Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Il segno appartiene agli oggetti dell’esperienza e può essere sia naturale [es: impronte] che
artificiale (d’altra parte la distinzione tra arte e natura è funzionale e non rigida).
Il suo modus essendi è il RINVIO: il segno è qualcosa che sta per qualcos’altro, come già pensava
Aristotele (“signum est aliquid stat pro aliquo”).
Il segno è indispensabile allo svolgersi di qualsiasi processo comunicativo.
E’ ciò che permette che vi sia comunicazione mediante codici tra emittente e destinatario.
La semiotica è la scienza generale dei segni. Si occupa della comunicazione e dell’interpretazione
dei segni. Si è affermata nell’arco del 900, ma i suoi argomenti erano stati affrontati già nell’antica
Grecia (v. il suddetto Aristotele). Si occupa dello studio dei vari tipi di segno e dell’interazione tra
essi. Dato che l’ambito del segno è più ampio di quello verbale la semiotica si configura come una
disciplina più ampia della linguistica e rivolta all’intero universo culturale.
Poiché un segno si spiega solo attraverso altri segni, la semiotica si presenta come un processo
illimitato , almeno potenzialmente, la cui fine è solo la comprensione.
Aristotele aveva detto che il segno è qualcosa che sta per qualcos’altro.
Per Peirce, fondatore della semiotica e del pragmatismo, non ci sono soltanto il segno e il qualcosa
per cui esso sta. E’ fondamentale una terza presenza, l’interprete che, in possesso di un certo codice
(a diversi gradi di complessità e consapevolezza), sia in grado di attivare nel segno la modalità del
rinvio. “qualcosa sta a qualcuno sotto qualche rispetto o capacità”
Questo triplice collegamento è la triangolarità del segno.
Segno, oggetto (representamen), interprete sono i vertici di un triangolo.
L’oggetto può essere IMMEDIATO, se coincide con un concetto o un’immagine mentale ed è
perciò inserito dentro il triangolo, o DINAMICO, se riguarda uno stato di cose esterno ed è perciò
posto all’esterno del triangolo.
L’interprete attiva il segno grazie ai codici che condivide e secondo il bagaglio di categorizzazioni
culturali che possiede. Abduce il significato dal segno (sarà una congettura dato che il segno
presenta un certo grado di ambiguità).
Il segno non coincide con il referente, seleziona solo alcune proprietà dell’oggetto a cui rimanda.
Può appartenere diverse tipologie, o meglio a diversi modi semiotici.
TRIANGOLARITA’ DEL SENSO: Interprete
Oggetto
dinamico (Stato di cose esterno)
Indice Oggetto
Icona immediato
simbolo Concetto o immagine mentale
↓
Segno o Representamen Convenzionalità Oggetto/referente
= 38°
L’icona ha col segno un rapporto di similarità effettiva (è una selezione di tratti pertinenti).
L’oggetto significante condivide uno schema comune col significato.
Necessita di un’intenzionalità realizzativa che da luogo ad una figura che seleziona i tratti pertinenti
di un oggetto (immagini schematiche, esempi figurati…).
Vi deve essere la possibilità di proiettare tratti distintivi dell’icona sul processo cui rimanda. E’ il
modo di significare più intuitivo. Per comprendere sono sufficienti codici semplici x es. basta
sapere che cos’è un estintore (anche senza sapere come si dice “estintore” per capire il cartello che
lo segnala… ).
Il Simbolo sta al significato in una relazione di convenzionalità assegnata. Non intrattiene nessun
tipo di relazione intuitivo col significato. E’ artificiale e intenzionale ed implica la messa in
funzione di un codice. Non è un oggetto ma un codice, una legge quadro.
Ne sono esempio i linguaggi umani.
Questa tricotomia è una categorizzazione funzionale, ma non rigida. Le tre modalità sono diverse
ma possono coesistere.
Dal punto di vista dell’emittente, invece, la relazione di significazione è un’intenzione, il cui scopo
ed efficacia, cioè il raggiungimento del destinatario, dipendono da fattori come il codice scelto o il
mezzo di trasmissione.
Segno:
Doppia arbitrarietà:
La doppia arbitrarietà per Saussure risiede sia l’evolversi che la stabilità del linguaggio.
Entrambi sono oggetti dell’esperienza, prodotti della tecne e in quanto tali necessitanto della
modificazione dell’ambiente esterno mediante intenzionalità produttiva, inoltre hanno entrambi
un’intenzionalità comunicativa.
Gli artefatti comunicativi sono caratterizzati dalla transitività. Mirano alla significazione.
Il problema dell’opera d’arte: v. posizioni di Dickie (istituzionalismo -> una sorta di codificazione
storica - enfatizza l’intenzionalità) e Goodman (nominalismo costruttivista “è arte ciò che funziona
come tale” – trascure l’intenzionalità)
5) Dall’oggetto estetico all’oggetto artistico
Nel tentativo di comprendere cos’è “arte” e cosa no si passa dai concetti di intenzionalità e di
sintomo.
Messi in contrapposizione da alcuni autori (es. Dickie e Goodman) entrambi i concetti sono utili,
benché non sufficienti, ad identificare un’opera d’arte.
