Sei sulla pagina 1di 21

Nuova Accademia di Belle Arti Anno Accademico 2003-2004

CORSO DI TEORIA DELLIMMAGINE


PARTE PRIMA

Lo statuto dellimmagine

Dario Villa

LEZIONE 02

Lapproccio semiotico (teoria)

Ferdinand De Saussure (1857-1913)

Charles Sanders Peirce (1839-1914)

Segno, significato, significante

Il segno linguistico non unisce una cosa e un nome, ma un concetto e unimmagine acustica. Questultima non il suono materiale, cosa puramente fisica, ma la traccia psichica di questo suono, la rappresentazione che ci viene data dalla testimonianza dei nostri sensi: essa sensoriale, e se ci capita di chiamarla materiale, ci avviene solo in tal senso e in opposizione allaltro termine dellassociazione, il concetto, generalmente pi astratto []. Il segno linguistico dunque unentit psichica a due facce, che pu esser rappresentata dalla figura:

Questi due elementi sono intimamente uniti e si richiamano lun laltro. Sia che cerchiamo il senso della parola latina arbor sia che cerchiamo la parola con cui il latino designa il concetto albero, chiaro che solo gli accostamenti consacrati dalla lingua ci appaiono conformi alla realt, e scartiamo tutti gli altri che potrebbero immaginarsi.

Questa definizione pone un importante problema di ter minologia. Noi chiamiamo segno la combinazione del concetto e dellimmagine acustica: ma nelluso corrente questo termine designa generalmente soltanto limmagine acustica, per esempio una parola (arbor ecc.) []. Noi proponiamo di conservare la parola segno per designare il totale, e di rimpiazzare concetto e immagine acustica rispettivamente con significato e significante. Larbitrariet del segno Il legame che unisce il significante al significato arbitrario, o ancora, poich intendiamo con segno il totale risultante dallassociazione di un significante a un significato, possiamo dire pi semplicemente: il segno linguistico arbitrario []. In effetti, ogni modo despressione ereditato in una societ poggia in linea di principio su una abitudine collettiva o, ci che lo stesso, sulla convenzione.

Da: Ferdinand De Saussure, Cours de linguistique gnrale, Editions Payot, Paris, 1922. Trad it: Corso di linguistica generale, Einaudi, Torino, 2003, pp. 83-86.

Il segno 2.273. RAPPRESENTARE. Stare per, cio essere in una tale relazione con unaltra entit da essere trattato da qualche intelletto per certi scopi come se si fosse laltra entit []. Quando si vuole distinguere fra lentit rappresentante e latto o relazione di rappresentare, il primo pu essere detto representamen, il secondo rappresentazione. 2.228. Un segno, o representamen, qualcosa che sta a qualcuno per qualcosa sotto qualche rispetto o capacit. Si rivolge a qualcuno, cio crea nella mente di quella persona un segno equivalente, o forse un segno pi sviluppato. Questo segno che esso crea lo chiamo interpretante del primo segno. Il segno sta per qualcosa: il suo oggetto. 2.274. Un Segno o Representamen un Primo che sta in una tale relazione triadica genuina con un Secondo, chiamato il suo Oggetto, da essere capace di determinare un Terzo, chiamato il suo Interpretante, ad assumere la stessa relazione triadica con lOggetto nella quale si trova il Segno o Representamen stesso con lo stesso Oggetto. La Semiosi 2.303. Segno. Qualsiasi cosa che determini qualcosaltro (il suo Interpretante) a riferirsi a un oggetto a cui esso stesso si riferisce (il suo Oggetto) nello stesso modo, linterpretante divenendo a sua volta un segno, e cos via allinfinito. Senza alcun dubbio, la coscienza deve entrare nella serie. Se la serie degli interpretanti che si susseguono perviene alla fine, il segno perci reso imperfetto.

