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SEMIOTICA DELL’ARTE

19.03.2020
Introduzione:
Semiotica di Umberto Eco.

La semiotica che si è fatta negli ultimi decenni non è una semiotica dell’arte viene trattata
come fosse una qualunque immagine, in genere semiotica dell’arte, proprio perché la
semiotica generativa, quella di Greymas ha sviluppato dei mezzi analitici che sembrano
più rigorosi è greymasiana ma non ci sono riflessioni da tanto tempo. Molto spesso di fa
semiotica dell’immagine, di semiotica delle professioni artistiche ce n’è poca e questa
espressione risulta insensata perché l’arte può sfruttare diversi sensi semiotici e dovrebbe
quindi occuparsi degli aspetti semiotici del fenomeno artistico ed estetico, non sono la
stessa cosa mentre la semiotica di Eco si è occupata di questioni estetologiche capendo
che cosa sia il fenomeno estetico. Queste due parole sebbene siano correlate non sono
sinonime.

L’arte dal punto di vista semiotico è un fenomeno culturale e culturale. Formaggio,


estetologo ha scritto “arte tutto ciò he gli uomini hanno chiamato arte”, i testi e le
operepossono avere delle caratteristiche estetiche ma perché siano arte devono essere
considerate tali.

Noi ci occuperemo degli aspetti estetici che alcune opere possono avere, capendo come
il gioco dell’arte possa essere un gioco anche linguistico. Il fenomeno estetico è una
questione di gradi che possiamo vedere sia nelle pubblicità in primo luogo e salendo
anche nelle opere d’arte. Possiamo dire che il fenomeno estetico può condurre, un’opera
Rica e che assolve alla funzione estetica è candidata a diventare un’opera d’arte ma ha
comunque bisogno dell’approvazione della società.

Un’opera ricca, che assolve alla funzione estetica in un modo particolare assume una
valore semiotico.

Che cos’è la semiotica?


Definita come dottrina o scienza dei segni.

Segno = qualcosa che significa qualcos’altro - opera di Magritte con un cavallo, un


disegno del cavallo e una persona che pronuncia la parola “cheval” sono tre modi di
approcciarsi alla realtà sui quali indaga la semiotica.

La semiotica parla di segni a proposito di fenomeni atmosferici (nuvola nera che indica la
pioggia imminente). Le parole sono segni perché ci permettono di parlare di cose che non
ci sono ci permettono di indicare oggetti concreti del mondo.

Anche i disegni, i dipinti, le fotografie e i simboli algebrici vengono considerati come


segni, è quindi legittimo accomunare cosa tanto diverse? Questa è stata una delle
critiche più feroci rivolte alla semiotica, critica alla quale ha risposto Eco.

Sembrava che la semiotica si volesse sostituire alla sociologia, all’antropologia sociale, al


linguaggio, alle scienze umane, smuovendo numerose critiche poiché considerata troppo
pretenziosa.

La critica che Roger Scruton

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Filosofo inglese. In uno scritto del 1980 sostiene che l’idea stessa di una disciplina che si
occupasse in generale dei segni fosse un’idea senza fondamento, radicata in una fallacia,
dunque impossibile. Egli dice che è possibile una scienza dei pesci perché sono fatti allo
stesso modo e obbediscono alle stesse leggi, ne individuiamo una essenza specifica, i
pesci sono concreti visibili, quindi una scienza possiamo farla.

Una scienza dei bottoni non è possibile, perché sono fatti in un modo diverso, e
assolvono solo ad una funzione.

Secondo Scruton i segni sono simili ai bottoni: che cos’hanno in comune una parola, una
nuvola, un segnale stradale, un dipinto? nulla. Al massino tutti significano qualcosa (unica
cosa che hanno in comune). Ma sono cose diverse. Non può la semiotica assumersi
questo lusso di poter parlare di tutto.

La critica di Gilbert Hartman


In uno scritto del 1977, il problema diviene l’ambiguità del verbo “significare”: il fumo
significa fuoco, la parola combustione può significare il fuoco, così come l’immagine di un
uomo significa l’uomo rappresentato. In ognuno di questi casi sarebbero in gioco
fenomeni diversissimi che dovrebbero essere oggetto di tre teorie diverse: una teoria del
significato inteso compreso (e comunicato) nel caso di combustione, una teoria della
prova (e dell’inferenza) nel caso del fumo, e una teoria della rappresentazione pittorica
nell’ultimo caso.

Le risposte di Eco:

Eco risponde alle critiche gli vengono mosse stando al gioco e provando definire una
scienza dei bottoni.

Egli definisce una “scienza dei bottoni”, una bottonologia comparata, dicendoci che “una
volta definito un bottone è sia fabbricabile che riconoscibile”. La sua definibilità non
concerne solo una funzione ma anche una sua morfologia di base, una chiusura lampo
può essere fatta in modo diverso dalle altre ma sarà sempre una chiusura, deve essere
fatta in una certa maniera. D’altra parte esistono “generi” che senza essere artificiali sono
in qualche modo “funzionali”, come padre e presidente: il concetto di padre e quello di
presidente lo vediamo incarnato da qualcuno ma è un concetto funzionale perché indica
una funzione. Se Scruton vuole dire che lo studio dei pesci è diverso da quello dei ruoli
parentali o sociali ha ragione e se vuole riservare il nome dissidenza alle scienze naturali
basta intendersi, ma in tal caso il bersaglio verrà a trovarsi in ottima compagnia perché
l’economia si applica a cose diverse a seconda dei periodi, una moneta o una spiga
possono essere scambiate con qualcosa. ???

Risposta di Eco 2:
“un tale ha all’occhiello un distintivo con una falce e un martello”. Si è di fronte a un caso
di significato inteso” ovvero quello vuole comunicare di essere comunista, quel distintivo
rappresenta la fusione tra operai e contadini o è una prova inferenziale se porta quel
distintivo allora è comunista, si tratta di un ragionamento (se…allora).

Lo stesso evento rientra sotto l’egida di quelle che per Harman sono tre teorie diverse.

È naturale che uno stesso fenomeno possa essere studiato da teorie e scienze diverse:
quel distintivo ricade sotto la sfera della chimica inorganica per la materia di cui è fatto,
della fisica in quanto soggetto alla gravità, della merceologia in quanto prodotto
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industriale e commerciabile. Ma nel caso in esame e contemporaneamente oggetto delle
tre teorie di significato, della rappresentazione e della prova proprio e solo in quanto esso
non sta per se stesso: non sta per la sua composizione molecolare per la sua tendenza a
cadere verso il basso e per la sua impacchettabilità ma sta fuori di esso. Un segno
rimanda, sostituisce e significa qualcos’altro, secondo le modalità dell’inferenza, che non
è all’interno del segno stesso ma fuori e che sicuramente sarà assente.

La nozione di segno definire sia le parole che le nuvole, i bottoni, in quanto essi siano
considerati come qualcosa che sta al posto di qualcos’altro secondo le modalità di
inferenza. Ciò di cui si occupa la semiotica non sono è genere naturali né artificiali né
funzionali: è un rapporto di mediazione, sono le condizioni sotto le quali una attività
interpretativa può riconoscere qualsiasi oggetto come un’entità semiotica.

Ogni discorso semiotico è per Eco un discorso filosofico. I segni non esistono, non sono
in natura. È quasi una sorta di antropologia culturale. Diceva questo in quanto era
convinto che ogni fenomeno culturale può essere studiato da un punto di vista semiotico.
La semiotica studia i processi culturali come processi di comunicazione. Anche l’orso che
lascia la sua impronta comunica qualcosa, per l’interprete significa qualcosa nonostante
l’orso non ne avesse intenzione.

La semiotica si occupa di qualunque oggetto di qualunque cosa che possiamo fare solo
perché esso e solo perché lo guardiamo come esso rimanda a qualcos’altro.

I segni in natura non ci sono, se io giro per il bosco non trovo dei segni, essi diventeranno
tali solo quando noi li definiremo tali.

Per esempio: io giro per una foresta e trovo per terra un’impronta, l’orso che l’ha lasciata
non vuole produrre un segno che sta per il suo passaggio o comunicare qualcosa io che
lo guardo lo interpreto come segno e capisco che è passato un orso.

Tutti i processi culturali e anche i fenomeni naturali che diventano culturali nel momento in
cui sono significativi per una società, in passato si analizzare il fegato di un animale
oppure si guardava il cielo trovandoci dei segni nelle nuvole. Secondo questi approcci
tutti i fenomeni culturali sono processi di comunicazione, anche l’orso che lascia la sua
impronta è significativo e comunica qualcosa per chi gli da significato.

Tuttavia tali processi perché esistano, sussistono perché al di sotto ci sono degli elementi
di significazione che significano due cose:

1- la semiotica è un’impresa filosofica (semiotica generale) che indaga le condizioni di


possibilità dei segni, cosa deve succedere affinché ci sia segno. È un campo di studi, non
è una disciplina scientifica. C’è chi si occupa di linguaggio, chi di immagini pittoriche,
esiste anche la zoo-semiotica perché anche essi comunicano (nel caso dei serpenti, uno
del branco emette un suono e tutti gli altri guardano in tutte le direzioni, se avesse detto
leone allora non avrebbero guardato in alto). Un determinato segno sta per un significato.
Siccome ne esistono diversi la semiotica non è una disciplina scientifica ma per Eco è
un’attività di tipo filosofico, ma non tutti la pensano così. esisteranno poi le semiotica
specifiche che studieranno i sistemi semiotici particolari.

2- Con “semiotica” si intende lo studio di un sistema semiotico; o il sistema semiotico


studiato. Per semiotiche specifiche si intendono i linguaggi verbali o altri tipi di linguaggi
quali sistemi strutturali di significazione.

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Con semiotica si può indicare lo studio di un sistema semiotico, quindi la semiotica del
linguaggio verbale e il linguaggio dell’arte o il sistema semiotico studiato tipo l’arte la
possono considerare come l’arte. Posso indicare sia la teoria che l’oggetto come
semiotica. (ambivalenza di definizione). Ogni sistema di significazione viene anche
chiamato semiotica.

3- perché si dia un segno è sufficiente che ci sia un interprete. Anche se qualcuno non ha
emesso intenzionalmente il segno per comunicare qualcosa, il segno sussiste comunque
basta che ci sia un interprete che ne da un significato per esempio l’orologio che va
avanti non vuole comunicare nulla ma per me che sono in ritardo mi fa capire che è segno
del mio ritardo. Qualunque cosa può essere interpretata come un segno per esempio un
ombrello lasciato fuori dall’aula e io so a chi appartiene quello diventa segno della
presenza della persona che lo ha lasciato.

4-il fatto che esistano dei “sistemi di significazione” i segni di organizzano in sistemi, su
questo sono tutti d’accordo.

Perché ci sia un segno è sufficiente che ci sia un interprete, anche se qualcuno non ha
emesso intenzionalmente il segno allora il segno sussiste lo stesso basta che ci sia un
interprete che lo osserva.

Su questi tre punti precedenti non tutti sono d’accordo per quella di Greimas:

1. La semiotica è una disciplina di vocazione scientifica e non un campo.

2. Non c’è differenza tra semiotica generale e specifiche.

3. Non c’è una ragione particolare per considerare i processi logici dell’interpretazione
che invece sono soggetti di studi per una semiotica interpretativa come quella di Eco.

Quali sono i meccanismi di inferenza e quale sia l’inferenza a Greimas non interessa.

Per altri perché ci sia segno è necessaria un’intenzione comunicativa intenzionale. Per
molti il segno per eccellenza è quello linguistico, sebbene la storia del pensiero semiotico
saldi piuttosto tardo il problema del segno con quello del linguaggio verbale. La saldatura
avviene per due motivi, siamo nel IV secolo dopo Cristo e di semiotica e del problema del
segno si parla dall’epoca mesopotanica e con Bagaleno il cui parla della semiotica
medica. Tutti hanno parlato del problema del segno.

Per Platone già c’era in minimo di saldatura per molti altri queste due cose rimanevano
distinte.

È come se la semitica fosse nata più volte. In epoca moderna il primo a parlarne fu
Locke.

L’origine istituzionale viene collocata nel 1964: Roland Barthes scrisse Elementi di
semiologia, in cui propone di usare i concetti e categorie della linguistica strutturale per
l’analisi di fenomeni sociali e culturali più ampi. Il suo primo lavoro si basa su un’analisi
del vestiario.

Nascita e sviluppi della semiotica:


Da quel momento di sviluppano due strade: una semiotica linguistico-strutturale che lega
la propria origine al nome del linguista svizzero Ferdinand De Saussure, un linguista che si
occupava di proteistica, dello sviluppo delle lingua per poi occuparsi di linguistica in
senso strutturale anche se egli non parla mai di struttura ma si sistema. E una semiotica
filosofico-cognitiva (interpretativa) legata al nome del filosofo Charles Sanders Peirce, un

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genio con un cattivo carattere, scienziato e filosofo della conoscenza che grazie ad Eco si
fonde con quella strutturalista.

Ci occuperemo di Eco prendendo in esame sia qualcosa di Pierce sia qualcosa della
linguistica strutturale partendo da essa.

Sui suoi concetti della linguistica strutturale non ci interrogheremo mai, metteremo in
chiaro dei concetti perché li troveremo spesso in Eco.

Si parla di Semiologia a causa della questione linguistica in quanto Saussure era


francese. Due tradizioni una anglosassone una francese. Dopo il lavoro di Barthes si
indicava con semiologia solo il suo approccio glottocentrico la cui cosa fondamentale era
la lingua, la semiotica secondo lui era parte della linguistica al contrario di quello che dice
Saussure. Per un periodo si è scelto di dire semiologia per indicare un tipo di semiotica
quella che si occupava di linguaggio verbale e il suo rapporto con altri linguaggi.

La semiotica è una disciplina che non fa distinzioni tra le varie semiotiche specialistiche
anzi, è una disciplina generale che poi come dice Eco trova la sua applicazione nelle
semiotiche specifiche.

Le province della semiotica:


Ogni sistema significante ha tre dimensioni:

- La sintattica: riguarda le relazioni dei segni tra loro, la sintassi, ovvero ordinare insieme.
Il modo in cui i segni si articolano tra di loro.

- La semantica: riguarda , il significato e gli oggetti a cui eventualmente rimandano.

- La pragmatica: riguarda la relazione tra i segni e gli interpreti o utenti dei segni. Coloro
che usano questi segni.

Lo studio si può concentrare su ognuna di esse, ma è necessario tenere conto di tutte.

Il triangolo semiotico:
Da Aristotele in poi tutti hanno parlato di qualcosa che può essere messo in forma di
triangolo ma in realtà il ritraggono comprare quando si scrive il significato del significato e
cerca di discutere la questione del significato.

Che cos’è questo triangolo? Mette in relazione un aspetto materiale, qualcosa di visibile,
percepibile, c’è un aspetto più immateriale e ci sono le cose del mondo.

Passione dell’anima - Cose e fatti - Voce.

Significante, significato e referente.

Questo tipo di triangolo rimanda a tre dimensioni diverse: il segno nel suo aspetto
materiale percepibile la parte in alto è il significato che ha in sé stesso e non in relazione
all’oggetto quella parola, quel segno materiale (parte in alto), l’oggetto è qualcosa al quale
rimanda concreto nel mondo.

Per la semiotica non è così, perché essa si è resa conto che si tratta di due giochi diversi,
già Saussure parlava di arbitrarietà del segno, voleva dire che i segni si riferiscono agli
oggetti non secondo una relazione motivava ma arbitraria ossia non c’è alcuna ragione
per la quale un termosifone si chiami termosifone in natura. C’è una ragione culturale
della lingua in quanto un suono viene collegato a un certo tipo si significato.

Arbitrarietà dei segni, i segni si riferiscono agli oggetti in maniera arbitraria non c’è alcuna
ragione che il cane si chiami cane. Il significato di sedia non rimanda mai ad un oggetto
ma ad una classe di oggetti. Se io non so qual’è il significato di sedia, posso seguire il
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dito, o colgo il riferimento ma non so che cosa significa e di conseguenza non so che
cosa cercare o che cosa andare a prendere. Se non so di cosa sto parlando risulta
difficile individuare e fare riferimento al referente.

Il fatto che il legame tra il segno e l’oggetto sia arbitrario potrebbe essere messo in
discussione, per esempio: qualcuno potrebbe dirmi ma io quando devo fare riferimento a
qualcosa io gli posso dire che il cane fa bau e il gallo chiccirichì ma non so come questi
animali facciano nelle altre lingue, cane in inglese da wof quindi dove sta la verità?
Capiamo che ci sono aspetti motivati e aspetti arbitrari in tutti i segni, in genere è più
frequente l’arbitrarietà dove c’è un legame naturale. Non c’è una motivazione naturale
nella produzione del segno.

La metafora del testo:


Con il passare del tempo la semiotica ha lasciato perdere il segno in quanto percepita
come un’unità o troppo piccola o troppo grande, in genere troppo piccola ed era questo il
problema. Io guardo le cose ma non vedo singoli segni ma dei sistemi di segni organizzati
tra di loro, quindi la semiotica si è occupata sempre più di fenomeni di significazione.

Es del fatto che i segni si organizzano in sistemi: un semaforo emette dei significati
comunicativi, io lo capisco perché sotto c’è un sistema di significazione (se vedi rosso lo
interpreti come fermati) legato ai colori che vengono interpretati. Senza la presenza di
questo sistema, definito da uno e poi condiviso da tutti gli altri allora non avremmo mai
capito, non c’è la possibilità di interpretare quel segno come comunicazione. Ci sono i
sistemi di significazione che permettono di introdurre dei messaggi comunicativi.
Ragionando sul fatto che i segni difficilmente stanno da soli, l’impronta di un orso non sta
da sola, un cacciatore esperto la distingue anche per differenza alle altre, inserendola in
un sistema culturale più ampio di conoscenza delle impronte animali.

La semiotica inizia a occuparsi dei sistemi dei segni, non tanto dei segni come singole
unità. La mossa della semiotica è quella di parlare i testi come metafora. Il testo è ogni
cosa che si relaziona, qualunque cosa che abbia una superficie espressiva e che rimanda
a un contenuto, come l’architettura, il modo in cui è strutturato uno spazio un’aula.

Un testo è in linea di principio ogni cosa che sia intessuta di relazioni e abbia una
superficie espressiva che rimandi a un contenuto.

Per poter essere chiamata testo deve avere determinati caratteri: la dimensione
transfrastica o complessa non devono essere testi molto piccoli, la chiusura, la possibilità
di essere scomposti in unità di taglia minore. Per quello che riguarda le opere artistiche e
pittoriche questa cosa è stat una salvezza perché i semiologhi si stavano scannando sulla
natura dei segni. Con l’idea di testo si è sviato perché non si tentava più di scomporre in
unità minore si prendeva l’opera in generale senza individuarne i segni nei quali poteva
essere scomposta. Prendo l’opera come un insieme significante non troppo scomponibile
ma del quale devo osservare alcune caratteristiche.

Ciò ha consentito alla semiotica di occuparsi di opere pittoriche e architettoniche, testi


scritti, senza più interrogarsi sulla natura dei singoli segni, ma solo sulle modalità di
significazione. I segni visivi quando si tratta di opere d’arte presentano una caratteristica
particolare, nel linguaggio verbale i segni minimi sono in numero finito, noi abbiamo i
fonemi (sul piano dell’espressione noi abbiamo i fonemi, essi sono il numero limitato per

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ogni lingua e combinando queste unità abbiamo e otteniamo delle unità di taglia
maggiore totale di senso). Per capire come hanno fatto a individuare i fonemi uno per uno
è perché hanno guardato se c’erano determinate caratteristiche se noi mettiamo un dito
sopra il pomo d’Adamo e pronunciamo la D e poi la T vedremo come in un caso sentiamo
vibrare molto di più e nell’altro no. Lo stesso con P e B. Uno è un suono sonoro e l’altro è
un suono sordo. Su queste caratteristiche che vengono chiamate temi, vengono
individuati tutti i fonemi. Questi fonemi in se non hanno significato ma sono in numero
finito che se combinati permettono di creare un numero infinito di relazioni. Per quanto
riguarda i segni non ne esiste un numero finito.

Non esiste un inventario finito di segni, il fatto he si possa parlare di testi, di poter
guardare l’articolazione del senso, in una determinata opera ha permesso di concludere
con una serie di diatribe e problemi, permette la fine di una serie di discussioni. Eco dirà
che questo è stato un peccato. Da un lato è stato un peccato perché non è stato
permesso di approfondire ulteriormente la questione dall’altro invece sono state risolte
delle diatribe.

LINGUISTICA STRUTTURALE:
Dobbiamo solo capire i concetti.

. Valore e differenza

. Materia/forma/sostanza

. I due piani di una semiotica, i due assi

. Semiotiche denotative/ semiotiche connotative. (la denotazione e la connotazione).

- Sistema, valore, identità, differenza


L’idea di base di Saussure era che ogni sistema semiotico quindi ogni lingua è un
sistema.

Ogni lingua, o sistema semiotico, è un sistema. In un sistema tutti gli elementi sono
collegati, ma sono collegati in modo tale che l’identità di ogni singolo elemento, di ogni
termine, dipende dai rapporti che ha con gli altri e la differenza tra essi (la stessa cosa
succede con la nostra personalità/identità). Spesso succede in un sistema semiotico. La
relazione viene prima dei termini ed è la relazione stessa a dare vita ai termini.

Il singolo termine, il singolo elemento di un sistema dipende dalle relazioni, da un punto di


vista genetico prima vengono le relazioni poi te termini.

Se l’identità di ogni singolo termine dipende dal rapporto che c’è tra i termini, se si
sposta, se si sopprime o cambia di senso un solo elemento, tutto il sistema cambia,
perché cambiano automaticamente le relazioni tra tutti i termini.

Quindi vale per una parola, per un segno grafico di un’opera visiva (es. alterare una linea
di un’opera di Kandinskij).

Quindi che cos’è l’identità? Un valore che dipende dalla relazione che si stabilisce per
differenza, io sono ciò che non sono tutte le altre cose in relazione con me.

Il valore di un elemento risiede nei suoi rapporti (metodo strutturalista) con gli altri
elementi; ciò vale per una parola, un segno, un segno grafico in un’opera visiva.

Io sono ciò che non sono tutte le altre cose in relazione con me.

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- I due piani della semiotica e la funzione segnica:
Piano dell’espressione e un piano del contenuto. Il segno non rimanda a un contenuto
esterno al segno stesso, ma “è un’entità generata dalla connessione fra un’espressione e
un contenuto” forma il segno - due facce di un foglio come di Saussure, espressione e
contenuto. D’altra parte se non abbiamo un contenuto da esprimere ma non abbiamo
un’espressione, se abbiamo invece un’espressione ma senza contenuto è chiaro che i
due concetti si implicano.

Hjlmslev non parla più di di segno ma di funzione segnica, costituita da espressione e


contenuto (non parlerà più di significante e significato come invece faceva Saussure in cui
sono coinvolte le sostanze manifestate cioè i concetti, i suoni in concreto, le immagini
mentali, mentre espressione e contenuto sono forme, qualunque espressione e
qualunque contenuto), o di piano dell’espressione e piano del contenuto che sono
reciprocamente solidali.

Quindi abbiamo capito come espressione e contenuto siano le due facce del senso, ci
deve essere un segno che rimanda a un contenuto se non c’è questa relazione non si
parla di significato o di semiotica.

- Denotazione e connotazione:
Se l’espressione è la parola bandiera il contenuto sarà: pezzo di stoffa relazione
denotativa.

La denotazione è il primo significato he ci viene in mente, quello più letterale.

Se prendo espressione e contenuto, la pendo tutta insieme come fosse espressione


posso rimandare a un altro significato, divenendo relazione connotativa = bandiera
diventa tutto espressione di un’altra espressione - relazione segnica che diventa patria o
onore.

es. Carbonara - piatto di pasta - italianità - romanità. Sistema di significazione parassita.

Casa - edificio di uso privato -

cane - mammifero domestico - fedeltà.

- Materia forma sostanza:


Esiste una materia, una massa non segmentata, come se fosse il mondo non distinto.
Secondo Anassimandro esisteva l’apeiron una una sorta di infinito indefinito nel quale
stavano le cose non ancora distinte, a causa di una colpa le cose si differenziavano
divenendo: caldo/freddo e così via.

La materia (considerata come l’apeiron) non è distinta, comprende tutti i suoni delle lingua
ma senza distinzioni. Prima che qualunque tipo di lingua, di sistema imponga delle
suddivisioni. La materia viene articolata da una forma che la rende sostanza organizzata e
articolata.

es. siamo sulla spiaggia e guardiamo la sabbia molto da vicino non potendola distinguere,
diventa solo un’insieme di piccoli cristalli. Immergiamo il nostro secchiello nella sabbia, il
secchiello è la forma che da alla sabbia la quale una volta estratta diventa la sostanza.

Se immaginiamo si avere davanti un supporto, quello è materia indifferenziale, nel


momento in cui andiamo a realizzare le linee grazie alla forma che imprimiamo
trasformiamo la lastra in una sostanza significativa.

atte le possibili linee che possono essere tracciate su un supporto

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Come la forma di un determinato sistema semiotico influenza le sostanze significanti.

Es: in francese ho queste distinzioni: albero, bosco e foresta, albero indica anche il legno
quindi ho una suddivisione in tre elementi. Se guardo come funziona in italiano la forma
del contenuto mi divide la stessa materia in 4 elementi: albero, legno, bosco e foresta.
Chiaro che se spostiamo uno solo degli elementi l’intero sistema si distrugge.

La natura all’interno di un sistema è relazionale per differenza ai rapporti interni del


sistema.

- I due assi: sistema e processo


A parte i due piani che sono espressione e contenuto in un sistema semiotico ci sono
anche i due assi: il sistema e il processo - paradigma e sintagma (per Saussure) per lui
erano già coinvolte le sostanze manifestate.

Sull’asse del processo gli elementi, gli elementi del sistema, si congiungono per
continuità (es. quando diciamo una frase ‘il professore sembra matto’ sono parole che
vengono e si congiungono l’una con l’altra, che vediamo in presenza l’una dopo l’altra in
un tipo di relazione - spazio temporale, relazione sintagmatica di Saussure) sull’asse del
sistema invece si trovano tutti gli elementi che fanno parte di una lingua o di un sistema di
significazione e che potrebbero stare nella sequenza come il ‘professore sembra matto’
ma non possono presenziare contemporaneamente, è una sorta di riserva per cui invece
che dire ‘il professore sembra matto’ voglio dire ‘il professore è matto’ devo per forza
sostituire qualcosa. Sono in correlazione “o-o”. Nel vestiario io posso mettere la gonna o i
pantaloni. O dico una cosa o ne dico un’altra. Devo fare una scelta. Per esempio è il
numero telefonico che sono i numeri dallo 0 al 9. L’ordine posizionale che io scelgo tipo
051 *** una volta messi in sequenza ho fatto un sintagma quindi sull’asse del processo
ma prima di metterli io ho un sistema che mi mette a disposizione 10 cifre e io devo
decidere quali mettere.

Se ci sono due piani e due assi abbiamo un sistema significante quindi semiotico
altrimenti no, ci devono essere tutti e due per essere considerato come un sistema
semiotico.

(Sull’asse del sistema invece si trovano gli elemento che potenzialmente potrebbero stare
sulla sequenza sintagmatica del processo, relazione paradigmatica in assentai tra elementi
potenzialmente interscambiabili).
- Commutazione, reggenza e combinazione.
La prova ci commutazione evidenzia il tipo di relazione che esiste tra il piano
dell’espressione e il piano del contenuto (E e C) sull’asse del sistema. Se noi prendiamo
un elemento sul piano dell’espressione e al posto di queste mettiamo un altro elemento e
il significato non cambia abbiamo una semplice variante: se dico “tavolo con la O stretta
o tavolo con la O aperta” il significato non cambia, semmai connota una certa
provenienza geografica, un errore o una semplice sostituzione che non provoca
cambiamenti. Se il cambiamento di una E provoca cambiamenti sul piano C allora
osservo una invariante

es. il Pane è buono - il Cane è buono. In questo caso abbiamo identificato un’invariante.

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Nei linguaggi artistici, i sistemi semiotici usati come quello visivo in genere espressione e
contenuto sono solidali ovvero se tocchiamo qualcosa sul piano dell’espressione allora
cambierà qualcosa anche sul piano del contenuto.

Sull’asse del processo le relazioni tra unità linguistiche (semiotiche) possono essere: di
reggenza quando un’unità ne implica necessariamente un’altra. O di combinazione che si
ha quando c’è compatibilità. Per quanto riguarda il linguaggio visivo sembra più
complicato avere un rapporto di reggenza a meno che non si tratti di un ritratto in quanto
più strutturato.

Sopra il piano dell’espressione e sotto quello del contenuto. L’asse verticale è quello del
sistema o del paradigma in cui le relazioni sono “o-o”, in cui posso scegliere e sostituire
gli elementi di questo sistema. L’asse orizzontale è il processo.

Guardando l’asse dell’espressione: “il falegname pialla una porta” l’aspetto percepibile,
quello materiale se lo dico, se lo scrivo, se lo rappresento è questo qui, il piano del
contenuto è il significato al quale rimanda. Si tratta della stessa frase ma uno indica il
significato e l’altro l’aspetto espressivo.

Facciamo una prova: al posto di ‘il falegname pialla una porta’ scriviamo ‘un falegname
pialla una porta’, il significato è cambiato, non è più il falegname in particolare ma è un
falegname generico. Se invece di scrivere falegname lo scrivo a lettere maiuscole
abbiamo una sostituzione, il senso della parola falegname non cambia ma è comunque
presente una mutazione di significato perché siamo portati a chiederci perché la parola
sia scritta in quel determinato modo, si noterà maggiormente se io sto parlando in quanto
urlerò la parola in maiuscolo. In linea di massima non è cambiato nulla. Se al posto di
‘pialla’ scrivo ‘leviga’, cambia il significato? Dipende dal contesto. Nella maggioranza dei
contesti il senso cambia, ci possono essere dei contesti in cui non siamo particolarmente
interessati all’azione in particolare che egli sta svolgendo, a questo punto sono la stessa
cosa. (es. reazione a catena - cosa - non - è - bianco? — nero. In verità tantissime cose
non sono bianche ma in quel contesto la risposta diretta è nero). Se io invece di ‘porta’
scrivo ‘tavola’ cambia qualcosa.

domanda: perché ci sono due assi? Se non ci sono due assi e abbiamo solo un sistema
esso da solo è un insieme di possibilità. Se non c’è un asse del processo allora non ho
messaggi. Se io capisco dal sistema che ci sono tutte le relazioni possibili e immaginabili
e non vengo portato a fare una scelta non produco niente. Se c’è un processo ma non c’è
un sistema come si fa a capire qual è il significato delle cose che stai dicendo?

Se io dico Blitiuri suona greco ma non lo è anche se ha una struttura dietro. Non tutti i
sistemi sono cosi strutturati come quelli della lingua. Quando io faccio arte non ho un
sistema cosi complesso ma l’autore ne deve costruire uno perché altrimenti l’opera
risulterà senza senso. Francis Bacon aveva un’abitudine, si mette davanti alla tela e
faceva dei segni a caso perché cercava di liberare la tela dal già detto, quei gesti a caso
non erano un’opera. Per lui erano solo dei gesti per liberare la mente e solo dopo
dipingeva con un suo sistema per cui una determinata cosa fatta in un determinato modo
insieme ad un’altra significava un legame. Anche Pollock quando fa sgocciolare cerca di
produrre qualcosa che abbia un senso per lo spettatore che deve cercare di ristabilire
l’andatura dell’artista. È importante che ci sia un sistema anche poco strutturato ma ci

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deve essere con un processo come le linee e gli sgocciolamenti e il loro porsi e mettersi
insieme.

GREIMAS:
-Aspetti interessanti della semiotica generativa:
Per Gremais, il senso stesso ha una struttura polemica: si genera da un conflitto, inoltre, o
di conseguenza, il senso di manifesta sempre attraverso una forma narrativa.

La narrazione senza conflitto non ha ragione d’essere. L’evolversi di una serie di eventi
che non siano conflittuali non ha senso di essere. La narrazione ha bisogno di sacrificio
per mettersi in moto.

Secondo Greimas è il senso stesso che aveva la forma narrativa.

Infatti, Greimas ha elaborato un percorso generativo, immanente che consente di


ricostruire il farsi del senso. Non è genetico perché è ricostruito dall’analista, ed è
immanente nel senso che il percorso non sa, è una sorta di struttura che ricostruisce i
rapporti logici tra elementi più profondi ed elementi che divengono superficiali arrivando
alla manifestazione. Di tutto questo non ci interessa nulla.

A noi interessano soltanto alcuni aspetti della sua grammatica narrativa:

-la sintassi attanziale

-lo schema narrativo canonico

-i programmi narrativi

- La sintassi attanziale
Propp, antropologo, etnografo russo interessato al folklore, analizzò una serie di fiabe
russe individuando una serie di funzioni.

Greimas legge Propp e individua un’astratta tipologia di “sfere d’azione” di funzioni, dei
personaggi costanti in ogni narrazione,

Tre coppie: soggetto/oggetto di valore (conflittuale); aiutante/opponente; Destinante/


destinatario.

Per Greimas in ogni manifestazione del senso c’è un oggetto che cerca di congiungersi
con un oggetto di valore perché il destinatario lo ha manipolato e gli ha conferito valore
all’oggetto per il soggetto. Il soggetto avrà che fare con degli aiutanti e alla fine dovrà e
diventerà il destinatario del giudizio del destinante.

Il Re disperato perché la principessa è stata rapita dal drago e tenuta prigioniera. Il re va


dal soggetto. L’eroe si procura un aiutante, affronta il drago e riesce a salvare l’oggetto di
valore, la principessa. Il re gli si rivolge a lui facendogliela sposare.

- Precisazione: attanti e attori


Vediamo meglio che tipo di relazione intercorre tra queste funzioni generalissime e la loro
concretizzazione all’interno di un racconto.

Attante: identifica l’ astratta posizione di un’entità agente

Queste funzioni astratte vengono chiamate attante perché hanno a che fare con un’azione
e si incarnano in attori. Si incarna in un attore o in più attori (es. io sono il re e io stesso
parto alla ricerca della principessa e magari sono stato io a darmi l’incarico). Il rapporto
tra attente e attore è molto vario. Un attente può incarnare diversi attori. Da questa
struttura Greimas ha tirato fuori lo schema narrativo canonico.

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Per Greimas queste strutture stanno alla base di ogni manifestazione di senso quindi
anche un quadro anche se con l’arte astratta è più complicato.

- Lo schema narrativo canonico


Dallo schema attanziale deriva uno schema generale composto da 4 momenti essenziali
presenti in ogni tipo di narrazione. C’è una dimensione pragmatica (azione) e dimensione
cognitiva (contratto).

Manipolazione: fase in cui il destinante manipola qualcuno affinché faccia quello che
vuole.

La competenza è la fase in cui l’eroe cerca di procurarsi i mezzi necessari. Si dimostra


competente per la fase successiva.

La performance è l’affronto della prova come superare una propria paura.

- Programmi narrativi:
Questo volersi congiungere con l’oggetto di valore da parte del soggetto è il programma
narrativo del soggetto. Per esempio: il PN del principe è liberare la principessa. Il PN di
Dantès è vendicarsi, l’anti soggetto ha ovviamente un PN contrario a quello del soggetto.

Quando facciamo un dolce abbiamo il programma narrativo principale ma per farlo


dobbiamo preparare la crema che è il programma narrativo d’uso. Quindi il programma
narrativo principale è prevedibile, ci sono tanti o pochi a seconda della narrazione,
programmi narrativi d’uso o secondari.

Libro: “interpretazione e progetto”

Secondo modulo: tema dell’inventiva.

Prova scritta sugli argomenti discussi nel primo modulo, una breve tesina da presentare
all’esame orale.

Controllare drive di classroom con il materiale del 1° modulo.

26.03.2020
PEIRCE:
Chimico scienziato e filosofo interessato ai processi di conoscenza in relazione al
problema della verità, fu un evoluzionista e all’epoca (1860) era un problema perché
essendo americano gran parte delle università erano professionali. Aveva un carattere
terribile, molto amico di William James conosciuto come pragmatista per eccellenza. In
verità uno dei fondatori del pragmatismo sarà proprio Peirce e sarà spietato nei confronti
di James.

La lezione di Peirce. Anti-nominalismo


Il nominalismo sostiene che abbiamo a che fare solo con individui e che i concetti
generali (uomo, sostanza, individuo) sono solo etichette.

Il nominalismo sostiene che noi abbiamo a che fare solo con individui quindi i concetti
generali sono solo etichette della nostra testa.

Il nominalismo sostiene che i concetti generali (uomo, animale, sostanza - queste


astrazioni come le tiriamo fuori? Esistono nella realtà?) non hanno un rispettivo nella
realtà; sono pure etichette, operazioni mentali, quindi come faremmo a capirci?. Ma
Peirce nota che:

1- la scienza tende a scoprire leggi di validità generale.

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2- se i concetti generali sono solo operazioni mentali, come possono essere universali e
comunicabili? (come potremmo capirci? Se ognuno di noi tira fuori dei concetti generali in
maniera diversa come facciamo a comunicarceli?)

3- come si adeguano queste operazioni soltanto mentali con il cambiamento delle


condizioni dovute all’evoluzione?

Peirce è insomma realista; non pensa che ci siano delle entità generali ma pensa pensa
che ci siano tendenze generali in natura. Ci sono delle regolarità, non regole rigide.

Esse esistono. Il suo è un realismo un po’ particolare alcune considerato come un


idealista realista ma non ci interessa.

La lezione di Peirce. Anti-intuizionismo:


Idea di intuizione che aveva Cartesio:

Per intuizione, la tradizione cartesiana intende una cognizione (operazione mentale


complessa dovuta da una conoscenza) non determinata da una cognizione precedente (si
tratta di quelle conoscenze indubitabili, chiare e distinte che implicano una sorta di
rispecchiamento tra l’oggetto che sto cercando di conoscere e il soggetto conoscitore).

Si tratta di conoscenze indubitabili ed autoevidenti che implicano un rispecchiamento tra


un oggetto di conoscenza e un soggetto conoscente (conoscenza completa chiara di un
oggetto solo perché ci entro in contatto, lo vedo e ne colgo l’essenza senza bisogno di
passare per altre conoscenze). Per esempio potrei avere una conoscenza completa chiara
e distinta con un oggetto solo perché ci entro in contatto, lo vedo e colgo l’essenza
dell’oggetto senza passare per altre conoscenze. Peirce dice che se questa è
un’intuizione è meglio se questo concetto di intuizione lo lasciamo perdere.

