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questi significanti sono motivati dai significati e quindi la forma dipende da quella
dell’oggetto. È una situazione diversa da quella che troviamo nel linguaggio verbale:
qualsiasi suono può indicare un concetto di “cane” ma non tutte le configurazioni
visive potrebbero essere riconosciute come rappresentazioni di un cane.
1.1.2. I tipi cognitivi,
Secondo Eco le operazioni di riconoscimento si basano su schemi visivi mentali
degli oggetti del mondo che abbiamo creato prima; quando vediamo qualcosa
confrontiamo il suo aspetto visivo con i tipi cognitivi che abbiamo in memoria fino a
quando non troviamo quello che coincide e lo riconosciamo.
Questi schemi mentali vengono prodotti partendo dall’osservazione della realtà e
quindi non sono perfetti anzi, manteniamo in memoria solo le informazioni che sono
utili oppure memorizziamo le caratteristiche che abbiamo potuto vedere. È vero che i
tipi cognitivi sono agganciati alla realtà e sono controllabili e modificabili nel
confronto con questa ma sono anche molto flessibili, imprecisi e riempiti con altri
pezzi di conoscenza del mondo.
1.1.3. Le ipoicone: “naturalità” e convenzionalità.
I tipi cognitivi servono a riconoscere gli oggetti reali presenti nel mondo e anche
per riconoscere e produrre le immagini. Capisco che un disegno rappresenta un
cane perché l’insieme di stimoli che provengono dai pigmenti sul foglio hanno delle
caratteristiche ce combaciano al TC del cane. Nei segni iconici esiste un
componente convenzionale e per avere piena comprensione di quello che
l’immagine ci rappresenta dobbiamo applicare delle regole di trasformazione
convenzionale e interne ad una cultura. Prendendo i sistemi di rappresentazione
della profondità spaziale troviamo alla base un’analogia con la percezione di spazi
reali e quindi viene codificata attraverso regole strutturali. Se si pensa alla pittura
egizia quando dovevano rappresentare elementi disposti in profondità nello spazio si
sceglieva di metterli uno sopra l’altro e quindi c’è una componente convenzionale:
regola valida all’interno di quella cultura secondo cui un’immagine con diversi
elementi posti uno sopra l’altro equivale a rappresentare la profondità.
Nei segni iconici convivono sia motivazione che convezione ed è per questo che
Eco abbandona il termine di icona e preferisce ipoicona: sottolinea la natura parziale,
limitata della somiglianza dei segni visivi con il referente, oggetto rappresentato.
1.1.4. Greimas e il “mondo naturale”.
Greimas ritiene che il riconoscimento avviene grazie ad una griglia di lettura del
mondo: mondo naturale, fortemente influenzata dal fattore culturale. Esso
concentra la sua attenzione su come le tradizioni, l’apprendimento e le convenzioni
implicita possano condizionare il modo in cui guardiamo il mondo e assegniamo un
valore agli oggetti che troviamo.
Greimas sostiene che il riconoscimento avviene quando i tratti visivi nel testo
sono sufficienti a riconoscere una certa configurazione come significante di un
oggetto, formante figurativo. I punti estremi della figuratività si hanno con
l’astrazione: diradarsi dei tratti figurativi tale che gli oggetti vengono intuiti/ricostruiti
e l’iconizzazione: estrema ricerca dell’illusione di realtà.
Bisogna stare attenti perchè gli stessi termini hanno significati diversi nella semiotica
interpretativa di Eco. Iconico incida per Eco quello che Greimas chiama figurativo e per
Greimas l’iconismo è solo uno degli estremi dell’asse della densità figurativa.
1.2. La rappresentazione del tempo.
Abbiamo visto come vengono riconosciuti i segni iconici, ipoicone, come sia
possibile ricondurre un insieme di stimoli provenienti da un’immagine allo schema
mentale di un oggetto. Il problema è che i dipinti, le fotografie e le immagini non
rappresentano oggetti fissi ma movimenti ed azioni. Bisogna capire come è possibile
rappresentare in un testo statico degli eventi che si sviluppano nel tempo.
1.2.1. Movimento e azioni.
Ruggero Eugeni identifica tre modi principali in cui è possibile rappresentare un
movimento o azione:
Un racconto potrà essere rappresentato in una fase ma è possibile che varie fasi
siano rappresentate nella stessa immagine o diverse che possono essere
separate da delle cornici come nel caso di alcuni cicli di affreschi.
CAPITOLO 2 – DARE UN SIGNIFICATO ALLE IMMAGINI.
2.1. Iconografia, iconologia e semiotica.
Abbiamo affrontato il problema del riconoscimento, di come delle configurazioni
visive possano rappresentare oggetti del mondo e come le azioni e racconti possano
essere rappresentati in fasi e modi differenti.
Quando siamo di fronte a un’immagine il processo interpretativo non si ferma al
riconoscimento di ciò che vediamo o alla comprensione dei movimenti e dei
comportamenti dei personaggi.
2.1.1. Iconografia.
Se pensiamo alla pittura, nella fase successiva al riconoscimento troviamo
l’interpretazione iconografica.
Iconografia: disciplina che studia e descrivere il modo in cui certi temi ricorrenti sono
rappresentati in pittura.
Il problema non è cercare di comprendere come possiamo riconoscere ma come, a
partire da delle caratteristiche e particolari, possiamo riconoscerla anche in una
personificazione. Lo studio dell’iconografia inizia dal XVI – XVII secolo e si afferma
diventando sistematica nell’800 e si vedono moltiplicare le ricerche sull’argomento e
pubblicati dizionari e repertori iconografici attendibili e documentati.