Classificazione dei segni 2.247. Un segno pu essere detto Icona, Indice o Simbolo. UnIcona un segno che si riferisce allOggetto che essa denota semplicemente in virt di caratteri suoi propri, e che essa possiede nello stesso identico modo sia che un tale Oggetto esista effettivamente, sia che non esista []. Una cosa qualsiasi, sia essa qualit, o individuo esistente, o legge, unIcona di qualcosa nella misura in cui simile a quella cosa ed usata come segno di essa. 2.248. Un Indice un segno che si riferisce allOggetto che esso denota in virt del fatto che realmente determinato da quellOggetto []. Lindice, perci, implica una specie di Icona, sebbene unIcona di un tipo peculiare; e non la pura somiglianza al suo Oggetto che lo rende segno, ma leffettiva modificazione subita da parte dellOggetto che lo rende tale. 2.249. Un Simbolo un segno che si riferisce allOggetto che esso denota in virt di una legge, di solito unassociazione di idee generali, che opera in modo che il Simbolo sia interpretato come riferentesi a quellOggetto []. Non soltanto il simbolo stesso generale, ma anche lOggetto al quale esso si riferisce di natura generale.
Da: Charles Sanders Peirce, Collected Papers, Belknap, Cambridge (Massachusetts), 1931 -1966. Trad. it (parziale): Opere , Bompiani, Milano, 2003.

Il gettare insieme del simbolo 2.297. La parola Simbolo ha gi tanti significati che laggiungerne un altro costituirebbe uningiuria al linguaggio. Io credo che il senso che io attribuisco alla parola Simbolo, cio quello di un segno convenzionale, oppure di un segno istituito in base a un abito ac quisito o innato, non sia poi tanto un nuovo significato, quanto piuttosto un ritorno al significato originario. Etimologicamente simbolo significherebbe una cosa gettata insieme []. Si dice di solito che nel termine simbolo il lanciare insieme deve essere inteso nel senso di congetturare []. I Greci, per contro, usavano molto spesso gettare insieme sym-ballein) per significare listituzione di un contratto o convenzione. E infatti troviamo che simbolo (symbolon) fin dalle origini e spesso era usato per significare una convenzione o contratto Aristotele chiama un nome un simbolo, cio un segno convenzionale. In Greco erano detti simboli, cio segnali convenuti, i fuochi degli accampamenti, le bandiere e le insegne, le parole dordine, i distintivi, il credo di una religione, poich serve come distintivo o segno di riconoscimento, un biglietto di tea tro, ogni biglietto o tagliando che autorizzasse una persona a ricevere qualcosa e, inoltre, qualunque espressione di sentimento.
Da: Charles Sanders Peirce, Collected Papers, Belknap, Cambridge (Massachusetts), 1931 -1966. Trad. it (parziale): Opere , Bompiani, Milano, 2003.

Lautoreferenzialit del simbolo Osserviamo anzitutto che [] il simbolo un segno: esso infatti rimanda ad altro da s. Tuttavia (e questo il punto essenziale) laltro a cui il simbolo rimanda ancora se stesso . Per questo nella figura abbiamo indicato le due met dellintero simbolo con due A. In che senso rimanda a se stesso? Lintero spezzato del simbolo rinvia allo stesso intero non ancora spezzato. E cos pure, le sue due parti stanno, ognuna, per lunit integra dalla quale derivano e che esse rappresentano. Ognuna di esse l per dire: io sono ci che sono perch derivo il mio essere da quellunit che mi con-teneva, mi teneva insieme []. Ma che cosa fa di un simbolo ci che esso ? In altri termini: che cosa che sym-ballei, mette assieme? Ebbene, ci manifestamente la fessura: la fessura che sym-ballei che mette assieme. essa che unisce distanziando e distanzia unificando. in questo modo che le due met sono lo stesso []. Il simbolo, la funzione simbolica, costituisce il fondamento e il carattere originario di og ni segno. Ovvero ci che fa di un segno un segno. Il simbolo (inteso appunto come symbolon) non un segno particolare, ma ci che incarna la funzione segnica in quanto essa rimanda ad altro da s, ma, originariamente, rinvia a s da s []. La funzione di rimando dei segni, questo grande enigma, non riposa dunque sulla presenza preventiva della realt del designato (sull oggetto) o sulla presenza preventiva delle intenzioni designative dellanima (sul soggetto). Essa riposa sulla funzione simbolica (symballica) in quanto questa rinvia originariamente a se stessa, o allo stesso.
Da: Carlo Sini, I segni dellanima, Laterza, Roma-Bari, 1989, pp. 166-67.

