a questa classe è per lo più intensivo-
iterativo:
got. salbon “ungere” (ags. sealfian, ata. salbon).
56
Ancora oggi, quando le lingue germaniche avranno bisogno di esprimere nuove
azioni ricorreranno al preterito debole. Es.: ingl. video (sostantivo) > to video (verbo),
impact (sostantivo) > to impact (verbo).
131
hanno valore durativo o di stato; appartengono a questa classe il verbo got. þahan
“tacere”, a.t.a fūlēn “essere marcio”, dall’aggettivo fūl “marcio”.
IV CLASSE A questa classe appartengono i verbi che sono formati con l’infisso -
nō-, con valore intransitivo-incoativo. Sono presenti solo in gotico.
Verbi come fullnan, derivato dall’aggettivo fulls, hanno valore intransitivo, pertanto
risulteranno privi del participio passato.
Come si potrà notare dagli esempi riportati di seguito, i verbi deboli mostrano il
suffisso derivazionale con relativa regolarità per tutto il corso della flessione:
Indicativo
Presente
Preterito
132
Congiuntivo
Presente
Preterito
133
Passivo (sintetico)
Indicativo
Presente
Congiuntivo
Presente
134
I verbi preterito-presenti
Si osservino le forme del verbo “sapere” che si possono postulare per il germanico:
pres. sg. *wait, pres. pl. *witum (con variazione apofonica all’interno della sillaba
radicale fra singolare e plurale, propria della flessione preteritale)
Presente Preterito
pp. ġe-wit-en
135
136
La flessione nominale
L’indoeuropeo possedeva tre numeri: singolare, duale, plurale; tre generi: maschile,
femminile e neutro; otto casi: nominativo, genitivo, dativo, accusativo, vocativo,
ablativo, locativo e strumentale.
Il germanico semplifica notevolmente il complesso sistema flessivo dell’indoeuropeo,
riducendolo, relativamente al numero, alla sola opposizione singolare~plurale, con
tracce di duale nella flessione pronominale; relativamente al genere esso conserva la
tripartizione in maschile, femminile e neutro57, infine, relativamente ai casi, si attua il
cosiddetto sincretismo casuale, che d’altro canto mostra la tendenza ad attuarsi in
tutte le lingue di origine indoeuropea, non solo nel germanico, in base al quale degli
otto casi originari attribuibili all’indoeuropeo, il germanico ne mantiene solo cinque:
nominativo, genitivo, dativo, accusativo e vocativo ( ma solo alcune tracce in
particolari tipi flessivi e solo al singolare) e pur tuttavia è necessario osservare come
nel germanico il sincretismo casuale si attui in maniera originale rispetto ad altre
lingue, quali il latino e il greco, poiché, mentre in esso le funzioni dei casi eliminati
(ablativo, locativo e strumentale) vengono assunte dal dativo, il greco, che presenta
anch’esso cinque casi, fa confluire nel dativo i casi locativo e strumentale, e nel
genitivo fa confluire il caso ablativo; il latino, per contro, avendo conservato sei casi,
fra cui l’ablativo, fa confluire in esso le funzioni del locativo e dello strumentale, non
intaccando il genitivo e il dativo, i quali continuano pressoché intatte le funzioni del
genitivo e del dativo indoeuropei.
57
L’inglese a partire dalla fine della fase media annullerà l’opposizione del genere grammaticale
fra maschile, femminile neutro, optando per una opposizione basata sul genere naturale, soltanto
nella flessione pronominale: he, she, it, his, her, its.
137
58
Vocali e consonanti tematiche sono talora visibili anche in greco antico, dove, per esempio,
(nesou) ‘dell’isola’ si compone di - - , in cui è riconoscibile la vocale tematica che
indica l’appartenenza di questo sostantivo alla declinazione dei temi in -o-.
59
In gotico solo il dat.pl. per i temi in vocale e il gen.pl. per i temi in consonante consentono
l’ascrizione di un sostantivo alla classe di appartenenza.
60
La terminologia è ripresa dal Grimm, che così definì le opposizioni non solo fra sostantivi, ma
anche fra i due tipi flessivi dell’aggettivo e del verbo.
138
N. -o-es > ôs wulfôs, -ôz wulfos wulfas wolfâ equÎ (<oe<oi) hippoi
Pl.
