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La parola "simbolo" viene dal latino symbolum che a sua volta si origina dal greco σύμβολον

[symbolon] ("segno") che a sua volta deriva dal tema del verbo συμβάλλω (symballo) dalle radici
σύν «insieme» e βάλλω «gettare», avente il significato approssimativo di "mettere insieme" due
parti distinte. [2]

In greco antico, il termine simbolo (σύμβολον) aveva il significato di "tessera di riconoscimento"


o "tessera hospitalitas (ospitale)", secondo l'usanza per cui due individui, due famiglie o anche
due città, spezzavano una tessera, di solito di terracotta o un anello, e ne conservavano ognuno
una delle due parti a conclusione di un accordo o di un'alleanza: da qui anche il significato di
"patto" o di "accordo" che il termine greco assume per traslato. Il perfetto combaciare delle due
parti della tessera provava l'esistenza dell'accordo.

Sostengono autori, come Hobbes e altri nel seguito della filosofia inglese come Peirce, e i
positivisti e neopositivisti della "logica simbolica", che il simbolo, nella sua funzione di "stare al
posto di" possa scambiarsi con il segno.

Charles W. Morris (1901–1979) per esempio, afferma che il simbolo è un segno che ha un
aspetto di convenzionalità maggiore rispetto ai segnali poiché chi esprime il simbolo lo usa
come alternativa al segno con cui s'identifica.

I simboli sono inoltre differenti dai segnali, poiché questi ultimi hanno un puro valore
informativo e non evocativo.

I simboli si differenziano anche dai marchi, che hanno un valore solamente soggettivo e che
vengono usati per indicare un'origine fattuale.

Hegel distingue il simbolo dal segno che «rappresenta un contenuto del tutto diverso da quello
che ha per sé.»[3] Mentre cioè nel segno il contenuto è del tutto diverso dalla sua
rappresentazione, nel simbolo l'oggetto simbolizzato è simile alla sua espressione simbolica così
come accade allo stesso modo con l'analogia.

« Il simbolo è più o meno il contenuto che esso esprime come simbolo[3]. »

Il simbolo può essere di due tipi:

 convenzionale, in virtù di una convenzione sociale;


 analogico, capace di evocare una relazione tra un oggetto concreto e un'immagine
mentale.

Ad esempio, il linguaggio parlato consiste di distinti elementi uditivi adoperati per


rappresentare concetti simbolici (parole) e disposti in un ordine che precisa ulteriormente il
loro significato.

I simboli possiedono un forte carattere intersoggettivo, in quanto sono condivisi da un gruppo


sociale o da una comunità culturale, politica, religiosa.

Se, come sostiene René Alleau una società senza simboli non può evitare di cadere al livello delle
società infraumane, poiché la funzione simbolica è un modo di stabilire una relazione tra il
sensibile e il sovrasensibile, sulla interpretazione dei simboli e sul loro impiego da sempre gli
uomini sono divisi. Tale atteggiamento è spesso dovuto al fatto che spesso l'uomo tenta di
trovare un significato ad un simbolo anche se questo non ne ha; può evocare e focalizzare,
riunire e concentrare, in modo analogicamente polivalente, una molteplicità di sensi che non si
riducono a un unico significato e neppure ad alcuni significati soltanto. All'interno del medesimo
simbolo vi sono evocazioni simboliche molteplici e gerarchicamente sovrapposte che non si
escludono reciprocamente, ma sono anzi concordanti tra loro, perché in realtà esprimono le
applicazioni di uno stesso principio a ordini diversi, ed in tal modo si completano e si
corroborano, integrandosi nell'armonia della sintesi totale. Questo che rende il simbolismo un
linguaggio meno limitato del linguaggio comune ed adatto per l'espressione e la comunicazione
di certe verità, facendone il linguaggio iniziatico per eccellenza ed il veicolo indispensabile di
ogni insegnamento tradizionale.

A questo punto vale la necessità di stabilire che il simbolo è diverso dall'allegoria che si esprime
preferibilmente tramite il linguaggio mentre il simbolo contiene di per sé quello che vuole
significare.

Un simbolo è qualcosa di più concreto, statico, assoluto rispetto all'allegoria. Per esempio,
un'aquila può essere simbolo di regalità, di forza, ecc. Anche un'aquila in volo o in un'altra
azione generica spesso ha valenza di simbolo, indipendente dal contesto entro il quale viene
posta. Quando invece il contesto è basilare nell'interpretazione si parla di allegoria; un'aquila
che, all'interno di una narrazione, scenda dal cielo e faccia una serie di azioni significative può
rappresentare un'immagine più complessa (ad esempio simboleggiava il Sacro Romano Impero
e in base alle azioni che può compiere nello specifico si può estrapolare una situazione politica
specifica). Spesso l'allegoria, nella sua complessità maggiore, ha un'interpretazione "soggettiva",
cioè legata al tipo di lettura che se ne fa. Il legame tra oggetto significato e immagine significante
nell'allegoria è arbitrario e intenzionale, a differenza del simbolo in cui è piuttosto
convenzionale; nell'allegoria non può essere decodificato in maniera intuitiva e immediata, ma
necessita di un'elaborazione intellettuale. L'allegoria è comunque sempre "relativa" (al
contrario di "assoluta"), ovvero è suscettibile di una discussione critica nella fase di
interpretazione.

Il simbolo quindi con un significato immediato contenuto al suo interno si può dire abbia una
valenza metafisica nascosta espressa da un intimo rapporto tra la raffigurazione sensibile
espressa nel simbolo e la sua valenza ideale.

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