Il discorso di Aristofane La figura di ciascun uomo era tuttintera rotonda, con il dorso e i fianchi a forma di cerchio; aveva quattro mani e tante gambe quante mani, e due volti su un collo arrotondato del tutto uguali. E aveva ununica testa per ambedue i visi rivolti in senso opposto, e quattro orecchi e due organi genitali. E tutte le altre parti ciascuno se le pu immaginare da queste cose che ho detto. Camminava anche dritto, come ora, in quella direzione che volesse. E quando si metteva a correre velocemente, come i saltimbanchi che volteggiano in cerchio a gambe levate, appoggiandosi sulle membra che allora erano otto, si spostava rapidamente ruotando in cerchio []. Erano terribili per forza e per vigore e avevano grande superbia, tanto che cercarono di attaccare gli dei []. Zeus e gli altri dei, allora, tennero consiglio per decidere sul da fare e rimasero nel dubbio: infatti, non potevano ucciderli, e, fulminandoli come fecero con i Giganti, annientarne la razza, perch sarebbero scomparsi anche gli onori e i sacrifici che provenivano loro dagli uomini; e daltra parte non potevano permettere quelle insolenze. Dopo aver a lungo meditato, Zeus disse: Mi pare di aver a disposizione un mezzo che permetterebbe che gli uomini possano continuare a esistere, e, divenuti pi deboli, cessino di essere cos sfrenati. Infatti ora continu io li taglier ciascuno in due, cosicch da un canto, essi saranno pi deboli, e, daltro canto, saranno pi utili a noi, perch diventeranno maggiori di numero. E cammineranno diritti su due gambe. Ma se riterranno ancora di comportarsi in modo insolente e non vorranno starsene tranquilli, ancora una volta disse io li taglier in due, in modo che saranno costretti a camminare su una gamba sola. Dopo aver detto questo, tagli gli uomini in due, come que lli che tagliano le sorbe per farle essiccare, o come quelli che tagliano le uova con un crine []. Allora, dopo che loriginaria natura umana fu divisa in due, ciascuna met, desiderando fortemente laltra met che era sua, tendeva a raggiungerla []. Dunque, da cos tanto tempo connaturato negli uomini il reciproco amore degli uni per gli altri che ci riporta allantica natura e cerca di fare di due uno e di risanare lumana natura. Ciascuno di noi, pertanto, come una contromarca di uomo, diviso com da uno in due, come le sogliole. E cos ciascuno cerca sempre laltra contromarca che gli propria.

Da: Platon e, Simposio, Bompiani, Milano, 2000, VIII, 189 D-191 D, pp. 85-89.

LEZIONE 03

Lapproccio semiotico (prassi)

Il calligramma (ovvero: del rapporto tra testo e immagine) Nella sua tradizione millenaria il calligramma ha un triplice ruolo: compensare lalfabeto; ripetere senza il soccorso della retorica; prendere in trappola le cose con una doppia grafia. Innanzitutto esso accosta il pi possibile luno allaltra il testo e la figura [] e fa dire al testo ci che il disegno rappresenta []. In quanto segno, la lettera permette di fissare le parole; in quanto linea, essa permette di raffigurare la cosa. Perci il calligramma si propone di cancellare ludicamente le pi antiche opposizioni della nostra civilt alfabetica: mostrare e nominare; raffigurare e dire; riprodurre e articolare; imitare e significare; guardare e leggere []. Per chi lo guarda il calligramma non dice, non pu ancora dire: questo un fiore, questo un uccello; ancora troppo chiuso nella forma, troppo soggetto alla rappresentazione mediante somiglianza per formulare una simile affermazione. E quando lo si legge [] non un uccello, non pi un acquazzone. Poco importa se per astuzia o per impotenza, il calligramma non dice e non rappresenta mai nello stesso momento; quella stessa cosa che si vede e che si legge taciuta nella visione, nascosta nella lettura.
Da: Michel Foucault, Ceci nest pas une pipe, Fata Morgana, Montpellier, 1973. Tr. it: Questo non una pipa, SE, Milano, 1988, pp. 23-32