Alla base dell’iconografia c’è l’osservazione che i temi ricorrenti vengono
rappresentati attraverso gli stessi schemi e combinazioni di figure. I personaggi
vengono riconosciuti in base alle caratteristiche. Si parla di caratteristiche quando
ci si riferisce a delle particolarità inseparabili dal personaggio ( aspetto, vestiti); gli
attributi sono elementi ulteriori che sono aggiunti al personaggio per semplificarne
l’identificazione.
La ripetitività nasce dal momento che un pittore faceva un lavoro di bottega in cui
venivano richieste delle procedure standard e ripetitive poiché era più semplice e
rapido fare riferimento ad un codice iconografico fisso ed inoltre il contratto con il
committente definiva chiaramente il soggetto ed il modo in cui doveva essere
raffigurato. Specialmente nella pittura sacra che doveva parlare al popolo che era
formato per la maggior parte da persone analfabete e quindi il modo più semplice
per raccontare le vicende religiose era con la pittura che richiedeva l’uso di un codice
preciso e conosciuto.
Alla base della formazione di questi schemi di tipo iconografico c’è la tradizione,
orale e scritta, che riguarda diversi soggetti rappresentati (San Girolamo). La ricerca
iconografica non si basa solo su fonti letterarie e gli artisti erano influenzati anche da
dipinti ed affreschi; delle rappresentazioni medievali riprendono degli elementi o
schemi compositivi dalle opere classiche. L’iconografia serve per fare la corretta
interpretazione del soggetto di un quadro e per stabile il periodo o provenienza
geografica di un’opera. Alcuni tipi iconografici sono diffusi solamente in alcuni epoche/
regioni e quando vengono riconosciuti ci danno degli indizi per stabilire quando e dove
è stato dipinto un quadro. Lo studioso non si interessa solo della Bibbia ma anche della
mitologia e di concetti astratti che sono raffigurati secondo regole definite ed i gesti e
le espressioni del viso venivano codificati per rappresentare situazioni ed emozioni.
Oggi la nostra conoscenza dell’iconografia tradizionale è scarsa ma si parla di
iconografia moderna e contemporanea. Jean – Marie Floch mette in evidenza
come alcuni artisti del ‘900 abbiano creato nelle loro opere un collegamento tra
motivi e temi. Dei modelli iconografici possono nascere all’interno di nuovi linguaggi
della comunicazione basti pensare a Babbo Natale che ricevette le sue
caratteristiche ed attributi nell’800 per illustrare cartoline e campagne pubblicitarie.
2.1.2. Iconologia.
2.3.2. La metafora.
La metafora consiste nella sostituzione di un termine (metaforizzato, tenore) con un
altro (metaforizzante, veicolo) quando tra di essi c’è un rapporto di somiglianza,
analogia, qualcosa in comune. Posso esistere delle metafore in presentia: il tenore
ed il veicolo sono presenti nello stesso momento ( Achille era un leone: metaforizzato è Achille
e metaforizzante il leone che hanno in comune forza e coraggio ).
Molte metafore le troviamo in absentia: se dico ad una ragazza bionda che ha i
capelli d’oro è evidente che sto usando una metafora sulla base di proprietà comuni ai
due concetti ed una volta che stabilisco il collegamento inizia uno scambio di proprietà
tra tenore e veicolo.
La metafora serve per stupire ed abbellire e per farci conoscere nuovi aspetti delle
cose, stimolando la nostra riflessione sulle opposizioni e analogie che le legano. Ma
come funziona una metafora visiva? Un esempio è quello di Maria Pia Pozzato che
analizza una pubblicità di Etro: in due pagine di giornale si contrappongono una
conchiglia ed una ragazza che fa un passo di danza e parliamo di metafora in
presentia perché abbiamo una somiglianza visiva: ragazza e conchiglia sono
accomunate da alcune caratteristiche come la forma a spirale, il colore e degli oggetti
di luce e testura creando un accostamento tra elementi. Questa metafora visiva non
intende dire che la ragazza è come una conchiglia poiché ci sono numerose differenze
che non possono essere trascurate come: dinamismo ed apertura per la ragazza e
chiusura e staticità per la conchiglia. Questa metafora si basa su un gioco di analogie
ed opposizioni in quanto la somiglianza tra la ragazza e la conchiglia ci sorprende
perché non ci saremmo mai aspettati di trovare un accostamento e quindi
coglieremo delle nuove analogie: suggerisce che un certo abbigliamento ci porta a
vivere una vita in sintonia con la natura delle cose.
La presenza di una metafora visiva è messa in evidenza da una somiglianza; le
caratteristiche in comune tra veicolo e tenore non riguardano solo il piano del
contenuto ma anche dell’espressione: i suoni /achille/ e /leone/ non mostrano
particolare somiglianza mentre l’annuncio di Etro ha il gioco metaforico che viene
suggerito e rafforzato dall’aspetto simile della ragazza e conchiglia.
In breve.
La pittura impiega schemi convenzionali per rappresentare personaggi e
situazioni ricorrenti. Di questo si interessa l’iconografia: si basa
sull’osservazione dei dipinti e sullo studio delle fonti letterarie.
Ogni personaggio è riconosciuto grazie alle caratteristiche fisiche o
all’abbigliamento: caratteristiche e da degli accessori: attributi.
Lo studio dell’evoluzione dei tipi iconografici aiuta a comprendere le
trasformazioni ideologiche, religiose e sociali e di questo si interessa l’iconologia
i cui padri sono Warburg e Panofsky.
I significati connotativi si basano su associazioni inconsapevoli che
esistono in una cultura. L’immagine di un oggetto rappresenta una serie di
significati aggiuntivi, connotazioni, che la rendono interessante e viva.