139
Flessione dell’aggetivo
61
Sin qui da The Germanic Languages, a cura di E. König e J. van der Auwera, London:
Routledge, 1994.
140
forte debole
singolare plurale singolare plurale
nom. blinds blindai blinda blindans
gen. *blindis *blindaize blindins *blindanē
dat. blindamma blindaim blindin blindam
acc. blindana blindans blindan blindans
62
Dal Martirologio anglosassone (An Old English Martyrology: reedited from manuscripts in the
libraries of the British Museum and of Corpus Christi College, Cambridge. a cura di Georg
Herzfeld, EETS o.s. 116, 118, London: Paul, Trench, Trübner & Co. 1900) rispettivamente a p.
220, 7-8 e p.220, 10.
141
Test di autovalutazione
142
143
Appendice
* Protogermanico occidentale
d.C. / | \
200 | \ | |
300 anglofrisio | |
400 | | |
500 | | |
900 | | | |
1100 | | | | |
1200 | fris.a. | | |
1300 | | | | |
1400 | | | | |
1500 | | | | |
1600 | | | | |
1800
144
Capitolo VIII
Elementi di onomastica germanica 63
Antroponimi
L’assegnazione di un nome proprio può essere dettata da diverse motivazioni, fra
cui il Migliorini65 individua le seguenti: l’allusione, l’evocazione, il simbolismo
fonetico, la trasparenza:
145
Tutti i nomi propri derivano da nomi comuni, ovvero alla base di ogni nome
proprio è postulabile un nome comune (Bruni, Battaglia, Brown, Smith, Shakespeare),
così come per gli antroponimi anche per i toponimi (S. Agata dei Goti, Marina di
Pietrasanta, Massa, Broomfield, Ford, Needham, Heidelberg, München). Quando l’etimo
del nome proprio è ancora percettibile, si può parlare di nomi trasparenti, ma la
maggior parte dei nomi propri non è trasparente, pertanto uno dei compiti della
scienza onomastica è di etimologizzare i nomi propri. Si evidenzierà così che il
nome Napoli deriva dal greco nea “nuova” e polis “città”, mentre Milano, latino
Mediolanum, avrebbe il significato di “luogo posto nel mezzo (della pianura, o fra
corsi d’acqua)”, e ancora Torino, l’antica colonia romana Augusta Taurinorum, deve il
suo nome ai Taurini, gli antichi abitanti della zona, probabilmente di origine celtica.
La ricerca etimologica, pertanto, si imbatte spesso in temi o lessemi non più in
uso, e ne rivela i significati, molto spesso assai diversi dai significati che lo stesso
tema o lessema può aver assunto in epoca moderna, quando si è conservato.
L’onomastica è più complessa lì dove una società ha vissuto molti contatti esterni,
poiché risente degli apporti dei sistemi onomastici delle società con cui tale società
è entrata in contatto; secondo il Mitterauer: “Nel mondo antico nessuna società
ha sviluppato un sistema d’imposizione onomastica così chiaramente ordinato e
unitario come quello romano al tempo della Repubblica […] In nessun’altra
comunità del mondo antico l’imposizione del nome è stata regolata così
rigidamente da disposizioni giuridiche.”66
66 Michael Mitterauer, Antenati e santi. L’imposizione del nome nella storia europea, Einaudi, Torino, 2001.
146
Intorno al IV-V secolo nella nuova struttura della società romana l’uso del nomen
unicum si generalizzò, riservando la formula trinomia e quadrinomia alle classi
elevate e all’uso ufficiale, fino al suo esaurirsi nel primo altomedioevo,
attenuandosi il prestigio sociale e il privilegio delle formule polinomie. Il nome
unico si affermò soprattutto con la diffusione del Cristianesimo, per il nuovo
147
Antroponimia germanica
Il tema composto consta di “due elementi, desunti dal lessico comune, uniti per
creare un sintagma che aveva un senso compiuto”:68
La scelta dei temi usati nei nomi composti è limitata ad alcuni campi semantici, in
genere connessi agli ideali dell’eroe o dell’eroina germanici, quali
68Simona Leonardi / Elda Morlicchio, La filologia germanica e le lingue moderne, Bologna: il Mulino, 2009,
p.212.
148
il senno (*reda-),
il guerriero (*harja-, *rika-)
la pace (*friþu-)
la dedizione (*þewo-), ecc.