A questo proposito, Peirce si fa una domanda: ammettendo che tali intuizioni


(conoscenza intuitiva, conoscenza chiara ma non mediata da altre conoscenze che a che
fare con l’oggetto di conoscenza in questione) esistano, sarebbe possibile distinguerle da
cognizioni mediate (conoscenze mediate da altre cognizioni)?

Pare di no, e pensate alla fatica che fanno i testimoni a discriminare tra ciò che hanno
visto e ciò che hanno inferito, che hanno completato attraverso un processo logico.
Tuttavia, pare che un sentimento di certezza accompagni alcune cognizioni (per esempio,
le nozioni matematiche). Il problema è che la sicurezza soggettiva non è un argomento
provante: diverse persone possono essere convinte di cose diverse.

Insomma, non abbiamo nessuna capacità intuitiva di distinguere tra intuizioni e


conoscenze mediate.

Ogni volta che passiamo attraverso un ragionamento (un’inferenza) non siamo nel regno
delle intuizioni. Quando ho davanti un libro io lo capisco perfettamente solo entrando in
contatto con esso, se io faccio una serie di inferenze allora entro nella parte delle
conoscenze mediate.

Peirce ci ha fatto capire come non possediamo nessuna capacità intuitiva nel distinguere
tra una conoscenza intuitiva e una conoscenza mediata anche perché non sappiamo dire
quando si tratta di una conoscenza intuitiva e quando no.

A questo punto Peirce si chiede perché sostenere ancora la nozione di intuizione. In


effetti, non possiamo provare che esistano; e la conoscenza mediata (quella che passa

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per ragionamenti) è perfettamente in grado di spiegare tutti i fenomeni che solitamente
consideriamo intuizioni.

Inoltre, pare che anche le operazioni cognitive che sembrano più dirette e semplici siano
in realtà frutto di inferenza. È stato dimostrato che la terza dimensione dello spazio è
conosciuta per inferenza (il nostro cervello integra i dati attraverso un’attività cognitiva
che per noi è automatica. Ciò non viene percepito ma è automatico).

Alcuni processi inferenziali non ci rendiamo conto che lo siano in quanto, non automatici,
ma molto rapidi. Sappiamo che c’è un punto cieco nella retina; le immagini che vediamo
sono completate per inferenza.

Ogni giudizio percettivo è frutto di inferenza anche quando siamo convinti del contrario.
Di conseguenza:

1-Se non è ipotizzabile una conoscenza intuitiva, ne consegue che ogni cognizione è
determinata da cognizioni precedenti; ogni volta che noi arriviamo a una conclusione è
perché c’è un ragionamento dietro che ha attraversato altri ragionamenti precedenti.

2-L’unica forma del pensiero è quella che si attua attraverso segni, mediatori tra le
cognizioni, secondo un procedimento inferenziale. Siccome non possiamo avere una
conoscenza chiara e distinta solo entrando in contatto con gli oggetti del mondo allora di
cosa ci serviamo?

Cos’è un’inferenza:
Non possiamo avere una conoscenza chiara e distinta entrando in contatto con gli oggetti
noi sfruttiamo i segni. Nel ragionamento come passiamo da una cognizione ad un’altra,
nel ragionamento anche automatico come passiamo da un pensiero ad un altro?
Utilizziamo le inferenze (che si basano sui segni che sono mediatori tra i pensieri e tra le
cognizioni) e dunque i segni che fungono da mediatori.

Eco possiede la concezione di segni proprio perché ha studiato molto bene Peirce.

Se io non riesco a cogliere tutto l’oggetto con l’intuizione allora devo selezionare degli
aspetti di un oggetto se non riesco a cogliere in maniera chiara.

Quando vedo un oggetto io non lo colgo al 100% (la visione è sempre prospettica in
quanto dipende dai nostri interessi, dalla sezione di oggetto che riusciamo a cogliere) ma
colgo delle percentuali che si basano su tanti aspetti. Soltanto questi aspetti
costituiscono un segno dell’oggetto parte noi quando guardiamo un oggetto non
potendolo conoscere interamente e distintamente dobbiamo guardarlo da un certo punto
di vista.

Quegli aspetti che colgo sono dei segni dell’oggetto. Lo stesso oggetto può essere
oggetto di pertinentizzazione, rendente pertinenti, solo alcuni aspetti. Se io ho un
posacenere e un cacciavite se devo scagliare qualcosa di pesante prendo il posacenere
ma se devo raccogliere un liquido il cacciavite è inutile, in questo caso io sto
pertinentizzando l’oggetto (il posacenere) da un certo punto di vista, per una sua funzione
creando un’immagine secondaria dell’oggetto che ha soltanto alcuni caratteri proprio
perché non ho la capacità di comprendere l’oggetto in se in modo chiaro e distinto cosa
faccio?. Lo stesso oggetto può essere trasformato in un segno diverso a seconda di
quello che dobbiamo fare, dei nostri interessi, a seconda del momento.

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Tutta la nostra conoscenza è inferenziale non ci odino conoscenze che non derivano da
questa attività logico-semiotica perché non avendo un’idea chiara e distinta dobbiamo
produrre segni che non possono rispecchiare l’intero oggetto ma solo alcuni aspetti, per
questo pensa che tutta la conoscenza sia inferenziale.

Modo in cui il ragionamento, il pensiero va avanti, passa da un pensiero asp un altro.


Peirce arriverà a distinguere tre tipi di inferenza, tre modi in cui il pensiero può andare
avanti: Deduzione, Induzione e Abduzione.

Ogni forma di ragionamento con cui si dimostri il logico conseguire di una verità da
un’altra, frase accettata (idea accettata) e presa come verità si chiama inferenza. Per
Peirce, un’inferenza è la forma logica del collegamento tra un Caso (A), una Regola (se A
allora B), un Risultato (B).

Il Caso è un fatto bruto, una occorrenza concreta, un evento, a cui si applica una Regola,
più o meno nota, e il Risultato è la conseguenza di tale applicazione.

Tre tipi di inferenza: deduzione, induzione, abduzione (abduction = rapimento) (o ipotesi).

Esempio di deduzione e induzione:


Deduzione:

“Se un uomo è governatore, allora riceve grandi onori” (Regola)

“Quest’uomo [so che] è un governatore” (Caso) - uomo concreto che so che è un


governatore.

“Allora quest’uomo riceverà grandi onori” (Risultato) - necessariamente riceverà grandi


onori.

Se io sviluppo un ragionamento dalla deduzione allora do la regola per certa, la quale


applicata al caso mi fa nascere un risultato certo.

Induzione:

L’induzione non è affatto certa.

“Quest’uomo è un governatore” (Caso)

“Quest’uomo riceve grandi onori” (Risultato) osservo il fatto che sta ricevendo

“Se un uomo è governatore, allora riceve grandi onori” (Regola)

Si fa un ragionamento per induzione quindi una generalizzazione. È lo stesso


procedimento di quando io mi metto a guardare un fiume vedo il primo cigno, questo
cigno è bianco (risultato), allora tutti i cigni sono bianchi (Regola per generalizzazione).
Quando mi alzo e me ne vado passa il cigno nero; basta un solo caso per confutare la
regola che ho trovato. Grazie all’induzione noi sappiamo una serie impressionante di
cose, sappiamo che ogni uomo deve morire per induzione perché nessuno è
sopravvissuto.

Esempio di ragionamento abduttivo:


-“Quest’uomo riceve grandi onori” (Risultato)

-ipotizzo una regola - “[Poniamo che] se un uomo è governatore allora riceve grandi
onori” (Regola) spiego il fatto che l’uomo riceve grandi onori facendo l’ipotesi che esso
sia un governatore.

-“Quest’uomo allora è il governatore” (Caso)

Ho ipotizzato una regola che mi fa da termine di passaggio, da seconda premessa. È un


salto nel buio.

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La maggior parte delle nostre scoperte derivano dall’abduzione in quanto è l’unica forma
di inferenza veramente creativa, ovviamente incertissima anche se andrà provata per
induzione e alla fine confermata per deduzione quando avremo scoperto se la regola è
ragionevole.

Quando siamo davanti ad un caso curioso creiamo o ipotizziamo una regola generale che
ci spieghi il risultato di quel caso e dopo di che va sottoposta a prova attraverso un
processo di induzione, quando saremo certi che la regola funzioni allora da lì potremmo
formulare delle deduzioni.

Lo stesso Sherlock Holmes: parla di deduzioni differenziandole dall’osservazione, sono


già giudizi nutriti di inferenze. (egli non fa quasi mai delle deduzioni ma sempre delle
abduzioni).

Egli fu oggetto di studi non solo di Eco. La sua maggior parte di ragionamenti di Holmes
sono abduzioni e non deduzioni.

Esistono però diversi gradi di originalità del processo abduttivo.

La regola è nota ed è quasi automatica (Ab. Ipercodificata; la sensazione) il procedimento


rimane abduttivo (guardo il risultato e ipotizzo la regola) ma tutti i processi sensitivi e
percettivi al di sotto della soglia della consapevolezza funzionano per abduzione perché la
regola viene selezionata tra note, tra un gruppo di possibilità (Ab. Ipocodificata; la
scoperta delle orbite ellittiche dei pianeti da parte di Keplero egli ipotizza e dice “se
Marte passasse per un’orbita ellittica allora questo movimento sarebbe spiegabile” l’unica
cosa che può fare è convalidare la sua tesi e aspettare il passaggio di Marte sul punto di
un ellisse e la trova- si tratta di un processo creativo. La regola non è stata del tutto
inventata, ma aveva già delle basi).

La regola del tutto nuova quindi creata ex-novo viene chiamata abduzione creativa
(rivoluzioni scientifiche), il concetto di creatività risulta molto vago. Si parlerà di inventiva.
C’è l’idea diffusa che la creatività sia una sorta di creazione dal vuoto, ma sia la creazione
che l’inventiva sono una sorta di bricolage se non c’è già qualcosa non possiamo
creare nulla.

Esempio del figlio infinito, noi al centro, se è tutto uguale, sopra, sotto, dove andiamo?

Noi per fare qualcosa abbiamo bisogno di vincoli altrimenti avviene l’assenza di
informatività quando si crea si crea partendo dai vincoli. Se non abbiamo i vincoli ce li
dobbiamo porre.

“Massima pragmatica” e semiosi:


Elementi chiave della semiotica di Peirce.

Perché formuliamo delle inferenze?

Noi grazie alle inferenze he facciamo, ai processi cognitivi e alle conoscenze abbiamo
delle credenze, nessuno parte senza sapere niente. Secondo Peirce la credenza è uno
stato riposante della vita mentale è desiderabilissima perché ci permette di stare in pace
con noi stessi.

Formuliamo inferenze per sfuggire al dubbio e consolidare una credenza in quanto stato
riposante della vita mentale perché ci permette di stare in pari con noi stessi. Quando
viene il dubbio la vita mentale si agita e bisogna fare uno sforzo per liberarsi dal dubbio
perché è uno stadio irritante.

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Per arrivare al riposo della credenza formuliamo inferenze che ci permettono di creare
delle credenze. Ragioniamo per arrivare a una credenza.

Il fissarsi della credenza comporta l’eliminazione del dubbio attraverso (perché io mi


fermo su una credenza? Perché quella credenza mi permette di accettare e di arrivare a a
un abito) l’accettazione di una regola d’azione o abito mentale (habit = consuetudine -
predisposizione all’agire - io so che sono arrivato a un punto in cui ho consolidato un
ambito mentale che mi permetterà nelle radiazioni correlate a quella credenza di sapermi
comportare, comportarsi significa anche saper interpretare) tutte le azioni che io posso
ragionevolmente inferire dalla credenza che ho stabilito.

Tutte le azioni anche interpretative è l’insieme del significato che io posso ricondurre al
termine di partenza. Anche il fiume he scende da una montagna e crea un proprio habitat
stabilisce un abito.

L’abito è una predisposizione ad agire, all’azione.

Massima pragmatica stabilita di Peirce: “ciò che una cosa significa è l’abito che
comporta”

Che cos’è il significato per Peirce?

Il significato è quindi equivalente a tutte azioni concepibili (azioni che potremmo anche
non fare mai) collegate al nostro oggetto di conoscenza che dipendono da una credenza
alla quale siamo arrivati attraverso un ragionamento. In altri filosofi pragmatisti questa
idea verrà identificata con le azioni, idea molto più comportamentista.

La teoria della conoscenza di Peirce è correlata alla sua teoria semiotica, la semiotica
coincide con la logica da un certo punto di vista.

Tale processo di mediazione tra i segni, e per segni, tra un pensiero e l’altro per arrivare
alla credenza e stabilire un abito interpretativo, si chiama semiosi, l’oggetto di studio di
Pierce è la semiosi. (Passaggio da un ragionamento all’altro attraverso segni).

Quindi che cos’è la semiotica per Peirce?

Secondo Peirce la semiotica “è la dottrina della natura essenziale e delle varietà


fondamentali di ogni possibile semiosi”.

Semiosi = passaggio da un pensiero all’altro attraverso segni (utilizzati nell’inferenza).

es. l’artista quando dipinge cerca un proprio abito e una volta trovato continuerà a
dipingere in quel modo. Picasso a un certo punto cambia abito in quando cambia una
serie di credenze.

Immaginiamo las meninas studiata da tanti autori come Focault, dopo qualche tempo sin
altro autore ne scrive un altro saggio, i due partono da interessi diversi, vedono l’oggetto
in modo diverso arrivando a credenze differenti e sviluppando la propria interpretazione,
questa interpretazione è come se fosse un abito che si sta concretizzando. Dalla
stabilizzazione della credenza hanno avuto il via alla creazione di un abito che una volta
concreto ha portato alla realizzazione del testo.

Ogni azione concepibile che colleghiamo a una determinata credenza quella fa parte del
significato, quindi anche quando critichiamo qualcosa o qualcuno o quando operiamo
anche senza parlare, quando dipingiamo, parliamo anche perché abbiamo stabilito degli
abiti. La sfera dell’azione e quella interpretativa possono essere considerare equipollenti
perché sia l’interpretazione che l’azione concreta sono equiparati perché frutto di un abito

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che si è sedimentato. Anche la natura ha degli abiti secondo Peirce: un ruscello che
passa suo territorio ci stava in mezzo e quello è lo stabilirsi di un abito. Peirce dice anche
che per fare ciò c’è bisogno di una mente ma è come se la natura avesse una mente
propria.

La definizione di semiosi:
La semiotica studia la semiosi è un processo che coinvolge tre elementi (sempre tre mai
coppie): se non c’è lo spazio interpretativo allora non è semiotico.

1 un “segno” o REPRESENTAMEN (significa che rappresenta) è una qualunque cosa che


ne rappresenta un’altra, un temine generale del segno ed è, veicolo di un significato.

2 un OGGETTO, oggetto di conoscenza che ci interessa = il referente a cui il segno fa


riferimento che rappresenterà. (non deve per forza esistere potrebbe essere per esempio
un ricordo).

3 un INTERPRETANTE (non è una persona quello è l’interprete) = è un segno interpretante


ciò che deriva o viene generato dal segno.

La semiosi è un rapporto da considerare sempre triadico, mai a coppie di elementi

«Un segno (o representamen) è qualcosa che sta a qualcuno per qualcosa sotto qualche
rispetto o capacità. Si rivolge a qualcuno, cioè crea nella mente di quella persona un
segno equivalente, o forse un segno più sviluppato. Questo segno che esso crea lo
chiamo interpretante del primo segno. Il segno sta per qualcosa, il suo oggetto. Sta per
quell'oggetto non sotto tutti gli aspetti, ma in riferimento a una specie di idea, che a volte
ho chiamato ground (quella prospettiva particolare che ci permette di isolare alcuni
aspetti, punto di vista che ci permette di isolare gli aspetti pertinenti per un tipo di
esigenza) della rappresentazione».
Un oggetto dinamico, oggetto concreto di conoscenza, è una cosa qualunque (un
unicorno, un libro, una chiatarra) in quanto oggetto di conoscenza. Esso motiva, per un
interprete (la semiosi non può esserci senza un rappresentante), un representamen, ossia
un segno in grado di rappresentarlo, sulla base di alcuni aspetti qualitativi (ground).

Il representamen offre alla mente dell’interprete un oggetto immediato, ossia l’oggetto


dinamico (oggetto per i fatti suoi perché un po’ sfugge - quello immediato è l’immagine
dell’oggetto che il segno ci trasmette è già conoscenza) così com’è rappresentato dal
segno-representamen sulla base del ground. Per cogliere la relazione tra il primo segno-
representamen e il suo oggetto immediato è necessario un nuovo segno (l’interpretante).
Da qui in avanti, ogni segno può essere interpretato solo da altri segni-interpretanti,
potenzialmente all’infinito.

Abbiamo un oggetto dinamico (di conoscenza che un po’ ci sfugge), io nel momento in
cui sono interessato a quell’oggetto ho una prospettiva particolare che mi permette di
isolarlo e isolare solo alcuni suoi aspetti, questo è il ground. Grazie a ciò io formo il primo
segno che presenta quell’oggetto in una certa maniera, sotto un certo profilo che è
l’oggetto immediato a volte tradotto con il significato.

A questo punto per cogliere e interpretare il nuovo segno ho bisogno di un altro segno
ancora e poi ancora, se non ci sono le capacità intuitive devo passare da un segno
all’altro, attraverso le inferenze. Passare da un segno all’altro si fa tramite le inferenze,

(semiosi illimitata - quando arrivo ad un ambito interpretativo inerente e adatto).

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Tuttavia, la semiosi si arresta quando si è generato un abito interpretativo, ossia una
credenza, quindi una predisposizione ad agire adeguata al contesto.

es. ci sono tantissimi aspetti che io posso continuare a tirare fuori come il sale = nacl,
bianco, insaporisce i cibi, ecc. ma se io devo salare un piatto di pasta non mi interessa di
tutto ciò, quindi dico “passami il sale” la semiosi si blocca subito perché qualcuno mi
prende il sale e me lo passa.

Quando si arriva a un ambito interpretativo adeguato al contesto che mi permette di agire


in modo adeguato in quel contesto la semiosi si blocca, provvisoriamente finché
qualcuno non continua quel tipo di discorso. La semiosi si blocca per un cambio di
discorso o il contesto d’uso.

Ground = insieme delle qualità dell’oggetto che ho isolato sulla base di quella prospettiva

Oggetto immediato = oggetto guardato dalla prospettiva che ho scelto. Come il segno mi
presenta l’oggetto che ho scelto.

L’interpretante:
Pierce vedeva tutto a triplette, quasi come una mania come Hegel. “Kant se avesse fatto
questa cosa sarebbe stato un pragmatista” e così via. A tutti loro mancava qualcosa che
ovviamente a lui non mancava.

- Interpretante immediato: l’effetto (l’interpretante) previsto dal segno. Tensione abduttiva


verso l’interpretante immediato. Arriva il primo segno e si crea questa tensione
abduttiva verso tanti possibili interpretanti mentre quello che poi si realizza, l’effetto che
viene prodotto veramente è quello immediato. Quando siamo di fronte ad un nuovo
segno si si crea una sorta di tensione abduttiva verso l’interpretante dinamico; quello
che poi si realizza è l’interpretante dinamico.

- Interpretante dinamico: effetto prodotto realmente sulla mente dell’interprete;

- Interpretante logico-finale: segno di consolidamento di un abito interpretativo. È finale


solo in quanto permette di sviluppare una predisposizione ad agire; ma può sempre
essere ulteriormente sviluppato in base a nuovi o più complessi interessi. Ogni volta
che compare un dubbio si ritorna da capo.

Una classificazione dei segni:


Peirce ha dato vita a complesse classificazioni di segni.

Ma la più «importante», secondo le sue stesse parole, è quella tra icona, indice, simbolo,
utilizzatissima ma quasi nessuno ci ha capito niente (è la relazione segnica che si
manifesta tra il segno e l’oggetto).

Tutti e tre non si manifestano mai puri. Sono, per così dire, tipi ideali si segno; ogni segno
ha una componente iconica, una indicale, una simbolica. Al massimo, in alcuni segni una
componente gioca un ruolo preponderante.

Icona: un segno che si riferisce al suo oggetto in virtù di una semplice qualità sua propria.
L’oggetto ha una qualità e grazie a questa qualità ci si può riferire ad esso.

Somigliante al suo oggetto come un ritratto che assomiglia alla persona ritratta.

Questa somiglianza è l’oggetto che somiglia al segno e non viceversa, perché la qualità
deve essere posseduta dal segno. Per Pierce l’iconoismo è la disponibilità a riconoscere
le somiglianze tra gli oggetti permettendone cosi la classificazione. I processi di
conoscenza dipendono dal fatto che noi riusciamo a individuare delle somiglianze tra gli
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oggetti che abbiamo davanti cosi potendoli raggruppare e sviluppare dei ragionamenti in
proposito.

Indice: un segno che si riferisce al suo oggetto in virtù del fatto che è realmente
determinato da quell’oggetto, c’è una continuità fisica con quell’oggetto; banderuola
segna vento si sposta perché e spostata dal vento e indica la direzione del vento.

Il dito puntato verso l’oggetto, è un indice, indica la reale posizione, c’è una continuità
fisica.

Simbolo: un segno che si riferisce al suo oggetto in virtù di una legge o convenzione
come le parole o i simboli matematici. Finché c’è una lingua c’è una convenzione
accettata.

es. una fotografia che cos’è dei tre? Icona, indice o simbolo?

È un indice perché l’impressione dei raggi luminosi sulla pellicola è fisica perché produce
un oggetto. La fotografia somiglia a una persona. Io posso interagire con una persona
fisica ma non con una persona in fotografia. La fotografia come tutti i segni è sia indice
perché fatta da una macchina che costruisce, ma c’è anche una componente iconica
perché il segno che ho davanti ha qualcosa in comune con l’oggetto fotografato.

Anche un ritratto è iconico perché esibisce le qualità in comune, sarà indicale perché c’è
un rapporto materico, ma è anche simbolico perché ci sono delle convenzioni grafiche
che noi adottiamo (ritratti di epoca egizia molto diverso dallo stile attualmente adottato),
la cultura media sempre.

UMBERTO ECO:
La semiotica di Umberto Eco:
Nato ad Alessandria nel 1932, è stato autore Rai, condirettore editoriale per Bompiani,
libero docente di Estetica, membro del Gruppo 63, innovatore degli studi sulle
comunicazioni di massa, professore di semiotica, giornalista pubblicista, romanziere di
fama mondiale. È morto il 19 febbraio del 2016.

Eco e la semiotica interpretativa:


Eco non è interessato soltanto all’organizzazione dei testi in quanto tali, ma anche e
soprattutto a quali effetti sono in grado di suscitare nell’interprete. Semiotica definita
nell’82 come semitica interpretativa.

Anzi, secondo Eco un testo qualunque non significa alcunché senza l’attività inferenziale
di un interprete. Possiamo vedere l’influenza di Peirce: il senso di qualcosa (nel nostro
caso, un testo in termini generali) sta negli effetti che questo potrebbe produrre su
qualcuno, sull’interprete. Pertanto, la sua semiotica è stata definita interpretativa, proprio
perché si interroga sul modo in cui un testo deve essere fatto per suscitare delle
interpretazioni, e perché alcune interpretazioni sono più accettabili di altre. È interessato
anche a trovare i modi grazie ai quali poter discriminare tre interpretazioni più legittimabili
di altre. Se si può dire tutto a proposito di qualunque cosa allora è come se non si
potesse dire niente.

Gli inizi: la poetica dell’opera aperta (1962) 1967; 1976:


Opera Aperta esce nel 1962 ma raccoglie degli interventi raccolti già negli anni ’50.

Nel 1967 esce l’edizione francese ritoccata e modificata e nel 76 c’è la versione definitiva
con l’aggiunta di un nuovo saggio che vedremo passo passo. Eco sapeva scrivere molto
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bene anche i saggi che risultavano molto chiari. L’edizione del 67 in Francia scopre lo
strutturalismo e nel 68 incontra una volta per tutte Peirce. Egli arriva solo a un certo punto
perché è un interesse precedente. Eco incontra Peirce e dice: c’est moi perché c’è un
interesse in quella direzione.

Tuttavia, Eco incontra Peirce solo a un certo punto; lo studia con attenzione perché ha un
interesse precedente. Infatti, Eco cercava un modello di opera studiando le realizzazioni
della neoavanguardia, che sembrano lasciare ampia libertà (sia all’interprete che
all’esecutore) all’esecutore o allo spettatore di intervenire nella stessa composizione.

Si trattava di ritrovare quei caratteri, che stanno nel testo e che quindi sono strutturali
dell’opera che permettono, ma allo stesso tempo coordinano la varietà delle
interpretazioni possibili. Cioè un’opera può essere interpretata in modo diverso ma queste
interpretazioni devono essere legittimate dalla struttura del testo; perché Eco non è
interessato al fatto che davanti a un romanzo noi possiamo interpretare in qualunque
modo, per esempio: ci ha lasciato il ragazzo e noi interpretiamo il romanzo sulla base
della nostra situazione emotiva ma in questo modo si posso avanzare interpretazioni ma
solo nel privano non davanti al Tribunale dell’Intersoggettività. Quando poi si discuterà
questa interpretazione come plausibile essa potrà non reggere perché dettata da una
motivazione extra testuale. Quelle opere e quelle realizzazioni come l’informale, che è il
massimo dell’indeterminatezza, ci saranno delle interpretazioni che non saranno
oggettivatili dal testo.

«Il modello di un’opera aperta non riproduce una presunta struttura oggettiva delle opere,
ma la struttura di un rapporto fruitivo, ovvero del rapporto che c’è tra l’opera e
l’interprete; una forma è descrivibile solo in quanto genera l’ordine delle proprie
interpretazioni». Ciò significa che le interpretazione sono regolate.

All’origine di tali interessi c’è l’estetica di Pareyson insegnante con il quale si laurea Eco,
che osteggiava l’estetica dell’ineffabilità crociana, opponendogli un’estetica della
formatività. Si trattava di mettere l’accento sul fare come invenzione del modo di fare
degli artisti. Per Pareyson, le opere hanno una legalità interna che si apre, ma in modo
regolato, alla varietà delle interpretazioni.

Il problema era quello di contrastare per molti studiosi l’idea di opera d’arte, di estetica di
Croce. Per lui la comprensione dell’opra d’arte era una faccenda di intuizione e in realtà
l’opera rimaneva imprendibile di cui non si può parlare, era dell’idea che in un’opera si
dovessero trascurare gli aspetto strutturali. Si trattava di mettere l’accento sul fare come
invenzione del modo di fare degli artisti e poi delle operazioni possibili a partire da quella
struttura.

Croce aveva un’idea vaga delle arti. Eco rimprovera a Croce di non avere un’idea precisa
di come si facesse un’opera d’arte, lui ha poca dimestichezza, non ha una conoscenza
delle tecniche e delle opere, tanto era disinteressato. Il paradiso di Dante ha sofferto dio
una sottovalutazione perché Croce lo considerava troppo concettuale senza le belle
espressioni che troviamo nell’inferno. Per lui Manzoni era letteratura non era poesia.

Tre gradi di apertura:


Per apertura si possono intendere tre cose differenti: intanto c’è l’apertura delle opere
d’avanguardia degli anni ’60 in quanto si trattava di opere con una forma non organizzata

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in modo univoco, ma che anzi affidava la propria organizzazione all’iniziativa
dell’interprete (nozione ristretta di apertura) - apertura in senso stretto.

L’intento di Eco era descrivere la particolare esperienza estetica che ne derivava e, al


contempo, comprendere che cosa nei testi facesse sì, rendesse possibile che il fruitore si
sentisse stimolato a diventarne co-autore. La libertà in interpretativa che le opere della
neo-avanguardia degli anni ’60 era notevole e quindi fonte di studio e interesse da parte
di Eco, studiata da un pinto di vista estetologico e strutturale. Egli parte come esteologo e
la semiotica gli serve anche per rielaborare brutti aspetti dell’estetologia. Se questa è una
concezione ristretta di apertura c’è anche una concezione più aperta: anche le opere
estetiche che si presentano come «chiuse» (che non si presentano con una forma così
indeterminata) sollecitano diverse interpretazioni, senza che la sua singolarità venga
alterata (nozione estesa di apertura). Idea di senso comune noi vediamo quando leggiamo
un libro dall’inizio alla fine e non ha interesse a mettere in gioco ma tante interpretazioni
possibili vediamo che a seconda del soggetto che lo legge le interpretazioni varieranno
anche di parecchio. Anche le opere che appaiono come “chiuse” susciteranno diverse
interpretazioni.

Eco comprende come tutte le opere, anche quelle senza, spiegazioni e velleità estetiche,
sono in grado di sollecitare diverse interpretazioni; e in ogni caso richiedono la
collaborazione (la cooperazione) di un interprete per attualizzare il proprio senso
dell’opera (nozione generale di apertura). Il quesito, il problema che Eco si pone è cosa
nel testo stimoli e allo stesso tempo argini l’attività dell’interprete.

Generalizzando, il quesito che guida la ricerca di Eco è, in sostanza, cosa nel testo stimoli
e argini l’attività dell’interprete. È per rispondere a questa domanda che Eco studia e si
appropria della semiotica. Le prime due riguardano le opere estetiche mentre la terza no,
la prima riguarda una presenza storica mentre le altre due sono più generali.

L’innesto tra Hjelmslev e Peirce:


Eco trova in Peirce l’attenzione per i processi inferenziali dell’interprete; in Hjelmslev e nel
metodo strutturalista un modello per spiegare la struttura dei testi, come sono fatti.
Nessuno delle due tradizioni, dei due approcci, da sola, era sufficiente per rispondere alla
domanda di Eco perché la sua attenzione era rivolta a tutti e due gli aspetti: la struttura
dell’opera e l’attività dell’interprete.

Pur essendo, questi due approcci, in buona parte inconciliabili, servivano entrambe;
pertanto Eco opera un innesto forse instabile, ma fruttuoso, tra lo strutturalismo e la
filosofia di Peirce. Differenza tra significante e significato, tra espressione e contenuto in
Peirce non c’è pertinenza, il segno è il segno.

Combinando i due approcci, Eco si ritrova infatti con gli strumenti necessari per precisare
e chiarire la portata, l’ampiezza e la natura dei propri interessi:

La domanda di Eco potrebbe essere riassunta cosi: cosa, nel testo e nell’interprete
contemporaneamente, rende possibile il prodursi di certi effetti del testo sull’inteprete?

Il segno secondo Eco:


Lo sappiamo già: il segno ha una struttura inferenziale, come voleva Peirce.

Abduttiva, per la precisione; cioè se il segno fosse retto da un mero rapporto di


equivalenza cioè questo sta al posto di quello perché sono equivalenti e non fosse invece
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frutto di un inferenza se allora, comprensione e produzione sarebbero processi deduttivi.
Questo è un problema perché tutti i sensi che possono essere collegati a un’espressione
sarebbero a quel punto, la maggior parte, soltanto derivazioni metaforiche mentre il senso
proprio sarebbe uno solo, quello trovato per deduzione.

Il punto è che il senso di un espressione può essere vario, possono essere tanti, quindi
come facciamo a stabilire qual è quello proprio? Ragioniamo in termini di equivalenza e
gli altri sono metafore invece se è abduttivo troviamo il modo per spiegarli tutti con uno
stesso meccanismo.

(Invece, il senso secondo Eco è il frutto, in rapporto al contesto, di un’abduzione*)

Eco dice che bisogna dunque prevedere quali proprietà semantiche, di un espressione,
vengono magnificate cioè rese pertinenti e quali invece narcotizzate cioè vengono
tralasciate in un determinato contesto.

Per far ciò Eco dice che bisogna costruire un modello semantico a istruzioni che
contempli le diverse possibilità di precisazione e specificazione del senso in base ai
contesti e alle circostanze.

Abduzione e senso linguistico:


Nel caso di un sintomo medico o di una impronta il rinvio avviene per inferenza, «se p,
allora q (stante le condizioni x, y, z)». Se è presente questo segno allora hai questo tipo di
malattia probabilmente (il meccanismo è sempre abduttivo).

“Questo è il segno che vedo” - Risultato; la Regola -“chi ha questa malattia presenta
questi segni” e il Caso concreto che ho davanti, allora questa persona avrà probabilmente
questa malattia. L’abduzione non è certa, anzi è la più incerta di tutte.

I segni linguistici sembrano invece basarsi sul modello della equivalenza (codice
fortemente standardizzato) p = q (questa parola sta per questo significato) come se fosse
un codice morse . Ma è davvero così?

Cane = animale domestico, quadrupede, mammifero oppure se incontri il termine «cane»


nel contesto x, allora interpreta /cane/. - processo inferenziale abduttivo.

Se tutte le volte che trovo cane lo trovo in questo contesto allora cane va interpretato
così, allora questo cane vuol dire questa cosa qua.

Potete vedere il termine (o la figura, ecc.) come Caso, per cui si immagina una Regola,
che dà un risultato: (in questo caso abbiamo nel senso linguistico noi abbiamo una regola
ipercodificata. Nel caso delle opere d’arte non è proprio cosi. Come quando ci troviamo
davanti a un’opera cubista non è così perché non riusciamo a immaginare una regola
generale in grado di spiegare quel risultato) nel contesto y appare il termine x. Ipotizzo
una regola: tutte le volte che x appare in y, allora interpreto z. Quindi interpreto z
(abduzione).

Nel caso delle opere d’arte non è così come per esempio davanti a un quadro astratto o
cubista non si riesce a creare una regola.

In un contesto venatorio, appare «spero che il cane non si inceppi». Trovo la regola: Tutte
le volte che il termine «cane» appare in un contesto in cui si fa riferimento a un
funzionamento meccanico (inceppamento che non è pertinente per un animale),
interpreto «parte dell’arma da fuoco».

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Il fatto che la regola sia ormai nota per un buon parlante italiano, non vuol dire che il
meccanismo non sia abduttivo; è solo ipercodificato. E se avessimo visto: «spero che il
cane faccia il suo dovere»?. L’espressione è ambigua, quindi devo immaginare due regole
alternative. Ma dipende dal contesto che mi aiuta a formulare la regola giusta e dipende
anche dal formato dell’enciclopedia personale, (organizzazione di tutti i saperi, però ne
esistono delle diverse in quanto la mia enciclopedia potrebbe non comprendere quella
conoscenza in particolare) come vedremo. (i modi di dire sono ipercodificati ma questo
dipende dalla lingua).

Come sono organizzati i significati? Quelli ai quali facciamo riferimento? Come


un’enciclopedia perché si basano su competenze della realtà, sul fare e sull’agire e non
solo su competenze linguistiche. Eco contrappone questo modello che si chiama
enciclopedia a quelli che si chiamano addizionari in cui vengono messi in gioco colo dei
significati linguistici pero Eco dice che la nostra conoscenza è multimediale e quando
pensiamo a qualcosa produciamo e facciamo riferimento a degli intepretanti di diversa
natura, perlopiù sono immagini, se penso a un “cavallo" mi verra prima in mente
l’immagine di un cavallo e poi altri significati.

Per la semiotica di eco non c’è un metalinguaggio, gli stessi termini in un certo caso ne
interpretano altri in altri casi sarà il contrario. Ogni termine va interpretato. È il
presupposto di Peirce, noi abbiamo conoscenza solo attraverso i segni, ogni termine va
interpretato e non possiamo fare altro che passare attraverso la semiosi. Per ogni termine
non c’è una zona del linguaggio che è in grado di spiegarci il contesto.

Per la semiotica di eco non c’è il metalinguaggio, ogni termine va interpretato. Ogni unità
culturale può diventare l’interpretante di un’altra unità culturale a seconda delle necessità
e dei contesti. Quello che in un contesto serve a interpretare un termine sarà interpretato
da un altro termine in quel determinato contesto.

Semantiche enciclopediche:
Come è fatta una semantica enciclopedica? È una semantica a istruzioni, la dimensione
del fare umano è assorbita per quanto possibile dalla rappresentazione del significato. Il
formato enciclopedico è multimediale non c’è una parte metalinguistica che serve per
spiegare il resto, è una rete cognitiva. Non c’è un centro, essa riproduce una sorta di
modello per la nostra cultura. Tutte le unità culturali, tutti i significati possibili sono
connessi tra di loro e si può arrivare da qualunque unità culturale a un’altra per passaggi.
Ci sono delle strade già battute dalla nostra cultura quindi privilegiate, sono i significati
già assestati.

- Semantica a istruzioni (la dimensione pragmatica è assorbita dalla semantica)

- Formato enciclopedico

- Orientata all’inserzione contestuale

- Secondo il modo dell’inferenza

consente:

- Si spiegare il significato (ciò che comprendiamo)

- Di rendere conto di competenze diversificate

- La rappresentazione di presupposizioni e sincategorematici

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Questo tipo di meccanismo per presupposti con altri modelli non possono esseri
rappresentati. I sincategorematici hanno lo stesso problema, sono quelle parole che non
hanno un significato preciso e identificabile, quei termini al di fuori di un contesto per
esempio “questo” parola che specifica il sui senso sulla base di un contesto mentre al di
fuori di esso sembra irrapresentabile, in realtà c’è un modo per rappresentarla.

Dizionari ad hoc:
Noi strutturiamo gerarchicamente alcuni elementi dell’enciclopedia anche se non è
gerarchica per degli scopi precisi, per esempio:

Marito e moglie di notte in camera, fuori si sente un rumore, la donna si spaventa. (qual è
l’interesse?)

Una volta che il marito va a guardare ha l’interesse di tranquillizzare la moglie e capire la


gravità della situazione. Tra tutte le cose inizia a catalogare e distinguere tutte le cose
costruendo una sorta di sistema gerarchico: umane, non umane, immobili, non immobili,
pericolose, non pericolose; è un dizionario che le due persone coinvolte iniziano a
condividere, sanno entrambi che se è un uomo può essere pericoloso, se è un bambino
non può essere pericoloso e nasce la preoccupazione nei suoi confronti. Il marito
percorrerà questo dizionario gerarchizzato per tranquillizzare la moglie altrimenti non sia
afflitto da infermità mentale. Le unità culturali, i significati non hanno un ordine preciso ma
sono connessi l’uno con l’altro potenzialmente si può arrivare da qualunque unità
culturale ad un’altra ecc. A seconda dei nostri scopi e dei nostri contesti strutturiamo dei
piccoli sistemi locali gerarchizzati. Nell’enciclopedia non ci sono, ci sono però alcune
culture, delle zone più strutturata ma l’enciclopedia non lo è, e noi tentiamo di strutturarla
in base ai contesti.