Questa viene impiegata negli annunci pubblicitari e permette di veicolari
significati che rendono ricco o meno il messaggio.
I meccanismi retorici visivi giocano sull’accostamento o sostituzione tra
elementi che hanno dei rapporti particolari favorendo un passaggio di
proprietà.
CAPITOLO 3 – LE STRUTTURE NARRATIVE NELLE IMMAGINI.
Le immagini possono raccontare delle storie e adesso bisogna capire come si possono
analizzare i sensi di queste storie cercando di comprendere se sono la
rappresentazione concreta di significati profondi e lo si fa grazie a delle teorie e
strumenti sviluppati nella semiotica di Greimas.
3.1. Lo schema narrativo canonico.
Il primo concetto è quello di schema narrativo canonico. Greimas ipotizza che le
storie siano basate sulla successione ordinata di 4 fasi:
S1 S2
Non S2 Non S1
3.2.3. Le strutture semio – narrative superficiali.
Grado di maggiore concretezza si ha con il livello superficiale delle strutture semio –
narrative in cui cominciamo a vedere qualcosa che assomiglia alla narrazione intesa
comunemente. I valori rappresentati dai poli del quadrato semiotico sono associai a
Soggetti ed Oggetti di valore e compaiono Desinanti, Destinatari, Aiutanti ed
Opponenti.
Ci troviamo ad un livello astratto in cui ricostruiamo uno scheletro semplificato della
narrazione e lo dimostra il fatto che il Soggetto o Destinante non corrispondono
necessariamente ad un personaggio, attore e rappresentano semplici funzioni
narrative tanto che per distinguerli dai personaggi o attori, vengono chiamati attanti.
Nella situazione più semplice, tipica delle fiabe, ad ogni attante corrisponde un attore
ed i racconti interessanti sono quelli in cui la struttura attanti – attori è più
complessa; un attante può essere incarnato da diversi attori ed è il caso di
Dantès, protagonista del Conte di Montecristo, decide di fuggire dalla prigione per
vendicarsi dai nemici e quindi si dà un obbiettivo e quindi è sia Destinante che
Destinatario.
La narrazione potrà essere descritta come una serie di trasformazioni che portano i
Soggetti a congiungersi o disgiungersi con l’Oggetto di valore: la storia del
cavaliere è quella di un Soggetto che cerca di ricongiungersi con il suo Oggetto di
valore, la principessa. A questo livello troviamo le modalizzazioni del Soggetto
(dovere, volere, sapere, potere) che svolgono un ruolo importante nel caratterizzare il tipo
di narrazione.
Floch analizza una tavola di un disegnatore: nelle prime 4 vignette si vede un
corvo che ruba dei giochi ad un bambino e nelle ultime due la scena cambia e si
capisce che il corvo usa il bastone ed il cerchio per costruire un nido ai suoi piccoli.
Nelle prime 4 sentiamo di essere dalla parte del bambino ed il gesto del corso lo
vediamo come un dispetto. Consideriamo il corvo modalizzato secondo volere e
nelle ultime due ci rendiamo conto che il comportamento era legato alla necessità di
costruire un nido per i suoi piccoli e scopriamo che il corvo era modalizzato
secondo dovere e quindi modifichiamo il giudizio sul suo operato e quindi il lieto
fine è dovuto al cambiamento della modalizzazione esplicita del Soggetto.
Altro particolare è che nelle prime 4 vignette abbiamo il Soggetto (corvo) che sottrae
un Oggetto si valore (giochi) a un altro Soggetto (bambino) ed è il caso
dell’appropriazione. Nelle ultime due la logica è diversa perché troviamo quella della
comunicazione partecipativa: un Oggetto può essere condiviso senza che nessuno
debba rinunciarvi; il nido è fatto in maniera che il corvo possa usarlo anche quando i
piccoli sono nati e ne godono.
Grazie all’analisi delle strutture semio – narrative abbiamo colto un
cambiamento di azione che contribuisce a dare maggiore serenità ed una
maggiore armonia e un lieto fine alle ultime vignette.
3.2.4. Le strutture discorsive.
L’ultimo livello è quello delle strutture discorsive, nel quale le strutture semio –
narrative, si incarnano in oggetti e soggetti concreti. Se fino ad ora ci sono stati
attanti, concetti teorici, adesso siamo di fronte ad attori, con il loro aspetto,
caratteristiche, strumenti ed oggetti concreti che arredano il mondo in cui avviene la
narrazione.
Il passaggio dal livello semio – narrativo superficiale a quello discorsivo seguono delle
regole; gli elementi del livello discorsivo possono essere raggruppati in temi:
insieme di personaggi, situazioni e oggetti che sono legati da una coerenza che
tendono a essere presenti contemporaneamente ed ognuno porterà con sé una serie
di ruoli tematici e di figure adatte a quel tema.
Le strutture discorsive sono concrete rispetto a quelle semio – narrative, ma ci
troviamo ancora al di sotto della superficie del testo; dobbiamo ancora arrivare
all’ultimo passo e tradurre i contenuti nelle espressioni di un linguaggio ed è
importante perché ci permette di comprendere come testi di natura differente
possano condividere tutti i passaggi del percorso generativo.
Nell’ultima fase abbiamo la testualizzazione: avviene la manifestazione di questi
contenuti in un tessuto di significanti che porteranno una distinzione tra diversi testi.
Un punto forte della teoria greimasiana è la possibilità di confrontare sullo
stesso piano dipinti, fotografie, racconti ed altri tipi di testo e perché parlando di
strutture discorsive siamo tornati ad un livello paragonabile a quello in cui collocano
iconografia e meccanismi retorici.