Inoltre, i temi usati in prima posizione sono superiori di numero a quelli usati in
seconda posizione.
Nelle testimonianze più antiche vi sono temi distinti per l’antroponimia femminile
e maschile, come per esempio
Diffusi erano anche gli ipocoristici, ovvero abbreviazioni di nomi propri con
modificazione fonetica, in genere per esprimere affettività (diminutivi o
vezzeggiativi), per i quali vigeva maggiore libertà, in quanto i medesimi temi
potevano essere usati sia per i nomi femminili sia per i nomi maschili:
Berta – Bertus
Magina – Magino
Willica - Willico
Il sistema ipocoristico era comunque ben regolato. Per lo più derivato dal nome
composto, l’ipocoristico può rendere il primo tema, oppure il secondo, oppure
entrambi, i quali possono essere o non possono essere abbreviati; inoltre può
149
ess.
Hugiberaht (composto da *hugi- + *berhta- = senno + splendente) > utilizzando il
primo tema darà luogo a Hugo, Hugizo, Hugilo, Hucko, mentre dal secondo tema si
potranno ottenere Berto, Betto, Bertizo.
dove i tre nomi allitterano per il primo membro e ripetono il secondo tema, ger.
*wulfa- ‘lupo’.”69
69 Ibidem
150
Nella Cronaca Anglosassone all’ anno 871 si menziona Ælfred Æthelwulfing, ovvero il
nome proprio Ælfred è seguito dal patronimico cui è stato aggiunto il suffisso –ing,
che in inglese antico indicava appartenenza. Questo tipo di formulazione ha, in
seguito, dato origine ai cognomi.
70 Ibidem
71
http://www.sapuglia.it/Repository_Perg/07_Capitolo_Bari/Trascrizioni/ACMB_0003.pdf
72
Nicoletta Francovich Onesti, Vestigia longobarde in Italia (568-774). Lessico e antroponimia,
Roma: Artemide edizioni, 2000, p. 225.
151
73
Ibidem, p. 177.
74
Ibidem, p. 180.
75
Con il termine ‘pastinato’ si intende un contratto agrario a medio termine per l’uso di un fondo
agricolo ai fini della coltivazione praticato specialmente in Italia nel basso Medioevo.
76
Ermipert: *erma “eminente” + *berhta- “splendente”;
77
Amelfrit: *amala- “amalo” +*friþu-z “pace”.
78
Ermefrit: *erma “eminente” + *friþu-z “pace”.
79
Castelm[ann]us: si tratta di un antroponimo ibrido, composto da un primo elemento latino,
castellum, e dal secondo elemento germanico, *mann- "uomo". Per il primo elemento si propone
anche la derivazione da germanico *gastila- “ospite” (Colizzi, La Terra di Bari..., p. 90).
80
Anche Castelchis è un antroponimo ibrido, composto da un primo elemento latino, castellum, e
dal secondo elemento germanico *gisa- "germoglio". Castelchis è documentato sia nel Codex
diplomaticus Cavensis sia nel Chronicon Vulturnense (Morlicchio, Antroponimia longobarda ...,
p. 174).
81
Rodelgari: *hroþā "fama" + *gaizā "lancia";
82
Tassilo: Si tratta di un ipocoristico ben attestato in tutta la Penisola, di cui però rimane dubbia
l’etimologia. Francovich, Vestigia longobarde ..., propone una derivazione dalla forma ridotta
(*dēs->) das-, tas- + -ila della radice *dēði "azione, gesta", Morlicchio (Antroponimia longobarda
..., p. 98) ritiene, invece, si tratti di voce onomatopeica infantile *tad-s-ilan; si veda anche Colizzi,
La Terra di Bari..., p. 73.
152
Castelmannus da parte del padre Castelchis, e alla ripetizione del primo elemento
*þrasō- che accomuna i nomi dei due fratelli testimoni, Trasemundo e Traselgardo.
Concordo con Colizzi, inoltre, quando propone una diversa integrazione per
l’antroponimo Lade[man]di, poiché sulla scorta del nome del figlio di costui, il
quale si chiama Adelmundo, è più probabile, in rispetto del principio della
variazione che governa il sistema antroponimico germanico, che possa trattarsi di
Lade[mun]di.83
83
Colizzi, La Terra di Bari..., p. 80.