Io he cosa devo fare? Devo costruire delle rappresentazioni del significato, solo che
incorporando la dimensione pragmatica devo tener conto dei contesti e delle circostanze,
questo è un modello che cerca di rappresentare i possibili sensi e significati di un termine
singolo. Il termine singolo e i testi hanno un rapporto reciproco. Il singolo termine
(lessema) vuol dire che per esempio per alcune teorie semantiche il fatto che
un’espressione possa avere diversi significati in diversi contesti non è pertinente, quel
teorico direbbe che quella è una questione pragmatica, di quello che fanno gli esseri
umani con i segni, ma il significato sarebbe una cosa più generale valida per tutti.
Secondo Eco bisogna temere conto degli aspetti pragmatici nella rappresentazione del
significato.

Lo “spettro componenziale” del senso:


Devo tenere conto delle circostanze. Questo è un modello. Per alcune teorie semantiche il
fatto che un espressione possa avere diversi contesti non è pertinente. La pragmatica
rientra nella presentazione semantica.

es. bandiera rossa: io ho un’espressione segno come bandiera rossa, rimanda a un


significato che è bandiera rossa. In una circostante autostrada: l’interpretante che spiega
di preciso il senso è attenzione. Nella circostanza ferrovia sarebbe Stop. Nel contesto di
un comizio la bandiera rossa significherebbe comunismo. (ms. marche sintattiche, il fatto
che la bandiera deve essere agganciata in un determinato modo). Se io dovessi limitarmi
a dare una dimensione semantica solo linguistica dovrei dire che l’espressione segnica
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“bandiera rossa” rimanda al significato bandiera rossa ossia un pezzo di stoffa
agganciato a un’asta di colore rosso. Eco dice di no, nella rappresentazione del
significato dobbiamo incorporare per quanto possibile degli aspetti che non possono
essere recuperati, molti degli aspetti pragmatici si possono rappresentare all’interno di
una rappresentazione semantica. In questo contesto vediamo che a seconda delle
circostanze io nella rappresentazione posso tener conto di diversi significati che la
bandiera rossa può assumere. La pragmatica viene assorbita e rientra nella
rappresentazione semantica. Alcuni aspetti semantici, ovvero quello che le persone fanno
con i segni possono essere incorporati nella rappresentazione del significato.

Bandiera rossa è un segno molto concreto che non ha a che fare con il linguaggio, è
proprio il fatto di sventolare una bandiera rossa. Io facendo una rappresentazione del
significato tengo conto di tutti i possibili significati, ovviamente qualcuno può non saperlo
ma qualcuno che si mette in autostrada dovrebbe avere la competenza e l’enciclopedia
giusta per decodificare quell’elemento.

Espressione/segno Interpretanti

[circ autostrada] d attenzione

//bandiera rossa// ms <bandiera rossa>. [circ ferrovia] d stop

[circ comizio] d comunismo

Lo “spettro componenziale” del senso:


L’enciclopedia incorpora anche diversi tempi, in senso di ere, periodi. La parola,
l’espressione etere rimanda a un significato diverso a seconda dell’epoca.

A seconda del contesto dobbiamo fare riferimento all’enciclopedia di quel periodo lì.

In un contesto antico voleva andare quintessenza insieme ad aria, terra e fuoco, in altro
periodo è il mezzo luminifero che permetteva alle particelle luminose di trasmettersi.
Entrambe le versioni connotavano la purezza, c’era anche il significato alchemico
dell’etere.

A seconda del contesto dobbiamo fare riferimento all’enciclopedia del periodo specifico.

In un contesto moderno abbiamo il contesto più ristretto che è quello scientifico come
etere dietilico sostanza usata come anestesia.

In un contesto popolare l’etere diventa l’emittenza (come quando si dice la suddivisione


dell’etere tra i vari canali) inteso come distribuzione.

A seconda di come cambia il contesto cambia anche di molto il significato.

Una rappresentazione semantica per comprendere che cosa potrebbe voler dire in
generale un termine? Dovremmo individuare l’espressione segnica del significato
generale come etere-sostanza. In quale contesto siamo? Il contesto è fondamentale per
comprenderne il significato.

Questo modello semantico serve per rendere conto di come è organizzato il significato.
Perché viene chiamato spettro componenziale? Parche questi elementi che noi troviamo

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nel lato destro è come se fossero i componenti dello spettro generale del significato, un
termine visto

Etere che rimanda al significato viene chiamato da Eco come Senema = complesso di
tutte le possibili interpretazioni in base ai contesti. Ci serve per comprendere del senso
complessivo che un termine può avere a secondo del contesto. Questo è
sincategorematico. Allora io posso rappresentare anche una parola che fuori dal contesto
sembra non voler dire nulla? Per Eco si può grazie all’inglobamento dei contesti
pragmatici. Il contenuto “questo” che cosa vuol dire? Vuol dire prossimo, ha un
significato di prossimità, è questo perché è prossimo altrimenti sarebbe quello. È più vago
pero si può rappresentare comunque.

In una circostanza in cui c’è anche un indice allora dal mittente la denotazione ha anche
un vettore, quindi ha l’interpretante di tipo diverso, si allontana dal mittente, questo è
prossimo. In una circostanza in cui non c’è un indice allora abbiamo il contesto del
pertinente e allora il movimento è al contrario, se in un articolo dico una cosa e poi dico
“questo” allora faccio riferimento alla sezione dell’articolo subito precedente, quindi vado
indietro. Volendo posso rappresentare anche in generale il significato di un termine come
questo che fuori contesto sembrerebbe vuoto ma da comunque delle istruzioni. La
semantica di Eco è istituzionale e questo vale per ogni tipo di espressione anche per il
linguaggio visivo ma quando si passa dal dominio verbale a quello visivo non c’è una
grammatica stabilita una volta per tutte, non c’è un inventario di segni definito e valido. In
genere gli artisti ne inventano uno a doc per quell’opera o per una serie di opere come
Kandinskij o Mirò.

Quando poi la parola etere compare un contesto preciso allora diventa Lessema.

Per capire cosa vuol dire davvero un termine occorre capire in che contesto ci troviamo.

Spettro componenziale, (senema = spettro componenziale di Etere) questi elementi sono i


componenti dello spettro generale del significato.

02.04.2020
Definizione di enciclopedia in generale è multipla, da un lato è un tesaurus di tutta la
cultura organizzata con vie e collegamenti privilegiati che la cultura rinforza di continuo
mentre ce ne sono altri che essa mette a disposizione.

C’è anche un’enciclopedia media (quella propria a una cultura media, quella che la
maggior parte delle persone condividono) e un’enciclopedia personale diversa per
ognuno. Per esempio se si tratta di musica io avrò un’insieme di conoscenze mie
personale mentre un’altra persona può averne un’altre diversa dalla mia.

Ci sono anche i testi che la scultura ricorda per qualche motivo, quella è l’ipertestualita
(come se fosse sezione dell’enciclcopedia di testi già formati) sono testi già formati sulla
base dei legami del periodo in cui sono stati realizzati. Per testi si intendono romanzi, testi
scritti, discorsi, tristi visivi. Tutti i testi che sono stati realizzati. Di ipertestualità hanno
parlato tantissime persone.

Gérard Genette:
Egli fa un lavoro d’ordine riguarda a uno specifico argomento. Si occupa della
transtestualità cioè della trascendenza del testo, tutto ciò che mette un testo in relazione
con altri testi. Relazioni che i testi intrattengono con gli altri testi già realizzati o con
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strutture testuali che sono più o meno vicine al testo. Per lui l’intersessualità in generale è
la trans-testualità. Tutti parlano di ipertesualità mentre con lui si parla di trans-testualità.

Perché per lui l’intertestualità è la presenza concreta ed effettiva di un testo in un altro


testo come una citazione, non è solo una procedura linguistica o verbale possiamo fare
anche delle citazioni visite o musicali.

Ridefinisce il campo dell’intertestualità e mette ordine proponendo la nozione di


transtestualità trascendenza del testo; ossia, tutto ciò che mette un testo «in relazione,
manifesta o segreta, con altri testi».

Genette individua 5 principali relazioni

- intertestuali: Intertestualità: la presenza effettiva di un testo in un altro testo.

- Paratestualità (peritestualità e epitestualità): relazione tra il testo e il materiale che lo


«circonda»; nello spazio stesso del testo (peritesto = vicino come la copertina, tutte
quelle strutture testuali che stanno nelle immediate vicinanze del testo) e a una
maggiore distanza (epitesto) come le interviste. Tutta questa parte è l’epitesto di un
testo.

- Metatestualità: relazioni tra il testo e altri testi quali i suoi commenti o interpretazioni
del testo che stiamo considerando quindi i commenti e le interpretazioni intrattengono
una relazione metatestuale, sono mettesti rispetto al testo in questione.

- Ipertestualità: relazioni di trasformazione o imitazione tra un testo anteriore (ipotesto) e


uno posteriore (ipertesto). Se abbiamo un testo davanti che è una parodia di un’altra
opera più antica come l’Ulisse di Joyce nei confronti dell’Odissea di Omero.

- Architestualità: relazioni tra un testo e i generi discorsivi. L’architesto è l’Insieme dei


testi che appartengono a un genere simile. Se c’è un testo, il suo architesto riguarderà
altri testi che appartengono agli stessi generi discorsivi o come un romanzo poliziesco.

I modi di produzione segnica:


Eco oltre al lavoro che abbiamo visto sull’organizzazione del contenuto, il modo in cui
l’espressione si collega a un contenuto chiamata teoria dei codici nel trattato di Semiotica
Generale, elabora anche dei modi di produzione segnica perché trova che tutte le
suddivisioni di segni tipo icona, indice e simbolo siano tutte insufficienti.

Tutte le suddivisioni di segni sono tutte insufficienti. Compie un grande lavoro che era la
cosa più originale del trattato, considerata solo a partire dal 2003.

Classifichiamo i segni, tutte le funzioni segniche possibili a seconda del lavoro fisico
richiesto per produrre un’occorrenza segnica. Relazione tra tipo e occorrenza.

Oggi vediamo una pietra o una sedia, quella è l’occorrenza della sedia (ovvero una sedia
concreta), il giorno dopo vediamo un’altra sedia e la riconosciamo come tale, anche se è
diversa, perché appartiene e l’accomuniamo allo stesso tipo, ed è l’occorrenza di quel
tipo di sedia. Le occorrenze sono le realizzazioni fisiche e concrete di quel determinato
tipo. Questo tipo di collegamento per Eco c’è sempre nel rinvio segnico.

Se guardiamo questa tabella abbiamo il lavoro fisico richiesto per produrre l’espressione
di 4 tipi (riconoscimento, ostensione, replica e invenzione).

Riconoscimento = quando vediamo un’occorrenza e la riconosciamo come occorrenza


di un tipo es. impronta concreta di un tipo di impronta (riconosciamo i suoi possibili

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impressori) che e quella di un orso che mi rimanda ad un orso perché conosco come è
fatta la sua impronta nello specifico.

Come capisco che una cosa è un sintomo? Perché lo riconosco.

Ostensione = mostrazione, esibizione - abbiamo esempi, campioni e campioni fittizio


(finto pugno). Qual è la differenza tra un campione e un campione fittizio? Se io faccio
finta di tirare un cazzotto a qualcuno questo è un campione fittizio di un pugno, come se
mostrassi un pugno come campione di un pugno, ma rimane fittizio perché non lo tiro
davvero, sto facendo finta.

Replica = la replica delle unità combinatorie sono per esempio le parole, unità che si
possono combinare e che hanno un inventario finito. Ogni volta che io parlo e ogni volta
che traccio una linea sto replicando un modello. Il segno, la parola o la mia linea retta,
ogni enunciazione è diversa, ogni volta che dico una parola è un po’ diversa per
sfumature di significato o suono. Ogni enunciazione produce una replica del modello, del
tipo che è quella parola.

Invenzione = quando propongo una correlazione tra espressione e contenuto che ancora
non è stabilizzata.

Ratio Facilis = quando il rapporto tra tipo e occorrenza è già previsto, registrato dal
codice. Nei sintomi c’è un codice che mi dice che quel tipo di macchie rosse insieme a
altri elementi è morbillo. Esiste già un codice.

Ratio Difficilis = non c’è una riproduzione tra tipo e occorrenza è proprio un calcolo, le
caratteristiche dell’espressione corrispondono punto a punto con le caratteristiche del
contenuto. In questo caso il rapporto tra tipo e occorrenza non è di replica ma di
produzione sulla base del modello semantico come i vettori, questione di orientamento
spaziale. Ci sono anche delle cose che stanno a metà.

Continuum da formare (differenza tra forma, sostanza e materia) = è la materia.

La forma ritaglia una materia e da vita alla sostanza espressiva o del contenuto.

Il continuum è la materia, che cosa devo fare per produrre una parola?

Devo segmentare il continuum come quello dei suoni, ed è eteromaterico arbitrario,

in quanto espressione e contenuto sono di diversa materia.

Nel caso delle impronte l’impressore motiva l’impronta, mentre, a seconda di come è
fatto il piede o la zampa allora cosi sarà l’orma, motivata dalla forma, mentre la parola è
arbitraria perché il termosifone non ha motivo di chiamarsi cosi.

Omomaterico è come quando si lavora sulla stessa materia: per esempio se prendo un
campione di stoffa, questo sta per tutto il rotolo di stoffa ma la materia è la stessa.

Modi di articolazione: grammaticalizzate, prestabilite, codificate o iperordificate: quando


sono ipercodifiate divengono modi di dire, significa che è un codice irrigidito.
Un’espressione come c’era una volta è ipercodificata

Potrebbero essere ipercodifiate alcune espressioni verbali, alcuni esempi con diverse
modalità di pertinentizzazione cioè di ritaglio della materia.

Testi proposti e ipocodificati cioè non abbiamo dei modelli stabiliti cosi rigidi come per il
lavoro della pittura, quando lavoriamo su una tela, operiamo una trasformazione, se è una
cosa radicalmente nuova come il Cubismo, trasformava la materia in un modo nuovo che

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nessuno aveva mai visto tanto da essere rifiutato. Sono relazioni, espressioni e contenuti
nuovi. Anche la pittura conosce espressioni ipercodificate come il manierismo.

Ecco alcuni esempi:

Impronte o tracce: funzionano se un certa configurazione visibile, allora una classe di


possibili impressori. Se l’impronta ha quella forma lì allora i possibili impresari posso
essere alcuni la cui zampa ricorda quella forma lì.

Sintomi: se questo stato visibile, allora una classe di cause. I sintomi rimandano alle
cause possibili come le malattie.

Indizi: se questo elemento, allora una classe di azioni. Se vedo un ombrello di qualcuno
che riconosco allora capisco che quella persona è presente a lezione. Sono segni insicuri.

Ostensioni: presentazioni di oggetti come esempi per una intera classe. Campioni: parte
per il tutto. Io ti faccio vedere il campione e tu capirai come verrà la sedia.

Unità combinatorie: repliche di tipi espressivi legati convenzionalmente a un contenuto


per esempio le parole. Ci sono anche le unità pseudo combinatorie, per esempio in molta
arte astratta come Kandinskij in cui ci sono delle unità più semplici che vengono
combinare insieme come cerchio, triangolo, linea ecc. sono pseudo combinatorie perché
non c’è un codice alla base, ma vengono usate come fossero un sistema combinatorio
ma non c’è un inventario specifico. Al posto del cerchio, della linea ecc. avrebbe potuto
utilizzare anche un’ellisse, iperbole, qualunque altra forma.

Stilizzazioni: iconogrammi convenzionalizzati dall’uso in parte motivati: i disegni sulle


porte dei bagni.ì: figura dell’uomo o della donna.

Vettori: configurazioni spazio-temporali che riproducono rapporti da individuare sul piano


del contenuto: cartello segnaletico di direzione obbligatoria ha un struttura topo-sensitiva,
la sua posizione è importante e mi rimanda a un contenuto (a una determinata direzione)
che dipende dalla forma espressiva (sono solidali espressione e contenuto) che mi indica
una direzione obbligatoria. Sono configurazioni spazio temporali che riproducono rapporti
che vanno individuati sul campo di significato del contenuto.

Pseudounità combinatorie: repertorio articolato mentre il contenuto non è ancora


segmentato: strutture musicali, arte astratta. Al cerchio al quadrato e al rettangolo io
possono attribuire ogni significato ma Kandinskij me ne porporine uno. Le strutture
musicali è lo stesso, i contenuto di tali strutture non è stabilito ma è fonte di discussione
sul significato della musica, ma ha un repertorio articolare e deve seguire delle regole ben
precise.

Stimoli programmati: artifici espressivi finalizzati a suscitare delle risposte previste: luci e
suoni negli spettacoli (o anche al cinema), happening, disegni realistici. Quando si arriva
al momento di tensione la musica sale e ci sono dei giochi di luce finalizzati
all’ottenimento di un determinato effetto. Anche i disegni realistici sono stimoli surrogati,
mentre tu guardi un disegno devo farti avere la stessa esperienza visiva come se fossi
davanti all’oggetto vero, anche questo è uno stimolo surrogato ma programmato perché
metto insieme quegli stimoli per farti avere quel tipo di esperienza.

Calchi: Invenzioni in cui alcuni punti dello spazio fisico rinviano a punti di un oggetto.

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Invenzioni: correlazioni proposte. io faccio un’opera o un testo e propongo una nuova
correlazione suggerendo un nuovo modo di realizzazione e di correlare espressione e
contenuto, come Seurat nel Puntinismo, nessuno lo aveva fatto prima. Picasso ha dovuto
attendere prima di essere riconosciuto perché presentava delle correlazioni di senso tra
espressione e contenuto che non vennero subito accettate.

Ci sono diversi modi per produrre un’espressione e un contenuto.

Eco organizza questi modi in base al lavoro fisico richiesto per produrre e riconoscere
un’espressione (quando riconosciamo qualcosa come segno lo stiamo producendo e
stiamo usando un segno).

Testo e cooperazione interpretativa:


Negli anni successivi al ’75 che abbiamo appena visto, Eco sviluppa una semiotica
testuale. Di segni non si parla più ma si parla di testo. Dopo il ’79 esce con Lector
Infabula.

Ci sono diversi modi per produrre o riconoscere un contenuto.

Lector infabula = teoria del testo di Eco il quale si occupa di testi verbali narrativi, egli
specifica: per comodità ma perché secondo lui questi testi presentano tutti i problemi
degli altri testi più qualcun altro. Dunque quando parla dei testi narrativi verbali allora
tratta di tutti i testi.

Cosa sostiene la semiotica interpretativa?

Egli parte dall’idea che il testo è incompleto senza l’intervento di un interprete che riempia
gli spazi vuoti con la sua attività inferenziale. Il testo è intessuto di spazi bianchi perché
lascia non espressa una quantità di informazioni che il destinatario è chiamato a riempire,
il testo indica ma non dice esplicitamente.

La semiotica interpretativa sostiene che un testo è incompleto senza l’intervento di un


lettore che ne riempia gli spazi vuoti con la sua attività inferenziale. Un testo è “intessuto
di non detto” poiché lascia implicita una gran quantità di informazioni che il destinatario è
chiamato a trarre, estrapolare in base alla sua conoscenza del contesto comunicativo.

Ciò accade sempre. Il testo è un meccanismo economico perché nessun testo spiega
quello che dice, ciò sarebbe noiosissimo. Le istruzioni spiegano tutto.

Spazi lasciati perché:

1. il testo è un meccanismo economico, il testo non spiega tutto quello che dice: richiede
il plusvalore introdotto dal fruitore (solo un testo didascalico è pieno di spiegazioni ed è
ridondante ma anche quello non ce la fa a dire tutto quello che doveva fare). Perec
descrizione di tutto quello che vedeva nella piazza di Parigi ma anche lui dovette fare una
serie di selezioni lasciando degli spazi vuoti. Ogni testo fa economia e altri ne fanno di
più, funziona così anche per i testi visivi perché non possiamo far vedere tuti gli aspetti di
un’azione o tutte le possibili implicazioni, già la scelta di rappresentare qualcosa in termini
realistici significa fare una selezione. Noi un dito nel naso a una persona reale lo
possiamo mettere ma su una rappresentazione visiva no, già in questo caso sto facendo
economia perché i miei mezzi sono diversi in quanto il supporto è bidimensionale, posso
dare l’idea che siano stimoli programmati della terza dimensione ma quella non c’è e ci
sono anche una serie di tratti del viso, del corpo che io scelgo di non riprodurre.

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2. un testo (estetico) è economico in modo diverso perché tende a identificare il proprio
valore (efficacia, la propria “bellezza”) sull’iniziativa lasciata o meno al fruitore (v. Opera
aperta); libertà sempre più o meno “pilotata” dal testo stesso, dalle sue strutture e dalle
sue strategie testuali.

Tuttavia, tutti i testi estetici sembrano lasciare maggiore libertà interpretativa. Un testo
estetico ci chiede un lavoro interpretativo anche rapido però più impegantivo, se un testo
non ci richiede uno sforzo ad esso non attribuiamo un valore estetico.

È economico in modo diverso in quanto gente ad identificare il proprio valore, la propria


bellezza sull’iniziativa del fruitore, libertà sempre pilotata dal testo. Il testo estetico di
arma ci lascia maggiore libertà interpretativa a volte anche rapito da più impegnativo. Se
non ci richiede uno sforzo allora non attribuiamo un valore estetico a tale testo.

Definizione di testo = «Un sistema di relazioni interne che attualizza certi collegamenti
possibili e ne narcotizza (non ne rende pertinenti) altri. Prima che un testo venga prodotto
potrebbe essere inventata ogni sorta di testo.

Dopo che un testo è prodotto, è possibile fargli dire molte cose, ma è criticamente
illegittimo fargli dire ciò che non dice. Spesso i testi dicono molto più che i loro autori
intendevano dire, ma molto meno di quello che molti lettori vorrebbero che dicessero».
C’è un problema di limiti dell’interpretazione. Eco rifiuta il concetto che il testo sia uno
stimolo immaginativo. Io davanti a un testo posso interpretare come mi pare, se il testo la
giustifica allora è un’interpretazione (molte interpretaizoni sono possibili ma non tutte).

Teoria testuale di Eco:

Una teoria testuale, per Eco, deve spiegare il rapporto di significato che c’è tra i singoli
termini o elementi e il testo in generale anche a livello superiore di una parola o di una
semplice frase. Il senso di molte espressioni è comprensibile sono a livello testuale
(questo vale per tutti i testi), un semplice dettaglio preso in se può avere diversi valori a
seconda del contesto in cui è messo, anche visivo. Deve essere possibile trarre delle
indicazioni anche a livello dello stesso termine.

L’elaborazione di un modello semantico, in forma di enciclopedia, serve a descrivere tutti


questi problemi (il senso di una parola, di una frase, di un testo) in una volta sola
incorporando anche gli aspetti pragmatici (nel modello semantico a enciclopedia sono i
contesti poiché a seconda dei contesti il senso cambia e questa p una cosa che ha a che
fare con le azioni e con l’uso dei segni), in un tale modello ad enciclopedia sono i
contesti. C’è una relazione tra testo e enciclopedia che sviluppa nei primi due capitoli.

Distinzione di massima tra contesto, co-testo e circostanza


CONTESTO: Possibilità astratta, registrata dal codice (o meglio dall’Enciclopedia), che un
dato termine (segno o unità culturale) compaia in connessione con altri termini (segni)
appartenenti allo stesso sistema semiotico.

Bandiera rossa = parola circostanza

Etere = nel contesto scientifico tale parola comparirà insieme ad altre unità culturali e avrà
quel determinato significato.

Cane = non solo come animale ma anche come parte della pistola. In un contesto di un
certo tipo, per esempio domestico, è difficile che si parli di cane come arma da fuoco
quindi comparirà insieme ad altri segni in cui cane avrà un significato di animale
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domestico. In un contesto venatorio potrebbero essere entrambi in quanto esiste il cane
da caccia ma è anche una parte dell’arma da fuoco, quindi è ambiguo.

In ogni caso i contesti come possibilità: le possibilità astratte che un termine o un segno
possa comparire insieme ad altri segni sono i contesti come possibilità astratte, quando
si realizzano, quando in un testo vediamo che compare effettivamente quello è il co-testo

CO-TESTO: Insieme di termini con i quali un termine compare concretamente in


connessione. La parte di testo che circonda, l’intorno testuale che circonda quel termine
concreto, una realizzazione.

Riassumendo: Il contesto è la possibilità astratta registrata dall’enciclopedia di cui la


rappresentazione semantica da conto. Il co-testo è quando quel termine comprare
concretamente all’interno del testo.

Le selezioni contestuali che abbiamo visto nello spettro componenziale prevedono dei
possibili contesti; quando si realizzano sono dei co-testi. Parte di testo che circonda
quella parte di termine. Quando il termine compare all’intero del testo. Quando quel
termine si realizza allora sono dei co-testi.

CIRCOSTANZA: La situazione enunciativa in cui appare un termine. Le selezioni


circostanziali prevedono la possibilità astratta che un termine o segno compaia in
connessione con alcune circostanze di enunciazione; quando poi l’enunciazione avviene,
avremo una circostanza d’enunciazione concreta. L’occasione in cui viene pronunciato o
mostrato un segno. Se c’è una bandiera rossa che sventola in autostrada è anche una
circostanza in quanto la bandiera sventola in occasione della guida. Può essere possibile
ma quando si realizza sarà quella circostanza specifica.

L’occasione in cui viene mostrato o pronunciato un segno. es. se c’è una bandiera rossa
che sventola in autostrada vuol dire una determinata cosa. Non è un contesto perché in
questo caso la bandiera sventola nell’occasione di guida sull’autostrada. Un altra
circostanza è la ferrovia, sono nella circostanza in cui sto facendo un viaggio su un treno
e vedo una bandiera rossa sventolare e assume quel determinato significato. Può essere
possibile ma poi quando si realizza sarà quella circostanza.

Contesto quando è l’astratta possibilità che compaia insieme ad altri termini, poi quando
si realizza in un testo il fatto che quel segno comprare insieme ad altri segni quello è il co-
testo.

Il semema come istruzione orientata al testo:


Quel termine, quel segno trattato come l’insieme dei suoi possibili interpretanti a seconda
dei contesti, con i sensi che assume a seconda dei contesti.

Un termine scomposto nelle sue marche semantiche denotative e connotative, nonché


individuate dalle selezioni contestuali e circostanziali (spettro componenziale), assume il
nome di SEMEMA. In Greymas è il contrario, quello che Eco chiama Semema lui lo
chiama Lessema ma invece è diverso.

Per acquistare un senso determinato, qualunque enunciato, ogni segno, ogni unità
culturale ha bisogno di un co-testo concreto solo perché i termini che appaiono nel suo
co testo sono previsti dalla rappresentazione sememica cioè le selezioni contestuali
(contesto scientifico, contesto antico, ecc.) che il termine può essere attualizzato.

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Siccome abbiamo delle regole ci dicono che un termine in quel contesto assume quel
significato che poi noi possiamo utilizzare.

Tuttavia, è solo perché i termini che appaiono nel suo co-testo erano previsti dalla sua
rappresentazione sememica (selezioni contestuali - contesto scientifico- contesto antico)
che il termine può essere effettivamente attualizzato. Greimas faceva l’esempio di
«pescatore».

«Il pescatore reca in sé, evidentemente, tutte le possibilità del proprio fare, tutto ciò che ci
si può attendere da esso in fatto di comportamento». Ogni semema è anche un
programma narrativo. Io posso mettere in scena un pescatore, quando lo metto in scena
penso a una serie di azioni che possono essere compiute, c’è tutta una possibilità
narrativa che si apre per il semplice fatto che ho nominato un pescatore.

Il semema è come se fosse un testo condensato mentre il testo è un semema espanso.


Ogni stemema è come se fosse una piccola storia condensata mentre ogni testo
potrebbe essere ridotto a un semema. es. di Genette: potremmo riassumere l’intera
ricerca del tempo perduto in una frase, prescindere da una serie di significati ma è come
se la frase “Marcel alla fine diventa scrittore” espandendola potremmo ottenere la ricerca.
Ci fa capire come se io metto in scena un’aspirante scrittore ho una serie di possibili
azioni pertinenti e un insieme di azioni che non sarebbero pertinenti. Il semema reca in se
le possibilità di una storia e di una narrazione mentre un testo potrebbe essere ridotto,
rinunciando a una serie di determinazioni, ma a un semema di partenza,

Il ruolo del lettore:


Come si comporta un interprete davanti a un testo?

Un testo, così come appare nella sua manifestazione di superficie (manifestazione


lineare), è una «catena di artifici espressivi che debbono essere attualizzati dal
destinatario». Una serie di strategie che si traducono in un livello espressivo, in una
superficie espressiva: quando guardo un quadro vedo quello che è stato realizzato,
quando leggo un libro ho a che fare come prima cosa con le parole scritte. Queste cose
non hanno un senso fino a quando qualcuno non le interpreta. Quindi un testo così
com’è, da solo, è incompleto per due ragioni:

1- Perché implica un interprete che colleghi alle espressioni il loro significato


convenzionato. Altrimenti resta lettera morta.

2 - Perché è intessuto di non detto.

Esempio: Giovanni entrò nella stanza. «Sei tornato, allora!, esclamò Maria, raggiante. - noi
capiamo che tutti e due i personaggi si trovano nella stessa stanza. Ci fornisce una serie
di informazioni che la frase esplicitamente non ci da.

Ci sono dei significati che risultano incorporati nel testo. “Allora” è avversativa perché
Maria non si aspettava il suo ritorno. Il testo ci dice delle cose in maniera indiretta.

a) Coreferenze (il tu implicito del verbo essere - sei tornato - si riferisce a Giovanni. Se è
uno a parlare allora si riferisce all’altro a meno che il testo ci dica solo successivamente
che sta parlando con qualcun altro ma appare strano che Maria parli con qualcun altro
che ancora non si è palesato facendo palesare Giovanni).

b) Entrambi i personaggi stanno nella stessa stanza (nella; una e una sola stanza)

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c) Postulati di significato: chi torna si è precedentemente allontanato, significati che sono
come incorporati nell’espressione. Se io dico “Sei tornato” allora vuol dire che prima è
andato via.

d) Allora: avversativa, Maria non si aspettava il ritorno in quanto dice “Sei tornato allora”

e) Raggiante: lo desiderava, ne è contenta.

Un testo ci dice una serie di cose che non esplica subito alla prima lettura.

Come il testo prevede il lettore:


Che cos’è un testo?

«Un testo è un artificio, un prodotto la cui sorte interpretativa deve far parte del proprio
meccanismo generativo (un testo deve essere prodotto pensando già a come potrà
essere interpretato cercando di spingere e di portare l’interprete verso l’interpretazione
desiderata): generare un testo significa attuare una strategia di cui fanno parte le
previsioni delle mosse altrui – come d’altra parte in ogni strategia». I romanzi gialli
giocano su questa cosa perché devono sollecitare delle aspettative per poi frustrare e
dare una sorpresa.

«Per organizzare la propria strategia testuale un autore deve riferirsi a una serie di
competenze […] che conferiscano contenuto alle espressioni che usa. Egli deve
assumere che l’insieme di competenze a cui si riferisce sia lo stesso a cui si riferisce il
proprio lettore. Pertanto prevederà un Lettore Modello capace di cooperare
all’attualizzazione testuale come egli, l’autore, pensava, e di muoversi interpretativamente
così come egli si è mosso generativamente».

L’autore da un lato presuppone, dall’altro istituisce la competenza del lettore, generando il


Lettore Modello. Non da confondersi con il lettore empirico come lettore fisico (empirico).
Riassumendo: Il lettore modello è una strategia testuale, sta dentro il testo come l’autore
modello. Sono entità di carta.

Autore e lettore: strategie testuali


Il Lettore Modello è l’insieme delle condizioni di felicità di un testo, stabilite dal testo
stesso. Quindi esso non si confonde con il lettore empirico, né coincide con la media
statistica dei lettori empirici, né tantomeno è un modello di lettore ideale.

Il Lettore Modello è l’insieme delle mosse inferenziali consentite o sollecitate dal testo.
L’Autore Modello è in sostanza la stessa cosa; cambia il punto di vista.

Il Lettore Modello è mirato dall’autore empirico che cerca di costruire delle competenze
alle quali il lettore empirico si dovrà adeguare.

L’Autore Modello è mirato dal lettore empirico capendo quali mosse inferenziali mettere in
atto, quali mosse l’autore voleva che mettesse in atto, adeguandosi al lettore modello.

Contano le intenzioni virtualmente contenute nell’enunciato. «La cooperazione testuale è


un fenomeno che si realizza […] tra due strategie discorsive, non tra due soggetti
individuali».

L’autore empirico deve costruire l’Autore Modello e il testo prevedendo le competenze del
lettore empirico, generando così il Lettore Modello.

Uno deve progettare il testo sulla base di una serie di competenze presupposte in modo
da dare una serie di suggerimenti e sollecitazioni. L’altro deve trovare il modo di
riconoscerle e di adeguarvisi (riconoscimento delle mosse inferenziali).

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Ogni testo vuole essere letto in una certa maniera e le istruzioni di come essere letto sono
all’interno del testo stesso.

L’autore empirico costruisce l’autore modello prevedendo le competenze del lettore in


carne e ossa, generando il lettore modello.

Affinché ci sia piena attualizzazione del testo (dal punto di vista della comprensione e del
senso), il lettore empirico deve seguire le indicazioni dell’Autore Modello (sotto forma di
istruzioni testuali) uniformandosi il più possibile al lettore modello.

Ha dei doveri filologici. Per ottenere un’interpretazione deve rispettare l’intenzione del
testo. C’è una strategia discorsiva e testuale.

Livelli di cooperazione testuale.


Livelli I
Non sono momenti successivi, noi prima abbiamo a che fare con l’espressione con la
manifestazione lineare del testo che è prodotto in determinate circostanze storiche e di
enunciazione ed è costruito su una base di codici e sotto codici ma dopo si costruiscono
anche altre cose:

1) Circostanze di enunciazione. Nel testo orale: movimento oscillatorio che fa l’interprete


tra aspetti soprasegmentali (tono, flessione e aspetti che sono verbali ma paraverbali che
contribuiscono a chiarire il significato), linguistici ed extralinguistici.

Testo scritto: a) Prime ipotesi sul genere testuale (io guardo un quadro, un libro e la prima
cosa che devo capire è di che cosa si tratta se di una serie di poesie, se è un romanzo.
Questa cosa mi orienterà nell’interpretazione); b) Ricostruzione dello sfondo storico di
enunciazione. Se io guardo un quadro è naturale che esso sia in una certa maniera se
fatto nel XVII secolo o IX secolo. È lo stesso quando leggiamo un romanzo capendo sia il
periodo in cui è stato scritto che quello che racconta (libro degli anni 2000 che racconta
dell’800).

2) Estensioni parentetizzate: operazioni referenziali (estensionali) messe tra parentesi


(parentetizzate). In sostanza, in prima battuta il lettore assume che il mondo di cui parla il
testo coincida con quello della sua esperienza. Gli individui di sui si parla, gli eventi
storici, le leggi fisiche, gli oggetti sono supposti identici al mondo attuale, quello nostro.
Se poi il testo si allontanerà dal mondo della nostra esperienza, queste prime ipotesi
(messe tra parentesi in quanto non possiamo scommetterci) estensionali andranno riviste.
Per questo le prime operazioni estensionali vanno messe tra parentesi, perché non
sappiamo se poi in seguito verranno confermate o meno.

In un romanzo di fantascienza a un certo punto si dice che un personaggio apre il


rubinetto dell’acqua dolce (questo ci fa capire che viviamo in un mondo in cui l’acqua
dolce scarseggia e ne avremo quindi uno con l’acqua salata per fare determinate cose,
ma per bere useremo quella dolce).

Intensione: significato in se stesso, nelle relazioni tra elementi semantici (come fanno i
strutturalisti), senza fare riferimento, a possibili utilizzi di questi termini, al mondo.

Estensione: applicazione del senso dei termini, delle parole o dei segni a elementi del
mondo. Se guardo l’organizzazione di un quadro ne vedrò gli elementi in relazione
reciproca, ma non guardo quanto assomigliano o non somigliano a cosa fanno riferimento

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nel mondo perché quella sarebbe la dimensione estensionale. Quando mi limito a quella
intensionale guardo le relazioni tra il senso dei termini.

Livelli II
Codici e sottocodici.

1-Dizionario di base (il testo sarà fatto con un dizionario di base): riferimento a un lessico,
regole sintattiche e proprietà semantiche con postulati di significato, serie di competenze
usate dall’autore e presupposte nel lettore. Quando gli impressionisti fanno la loro
apparizione sembra quasi che utilizzino un altro dizionario, non vengono capiti.

Esempio: In un regno lontano viveva una bella principessa = per postulato di signifcato
significa: umana, (è un’estensione) vivente, di sesso femminile (il testo poi potrebbe
anche contraddirmi), giovane (baso sulla mia esperienza, ciò può essere probabile).

2-Regole di coreferenza: espressioni deittiche e anaforiche (rimandi interni al testo; per


esempio, le faceva piacere. Le è un pronome, che rimanda anaforicamente a un nome
femminile apparso nella porzione precedente di testo).

Meccanismo che deve per forza far riferimento a un dizionario di base, a regole
grammaticali e sintattiche che fanno riferimento a un tutto un’organizzazione del sistema
del contenuto e del significato, è sempre incompleto in quanto un testo è un meccanismo
economico.

Livelli III
1- Ipercodifica retorica e stilistica: frasi fatte (espressioni che realizzano concretamente
dei tipi generali), espressioni figurate, connotazioni frequenti.

Se sento: «C’era una volta»: capisco subito che: a) epoca indefinita non storica; b) eventi
non reali; c) storia immaginaria per divertimento o velato ammonimento. Ciò io lo capisco
subito appena leggo c’era una volta.

2- Inferenze da sceneggiature: frame già conosciuti, piccoli «copioni» noti. Frame =


sequenze di eventi ipercordificate, che possono derivare dalla nostra esperienza concreta
e allora sono sceneggiature comuni, o dalla nostra conoscenza di altri testi divenendo
conoscenza ipertestuale. “andare al supermercato uno alla volta con la mascherina” non
è una sceneggiatura, adesso è diventata comune ma è una sceneggiatura comune
perché fa riferimento alla nostra esperienza concreta. “la fanciulla perseguitata”, no
riconosciamo tutta una serie di azioni e di cose implicate in questa azione perché
facciamo riferimento e conosciamo altri testi.

Le sceneggiature sono: sequenze di eventi ipercodificate

a) S. comuni: situazioni stereotipe relative alla nostra conoscenza del mondo.

b) S. intertestuali: situazioni stereotipe relative alla nostra conoscenza di altri testi.

a) «andare al supermarket»; b) «la fanciulla perseguitata».

La sceneggiatura è sempre una storia condensata o un testo virtuale.