3.3. Le filosofie pubblicitarie e le immagini.
Un altro strumento di analisi, sviluppato da Floch, per spiegare le differenze tra
diversi modi di fare pubblicità è quello di comprendere i diversi modi in cui le
immagini valorizzano aspetti diversi di un prodotto ed esso ne riconosce 4
filosofie pubblicitarie fondamentali che possono sovrapporsi.
a. Pubblicità referenziale: si basa sull’idea che la pubblicità migliore è quella
che dice la verità che fa conoscere il prodotto per quello che è e di conseguenza
ci fidiamo. Valore fondamentale è l’onestà. Da un punto di vista semiotico è
importante che le caratteristiche diano l’impressione dell’essere sincero, onesto
e realistico. Deve esserci una struttura narrativa riconoscibile, si dono evitare
degli effetti di costruzione o montaggio e non devono esserci slogan ed
aggettivi. Il testo verbale dovrà sembrare un testo scientifico: sviluppare
un’argomentazione, parlare di fatti concreti e fare riferimenti interni.
Referenzializzazione interna: crea un effetto di coerenza che dà
l’impressione che ci siano delle prove di ciò che si sta dicendo e anche dal
punto di vista visivo sono preferibili degli elementi artistici. La tecnica della
referenzializzazione interna può essere estesa al rapporto tra testo ed
immagine: bodycopy, parte esterna e descrittiva del testo verbale di un
annuncio stampa, chiamerà in causa la foto dell’annuncio e ciò che rappresenta
la presunta realtà.
b. Pubblicità sostanziale: al centro dell’attenzione c’è il prodotto stesso, di
per sé. Si tratta di esaltarlo nella sua natura profonda e di renderlo
In breve.
Le immagini hanno una struttura narrativa che è visibile nei testi visivi che
hanno uno sviluppo temporale. Un dipinto o fotografia può manifestare una
delle 4 fasi principali che Greimas riconosce e compongono lo schema
narrativo canonico: manipolazione, competenza, performanza,
sanzione.
Sotto la superficie testuale possiamo scoprire diversi livelli di significato:
percorso generativo. Inizialmente troviamo elementi concreti che
appartengono al nostro mondo ad un livello successivo la narrazione avrà uno
scheletro astratto dove contano le funzioni svolte. Questo ci permette di
comprendere la struttura di un racconto e le trasformazioni che mette in scena.
Al livello profondo incontriamo i valori fondamentali che il testo mette in
gioco. Il quadrato semiotico si usa per studiare questi valori e i rapporti che li
legano; è qualcosa di più di uno schema che descrive l’organizzazione di una
opposizione semantica.
Particolare strumento d’analisi è la tipologia delle filosofie pubblicitarie di
Floch; modi differenti di costruire il discorso e mettere in evidenza le
caratteristiche e qualità dell’oggetto/prodotto.
CAPITOLO 4 – L’ENUNCIAZIONE VISIVA.
4.1. La teoria dell’enunciazione.
L’enunciazione è la produzione di un enunciato: atto con il quale, partendo da un
sistema astratto/collettivo (lingua) produciamo un segmento reale di discorso, unico e
irripetibile. Estendendo il discorso dalla linguistica alla semiotica possiamo considerare
l’esistenza di enunciati visivi e parliamo di enunciazione visiva.
In una situazione reale di comunicazione Marco incontra Paola e dice “Francesco è
andato a Roma”. Marco è colui che emette l’enunciato e quindi enunciatore o
enunciante e Paola sarà l’enunciataria, colei a cui è destinato il discorso. Marco e
Paola sono i soggetti dell’enunciazione e “Francesco è andato a Roma” è il nostro
enunciato e Francesco è il soggetto dell’enunciato.
Il concetto di enunciazione è importante e per Emilie Benveniste è il modo in cui la
soggettività emerge nel discorso.
4.1.1. Dèbrayage enunciativo e dèbrayage enunciazionale.
Quando produciamo un enunciato parliamo di luoghi, tempi e persone; in
termini semiotici proiettiamo nell’enunciato delle categorie spazio – temporali e
della persona e questa viene chiamata: dèbrayage e ne esistono due tipi:
a. Dèbrayage enunciativo: nell’enunciato potrebbero esserci dei riferimenti a
luoghi, tempi e persone differenti da quelle che sono coinvolte nella situazione
di enunciazione. Si riconosce per la presenza di riferimenti spaziali e temporali
non definiti in base alla situazione di enunciazione, il passato remoto, l’uso della
terza persona.
b. Dèbrayage enunciazionale: è la presenza dell’enunciato di riferimenti diretti
alla situazione di enunciazione; ci sono una serie di elementi dell’enunciato il cui
riferimento preciso non si può comprendere se non si tiene in considerazione la
situazione di enunciazione. Non possono comprendere a quale giorno si riferisce
‘ieri’ se non intendendolo come ‘il giorno precedente a quello in cui si svolge
l’enunciazione’. Ed è riconoscibile ai deittici spaziali e temporali, tempi come
presente e imperfetto, l’uso della prima e seconda persona.
Una differenza tra le situazioni di interazione reale (incontro tra amici) e i tipi di
enunciati di cui si occupa la semiotica (dipinto, foto) e qui la situazione enunciativa, in
cui è concretamente prodotto l’enunciato, è definitivamente ed irrimediabilmente
persa. Il dèbrayage enunciazionale non è più un riferimento alla reale situazione di
enunciazione a ad una sua simulazione. Uguale per i deittici spaziali e temporali, il cui
effetto è simulare, dare l’illusione di un riferimento ad una situazione.
Il dèbrayage enunciativo ed enunciazionale sono due strategie discorsive
differenti che tendono a costruire un effetto di maggiore distanza tra i soggetti
empirici dell’enunciazione e quelli dell’enunciato, e un effetto di illusoria e parziale
identificazione.