Testo e immagine nella cultura orientale La tecnica usata per la calligrafia o per il dipinto quella del sumie (cinese shui-mo): inchiostro e acqua []. anzitutto da notare che, contrariamente a quanto avvenuto in Occidente, in Cina e in Giappone scrittura e pittura sono state da sempre due tecniche intrinsecamente connesse, dal punto di vista tecnico ma anche da quello semantico []. Identici diventano non solo gli strumenti (pennelli, inchiostri, carte e sete), ma anche lo spazio fisico e i movimenti compositivi []. lelemento pittorico e, in particolare, luso del pennello (pi o yu) che decide, una volta per sempre, il fatto che le sup erfici sulle quali scrivere [] non siano pi da graffiare, ma da sfiorare, da accarezzare: dal momento in cui, per scrivere, si cominci ad usare il pennello, ossia a dipingere i caratteri (e non a scriverli), la scrittura dovette necessariamente diventare bella scrittura, kalligrapha, o non essere del tutto []. A rimarcare la profonda affinit tra calligrafia e pittura sta il fatto che assai spesso nello spazio bianco di un dipinto sono tracciati i caratteri di un testo.
Da: Giangiorgio Pasqualotto, Lestetica del vuoto, Marsilio, Venezia, 1992, pp. 90-92

Lorigine dellalfabeto Gi i pi antichi studiosi sostenevano lesistenza di una corrispondenza tra il nome delle lettere e il loro valore fonetico. Alpha, perci, corrisponde ad a, beta a b, ecc. Ma Alfred Kallir, contro lopinione generale, sostiene anche la corrispondenza tra gli oggetti ai quali i nomi delle lettere si riferiscono e i disegni dei simboli alfabetici []. Ora, Aleph in lingua semitica significa originariamente b ue. Ma come il segno corrispondente A (che i semiti tracciavano ) possa far venire in mente un bue, nemmeno la fantasia pi sbrigliata potrebbe scoprirlo. Tuttavia, poich la scrittura alfabetica stata preceduta da segni pittografici (le cui origin i affondano nella notte dei tempi), possiamo supporre che risalendo alle pitture paleolitiche e poi ai geroglifici si possa riscoprire una traccia utile per il nostro problema. Cos infatti. Dalla rappresentazione naturalistica e completa del bue e del t oro nelle grotte paleolitiche e poi nei geroglifici, passiamo alla rappresentazione, sempre pi stilizzata, della sola testa. Tra le varie serie rintracciate da Kallir, particolarmente significativa la seguente, tratta da segni di scrittura dellisola di Creta:

Ora scopriamo nella nostra A il profilo stilizzato del bue.


Da: Carlo Sini, I segni dellanima, Laterza, Roma-Bari, 1989, p.p. 150-151. Dellautore citato: Alfred Kallir, Sign and design. The psychogenetic source of the alphabet , Latimer, Trend and Co., Plymouth, 1961. Tr. it.: Segno e disegno: psicogenesi dell'alfabeto , Spirali/Vel, Milano, 1994.

Segno e immagine Ci che agisce come segno (veicolo segnico), ci cui il segno si riferisce (designatum), leffetto su di un interprete (interpretante), non arduo recuperarlo nellimmagine -opera darte, una volta che questa si consideri, non gi nella sua essenza o nel suo processo creativo, ma nella recezione che se ne fa nel mondo o, pi esattamente, nella coscienza individuale. Neppure la pittura astratta, infatti, pu dirsi mancare del tutto di designatum: anzi si pone naturalmente come veicolo segnico a un interpretante, proprio per lindeterminatezza oggettiva e la carenza di un designatum manifesto; con che viene a ricostruirsi sotto la triangolazione specifica del segno. Ed eliminato lapparente scoglio della pittura astratta, chiaro che tutte le altre opere darte passano agevolmente sotto la categoria del segno []. Ma si potrebbe sostenere linverso, cio che ogni segno immagine []. Lorigine del segno, come dellimmagine, andr cercata alla radice stessa del conoscere, appunto perch il divaricarsi dellimmagine come segno dallimmagine come immagine induce un ceppo comune, una disponibilit originaria, e uno stadio precontestuale della conoscenza []. Dal ceppo originario dellimmagine divergono ormai i due rami: il primo, che nellimmagine stessa trova il veicolo per trasmettere e comunicare un nucleo di sapere (conoscenza), si svilupper nel linguaggio e nella scrittura, agevolando lascesa al concetto. Il secondo ramo, che quello dellimmagine vera e propria, svilupper la diretta specularit dellimmagine nel senso di una figurativit che da conformazione sinnalza a forma: il suo punto di arrivo sar dunque la realt pura dellarte []. Segno e immagine sono dunque allorigine la stessa cosa che la coscienza rivolge in due direzioni diverse.
Da: Cesare Brandi, Segno e immagine, Aesthetica, Palermo, 1960-1996, pp. 9-14

