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"IL SOGGETTO NEGLI AVVERBI". LO SPAZIO DELLA SOGGETTIVIT


NELLA TEORIA SEMIOTICA DI UMBERTO ECO
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Patrizia Violi
Dopo la pubblicazione del Nome della rosa, rispondendo ad una
domanda di un giornalista che gli chiedeva dove nel suo
romanzo si poteva trovare la soggettivit dell'autore,
Umberto Eco rispondeva: il soggetto negli avverbi.
Sarebbe un errore interpretare la frase solo come una
divertente battuta, uno scherzoso escamotage per evitare una
domanda difficile. Al contrario, io credo che questa battuta
ben sintetizzi una posizione teorica molto articolata sul
tema della soggettivit, che possiamo rintracciare in tutto
l'arco della produzione teorica di Umberto Eco.
Vorrei qui provare a rileggerla, ricostruendone alcuni
passaggi cruciali e proponendone una interpretazione forse un
po' eterodossa.
La prima tematizzazione teorica sul soggetto si ritrova
nel Trattato di semiotica generale del 1975. Apparentemente
la soggettivit ha un ruolo marginale nel Trattato,
soprattutto centrato sulle modalit della produzione e della
rappresentazione segnica; al soggetto sono dedicate solo
poche pagine, meno di cinque per l'esattezza, su un volume di
pi di 400 pagine, ma una pi attenta lettura ribalta subito
questa impressione. Si tratta infatti delle ultime pagine del
libro, che ne rappresentano la conclusione teorica e ne
costituiscono di fatto l'intero ultimo capitolo, in cui
finalmente entra in scena quel fantasma che, secondo le
parole stesse di Eco, "tutto il discorso precedente aveva
continuamente eluso lasciandolo appena intravedere sullo
sfondo".
In realt per tutto il libro Eco ci aveva sempre, anche
se implicitamente, parlato di lui, del soggetto "assente".
Esso era evocato nel momento in cui si affermava il carattere
di prassi sociale del lavoro di produzione segnica, come pure

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Relazione presentata al convegno Autour Umberto Eco. Signes,
reprsentations, interpretations, Sofia, 27-28 novembre 2004.
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quando si insisteva sulla natura comunicativa di tutti i
fenomeni culturali. Nel capitolo conclusivo del Trattato Eco
si chiede quale sia il suo posto nel quadro della teoria
delineata nel corso di tutta l'opera e ne d una risposta
molto chiara: il soggetto definito dal processo stesso
della semiosi, e viene a coincidere con l'attivit, inte-
ramente culturale, di "segmentazione storica e sociale
dell'universo" (TSG: 377). dunque essenzialmente un modo di
vedere il mondo, "un modo di segmentare l'universo e di
associare unit espressive a unit di contenuto, in un lavoro
nel corso del quale queste concrezioni storico-sistematiche
si fanno e si sfanno senza posa". Il soggetto del Trattato
dunque, nel duplice senso di argomento e di protagonista,
altro non che la semiosi stessa, coincide con i processi di
creazione e produzione di senso, secondo una prospettiva
inerentemente peirciana. E a Peirce Eco esplicitamente si
rif, all'uomo segno che sussume in s pensiero e semiosi.
Una formulazione molto simile la ritroviamo in
Semiotica e Filosofia del linguaggio del 1984, in cui viene
ripreso il tema del soggetto quasi negli stessi termini;
importante segnalare, e il perch diverr presto chiaro, che
qui la problematica del soggetto connessa alla proposta di
Eco di ripensare il segno in chiave inferenziale. Se il segno
inteso come identit e uguaglianza presuppone, insieme ad una
nozione di codice pi forte ed oggettiva, anche un soggetto
pi sclerotizzato, il segno come inferenza, quindi come
continuo movimento fra i piani del linguaggio, implica di
necessit un soggetto pi mobile e pi presente.
Il segno come momento (sempre in crisi) del processo di semiosi
lo strumento attraverso il quale lo stesso soggetto si
costruisce e si decostruisce di continuo. () Il soggetto ci
che i processi continui di risegmentazione del contenuto lo
fanno essere. () Siamo come soggetti, ci che la forma del
mondo prodotta dai segni ci fa essere. () Ci riconosciamo solo
come semiosi in atto, sistemi di significazione e processi di
comunicazione. Solo la mappa della semiosi, come si definisce ad
uno stadio della vicenda storica (con la bava e i detriti della
semiosi precedente che si trascina dietro), ci dice chi siamo e
cosa (o come) pensiamo. La scienza dei segni la scienza di
come si costituisce storicamente il soggetto. (SFL: 54)
Siamo gi in grado, a partire da queste primi passaggi,
di cominciare a delineare un abbozzo di ci che e di ci
che non il soggetto per Eco. In quanto semiosi, il soggetto
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una configurazione diffusa, non circoscritta n circo-
scrivibile, dal momento che non riconducibile ad una
istanza determinata una volta per tutte, n ad alcuna entit
semiotica prefissata come era il codice. Non statica ma
dinamica, legata alle pratiche di costruzione e trasfor-
mazione del senso. Ma poich queste pratiche sono storiche e
integrate nella prassi e nel lavoro umano, anche la
soggettivit ne risulta storicamente e materialmente fondata.