153
Test di autovalutazione
154
Capitolo IX
I Germani e la scrittura
Si ha notizia di una forma di scrittura in uso presso i germani dallo storico Tacito
(55/58 c. – 117/119 c. d.C.), il quale in un passo dell’opera De origine et situ
germanorum (più nota come Germania) espone la loro arte aruspicina attraverso la
descrizione di un rito:
Auspicia sortesque ut qui maxime observant: sortium consuetudo simplex. Virgam frugiferae
arbori decisam in surculos amputant eosque notis quibusdam discretos super candidam vestem
temere ac fortuito spargunt. Mox, si publice consultetur, sacerdos civitatis, sin privatim, ipse
pater familiae, precatus deos caelumque suspiciens ter singulos tollit, sublatos secundum
impressam ante notam interpretatur. Si prohibuerunt, nulla de eadem re in eundem diem
consultatio; sin permissum, auspiciorum adhuc fides exigitur.
Se si deve dar credito a quanto afferma Tacito, con notae, ovvero ‘segni convenuti’,
incise sui pezzetti di ramo dobbiamo intendere, con ogni probabilità, una serie di
segni grafici, definiti ‘rune’, che costituivano la prima forma di scrittura adottata
dai Germani.
Essa era utilizzata, di solito, per formule di scongiuro o sacrali, e poiché il
materiale su cui era incisa era in prevalenza pietra, legno o osso, i tratti delle lettere
erano costituiti da segmenti, senza alcuna concessione a curve o volute.
A ciascuna runa, oltre al valore acronimico, ineriva anche un valore fonetico, così,
per esempio, la runa þ, oltre ad indicare il concetto di “ricchezza” (*fehu in
155
germanico, che si confronta con il latino pecunia, da pecu) indicava anche la fricativa
dentale sorda.
Non è ben chiara l’origine della scrittura runica (o fuþark dalle prime lettere che la
compongono) l’opinione più accreditata è che sia stata esemplata da alfabeti nord-
etruschi diffusi nella regione alpina della Rezia; quel che è certo è che
originariamente si componeva 24 segni divisi in tre serie, ciascuna di otto rune,
come è mostrato nello schema seguente:
In seguito le serie delle rune sono state variamente modificate dalle diverse
popolazioni germaniche, passando dagli originari 24 segni a 16 nel germanico
settentrionale, e al contrario portando a 33 il numero di rune nell’area insulare.
156
157
Il bordo supeiore era ornato da una iscrizione in caratteri runici, che ci restituisce
una testimonianza del protonordico.
ekhlewagastizholtijazhornatawido
io hlewagastiz (figlio) di Holti il corno ho fatto
Il luogo più a sud in Europa in cui sono state rinvenute iscrizioni runiche è
rappresentato da Monte Sant'Angelo: pellegrini anglosassoni in visita al
santuario (forse VIII/IX secolo) hanno inciso sulla pietra i loro nomi. 84
84
Per le epigrafi di Monte Sant‘Angelo si veda il progetto digitale CUSTOS al sito:
http://www.custos.unibari.eu/galleria_img.php?categoria=epigrafi&page=1
158
hereberehct
HerrÆd
Wigfus
leofwini
L’uso delle rune retrocederà di fronte all’avanzare degli strumenti scrittori legati
alla nuova fede portata dagli evangelizzatori cristiani. I germani apprenderanno
l’uso del calamo e dalla pietra o osso di balena passeranno alla pergamena.
159
Traduzione della Bibbia dal greco nella lingua gotica eseguita dal vescovo visigoto Wulfila (?311 –
388) nel IV secolo d.C., quando i ‘Goti minori’ erano stanziati nella Mesia inferiore (attuale
Bulgaria settentrionale).
Vangelo di Marco 6, 9-16 – foglio 9 del Codex Argenteus (VI sec. d. C), conservato nella biblioteca
universitaria di Uppsala con segnatura DGI
160
Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il nome tuo,
venga il regno tuo, accada il volere tuo,
come nei cieli anche sulla terra.