LEZIONE 04

Limmagine come medium

Il medium il messaggio In una cultura come la nostra, abituata da tempo a frazionare e dividere ogni cosa al fine di controllarla, forse sconcertante sentirsi ricordare che, per quanto riguarda le sue conseguenze pratiche, il medium il messaggio. Che in altre parole le conseguenze individuali e sociali di ogni medium, cio di ogni estensione di noi stessi, derivano dalle nuove proporzioni introdotte nelle nostre questioni personali da ognuna di tali estensioni o da ogni nuova tecnologia. Il messaggio di un medium o di una tecnologia nel mutamento di proporzioni, di ritmo o di schemi che introduce nei rapporti umani.

Un esempio illuminante La luce elettrica non appare a prima vista un medium di comunicazione proprio perch non ha un contenuto. E questa una prova senza pari di come la gente trascuri lesame dei media. Soltanto quando viene usata per diffondere il nome di una marca, ci si accorge che la luce elettrica un medium. Il messaggio della luce elettrica , come quello dellenergia elettrica nellindustria, totalmente radicale, permeante e decentrato. Luce ed energia infatti sono due cose diverse per gli usi che se ne fanno, ma nella societ umana eliminano fattori di tempo e di spazio esattamente come la radio, il telegrafo, il telefono e la TV, creando una partecipazione in profondit.

Media caldi e freddi C un principio base che distingue un medium caldo come la radio o il cinema, da un medium freddo come il telefono o la TV. I media caldi non lasciano molto spazio che il pubblico debba colmare o completare; comportano perci una limitata partecipazione, mentre i media freddi implicano un alto grado di partecipazione o completamento da parte del pubblico. Un medium freddo, quale il geroglifico o lideogramma, ha effetti ben diversi da quelli di un medium caldo ed esplosivo come lalfabeto fonetico.

Il rapporto fra un medium e laltro Il contenuto di un medium sempre un altro medium. Il contenuto della scrittura il discorso, cos come la parola scritta il contenuto della stampa e la stampa quello del telegrafo. Nessun medium esiste o ha significato da solo, ma soltanto in un continuo rapporto con altri media.

Da: Marshall McLuhan, Understanding media, 1964. Tr. it.: Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano, 2002, pp. 15-35.

LEZIONE 05

Immagine analogica e digitale

Le quattro modalit dellessere Possibile e virtuale hanno chiaramente un tratto in comune, ed il motivo per cui spesso vengono confusi: sono entrambi latenti, non manifesti. Anzich decretare una presenza, essi preannunciano un futuro. Il reale e lattuale, invece, sono entrambi patenti e manifesti. Incuranti delle promesse, essi ci sono e ci sono davvero. Ma come fare per capire lo iato che separa il possibile dal reale, da un lato, e il virtuale dallattuale, dallaltro? []. Il virtuale, dallessenza problematica, una sorta di situazione soggettiva, di configurazione dinamica di tendenze, forze, finalit e limitazioni che si risolvono in unattualizzazione. Lattualizzazione un evento, nel senso forte del termine. Si compie un atto che non era predefinito in alcun luogo e che a sua volta modifica la configurazione dinamica nella quale assume significato. Larticolazione dellattuale e del virtuale anima la dialettica stessa dellevento, del processo, dellessere come creazione. La realizzazione invece, opera una selezione tra dei possibili predeterminati, gi definiti. Potremmo dire che il possibile una forma alla quale la realizzazione conferisce una materia. Questa articolazione della forma e della materia caratterizza un polo della sostanza, opposto a quello dellevento. Da: Pierre Lvy, Il virtuale, Cortina, Milano, 1997, p. 129.