Una storia condensata, un testo virtuale in cui mi viene in mente automaticamente (è


un’inferenza perché viene richiamata come fosse una premessa) da una parte del testo o
da un’espressione particolare.

Strutture discorsive:
Abbiamo una nozione semantica e una pragmatica.

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Semantica (relativa al significato). Isotopia (ridondanza segnica che da coerenza a un
testo): un insieme di categorie semantiche ridondanti che rendono possibile la lettura
uniforme di una storia (o di un testo qualunque) si tratta di un percorso interpretativo
coerente. Un testo per permetterci una lettura unitaria e coerente deve fare riferimento ad
alcune categorie semantiche che devono ricorrere, per farmi comprendere che si sta
parlando di una stessa cosa, ecco perché definito ridondante. (ciò dovrebbe avvenire
soprattutto con i testi lunghi). Un percorso di senso coerente si chiama isotopia che vuole
dire “stesso luogo” = stiamo parlando delle stesse cose. Un romanzo complesso può
mettere in scena diverse isotopie, soprattutto se si tratta di un testo complesso. Anche le
opere d’arte possono mettere in scena più isotopie come i quadri n cui succede una cosa
su un piano e sullo sfondo ne succede un’altra. Oppure quei quadri che hanno un
significato simbolico.

Pragmatica. Topic = tema sviluppato, l’argomento, dalla porzione del testo del quale si sta
parlando. Esso viene attivato sulla base della narcotizzazione o magnificazione di percorsi
semantici. Vengono trascurate alcune possibilità semantiche. Per individuare un’isotopia
devo farmi delle domande sul topic.

Generalmente funziona così: io per individuare un’isotopa devo farmi delle domande e
formulare un’ipotesi, il topic è quindi un’ipotesi che dipende dall'iniziativa del lettore, che
la formula in modo alquanto rozzo, sotto forma di domanda ("di che diavolo si sta
parlando?") che si traduce quindi come proposta di un titolo tentativo ("si sta
probabilmente parlando di questo”) - ma potrò essere smentito. Queste sono dunque le
ipotesi che faccio sull’argomento di quello che sto vedendo.

È dunque strumento meta-testuale (si tratta di domande fatte a proposito di un testo) che
il testo può sia presupporre che contenere esplicitamente sotto forma di marcatori di
topic, titoli, sottotitoli, espressioni-guida (frasi che mi fanno capire che si sta parlando di
certi argomenti).

Sulla base del topic il lettore decide di attivare o narcotizzare le proprietà semantiche dei
lessemi (dei termini, dei segni delle unità culturali che compaiono nel testo) in gioco,
stabilendo un livello di coerenza interpretativa, detta isotopia.

Per individuare un’isotopia io devo farmi delle domande sul tema in generale, queste
domande sul tema è il topic, al coerenza del testo, il percorso coerente del testo si
chiama isotopia.

Esempio: Giorgio fa l’amore con sua moglie tre volte a settimana. Anche Luigi. = frase
ambigua, si sta parlando di vite sessuali di due coppie o di un ménage a trois. Io formo
questa ipotesi che in questo caso potrebbe essere ambigua e quindi il resto del testo mi
dirà se l’isotopia da scegliere è un triangolo o la vita di due coppie distinte.

Strutture narrative in testi non narrativi:


Noi abbiamo la tendenza a interpretare e ad immaginarci storie anche li dove il testo che
ci viene presentato non ci richiede ciò. La forma narrativa pur non essendo originaria è
pervasiva, noi umani tendiamo a interpretare in termini narrativi anche quello che non
potrebbe esserlo o non c’è un motivo stringente per farlo.

Si può attualizzare una fabula (narrativa, una sequenza di azioni) anche in testi non
narrativi.

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A – Sono senza benzina.

B – C’è un garage dietro l’angolo.

Fabula attualizzabile: A ha bisogno di benzina e si rivolge a B. B vuole aiutarlo e sa che A


dovrebbe sapere che di solito i garage hanno una pompa di benzina [negli anni ‘70], sa
che c’è un garage dietro l’angolo e crede plausibile che questo garage abbia benzina da
vendere. Così informa B sulla localizzazione del garage.

Esempio: La maggior parte dei quadri di Hopper possono essere considerati come
rappresentanti di una scena e basta oppure danno la sensazione che qualcosa sia
appena successo o c’è qualcosa che sta per succedere, grande senso di imminenza. Noi
tendiamo a rappresentare tutto con un senso narrativo.

A questo punto, un ipotetico lettore potrà avanzare delle previsioni: A seguirà le


indicazioni di B? Se sì, troverà il garage? Se sì, ci sarà la benzina? E se non la trovasse?
Magari si perderà. Forse si arrabbierà; potrebbe essere sgarbato con la persona
sbagliata. Ecc. si può scrivere una grande quantità di storie a partire da questo scambio
non inteso come un testo narrativo. In realtà una fabula attualizzatile c’è quasi sempre.

Previsioni:
Ogni testo sollecita delle previsioni mano a mano che si scopre il testo anche perché ogni
testo si scopre poco alla volta. Anche un’opera visiva richiede un tempo di esplorazione
nonostante i percorsi siano più liberi e meno vincolati. Ogni volta che il lettore giunge a un
particolare stadio in un racconto o nell’esplorazione di un testo è condotto a formulare
delle ipotesi, delle previsioni (Peirce diceva che noi facciamo sempre delle previsioni sullo
svolgimento degli eventi, Ecco perché riconoscere che il rinvio segnico procede secondo
il modo dell’inferenza).

Le previsioni possono essere avanzate in ogni momento, ma di norma l’interprete non è


mai così ansioso perché mantiene un certo ritmo, una certa velocità di lettura. Per
esempio: Se leggo “Pietro mangia la mela” non faccio in tempo a chiedermi “che cosa
mangerà”, perché sono già lì, sulla mela. Anche se si trattasse della frase: “Pietro mangia
un missionario”, ci sarà sorpresa ma non avremo tempo ad avere della suspence.

Quindi quand’è che il testo mi spinge a formare veramente delle previsioni?

Quando arriva una disgiunzione di probabilità. Quando si arriva ad un punto del testo in
cui la narrazione dovrà prende una piega o un’altra o un’altra ancora. Un libro in genere
ce lo suggerisce a fine capitolo o quando c’è una digressione insistita, mi sospende
l’azione e io mi pongo delle domande.

Disgiunzioni di probabilità
Di conseguenza, solo ove emergono disgiunzioni di probabilità rilevanti il lettore ipotizza
intorno al corso degli eventi. In genere, è il testo stesso a segnalare (segnali di suspence)
quali disgiunzioni sono rilevanti (divisioni di capitolo, pensieri ed emozioni dei personaggi,
digressioni insistite, ecc).

Don Abbondio vede i Bravi. Gli sembra ovvio che siano lì per lui. Entra in ansia. Si fa un
esame di coscienza, verifica se ci sono vie d’uscita. A questo punto iniziamo a chiederci
che cosa succederà dopo. Perché il testo mi fa vedere una scena del genere?
Disgiunzione di probabilità: le cose possono prendere diverse pieghe. Ipotesi: scoprirà
che non stanno aspettando lui (ma sarebbe poco

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interessante)? Qualcuno lo soccorrerà, anche involontariamente? Cosa vorranno da lui i
bravi? Lo aggrediranno? Lo minacceranno? Ecc.

Ci sono dei punti all’interno in cui gli eventi possono prendere una piega o un’altra. Un
quadro di grandi dimensioni potrebbe suscitate delle cose simili. Per i testi visivi delle
disgiunzioni di probabilità cosi evidenti sono decisamente più difficili. Magari un trittico
che ci racconta una storia che non conosciamo potrebbe darci degli effetti di suspence.

Le passeggiate inferenziali:
Mano a mano che andiamo avanti in un testo dobbiamo uscire da esso per avanzare le
previsioni, usciamo dal testo per cercare dei punti di riferimento delle nostre inferenze
nell’enciclopedia. ma comunque immagineremo l’evento più cruento perché è quello che
consideriamo più probabile. L’attività di cooperazione interpretativa è comunque e
sempre guidata o confortata dal riferimento all’enciclopedia. Per avanzare previsioni, il
lettore esce dal testo e cerca le premesse delle sue inferenze nell’enciclopedia. Se un
personaggio si avvicina minaccioso a un altro con la mano levata, noi sappiamo grazie
alle nostre conoscenze pregresse.

(del mondo attuale, di mille altre storie, ecc.) che con ogni probabilità tenterà di colpirlo.
Che poi sia per dare un buffetto o per stendere l’altro personaggio, intanto noi avremo
immaginato l’esito più cruento perché più frequente.

In ogni caso quello che abbiamo fatto è uscire dal testo, prendere l’intertesualità come
esempio per cercare di guidare le nostre previsioni, più è dilazionata la conclusione degli
eventi che sto interpretando più ci sono le possibilità di rimanere sospesi con una serie di
ipotesi in ballo.

Le linee di resistenza
Eco (Kant e L’ornitorinco, 1997) ultimo libro teorico, mentre gli altri erano racconti, in cui
cerca di correggere alcune prospettive degli anni precedenti (nei testi precedenti si
occupava dell’oggetto da interpretare come una qualsiasi cosa presa in relazione
soggetto-oggetto, è oggetto della nostra conoscenza. Qui si interroga non tanto a partire
dal sistema culturale ma a partire da quando incontro l’oggetto per la prima volta, invece
di guardare dal sistema culturale all’oggetto, dall’oggetto al sistema): se si interpreta è
perché c’è qualcosa da interpretare (anche lui è realista).

Ora, le cose che si possono dire su qualcosa sono in numero indefinito per un’opera
d’arte o un libro o un testo ci sono diverse interpretazioni alcune accettabili mentre altre
inaccettabili; (esistono delle linee di resistenza) pensate ai diversi modi in cui si può
interpretare un’opera d’arte. Ma anche una semplice frase potrebbe veicolare diversi
significati, e magari molti accettabili. Tuttavia, Eco rifiuta l’idea che si possa dire
qualunque cosa su un oggetto. Esistono delle linee di resistenza; ossia, diverse
interpretazioni potranno andar bene, ma alcune non saranno giustificate. Da cosa?
Dall’oggetto stesso, dal testo, dalla sua organizzazione. Diversi sensi sono percorribili, ma
alcuni sono sensi vietati.

L’ornitorinco è un animale piuttosto strano sembra composto da pezzi di altri animali ma


potrebbero essere proprio gli altri animali ad aver preso da lui. Non si sapeva come
classificare questo animali. Nel seguire questo processo di categorizzazione Eco affronta
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questioni filosofiche pero dice che l’ornitorinco presenta delle caratteristiche che gli
permettono di essere categorizzato in un determinato modo ma non in qualunque modo
perché il fatto che faccia le uova fa di lui un animale che fa uova e non si può tornare
indietro, le conoscenze che noi abbiamo già influenzano il modo in cui noi categorizziamo
e interpretiamo le cose ma sempre a partire dalle caratteristiche di quella cosa.

Es. Marco Polo e il rinoceronte. La nostra cultura ci parla dell’unicorno e lui lo ha visto,
ma non è cosi grazioso come si dice ma è una bestia laida. Descrive il rinoceronte con le
categorie culturali che ha a disposizione, nel farlo si rende conto che le descrizioni che
aveva dell’unicorno non quadrano, non stanno bene nel descrivere l’animale che ha
davanti, e quindi le corregge sul rinoceronte. La realtà è quella cosa che ci costringe a
correggerci. Viene chiamato:

Realismo negativo = posso dire diverse cose riguardo a ciò che ho davanti ma ci sono
alcune cose che il testo mi dirà che non posso dire.

Io scopro la realtà quando mi dice di no. È una cosa che aveva detto già Peirce
(meccanismo con il quale si forma la propria identità personale).

Alcuni sensi sono percorribili altri sono vietati.

Es. ornitorinco. Presenta della caratteristiche che gli permettono di essere categorizzato
in molti modi ma non in tutti. Le conoscenze che noi abbiamo influenzano il modo in cui
interpretiamo e categorizziamo le cose.

TC,CN,CM
Un tipo cognitivo (TC) è un insieme privato di istruzioni di interpretanti che ci consente di
riconoscere una specifica esperienza percettiva come l’occorrenza di un determinato tipo.
Quando io sono davanti a una sedia io la riconosco come tale perché ho un tipo cognitivo
che è mio soltanto e non sarà uguale a quello dell’altro.

Nella vita contrattiamo anche con il significato degli altri costruendo un contenuto
nucleare (CN) è l’insieme di interpretanti intersoggettivamente selezionati in media. Quello
che condividiamo con il resto della nostra cultura.

Esempio: Montezuma. Quando arrivano gli spagnoli in Messico, gli aztechi non
conoscevano il cavallo, la prima cosa che fanno è interpretare l’uomo a cavallo come un
tutt’uno, come fosse un semidio, metà uomo e metà cavallo, senza sapere che cosa sia
veramente un cavallo. Quando scende da cavallo lo identificano come un animale. Che
cosa fa il primo che vede questo cavallo? Lo ricondurrà alla propria enciclopedia. L’uomo
dirà: “È una sorta di cervo strano”. Poi va da Montezuma per avvertirlo dell’arrivo degli
spagnoli e gli parla dello strano animale, dopo di che iniziano a discutere, contrattano,
fanno dei disegni, dicono la propria, tutti interpretanti che si riferiscono al cavallo. In
questo modo Montezuma si fa un tipo cognitivo, ancora non l’ha visto. Successivamente
va a vederlo e scopre cos’è. A quel punto tra gli aztechi si diffonde un contenuto nucleare
medio. (ipotizziamo che ci sia un azteco che si interesserà particolarmente dell’animale
sviluppando un contenuto molare).

Infine, la conoscenza “approfondita” di un oggetto d’esperienza che si compone di


definizioni scientifiche, norme d’azione e descrizioni particolareggiate, è chiamato
contenuto molare (CM) della nostra conoscenza dell’oggetto in questione.

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Uno zoologo sa molto di più sui cavalli rispetto a quanto ne sappiamo noi, tipo cognitivo
di cavallo poi abbiamo un contenuto nucleare che è condiviso da tutti quanti e il
contenuto molare è quello di uno zoologo.

Le tre intentiones:
L’ermeneutica classica distingue tra: intentio auctoris e intentio lectoris.

INTENTIO AUCTORIS: intenzioni dell’autore, ciò che voleva dire l’autore empirico quando
realizza qualcosa.

INTENTIO LECTORIS: intenzione del lettore, ciò che il lettore fa dire al testo in riferimento
ai propri sistemi di significazione o ai propri desideri, pulsioni, credenze.

INTENTIO OPERIS: “intenzione” dell’opera, le strategie discorsive che la caratterizzano, al


di là delle intenzioni di chi la produce o di chi la legge.

Per Eco, l’interpretazione deve restare fedele, per quanto possibile (per questo ha dei
doveri filologici), all’intentio operis.

Quindi, l’autore?
Quindi l’autore lo mettiamo da parte? Non lo considereremo più? Le intenzioni dell’autore
sono davvero irrilevanti?

La nostra esperienza ci dice di no. In realtà, l’interpretazione sta nella tensione tra le
intentiones (anche perché io come lettore ho determinate pulsioni); abbiamo visto che
bisogna considerare anche le circostanze di enunciazione, e proprio per capire a quale
enciclopedia fare riferimento, quindi qualcosa dell’autore io devo tenere in considerazione
anche perché in molti casi l’interpretazione è guidata da alcune esperienze dell’autore in
quel periodo.

Non è detto che l’autore sia il migliore interprete del proprio testo, non è lui che deve
risolvere i problemi interpretativi, il testo dice qualcosa anche a prescindere dalle
intenzione del proprio autore. Se io sono un autore e il mio testo è ambiguo ma io non
volevo esserlo, oramai il mio testo rimane ambiguo. Testo che sollecita anche
quell’interpretazione che l’autore non aveva previsto.

Tuttavia, si tratta di mettere fuori gioco le interpretazioni che scarichino sulla psicologia
dell’autore come chiave privilegiata per l’intera interpretazione del testo. In tal senso, è
naturale privilegiare l’autore modello, ossia la strategia testuale che guida le mosse
inferenziali dell’interprete. Bisogna riconoscere che le intenzioni dell’autore hanno diritti
modesti e limitati su quello che è il testo (il testo dice quello che dice); a volte, un testo
può comunicare cose, sulla base della sua organizzazione, che l’autore non aveva
previsto.

A questo punto Il lettore non deve prendersi delle libertà a cui non ha diritto.

Interpretazione e uso
Uso: modo strumentale o idiosincratico (cioè personalissimo) di interpretare il testo senza
riguardo per quanto esso effettivamente dice, per le strutture e le strategie che lo
costituiscono.

Interpretazione: rispettare sostanzialmente i testi. Ricostruire il suo significato legittimo (o


meglio legittimabile).

Non si tratta di un’opposizione netta. Dobbiamo immaginare un continuum graduato. Poi


esistono diversi tipi di usi:

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Uso1: idiosincratico; sovrapposizione di pulsioni private al testo. Accettabilissima nel
privato, indifendibile al tribunale intersoggettivo. Per esempio io leggo un testo, sono
appena stata lasciata e allora andrò a interpretare in quella chiave tutto quello che leggo,
ma non sto interpretando il testo, sto proiettando una mia sensazione personale su quel
testo che magari non voleva parlare di quello, ma in qualche modo per associazione mi
richiama delle vicende vissute. Non è un’interpretazione del testo. Questa cosa può
essere fatta solo se rimaniamo nella nostra cameretta, poiché è indifendibile davanti al
tribunale intersoggettivo. L’interpretazione dei testi si fa perché ci deve poi portare a delle
affermazioni intono a quei testi che davanti all’interazione con gli altri possa reggere alla
polemica e alla critica. La teoria dell’interpretazione non può lasciare troppo spazio alle
iniziative del lettore. Esistono anche teorie dell’interpretazione che mi portano verso
conclusioni opposte ma per Eco sono inaccettabili.

Uso2: attribuzione di un senso non giustificato dall’insieme del testo.

Fatta salva la diversità dei generi testuali, va respinta proprio a causa della sua
contraddittorietà. Ci sono state molte interpretazioni alchemiche di Dante e nessuna di
queste regge un confronto con tutto il testo. Ci sono delle contraddizione e quindi si
evince che tale interpretazione non va bene per interpretare il testo.

Uso3: sovrainterpretazione; eccesso di sospetto nei confronti del senso rilevabile del
testo. Se si tratta di una procedura consapevole che non mette in discussione l’intentio
operis, può essere accettata; ma non come esempio di critica testuale. Come quando
voglio divertirmi a trovare dei sensi ulteriori ma non come esempio di etica testuale, l’etica
testuale mi deve restituire l’interpretazione possibile, quella legittima o legittimarie dal
testo. Abbiamo dei doveri filologici. Il testo dice quello che dice a volte anche contro le
intenzioni dell’autore stesso. L’intenzione dell’autore non è un parametro.

9.04.2020
Schema narrativo canonico e le quattro fasi:
Schema narrativo canonico nelle sue fasi. Sono schemi generali che valgono per tutti gli
schemi narrativi e il significato dello schema nel percorso generativo e nella semiotica
gremasiana a noi non interessa. Lo schema narrativo canonico può essere adottato in un
testo che può essere analizzato in modo narrativo.

Se noi ci limitiamo ad applicarlo allora non abbiamo fatto nulla di nuovo. Il problema è
ogni testo problematizza, mette in gioco, omette alcune di queste categorie.

Quindi quando facciamo l’analisi di un testo concreto non ci interessa semplicemente di


trovare le invariati ma come queste invariati siano messe in gioco e quale ruolo giochino.

Queste quattro fasi cosa vogliono dire? siccome tutti i testi narrativi hanno questa cosa di
fondo, c’è un soggetto che cerca di congiungersi con un oggetto di valore.

La prima fase è la manipolazione, qualcuno o anche il soggetto stesso come attore


(attanti e attori) potrebbe anche darsi il compito da sé, una sorta di mandato in quanto
deve cercare di svolgere la missione. L’oggetto viene caricato di valore per un soggetto.

Quando il re chiama il principe e gli dice di andare a salvare la principessa ella non è
ancora un oggetto di valore poiché sconosciuta dal principe. C’è una fase di
manipolazione in cui un destinante offre un oggetto di valore, carica di valore un oggetto
per il soggetto. Può anche succedere che un soggetto a un certo punto stanco della
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propria vita e si da un’obbiettivo caricando un oggetto di valore per poi congiungersi con
esso. La competenza: per poter compiere la sua missione deve avere delle capacità
come dei mezzi concreti (anello magico, spada), delle conoscenze, deve avere qualche
strumento per compiere la missione che è la performanza (lotta finale del cavaliere che
uccide il drago), la sanzione: finale, fase quasi sempre presente. Fase finale in cui il
soggetto si ricongiunge con l’oggetto di valore.

Una volta che ci è riuscito, se ci è riuscito c’è la fase della sanzione in cui il cavaliere
sposa la principessa. Fase quasi sempre presente anche quando non avviene in maniera
sempre esplicita.

Ci sono testi per i quali applicare questo tipo di schema è stupido come un quadro
informale, si può fare ma risulta fantasticheria.

Di cosa si tratta l’attante?


L’attante è una funzione sintattica che si può concatenare con le altre.

Gli attanti sono 6 figure possibili, la posizione di soggetto poi si può concatenare con le
altre con l’antisoggetto o gli aiutanti o gli opponenti. Questa è solo la funzione di soggetto
perché poi l’attore concreto nel testo non ha un rapporto biunivoco con la funzione.

La funzione dell’attente soggetto poi può essere incarnata da tre attori o da due o da uno
solo. Io potrei essere il soggetto e l’anti soggetto contemporaneamente (fight club).

La sintassi attanziale viene chiamata cosi perché le funzioni possono attaccarsi tra di loro.
Gli attori nella manifestazione concreta del testo non conservano necessariamente un
rapporto biunivoco. Non per forza un’attante deve incarnare un attore. Più attanti si
possono incarnare in un attore e più attori possono essere la manifestazione di un
attante. Si tratta di una funzione che è sintattica (sintattica = ordinare insieme) perché si
può concatenate con le altre. Viene chiamata sintassi attanziale proprio perché le funzioni
possono concatenarsi tra di loro.

Quando si parla si estensioni parentetizzate parlo anche di topic e previsioni?

Estensione parentetizzate sono le prime operazioni di ipotesi su come è fatto quel


mondo, per questo estensione; non riguarda solo il senso in sé ma cerchiamo di
applicarlo a un mondo. Mano a mano che vado avanti queste estensioni, che io metto tra
parentesi in quanto non posso essere certo che quel mondo è fatto esattamente come
credo. Se prendo un libro senza sapere che cos’è e scopro che è ambientato nell’800 è
ovvio che non ci troverò delle automobili.

All’inizio quando comincio a leggere assumo che il mondo rappresentato sia fatto come il
mio, come il mondo della mia esperienza ma mano a mano che vado avanti queste
estensioni, che avevo messo tra parentesi, andranno corrette. Se leggo un libro e mi
rendo conto che al suo interno sono possibili i viaggi nel tempo nella mia esperienza
concreta non risultano.

Per individuare un topic io devo fare delle ipotesi sulla struttura del mondo possibile.

L’estensione parentetizzare sono il primo ragionamento che io devo fare. Appena poi
trovo un elemento ridimensiono la mia ipotesi e vado avanti.

Distinzione tra i tre usi:

Il primo è l’uso idio sincratico o idio lettale (Eco non li ha teorizzati cosi). Uso
contrapposto a un’interpretazione che è intersoggettivamente controllabile, ogni lettura
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empirica, quella che facciamo noi, sarà diversa perché sarà intessuta di passioni, ricordi,
ossessioni, fino a un certo punto possiamo proiettare tutte queste idiosincrasie sul testo,
e il testo ce lo consente. Si parla di una donna amata, se io ho una persona amata posso
proiettare il suo volto, non snaturando troppo il testo, rimanendo consapevoli che non è la
stessa cosa. I due piani non vanno confusi.

L’esperienza intima e personale durante la fruizione non può diventare materia di


discussione e il testo non lo supporterà mai perché non può prevedere la sovrapposizione
dell’interpretazione di ognuno sul testo.

Questo uso sincratico deve rimanere nella sfera privata di ognuno. (non ovviamo pensare
che il testo sia fatto apposta per noi).

Il secondo uso è una lettura contraddittoria rispetto al testo:

Pisanty e Pellerey interpretano il Mein Campf come una libro sulla sopportazione umana.
È chiaro che non funziona, nel testo non fu mai colta questa interpretazione. Si potrebbe
chiamate un’ “interpretazione sbagliata” che non può essere legittimata dal testo.

Il terzo tipo è porsi delle domande riguardo al testo che esso non si aspetta dal proprio
lettore modello. Pisanty e Pellerey fanno un esempio: «Dove fosse Amleto al momento
della morte di suo padre», questo il testo non lo dice. Anche Eco fa un esempio: nel rosso
e nero a un certo punto Finley spara due colti alla marchesa, uno la prende nella spalla,
l’altro…? Il testo non ce lo dice. Quando il testo non evoca un determinato fattore allora
esso non è pertinente a fini della comprensione del testo. Se noi ci giochiamo tutta
l’interpretazione di Amleto sulla sua posizione al momento della morte del padre, allora
stiamo sovrainterpretando e il testo non giustifica tale interpretazione. Ma se noi ci
poniamo questa domanda e costruiamo un altro testo a partire da lì allora siamo entrati
nei meccanismi dell’intertestualità e troveremo che in questo modo potremo fare un
ipertesto. (Genette).
Ma che succede a questi interpretanti che diventare rappresentanti?

In ogni caso anche passando da un interpretanti ad un altro la semiosi punta sempre


verso l’oggetto. Movimento che vira sempre verso l’oggetto stringendosi sempre di più
come una spirale.

Nel momento in cui c’è un segno perché ci sia semiosi ci deve essere un interpretante
che è come se fosse un altro rappresentamen (collegato a un oggetto) poi un nuovo
intepretante, poi un altro rappresentamen e poi un altro nuovo interpretante.

Dobbiamo capire il concetto generale della terra di Peirce ovvero: la semiosi affida il
senso e la torcia del senso da un segno ad un altro, tutti hanno una relazione con
l’oggetto, trattano sempre dell’oggetto.

Il fatto che sia rapresentamen è perché rappresenta materialmente l’oggetto. Diventa un


nuovo rapresentamen per un nuovo interpretante andando a stringere. Il ground è la
prospettiva dalla quale stiamo guardando un’oggetto in quanto non si possono
rappresentare tutti gli aspetti che l’oggetto presenta. L’oggetto va guardato sotto un
determinato profilo = ground.

Concetto di abduzione è stato rivisto anche in modo radicale nell’ultima parte della vista
di Pourst.

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Tre tipi di intepretanti:

Per dare un senso al rapresentamen (le macchie rosse) il medico deve capire che
relazione c’è tra un oggetto dinamico e il rappresentamen. Ogni nuovi interpretante
spiega la nuova relazione tra l’oggetto e il segno.

Il primo si predispone a verificare le diverse ipotesi. L’interpretante dinamico è la tensione


che si scioglie in quanto si formula una ipotesi (l0effetto reale sulla mente è proprio la
formulazione di’opotesi), una regola generale che spieghi quella cosa (abduzione); quindi
penserà già al morbillo.

L’interpretante logico finale è quando si arresta tutto, quando la semiosi si arresta perché
abbiamo stabilito un abito che mi servirà anche in futuro o in questo ho una buona
certezza.

Ni per alcune cose non arriveremo mai all’interpretante logico finale. Ma per altre cose ne
troveremo uno finché non ne troveremo un successivo. La semiosi può sempre ripartire.

Linea di resitenza di Eco, contenuto nucleare e molare = molte intepretazioni sono


possibili, alcune non sono legittimabili. Il reale noi lo vediamo quando sbagliamo perché
resiste alle nostre interpretazioni. Questo è il modo in cui noi ci siamo formati in
autocoscienza. es. cosa succede davanti ad uno specchio quando un bambino no nesce
a distinguersi.

I PUFFI:
La lingua autorizza la sostituzione di qualunque sostantivo, aggettivo, verso, avverbio di
una lingua non puffa (di cui è parassitaria come il francese). Sostituisce alcune parole
declinandone o coniugandole con “puffo”, come puffare per i verbi, puffamente per gli
avverbi ecc. la lingua parassitaria evita tutte le regole sintattiche e grammaticali della
lingua parassitata. Non è una lingua autonoma ma ne sfrutta un’altra di partenza.

Il puffo: lingua inefficiente?


Un semnatico ortodosso nota che la lingua dei Puffi abbonda di omonimi (parola che
suona nella stessa maniera ma che ha un significato diverso). Dunque, obbietta, durante
un convegno; la comprensione reciproca potrebbe essere quantomeno a repentaglio. Se
tutto è “puffo” il rischio di confusione dovrebbe essere all’ordine del giorno. Un uomo in
sala emerge con una regola, la prima regola del puffo, che è quella di evitare di eccedere
con l’ambiguità. «Puffano puffi, si puffano a vicenda, si scambiano puffi e uno puffa
l’altro» è un periodo troppo ambiguo, pertanto non è consentito. “Pufferemo fino alla
morte” è un’espressione corretta, perché noi possiamo inferire il significato di questa
frase.

Inoltre, il semiologo sottolinea che la decisione intorno alla parola da sostituire con
«puffo» dipende dalla volontà del parlante. Si tratta di una regola dall’applicazione molto
elastica. Un Puffo potrebbe dire: «Ti spacco la puffa» o «Ti puffo la testa»,
indifferentemente, non è obbligato a scegliere. Resta tuttavia vincolato dalla prima regola
(«evita gli eccessi di ambiguità»). Come abbiamo visto, non si può dire in puffo: «Ti puffo
la puffa». Se non ci fosse la prima regola, davvero ogni interprete capirebbe una cosa
diversa oppure non capirebbe nulla, non riuscirebbe a trovare un topic e a formare
un’isotopia; la critica testuale sarebbe solo una collezione di scommesse, e sarebbe un
miracolo se i Puffi si capissero. (A meno che non avessero un codice segreto interno,
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magari paraverbaleo o non verbale; il che li farebbe apparire piuttosto omertosi a un
osservatore esterno).

Tuttavia, il semantico, coadiuvato da un antropologo, si rende conto che la prima regola


riduce soltanto l’ambiguità, non la elimina, né fornisce dei criteri per la sua applicazione.
Interessati al fenomeno, organizzano una spedizione nel Paese dei Puffi per dedicarsi a
un’osservazione etnografica. Scoprono così che non sempre i Puffi si comprendono. Un
giorno, infatti, Grande Puffo cita «Nel puffo del cammin di nostra puffa», espressione che i
Puffi capiscono senza difficoltà, complimentandosi tutti con lui per la sua cultura
enciclopedica. Poco dopo Puffo Quattrocchi, invidioso del successo di Grande Puffo,
corre a documentarsi e poi declama, al momento buono: «Il puffo è il più crudele dei puffi
– genera puffi dalla morta puffa». E qui lo capisce solo Grande Puffo, che si congratula
con Quattrocchi per alleviare la sua delusione.

A questo punto, i due pubblicano un articolo sul Journal of Semantics*, sostenendo il


carattere aleatorio della semantica del puffo, bollato come lingua poco evoluta.
Concludono l’articolo con alcune considerazioni che vale la pena di riportare: «Che la
società dei Puffi, gerontocratica e fondata sulla divisione del lavoro, sia ancora
sostanzialmente democratica per quanto paternalistica, è un miracolo. Un puffo più
ambizioso degli altri potrebbe, sfruttando le ambiguità consentite dalla lingua puffa,
manipolare i suoi concittadini e prendere il potere, instaurando il culto della personalità».

Il semiologo interpretativo legge l’articolo, scuotendo la testa. Infine decide di rispondere,


scrivendo un articolo che manda al Journal of Pragmatics*. Eccone alcuni estratti: «In
realtà, non si vede nemmeno in cosa consista l’unicità – giudicata negativamente – della
lingua dei Puffi. In tutta evidenza, ogni lingua ha numerosi omonimi. In italiano, per
esempio, è possibile indicare con «granata» sia una scopa, sia un esplosivo, sia un frutto.
Ma questo non mette in particolari difficoltà i parlanti. Il punto è che nessuna parola, o
nessuna espressione, nessun segno, viene mai pronunciata o scritta nel vuoto
pneumatico. Anche la figura di un uomo stilizzato che compare sulla porta del bagno sarà
il suo co-testo. Non c’è una produzione di segni nel vuoto, è sempre all’interno di un testo
il quale è all’interno di un co-testo.

I contesti riducono la potenziale ambiguità. Come Grande Puffo potrà confermare, i Puffi
usano la loro lingua senza nevrosi».

«Come del resto tutti i parlanti del mondo. Davanti a ogni espressione, l’interprete è
chiamato a formulare ipotesi sull’argomento (topic) trattato dalla porzione di testo che gli
sta davanti, il tema. La risposta, ottenuta ispezionando il contesto, individua un percorso
di senso coerente (isotopia). Il fatto che l’ipotesi di un topic sia a tutti gli effetti
un’abduzione (dobbiamo individuare una regola generale che ci permetta di interpretare
quel caso, quella frase, quell’espressione come il risultato di quella regola) rende
certamente il risultato incerto proprio perché l’abduzione si caratterizza proprio perché è
la più creativa e più incerta delle inferenze, ma d’altra parte le categorie semantiche
ridondanti, e in generale il testo, sono lì per confermare o smentire l’ipotesi». La
deduzione contiene nella sua struttura formale le conseguenze, l’induzione no. La
deduzione è certa se accettiamo come valida la regola generale dalla quale partiamo
allora arriveremo alla conoscenza certa, ma niente di nuovo. Qualcosa di nuovo lo

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possiamo trovare con l’induzione o l’abduzione. Rispetto all’induzione che p una sorta di
generalizzazione, l’abduzione ipotizza proprio la regola a mezza strada, è la più incerta di
tutte ma è l’unica con la quale riusciamo a portare avanti le nostre conoscenze, è la più
creativa. Le categorie semantiche ridondanti ovvero l’isotopia e in generale il testo nella
sua totalità sono lì per confermare o smentire l’ipotesi; se essa non quadra con il resto del
testo allora abbiamo risposto male alla domanda tematica e abbiamo individuato
un’isotopia scorretta.

«Una rappresentazione semantica (come è organizzato il piano del contenuto, del


significato) in forma di enciclopedia, registrando contesti e circostanze, potrebbe rendere
conto delle diverse possibilità fornendo le istruzioni (se incontri questo segno in questo
determinato contesto allora interpreta cosi) necessarie per l’inserzione (quale usare) o
l’interpretazione contestuale.

Ma d’altra parte, ci sono aspetti che nessuna rappresentazione semantica può inglobare
(non possiamo rappresentare tutti gli aspetti di senso), come ad esempio le implicature, o
l’ironia. Quando facciamo ironia tendenzialmente diciamo una cosa per intenderne
un’altra che è l’opposto. Questo non si può rappresentare.

Se si pretende di limitare la rappresentazione semantica ai soli aspetti linguistici in


formato dizionariale, basta intendersi – ma questo non vuol dire che le lingue funzionino in
base a tali rappresentazioni fittizie. Oltre al fatto che la pragmatica diventerebbe uno
sproporzionato dust bin (cestino della spazzatura), e non si vede come individuare e
limitare le marche semantiche primitive». Perché Eco è spinto a sostenere una
rappresentazione semantica in forma di enciclopedia? Perche quelle che c’erano prima
erano dizionariali.

L’obbiettivo dei primi strutturalisti era quello di ritrovare un’organizzazione del contenuto
individuando i tratti minimi. Qual è il problema? Come si fa a individuare queste unità
minime e fondamentali che combinate tra di loro danno poi altri significati? Il problema è
che non sono delimitabili. Il campo del significato ha una struttura meno rigida, ecco
perché il sistema a enciclopedia funziona meglio, primo perché è multimediale. Secondo
perché spiega il significato come quello che comprendiamo, terzo è istituzionale quindi ci
da istruzioni su come interpretare i termini e i segni che vediamo di volta in volta, quarto
perché intende le marche semantiche ovvero quegli interpretanti usati come
metalinguaggio come strumenti metalingusitici intendendoli sempre da interpretare. Eco
dice che possiamo costruire dei dizionari a doc ma se la mia esigenza è un’altra allora io
prendo i significati, gli interpretanti che ho usato per definire un altro interpretante e posso
fare il contrario: lo stesso termine che mi serve per spiegarne uno verrà poi spiegato dagli
altri termini che ho utilizzato. Non c’è un metalinguaggio valido una volta per tutte, in base
alle mie esigenze manipolo le unità culturali e una diventa la cosa la cosa de definire e
una parte della definizione e viceversa.

La rappresentazione semantica è una cosa che si fa in astratto per spiegarecime è fatto il


piano del contenuto visto che il lavoro sul piano dell’espressione è andato bene
soprattutto per il linguaggio verbale allora si vuole fare la stessa cosa anche sul piano del
contenuto ma non è possibile perché lì abbiamo a che fare con significati che a loro volta

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devono essere interpretati e così via quindi non posso prenderne uno per spiegare tutti gli
altri, non ce la faccio.

«Bisogna accettare l’idea che interpretazione e comunicazione sono più simili alla
navigazione in mare aperto che non al calcolo. Il che non le rende modellate sulla ‘ruota
della fortuna’. La ridondanza e gli usi delimitano lo spazio delle ambiguità. In effetti, si
impara una lingua sottoponendosi a un lungo training; il che vale per noi come per i Puffi.
Il senso delle parole esibirà sempre vaste aree di ambiguità, ma questo sarà un problema
solo se non avremo cura di fornire le necessarie precisazioni contestuali, le istruzioni. E
un contesto non è solo un co- testo (l’intorno testuale fatto di parole o di contesti); ci
sono le circostanze di enunciazione, con un intorno concreto, il mondo che abbiamo
intorno. Il nostro mondo è a fumetti, non è una pergamena in cui si susseguono segni
grafici senza fine». Se io dico passami il coso indicando l’oggetto che intendo, il mio
interlocutore non potrà sapere a che cosa ho connesso mentalmente la parola “coso” ma
ci potrà arrivare osservando il mio gesto. Siccome il nostro mondo è più simile a un
fumetto che a un libro scritto fatto solo di parole scritte, allora grazie anche alle
circostanze di enunciazione ci riusciamo a capire. Ci sono delle parole che hanno un
senso generale (Questo) però per completare il loro senso devono essere messe in una
circostanza di enunciazione. Per esempio “io” che cos’è? “io” viene detto solo da chi
prende la parola e ogni volta che qualcuno dice quella determinata parola punta verso
una persona diversa. Questo tipo di espressioni come “qui” e “ora” hanno bisogno di una
circostanza di enunciazione per esplicitare completamente il loro senso.