Il nostro pane quotidiano dacci oggi,
e rimetti (i debiti) a noi che siamo debitori, e noi rimettiamo
ai nostri debitori, e non portarci in tentazione,
ma liberaci dal Male, poiché tuo è il regno
e la potenza e la gloria in eterno amen
161
Heliand
Poema epico in versi allitteranti della tradizione germanica, attribuito al IX sec., è scritto in basso
sassone (basso tedesco). Sebbene l’argomento sia religioso cristiano (Heliand = “il Salvatore”),
presenta forti richiami alla cultura pagana.
162
[Issarono le vele gli uomini esperti del tempo, si lasciarono sospingere dal vento
sul flusso marino, fin quando non v’arrivò nel mezzo, il Signore coi suoi uomini.
Allora cominciarono a levarsi la forza della burrasca, un vento di tempesta, e le
onde ad ingrossarsi; il buio si infrangeva sulla schiera: il mare era agitato, il vento
lottava con l’acqua; gli uomini erano preoccupati, il mare era così burrascoso,
nessuno degli uomini sperava di sopravvivere. Allora essi svegliarono con le loro
parole il Guardiano della Terra, gli dissero della potenza della burrasca, pregarono
che misericordioso verso di loro fosse il Cristo]
163
Wessobrunner Gebet
Poesia di genere sapienziale, in alto tedesco antico, composta intorno alla fine dell’VIII sec., tradita
da in manoscritto risalente agli inizi del IX sec.
164
De poeta.
Cot almahtico, du himil enti erda gauuorahtos enti du mannun so manac coot
forgapi: forgip mir in dino ganada rehta galaupa enti cotan uuilleon, uuistóm enti
spahida enti craft, tiuflun za uuidarstantanne enti arc za piuuisanne enti dinan
uuilleon za gauurchanne.
165
tanti beni, donami, per Tua misericordia, retta fede e buona volontà,
sapienza, prudenza e forza, per resistere ai dèmoni e sottrarmi al male
e per la Tua volontà.
166
167
168
Hildebrandlied
Una delle più antiche testimonianze di poesia epico-eroica in una lingua germanica. Da un
manoscritto del IX secolo rinvenuto a Fulda, il carme è scritto in alto tedesco antico, con
interferenze linguistiche dal basso tedesco. Narra del duello fra padre (Ildebrando) e figlio
(Adubrando) schierati per due opposti eserciti.
169
170
171
Io ho sentito dire
che si sfidarono a singolo duello
Ildebrando e Adubrando in mezzo alle due schiere,
padre e figlio. Avevano approntato le armature,
avevano indossato le corazze, si eran cinti di spada, gli eroi, 5
sulle maglie di ferro, per lanciarsi in battaglia.
Ildebrando parlò, il figlio di Eribrando,
essendo lui il più vecchio, più esperto della vita,
prese a domandare con poche parole
chi mai fosse suo padre tra il popolo degli uomini 10
«o di quale stirpe tu sia;
se me ne dici una, io conosco anche l’altre,
o giovane: del regno tutta a me è nota la gloriosa nazione».
Adubrando parlò, il figlio d’Ildebrando: 15
«Questo mi dissero le nostre genti
antiche e sagge, che un tempo vivevano,
che Ildebrando si chiamava mio padre; io mi chiamo Adubrando.
Se ne andò un dì in oriente, sfuggendo all’odio di Odoacre,
via con Teodorico e i suoi molti seguaci.
Lasciava in patria, piccolo , in casa della sposa, 20
un figliolo bambino, privo di eredità.
Se ne andò via in oriente a cavallo, giacché Teodorico
proprio di mio padre aveva bisogno,
privo com’era di fida parentela.25
Era contro Odoacre oltremisura irato, 25
e presso Teodorico prediletto seguace.
Sempre in cima alle schiere, sempre fin troppo cara
era per lui la lotta: ben noto era tra i prodi.
Non credo abbia più vita.»30
«Invoco a testimone - disse Ildebrando - il grande Dio dal cielo, 30
che tu giammai, giammai con più stretto parente
hai avuto contesa».
172
173
(da Hildebrandslied e Ludwigslied, ed. e trad. a cura di Nicoletta Francovich Onesti, Parma: Pratiche
Editrice, 1995)
174
Beowulf
Poema eroico in inglese antico (varietà sassone occiedentale) in versi allitteranti, conservato nel
MS. London, British Library, Cotton Vitellius A.15, risalente al X secolo.