Latente Concetto Idea POSSIBILE VIRTUALE

Manifesto REALE ATTUALE

LEZIONE 06

Remediation

Un nuovo concetto? Rimediazione non qualcosa che inizia con lintroduzione dei media digitali. Possiamo individuare questo stesso processo attraverso centinaia di anni di rappresentazione visuale in Occidente. Una definizione Chiamiamo la rappresentazione di un medium in un altro rimediazione. La doppia logica della rimediazione La nostra cultura vuole sia moltiplicare i media, sia cancellarne tutte le tracce di mediazione: idealmente, vuole cancellare i media tramite lo stesso atto con cui li moltiplica. Immediatezza Limmediatezza volta a rendere linterfaccia di un computer naturale piuttosto che arbitraria []. La realt virtuale, la grafica tridimensionale e il design delle interfacce cercano di rendere la tecnologia digitale trasparente. In questo senso, uninterfaccia trasparente cerca di cancellare se stessa, in modo che lutente non sia pi consapevole del suo interfacciarsi con un medium, ma sia piuttosto preso da una relazione immediata con il medium. Ipermediazione Ipermediazione sinonimo di molteplicit. Se la logica dellimmediatezza conduce a cancellare o rendere automatico latto di rappresentazione, la logica dellipermediazione riconosce molteplici atti di rappresentazione e li rende visibili. Laddove limmediatezza suggerisce uno spazio visivo unificato, lipermediazione contemporanea offre uno spazio eterogeneo, in cui la rappresentazione concepita non come una finestra sul mondo, ma piuttosto come essa stessa racchiusa in una finestra []. In ogni sua manifestazione, lipermediazione ci rende consapevoli del medium o dei media e (in modi spesso sottili e talvolta ovvi) ci ricorda il nostro desiderio di immediatezza []. In senso epistemologico, immediatezza trasparenza: lassenza di mediazione o rappresentazione []; lipermediazione opacit la consapevolezza del fatto che la conoscenza del mondo ci arriva attraverso media []. Lappello allautenticit dellesperienza ci che tiene insieme la logica dellimmediatezza e quella dellipermediazione. Questo appello costruito socialmente []. Ci che sembra immediato a un gruppo risulta altamente mediato per un altro. Ogni mediazione una rimediazione Ogni mediazione rimediazione. Non stiamo sostenendo questo come una verit a priori, ma piuttosto che in questo momento storico tutti i media odierni funzionano come rimediatori e che la rimediazione ci offre anche possibilit per interpretare la funzione di media pi antichi []. In prima istanza, possiamo pensare a qualcosa di simile a una progressione storica, con media pi nuovi che ne rimediano di pi vecchi e in particolare di media digitali che rimediano i loro predecessori. Ma la nostra una genealogia di affiliazioni, non una storia lineare, e in questa genealogia media pi vecchi possono anche rimediare media pi recenti []. Nessun medium, a quanto pare, pu oggi funzionare indipendentemente dagli altri.

Brani da: J.D. Bolter, R. Grusin, Remediation, MIT Press, Cambridge, 1999, pp. 5-71.

LEZIONE 07

Retorica dellimmagine

Se limmagine contiene dei segni, si pu dunque essere certi che in pubblicit questi segni sono pieni, formati in vista della migliore lettura possibile: limmagine pubblicitaria franca, o perlomeno enfatica. Ogni immagine polisemica: essa implica, al di sotto dei suoi significanti, una catena fluttuante di significati, che il lettore pu in parte scegliere e in parte ignorare. Non si incontra mai (almeno in pubblicit) unimmagine letterale allo stato puro.
Da: Roland Barthes, Retorica dellimmagine. In Id, Lovvio e lottuso, Einaudi, Torino, 2001, pp. 23-31.

Immagini tra realt e finzione

Tutta la vita delle societ nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione si presenta come unimmensa accumulazione di spettacoli. Tutto ci che era direttamente vissuto si allontanato in una rappresentazione. Guy Debord, La societ dello spettacolo, Baldini&Castoldi, Milano, 2001, p. 53.

Viviamo in un mondo in cui la suprema funzione del segno quella di far scomparire la realt e di mascherare nel contempo questa scomparsa. Oggi larte non fa altro. Oggi i media non fanno altro. Ecco perch sono condannati al medesimo destino. Jean Baudrillard, Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realt?, Raffaello Cortina, Milano, 1996, p. 9.

L'unica realt di cui siamo sicuri la rappresentazione, cio l'immagine, cio la non-realt, dato che l'immagine rimanda a una realt sconosciuta. Edgar Morin, Il cinema o luomo immaginario, Feltrinelli, Milano, 1982, p. 18.

La menzogna e la falsit non si trovano nelle immagini, ma nei discorsi che le accompagnano o le promuovono. Franois, Jost, Realt/finzione. Limpero del falso, Il Castoro, Milano, 2003, p. 77.