«Venendo al fatto che a volte i puffi non si capiscono, non si vede cosa ci sia di strano.
Succede anche a noi, ogni giorno. Gli esempi riportati dall’osservazione etnografica sono

del tutto comparabili alle nostre esperienze. È piuttosto ovvio che Dante sia compreso più

facilmente di Eliot; The Waste Land non è universalmente noto come la Divina Commedia.

“Aprile è il più crudele dei mesi”, chi conosce il poema di Elliot capisce di cosa si parla
anche se sostituisco la frase come “il Puffo è il più crudele dei Puffi” in quanto si
riconosce la struttura sintattica. La Divina Commedia è più radicata mentre l’opera di
Elliot è più sconosciuta.

Quattrocchi ha voluto strafare, non curandosi della competenza media dei suoi
concittadini. Questi sono problemi psicologici, non semantici, se non in senso statistico,
sociolinguistico». Esistono diverse competenze semantiche che la professoressa Violi ha
individuato con tre tipi di enciclopedia: globale, media, individuale.

Il punto fondamentale è che ogni lingua parlata, ogni sistema semiotico è fatto dia pezzi
prefabbricati, già usati. Esiste l’intertestualità che al limite coincide con l’enciclopedia che
è l’intertestualità più le regole di formazione e connessione tra le unità culturali. Significa
anche uso, perché il frutto degli usi passati. Gli usi sono la garanzia del senso e della
reciproca comprensione perché sono a quelli che facciamo sempre riferimento. Nessuna
regola può prevedere le sue applicazioni. Per essere davvero generale una regola non può
prevedere tutte le sue applicazioni. Gli usi stabiliscono il perimetro della nostra libertà.
Siamo sempre tutti coinvolti in giochi linguistici, ogni volta che facciamo qualcosa. Per
esempio esiste un gioco linguistico per costruire una libreria: “passami questo” ecc. sono
tutte espressioni che rientrano in quel gioco. Esiste un gioco linguistico del fare lezione.

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La pragmatica è l’inizio e la fine di ogni processo di comunicativo. La pragmatica (le
azioni comunicative che noi facciamo) è il motivo per cui cominciamo a usare una lingua
o un sistema semiotica e la fine perché quello è il nostro obbiettivo. Se vogliamo
occuparci di un sistema linguistico senza preoccuparci del livello di interazione, poi
vengono fuori dei modelli ad dizionario che mi spiegano il significato delle parole che
usiamo veramente. In che cosa trova le sue condizioni di possibilità? In un sistema di
significazione, cioè la possibilità di capirci trova le condizioni di possibilità in un sistema di
significazione messo a punto nel tempo. Tutti i sistemi di significazione sono nati in
maniera spontanea, però esistono delle sistemazioni progressive; per esempio la lingua
Italiana è stata messa a punto nel Medioevo e durante la questione della lingua ecc. i
sistemi di significazione si sistemano anche esplicitamente, lo stesso vale con la pittura,
una volta che sono emersi gli impressionisti in un primo momento sono stati rifiutati ma
poi hanno dato il via a un loro modo di fare pittura fino a quando non è subentrata un’altra
modalità.

«Il sistema concettuale dei Puffi sembra tanto articolato quanto il nostro. La loro lingua
assolve perfettamente alla sua funzione. (non è che la loro mente non articola il reale in
modo complesso, non lo semplifica) Non si vede perché considerarla una lingua
«primitiva» o poco efficiente. È possibile che l’uso passe-partout della parola «puffo»
implichi una maggiore consapevolezza delle parentele tra le cose (se tutto è “puffo” allora
loro vedono dei legami tra le cose che noi non riusciamo a vedere); ma questo non li
rende dei selvaggi, animisti ingenui e superstiziosi. D’altra parte, vorrei proprio sapere chi
su questi temi si sente in diritto di dare giudizi, se non i nostalgici del ‘fardello dell’uomo
bianco’ (tra 800 e 900 i bianchi europei avevano come fardello quello di dover civilizzare i
selvaggi primitivi intesi come culture altre)» perché è un po’ culturalmente scorretto
giudicare in termini di giusto e sbagliato i costumi e gli usi di un altro popolo.

«Infine, quanto alle possibili conseguenze politiche della possibilità di fraintendersi, non
dobbiamo far altro che ricordare il commento di Eco («La lingua, il potere, la forza», in
Sette anni di desiderio, Milano: Bompiani, 1983) alla lezione inaugurale di Barthes al
Collège de France (Leçon, Paris: Seuil, 1977). Barthes diceva: “la lingua è fascista”
perché fa come i fascisti e come i loro sistemi, non ti impedisce di dire, ti costringe a dire.

Non sono le lingue fasciste, né le possibilità di interpretazione un appiglio per futuri


dittatori. Mi sembra che il culto della personalità sia un’esperienza che diversi Paesi nel
mondo abbiano già fatto, pur senza parlare il puffo. Se noi avessimo delle lingue meno
costringenti dal punto di vista delle regole, non le capiremmo mai.

La lingua può al massimo essere un modello del potere, perché come esso la lingua è
diffusa, funziona grazie a un accordo o almeno un consenso minimo. La lingua costringe,
certo; ma ognuno vi consente, pena l’incomunicabilità. Se le parole possono condurre
verso la dittatura, dipenderà dall’uso che se ne farà, per il puffo come per tutte le lingue
del mondo. Dipenderà dal consenso che accorderemo a chi le userà come martelli». E dal
livello di inconsapevolezza che abbiamo del funzionamento dei sistemi semiotici perché
meno ne sappiamo di come funziona la comunicazione e di come funzionano i sistemi di
significazione e i processi di comunicazione più potremmo essere vittime di processi di
manipolazione. Ci rendiamo conto che qualcuno lo sta facendo.

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Tirando le somme: la semiotica di Eco.

- I processi di comunicazione sono resi possibili da sistemi di significazione, soggetti


all’azione del tempo e, a volte, frutto di una sistemazione esplicita;

- Il senso delle parole e di ogni altro segno riposa negli usi; gli usi sono lo sfondo e il
perimetro all’interno del quale si impara a usare i segni in modo appropriato;

- La «storia» degli usi si cristallizza nell’intertestualità, secondo le possibilità offerte


dall’Enciclopedia. Se qualunque segno o configurazione segnica (testo) ha un senso, è
perché trova le sue garanzie e le sue regole di interpretazione nell’intertestualità; Le
omonimie e le sinonimie (- diverse parole per esprimere una cosa soltanto- il secondo
caso è assimilabile al problema sollevato da Enrico. Quando io per una parola intendo
una cosa e tu ne intendi un’altra, non si tratta della stessa cosa della sinonimia ma gli
assomiglia) sono sempre potenzialmente risolvibili grazie all’ispezione dei contesti,
registrati in astratto da una rappresentazione semantica in forma di Enciclopedia;

- Nuove correlazioni proposte nascono sempre sullo sfondo dell’Enciclopedia (non si


inventa nel vuoto) e dell’intertestualità. Per questo sono sempre potenzialmente
comprensibili. In realtà, non si vede come sarebbe possibile formulare proposte testuali
senza alcun rapporto con le linee di tendenza della cultura di appartenenza, se non
instaurando un linguaggio privato, entità priva di senso. Anche la proposta di nuove
correlazioni di senso lavora di bricolage. Al limite, la nuova proposta rifiuta le
correlazioni già stabilite (come succede spesso nel campo dell’arte). Ma così stabilisce
comunque una relazione con esse (se io rifiuto una cosa io stabilisco una relazione per
opposizione con quella cosa). In ogni caso, si tratta di nuove forme imposte alla
materia. Nuovi modi di formare. Cosa? La stessa materia. Nel momento in cui una
nuova forma è proposta, essa ristruttura la catena delle sue ascendenze perché è
come se prendesse posto all’intertestualità e fornisce un’interpretazione retrospettiva di
tutti i testi che sono venuti prima. Si tratta di relazione doppia, l’intertestualità, i vecchi
testi influenzano i nuovi e i nuovi danno nuovo senso a quelli che sono venuti prima.

- Interpretazione, Enciclopedia, abduzione, topic, isotopia, intertestualità, contesto sono


i concetti basilari della semiotica di Eco. Si specificano nei concetti che abbiamo visto
nelle scorse lezioni.

- Semantica e pragmatica vanno tenute entrambe in considerazione, i senso che


qualcosa di onnivago non si struttura in modo rigido ma a rizoma come se fossero delle
radici in cui da ogni radice ne partiranno delle altre e diventa una sorta di rete
polidimensionale che nella sua totalità non è rappresentabile, è una sorta di ipotesi
regolativa, ci deve essere, ma non riusciamo a visualizzarla, quello che possiamo fare è
ritagliare sezioni di enciclopedia da strutturare secondo le nostre esigenze.

X ESAME: Descrizione e analisi di un’opera d’arte che scegliamo noi. La descrizione è un


problema. Imbastire un progetto didattico.

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16.04.2020
TESTO ESTETICO:
Il modello comunicativo di Jakobson

Jakobson. Linguista, aveva formulato e poi sviluppato un modello della comunicazione


che cercava di integrare e completare l’idea che veniva dalla teoria dell’informazione
interessata alla comunicazione tra macchine, veniva dall’ambito cibernetico e trattava
soprattutto di informazione. Le esigenze per una macchina sono diverse e il problema
maggiore in questo tipo di comunicazione è quello di evitare l’ambiguità e che si perda
dell’informazione. Il modello era insufficiente per spiegare e rappresentare la
comunicazione umana. In realtà anche il modello di Jakobson risulta insufficiente, non
tematizza. Riprende alcune riflessioni fatte da Eco su una delle funzioni che il linguaggio
può assumere in comunicazione.

Egli cercò di costruire un modello funzionale cercando di spiegare le funzioni che il


linguaggi assolve quando ci si trova in una situazione di comunicazione.

Parte dalle funzioni che un messaggio può assolvere (più funzioni sono spesso
compresenti):

Referenziale: si dice qualcosa di univoco e assertivo (es. si è rotta la macchina).

Fàtica: ci si assicura che la comunicazione sia stabilita e stia funzionando (i saluti, i suoni
di assenso al telefono) (es. mi senti? Mh mh). Una delle funzioni più importanti ma più
trascurate.

Conativa: si ordina qualcosa, o si cerca di ottenere qualcosa da qualcuno. (es. quando


voglio che qualcuno si alzi e vada a chiudere la finestra).

Metalinguistica: si usa il linguaggio per parlare del linguaggio stesso, o si usa il linguaggio
verbale per parlare di altri linguaggi. La possiamo vedere all’opera quando tentiamo di
metterci d’accordo sul significato delle parole che stiamo sentendo. (es. qualcuno di noi
pensa a un’espressione qualcuno allora mi potrà chiedere che senso ha? O quale
significato abbia quella determinata parola nel contesto della frase).

Emotiva o espressiva: si lascia trasparire un’emozione o si mira a suscitarla (es.


esclamazioni).

Poetica o estetica: si produce un messaggio ambiguo, in realtà polisemico, realizzato in


modo da attirare l’attenzione sulle proprietà strutturali del messaggio stesso. È
autoriflessivo, ossia che il messaggio poetico concentra l’attenzione del destinatario sul
messaggio stesso, mentre la funzione referenziale punta verso il contesto, quella fatica
sul canale, quella metalinguistica sul codice, quella emotiva sul parlante mentre quella
poetica ed estetica si concentra sul messaggio stesso. Naturalmente per intendere
questo modello dobbiamo immaginare che ogni messaggio, cioè ogni comunicazione di
un piccolo testo assume diverse funzioni e quella estetica può essere presente anche
sempre presente in una certa misura in quei testi che non hanno un vocazione artistica
perché le proprietà tipiche della funzione estetica si trovano in testi diversissimi in
maggiore o minore grado. Li ritroveremo nelle opere d’arte.

Eco condivide questo approccio e lo estende.

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Ambiguità e autoriflessività
La funzione estetica può essere sempre presente anche in testi che non hanno una
vocazione artistica in quanto le proprietà tipiche della funzione estetica si trovano in testi
diversissimi in diverso grado. I testi pubblicitari o politici sono ambigui e autoriflessivi. (I
like Ike). Si pensa di trovarlo in maggior grado nelle opere artistiche, anche se estetico e
artistico non è la stessa cosa.

Caratteri propri del messaggio estetico

Autoriflessivo: non si limita cioè a comunicare un contenuto (carattere rappresentativo =


rappresento qualcos’altro, significo qualcos’altro), ma nel farlo si pone come oggetto di
attenzione (carattere presentativo). Presenta e si riferisce a se stesso. Nessun segno è
completamente trasparente ma soprattutto i testi estetici, le opere d’arte sono anche
opache perché lasciano lo spesso re della propria materialità tra se stessi e il senso che
trasmettono. Oltre che a rappresentare qualcosa presentano se stessi attirando
l’attenzione su di sé. .

Ambiguo: il fatto di essere lavorato e «confezionato» per attirare l’attenzione ha degli


effetti sul contenuto veicolato, perché «lavorare» sulla struttura del messaggio può far
perdere compattezza semantica. Ciò lo rende suscettibile di veicolare un senso più
sfumato, appunto, ambiguo. O meglio: polisemico. Ogni opera estetica o opera d’arte
sono aperti a ogni tipo di interpretazioni diverse, anche multiple. Quando guardiamo un
film ben fatto o quando guardiamo un’opera d’arte tiriamo fuori, quasi sempre, delle cose
diverse ogni volta. Il fatto che sia autoriflessivo implica che il senso veicolato sia
polisemico, meno compatto e più sfumato.

In un certo senso quindi, il messaggio estetico «forza» il codice cioè la lingua, il linguaggio
con il quale è fatto, tanto è vero che questi caratteri sono spesso stati intesi come
«deviazione dalla norma» perché un testo letterario è letterario? Perché un’opera è
considerata artistica? Perché devia dalla norma; fino a ristrutturarlo, introducendo nuovi
modi di vedere il mondo. Ogni testo estetico e in particolare le opere d’arte possono
avere l’effetto di ristrutturare la nostra enciclopedia in quanto presentando le cose in un
modo diverso, attirando l’attenzione su se stesse possono avere un impatto della visione
che abbiamo nel mondo.

Se si lavora sul piano dell’espressione: sovrapposizione di due immagini usando la


fotografia, in questo modo il testo è meno chiaro e abbiamo un’altra immagine che
accorpa l’altra e acquista un altro significato. Il testi diventa autoriflessivo perché attira
l’attenzione su come è stato creato e ambiguo, polisemico perché comprende diversi
sensi e possibili interpretazioni.

L’articolo è la sistemazione di Opera Aperta in chiave semiotica

“immagini sovrapposte” = il testo è meno chiaro ma al contempo abbiamo un’altra


immagine che incorpora le due immagini che ha un ulteriore significato. Quindi il
significato veicolato è difficile da descrivere in maniera univoca. Il testo diventa
autoriflessivo perché attira l’attenzione sul modo in cui è stato realizzato ed è ambiguo
perché veicola un significato polisemico. Il testo diventa polisemico in quanto comprende
più significati che vengono veicolati.

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Generazione di messaggi estetici in una lingua edenica (1971)
Premesse:

«L’ambiguità fa sì che il messaggio risulti inventivo rispetto alle possibilità riconosciute

dal codice». Gli stessi termini che siano visivi, lessicali possono veicolare dei significati
che non erano previsti dal codice linguistico in questione.

«Perché si abbia messaggio estetico non basta che si verifichi una ambiguità a livello di

forma del contenuto [...]. Occorre anche che avvengano alterazioni nell’ordine della forma
dell’espressione, e alterazioni tali che il destinatario, mentre avverte un’alterazione della
forma del contenuto, di significato, sia anche obbligato a ritornare la messaggio stesso,
come entità fisica, per osservare le alterazioni della forma del contenuto, riconoscendo
una sorta di solidarietà tra l’alterazione verificatasi nel contenuto e quella verificatasi
nell’espressione. In tal modo il messaggio estetico diventa autoriflessivo» qualunque tipo
di mutazione noi facciamo su un piano corrisponde a una mutazione sull’altro piano, essi
sono molto solidali.

Nell’arte vi è inscindibilità di forma e contenuto, le mutazioni su un piano sono funzione


delle mutazioni sull’altro. I due piani sono molto solidali.

Supponiamo di trovarci nel giardino dell’Eden. Adamo ed Eva dispongono di una lingua
molto semplice che consente di formulare enunciati sulla base di due simboli di base (A e
B). Tali enunciati esprimono valori e atteggiamenti verso i fenomeni, in forma di
opposizioni binarie.

Lingua con solo due simboli e gli enunciati sono costituiti a partire da tali e esprimono
valori e atteggiamenti verso i fenomeni.

es. ABA (mangiabile) vs BAB (non mangiabile)

BAAAB (mela) - BAAAB (serpente).

AA (si) - BB (no)

Mela e serpente sono gli unici nomi che si riferiscono a oggetti concreti, poi ci sono
questi operatori che sono “si” e “no”. Gran parte delle espressioni esprimono degli
atteggiamenti o delle valutazioni nei confronti dei fenomeni che esperiscono e poi ci sono
due termini che si riferiscono a oggetti concreti, poi hanno due operatori tutto fare perché
non dicono solo “si” e “no”.

Si formano naturalmente delle catene connotative (sopra elevazione di piani sulla


denotazione), ciò che è mangiabile viene definito anche bene, anche bello, anche rosso,
anche si. La mela rientra in questa catena connotativa positiva. Ma è presente anche una
catena connotativa negativa: non mangiabile, male, brutto, blu, serpente, no. Questo
consente dei salti connotativi, delle associazioni, per esempio: mangiabile è uguale a
rosso (ABBBBBA), (posso dire che qualcosa di mangiabile è rosso) sembra che le cose
del mondo siano divise tra il buono e il cattivo. Gli unici termini che vertono sugli oggetti
sono mela e serpente perché forse percepiti come estranei. Usano anche indici in senso
di artifici indicali, come il dito puntato ma sono avvertiti come artifici metalinguistici quindi
non facenti parte a pieno titolo del codice linguistico.

Adamo ed Eva si sono appena abituati all’Eden. Arriva Dio e pronuncia il primo asserto
fattuale (tutti gli asserti possibili che abbiamo visto prima come mela e mangiabile sono

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assetti semiotici, nel senso che sono già registrati dal codice) perché verte su aspetto
specifico:

«BAAAAB.BAB – BAAAAB.BAAB» (mela non mangiabile, mela male). Dio non ha bisogno
di spiegare perché, produce l’interdetto.

Ora si disegnano le catene connotative seguenti: Rosso=mangiabile=bene=bello=sì

Serpente e mela=non mangiabile=male=brutto=no. Il che porta alla connotazione:


Serpente=mela. La conseguenza è una contraddizione perché tra le abitudini percettive
(la mela è rossa - mangiabile) e il nuovo giudizio che diventa semiotico quando
incorporato al codice (la mela è blu - non mangiabile) sono in contraddizione. Adamo ed
Eva formulano una nuova proposizione (BAAAB.ABBBBBA.BAAAAAB= Ciò che si chiama
rosso-blu). Poiché la avvertono come formalmente contradditoria (due parole che iniziano
con la B e quella in mezzo che comincia con la A stride, non sono abituati a formulare
proposizioni fatte da parole diverse fatte in modo diverso), coniano una nuova
espressione: ABBBBBABAAAAAB = il rossoblù. La mela è rossoblu. Rosso stando a ciò
che vedo, blu stando al fatto che non è mangiabile. Questo provoca una sensazione
nuova perché il suono è del tutto inconsueto e il messaggio rimanda a un contenuto
ambiguo, anche l’espressione lo è e diventa autoriflessivo (questo segno) come segno
perché attira l’attenzione su se stesso in quanto fatto in un modo che contraddice le
aspettative. Adamo si concentra, non l’oggetto che la parola indica ma la parola in
questione ovvero l’espressione, per la prima volta guarda i segni e non le cose che la
parola indica. Si tratta di una conquista fondamentale.

ABBBBBABAAAAAB = il rossoblù.

Ciò provoca una sensazione nuova: il suono è inconsueto. Tale messaggio rimanda a un

contenuto ambiguo, ma anche l’espressione lo è. Ciò lo fa diventare autoriflessivo.


Adamo si concentra sull’espressione, guardando per la prima volta le parole (i segni)
invece che le cose. Guardando dunque l’espressione, Adamo si rende conto che contiene
al suo interno BAB, ossia non mangiabile: ABBBBBABAAAAAB. Sembra proprio che la
non mangiabilità sia asserita dalle possibilità del codice, se questo è il nome di
quell’oggetto che è rosso ma non è mangiabile viene asserito proprio da codice quindi
anche se prima dell’asserto fattuale di Dio in realtà il codice incorporava già questo
fattore della mela. A questo punto Adamo si lascia trascinare dalla passione del
linguaggio (o del sistema semiotico). Si concentra sulla sostanza dell’espressione, non
sulla forma soltanto, e scrive: ABBBBBA («rosso», ma col succo di bacche blu);
BAAAAAB («blu», ma col succo di bacche rosse). Sembrano proprio due metafore della
mela (il rossoblù). La sostanza dell’espressione (mela) è rossa ma il significato è blu e
viceversa nell’altro caso. Sembra come la mela, cosi ambigua di stare su ambo i piani del
mondo, positivo e negativo.

Così le operazioni sulla sostanza dell’espressione rivelano qualcosa della forma


dell’espressione. In più, una cosa può diventare il significante della parola che prima lo
significava. Proprio perché ci rendiamo conto che queste espressioni sono metaforiche la
mela può significare il segno che ho appena prodotto: rosso scritto con il succo di
bacche blu. Le cose possono significare le parole e non solo le parole le cose. Adamo

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acquista sempre più consapevolezza semiotica giocando con forma e sostanza
dell’espressione.

Quindi le cose (i referenti) possono diventare segno. È una conseguenza della semiosi
illimitata.

Adamo perde ogni freno e scrive: ABBBBBBA, un’espressione che non è registrata dal
codice. Si avvicina di più a ABBBBBA, ossia «rosso». Pare che Adamo abbia scritto
«rosso» con enfasi grafica, perché non esiste una parola scritta in quel modo.

Messo che l’enfasi sia grafica, potrebbe rimandare a un contenuto «enfatico»? Possono
esistere cose più rosse delle altre? Ma se c’è questo legame tra necessario, tra le parole e
le cose allora può darsi che ci siano diversi gradi e che le parole possano rendere conto
di questi diversi gradi.

Adamo si rende improvvisamente conto che le cose etichettate con la stessa espressione
non hanno le stesse identiche caratteristiche, no hanno quella caratteristica in eguale
misura. Impara a pertinentizzare con maggiore finezza. Forse la B in più è un nuovo tratto,
e non un artificio enfatico, potrebbe indicare una nuova qualità. Per ora accantona il
problema e torna alla mela. Vuole dire «non mangiabile è il male, che è mela brutta e blu»,
ma lo scrive in colonna:

BAB (non mang.)

BAAB (male)

BAAAB (mela)

BAAAAB (brutto)

BAAAAAB (blu)

Vede l’aumento progressivo della lunghezza e ne coglie un ritmo. Ta

Fa a tutti gli effetti poesia, e scopre alla fine che mala inizia e termina con la B quindi
come le cose cattive e che quindi c’è un collegamento motivato tra il codice e le cose,
non è arbitrario. Il rapporto tra segni e cose è motivato.

Adamo vede l’aumento progressivo della lunghezza e coglie un ritmo. Mettendole in


colonna scopre altre caratteristiche dei segni e letti in questa maniera non solo
manifestano un ritmo fonico diverso ma un ritmo diverso scritto cioè la lunghezza
progressiva che aumenta.

Adamo continua a giocare e rinforza il ritmo e la rima: BAB (non mangiabile)

BAB BAB

BAAAB BAB

BAAAB BAB

BAB BAAAAAB

Fa ormai poesia. Scopre infine che «mela» (all’inizio non guardava i segni) inizia e termina
con la B, come le cose «cattive». A questo punto c’è una relazione motivata necessaria
tra i segni e le cose. Il codice che ha a disposizione è necessario non arbitrario.

Si convince ancora di più che esiste una relazione necessaria tra i segni e le cose, i segni
sono cosi perché le cose sono in quel modo. Nel frattempo, Eva incontra il serpente;
diciamo che le ha fatto simpatia. E fa notare ad Adamo che se esiste un legame
necessario tra i segni e le cose, allora è curioso che «serpente» inizi e termini con A,
come le cose «buone».

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ABBA buono

ABBBBA bello

ABBBBBA rosso

ABBBA serpente

E come può il serpente essere buono per diritto di forma, visto che il codice lo assimila
alle cose blu?

Adamo a questo punto scrive: BAA B, con uno spazio. Ha detto «male» con una
esitazione, oppure il posto vuoto è solo da colmare, e quindi ha detto (non può non aver
detto) «mela»?

Eva intanto pronuncia ABBBBA cantando, prolungando l’ultima B. Cosa avrà detto,
serpente (ABBBA) soltanto intonando diversamente, o bello (ABBBBA) raddoppiando di

fatto la B? Vedete come i due esperimenti ripropongono le omologie che ognuno dei due
ha individuato, ma al contempo ripropongono la contraddizione. Finché Adamo lascia
correre il linguaggio, dando vita anche a sequenze non previste dal codice:

BB B A

BBBBBBAAAAABBBBB

BAAAA

AA

Adamo improvvisamente si rende conto che il verso che sembra il massimo della
scorrettezza formale (AA) invece esiste, così scopre finalmente la regola che presiede alla
formazione delle stringhe: X, nY, X, dove n può anche essere zero, se è zero zero verrà
AA. Nel momento in cui mette in questione il codice, lo capisce, (per violarlo dobbiamo
già conoscerlo un poco ma mentre lo violiamo scopriamo le regole allontanandoci dalla
norma) ne comprende la struttura. Ecco che scopre

1) che i segni sono per lo più arbitrari, c’è una regola, un codice indipendente da come è
fatto il mondo; 2) come produrre nuove sequenze corrette, a questo punto ho la regola e
al posto della n ne posso mettere quante voglio ma non posso scrivere BAAAA perché è
scorretto.

Spinto dalle sue nuove scoperte, visto che il linguaggio non è assoluto, Adamo mette in

questione la forma del contenuto; guarda i referenti (gli oggetti), vede un bacca blu, si
pone una domanda: se il linguaggio non è assoluto non è che è la stesa cosa con gli
oggetti che ho davanti, la assaggia e scopre che è buona; scopre l’acqua (blu) e se ne
innamora. Torna alle diverse gradazioni di colore, e istituisce nuovi segni per rendere
conto delle differenze. Mentre lievita il suo linguaggio, il suo mondo si amplia. A questo
punto, Eva lo invita a mangiare la mela, secondo l’asserto di Dio le altre cose erano
mangiabili però visto che non ci sono rapporti necessari dal linguaggio al mondo posso
provare con la mela dato che già acqua e bacche erano buonissime ; l’Ordine è ormai
delegittimato, la assaggia e la trova buona. È iniziata la storia della Terra.

Cosa dimostra la parabola di Eco? Che l’arte, o l’inclinazione estetica, riscrivendo i testi
(o messaggi) li costringe a diventare ambigui; che l’ambiguità porta con sé
l’autoriflessività; che ciò produce effetti estetici (ritmo, giocare con l’espressione produce
effetti estetici); che l’attenzione alla forma permette di capire i codici (se ci concentriamo
sulla forma ci giochiamo dopo un po’ capiamo come funziona il linguaggio). Infine, che

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l’arte può ristrutturare i codici, cambiando il nostro modo di vedere il mondo. L’arte può
ristrutturare il codice, mano a mano che io faccio questi esperimenti giocando sul piano
dell’espressione, dei testi, dei segni, succede che mi rendo conto di nuove proprietà,
grazie al rapporto rappresentativo, del mondo e quindi per parlare in modo diverso del
mondo devo inserire nuovi segni, nuove unità culturali, devo ristrutturare l’intera
enciclopedia, cambia il mio modo di vedere il mondo. Quando gli impressionisti
esordiscono poi hanno cambiato il nostro modo di vedere il mondo perché hanno esaltato
degli aspetti del nostro mondo che prima non venivano considerati a scopi
rappresentativi.

es. di Autoriflessività = cocci aguzzi di bottiglia. Sono maggior presenti e meno banali
nell’ambito delle rappresentazioni artistiche.

Inferenze, tensioni, tendenze


Argomenti che affronta Polidoro nell’articolo. Egli fa riferimento all’influenza che ha avuto
Mejer sulla semiotica di Eco e per la semiotica di Barbieri. La discussione di Polidoro
riguarda Eco. Fa una distinzione tra tendenza e tensione che non convince, il fenomeno
va bene ma sono i termini che sceglie che non convincono.

Parlando di Eco, abbiamo visto la dinamica testo-interprete (semiotica del testo e del
motivo per il quale Eco costruire e si avvicina alla semiotica. Modo in cui i testi
vincolavano le interpretazioni pur lasciandole libere) e i caratteri del testo estetico.

Ora, il nostro sistema percettivo è calibrato più sulle differenze che non sulle costanti (un
mondo in cui non c’è tempo non ci sono differenze percepibili e un mondo senza i
differenze non ha senso - Barbieri).

Esempio, tendiamo ad escludere rumori di fondo continui come il ronzio continuo di un


frigorifero, tu ti rendevo conto della presenza del frigo solo quando staccava e si sentiva il
tonfo. Mentre si stava in quella stanza con quel ronzio andava nello sfondo in quanto non
era significativo. Noi aspettiamo che succeda qualcosa, una differenza dall’ordinario che
ormai non sentiamo più. È proprio questa differenza a dare un senso.

Ambiguità e autoriflessività sembrano in qualche modo complicare le nostre aspettative; e


siamo più disposti ad assegnare un maggiore valore estetico ai testi che ci impegnano di
più, o che deludono, che contraddicono le nostre aspettative; non apprezziamo una cosa
che si presenta come prevedibile e piatta. In un certo senso, ambiguità e autoriflessività
sono uno sviluppo dell’idea che i testi estetici deviino e si allontanino dalla norma
quotidiana nell’uso dei testi. Qualunque testo, qualunque tipo di linguaggio.

Polidoro suggerisce che, probabilmente, non tutti gli effetti legati alla formulazione di
aspettative testuali sono dovuti alla loro disillusione. Quando formuliamo un’ipotesi su
quello che sta per accadere generiamo un’aspettativa, nel senso che ci aspettiamo che
accada qualcosa. Questa attività è descrivibile come una tendenza o una propensione.

Se quindi la tensione è il risultato conflittuale dello scontro fra due (o più forze cioè tra la
nostra aspettativa e quello che poi accade nel testo), la tendenza è una semplice
direzione secondo la quale si prevede che si svilupperà un certo fenomeno.

Per tensione noi intendiamo il fatto che ci sia una propensione e un’aspettativa verso il
futuro, tendenza e tensione possiamo assumere come sinonimi. Quella che lui chiama
tensione (contraddizione con le aspettative) noi possiamo chiamarlo effetto di sorpresa.

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Barbieri insiste molto su questo aspetto, noi viviamo con le aspettative, il futuro ha
un’azione diretta sul presente.

Barbieri dice: quando leggiamo un libro o guardiamo un film, formuliamo delle aspettative,
in genere individuiamo un elemento che non è completo e rimanda a una forma che lo
ricomprende. Secondo lui il rinvio non è tra un’espressione il contenuto ma a una cosa
parziale che rimanda a una cosa intera che la ricomprende. Per esempio noi diciamo che
il fumo rimanda al fuoco, Barbieri dice che non funziona cosi, nella maggior parte dei casi
vediamo un termine percettivo (fumo) e lo rimandiamo alla forma espressiva (fumo -
fuoco) che abbiamo espedito tante volte. Barbieri risulta interessato a tematizzare la
tensione attraverso delle forme da completare. I romanzi, i film giocano in questo senso;
sono delle forme che vanno completate.

Funziona bene la teoria di Barbieri per i testi sequenziali (film, romanzi), per le opere visive
come un quadro è più complesso parlare di tensione, la differenza è che il percorso che si
segue è molto più libero, quindi stendiamo un percorso che potrà essere simile tra una
persona e l’altra ma può essere differente. Non ci sono comunque delle regole. In più ci
sono proprio i testi narrativi come “La liberazione di San Pietro” guardandolo ci rendiamo
conto che ci racconta tutte le fasi della liberazione. La maggior parte delle opere visive
non sono fare cosi.

Così dice Polidoro; in realtà, possiamo intendere la tensione proprio come il rapporto tra il

testo e la nostra protensione. In tal caso, tendenza e tensione saranno quasi sinonimi;
avremo invece effetti di sorpresa nei casi di testi estetici.

Polidoro, in sintesi, dice che nel corso della fruizione di un testo certi elementi ci inducono
a sviluppare ipotesi sulla sua prosecuzione (rapporto tra termine percettivo e forma
individuato da Barbieri). Queste ipotesi creano attese e ci aspettiamo (con diversi gradi di
probabilità) che le nostre previsioni vengano verificate. Nei confronti della vita di tutti i
giorni è importante che sia così. Quando esperiamo un testo estetico ci aspettiamo
qualcosa di diverso, altrimenti diventerebbe banale.

In un quadro più articolato, il meccanismo che si delinea può generare tre diversi tipi di
effetti, che possiamo chiamare inferenziali e che possono anche sovrapporsi:

1. tendenza: il fruitore, attraverso delle abduzioni iper- o ipocodificate, si attende una


certa prosecuzione; sono tipi di sviluppi che abbiamo già esperito e che sono già dati.

2. indecisione o ambiguità: il fruitore si trova davanti a una situazione ambigua (caso


estremo dell’abduzione ipocodificata. Cosi poco codificata che non sappiamo che
direzione prendere) e non riesce a decidere quale possa essere lo sviluppo ulteriore del
testo che ci lascia un po’ perplessi;

3. tensione (noi la chiameremmo sorpresa, contraddizione delle asperttative o


disillusione): l’ipotesi del fruitore non è stata confermata; ciò causa una sorpresa e un
effetto di senso solitamente disforico che spinge alla ricerca di una soluzione.

Noi apprezziamo i colpi di scena proprio perché ci mettono in difficoltà, vogliamo elementi
di novità e freschezza. Nella vita di tutti i giorni cerchiamo tutte le soluzioni possibili.
Quando anche in un’opera letteraria o in un testo estetico siamo a un libello parziale della
nostra lettura e esperienza estetica ci fermiamo e cerchiamo di capire come andranno a

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finire le cose e come potremmo comprendere la situazione. Se identifichiamo tensione e
tendenza, avremo: tensione, indecisione, quindi adeguazione o sorpresa.

Ambiguità e autoriflessività sono elementi tipici dei testi estetici non necessariamente
artistici.

L’inferenza non è tra il fumo e il fuoco ma tra il fumo e la forma complessiva fumo-fuoco.
Perché so se c’è il fumo c’è anche il fuoco? Perché ogni volta che ho visto il fumo c’era
anche il fuoco. Erano insieme. Come capisco il senso di qualcosa che genera
aspettativa? Perché un termine percettivo fa parte di una forma che la ricomprende.
Questa è la logica che segue Barbieri.

23.04.2020
Quando guardiamo qualcosa vediamo quel calcola o la vediamo grazie alla. Edizione
dell’apparato concettuale.

Non parliamo di caratteri estetici che sono comunque presenti nell’arte.

Arte e linguaggio domande:

- quali sono i rapporti tra arte e linguaggio? Bisogna osservare l’homo sapiens in quando
i primi esperimenti artistici risalgono alle prime informazioni degli uomini. Come si fa ad
essere sicuri che gli uomini hanno iniziato a dedicarsi all’arte quando è nato il
linguaggio? Non si può perché ci basiamo sui fossili ma è probabile che il linguaggio
non inteso solo come parole pronunciate ,ma offre una maggiore finezza di
categorizzazione anche quando non lo usiamo, non è necessario che noi siamo in
grado di specificare alcune cose con il linguaggio. Sono differenze di gradi in quanto
ogni animale ha la sua forma di vita ed è adattato al suo ambiente. Quelli che hanno
problemi di adattamento siamo noi.

- È possibile vedere qualcosa in se stesso, senza doverlo come qualcos’altro?

- Cosa significa vedere qualcosa come opera d’arte?

importante: qui non parliamo più di caratteri estetici; cerchiamo di capire l’artisticità se si
può.

1-Difficile a dirsi. Le testimonianze fossili delle prime «opere d’arte» (pitture parietali, ad
esempio, o sculture) coincidono con le prime testimonianze fossili che abbiamo della
specie sicuramente sapiens. Ma non è il caso di trarre conseguenze estreme. Non è da
escludere che esperienze estetiche in qualche modo paragonabili alle nostre siano
rintracciabili anche in specie non linguistiche. Il punto è un altro.

Questa a lato è un’opera d’arte? Perché? - Antonino Pennisi.

Il prezzo del linguaggio che ci fa capire qual è l’impatto ecologico del linguaggio
sull’uomo. Non è da escludere che esperienze estetiche sono rintracciabili anche in esseri
non linguistici.

L’orinatoio di Duchamp è un’opera d’arte? Perché? Questa è un’opera d’arte per il


semplice fatto che questa è l’orinatoio di Duchamp. Consideriamo questa un’opera d’arte
per caratteri non intriseci. Questo orinatoio è un semplice orinatoio se lo vediamo
attaccato a un muro in un autogrill.

La teoria istituzionale dell’arte


Duchamp: «una caratteristica importante era la breve frase che scrivevo sul ready-made».
Un oggetto è artistico perché qualcuno, in base alle tendenze culturali del momento, delle
60 di 98
strategie di presentazione, delle modalità di ricezione, lo definisce come tale. Dino
Formaggio diceva «è arte tutto ciò che l’umanità ha chiamato arte». La definizione è
circolare, senza dubbio. Tuttavia, mette l’accento sulla linguisticità e la performatività del
mondo dell’arte. D’altra parte, basta far caso a cosa è successo a Impressionisti e Cubisti
(e molti altri): finché uno stesso «codice» non è stato condiviso, quelle opere sono state
rifiutate. E poi, il linguaggio è sempre in qualche modo autoreferenziale; pensate ai
pronomi personali.

In sostanza, la lingua nomina (compie azioni) e nominando ci fa considerare (vedere) le


cose in modo diverso. Le contrattazioni seguenti, sempre linguistiche, sanciscono poi il
nuovo statuto.