4.1.2. Il dèbrayage nei testi visivi.
Il meccanismo del dèbrayage trova un analogo nei testi visivi. Meyer Schapiro
è stato il primo a proporre l’impiego della teoria dell’enunciazione al visivo e si
interrogava sull’impiego delle rappresentazioni frontali e di profilo nell’arte medievale;
la prima proposta è che la presenza di personaggi rappresentati frontalmente e di
profilo nello stesso dipinto possa segnalare una differenza tra le funzioni narrative ed i
valori che incarnano. La copresenza dei due tipi di rappresentazione serve a
sottolineare una differenza narrativa o semantica, con un sistema simile al
semisimbolismo. Un’altra ipotesi generale è che il volto di profilo è distaccato
dall’osservato e appartiene ad uno spazio condiviso con altri profili posto sulla
superficie dell’immagine.
La presentazione di figure di profilo, dèbrayage enunciativo visivo, dà un
effetto di obiettività: è come se guardassimo quello che sta accadendo all’esterno.
Il volto e lo sguardo rivolti verso di noi creano un sistema io/tu, dèbrayage
enunciazionale visivo, in cui lo spettatore non è rappresentato ma è come se
venisse chiamato in causa e quindi si ha un effetto di coinvolgimento e di maggiore
partecipazione emotiva.
Uno dei casi più celebri ed efficaci di dèbrayage enunciazionale visivo lo troviamo nel
manifesto per la campagna di arruolamento nell’esercito statunitense in cui Zio Sam
era la personificazione degli Stati Uniti e sembra che fissi l’osservatore aggiungendone
il dito puntato ed inoltre la strategia è ribadita a livello verbale con la headline.
soggetto modesto a cui non interessa essere guardato. Il non voler non essere
guardato indica un soggetto che non si imbarazza, che non cerca attivamente di non
essere guardato. Combinando i poli dei due quadrati otterremo 16 situazioni che
possono essere impiegate per definire i diversi tipi di ritratto:
Voler essere guardato + voler guardare: il soggetto ritratto è frontale, guarda lo
spettatore e si lascia guardare;
Non voler essere guardato + non voler non guardare: il soggetto ritratto guarda
verso lo spettatore ma lo sguardo è assente e manifesta indifferenza nei
confronti dello spettatore;
Voler essere guardato + non voler non guardare: posa classica in cui il soggetto
ritratto guarda altrove ma offre il corpo allo sguardo dello spettatore.
4.2. Il punto di vista.
Un concetto che trova applicazione nella semiotica visiva è quello del punto di vista:
si indicano la posizione e il modo in cui l’artista ha voluto cogliere la scena
rappresentata e in cui lo spettatore coglierà il testo. Il dispositivo testuale è fatto
per poter invitare lo spettatore a fare propria la posizione e atteggiamento previsti.
4.2.1. Posizione dello spettatore.
Quando si parla di punto di vista bisogna considerare il rapporto tra un testo e lo
spettatore e questo dipende dalla dimensione del testo e dalla sua collocazione.
4.2.2. Osservatore.
Oltre alla posizione reale dello spettatore dobbiamo considerare quella
dell’osservatore. Spettatore: indica il soggetto empirico, reale, che fruisce dal testo
visivo. Osservatore: indica il punto di vista da cui la scena è rappresentata.
Se abbiamo una parete alta con un affresco che rappresenta dei santi lo sguardo dello
spettatore sarà dal basso all’alto e angolato mentre l’osservatore ha diverse soluzioni.
Da questo comprendiamo due cose: la prima è che è importate considerare il
rapporto tra posizione dello spettatore e dell’osservatore; nella parete
affrescata abbiamo un primo caso in cui le due posizioni sono differenti e lo spettatore
è in basso, l’osservatore è allo stesso livello della scena rappresentata e sono due
sguardi, punti di vista diversi e lo spettatore non può immedesimarsi nell’osservatore.
La coincidenza tra i due permette l’immedesimazione e produce un maggiore
coinvolgimento dello spettatore nella scena rappresentata.
La seconda considerazione è che quello di osservatore è un concetto astratto:
rappresenta semplicemente la posizione dell’osservatore ipotetico di quella scena e
l’osservatore è implicito e ricostruibile solo attraverso un’analisi dell’immagine ed è
quello che accade co la prospettiva ottica: il dispositivo prospettico implica un punto
di vista dell’osservatore.
4.2.3. Astanti.
L’osservatore può essere rappresentato esplicitamente e la teoria greimasiana
parla di astanti. Nell’immagine troviamo personaggi che guardano la scena
rappresentata e sono l’incarnazione dell’osservatore. Gli astanti possono trovarsi
nella posizione dell’osservatore, come se il punto di vista da cui è stata costruita
l’immagine fosse il loro punto di vista, ma spesso le due posizioni non coincidono e
gli astanti non rappresentano l’osservatore ma la presenza generica di un
osservatore.
Gli astanti hanno anche la funzione di quelli che Leon Battista Alberti chiama
commentatori: personaggi che indicano i centri si attenzione della rappresentazione
e i suoi effetti emotivi.
Le principali caratteristiche degli astanti sono:
Un astante può avere due tipi di comportamento: può guardare o indicare
qualcosa, indicatore. Possiamo avere un personaggio che assume su di sé
entrambe le funzioni e quindi avere la coppia astante + indicatore: un
personaggio indica una scena e richiama su di essa l’attenzione di qualcuno
guardandolo e questi, astante, di conseguenza guarda la scena.
all’interno una piccola ellisse verde (piano dell’espressione) come segno pittorico che
contiene un’oliva (piano del contenuto).