Delle cose reali e delle cose supposte: Bonolis vs. Greggio-Iacchetti La sera del 19 gennaio 2004 segna un punto di non-ritorno - l'inversione dello spazio-tempo, la coincidenza degli opposti, il reale sovrapposto al virtuale - nell'immaginario di chi si nutre di immagini: vedere Bonolis che, su RaiUno, mostra spezzoni di Striscia la notizia che mostra immagini di Affari tuoi, esattamente nel momento in cui su Canale5 Striscia la notizia - tramite i suoi conduttori stavolta un po' meno faceti; anzi, a guardare bene, un po' tirati - mostrava estratti di Bonolis che parlava di Striscia la notizia che parlava male di Affari tuoi, stato superbo. Quanti chilometri di pellicola narrano del conflitto tra mondo percepito e mondo concreto, quanti film hanno giocato sul rapporto tra realt e finzione, quanti miliardi di fotogrammi sono stati stampati nel tentativo di impressionare il nesso mediologico tra verit e descrizione della verit? "Ci sono cose reali e cose supposte", ha detto Bonolis; "le reali", ha proseguito, "le abbiamo sistemate: rimangono da sistemare le supposte". Che, per una volta, non saranno disciplina medica ma di magistratura. Bonolis, invero, nonostante i quaranta minuti impiegati, non ha spiegato tutto: i suoi sillogismi verranno - facile prevederlo - studiati, analizzati, semanticamente rivoltati ed infine usati contro di lui; lui, reo di averla presa sul serio, lui che a Striscia si era divertito ed era arrivato a dichiarare pubblicamente che "Greggio e Iacchetti sono buoni amici", lui che - partecipe del teatrino della televisione pubblico-privata (o privato-pubblica) - non ha voluto subire il tentativo della principale concorrente della tv di Stato sul mercato degli spot di riprendersi i suoi spazi (leggasi: decine di milioni di euro a punto percentuale di audience) a tutti i costi. Ma Bonolis, il 19 gennaio 2004, ha avuto un grande merito: quello di scoperchiare, anche se solo per qualche secondo, il pentolone della televisione, e di farci annusare l'olezzo della pietanza marcia che - negli orari canonici, s'intende: quelli in cui "la maggioranza" la guarda - continua a preparare: la tv delle verit lacrimate in diretta, delle tetteculi viste e riviste alle sei di sera (quando L'Esorcista alle otto e mezza non pu vomitare come gli pare, a causa di genitori ansiosi per il futuro dei loro piccoli tesori, imperatori del telecomando), delle "scosse" di testosterone che fanno minacciare sfracelli da parte di fini dicitori di domandine da trivial pursuit. Peccato che non sia andato fino in fondo. Parliamo del centralissimo, topico momento in cui il presentatore/intrattenitore ha mostrato un montaggio di interviste a favore del "personaggio" Bonolis; montaggio utilizzato (in contrasto con quello simile ma opposto utilizzato nei giorni passati da Ricci & co.) per spiegare il meccanismo di potente capacit persuasiva che hanno le immagini - sapientemente collegate - in contesti di particolare stato emotivo (meglio: di sollecitazione e partecipazione emotiva) del fruitore delle stesse: tanto che cinque-sei persone intervistate "per la strada" che dicono che Bonolis bravo fanno concludere che "Bonolis bravo", e se dicono che "la tal legge, o il tal cantante fa schifo" allora vuol dire che quella legge, o quel cantante, fanno proprio schifo. Bisognava andare fino in fondo: selezionare quelle interviste - ce ne saranno state - che riportavano opinioni non del tutto nette, e separarne in montaggi e quindi visioni successive le sole parti "positive" e le sole parti "negative", mostrando cos come le stesse persone sembravano dire bene e male dello stesso "fenomeno". Non proprio un effetto Kulesov, ma quasi. E cos facendo, in un momento irripetibile di tv-verit, fare finalmente - e contemporaneamente - la tv di servizio che una tv di Stato, sovvenzionata dai cittadini di questo Stato, deve fare: e mandare in onda una lezione completa di "Teoria e tecnica delle applicazioni mass-mediologiche" o di "Introduzione alla semiotica del cinema" alle otto di sera, e non alle tre del mattino, su Rieducational Channel... Umberto Martino

Da Sentieri Selvaggi, http://www.sentieriselvaggi.it/articolo.asp?idarticolo=6486&idsezione=41

Potrebbero piacerti anche