175
Oft Scyld Scefing sceaþena þreatum Spesso Scyld Scefing a schiere nemiche
egsode eorlas syððan ærest wearð terrorizzò guerrieri, dopo che fu trovato
weox under wolcnum· weorðmyndum þah fu grande sotto il cielo, prospero d’onori
10. ofer hronrade hyran scolde, oltre la via della balena dovettero obbedienza,
gomban gyldan· þæt wæs god cyning. pagarono tributo; fu un grande re.
176
APPENDICE
I Longobardi
177
85
PAOLO DIACONO, Storia dei Longobardi, a cura di T. Albarani, Mondadori, Milano 1994, pp.
40 sg.
86
Il culto degli Asi, diffuso principakmente nell’ambito delle tribù stanziate nei territori nordici e
nell’Europa occidentale, si sovrappose con forme diverse di commistione, alla venerazione delle
divinità vaniche: s’individuano così tre leghe sacre che includono tribù accomunate da analoghi
legami culturali: Ingevoni, Istevoni, Erminoni. Lungo le coste del Baltico si estendeva l’amfizionia
degli Ingevoni, devoti alla dea della fertilità Nerthus, divinità vanica, legata quindi a ideali di pace
e di fratellanza. Tuttavia nell’ambito delle tribù più rappresentative di questa lega quali gli Angli e
i Longobardi penetra il culto del dio della guerra, Wodan, venerato dalla limitrofa amfizionia degli
Istevoni, costituita da Sassoni, Frisoni, Franchi. Stanziata lungo le pianure fra il medio corso
dell’Elba e dell’Oder, la lega degli Erminoni era invece devota al figlio di Wodan, Tiw, dio del
cielo e dispensatore dell’energia guerriera; ad essa apparteneva la potente federazione dei
Semnoni, capostipite di Svevi e Alamanni.
178
87
Al nord i Longobardi conquistarono Friuki, Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia e Toscana, al
sud i ducati di Spoleto e Benevento, separati dal rimanente regno longobardo da un ‘corridoio’
bizantino che univa il Lazio alla Romagna.
179
88
Piergiuseppe Scardigli, Goti e Longobardi, Studi di filologia germanica, VILSCIAR 3, 1987, p.
167, ritiene che “negli anni compresi fra il 526 (presumibilmente arrivo in Pannonia) e il 643
(promulgazione dell’Editto di Rotari) la lingua longobarda dovette presentare il suo carattere più
‘genuino e intatto’. Ci mancano peraltro testmonianze dirette. È tuttavia lecito pensare a una forte
somiglianza con la lingua germanica più antica che conosciamo, il gotico. Perciò, come è vero che
via via che ci allontaniamo dal 643 e ci avviciniamo al 774 aumenta la convergenza fra longobardo
e tedesco, dovrebbe aumentare la convergenza fra longobardo e gotico man mano che si risale dal
VII al VI secolo. Ci sembra per lo meno affrettata l’assegnazione tout court, all’area tedesca del
longobardo, quasi fosse un tutto con essa. Al contrario diremmo che il longobardo è da definirsi
come un pianeta che si è staccato dal magma germanico, ha avuto un periodo di avvicinamento
all’orbita gotica e poi è stato attratto definitivamente nell’orbita del tedesco”.
180
della tribù, veri e propri codici viventi, e da questi depositari dell’antico sapere
tecico-giuridico recitate all’occorrenza89.
Anche sull’esempio di redazioni scritte di altri diritti consuetudinari
germanici, la materia giuridica longobarda fu affidata al latino, lingua
divulgativa di grande prestigio: recitate in longobardo, furono tradotte da
redattori romani in latino, peraltro sgrammaticato e corrotto, fatta salvezza per
termini giuridici propriamente longobardi comunque glossati o latinizzati90.