A livello plastico dobbiamo considerare che c’è un richiamo tra la forma ellittica verde
e quella bianca creando un punto di particolare forza visiva all’interno della
composizione; il concetto plastico riguarda i testi visivi planari, quelli con supporto
bidimensionale, dipinti. Il livello plastico lo possiamo trovare nella scultura,
nell’architettura e nel mondo e questi diventeranno pertinenti anche altri aspetti,
come i volumi.
5.1.1. Da Hogarth a Greimas.
Il concetto di linguaggio plastico è stato introdotto da Greimas, Floch e
Thurlemann. Interessi di questo tipo li vediamo con Hogarth, disegnatore e pittore
inglese, che nel suo dipinto si poneva dei problemi dell’ambito plastico e fu il
primo a cercare di applicare all’arte qualcosa di simile alla psicologia della percezione
e sosteneva che la linea curva ed ondulata è più piacevole da vedere perché per
seguirla l’occhio è costretto ad una caccia continua che la rende interessante; esso
fece un discorso plastico perché si interroga sul valore estetico delle linee
curve considerandole di per sé, indipendentemente dal soggetto che devono
raffigurare.
Kandinsky si interrogò di problemi simili: affiancò l’attività artistica a quella di
saggistica e si interroga sugli strumenti visivi della pittura ed il risultato furono due
libri in cui cerca di elaborare una teoria del colore e del suo uso e del significato delle
forme.
5.2. La psicologia della percezione e la Gestalt.
A indagare i meccanismi e gli effetti del linguaggio plastico dal punto di vista
basilare della percezione visiva ci aiuta la psicologia della percezione. Ci
concentriamo sulla psicologia della Gestalt: prima grande scuola di psicologia della
percezione a cui si devono scoperte fondamentali.
5.2.1. Le leggi di unificazione figurale.
Il primo contributo della psicologia della Gestalt è stato quello di individuare le
leggi di unificazione figurale: lo scopo è quello di stabilire in quali condizioni
tendiamo a vedere un insieme di elementi non come unità separate ma come parti di
un’unica configurazione.
Secondo i gestaltisti vediamo le unità globali direttamente e sono queste che si
impongono nelle prime fasi del processo percettivo e lo guidano e non sono il risultato
di una sintesi successiva.
Vicinanza: precede che, a parità di condizioni, gli elementi vicini tra loro
tendono ad essere visti come appartenenti alla stessa unità.
Somiglianza: elementi simili sono visiti, a parità di condizioni, come
appartenenti alla stessa unità e può riguardare diverse caratteristiche (forma,
colore).
Destino comune: fattore che chiama in causa il movimento, estensione alla
direzione e velocità della somiglianza. In una matrice di punti se tutti sono pari
delle colonne pari e dispari in quelle dispari e cominciano a muoversi con
uguale velocità e direzione vedremo che al posto di una singola matrice ne
abbiamo due. Gli elementi con movimenti simili tendono a far parte della stessa
unità.
Persistenza dell’organizzazione iniziale: se in una situazione percepiamo
una certa organizzazione delle forme, tenderemo a conservare anche quando la
situazione si modifica.
Direzione e buona continuazione: quando diversi elementi si uniscono in un
punto, quello che hanno la stessa direzione sono visti come appartenenti alla
stessa unità.
Chiusura: elementi chiusi o tendenti alla chiusura vendono facilmente visti
come costituenti un’unità.
forme geometriche sembrano puntare in una certa direzione e gli schemi a chi
vengono ricondotte si sono formati partendo dalle interazioni che abbiamo con il
mondo esterno. Attribuiamo una certa direzione alle forme triangolari perché
l’esperienza ci insegna che oggetti triangolari hanno una dimensione.
5.3.2. Un’analisi dell’equilibrio visivo.
Cerchiamo di applicare il tutto all’analisi della composizione, organizzazione
generale dei testi visivi.
La composizione è un aspetto fondamentale e interessante di un dipinto o immagine:
è responsabile del primo impatto dell’opera e rappresenta la cornice all’interno della
quale sono possibili gli altri effetti. Un problema di questa riguarda l’equilibrio
visivo: l’equilibrio non è sinonimo di staticità in quanto questa si ha quando la
stabilità nell’insieme viene raggiunta attraverso una generale immobilità ed è rara
nelle opere d’arte mentre, l’equilibrio può essere ottenuto attraverso una corretta
composizione di forze che bilanciandosi reciprocamente continuano a far sentire il loro
effetto.
In un quadro di Braque, Case a l’Estaque, il pittore crea un sistema in cui da una
parte abbiamo spinte che vanno in direzioni opposte suggerendo dinamismo e
dall’altra dei meccanismi che ricompongono e armonizzano le differenze. Il
dipinto è ricco di linee e forme triangolari che possono essere considerate vettori:
queste forme sono rivolte verso l’alto e questo fa si che l’orientamento basso – alto s
trasferisca alle linee e quindi c’è una generica spinta verso l’alto. La spinta non è
eccessiva perché in parte frenata dalla presenza di superfici ampie nella metà
inferiore del dipinto. I vettori sono rivolti per metà verso destra e metà verso sinistra,
creando un equilibrio tra le due direzioni. Nei vettori presenti notiamo che quelli
orientati verso sx prevalgono nella metà inferiore e in quella superiore il contrario e
questa differenza viene sottolineata dalle pennellate che creano un’infinità di
microvettori, trama di piccoli elementi lineati che moltiplicano e sostengono le spinte
dei vettori maggiori.