Un’opera d’arte deve avere alla base della propria creazione un’intenzionalità estetica autoriale in
cui con autoriale si sottolinea l’importanza della soggettività che volontariamente unisce estetico e
tecnico. (Non bisogna confondersi pensando che s’intenda che l’opera esprime l’interiorità
dell’autore poiché l’opera comunica soprattutto sé stessa, al di là di qualsiasi funzione ulteriore
attribuitale).
Trovando queste considerazioni insufficienti a rispondere alla domanda “Che cos’è arte” Goodman
spostò il problema su “Cosa funziona come arte?”.
Poiché arte è ciò che funziona come tale, Goodman indaga i sintomi dell’estetico (cioè di un
funzionamento artistico dell’opera). Ne individua 5 (v. punto 7).
I sintomi dell’estetico non sono condizioni né necessarie né sufficienti, taendono semplicemente ad
esservi…
Alla risposta arte è ciò che funziona come tale si può obiettare che per fare una simile affermazine è
necessario un antecedente, seppur vago, concetto di arte… (il problema dell’arte non è rispolto!).
La funzione poetica non riguarda il contenuto del messaggio quanto l’accordo di forma e contenuto.
Nel messaggio, grazie alla funzione poetica, si instaura una relazione di solidarietà tra la
dimensione del suono e del senso.
Non è unicamente connessa con la poesia, basta che ci sia la suddetta relazione di solidarietà tra
suono e senso. L’accordo di suono e senso genera picevolezza e questa genera abitudine (spesso gli
slogan pubblicitari hanno una funzione poetica).
Perché uno schema sia notazionale, questo deve essere munito di una congruenza con un campo di
riferimento, i suoi termini devono essere componibili oltre che disgiunti e differenziati sia
semanticamente che sintatticamente.
Un’opera d’arte è autografica se non possiamo distinguere tra proprietà costitutive e contingenti
(c’è differenza tra originale e copia).
Un’opera è allografica quando possiamo distinguere tra proprietà costitutive e contingenti e ciò sarà
possibile in virtù del fatto che si serve di una notazione (es. spartiti musicali, opere lettererie etc…).
[l’originalità di un’opera musicale sta nella stesura della paritura e nell’esecuzione, non nella
diffusione delle copie]
Il senso dell’opera d’arte può essere definito come l’autonomia della sua funzione artistica che sta
nella triplice tensione tra la tecnica che la produce fisicamente, le diverse funzioni a cui è destinata e
l’orizzonte dell’attenzione estetica in cui è collocata.
L’unità estetica di senso si trova nella tensione tra immanenza e trascendenza: tra intenzionalità
produttiva “disciplinata” da canoni di genere e stile, energia simbolica e suo effettivo dispiegarsi.
Un’opera d’arte è trascendente in quanto eccedenza di senso: è fonte e occasione di un continuo
riaccendersi di una relazione estetica che trascende tutti i significati storicamente pertinenti a tale
opera. (li trascende e li include al contempo).
Tuttavia l’opera è anche immanente: l’intenzionalità produttiva unisce il tecnico all’estetico e per
quanto l’estetico trascenda il tecnico non ne annulla la necessità.
L’intenzionalità produttiva farà i conti con i vincoli del genere e dello stile (v. pg 109 Forme
dell’Estetica). E’ falsa mitologia quella di una creatività senza presupposti.
Nel giudicare un’opera ci sarà un momento più prettamente estetico, emotivo (percezione) ed uno
cognitivo, noetico (comprensione).
11) 12) 13) prese da fadders 13) 15) per non frequentanti.
14) Il limite dell’artistico, finzione artistica e realtà. La questione del vincolo mimetico.
Anche se non sempre in maniera esplicita, abbiamo la consapevolezza della differenza tra mondo
fittizio delle opere e mondo della vita.
Il limite dell’artistico consiste nella dialettica di realtà e finzione (nella tensione tra pretesa
direttamente verietiera dell’arte e finzionalismo assoluto).
Da secoli si discute l’argomento. Il primo a farlo fu Platone per il quale non c’era alcun legame utile
tra realtà e finzione.
Ma Aristotele riabilitò l’arte come MIMESIS, prima forma di conoscenza.
La mimesis instaura con la realtà un rapporto imitativo e perfettivo che ci permette di formulare
ipotesi sul mondo reale e ciò che può accadere (l’opera d’arte ci mostra “mondi possibili”).
Questo è possibile grazie al vincolo mimetico dell’opera. Infatti l’opera può funzionare
simbolicamente a patto che i suoi segni siano in qualche misura riconoscibili.
Sarà l’immaginazione ad attivare i 5 stadi dell’interpretazione attraverso i quali si perviene ad un
giudizio di gusto.
Grazie al vincolo mimetico - forza e limite dell’opera d’arte - che lega i segni dell’opera al mondo
della vita, l’opera d’arte ci apre un “mondo possibile” che esprime la progettualità di un mondo
cresciuto oltre sé stesso.
L’arte ha carattere auto-riflessivo (comunica sé) ma non autoreferenziale (fa segno oltre sé).
Nella comprensione dell’opera vi è sempre una cognizione del sottile crinale tra finzione e verità.
Così nell’esperienza di un’opera d’arte comprendiamo sempre qualcosa dell’arte in generale
(autoriflessività).
Ma al contempo l’opera d’arte proietta l’uomo nel mondo e oltre esso. L’arte si protende oltre il
prorio limite. E’ processo anteriore ad ogni distinsione. (fa segno oltre sé).