89
L’antico diritto germanico nasceva in pubbliche adunanze in cui il potere deliberante era
esercitato dall’assemblea degli uomini ‘liberi’, cioè soltanto da tutti i soggetti forniti di capacità
giuridica e di attitudine a portere le armi; erano quindi esclusi deformi, donne e schivi. Al singolo
era riconosciuta esclusivamente la facoltà di proporre una soluzione alla questione che costituiva
oggetto di dibattito; la decisione spettva invece alla comunità adunata in armi e la proposta
considerata più oculata e pertinente era approvata dai componenti dell’assemblea, che
esprimevano il loro assenso battendo le lance sugli scudi. Ogni delibera assembleare, espressione
della saggezza collettiva, assumeva carattere di regola, di norma giuridica avvertita, in base ad una
concezione trasparente nell’area semantica del germanico *rehtaz “retto, diritto”, da cui l’inglese
right e il tedesco Recht, come misura correttiva di una ‘deviazione’ dal ‘retto’ cammino e quindi
ad essa contrapposta; affidata alla tradizione orale, trovava, all’occorrenza, conferma della sua
valenza giuridica nella prassi applicativa e confluiva così in quel complesso di precetti
consuetudinari che costituirono l’ossatura della legge germanica.
90
Secondo Nicoletta Francovich Onesti, Vestigia longobarde in Italia (568-774). Lessico e
antroponimia, Artemide, Roma 1999, p.47 sg., l’inserimento di voci native di carattere giuridico,
che cosstituisce elemento “di raccordo tra il codice scritto latino e la memoria della corrispondente
norma orale della cawarfida longobarda”, appare raramente indispensabile; più spesso sembra
utilizzato “per gusto antiquario e per motivi di tradizione, o per intenti politicidi richiamo all’unità
del regno voluta da Rotari contro i duchi”; ma P.M. Arcari, Idee e sentimenti politici dell’alto
Medioevo, Milano 1968, p. 616 sg., afferma: “La presenza del termine barbarico non costituisce,
infatti, solo una prova che la norma risale alle antiche cawarfidae, non risponde solo alla pratica
necessità della traduzione, ci indica qualche cosa di più. Ci permette di cogliere ciò che le gentes
sentivano talmente proprio e peculiare da non poter essere in alcun modo tradotto o comunque non
sufficientemente reso dalla voce latina. L’aspetto semantico del linguaggio non può, infatti, non
coinvolgere tutti quei caratteri razziali e storici che cosstituiscono la fisionomia di un popolo”. Si
ritiene “anche sulla base dei numerosi termini giuridici longobardi presenti nell’Edictum, che
verso la metà del VII secolo i Longobardi pur conoscendo il latino – o meglio il latino volgare o
rustico parlato nella penisola – ancora conservassero il nativo dialetto germanico. Credo sia il caso
di soffermarsi un attimo su questo problema con tutte le conseguenze ad esso connesse.
Innanzitutto c’è da rilevare come, quand’anche sia da accettare il completo bilinguismo dei
Longobardi verso la metà del VII secolo, il fatto stesso che l’Edictum sia scritto in latino mostra il
forte carattere regressivo dell’elemento germanico ed anche, soprattutto, la centralità oramai
acquisita dal latino come strumento politico e culturale e come mezzo di comunicazione. […] Ma
nel 643 sono già trascorse tre generazioni, ci troviamo dunque in un momento in cui, presso
popolazioni emigranti, normalmente si assiste o al recupero della lingua ancestrale oppure alla sua
definitiva perdita. Penso, perciò, che i longobardismi delle leggi non vadano intesi come segnali
della sussistente vitalità del lonobardo quale lingua parlata d’uso ma piuttosto come fossili, relitti
di un lessico tecnico la cui traduzione non doveva essere ad esclusivo beneficio dei ‘romani’ ma
anche degli stessi ‘longobardi’, cui era privilegiTmente indirizzato l’Edictum» (S.M. Cingolani, Le
storie dei Longobardi: dall’origine a Paolo Diacono, Roma 1995 p.153sg.); al riguardo cfr.
Francovich Onesti, op. cit., p. 48, che ritiene estinto il longobardo comunque entro la fine del VII
secolo:«Nell’VIII secolo è escluso che il lgb. fosse ancora vivo e parlato, se prescindiamo forse da
alcume espressioni ricordate solo da una rarefatta minoranza di persone». Scardigli, op.cit., p.
231, nel ritenere che all’epoca nell’ambito della popolazione longobarda il bilinguismo fosse un
fenomeno diffuso, aggiunge: «credo che facilmente un Longobardo fosse, a qualunque ceto
appartenesse, addirittura trilingue. Che insomma con i suoi parlasse longobardo, con i Romani
181
latino (ovviamente infiorato di forme germaniche), con i ‘Tedeschi’ indulgesse a pronunce e scelte
di vocaboli sempre più rispondenti a certi connotati peculiari del gruppo alto-tedesco».