La presenza di due diversi orientamenti non produce tensione perché si
spartiscono equamente la superficie del quadro, realizzando un passaggio
ordinato dall’uno all’altro che ci dà l’impressione di un percorso visivo che è
accompagnato dall’unico elemento che si trova nella parte inferiore e superiore del
dipinto: l’albero sulla sx, la cui curva viene ripresa dall’albero sull’estremità dx; fra di
loro si trova la linea di confine tra due parti, costituita dalla sommità del tetto della
casa grande e dalla barriera di vegetazione diagonale. L’effetto è quello di un
orientamento che varia a seconda che ci si soffermi sul livello macro o micro,
scendendo nel dettaglio si può notare come cambia la direzione delle pennellate.
5.4. La direzione di lettura delle immagini.
Molti studiosi mettono in evidenza che l’opposizione alto e basso in un dipinto non è
simmetrica: gli elementi plastici acquistano forze e pesi visivi a seconda che si trovino
nella metà superiore o inferiore del piano e questo fenomeno, spazio anisotropico,
viene giustificato con l’esperienza della gravità terrestre. Più complesso è il caso
dell’opposizione fra sinistra – destra e sull’effetto prodotto dalla direzione di
movimento che viene rappresentato. Un dipinto si legge da sinistra a destra, il
movimento pittorico verso destra si percepisce come agevole e meno fatico; se
al contrario di vede un cavaliere attraversare il dipinto da destra a sinistra sembra
che debba superare una resistenza maggiore e che faccia uno sforzo molto duro
che lo porta ad andare più lentamente.
Nei dipinti esiste una tendenza che ci porta a favorire i movimenti verso destra e
innaturali quelli verso sinistra e questa tendenza vale per i movimenti
rappresentati ma anche ad un livello astratto, plastico: quando parliamo di vettori.
L’effetto disforico, doloroso, del dipinto La tempesta di Edvard Munch, è ottenuto
con diversi mezzi: il titolo, i colori lividi, la deformazione espressionista delle figure e
possiamo notare che i diversi vettori siano orientati verso l’alto e sinistra e di
conseguenza i vettori obliqui che sono costituiti dalle pennellate avranno lo stesso
verso. Abbiamo una forte ed evidente vettorialità vero sinistra che crea un effetto
di tensione e disagio visivo ed è un chiaro esempio di come un effetto plastico possa
creare un effetto di senso coerente con il significato che emerge anche dagli altri
livelli, come quello figurativo.
5.4.1. Le spiegazioni.
L’esistenza della tendenza sinistra – destra nella visione delle immagini dipende
da: fattori naturali e lateralizzazione cerebrale in quanto i due emisferi
dell’encefalo non sono perfettamente simmetrici ma svolgono delle funzioni diverse e
poi vi è l’ipotesi culturale che sostiene che questa tendenza dipenda da convenzioni
sociali e dalla direzione di lettura e scrittura ma questa si basa più sull’influenza di
schemi perfettivi e inferenziali sviluppati con l’attività di lettura.
5.4.2. Le immagini giapponesi.
Se la spiegazione culturale fosse corretta allora culture che hanno la direzione di
lettura/scrittura opposta a quella occidentale dovrebbero manifestare una tendenza
destra – sinistra ma è difficile da dimostrare perché la tendenza è un fenomeno
statistico ed è difficile stabilire quale sia la vettorialità complessiva dominante in
un’immagine.
In Giappone si scrive dall’alto verso il basso ma le colonne si susseguono da dx a
sx e un’applicazione pratica la vediamo con i manga che vengono stampati in
Occidente in due modi: perfettamente identici agli originali o ribaltati in senso
orizzontale, che sarebbe corretto dal punto di vista semiotico. Un giapponese
leggerà le vignette da dx a sx e questo influirà sul modo in cui vede le immagini.
In breve.
Semiotica plastica studia il modo in cui le configurazioni visive producono
effetti di senso indipendentemente dal contenuto figurativo, dagli oggetti che
rappresentano.
Le leggi della percezione visiva, della scuola gestaltista, ci aiutano a
comprendere come in un’immagine alcune aree o configurazioni emergano più
di altre e sono utili le leggi di unificazione figurale e la coppia figura/sfondo.
L’analisi percettiva ci permette di spiegare fenomeni come l’equilibrio visivo
e la direzione di lettura delle immagini, creando effetti di armonia o
tensione.
CAPITOLO 6 – IL LINGUAGGIO PLASTICO E L’ANALISI STRUTTURALISTA.
6.1. Le categorie plastiche.
La semiotica greimasiana e post sostengono che il contenuto di un testo è
strutturato su più livelli: da quello semio – narrativo profondo a quello
superficiale fino ad arrivare a quello discorsivo e questo approccio è stato esteso al
linguaggio plastico ipotizzando che elementi come linee, colori e disposizioni
spaziali rappresentino opposizioni e trasformazioni di valori che riguardano il
contenuto profondo.
Il problema è di raggruppare in categorie gli elementi dell’espressione plastica e
analizzare il modo in cui stabiliscono un sistema di corrispondenze con quelli del
contenuto e quindi si ha bisogno di un insieme di categorie plastiche che ci
permetta di descrivere il piano dell’espressione del linguaggio plastico.
Nella semiotica le unità elementari di un linguaggio sono dette figure: i fonemi
sono le figure del piano dell’espressione del linguaggio verbale e quando un insieme di
figure dell’espressione si uniscono formano un’unità complessa che corrisponde a
un’unità del piano del contenuto si ha un formante. Le categorie plastiche
sono i tratti distintivi dell’espressione plastica e servono a classificare una serie di
caratteristiche che unendosi formano e definiscono una figura del piano
dell’espressione plastica.