Vedere come:
Il problema grosso è: se guardiamo qualcosa, la vediamo «spoglia» e assoluta o sotto una
certa descrizione? Esistono insomma due momenti (ricettivo puro, sensazione; poi uno
interpretativo, percezione) oppure no, abbiamo sempre un vedere come? Cimatti ci dice:
anche quando guardiamo un oggetto che non conosciamo, lo vediamo comunque come
un oggetto, ossia in relazione a un contenuto linguistico o almeno concettuale perché la
categoria delle cose che non conosciamo è comunque una categoria quindi io non lo
vedo in sé ma lo vedo come qualcosa che non conosco, è concettuale in una misura in
cui senza linguaggio non sarebbe possibile. Eco (1997) sostiene che c’è una differenza tra
vedere qualcosa come oggetto del mondo (modalità alfa) e come segni emessi in quanto
tali (modalità beta). Facendo questa cosa Eco ha attirato una grande quantità di critiche in
quanto fa riferimento io vedo quella cosa come quella che è e in mezzo non c’è niente.

Eco dovrà fare delle precisazioni nel 2003 perché un suo allievo lo massacra. Eco fa un
esempio: quando entro in cucina prendo la macchinetta del caffè, la prendo male, mi
scotto e il mio arto si ritira, l’oggetto causa una certa reazione senza che in mezzo ci sia
un altro tipo di conoscenza. Naturalmente quel processo è interpretativo e segnico in tre
modi: da un pinto di vista diacronico a causa di un processo inferenziale che è diventato
automatico nel corso dell’evoluzione, è un abito cosi consolidato che divenne un istinto, a
livello sincronico, in quello stesso momento, il sistema nervoso compie una serie di
processi mediati da leggi della fisiologia, che sono abiti incorporati. Il sistema nervoso
opera “sto avvertendo questa sensazione, arriva al cervello, quando sento ciò il mio arto
si ritrae” la mediazione è segnica e manda l’ordine. C’è un processo interpetativo ma noi
non siamo coscienti di esso. Lui non voleva dire che la percezione non è interpretativa,
non ci sono forme diadiche ma alcune cose sono cosi incorporate che non ci rendiamo
conto della parte inferenziale. A seconda del mio interesse quando tocco una caffettiera
io ritraggo l’arto ma per me quello è il momento prima e tutte le inferenze seguono, non
vado al contrario cercando tutte le inferenze che mi hanno fatto ritrarre l’arto.

Così facendo si allontana da Peirce; ma, lo abbiamo visto, più tardi (2003) si corregge,
distinguendo percezione molecolare e molare. In ogni caso, Eco è interessato alla
distinzione tra segno di qualcosa di assente o come percezione in presenza. Tuttavia, in
entrambi i casi faccio comunque uso di segni. (molecolare è quando sono interessato a
cose di più piccola taglia).

61 di 98
Una cosa che se mi succedesse tutte le mattine per me sarebbe normale, quindi ci sono
questi tre livelli e in ogni caso si tratta di fenomeni intepretativi. Peirce parla di fenomeni
mediati anche quando non si tratta di umani. Il fiume che scorre nel suo letto modifica il
letto e le modifiche del letto modificano il corso del fiume. Non sono diadiche perché
seguono le leggi della fisiche. Si comporta come se ci fosse una mente (parte della.
Natura che ha il compito di interpretate se stessa). Queste leggi diventano regolarità e
sono nell’ordine della legge, come fossero convenzioni, ma in verità sono naturali ma
hanno forza di legge. Nel caso della percezione non è mai diadica. Quando io vedo un
cerchio è ovvio che lo interpreto come tale, ma se lo interpreto cosi è perché è fatto cosi,
diversamente da un quadrato. Io posso interpretare naturalmente ma trovo dei limiti. La
realtà è fatta come è fatta e non tutte le interpretazioni sono legittimabili. Quando la
semiotica o Cimatti dice che non si può vedere come non sta dicendo che ci sono dei
vincoli, se quella forma spazio temporale è fatta in quel modo io posso vederla come
tante cose ma questo vedere sarà diverso sulla base del contesto spazio temporale.
Siamo sempre in presenza dell’uso di segni.

Percezione molecolare = livello più fino e sottile, molare = all’ingrosso. Il fatto che o mi
brucio toccando una caffettiera lo guardo in modo molare e non sono interessato ai
fenomeni percettivi che accadono nel mio sistema nervoso. La percezione molare guarda
i fenomeni da una certa distanza. Scopro sempre la mediazione segnica. Per il soggetto
che guarda il fenomeno non taglia a livello fine il fenomeno ma lo prende a livello molare.

Quando guardo la mela guardo la mela ma non le molecole che la compongono.

es. vedo un gatto, sono anziano e penso che sia il bastone della mia vecchiaia, ma di
sicuro non lo vedo come cane. A livello molare

Vedere come -2
Il linguaggio noi lo usiamo manipolando segni e possiamo parlare del linguaggio, quasi
nessun animale si rende conto dell’opacità dei segni, osservandoli come segni in sé.

Gli animali vedono immagini (rappresentazioni) o come oggetti del mondo? Gli
esperimenti condotti non provano in effetti che gli animali sappiamo distinguere davvero
tra immagini e oggetti (alcune scimmie hanno mangiato foto di banane perché non hanno
capito che quelle erano rappresentazioni delle banane e non banane reali). Cimatti
provvede molti esempi, potete divertirvi a esaminarli. Ma cosa vuol dire davvero vedere
come? Questo è un famoso esempio di una figura bistabile perché la possiamo vedere
come un coniglio e come una papera. Tutti e due i percorsi sono possibili ma non li
possiamo vedere in contemporanea. Questa immagine ha una struttura che è quella che è
ma noi la intepretiamo in uno dei due modi ma non come quella che è. È difficile vedere
qualcosa e non categorizzarla. A destra è un Droodle ovvero uno scherzo visivo. Che
cosa stiamo vedendo? Tutto quello che diciamo è un vedere come. La soluzione è un
messicano in bici visto dall’alto. Lo possiamo vedere anche come un soldato greco
accovacciato dietro lo scudo con la lancia. Al minimo sono due cerchi concentrici con
una linea continua dietro. Ma non possiamo vederlo senza qualcosa senza categorizzarla,
al minino sono due cerchi e il cerchio non esiste in natura è la soluzione di una formula
matematica. Non c’è possibilità. Noi quando guardiamo la realtà non la guardiamo come

62 di 98
è anche se una cosa che non conosciamo noi la categorizziamo come oggetto anche se
non sappiamo di che cosa si tratta.

Vedere come -3.


Descrivere l’aroma del caffè. James: ci mancano le parole. Wittgenstein: quando ci

mancano le parole, perché non le introduciamo?

Due conseguenze:

Non esiste (per noi) l’inconoscibile (4 incapacità di cui parla Peirce).

Ciò di cui non possiamo «parlare» non c’è (per noi) (Peirce). Non poter inquadrare
concettualmente qualcosa è semplicemente non percepirlo (pensate alle catacresi).

Quando camminiamo per un corridoio i nostri occhi guardano a destra e a sinistra e


vediamo un interruttore della luce, già questo è concettualizzare. Se i nostri occhi
passano sopra, non lo vedremo e vedremo solo un corridoio. La cosa cosi com’è noi non
la vediamo, la vediamo sempre come qualcos’altro con una struttura concettuale
sovrapposta.

le catacresi sono metafore invecchiate che non percepiamo più come tali. Le gambe del
tavolo = metafora, non avevamo un nome, ne abbiamo introdotto uno. Già una cosa
complicata è descrivere verbalmente l’allacciarsi le scarpe in quanto non pienamente
conscio. Anche il collo della bottiglia, noi lo vediamo come un collo ma non de l’ha. Ogni
interpretazione è l’effetto di una pratica e siamo sempre dentro a giochi linguistici,
impariamo a fare tutto quello che facciamo, a parlare, con un training lungo, lo facciamo
all’interno di pratiche strutturali e di giochi prettamente linguistici. Se non categorizziamo
in qualche modo con una struttura concettuale informata dal linguaggio anche quando
esso non entra in gioco è come se non le vedessimo e non ce la facciamo a non
categorizzare.

Ogni interpretazione o percezione è l’effetto di una pratica (Wittgenstein). Siamo sempre


dentro a gioco linguistico. Diverse esigenze, diversi giochi linguistici (pratiche).

Fateci un salto:

http://www.ec-aiss.it/biblioteca/10_goodwin_il_senso_del_vedere.php (ricerche
etnografiche che dimostrano che percepire qualcosa con la vista è una cosa costruita: es.
ci fu un pestaggio di un afroamericano da parte della polizia, qualcuno ha registrato il
video e si è fatto il processo. In primo grado sono stati assolti perché l’accusa ha
mostrato questo video in cui si vedevano dei polizziotti menare un uomo a terra dicendo
che non avevano fatto altro che seguire l’addestramento perché ogni volta che avveniva il
colpo c’erano dei movimenti da parte dell’aggredito, interpretati come movimenti
aggressivi. Davanti alla corte suprema la difesa fa vedere che non c’entrava niente con
l’aggressività dell’aggredito perché quei movimenti erano delle risposte muscolari). -
vedere sotto un certo punto di vista, sotto una certa descrizione. Noi categorizziamo tutto
anche concetti molto generici.

Vedere come -4
Cosa si intende dire con forme del mondo? Ha senso distinguerle dalle forme in quanto
segni? Quando vedo un gatto vedo un gatto, vedo quella cosa lì.

63 di 98
Da un certo punto di vista, certo. Quando vedo un gatto, vedo un gatto. Lo so in
automatico perché se non lo so significa che non l’ho visto, che i miei occhi non si sono
posati su di lui.

Quell’organizzazione spazio-temporale. Ma quando lo vedo so che è un gatto perché lo


riferisco a un sistema linguistico-concettuale.

Una piramide non è una pura forma del mondo? No, è un triangolo, idealmente perfetto
ma nemmeno le macchine più precise riescono a farlo perfetto.

Il fonema di una lingua che non conosco, se io senso parlare giapponese e lo identifico
comunque quel fonema non lo conosco. Se non sono in grado di focalizzare l’attenzione
sul fatto che qualcuno sta pronunciando dei fonemi di un’altra lingua vuol dire che non
riesco ad andare oltre il brusio. es. frigorifero che faceva rumore e nel silenzio totale il
frigorifero stacca facendo capire la presenza e il rumore preesistente del ronzio.

Io devo avere a che fare con qualcosa attraverso delle modalità interpretative altrimenti è
come se io quella cosa non l’avessi mai vista.

Vedere come -5
Ma cosa c’entra tutto questo con l’arte? C’entra. Illustra la teoria istituzionale dell’arte.
Così come vedo sempre qualcosa come qualcos’altro, posso vedere qualcosa come
opera d’arte. Oppure no. Oppure posso intenderla come bistabile: è arte per certi versi,
per altri no, chi lo sa (ma vedete che è sempre un vedere come, anche in negativo).
Ovvero è un oggetto che non conosco ma che categorizzo comunque.

Arte e vedere come:


Cimatti: «Un’immagine è una ‘immagine’ anche quando, e forse soprattutto, non ‘parla’ di

nulla, non ‘indica’ nulla, non ‘raffigura’ nulla. L’immagine è sempre doppia (rappresenta
ma si presenta come qualcosa da guardare), per definizione. È transitiva e intransitiva nel
moneto in cui ci costringe a guardarla come un’opera. I segni possono essere visti
altraverso il mondo quindi trasparenti o in modo opaco in quanto segni, in quanto
oggetto.

Però non ogni immagine è artistica, ovviamente, così come non ogni orinatoio è un
oggetto artistico. Ma dopo Duchamp è chiaro che ciò che rende ‘artistico’ qualcosa non
risiede dentro quel qualcosa.

Ancora una volta, proprio come nel caso dell’immagine, è ‘artistica’ quell’immagine che
per qualche ragione (e quanto diverse possono essere queste ragioni ce lo mostra la
storia dell’arte) viene osservata come artistica. Per questa ragione la teoria istituzionale
dell’arte ci sembra colga un punto centrale dell’ontologia dell’oggetto

artistico, un punto che ha a che fare non con la storia dell’arte o del senso estetico,
piuttosto con l’antropologia, con il fatto che Homo sapiens, più di ogni altro vivente, basa
la sua esistenza sul linguaggio e sul simbolismo».

Arte del vedere come -2


Cimatti: «I passaggi principali sono due; vedere è sempre ‘vedere come’, perché in ogni
vedere è implicita una descrizione di quello che si vede. Questa è la condizione – ad uno

stesso tempo cognitiva e antropologica – per vedere in un orinatoio, ad esempio, come


un oggetto artistico. Ma il ‘vedere come’ non basta, perché non ogni vedere come è
anche, evidentemente, un vedere artistico. Occorre anche quell’oggetto sia inserito in una
64 di 98
serie di pratiche e istituzioni, che cambiano nel tempo, che fanno accettare
collettivamente il gesto performativo originario». (Simbolismo = gli esseri della nostra
specie sono in grado di sostituire ciò che vede con dei simboli).

Arte del vedere come -3


Cimatti: «Un vedere ‘neutrale’ sarebbe un vedere che non vede qualcosa come questo o

quello, cioè riconoscendo in quello che vede questa o quella categoria (è una ‘categoria’

anche quella che racchiude tutti gli oggetti che non appartengono a nessun’altra
categoria nota), bensì un vedere che si espone senza difese alla potenza del visibile,
come è forse quello di un dispositivo di visione automatico «l’arte», scrive Garroni,
costituisce ‘una sorta di riflessione in azione sull’immagine interna mentale mediante
figure’ (2005: 98). La ‘figura’, cioè il singolo lavoro artistico, mostra, mentre si mostra, alla
luce del sole l’‘immagine interna’, cioè il risultato di un particolare ‘vedere come’.

In questo senso l’arte (quale ruolo ha?) ‘fa accorgere’ (Ibidem) l’osservatore del
meccanismo cognitivo su cui si basa il suo rapporto con il mondo. Questo aspetto lo
abbiamo visto anche per ambiguità e autoreflessività. L’arte ha una pulsione conoscitiva,
non parla non spiega, mostra il modo in cui noi guardiamo il mondo.

L’arte diventa così l’occasione per il ‘libero gioco dell’intera immaginazione e dell’intero
intelletto sull’occasione di una rappresentazione determinata’». Questa cosa del libero
gioco, del libero intelletto è una cosa kantiana - sentimento e accordo tra sé e il mondo
che funziona come un libero gioco, l’una guida l’altra.

Emporio celeste riconoscimenti benevoli.


Idioma analitico di Wilkins
Borges parlava di libri partendo dalla semplice descrizione del libro senza averlo letto
capendo tutto perfettamente.

Raimond Queneau - scrittore vicino al Surrealismo.

Esperienza estetica:
Da qui in avanti Cimatti sostiene che l’esperienza propriamente estetica sia come una
sorta di spazio interstiziale tra un «vedere come» e un altro «vedere come» (bistabile), tra
un vedere come esperienza concettuale e un vedere come vedere il mondo in sé, come
se noi vedessimo come interagiamo con il mondo in sé. L’arte starebbe nello spazio di
libertà tra due «vedere» entrambi linguistico-concettuali, tuttavia uno esplicitamente
epistemico, l’altro più contemplativo. Come se osservassimo un caso che riferisce a una
struttura linguistico concettuale e l’altro lo vedessimo come quello che è. L’arte
rappresenta e si presenta ma ci costringe a guardare. Si tratta di uno spazio logico e
fisiologico (e, suggerisce Cimatti, etico).

Qui noi potremmo inserire i caratteri dell’estetico (ambiguità e autoriflessività), certamente

per i segni intenzionali, ma forse anche per il bello in natura. Certo un bel paesaggio è
attraente sia perché ne apprezziamo le forme in sé stesse (ci spingono a guardare come
sono fatte), sia perché in qualche modo veicola un mondo di significati per noi (anche
difficilmente verbalizzabili. Una somma di sensazioni è pur sempre un significato).

E il giudizio di valore?

Come si può guardare il giudizio di valore dal nostro punto di vista? Esistono opere d’arte
brutte. Che rapporto sussiste tra piacere, testo, valore pubblico?

65 di 98
Esiste anche un fascino del brutto, in alcuni periodi è stata una vera e propria poetica, un
criterio di produzione di opere.

Ripeschiamo un vecchio articolo di Eco.

Sperimentale, avanguardistico
Opere d’arte sperimentali, avanguardistiche, «gastronomiche»… il panorama delle opere
(narrative, filmiche, pittoriche, fotografiche…) è molto ampio e variegato. Ognuna si pone
degli obiettivi diversi e ha ambizioni diverse. Un’opera sperimentale opera in modo
innovativo rispetto alla tradizione; pertanto spesso risulta meno comprensibile.

Tuttavia, l’intento è quello di creare un pubblico in grado di apprezzarla. Si tratta di


rinnovare.

Un’opera avanguardistica è il frutto di un movimento, che ha un poetica che sfida le


tradizioni, ma per offendere, per metterle in discussione, per essere percepita come
inaccettabile.

Lo sperimentalismo gioca sull’opera singola. Si potrà anche estrapolare una poetica, ma


après coup. Nell’avanguardismo, la poetica è il primo momento precede l’opera; al limite,
può prescindere dalle opere. Molte opere futuriste sono ignote mentre il manifesto lo
consociamo tutti.

Quando Piero Manzoni dipingeva una tela bianca, faceva sperimentalismo; quando
esponeva in un museo una scatola chiusa che conteneva «merda d’artista», faceva
avanguardia.

L’avanguardia salta il rapporto tra lettore e autore modello; è un dialogo tra autore
empirico e lettore empirico. Lo sperimentalismo propone invece un nuovo tipo di testo; la
dialettica è tra il lettore modello e l’autore modello.

Due principi:
Al di fuori delle provocazioni d’avanguardia, valgono due principi:

1 – Ogni artista aspira a essere «letto». Nessuno desidera essere incomprensibile; al


limite, propone un testo nuovo sperando di contribuire a costruire il lettore adatto.
Quando Joyce scrive Finnegans Wake presenta dei problemi enormi perché ogni parola è
una combinazione di diverse parti di altre parole anche straniere. Egli diceva che il suo
obbiettivo era quello di produrre un lettore ideale afflitto da insonnia ideale. Quel he fa
un’itera sperimentale è creare e contribuire a creare un lettore adatto. Nessun artista
vuole creare qualcosa di completamente incomprensibile.

2 – Ogni artista aspira a procurare il piacere della propria «lettura», nonostante le diversità
di obiettivi.

Quale sarà il rapporto tra consumo, piacere, valore estetico?

Il cosa e il come:
Sembra che ci siano delle opere che aspirano a un lettore interessato soltanto alle storie
che raccontano, e non al modo in cui sono realizzate. Per esempio a un polittico su un
episodio biblico, non sono così interessato che la gente comprenda come sono riuscito a
dipingere quel quadro.

Si tratta dell’opposizione tra piacere del cosa e piacere del come. Ci sono opere che
giocano tutto, o vengono apprezzate, per il mondo possibile disegnato dal testo, per
quello che dice; altre invece si preoccupano di più dello stile.

66 di 98
Non è il caso di ricondurre questa opposizione a quella tra contenuto e forma. La
semiotica ci insegna che forma e contenuto sono solidali; d’altra parte, anche un mondo
narrativo ha una sua forma, magari ben organizzata, sebbene lo stile possa lasciare a
desiderare.

Lettore critico e ingenuo


Ogni opera può avere due tipi di lettori. Ci sono opere che puntano soprattutto al lettore
ingenuo, altre che sperano esista, o sia possibile stimolare, un lettore critico.

Il lettore ingenuo è quel lettore che soggiace al fascino dell’opera; gode insomma della
storia raccontata. Il lettore critico gode invece del modo in cui l’opera l’ha fatto godere
della storia. In altre parole, il lettore critico si interessa anche delle strategie testuali che gli
hanno fatto provare le emozioni che provato.

Siamo tutti lettori ingenui la prima volta, il lettore critico è un lettore che va avanti a
riletture. Lettore che si interessa delle strategie testuali. Le opere che puntano solo al
lettore ingenuo: Fabio Volo deve avere delle qualità di narratore magari è interessato solo
alla storia e non fa nient’altro per farci interrogare.

Possiamo definire le opere che puntano soltanto al lettore ingenuo «gastronomiche»,


mentre le altre saranno opere a finalità estetica. Ma la distinzione è un po’ troppo netta. È
difficile fare un partizione.

Equazioni dubbie:
Equazione dell’estetica romantica che abbiamo ereditato.

Piacevole = non artistico; difficile = arte

Consolatorio = consumo (quella che da al lettore ciò che si aspetta); rottura con la
tradizione = estetico, altrimenti è solo consumo

Successo = brutto (es. Fabio Volo); Insuccesso = bello.

L’estetica moderna è ancora romantica e aristocratica. Bisogna prendere atto che queste
categorie sono relative, e tentare di fondere la prospettiva estetologica con quella
antropologico-culturale. Non ci sono aspetti oggettivi del testo che possono giustificarle,
ma solo l’interazione tra pubblico, enciclopedia, e testi.

In sostanza:
L’opera va sempre vista, nei suoi aspetti testuali, in rapporto all’enciclopedia dell’epoca in
cui appare. Gli esempi ci dimostrano che:

- non si può parlare di successo in senso statistico e sociologico senza rapportarlo alla
situazione culturale in cui l’opera appare;

- non si può parlare del successo in senso sociologico e statistico senza verificare sul
testo le ragioni delle interazioni tra un orizzonte d’attesa (attuale o virtuale, presente o
istituita dall’opera) e la strategia testuale.

Ci sono opere di alcuni manieristi che sembrano surrealisti, noi ad oggi le percepiamo
così mentre all’epoca erano considerati solo manieristi. Dobbiamo sempre guardare le
interazioni tra un orizzonte d’attesa e la strategia testuale è cosi che ci rendiamo conto
perché alcune opere sono considerate belle in un’epoca e brutta in un’altra.

Inoltre:
L’opera va anche vista in relazione all’enciclopedia dei suoi lettori successivi. L’analisi
testuale potrà dirci, in questi casi, perché un’opera prodotta con un intento possa poi
67 di 98
essere interpretata in modo molto diverso. La stessa opera potrebbe esser presa come
un semplice prodotto di consumo in un dato periodo storico e come un’opera d’arte in un
altro (e vedete come estetico e artistico non coincidono).

SECONDO MODULO

COSTRUZIONE DEI TESTI VISIVI:


- come si costruisce un testo visivo?

- Nei testi visivi, l’ambiguità sta nel testo o negli interpreti?

- È possibile stabilire quali interpretazioni sono corrette e quali no?

Un esempio ambiguo?
Cosa raffigura il quadro? Balthus, lei beaux jours

L’interpretazione di “Sabina”:
Proni ci riporta una sua esperienza didattica. Una studentessa (il nome è fittizio) interpreta
il quadro come la raffigurazione di un suicidio. Quello che tiene non sarebbe uno specchio
ma sarebbe dunque un pugnale che si è appena conficcata. Sabina fornisce una
descrizione analitica coerente e dettagliata in cui ci spiega proprio perché quello è un
suicidio e non un’altra cosa. (file di Proni che ci ha dato da studiare).

L’interpretazione è minoritaria perché tutti gli altri studenti vedono uno specchio, il che
conduce a un’interpretazione narrativa del tutto diversa.

A questo punto chiediamoci:

Può la semiotica spiegarci se Sabina ha sbagliato oppure no dato che la sua


interpretazione è minoritaria?

L’ambiguità è nel quadro oppure dipende dagli interpreti?

Costruzione del testo. Isotopia e topic.


Il testo di Proni come è stato costruito? Attraverso gli elementi di topic e isotopia.
Richiamo:

Topic: risposta alla domanda tematica sul testo o sulla porzione di testo: di cosa si sta
parlando? Cos’ è raffigurato? Questo è un quadro figurativo quindi raffigura qualcosa.

Isotopia: ridondanza semica che dà coesione al testo cioè lettura interpretativa coerente
del testo. Se le due versioni sembrano sovrapporsi è perché una dipende dall’iniziativa
dell’interprete in quanto pragmatico (topic), l’altro è semantico e dunque riguarda il testo.
Io individuo l’isotopia facendomi delle domande sul topic.

Cosa ci chiediamo?

Qual è il topic, «fanciulla che si specchia» o «fanciulla che si è appena pugnalata»? Dalla
risposta dipende l’isotopia che sceglieremo e cercheremo altri elementi che
confermeranno il percorso interpretativo.

In questo caso, un ruolo preponderante è da attribuire all’identificazione dell’oggetto che


la fanciulla tiene stretto in mano. Siamo al livello plastico.

68 di 98
Plastico e figurativo:
Piano figurativo: quello che consente di riconoscere nelle figure rappresentate gli oggetti
del mondo. Gli oggetti che io vedo come una forma li interpreto come o pugnale o
specchio.

Piano plastico: cioè quello che permette di ricavare dei significati al di là dell’imitazione
della realtà che l’immagine rappresenta (considerando che l'organizzazione di linee –
livello eidetico; colori – livello cromatico; spazi – livello topologico).

Noi pensiamo che il problema figurativo ma è come vengono interpretate le forme.

Quindi (livello eidetico) perché a seconda di come interpreto le forme vedrò oggetti del
mondo diversi.

In realtà l’ambiguità qui sembra stare a una livello più profondo. (cioè: quello che vedo io
è un fuso o un piatto di scorcio?) È sempre un vedere come, perché riesco a nominarli,
quindi c’è un sistema concettuale dietro.

Uno riguarda l’organizzazione delle linee, dei colori o degli spazi, la distribuzione delle
forme nello spazio un’altro riguarda l’oggetto del mondo imitato.

Polidoro: «Questa distinzione tuttavia non riguarda l’analisi di immagini solo figurative, nel
primo caso, o solo astratte, nel secondo caso; essa va considerata anche nell’analisi di
una stessa opera: ad esempio, in un dipinto che rappresenti un paesaggio, si può
procedere ad un'analisi di tipo figurativo e descriverne case, alberi, montagne, nuvole
ecc.; alternativamente o conseguentemente si può procedere ad un’analisi di tipo plastico
e studiarne l'organizzazione spaziale, l'organizzazione dei colori ovvero delle linee,
facendo astrazione dalle figure rappresentate».

L’analisi di un’opera astratta non può considerare un piano figurativo perché molto
spesso non c’è, anzi sempre. Ma è certo che l’analisi di un’opera astratta consente
un’analisi soltanto al livello plastico, perché è impossibile riconoscere «figure del mondo».
L’analisi di un’opera astratta non può considerare un piano figurativo perché proprio non
c’è. Quando facciamo l’analisi di un quadro astratto questo piano non è consentito e ci
muoveremo sul piano plastico perché non riconosciamo degli oggetti del mondo.
Riconosciamo dei triangoli o dei cerchi.

Categorie plastiche.
Topologiche: bidimensionale/tridimensionale; figura vs sfondo; assi: orizzontale, verticale,
assi diagonali in questa maniera dividiamo l’opera in zone; centrale vs periferico;
circoscrivente vs circoscritto; ecc; sono semplicemente descrizioni di forme e del modo in
cui esse entrano in relazione le une con le altre e come sono distribuite nello spazio le une
rispetto alle altre.

Cromatiche: quando si parla di caratteristiche cromatiche si parla di: tonalità, luminosità


(intensità e brillantezza), saturazione (vivacità). Si possono avere anche dei contrasti:
simultaneità (due forme dello stesso colore o due macchie di colore che stanno una da
una parte e una dall’altra come se si mimassero), ecc.

Eidetiche: (orientamento della forma) orizzontale vs verticale; dritto vs curvo;


perpendicolare vs obliquo; angolo ottuso vs angolo acuto; spigoloso vs arrotondato; ecc.
bisogna interrogare le linee e le forme. Eidos = immagine; forma.

69 di 98
Questi sono gli elementi in cui dobbiamo scomporre il quadro. L’opera di un artista
informale come Pollock qual è il senso che tiriamo fuori dalla sua opera? Il senso è il fatto
di seguire i percorsi seguiti dall’artista e non molto di più. Quello che ci possiamo
agganciare dal punto di vista emotivo e degli effetti allora si. Pollock ci pone davanti a
una serie di percorsi che possiamo solo seguire.

Orientamenti di lettura:
Nella visione esistono dei percorsi. Un po’ per questioni percettive più o meno universali,
un po’ per alcune influenze culturali, esistono dei percorsi nella visione.

Davanti lo vediamo prima rispetto a dietro;

Sinistra (noi occidentali) lo vediamo prima rispetto a destra;

Centrale si guarda prima rispetto a periferico;

Da una forma arrotondata andiamo a quella appuntita;

Un colore saturo lo guardiamo prima rispetto a uno insaturo;

Uno luminoso prima di uno più opaco.

Ecc.

Bene o male possiamo seguire l’istinto e avere già degli orientamenti di lettura mano a
mano che andiamo avanti con la lettura.

Sono cose di cui gli artisti non sanno di essere consapevoli ma agiscono comunque in
questo modo. Vengono tenute presente per istinto.

Regole Generali:
La regola è: individuare opposizioni e correlazioni. Per esempio, la funzione di un asse è
duplice: separa e collega gli elementi da una parte a un’altra.

a) collegamento (tra gli elementi di una parte e dell’altra); b) separazione.

Ma la prima regola è: fare selezione. Bisogna per forza fare selezione.

Noi diciamo pertinentizzare; una brutta parola per dire che bisogna rendere pertinenti
solo alcuni elementi, quelli che consentono un’interpretazione unitaria (e «utile» per far
emergere almeno un’isotopia). Lo stesso, mutatis mutandis, vale per gli altri elementi.

Dinamismo della lettura:


Tre tipi principali di dinamismo.

1- Secondo gli assi.

2- Assecondando l’inclinazione o la direzione delle linee;

3- Assecondando le figure che possono «ricordare» oggetti del mondo.

Specchio o pugnale?
La figura in questione può essere interpretata sia come «piatto» di scorcio – livello
plastico (specchio – livello figurativo), sia come «fuso» - livello plastico (pugnale – livello
figurativo). Lo sguardo della ragazza potrebbe essere compatibile con entrambe le
situazioni? Più meno si.

Tuttavia, la parte rastremata dell’oggetto, vicino alla mano, non è piatta, non si vedono
discontinuità di colore, né segni di un’elsa. Ciò rende altamente improbabile, data la
nostra conoscenza enciclopedica, che si tratti di un pugnale.

Riassumendo: non è un errore vedere un fuso, anche a causa della prospettiva non
corretta utilizzata da Balthus; sembra invece un errore (possiamo già parlare di errore)
interpretare l’eventuale fuso come un pugnale.

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Livelli Alfa e Beta:
In sostanza, l’ambiguità sembra sussistere nel testo a un livello più basso, quello degli
stimoli sensoriali, a livello plastico.

Alfa 1 sono gli stimoli sensoriali, una volta interpretato come oggetto del mondo diventa
Alfa 2 e poi una volta interpretato come un segno prodotto, insieme ad altri, per veicolare
una storia, o un senso complessivo – Beta.

(Notiamo che se si fosse trattato di un’ambiguità nella tenda, per esempio, le


interpretazioni del quadro non sarebbero state così divergenti). Se si fosse trattato di
un’ambiguità nella tenda non avremmo avuto una complessità di interpretazione. Lo
specchio gioca un ruolo fondamentale a seconda del quale cambia tutto il significato.

Beta = segno esplicito realizzato da qualcuno, Alfa 2 = individuazione nella forma che
vedo di un oggetto del mondo, Alfa 1 = forma organizzata.

Eco distingue solo tra livello alfa e livello beta mentre è Proni che ne fa tutte queste nuove
distinzioni.

Quando qualcuno dice qualcosa di insostenibile non vuole dire che vada buttato, può
darci un’indicazione per formulare in maniera diversa o un’immagine utile per mostrare,
nel modo scorretto un fenomeno giustificabile.

La percezione come interpretazione:


Questo non significa che il riconoscimento di una figura ellissoidale (fuso o specchio) non
è determinata da una cognizione precedente (intuizione nel senso di Peirce - non esistono
o non sono distinguibili dalle cognizioni determinate); è invece un’inferenza
(interpretazione). Soltanto che è quasi automatica, quindi non ne abbiamo
consapevolezza. Guardiamo la figura accanto:

Una volta visto il cane, non potete tornare indietro e vedere solo delle macchie. Il
processo è irreversibile. Ciò prova che i processi percettivi sono già nutriti di inferenze
(sono già interpretazione). D’altra parte, vi ho già detto della terza dimensione spaziale.

Poiché la distinzione di Eco è in contraddizione con l’impostazione peirceana (ma Eco ha


fatto alcune precisazioni alcuni anni dopo), conviene riformulare in questi termini: il livello
alfa – stimoli sensoriali, percettivi – sono già inferenziali; ma essendo quasi automatici e
rapidissimi, al soggetto (per la sua consapevolezza) sembrano elementi primi, ossia il
punto di partenza per ulteriori inferenze. È sempre un vedere come.

A Eco interessava il fatto che io vedo un elemento come primo punto, zona, momento dal
quale poi faccio delle inferenze in avanti, non indietro. Io faccio una serie di operazioni
cognitive delle quali non mi rendo conto, io non le considero. Per la consapevolezza di
me soggetto quella cosa lì è come se fosse un elemento primo anche se non è cosi.

Anche i fenomeni percettivi di base sono già interpretativi.

Possiamo adesso rispondere alle domande iniziali?


Dove sta l’ambiguità, nei testi o negli interpreti?

Dipende 1) senza dubbio dagli interpreti, ma anche 2) dal livello nel quale si presenta
l’ambiguità (o dove sono collocati «i punti di catastrofe» = quei punti che fanno da
spartiacque).

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Guardiamo questa immagine:

L’immagine è bistabile; si possono seguire due percorsi, una volta scoperti, sebbene non
in contemporanea. L’ambiguità sta a un livello un po’ più alto (figure del mondo) del caso
del quadro di Balthus in cui l’ambiguità sta nel piano delle configurazioni eidetiche.

Riassumendo: più in basso si trovano i punti di catastrofe, più l’ambiguità si radica nel
testo. L’ambiguità starebbe insomma nell’interazione tra testo e interpreti, in modi
diversi a seconda del tipo di testo.
Possiamo discriminare tra interpretazioni giuste e sbagliate? Certamente possiamo porre
un confine tra interpretazioni più o meno legittime. Non si tratta tuttavia di individuare
caratteristiche «ontologiche» del testo, ma di indagare i rapporti (così fa la semiotica
intepretativa) tra elementi percettivi e risposte interpretative, distinguendo i diversi livelli in
cui può annidarsi l’ambiguità = è una delle situazioni limite che ci fanno capire dove
stanno le interpretazioni, dove si giocano.

Si tratta di simulare diverse letture alternative, anche quelle che non ci sembrano
affatto evidenti, e saggiarne le possibilità.
Quanto è legittimata questa interpretazione?

La costruzione del testo visivo


Proni parla spesso di enciclopedia.

Proni per costruire il testo utilizza innanzi tutto il topic e l’isotopia poi il piano plastico e
quello figurativo.

Si tratta di simulare diverse letture alternative, anche quelle che non ci sembrano affatto
evidenti, e saggiarne le possibilità.

Si potrebbe a questo punto cercare nell’intertestualità interna altri elementi


discriminanti. Guardiamo queste opere, sempre di Balthus: vedete che il tema dei fanciulli
che si specchiano torna spesso.

Ancora, potremmo andare in cerca di varianti preliminari, procedura indispensabile in


ambito storico-artistico e filologico. Guardate un po’ qui: Questo, udite udite, è uno
Studio per Les Beaux Jours.

Due questioni:
- In primo luogo, siamo insensibilmente passati da una postura da interpreti semplici a
una postura da analisti che vanno a cercare i frame. Tuttavia, uno storico dell’arte (o un
semiologo) tenderebbe a fondere le due posture. Come uno spettatore molto colto il
quale avrebbe a disposizione un’enciclopedia piuttosto estesa e specializzata, quindi
leggerebbe il quadro tenendo presenti anche le altre opere e i temi che vi ricorrono.

In secondo luogo, il fatto che Balthus abbia insistito molto sul tema dei «fanciulli che
oziano specchiandosi» non esclude che avrebbe potuto puntare a una realizzazione
diversa o ambigua. Anche lo studio preparatorio, pur dandoci una forte indicazione, non è
una prova certa; potrebbe semplicemente aver cambiato idea oppure avrebbe potuto
complessificare la realizzazione definitiva.

Poi restano da individuare le date delle altre opere; se l’idea dello specchio gli fosse
venuta dopo e a causa di Les beaux jours? Non siamo praticamente mai certi. Siamo
ragionevolmente certi. L’interpretazione e l’analisi non possono mai pretendere perché

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non sapremmo mai la verità dell’opera, altrimenti dovremmo stabilire che la nostra
conoscenza è infallibile.

Il tentativo va fatto, è necessario. Pierce dice: “tanto alla verità ci arriviamo”. Ovviamente
dobbiamo considerare quelle interpretazioni che sono maggiormente legittimate dal testo.

Come concludiamo?
Così:

L’interpretazione, e le analisi, non possono pretendere di trovare la verità dell’opera.


Altrimenti dovremmo stabilire che la nostra conoscenza possa essere infallibile (e Peirce,
con buone ragioni, ci dice il contrario). Il tentativo è certo necessario; ma non possiamo
esserne sicuri.

Però, come sappiamo, le interpretazioni più ragionevoli, più legittimate dal testo, sono
sempre da preferire. Quindi: nonostante tutte le cautele, bisogna ammettere che l’ipotesi
dello specchio, dal punto di vista dell’interprete ingenuo (frame, semiosi Alfa e Beta); e dal
punto di vista dell’interprete critico (frame, semiosi Alfa, semiosi Beta, intertestualità
specifica) ha senza dubbio una validità maggiore.

Perché non possiamo dirci certi al cento per cento? Primo, perché la conoscenza è
fallibile. Poi c’è un altro.

Ancoraggio:
Robert Doisneau un giorno, in un piccolo caffè di Rue de la Seine, dove s'incontra
abitualmente con gli amici, nota un'incantevole ragazza che beve un bicchiere di vino al
banco, a fianco di un signore di una certa età che la guarda con un sorriso fra il divertito e
il goloso. Doisneau chiede ai due il permesso di fotografarli. Essi accettano e la fotografia
esce nella rivista "Le Point", in un fascicolo dedicato ai bistrots, illustrato dalle fotografie
di Doisneau.

L'autore cede la fotografia, insieme ad altre, alla sua agenzia. Poco tempo dopo, la
fotografia in questione esce in un giornaletto, pubblicato dalla lega contro l'alcolismo, per
illustrare un articolo sull'azione nociva delle bevande alcoliche. Le cose prendono una
cattiva piega quando la stessa fotografia esce su una rivista scandalistica che l’ha ripresa
da "Le Point", senza il permesso né dell'agenzia, né del fotografo. La didascalia che
accompagna l'immagine dice: «Prostituzione agli Champs-Elysées».