91
All’arrivo dei Longobardi, i grandi latifondisti romani fuggirono, abbandonando i loro
possedimenti; sul territorio predominò l’insediamento sparso, a causa anche dello spopolamento
delle campagne, dove erano rimasti solo i coltivatori romani, che svolgevano il lavoro campestre
per i nuovi padroni, gli arimanni-exercitales, versando anche un terzo dei prodotti della terra.
Comunque, diversamente dal diritto romano che prevedeva per lo stesso bene un unico
proprietario, il diritto germanico considerava il singolo legato al bene da un rapporto di possesso
più che di proprietà: nell’ambito del patrimonio agricolo, vi poteva essere un possesso (gewere)
sulla superficie, uno sulle piante, uno sulle sorgenti, ecc., ciascuno appartenente sd una persona
diversa.
182
183
Scomparvero quindi tutti gli antichi dicati longobardi, tra cui anche quello
spoletino, con l’eccezione del ducato di Benevento, il quale soltanto nell’812,
co un accordo concluso fra il principe Grimoaldo IV e Carlo Magno,
riconoscerà la sovranità franca, per poi scindersi in due principati (840),
Bnevento (che conservava il controllo delle città di Bari, Brindisi e Siponto) e
Salerno, governati rispettivamente da Radelchi e Siconolfo, ed infine nella
seconda metà dell’XI secolo, cadere vittima dell’espansionismo normanno
nell’Italia meridionale.
Uno stato di conflittualità creatosi all’interno del principato per tendenze
autonomistiche dei vari conti e gastaldi, incapacità amministrativa e le
crescenti intromissioni saracene che, a partire dall’840 interessarono la stessa
Bari sino a sottrarla al dominio beneventano per farne sede di un emirato (847-
871), causarono il declino del controllo longobardo sulla Puglia, che tornò in
mani bizantine.
E’ fonte preziosa delle vicende della Longobardia Minor relativamente al
periodo che va dal 787, anno della morte di Arechi II all’889, penultimo anno
del principato di Aione (884-890), dedicatatio, l’incompiuta Ystoriola
Langobardorum Beneventi degentium di Erchemperto, vissuto nella seconda
metà del IX sec., monaco di Montecassino ma originario di una piccola borgata
del Ducato di Benevento. Erchemperto dichiara nel prologo di accingersi a
scrivere, “sospirando nell’intimo del cuore”, la sua ystoriolam: “narrerò in
maniera breve e sincera, perché sia di insegnamento ai posteri, non il loro
dominio, ma il loro tramonto; non la loro felicità, ma la loro miseria; non il
loro trionfo, ma la loro rovina; non come abbiano progredito, ma come abbiano
indietreggiato; non come sconfissero glia altri, ma come dagli altri furono
sconfitti” 92
; ed una delle ultime sconfitte narrate rigurda proprio la disfatta
subita da Aione nell’888 ad opera dei Bizantini, che costò ai Longobardi la
perdita definitiva della città di Bari.
Verso la fine del secolo, i Bizantini, riconquistate le zone meridionali
suddivise dai Longobardi in gastaldati, attuarono una riorganizzazione
amministrativa suddividendo il territorio in temi, ciascuno dei quali era
governato da uno stratego di nomina imperiale, con competenza sia civile sia
92
ERCHEMPERTI, Historia Langobardorum (sec. IX), trad. di A Carucci, 2 voll., Salerno/Roma,
1995.
184
93
La città di Bari era uno dei centri di diffusione e di sviluppo della civiltà bizantina in Occidente,
collocato sulla via Traiana, antica strada romana che si snodava attraverso importanti punti di
approdo (Otranto, Brindisi, Baro, Benevento, Capua) e costituì peraltro una delle grandi direttrici
lungo la quale giunsero nei sec. IX -XI nell’Italia meridionale anche i monaci italo-greci.
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E. Besta, “Il diritto consuetudinario di Bari e la sua genesi”, in Scritti di storia giuridica
meridionale, a cura di G. Cassandro, Bari 1962, p. 146.
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Cartula di morgincap
Archivio del Capitolo metropolitano, Cattedrale di Bari
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la stesura del documento, con l’indicazione della località di rogito (data topica)
e la ripetizione della data cronica; fa seguito la sottoscrizione dei comparenti.
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