6.1.1. Categorie eidetiche.
Le categorie che usiamo per descrivere le forme sono chiamate: eidetiche. Il
numero delle figure sul piano dell’espressione plastica è indefinibile ed è tale anche
l’insieme delle categorie che potranno essere utili per la descrizione. È impossibile
capire quali categorie siano utili per descrivere una certa figura dell’espressione
plastica senza considerare il contesto in cui si trova; senza un termine di paragone
non possiamo stabilire se la linea è lunga, corta o media ma la cosa diventa semplice
se la accostiamo ad un’altra linea.
Le categorie eidetiche ci aiutano a cogliere le proprietà, tratti distintivi, che ci
permettono di distinguere le linee che sono le nostre figure dell’espressione
plastica.
6.1.2. Categorie cromatiche.
Le categorie cromatiche servono a descrivere i colori. Quello che chiamiamo
colore è un fenomeno complesso, costituito da diversi aspetti ed ognuno può essere
descritto da una categoria cromatica.
Le categorie utili sono quelle dei radicali, saturazione e del valore. I radicali
cromatici rappresentano i toni principali dello spettro cromatico, quello che
chiamiamo colori; due aree di colore possono essere entrambe rosse, ma distinguersi
perché una è più satura dell’altra e per saturazione si intende la percentuale di
bianco presente nel colore o perché una è più luminosa dell’altra e la luminosità è la
quantità di luce riflessa da un’area di colore ed è indicata nella categoria di valore.
Thurlemann fa notare che nella maggior parte delle lingue l’intero sistema
cromatico è costruito attorno a 11 radicali di base: nero, bianco, rosso, verde,
giallo, blu, marrone, viola, rosa, arancione e grigio ed è una lista che può servire di
riferimento quando dobbiamo decidere l’aspetto cromatico di un testo visivo.
ESPRESSIONE CONTENUTO
verticale affermazione
orizzontale negazione
piano del contenuto; ci possono essere dei sistemi sincretici, che coinvolgono più
linguaggi ed è il caso di un’opposizione del contenuto che può essere
contemporaneamente veicolata da categorie dell’espressione visive, sonore e
musicali.
Altro caso è quello di un sistema semisimbolico valido all’interno di un corpus
limitato di testi, isolati in base a un’ipotesi semiotica o extrasemiotica come nelle
opere di uno stesso autore o periodo. Calabrese individua un sistema
semisimbolico che oppone due rappresentazioni della Maestà dipinte e
conservate a Siena ed una serie di elementi testuali e di dati storici ci permettono di
ipotizzare che ci sia un legame tra le due e rappresentano la base di partenza per
isolare un corpus coerente che verrà studiato attraverso gli strumenti di semiotica
visiva.
6.3.2. Il semisimbolico nell’analisi di un testo.
Ci sono dei sistemi semisimbolici che valgono all’interno di un unico testo ed in
questo caso i termini opposti delle categorie dell’espressione e del contenuto
dovranno essere presenti. Se vedo una persona che muove verticalmente la testa
capisco che sa dicendo ‘si’ e questo accade anche se subito dopo non vedo il
movimento.
Quando in un testo sono presenti entrambi i termini di una categoria,
dell’espressione e del contenuto, si dice che c’è contrasto. In un testo visivo c’è
un contrasto rettilineo/curvilineo se al suo interno ci sono sia linee rette che curve;
perché vi sia un sistema semisimbolico locale, abbiamo bisogno di almeno un
contrasto dell’espressione e uno del contenuto.
La presenza di contrasti ed il funzionamento di un sistema semisimbolico è evidente
nell’analisi che Floch fa sulla pubblicità di un ansiolitico, antidepressivo:
Laroxyl. L’annuncio rappresenta un uomo nel momento in cui esce dalla scatola nera
in cui è ingabbiato e prende in mano un ramo fiorito; l’opposizione semantica è
quella della categoria timica che mette in opposizione euforia e disforia. Il
farmaco è l’Aiutante che permette di passare da uno stato emotivo all’altro e questa
trasformazione viene colta nel momento intermedio.
Il modo in cui viene rappresentata è interessante perché ci sono dei contrasti
dell’espressione plastica: si contrappone il grafico, al pittorico e lo vediamo nel
trattamento grafico dell’uomo che tende allo sfumato, quello del braccio e del ramo
fiorito è nitido; il chiaro si contrappone allo scuro e la continuità delle linee che
definiscono la parte superiore si oppone alla discontinuità della parte inferiore che
coincide con il formante figurativo dell’uomo ingabbiato.
Vediamo che ci sono 4 contrasti dell’espressione plastica che coincidono con un
contrasto semantico, ed è un esempio chiaro di sistema semisimbolico ridondante,
6.3.3. Aspetti teorici.
In un sistema semisimbolico relazioni tra caratteristiche del piano
dell’espressione corrispondono a relazioni presenti sul piano del contenuto.
Thurlemann sostiene che il quadro continua a potersi leggere come la
rappresentazione di una scena narrativa ma rende evidente le strutture astratte,
l’armatura logica sulla quale si articola il racconto figurato. Il semisimbolico
costruisce un discorso secondo, che si colloca a diretto contatto con le strutture
profonde del significato ed è un arricchimento notevole del senso di un testo; il
semisimbolico dimostra la sua utilità quando il livello figurativo viene a mancare.
Il sistema semisimbolico lega la struttura dell’espressione plastica a quella del
contenuto ed è un forte elemento di richiamo che orienta il percorso interpretativo
dell’osservatore.
6.3.4. Il semisimbolico e la struttura mitica dei testi visivi.
Claude Lèvis – Strauss: mostra come la struttura profonda dei miti sia basata
sull’opposizione tra termini che, all’interno di una certa cultura, sono considerati
inconciliabili. Il mito racconta una storia i cui elementi figurativi sono l’incarnazione
di opposizioni semantiche profonde.