Il problema è che le immagini sono polisemiche , anche quelle figurative. Prima di


crearci il problema di una tela dipinta di un solo colore o lasciata bianca, notiamo che con
il figurativo già abbiamo dei problemi. Le immagini sono molto polisemiche e abbiamo
bisogno di un ancoraggio verbale. Se non c’è un titolo, come in alcuni quadri informali,
l’interpretazione diventerebbe un lancio di dadi. Il titolo dell’opere ne è parte integrante.
Sempre nel caso del quadro informale ci da una chiave interpretative. Prendiamo Turner
per esempio, i titoli delle sue opere sono esplicativi.

Un’immagine vale tante parole insieme e a volte anche contraddittorie.

Quando c troveremo davanti a un’immagine dovremmo considerare la sua polisemia e le


parole dovrebbero aiutare a ridurne le ambiguità.

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Ambiguità narrative. Effetto Kulesov
È stato mostrato a tre gruppi persone diverse: una persona che guarda qualcosa da
mangiare, e una persona che guarda una bambina in una bara e infine una ragazza
svestita.

I tre gruppi di persone hanno dato interpretazioni del tutto diverse.

Nel primo caso era affamato, nel secondo era triste e nel terzo sollecitato. L’inquadratura
è sempre la stessa.

Le immagini a seconda di come vengono accostate possono sollecitare delle


interpretazioni diverse.

Tendiamo a interpretare in termini narrativi anche quando non sarebbe necessario.


Gli artisti anche quando non sono consapevoli ne sono consapevoli comunque.

Dobbiamo quindi cercare di trovare un metodo.

La garanzia dell’interpretazione non sta nemmeno nelle parole dell’autore, sta nel testo,
dobbiamo cercarla li. I criteri che ci permettono di identificare interpretazioni buone o
cattive stanno nel testo stesso.

Quello che cerca di fare la semiotica è quello di avere dei criteri, come la storia dell’arte.
Noi interpretiamo sempre anche quando pensiamo di non farlo.

es. giudizi di X Factor - mi arriva/non mi arriva. Proprio perché questi giudizi non hanno
senso si cercano dei criteri.

Quando il testo si dimostra ambiguo dobbiamo cercare l’appoggio nel testo nel suo
aspetto paratestuale ecc.

Se i temi che riguardano la vita dell’autore rientrano nell’opera allora ci interessa.

Esempio dei coniugi Arnolfini - particolare dello specchio e delle firma.

Una ridda di interpretazioni:


Se l’attribuzione non presenta problemi, l’identificazione dei soggetti rappresentati è stata
assai travagliata. Egli ha messo in scena la propria firma cosa già insolita come la
grandezza. Il quadro è stato oggetto di svariate interpretazioni nell’ultimo secolo:
matrimonio morganatico; fidanzamento; visita borghese; commemorazione funebre.

Scarpe prima maschili, poi femminili, il candelabro spoglio, la scultura, modo strano di
giungere le mani interpretato diversamente congiuntivo o disgiuntivo. Dietro si vede
anche un’altra statua, un mostro bifronte. Le arance che hanno avuto altre interpretazioni
e lo specchio con la firma. Tutti sono d’accordo che il pittore sia presente nello specchio
riflesso.

Singoli elementi del quadro:


Elementi del quadro:

Ospiti ritratti nel quadro, tra i quali il pittore: testimoni (fidanzamento o matrimonio);
conoscenti in visita.

Mano levata del protagonista: promessa; giuramento; cenno di saluto.

Mani (più o meno) giunte: interpretazioni giuntive (matrimonio, fidanzamento) o disgiuntive


(commemorazione).

Firma: autenticazione documento; semplice firma.

Cane: simbolo fedeltà; guida nell’aldilà; attributo borghese

Arance: decorazione irrilevante; simbolo di ricchezza; augurio di fecondità.

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Candelabro: sacralità; ricchezza; irrilevante.

Singola candela accesa: oculatezza economica; richiamo funebre (uno è vivo, l’altra è
morta).

Figure scolpite: Santa Margherita (protettrice del parto); altre: irrilevanti.

Calzature tolte: sacralità del luogo; attribuzione di genere; domesticità;

Colori: Rosso: passione; Verde: denaro.

Vestiti: Indicatori di status; per la donna, pregnanza in alcuni casi.

Ambiente: Camera da letto; salone.

Pregiudizi e analisi:
Lancioni nota che tutti i commentatori sembrano muoversi nella stessa maniera: rifiuto in
blocco dell’interpretazione precedente, formulazione di un’idea generale, utilizzo dei
singoli elementi per avvalorare l’ipotesi (quelli che non servono allo scopo vengono
ignorati o considerati irrilevanti). Inoltre, ogni elemento viene ricondotto al simbolismo
convenzionale dell’epoca, senza interrogarsi sulla funzione che esso può assumere nella

singola opera.

In tutti i casi, il meccanismo semiotico (ideologico) è lo stesso: ritrovare il «codice


perduto»; stabilire rapporti tra testi rompendo il tessuto di relazioni interne.

Fare i semiologi:
Individuare gli aspetti morfologici o formali dei singoli elementi;
Individuare le relazioni interne tra gli elementi del testo (opposizioni e correlazioni;
opera come composizione, non soltanto frutto dello zeitgeist);
Verificare la tenuta di un’interpretazione complessiva;
Confrontare il testo con altri testi (intertestualità interna ed esterna).
Tracce di una singolarità: un’arancia separata dalle altre; una sola candela accesa.

Lancioni: «Tale ‘singolarità’ potrebbe facilmente entrare in risonanza con altri elementi del
testo rafforzando una delle isotopie già evocate, quella che si ricollega all’idea di
‘maternità’, chiamata in causa dai documenti storici (l’alemana preñada), e associata
all’abbigliamento della donna che ne evidenzia la prominenza del ventre. Ipotesi
contestata in quanto l’abito, come ricordato, sarebbe solo un abito alla moda, presente
anche in opere che dovrebbero escludere la ‘maternità’ al di la di ogni dubbio, ma che
viene ripresa sotto le spoglie di un generico ‘augurio di fertilità’. Ma se candele, arance e
ventri prominenti sono semplici auguri, la connessione di questa isotopia con una marca
ridondante di ‘singolarità’ sembra piuttosto annunciare una ‘fecondazione già avvenuta’,
dunque una maternità annunciata, il che ci permetterebbe di giustificare anche un’altra
presenza, quella della statuetta lignea di S. Margherita, già citata anch’essa come augurio
di fecondità in quanto ‘protettrice del parto’».

Ma se una statua è Santa Margherita, l’altra? Mostro bifronte: uno guarda verso gli
spettatori, una verso il muro dove campeggia la firma.

Le pantofole: maschili «chiuse», femminili (rosse) aperte verso il divano.

Se saldiamo l’isotopia della curiosa modalità di presenza del pittore con quella della
maternità (collegata alla «singolarità»); tenuto conto della mano della donna che «scivola
via» da quella dell’uomo; del mostro bifronte che guarda verso il muro e verso la stanza;
delle pantofole con il diverso posizionamento:

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L’uomo sta presentando la donna, ma non è il marito: è il padre. La donna è incinta. Il
pittore si è messo in scena con quella firma enorme e insolita sul muro, dove punta anche
una faccia del mostro bifronte; le pantofole femminili sono aperte verso il divano (quelle
maschili si chiudono a punta). Allora: Van Eyck, presente anche nello specchio (che rima
con il mostro bifronte) «fuit hic» [è stato qui; ma anche: fecit hic] in un altro senso.

Questioni di metodo:
Al di là dell’interpretazione da verificare, l’articolo è interessante perché mette in mostra il
metodo d’analisi. Sebbene Lancioni sia sostanzialmente un greimasiano, egli procede in
linea generale come farebbe ogni semiologo. Gli elementi in cui può essere scomposto il
testo devono «fare sistema» o quantomeno dar vita a isotopie compatibili. Si guarda il
ruolo che i singoli elementi giocano nel testo, stabilendo opposizioni e correlazioni.
Intanto, si verifica costantemente la tenuta di un’interpretazione complessiva, tenendo
conto degli elementi intertestuali. Quindi senza dimenticare «il fuori testo» (Lancioni fa
riferimento anche ad altri ritratti e documenti).

14.05.2020
Stile e semiotica del testo:
Eco propone un modo di intendere lo stile che è affine ad alcuni concetti già visti.

Stile: da stilus, asticella di legno, osso o metallo, appuntito da un lato per incidere una
tavoletta, piatto dall’altro per ripulire la tavoletta e poter riscrivere. Il termine diventa
coestensivo di scrittura, nel senso di modo di esprimersi (letterarietà). In seguito, si
affermano due sensi ulteriori. a) Stile in senso normativo (è l’accezione più antica): stile
come aderenza alle prescrizioni (codificate nel medioevo nella Rota Vergilii). b) Stile come
modo di esprimersi personale, anche e soprattutto contro le prescrizioni.

Stile, originalità e semiotica:


Sebbene di solito si identificano i primordi del secondo senso di stile con il manierismo, in
realtà, dice Eco, la prima attestazione la troviamo nella Ricerca intorno alla natura dello
stile di Cesare Beccaria (1821); poi con le teorie organicistiche dell’arte e in definitiva con
l’affermarsi del romanticismo. In generale, quest’idea dello stile non ha, e non vuole avere,
solide radici. Al contrario, lo scopo è guardare al concetto di stile come a qualcosa di
ineffabile. In sostanza, lo stile sarebbe proprio quella cosa di cui non si possono dare le
regole, tutto a carico del genio individuale, inspiegabile e insondabile.

Se ci sono strutture di senso possono essere indagate nel modo in cui si producono, la
modalità si deve poter spiegare non in senso delle scienze naturali ma nel senso della sua
genesi.

Come sappiamo, la semiotica non può guardare con simpatia agli appelli all’ineffabilità.
Per la semiotica, si tratta soltanto di rinunce teoriche, poiché si fa semiotica solo se si è
persuasi che esistano meccanismi di significazione. Processi e sistemi, in rapporto
magari instabile e difficile da definire, ma sempre individuabili almeno in generale.
Possiamo vedere in che modo a partire da un sistema di significazione possiamo avere
dei processi di significazione. Per la semiotica, lo stile è un certo modo, irripetibile, così
com’è non lo vedremo da nessun’altra parte, di produrre o sfruttare significazione.

Lo stile è un modo individuale di sfruttare i sistemi di significazione e cambiarli, in modo


che possano avere anche un effetto retroattivo sul sistema stesso.

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Semiologi ante-litteram:
Ci sono stati diversi autori (non solo teorici, anzi) che hanno abbordato il concetto di stile
da un punto di vista semiotico. Non solo nell’ultimo secolo, come vedremo.

Due grandi esempi sono Flaubert e Proust (di quest’ultimo, potete leggere con sicuro
interesse i saggi contenuti in Contre Sainte-Beuve). Per entrambi, lo stile è certamente
irripetibile, ma non ineffabile. Per esempio, Proust ci dice che l’uso dei tempi verbali di
Flaubert contribuisce a modificare il nostro modo di vedere le cose allo stesso titolo della
«rivoluzione copernicana» di Kant; ha lo stesso ruolo di un filosofo perché ci fa vedere le
cose in modo diverso. Si tratta di tecniche impiegate per uno scopo – non sempre
consapevole, d’accordo, ma comunque orientato al raggiungimento di un effetto. Autore
spesso non è consapevole mentre Flaubert lo era. Logistica: studio e impiego delle
risorse per un obiettivo (in questo senso, è esemplare la Filosofia della composizione di
Poe. Breve testo sul Corvo, lo trovate on-line).

Proust teorico dello stile:


Come tutti sappiamo, Stendhal scriveva piuttosto male (prosa molto sciatta; vi invito a
contare quanti eccetera e termini generici compaiono nel Rosso e il Nero). Proust lo
riconosce; tuttavia, ci dice chiaro e tondo che uno stile in Stendhal c’è, e senza dubbi. Nel
dir questo, Proust fa riferimento alla struttura dei suoi romanzi, al prodotto dovuto al
modo di formare la materia che è, secondo Pareyson (maestro di Eco), l’oggetto
dell’estetica. Per essere più precisi, per Pareyson l’estetica si occupa del fare degli artisti,
ossia il trovare il modo di formare mentre si forma. Lo stile sarebbe proprio questo: il
modo personale e certo irripetibile di trovare il modo di fare mentre si fa. Ciò sposta
l’attenzione su tutti gli aspetti della composizione, non soltanto sulle deviazioni dalla
norma o gli elementi «decorativi». Lo stile sarebbe dunque quel modo di veicolare o
dar forma al senso che l’autore, nell’opera singola e in tutte le sue opere, ha
inventato (trovato). (E vedete che espressione e contenuto sono comode astrazioni; in
realtà, si tratta di un tutt’uno). [esempio di Proust: luoghi elevati nelle opere di Stendhal].

Stile, autore modello, semiotica del testo:


Vedete a questo punto quanto lo stile cominci ad assomigliare all’Autore Modello. Si tratta
proprio delle strategie testuali trovate dall’autore empirico per ottenere un certo tipo di
lettura, un certo tipo di ricezione. In sostanza, strategie per ottenere un effetto. Studiare le
strutture testuali significa anche studiare lo stile di un autore. Lo stile si manifesta nel
modo in cui è organizzata la sostanza significante dalla forma imposta dall’autore.
L’eventuale giudizio di valore sarà allora funzione dell’analisi testuale. Io faccio un’analisi
testuale e sulla base del modo che ho individuato posso fare un giudizio di valore.

La semiotica cerca sempre di capire e di individuare le strategie testuali che hanno


reso possibile queste sensazioni rendendo conto che l’opera è il parametro di tutte
le interpretazioni possibili. Il punto è chiedersi come fa un’interpretazione a essere più
legittima e come faccio a scartare e a individuare quelle illegittime?

Eco: «ritengo si debbano affermare due cose: una, che una semiotica delle arti altro non
sia che una ricerca e messa a nudo delle macchinazioni dello stile; due, che la semiotica
rappresenti la forma superiore della stilistica, e il modello supremo di ogni critica d’arte».

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Quando si fa analisi testuale coerente e con attenzione allora sto facendo
semiotica.
Stile e caratteri estetici:
A questo punto alle considerazioni di Eco possiamo aggiungere la valutazione di
ambiguità e autoriflessività. Lancioni aggiunge: «non solo i messaggi possono essere
costruiti in modo tale da richiamare l'attenzione su sé stessi, come vuole la celebre
definizione jakobsoniana della funzione poetica del linguaggio, ma anche che ogni testo
deve esibire le regole dei sistemi e dei processi immanenti che lo governano. Come
rilevava già Nelson Goodman (1968), ogni enunciato costruito ed espresso in un dato
sistema costituisce anche un'esemplificazione di quel sistema stesso, e ne esibisce le
proprietà. Così ogni sistema semiotico, mentre viene usato per ‘parlare’ di qualcosa di
diverso da sé, ci parla inevitabilmente anche di se stesso».

Hofstaedter: Tre livelli di informazione sempre presenti in tutti i testi. Messaggio quadro:
dice che il messaggio è appunto un messaggio. Messaggio interno: il senso del testo, in
termini basilari. Messaggio esterno: informazioni circa la «lingua» in cui il messaggio è
formulato. Lancioni: «Se i testi poetici fossero davvero completamente ambigui, di fronte
ad essi potremmo disporre solo del messaggio quadro e ipotizzare che contengano
anche un messaggio interno, che sarebbe però irraggiungibile in quanto mancherebbe
l'anello di congiunzione, il messaggio esterno, dal quale dipende la comprensione della
‘lingua’ in cui è costruito il testo in questione».

Cos’è dunque la critica?


In primo luogo bisogna fare ordine. Sulle opere si possono fare molti tipi di discorsi. C’è
stata e c’è una critica morale; c’è una storia delle idee che tratta le opere come
documenti; ci può essere un interesse etnografico; e così via. Ma tutti questi discorsi
sono successivi, per così dire, al discorso critico; se non altro perché è il discorso critico
che «rende visibili» le opere. Esso consiste in un discorso tecnico che ci illumina su
com’è fatta e su cosa dice un’opera. La critica in senso proprio si articola poi in tre
modi: recensione, storia letteraria (o dell’arte), critica del testo.

Recensione:
Ha funzione informativa e diagnostico-fiduciaria, perché dà notizie su un’opera che si
conosce ancora poco, e perché formula un giudizio del quale, per il momento, i lettori
dovranno fidarsi. È limitata nello spazio e nel tempo, perché esce a ridosso dell’opera in
questione e deve essere breve. Può anche abbozzare un principio di analisi, ma non ha
agio di svilupparlo. Pertanto, è una sorta di punto di vista autorevole su un’opera
sconosciuta. (Ma pensate a quel che è successo con l’avvento di Internet).

Storia letteraria:
Anche questo modo critico non può parlare diffusamente delle opere. In genere, si tratta
di un discorso su opere note che il lettore dovrebbe conoscere (o sulle quali dovrebbe poi
informarsi). Due approcci possibili, per entrambi i modi. Artifex additus artifici: ossia
artista aggiunto all’artista per esempio come se il critico fosse una sorta di autore che
ingaggia una sua personale «competizione» con l’artista. In questo caso il critico non ci
spiega l’opera, ma «ci rende il diario delle proprie emozioni nel corso dalla lettura,
inconsciamente (nel caso della critica letteraria succede spesso) cerca di superare in
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bravura l'oggetto della sua umile dedizione». Philosophus additus artifici: Ossia filosofo
aggiunto all’artista. Il critico cerca di spiegarci come è fatta l’opera e perché è bella. Ma:
nella recensione non ha abbastanza spazio, nella storia letteraria deve restare sul
generale.

Critica del testo e semiotica:


Il critico deve fare come se nessuno conoscesse l’opera in questione e analizzarla per far
scoprire com’è fatta ed eventualmente perché è bella (spesso si tratta di un giudizio
implicito). Per Eco, «questa critica non può che essere che una analisi semiotica del testo.
Dunque, se fare vera critica è capire e far capire come un testo è fatto, e se la recensione
e la storia letteraria, in quanto tali, non possono farlo in misura completa, l'una per difetto
e l'altra per eccesso di materia, la sola vera forma di critica è una lettura semiotica del
testo. Una lettura semiotica del testo ha della vera critica (che deve portare a capire
il testo in tutti i suoi aspetti e le sue possibilità) la qualità che di solito e fatalmente
manca alla critica recensoria e alla critica storica: essa non prescrive i modi del piacere
del testo, essa ci mostra il testo come sorgente, non come foce».

Scopi e vantaggi della critica semiotica:


Eco: «La critica testuale, che è sempre semiotica anche quando non sa, o nega di
esserlo, invece assolve a quella funzione che già era stata mirabilmente descritta da
Hume ne La regola del gusto, citando un passo del Don Chisciotte: ‘Due miei parenti
furono chiamati una volta a dire la loro opinione su una botte che si supponeva
eccellente, perché era vecchia, e di ottima uva. Uno di loro assaggia, ci pensa sopra: e
dopo matura riflessione decide che il vino sarebbe stato buono, se non fosse per quel
leggero sapore di cuoio che egli vi sentiva. L'altro, dopo aver usato le stesse cautele,
emette anche lui il suo verdetto in favore del vino, ma con riserva, per un certo sapore di
ferro, che riusciva a distinguervi nettamente. Non potete immaginarvi quanto essi fossero
presi in giro per il loro giudizio. Ma chi rise per ultimo? Vuotando la botte, sul fondo vi si
trovò una vecchia chiave a cui era attaccata una striscia di cuoio’. Ecco, la vera critica è
quella che ride per ultima, perché lascia a ciascuno il proprio piacere, ma di tutti
mostra la ragione».
Gli eccessi della critica testuale:
1) Confondere teoria semiotica della letteratura (o arte) e critica semioticamente orientata.
Accade quando il critico non mette bene in chiaro se usa il testo come pretesto per
affinare la teoria, o usa la teoria per capire meglio il testo. Il risultato è, nella migliore delle
ipotesi, un’informe accozzaglia.

2) Far emergere dall’analisi del testo la teoria, invece di avere l'arte di celare l'arte, e far
venir fuori direttamente il testo con le sue specificità. Se si infarcisce l’analisi di termini
tecnici oscurando il testo, il lettore si sentirà giustamente respinto.

3) Insistere sulle invarianti presenti in tutti i testi, invece di mostrare come esse sono
messe in gioco dal testo e come si combinano con le variabili. Analizzare un testo per
ritrovare, per esempio, le fasi dello schema narrativo canonico è stupido; vedere come
queste fasi sono dilazionate, omesse, messe in gioco può essere utile

per una migliore comprensione del testo.

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4) Confondere stile e maniera. Usare degli strumenti teorico-analitici «neutri», per così
dire, ci può render ciechi alla «qualità». Ogni testo corre il rischio di essere «nobilitato» dal
metodo. Invece, proprio gli strumenti semiotici possono aiutarci a distinguere.

Esempio:
Eco: «Se è giusto che la teoria letteraria scopra delle invarianti in testi diversi, quando il
critico applica la teoria non deve limitarsi a ritrovare in ogni testo le stesse invarianti
(facendo il che non va al di là del lavoro del teorico), ma caso mai deve partire dalla
consapevolezza delle invarianti per vedere come il testo le mette in questione, le fa
giocare tra loro, e ricopre lo scheletro di pelle e muscoli diversi caso per caso. Il dramma
del non-voler-sapere di Edipo (in Sofocle) non è dato da questa struttura modale (che si
ritrova anche nella pochade in cui la moglie tradita dice all'amica pettegola «per favore,
non dirmelo»), ma dalla strategia attraverso la quale la rivelazione viene dilazionata, dalla
posta in gioco (parricidio ed incesto, contro un banale tradimento coniugale), e dalla
superficie discorsiva. E dunque quel che conta, caso mai, è il modo originale in cui si
fanno interagire invarianti multiple, a un livello che la teoria non potrà mai ritrovare,
realizzato con la stessa irripetibile cifra, in altre opere».

Non di sola semiotica si eccede:


Gli eccessi degli artifices additi artefici, con le parole di Eco: Essi «ci raccontano in ogni
opera il diario dei loro languori di lettore, tanto che una pagina dedicata all’ autore A,
ripubblicata per sbaglio nel libro dedicato all'autore B, passerebbe inosservata e al proto
e al recensore». Ciò «mostra quanto essi, così orgasmici a parole, siano pochissimo
libertini, e monotamente monogami, dato che in ogni amplesso critico altro non fanno che
fare all'amore che con se stessi». Gli «artisti aggiunti all’artista» ci informano solo su loro
stessi; ci dicono solo delle proprie reazioni. Il come e il perché ci sfuggono. Il che non è
fare critica, ma dare libero sfogo verbale alle proprie emozioni. Questo interessa alle
persone care e agli psicanalisti, non ai lettori interessati a un artista.

I rischi: sentite la passione di Eco:


«ci ripetono che chi conosce la fotosintesi clorofilliana sarà per tutta la vita insensibile alla
bellezza di una foglia, che chi sa qualcosa della circolazione del sangue non saprà più far
palpitare d'amore il suo cuore. E questo è falso, e bisognerà dirlo e ridirlo ad alta voce.
Qui si sta combattendo una battaglia campale tra chi ama un testo e chi vuole fare in
fretta». Analizzare un testo richiede pazienza; e senza una teoria solida, le nostre
riflessioni intorno a un testo non sono falsificabili. Le nostre libere emozioni davanti a un
testo sono importanti per noi, ma non sono confrontabili. Su queste basi non si fa
«scienza», non si portano contributi alla conoscenza.

Riassumendo:
• Lo stile è quel modo peculiare in cui un artista, rinvenibile in una o più opere, organizza
la sua materia, da tutti i punti di vista.

• Ciò significa che il concetto di stile si confonde con le strategie testuali messe in opera
dall’artista. Le strategie testuali sono l’organizzazione formale del piano espressivo per
veicolare uno o più contenuti; lo stile non si limita a una deviazione dalle norme
espressive, ma coinvolge l’intera funzione segnica. Quando analizzate il testo di un
artista, state facendo semiotica dello stile.

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• Fare critica vuol dire spiegare il come, e se si riesce il perché, un’opera è fatta
come è fatta in vista di un effetto.
• Non è affatto vero che «smontare» un testo sia precludersi il piacere che esso può
provocare. Certo, ci sono eccessi da evitare.

21.05.2020
Il modello di Eco non ha una scansione, non c’è il modello. C’era quel modello e come
entrarci e cosa considerare è faccenda dell’analista. La cosa diversa con Greymas è che
si tiene conto di tutto.

Il modello di Eco consente in apparenza un maggior spazio di manovra ma dipende da


che cosa voglio rendere pertinente.

Ci occupiamo di abduzione in senso progettuale vedendo due testi (Proni e Zingale)


secondo Zingale l’abduzione guardando il futuro entra in gioco nei modi come regola,
come modello o come forma di…

Non è un problema seguire l’una o l’altra, a seconda del fenomeno che devo spiegare
seguo quello che funziona.

Il fatto di passare dal concetto di concetto è a mezza via e mi fa vedere come si ragiona
per analogia, le cose nuove le scopriamo perché la colleghiamo per analogia, è per
questo che si scopre qualcosa di nuovo. Non si crea nulla ma si fa bricolage con quello
che già abbiamo.

Inventiva. Abduzione e progetto.


y=2x prima di individuare la relazione x e y sono indeterminati, nel momento in cui
imponiamo la relazione allora sappiamo che per ogni valore della y il valore della x va
moltiplicato per 2. Nel mondo delle quantità non esiste questo tipo di relazione ma è reale
perché ha effetti, è operante nella realtà. Il semiotico è il regno delle relazioni, delle
relazioni significanti. Espressione e contenuto sono indeterminati prima che si stabilisca
una relazione.

Ci si occupa di un piano immanente perché sta alla base, non ha una realtà nel mondo
delle quantità ma sta alla base come fosse un terzo regno. Non solo immanente ma
trascendentale.

Relazioni significanti e ogni elemento non esiste è indeterminato e si determina quando si


individua una relazione tra i due elementi e questo vale anche per la personalità.

Tutti profeti:
Una delle attività che occupa buona parte del nostro tempo è la previsione del futuro, et
pour cause. Si tratta di una necessità adattiva. Siamo sempre tesi a immaginare scenari
possibili e a programmare i nostri comportamenti in vista di un obiettivo.

Io posso valutare il mio comportamento in futuro grazie ai mezzi a mia disposizione.

Naturalmente, esistono previsioni condizionabili e incondizionabili. Nel primo caso, le


nostre azioni hanno un impatto sulle previsioni, le nostre azioni condizionano e possono
influenzare il futuro mentre per le previsioni incondizionabili posso prevedere ma non
cambia nulla.

Nell’adottare delle strategie, usiamo segni indicali (cioè che hanno una relazione
direttamente causale con il futuro), e segni simbolici (azioni comunicative, sulla base di
regolarità).

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Es. indicale: piantare un albero, in questa maniera incido in termini causali sul fatto che
nel futuro ci sarà un albero.

Es. simbolico: lotta alla produzione di gas serra, metto in atto una serie di azioni
comunicative. Influenzo il comportamento mio e altrui perché da solo non ce la posso
fare. (happening, discorsi, studi).

Previsioni come produzione di eventi:


Proni: «Il progetto produce un evento. L’oggetto o gli oggetti ne sono una componente.
Anche un grattacielo è infatti un evento: l’esistenza e il flusso d’usi dell’edificio (l’oggetto)
nel tempo. Se il progetto riguarda un evento nel senso comune del termine (es.: un’azione
di comunicazione) esso comprenderà degli oggetti (es.: i supporti materiali dei testi). Da
questo punto di vista progettare una coreografia e progettare una set di posate è la
stessa cosa: nel primo caso si progetta una danza, nel secondo un modo di mangiare a
tavola».

Il progetto non è un oggetto ma un processo, l’azione progettuale.


La semiotica del progetto:
La semiotica si occupa anche dei processi logico-cognitivi che consentono di produrre
conoscenza da conoscenza (segni da segni). La conoscenza che produciamo è
raramente certa; e anche in questo caso, è sempre rivedibile. Per lo più produciamo
conoscenza incerta, ossia formuliamo giudizi fallibili. Nel farlo, immaginiamo cosa sia
ragionevolmente concepibile a partire da una condizione data. Immaginiamo come le
cose devono essere sulla base di un nostro desiderio o interesse. Un abito acquisito, il
modo in cui operiamo davanti alla tela è un abito. Quello che facciamo anche se il
progetto non viene messo su carta sono delle linee guida che aiutano alla realizzazione.

L’osservazione astrattiva:
Proni: «L’osservazione astrattiva non è altro che il processo progettuale interno, naturale e
ingenuo, attraverso il quale un soggetto, sulla base di un desiderio, costruisce un modello
semiotico (mentale o testuale non fa differenza in termini logici) dell’obiettivo che intende
raggiungere, di sé stesso e dei cambiamenti che dovrebbe attuare per raggiungerlo.
Confronta in sostanza il proprio desiderio con l’azione necessaria a realizzarlo. Non è
questo il senso fondamentale del progetto?» L’osservazione astrattiva è proprio la
prefigurazione e l’osservazione di uno schema generale che illustra quali modificazioni
devono intervenire, in se stessi e nel mondo circostante, perché un obbiettivo possa
essere raggiunto. (icona). Non deve essere prodotto per forza consciamente, può essere
sempre riportato o ricostruito alla nostra attenzione. Cerco di agire su questa icona per
vedere i risultati delle possibile modificazioni.

Il progettare come processo semiotico:


Proni: «Ogni input cognitivo che entra nel sistema nervoso centrale (dall’interno del corpo
o dall’ambiente esterno), ed ogni pensiero cosciente, si sviluppano, in rapporto allo stato
complessivo del sistema, in una prospettiva di risposta, cognitiva o pratica, espressa da
Peirce con il concetto di abito. [...] La rappresentazione (o triangolo del segno), che è lo
schema di ogni atto cognitivo, dalla percezione al pensiero più complesso, è un processo
che produce interpretanti, vale a dire schemi di risposta proiettati nel futuro. Peirce rifiuta
esplicitamente il comportamentismo, in quanto la produzione del senso non è la risposta
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effettiva ma la modificazione adattiva del sistema cognitivo.» Quindi l’abito è un
disposizione ad agire.

Di nuovo sull’abduzione:
Formiamo abiti per via di interpretazioni. Otteniamo nuove interpretazioni per via di
inferenze: le abduzioni. Sembra quindi piuttosto ovvio che le abduzioni siano al centro
dell’attività progettante. Il progetto è il frutto di un’attività logico-cognitiva che cerca
nuove regolarità, nuove disposizioni ad agire. Quindi progettare sarà un’attività per lo più
abduttiva.

Caratteri dell’abduzione:
1) È spesso inconsapevole. Difatti, la maggior parte delle nostre operazioni logiche sono
abduzioni, della maggior parte non ci rendiamo nemmeno conto. Tuttavia, è sempre
possibile sottoporle ad autocontrollo, o ricostruirle a posteriori.

2) È frutto di un’inquietudine, in senso generale. Si tratta dell’irritazione del dubbio che


abbiamo visto. Ogni abduzione è sollecitata da un fatto sorprendente; in sostanza, da un
problema.

Tra passato e futuro:


L’abduzione viene definita come la scoperta di un antecedente possibile a partire dalla
considerazione di un conseguente (ricordate gli esempi?). Quindi dal presente al passato.
Cosa c’entra allora con il futuro? Il punto è che l’abduzione, in generale, consiste nel
passaggio dal ciò che è il caso (attuale) a ciò che è possibile; quindi non incorpora un
rapporto temporale determinato. Il conseguente è ciò che ora mi spinge all’indagine*;
l’antecedente ciò che è possibile (nel passato o nel futuro). Peirce: «dire che il futuro non
influisce sul presente è una teoria insostenibile. È come dire che non ci sono cause finali,
o fini. Il mondo organico è pieno di smentite di questa affermazione. L’azione determinata
dalla causa finale costituisce infatti l’evoluzione».

* Ma vedremo che si tratta della considerazione degli effetti.

Tuttavia, l’influenza del passato sul presente non funziona allo stesso modo dell’influenza
del futuro sul presente. La prima è un’influenza diadica, diretta; la seconda è indiretta,
passa attraverso una mediazione. L’idea del futuro influenza le azioni del presente
attraverso la progettazione.

Un movimento oscillante:
Verso il passato: retroduzione. Presunzione: ipotesi e fiducia in se

stessi. Verso il futuro: abduzione proiettiva.

Sfida e responsabilità.

Esempio: Biro - mente preparata.

Schema dell’abduzione proiettiva:


Massima pragmatica e progettualità:
«Consideriamo quali effetti, che possano avere concepibilmente conseguenze pratiche,
pensiamo abbia l’oggetto della nostra concezione. Allora la nostra concezione di questi
effetti è l’intera nostra concezione dell’oggetto».

1) Nella concezione è già incorporata la progettualità. E la realizzazione di un progetto ha


sempre un ruolo sociale.

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2) L’abduzione è implicata dalla massima pragmatica. È infatti la considerazione degli
effetti di un oggetto (conseguente), e delle loro conseguenze pratiche, che ci porta alla
totalità della concezione dell’oggetto (antecedente).

3) Apertura interpretativa: ogni oggetto della nostra concezione ne prevede e ne prepara


altri, perché cambia le cose. Si tratta di immaginare come sarà il mondo dopo aver
realizzato l’opera.

Il punto di origine dell’abduzione:


1) L’abduzione muove dal fatto sorprendente o problematico;

2) Ma perché lo interpreta come possibilità, colta sotto il profilo di una o più qualità.

Zingale: «Cézanne dipinse decine di volte la montagna Sainte-Victoire, da diverse


posizioni e in diverse condizioni atmosferiche. "Ho bisogno di conoscere la geologia,
come la Sainte-Victoire si radica - diceva al poeta e critico d'arte Joachim Gasquet -, il
colore geologico delle terra, tutto ciò mi commuove, mi rende migliore" (Doran 1978:
L24). Senza l'interesse per queste due qualità - morfologia e colore -, forse non avremmo
avuto gran parte della pittura di Cézanne». Il che mostra come il fatto problematico può
essere anche un fatto mancante.

Un, due e tre:


Primità, secondità, terzità. Fabbrichesi: «La prima designa la qualità del feeling nella sua
immediatezza percettiva, senza riferimento a null’altro – un semplice e irrelato carattere
positivo, puramente possibile, autosufficiente, destinato ad essere falsato da ogni
descrizione; la seconda indica invece l’elemento relazionale o reattivo, il rapporto che
pone diadicamente una contro l’altra due qualità – il bruto hic et nunc dell’accadere dei
fatti, la loro cieca opposizione e persistenza di contro a tutto il resto. Infine, la terza
categoria qualificherà la mediazione interpretativa che collega un Primo e un Secondo.
Cioè la semanticità del pensiero, la normatività degli abiti di risposta, la luce illuminante
dei riconoscimenti. Essa sola è general, legge e a pieno titolo rappresentazione. Solo per
essa Primità e Secondità hanno un senso. Primi e Secondi sono rintracciabili solo nei
Terzi, che per altro non potrebbero sussistere se non mediando l’astratta irrazionalità dei
Primi e la bruta fattualità dei Secondi, nelle forme di una generale intellegibilità.».
L’oggetto problema e la semiosi proiettiva:
Artefatto interpretante (realtà possibile). All’inizio la progettiamo poi avremmo un artefatto
reale.

Cos’è un modello?
La conoscenza si serve di modelli. Tuttavia, «modello» conosce molteplici interpretanti:
teoria, immagine, procedura, schema, archetipo, e una varietà di contesti d’uso.

Ma esplorando tutte le possibili accezioni, si trovano due costanti:

1) Un modello è necessariamente astratto; esso riproduce soltanto le relazioni necessarie


e pertinenti, escludendo molte determinazioni concrete.

2) Un modello può giocare due ruoli, a volte intesi come alternativi: uno ausiliare, per
illustrare e comunicare una teoria; uno essenziale, per consentire lo sviluppo delle teorie.

Euristica:
Euristico: procedimento non rigoroso che consente di prevedere un risultato.

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Un modello ha sempre (e soltanto) un ruolo euristico. Zingale: «per modello si può
intendere tanto un’immagine in cui una teoria si rispecchia e che viene utilizzata come
supporto alla spiegazione e alla dimostrazione, quanto un’immagine a partire dalla quale
invece una teoria si genera e sviluppa, come un atto di visione e immaginazione che
mette in moto il processo conoscitivo. Come l’Oggetto dinamico nella semiosi di Peirce».

Modelli e analogia:
Zingale: «Nell’uno o nell’altro caso, alla base di ogni modello sta la nostra inclinazione a
pensare per analogia : «Quando si tratta di esplorare un dominio sconosciuto, di suggerire
l’idea di ciò che è inconoscibile, un modello preso da un dominio conosciuto fornisce uno
strumento indispensabile per guidare la ricerca e l’immaginazione» (Perelman, 1977: 525).
Questo prendere un modello da è il ragionare e argomentare per analogia». L’analogia è,
da un punto di vista logico, una brutta bestia. Le discussioni sono state e sono infinite. In
ogni caso, l’analogia funziona grazie al procedimento di associazione.

Analogia e associazione:
Lessicale: L’associazione a livello lessicale, che avviene mediante il prestito di termini
propri di altre discipline o ambiti semantici. Un esempio ben noto (non l’unico) è l’uso dei
termini di origine cibernetica e linguistica come codice, memoria, programma, scambio di
informazioni fatti propri dalla biologia molecolare. Dal canto suo, la linguistica ha adottato
il termine struttura dall’architettura.

Iconica: L’associazione a livello iconico avviene attraverso l’uso di immagini note utilizzate
come esempio o illustrazione di altre situazioni non ancora ben definite. In questo caso
l’associazione procede per somiglianza tra forme. Cartesio definì il moto dei pianeti come
analogo a quello delle pagliuzze intrappolate in un mulinello d’acqua in un fiume.
Christiaan Huygens sviluppò la teoria ondulatoria della luce in analogia alla teoria
ondulatoria del suono.

La struttura dell’analogia:
Analogia significa proporzione: a : b = c : d (simmetria)

Tuttavia, l’aspetto interessante dell’analogia è che accosta domini lontani tra loro,
permettendoci di scoprire o tematizzare somiglianze tra cose diverse. «come, infatti, gli
occhi dei pipistrelli si comportano di fronte alla luce del giorno, così anche la parte
intellettiva della nostra anima si comporta di fronte alle cose che, per natura, sono della
massima evidenza» (Aristotele, Metafisica, 1. II, 993b).

intelletto umano : evidenza. = occhi dei pipistrelli : luce del giorno (asimmetria)

tema foro

dominio sconosciuto dominio conosciuto

Quando dobbiamo creare qualcosa usiamo praticamente sempre dei processi analogici.
Se riflettiamo sul nostro modo inconscio di operare ci sono dei processi analogici alla
base e al’abduzione è passare da una forma di relazione ad un’altra.

Un modello e un’icona:
Quello che il modello, fondato sull’analogia, mette in gioco è una somiglianza di relazioni;
Peirce diceva «mode of relations». Un’icona quindi non è tale perché «assomiglia»
intuitivamente al suo oggetto, ma perché riproduce o ha in comune una struttura di
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relazioni. Se traduco in un istogramma le stature di tutti i membri della nostra classe,
ottengo qualcosa del genere:

Questa sarà un’icona delle nostre classe, sotto l’aspetto della statura. L’icona, tra l’altro,
mostrando permette di operare, di manipolare e immaginare varianti. Se tre persone
fossero più alte di 5 cm che cosa succederebbe? Ciò accade inconsciamente quando
pensiamo a qualcosa.

Modelli, analogia, semiotica.


Zingale: «L’analogia, quindi, è pensabile come un gioco semiotico in cui un dominio viene
assunto come segno interpretante di un altro dominio, attraverso un’inferenza. È questo
gioco fra tema e foro ciò che distingue l’analogia dalla somiglianza o dall’illustrazione,
così come dalla figura dell’esempio. Ciò che nell’analogia è oggetto di comparazione non
è infatti la natura dei singoli elementi, ma la loro azione all’interno di una relazione
semiotica – si potrebbe dire: la loro posizione attanziale. Non si pongono in relazione gli
occhi del pipistrello con l’intelletto, ma il loro comune comportamento rispetto a ciò che li
può abbagliare».

Pragmatica dell’analogia:
Per mettere in contatto tema e foro, insomma per costruire un modello, abbiamo
naturalmente bisogno di uno scopo. Si tratta di selezionare gli elementi pertinenti:
pertinentizzare, dice la semiotica. Ossia, selezionare un Ground.

Terra : esseri umani (terrestri) = Marte : x. Ecco perché i marziani. Tuttavia, non tutto si
può porre in analogia. Zingale: «gli elementi che entrano in gioco devono poter comporre,
insieme, una sorta di sistema semantico ad hoc (dove un elemento acquista senso e
valore sia per le sue specifiche proprietà ma sia, anche, per la posizione che occupa in
relazione agli altri elementi). Se questo sistema non si forma, allora l’analogia risulta
impossibile, o forzata, e gira “a vuoto”».

Campanile: Gli asparagi e l’immortalità dell’anima.

Ma «non importa quanto semanticamente vicini o lontani siano i due domini prima
dell’analogia, ma quanto vicine risulteranno le loro rispettive funzioni dopo che l’analogia
è stata posta. È l’avvicinamento a produrre la sorpresa, la scoperta, l’emergere di un’idea.
Ed è per questa ragione che l’analogia produce modelli. Nel senso che una cosa diventa
matrice e guida per l’esistenza di un’altra».

Ogni analogia ha una componente positiva, una negativa, e una neutra. Se una volta
posta l’analogia la componente positiva è troppo povera, probabilmente l’analogia è
azzardata e inservibile; se una volta posta neutra è ricca, allora l’analogia è produttiva.

Zingale: «nell’analogia fra le molecole gassose e le palle da biliardo [...] l’analogia positiva

sono le proprietà in comune e in quanto tali selezionate (moto e urto), l’analogia negativa
tutte le altre proprietà, quelle che vengono scartate come non pertinenti (in questo caso,
ad esempio, la dimensione). Ma questo non basta. Ciò che rende ricca un’analogia, e di
conseguenza un modello, è il fatto che al momento della comparazione noi non
conosciamo tutte le proprietà dei due domini, e soprattutto possiamo non sapere se le
proprietà conosciute rappresentino un’analogia positiva o negativa. Questo terzo insieme
di proprietà non conosciute o non valutabili viene chiamato analogia neutra».

Pragmatica dell’analogia e immaginazione artistica:


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«è l’analogia neutra che alimenta la nostra immaginazione, o la nostra coazione a
conoscere, o la nostra facoltà a costruire ipotesi. È l’analogia neutra che rende
diversamente significante il raglio di un asino, se messo in relazione al primo colpo di
archetto su di un violoncello, piuttosto che a un freno arrugginito. Non solo perché il
paragone può essere avvertito come logicamente coerente o esteticamente
soddisfacente, ma anche perché l’immagine data può generare ulteriori immagini: quali
altre meraviglie sonore sono contenute nel raglio dell’asino se accostate analogicamente
a quelle di un violoncello? Gran parte dell’immaginazione artistica scatta proprio da
questo “pozzo neutro”».

Il modello come motore dell’ipotesi:


Il modello inteso come rappresentazione euristica non rispecchia né schematizza una
realtà già data, ma la pone come possibile. Si tratta di un procedimento iconico-
abduttivo. Nelle rappresentazioni artistiche, il procedimento è lo stesso.

Provate a riflettere sulle vostre procedure nell’immaginare e poi progressivamente


realizzare, trovando on-line il modo di farlo, le vostre opere.

Funzione semiotica del modello:


Teoria - modello - realtà

Se la realtà corrisponde all’oggetto dinamico, Teoria e Modello non sappiamo a cosa


accostarli; chi è il representamen, chi l’interpretante? In verità, tra i due c’è tensione, a
seconda se usiamo il modello per illustrare la teoria (modello come representamen) o per
costruirne o ampliarne una (modello come interpretante).

In ogni caso, l’utilità del modello è farci vedere qualcosa di più, o di una realtà che
vogliamo conoscere, o di una realtà possibile cui puntiamo. Nel ruolo del modello, entità
di mezzo, riposa l’emersione di una teoria, anche solo implicita, anche nelle opere
artistiche.

Tre modalità semiotiche del modello:


Prefigurazione di un oggetto - rispecchiamento tra oggetti - tipo di oggetto.

Modello come Prefigurazione: è ciò che intendiamo quando parliamo di costruire un


modello: in questo caso il modello è una rappresentazione bidimensionale o
tridimensionale, ma anche mentale; è una costruzione ad hoc elaborata per fini euristici,
in qualsiasi campo della conoscenza, del progetto e della produzione.

Modello come Rispecchiamento: è ciò che intendiamo quando parliamo di prendere


qualcosa a modello: in questo caso il modello è un oggetto o evento disponibile nella
realtà empirica, o nella memoria, e nella cui configurazione si riconoscono proprietà
comuni a ciò che si cerca. Qui l’oggetto o evento A (noto) indica per analogia la via per
l’elaborazione dell’oggetto o evento B (non ancora noto).

Modello come Tipo: ciò che intendiamo quando parliamo di seguire un modello: in questo
caso il modello è uno schema originale-originario da copiare, applicare, eseguire, il type
di una serie qualsiasi.

Modello come Prefigurazione: viene espresso come icona (per somiglianza rispetto al
proprio oggetto o contenuto); ha la forma logica dell’abduzione (è una ipotesi, un’idea
ancora nascosta); a sua azione semantica è quella dell’evocazione (il suo significato è

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soggettivamente aperto, richiama altre visioni e stimola per associazione di idee nuove
immagini).

Modello come Rispecchiamento: viene espresso come indice (per contiguità fisica o
causale rispetto al proprio oggetto o contenuto); ha la forma dell’induzione (è una sintesi,
mette insieme); la sua azione semantica è quella della connotazione (il suo significato è
dato per accostamento ad altri significati e, quindi, come estensione di significati
precedenti). Modello come Tipo: viene espresso come simbolo (per convenzione più o
meno arbitraria rispetto al proprio oggetto o contenuto); ha la forma logica della
deduzione (è una tesi, fissa una posizione); la sua azione semantica è quella della
denotazione (il suo significato è stabilito per convenzione e definito come da dizionario).

Prefigurazione: un «modello» della vostra opera che immaginate come guida per levostre
azioni;

Rispecchiamento: Altre opere o stili da cui trarre «un modello» da lavorare rendendo
pertinenti alcuni aspetti.

Tipo: oggetti o persone (stili) assunti come «modello da seguire» nella vostra pratica
artistica;

Naturalmente, le tre modalità non si presentano mai pure. Chiedetevi cosa fate prima e
durante la realizzazione delle vostre opere; provate a renderlo esplicito.

Per i «non artisti», un modello è sempre e comunque necessario per impostare una
lezione, presentare delle opere d’arte, organizzare una mostra, eccetera. Si tratta di
operazioni logico-semiotiche onnipresenti; se ne diventate consapevoli, potrete sfruttarle
e orientarle meglio.

28.05.2020
Percorso generativo del senso:
Un’insieme di strutture e di operazioni che sono presupposte al testo manifestato. Un
greimasiano come si muove?

Quando guardiamo un testo scritto o un quadro ci troviamo dei personaggi, dei temi e
degli argomenti affrontati, dei tempi verbali, al presente al passato, degli spazi
rappresentati come un romanzo può essere ambientato nella Londra dell’800. Il
greimasiano dice che se queste cose io le vedo, presupposte ci sono delle cose più
astratte. Se io vedo un determinato personaggio che cerca di fare una cosa di compiere
una sua missione (Signore degli Anelli) Frodo è un personaggio ma perché egli possa fare
quello che cerca di fare ci deve esserci una struttura narrativa che è uno scheletro a livello
di astrazione maggiore che metta in scena delle funzioni sintattiche come gli attanti che
abbiamo visto. Affinché questo oggetto sia dotato di valore, questo valore da dove lo
prende? Li prende da alcune categorie profonde culturali che danno forma alla nostra
cultura come la categoria del bene e del male, della vita e della morte, della sessualità.
Quello che fa un greymasiano è andare a ritroso a cercare le strutture profonde sempre
più astratte. Il percorso è generativo ma non è genetico non si presuppone che l’attore in
carne ed ossa quando da vita a un’opera dia retta a questo schema: prima il livello
profondissimo dei valori culturali e delle categorie generalissime poi questi valori li mette
in una struttura narrativa profondissima e scheletrica come la sintassi attanziale ecc.

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Non si ragiona cosi. Un autore concreto parte da qualunque punto e poi il resto viene
convogliato nelle strutture che si manifestano.

Generativo perche i livelli più profondi e astratti possono generare i successivi e questi
più superficiali presuppongono i precedenti. Si tratta di un processo logico di
presupposizione. È costruito perché è necessario fare questo? È necessario dare un
principio di intelleggibilità ai sensi. Io capisco che c’è un senso quindi devo presupporre
che ci siano delle strutture più astratte che rendano possibile l’immersione di questo
senso.

È immanente in quanto virtuale, già compiuto e tutto è a disposizione. È tutto frutto di una
ricostruzione, quella dell’analista e del semiologo.

L’attitudine è simulacrale perché greymas dice che abbiamo bisogno di un modello che
funzioni e che sia coerente prima ancora che sia adeguato. I principi sono questi però in u
primo momento preferisco che la teoria sia coerente per poi aggiustarla mano a mano.
es. quando i greymasiani si sono confrontati con i quadri astratti rendendosi conto che
una struttura narrativa era impossibile da trovare elaborando di conseguenza le categorie
eidetiche, cromatiche e topologiche cercando opposizioni e relazioni che potessero
significare qualcosa.

Le categorie fondamentali della cultura secondo greymas sono cosi: c’è una coppia di
contrari che genera attraverso la negazione dei de termini maschile e femminile, una
coppia di subcontrari, maschile e femminile. Questo ci da la struttura di un QUADRATO.

I rapporti in verticale sono per Greymas i rapporti d’implicazione, ma non lo sono.

Se bianco - non nero: allora nero dovrebbe implicare bianco, ma non è così, implica tutto
fuorché nero. Secondo lui le culture ragionano cosi non in termini logici.

Le categorie si formano grazie a una coppia di contrari maschile e femminile, se si


prendono insieme abbiamo il termine “ermafrodita” se prendiamo le negazioni abbiamo il
termine “angelo”.

La categoria delle Ingiunzioni, importante per la nostra cultura stabilire cosa è consentito
e cosa no. I semafori funzionano cosi. Sistema semiotico ripreso come esempio perché
semplice. Un semaforo può interdire alcune operazioni o prescriverle. Abbiamo la cat.
Delle ingiunzioni - prescrizione (obbligo a fare) opposto a interdizione (obbligo a non fare).
Questo genera un’altra coppia tra le non-interdizioni e le non-prescrizioni.

Per esempio: il verde prescrive di passare quando c’è il verde dobbiamo passare, quando
c’è il rosso ci interdice ci viene detto di non fare una cosa ovvero passare. Il giallo può
significare non prescrizione quando succede il verde, sospende la prescrizione
precedente o non interdizione quando succede al rosso perché il giallo sospende
l’interdizione o addirittura nessun tipo di ingiunzione quando il giallo lampeggia.

Così funzionano tutte le categorie.

Categoria delle Relazioni amorose nella Francia degli anni ’60.

Ci sono le relazioni permesse che fanno parte della cultura e quelle escluse le quali sono
possibili ma considerare come non facenti parte della cultura.

Specularmente si genera la coppia di relazioni non matrimoniali (non prescritte)-adulterio


femminile- quelle normali sono tollerate non interdette - adulterio maschile. Gli amori

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coniugali sono prescritti e vanno bene, incesto e omosessualità sono interdette mentre
l’adulterio dell’uomo è non interdetto mentre l’adulterio della donna non è prescritto.

Si può partire da una relazione matrimoniale passare per una non prescritta poi si arriva a
una relazione non matrimoniale e poi scopre di essere attratta da qualcuno del proprio
sesso. Qui possiamo individuare dei valori. Cosa sta cercando questo personaggio?
L’affermazione della propria sessualità. Adesso che abbiamo questo valore possiamo
dare valore a un oggetto.

Vedo questo percorso nel testo e immagino la struttura di base, un soggetto che cerca di
congiungersi con il proprio oggetto di valore, in questo caso la propria sessualità
autentica. Fa un percorso per arrivarci. Egli cerca di congiungersi con l’oggetto di valore,
in questo percorso potrebbe avere degli aiutanti, degli opponenti. In questo caso è lei
stessa ad essere destinante di sé stessa e il destinatario potrebbe essere o lei stessa
felice di aver scoperto la propria natura o la società che la bolla alla condanna al carcere.
Il destinatario nella fase della sanzione potrebbe anche condannare quindi potrebbe non
finire bene come storia.

Questi valori vengono da questi livelli profondi. Se c’è questo valore circolante nella
narrazione deve essere nato da qualche parte, dalla cultura di riferimento in cui
condensano questi valori.

Il soggetto nel tentativo di congiungersi al suo oggetto di valore passa attraverso delle
fasi sempre presenti in tutte le strutture narrative.

Ci possono essere dei testi che le rendono molto complesse tanto da essere difficili da
trovare. Noi leggiamo o vediamo un testo e ne vediamo i personaggi in carne e ossa.
Questi comportamenti presuppongono una struttura narrativa di funzioni narrative e
sintattiche da riempire cioè la sintassi attanziale, valori che possono caratterizzare
l’oggetto in quanto di valore e possono muovere l’oggetto vengono ripresi dalle categorie
fondamentali della cultura.

Quando si parla di spazio eterotopico sono le fasi della manipolazione e della sanzione

Lo spazio topico riguarda la competenza (paratopico) e la performanza (utopico) in cui i


desideri si realizzano.

Queste strutture di cui abbiamo parlato cioè del livello profondo e del livello superficiale
devono poi essere chiamati da un’istanza dell’enunciazione per fare in modo che gli
atlanti diventino autori, il racconto deve mettere in scena del tempo, la spazializzazione in
quando devono avvenire in uno spazio concreto. Perché questo accada occorre un’gtana
dell’enunciazione che metta in scena e che dia carne allo scheletro che abbiamo visto.

L’enunciazione. Quando parlo e siamo in presenza l’istanza dell’enunciazione ricade sulla


mia persona, io sono presente quindi è sempre recuperabile, quando dico “io” intendo io
che sono presente qua.

Quando ho a che fare con un testo finito, un quadro, un’opera d’arte, qualunque cosa che
abbia un’inizio e una fine. Che cosa succede? Nel momento in cui ho a che fare con
questo testo l’istanza di enunciazione (in momento in cui è stato enunciato) non c’è più, è
perso. L’enunciazione di cui si parla è l’enunciazione enunciata quindi come è messa in
scena in un racconto. es. Cristoforo Colombo sbarcò in America il 12 ottobre del 1492.

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Chi ha scritto il libro non ha l’enunciazione, il momento in cui l’enunciato è avvenuto non
c’è più, è registrata sul testo. Nel momento in cui vedo questo enunciato mi rendo conto
che è narrato in terza persona ma mette in scena un luogo preciso in America e una data
precisa quindi un altro tempo. L’istanza di enunciazione è proprio un altro centro
personale e spazio-temporale.

Non c’è nessun riferimento alla situazione di enunciazione, succede sempre quando ho a
che fare con un testo già chiuso e prodotto che posso avere un DEBRAYAGE.

Ovvero l’istanza di enunciazione avrà espulso al di fuori di sé le figure dei tempi e degli
spazi altri rispetto al tempo in cui si provava, nel momento reale dell’enunciato.

Se il libro dicesse: io sbarcai in America nel 1492 ci sarebbe stato un debtayage iniziale
perché non è Cristoforo che parla ma un’altra persona installata a raccontare il fatto.

Mai confondere il narratore con l’autore in carne e ossa.

Quando ci si allontana dal centro enunciativo: io qui e ora. Ci può essere un debrayage
spaziale, a un altro tempo o a un’altra persona.

Ci possono essere dei meccanismi di innesco EMBRAYAGE (ritorno al centro enunciativo)


se ci sta raccontando una storia come Manzoni che mette delle sue opinioni nei testi facci
riferimento alla situazione di enunciazione. Riproduce un simulacro della condizione
enunciativa. Si tratta di dare l’illusione di un coinvolgimento.

L’enunciazione prende tutte le strutture le convoca e le mette in scena, producendo


un’enunciato e mettendo in scena luoghi e tempi. Facendo questo lascia delle marche
dell’enunciazione, delle tracce perché mette in scena dei personaggi con un possibile
simulacro di se stesso.

Poi c’è l’embrayage ovvero il ritorno all’istanza di enunciazione es. quando l’autore parla
al presente e torna all’enunciazione.

Analisi Bachelorette.
Divisione tra due spazi di riferimento la foresta che è naturale e la metropoli come
culturale che poi si articolano in figure concrete come la capanna e i negozi, i teatri.

Egli trova un’opposizione significativa.

Non si sono solo questi due spazi ma anche un’articolazione temporale. Spazi e tempi
interagiscono. Nel video si vede prima lo spazio naturale poi lo spazio metropolitano e di
conseguenza di nuovo lo spazio naturale in un tempo ulteriore.

Cronologia lineare degli spostamenti dell’attore in senso semiotico. È un personaggio che


fa questo percorso come le fiabe classiche che per realizzare se stessa e congiungersi
con l’oggetto di valore si sposta dal luogo in cui nasce e cresce a un altro ambiente in cui
potrà portare a compimento la sua performanza. Si possono integrare opposizioni e
percorsi rilevati con lo schema narrativo canonico. Lo spazio eterotopico è quello della
manipolazione e della sanzione avvengono nella foresta. La manipolazione avviene nella
foresta perché il destinante è il libro trovato dalla protagonista che le dice, scrivendosi,
quello che deve fare. Lo spazio topico è quella competenza (paratopico) -ferrovia- e
performanza (utopico).

Lo spazio eterotopico (foresta): la voce giustadiegetica viene da un personaggio, ma non


dall’interno della scena, è esterna. Il libro invita da alla protagonista un oggetto di valore,
le dice cosa fare facendole leggere in prima persona quello che deve fare. C’è uno

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scollamento tra scritto e visivo. Le prime 8 inquadrature sono solidali ma nella nona c’è
uno scarto ma poi viene recuperata la sincronia attraverso le parole scritte nel libro.
Queste vengono fare vedere molto rapidamente, video che richiede più visioni.
Dall’undicesima alla tredicesima c’è asimmetria, quello che viene detto non coincide con
lo spazio tempo. Si tratta di moltiplicazione dei livelli narrativi come vediamo lei comincia
a ripetere “i found a book in the ground and…” mentre il video va avanti. C’è un effetto di
messa in canone che dal punto di vista dei livelli si chiama “messa all’infinito”. Fin
dall’inizio l’attenzione è posta sulle strategie di messa in scena.

L’inquadratura 11 dove la lettura entra in scena è quella dove avviene per la prima volta la
scena del libro, è il culmine della fase di manipolazione. L’oggetto di valore è stato
consegnato e quindi ecco il personaggio che parte e lascia la foresta.

Da questo ambiente eterotopico il personaggio si sposta verso lo spazio topico. Inizia una
nuova sequenza marcata da un punto di sincronizzazione tra sonoro e visivo. Sintesi
suggerita dalla nuova sincronia di cambiamento spaziale. Il soggetto ha un oggetto di
valore e quindi si trasforma e diventa pienamente un oggetto.

La narrazione era sempre un passo avanti rispetto a quello che sta accadendo. Si
conferma l’idea che si devono moltiplicare le visioni.

Il viaggio in treno fa parte dello spazio paratopico perché contribuisce al completamento


della fase della competenza.

Si arriva allo spazio topico, siamo nella metropoli siamo ancora in bianco e nero. Siamo in
un passaggio quindi macchina a mano e macchina fissa si scambiano.

La scrittura si interrompe, la protagonista si orienta e entra nello studio del produttore. La


scrittura poi coincide con quello che succede.

Inizia il cantato e si tratta di Embrayage che comincia quando inizia a sentirsi la voce e si
compie pochi secondi dopo quando vediamo la protagonista cantare sul palco. Lei sta
prendendo il controllo dell’enunciazione. Prima la voce e poi il personaggio che dice “io”.

Si entra nello spazio utopico che è il teatro abbiamo una discontinuità enunciativa e una
stilistica, abbiamo il colore quindi una strategia di messa in scena della star nella storia.
Questo si rifletterà sul cantante che ha promosso e registrato il video.

Abbiamo un primo schermo - cantante sullo sfondo, secondo schermo -


rappresentazione della situazione iniziale della foresta - secondo sipario - scenografia
effettiva. Si aprono più livelli narrativa e di nuovo la storia comincia da capo.

Notiamo che la protagonista ha un costume ma su un suo vestito e questo marca lo


statuto attanziale ambiguo. Sono io e mi sto mettendo in scena come star. L’entità
dell’oggetto che è l’unica a evocare il diritto di dire “sono proprio io”. Il soggetto è sia il
soggetto del racconto che quello della storia la mia entità: sono io la ragazza che sta
diventando una star e sono io la protagonista dello spettacolo. La mia identità è contesa.

Sono la ragazza della foresta ma anche un personaggio pubblico.

Il prologo dello spettacolo con questi schermi che si moltiplicano è la messa in scena
della messa in scena e riproduce la duplicità enunciativa che abbiamo visto nel prologo
del libro. C’è un livello doppio si apre di nuovo lo spazio scena. La storia del libro è la
trasformazione di una ragazza in star che viene messa in scena più volte. L’unico
personaggio a non essere mai interpretato da un altro attore è la protagonista e questo

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rimarca che la trasformazione è duplice, riguarda la protagonista della storia ma riguarda
anche l’artista che sta interpretando il personaggio. Il videoclip di che cosa parla? Parla
della persona mediale di Bjork. È messo in scena nel testo. Questi aspetti non sono solo
elementi figurativi ma anche la struttura narrativa. Si promuove la figura di Bjork. Ci sono
gli spettatori che guardano lo spettacolo, ci sono poi altri spettatori che guardano lo
spettacolo. Tutte le figure della comunicazione sono moltiplicati. Ogni volta viene
mostrato il processo da capo ma anche il successo raggiunto con il pubblico rapito dal
libro.

Ci mostrano il litigio della realtà, discontinuità enunciativa che marca una discontinuità
narrativa. I debrayage agiscono come intercalazioni visive e narrative, con l’effetto di
produrre un’opposizione significativa. Metropoli VS teatro (finzione, colori, macchina
fissa). Dai punto di vista stilistico non è casuale. Lo stile riguarda le strategie testuali. Ogni
modifica sul piano dell’espressione ha delle modifiche sul piano del contenuto.

Libro = destinante da alla protagonista un dover fare, la manipolazione si conclude nella


foresta.

Competenza = ferrovia - città (il soggetto si dota del poter dare)

Performanza = teatro. Si complessifica e si annulla. Verso la fine i rampicanti, la foresta


invade lo spazio scenico distruggendo tutto, trasformando alcuni personaggi in piante. Il
libro si cancella. Avendo rotto, l’editore e la protagonista il libro si cancella. Il libro diceva
che lui sarebbe diventato importante e rompendo il contenuto il successo si vanifica. Si
scontrano essere e apparire. La natura invade tutto. - sanzione.

Giudizio finale = per la prima volta vediamo bachelorette nella natura ma a colori. I
movimenti del corpo vanno da terra al cielo.

Il video racconta il modo in cui Bjork sta affermandosi come personaggio pubblico che
mantiene le caratteristiche del personaggio privato legato alle sue radici che riesce a
gestire dal successo che ha senza farsi schiacciare dal meccanismo.

4.06.2020
Analisi di una fotografia del professore da piccolo. Il soggetto che fa l’analisi è quello a
sinistra e il soggetto dell’analisi è quello a destra.

Il commento è stato “caravaggesco”. Gesù comunica a Pietro, a destra, il proprio


tradimento e Giovanni fa finta di non sentire. Giovanni è distaccato ma Caravaggio lo
costringe nella scena incastrandolo alle sue responsabilità, la testa è rivolta verso Pietro
ma il busto, la spalla destra include anche Giovanni. La pinguedine di Pietro è allegoria
del non saper mascherare il tradimento.

Rappresentazione allegorica perché è una critica alla visione della chiesa in quanto pecca
di ingordigia.

Facciamo che sia la luce a parlarci, il primo si ritrae ad esso e il secondo da le spalle. Il
fatto che il prof sia seduto sul radiatore è anche esso stesso simbolico.

L’amico si è attaccato a tutte le conoscenze pregresse per l’analisi. Come ha fatto per
stabilire come leggere l’immagine? Egli si è mosso come necessariamente bisogna
muoversi anche senza sapere che si sta facendo semiotica.

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Ha utilizzato tutte le sue conoscenze per fare l’analisi, ha imposto la sua idea di massima
perché gli sembrava il modo migliore per prendere in giro Pietro facendo riferimento
all’ingordigia, alla grassezza e alla mondanità.

Volendo la sua attenzione si sarebbe potuto concentrare anche su altri elementi ma ha


fatto una serie di connessioni che potessero veicolare un senso.

L’allegoria si contraddistingue per le intenzioni e non sempre per l’analisi, ogni figura
rappresentata significa qualcos’altro ma in maniera precisa come le figure di Dante. Nel
simbolismo funziona in maniera diversa, veicola un contenuto meno definito (una
nebulosa - Eco).

Il modello del Lector:


Modello che abbiamo visto durante le lezioni su Eco. La manifestazione lineare del testo
paragonata all’espressione, in verità è quello che si vede, l’esperienza che stiamo
facendo e espressione e contenuto si generano localmente, non hanno entità
determinata. Una volta che si dividono i campi allora abbiamo espressione e contenuto
determinati, si determinano localmente per un determinato valore.

Quando guardiamo un testo facciamo riferimento al dizionario di base che si diversifica


da opera a opera.

Le regole di co-refetrenza: come quando vediamo un pronome che fa riferimento al


soggetto più vicino al quale fare riferimento.

Selezioni contestuali e circostanziali, con una passeggiata inferenziale recuperiamo le


sceneggiature.

Le strutture narrative sono isotopia, fabula e intreccio. Si può parlare di intreccio quando
siamo davanti a un’opera visiva?. Nel modo in cui tale opera visiva è presentata magari
può suggerire un percorso, una sorta di intreccio.

Le estensioni parentetiche: sono ipotesi sul mondo rappresentato, la prima cosa che
facciamo quando guardiamo un quadro di De Chirico è capire dove ci troviamo cercando
delle ipotesi sulla struttura di quel mondo e le differenze con il nostro mondo. Questo
fatto è fondamentale nei testi verbali. Nel ‘600 io devo fare delle ipotesi relative al fatto
che il mondo rappresentato deve in qualche modo fare riferimento agli elementi tipici del
‘600, nonostante la presenza di anacronismi. In periodo medievale venivano rappresentati
gli dei del pantheon greco romano in abiti medievali, queste cose sono questioni che
riguardano le estensioni.

Polidoro ha elaborato un modello.

Le circostanze di enunciazione riguardano l’epoca, il contesto storico-sociale,


informazioni sull’autore - ciò ci permette di distinguere una natura morta e il suo ruolo,
diverso a seconda del contesto.

Il livello di base: riconoscimento delle forme

Livello “molare”: coinvolge conoscenze più approfondite

- regole iconografiche: individuazione degli elementi, sulla base della tradizione visuale

- Connotazioni: temi e concerti evocati dagli elementi individuati

- Meccanismi retorici: figure retoriche visive

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L’espressione bandiera: contenuto come pezzo di stoffa attaccato a un’asta, tutto
insieme diviene espressione di un alto contenuto (estensione) - patria. Sono molto
presenti nella storia dell’arte.

Sistemi simbolici (non conformi)


Il piano dell’espressione e del contenuto non hanno la stessa organizzazione è quel che
accade con la semiotica verbale.

Spieghiamoci con un’immagine. Immaginiamo una vasta pianura attraversata da un


confine. È il confine tra espressione e contenuto. Su questo confine affacciano da una
parte i significanti e dall’altra i significati. I loro limiti coincidono perfettamente: per tutto il
tratto di confine occupato da un significante, dall’altro lato troviamo il suo significato.
Simmetria perfetta. Ma dietro preme l’esercito disordinato delle figure (fonemi e semi) che
si agitano e ricombinano continuamente. L’organizzazione delle fondamenta è differente.

Sistemi simbolici (conformi):


A ogni significante corrisponde un contenuto e non ci sono ulteriori divisioni possibili, i
due piani sono isomorfi, hanno la stessa forma come il semaforo. Significanti e significati
sono corrispondenti e non si possono fare altre distinzioni.

Sistemi semi-simbolici:
Il modello del lector modificato da Polidoro, risistemato:
Livello narrativo:

a) Mitogrammi/Pittogrammi.

Mitogramma: È un’immagine più o meno complessa i cui elementi non rappresentano


alcuna azione, ma semplicemente un sistema di relazioni o associazioni. Può anche
evocare una storia, ma comunque non ne rappresenta lo sviluppo: si limita all’ostensione
dei suoi protagonisti. Testi completamente bidimensionali, in cui i rapporti spaziali fra
elementi stanno a rappresentare un campo di associazioni possibili, non c’è un percorso
non sviluppano una storia. Spesso simbolici (modo simbolico).

Pittogramma: qualunque rappresentazione in cui intervenga la componente temporale, in


cui cioè sia rappresentata un’azione o che suggerisce l’idea di un prima e di un dopo.
(immagine in cui è rappresentato il tempo) immagine in sé.

b) Rappresentazione di tempo e movimenti. Suggerisce che il tempo stia passando

c) Frame comuni o intertestuali.

Modo simbolico
Poiché è difficile definire il simbolo, meglio parlare di modo simbolico, ossia di una
strategia interpretativa che alcuni testi, o porzioni di testi, riescono ad attivare. Come
fanno? Attraverso due caratteristiche testuali:

1) il rimando a «una nebulosa di contenuto».

2) lo sperpero di risorse testuali.

Se leggiamo una novella Silvie a cui certo punto lui sta su una carrozza, in interrompe
l’azione perché lui ricorda di una vecchia casa con una pendola, la descrizione della
pentola prende due o tre pagine piegando una serie di risorse testuali, non è giustificato
dallo sviluppo narrativo. Se c’è tutto questo impiego di risorse dobbiamo capire che cosa
ci vuole dire. Propongono una serie di significati collegati che non si possono scindere.

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Significato nebuloso attraverso uno sperpero di risorse testuali che in alcuni casi può
essere una sorta di simbolo vuoto. Come l’ultima stagione di Stranger Things.

1) il modo simbolico individua non un significato univoco, ma uno più ampio, più sensi
collegati. 2) i testi che possono essere letti secondo il modo simbolico, in genere,
insistono per parecchio tempo su aspetti che non sembrano fondamentali per la
narrazione, o sembrano fuori luogo.

Quadro di Frida Kahlo - la colonna rotta del 1944


Cercheremo di fare una descrizione iniziando a stabilire delle correlazioni dando delle
identità stabilendo dei rapporti. Sr guardo il terreno intorno lo vedo come arido, spaccato
per individuarlo ho dovuto mettere in atto un meccanismo mentale che mi ha consentito
do individuare questo termine confrontando questo paesaggio con un altro rigoglioso.

Uso delle categorie plastiche: uso delle categorie figurative. Cominciare a stabilire delle
correlazioni.

Come prima cosa dobbiamo osservare ciò che abbiamo davanti facendone una prima
analisi.

Che cos’è ogni singolo elemento?

Ipercordifica retorica e stilistica: figure dal significato standard (se vediamo un cane in un
quadro settecentesco sappiamo che vuole dire fedeltà).

Devo cominciare a chiedere il topic - cosa mista rappresentando questa porzione di


testo? Per individuare un’isotopia o diverse (percorsi di senso coerenti).

Che cosa spicca in questo quadro? Quali sono gli elementi sui quali ci concentreremmo?
La colonna che sta al posto della colonna vertebrale. Cosa c’è al centro della scena? La
figura della donna, un corpo ritratto in una maniera precisa da un lato vediamo che è un
corpo molto carnale, rigoglioso, dall’altro è un corpo sofferente.

Lui si concentra sul corpo in quando contenitore degli elementi più interessanti. Vengono
identificati i due caratteri: rigoglioso ed esposto, sofferente. Qui si identifica una
sceneggiatura con San Sebastiano con le frecce sostituite dai chiodi. Non importa che
l’autore sia ateo perché utilizza degli stilemi che sono culturali. Al centro di tutto c’è una
metafora visiva, una sostituzione: la colonna dorica al posto della colonna. Elementi
organici con elementi inorganici, questa sostituzione e sovrapposizione torna in tutto il
quadro. Elementi organici ce ne sono pochi.

Questa colonna è una colonna dorica, molto rastremata. Ha due caratteristiche: senza
base e originaria come primo ordine che si sviluppa. Ha la funzione di sostenere il tempio,
è immobile mentre la colonna verticale è flessibile. L’idea del tempio è l’idea di qualcosa
che deve custodire. Sostegno che è senza base, orginario, al centro del corpo e rotto in
tre punti, il sostegno di ciò che costituisce l’anima del corpo è rotto in tre punti.

Facendo coincidere gli elementi abbiamo l’esposizione e la sofferenza del corpo come un
martirio, possiamo immaginare un corpo come campo di forze conteso tra desiderio e
dolore, subisce, rigoglioso, vitale ma non può essere attivo. Insiste sull’impedimento di
vitalità e sessualità, abbiamo busto che costringe e i chiodi che fissano, lo stesso ribadito
dalla presenza della colonna che non permette di seguire i movimenti del corpo ma lo
costringe all’immobilità. Questa è la traccia della nostra analisi. Dobbiamo poi mettere in
ordine gli elementi elaborando la nostra analisi.

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Il riferimento alla sessualità può apparire come eccessivo.

Info biografiche dell’artista che si ruppe la schiena in tre punti, la gamba in 11 fratture, il
piede rotto e la spalla uscita fuori sede, più il bacino rotto. Il passamano di acciaio
l’attraversò, entrò dal lato sinistro e salì per le parti intime. Lei disse dopo: “persi la mia
verginità”. La colonna essendo fratturata compromise la funzione di sostegno, lei non
dovette subire solo 32 operazioni ma passò gran parte della sua vita a letto per delle
ricadute o usando corsetti di gesso e metallo che facevano da sostituto allo scheletro
della colonna. Quadro che alla fine è abbastanza facile da decifrare.

Se sviluppiamo ogni singolo punto allora l’analisi sarà completa.

Gli elementi che possono sollecitare questo tipo di interpretazione ci sono, sia
l’esposizione di con corpo sofferente e l’imbrigliamento del corpo stesso.

Quadro di Pussin - martirio di Sant’Erasmo.


Qual è l’aspetto che il quadro mette in mostra in maniera intensa?

Soldato che indica il martire guardando il boia, signore vestito in bianco che indica nella
direzione opposta. La prima distinzione che possiamo fare siccome la zona in batto è
impegnata dalle figure umane, in alto abbiamo solo elementi celesti. Dividiamo interregno
dal divino.

Gli occhi del martire non guardano da nessuna parte ma la testa è rivolta a metà strada
tra l’idolo degli angeli e il divino cristiano.

A Sant’Erasmo viene chiesto come trova di adorare la statua di Ercole, lui si rifiuta e viene
martirizzato.

Importante è la prima divisione.

C’è il dito del sacerdote che indica l’idolo pagano dicendogli di adorarlo, in basso i
paramenti vescovili mentre gli angeli tengo in mano gli attributi del martirio.

Questo percorso di di ta e sguardi è un percorso di lettura che ci permette di seguire il


percorso e la storia. Gli sguardi ci dicono dove dobbiamo porre l’attenzione e in più c’è il
percorso del dito del soldato e lo sguardo del boia.

Individuare gli elementi che poi nell’analisi possono essere messi in gioco, individuare dei
punti singolari in cui succede qualcosa mettendoli in relazione gli uni con gli altri.

Litografie di Escher:

Cosa c’è di interessante?


Prospettiva verticale, illusione ottica.

S. Ronda infinita intorno al cortile interno di un palazzo tutti stanno girando tranne due.
Uno li guarda e l’altro sulle scale è disinteressato. “questo personaggio non partecipa, ma
capirà il suo errore”. Perché due non partecipano? Questo potrebbe essere il punto di
inizio.

D. Cosa c’è di interessante?

Passaggio dimensionale che mette in gioco una temporaneità continua. Bisogna cercare
di capire se le nostre interpretazioni possono reggere.

Altre due opere di Escher:

S. Ritratto delle immagini riflesse in uno specchio sul quale sono appoggiati dei libri.
Sono due dimensioni, non solo due spazi.

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D. Indecisione su cosa viene prima e su cosa viene dopo. Movimento circolare.
Riflessione sulla genesi o sulla rappresentazione. Cosa viene prima? Le cose del mondo o
come noi le interpretiamo o rappresentiamo? Le mani sembrano uscire ma il foglio è
inchiodato con delle puntine da un piano ulteriore.

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