Se queste sono le caratteristiche "in positivo", forse
ancora pi interessanti sono quelle "in negativo", che ci
fanno capire cosa il soggetto non nel pensiero di Eco: il
soggetto non n forma dell'individuale n istanza del
trascendentale. Questi due spazi appaiono realmente come i
confini che delimitano il territorio della soggettivit
nell'opera di Eco, confini che, come cercher di mostrare,
non saranno mai superati, n nella teoria n nella scrittura
letteraria di Eco. Torner pi avanti sulla questione
dell'individualit, vorrei ora soffermarmi sull'aspetto della
soggettivit trascendentale, che merita un approfondimento.
Nel paradigma semiotico esiste un altro grande modello
della soggettivit, ed quello iscritto nella teoria dell'e-
nunciazione come sviluppata nella linguistica di Benveniiste
e poi nel post strutturalismo generativo della scuola
greimasiana. Il soggetto dell'enunciazione un principio
universale e generale, funzione astratta del meccanismo
linguistico che affonda le sue radici teoriche nell'io
trascendentale della filosofia husserliana. infatti la
ragione fenomenologica a costruire ogni atto significante
come il risultato di una coscienza fondata sull'Io
trascendentale; il discorso e il senso discendono da un
giudizio, da un atto di predicazione del soggetto che "si
pronuncia" su qualcosa. Mediante l'operazione predicativa la
coscienza giudicante pone al tempo stesso l'oggetto come
essere significato e il soggetto come coscienza; secondo
Husserl infatti la coscienza a costituire delle oggettivit
esterne, degli oggetti di senso e di significazione che
esistono nel momento in cui l'io li fa esistere attraverso un
atto di giudizio. La coscienza operante viene cos ad
identificarsi con la significazione stessa, a sua volta resa
possibile solo dall'esistenza di un soggetto trascendentale.
La possibilit della significazione riposa dunque sull'as-
sunzione di un "io" che la coscienza sintetizzante, su cui
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precisamente fondato il soggetto dell'enunciazione in
Benveniste. Solo in quanto trascendentale l'io pu rendere
possibile la messa in discorso della lingua, operando il
passaggio dal sistema inteso come inventario classificatorio
all'enunciazione; la sua trascendenza, garantendo l'apparire
di una soggettivit astratta e universale, fonda lo spazio in
cui l'essere pu emergere nella lingua. E' in questo senso
che la realt dell'io , come osserva Benveniste, la "realt
dell'essere".
Possiamo ora meglio vedere la distanza che separa
questo soggetto da quella figura mobile e in continua
trasformazione di cui ci parla Eco: non coscienza
trascendentale ma reticolo di relazioni multiple e dinamiche,
che, come la semiosi con cui di fatto identificabile, ha la
forma aperta e rizomatica dell'enciclopedia, con "la bava e i
detriti" della storia che lo ha prodotto.
A Eco stato spesso rimproverato di non aver mai dato
molto spazio, nella sua teoria, alle problematiche
enunciative e quindi di mancare degli strumenti pi propri
per articolare pienamente il dispiegarsi della soggettivit
semiotica.
Quello che vorrei sostenere che paradossalmente
proprio la mancanza di una teoria dell'enunciazione classica
ha consentito ad Eco forse malgr lui? di evitare le
sacche della trascendentalit, portandolo, fin dalla met
degli anni 70 ad elaborare una nozione di soggetto e
soggettivit che oggi, nel primo decennio del duemila, viene
riscoperta come estremamente attuale e trova inedite affinit
proprio con gli sviluppi pi recenti del post-
greimasianesimo.
Per chiarire meglio questo punto necessario ripartire
da una nozione a mio avviso centrale nella riflessione
teorica di Eco, ma che non ha forse ricevuto in seguito
l'attenzione che meritava, n stata ripresa nemmeno da Eco
nei suoi successivi lavori. Mi riferisco allo schema dei modi
di produzione segnica. Nato con finalit tassonomiche, per
sostituire le numerosi e insoddisfacenti tipologie di segni,
il modello dei modi di produzione forse stato accantonato
perch percepito come troppo legato ad un'idea di segno
isolatamente considerato, mentre le direzioni che la ricerca
semiotica cominciava a prendere sempre pi indicavano strade
testuali. Impressione a mio avviso erronea, perch i modi di
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produzione non classificano segni, ma tratteggiano un ordine
di possibili processi, quindi di azioni complesse e,
virtualmente, di possibili testi. Che l'opposizione
testo/segno sia in realt un falso problema dovrebbe
d'altronde essere chiaro a tutti, nel momento in cui Eco
stesso ha a pi riprese ribadito il principio di reciproca
implicazione fra il singolo segno e l'intero testo che ne
rappresenta un'espansione (si parla di semema come testo
virtuale).
Il problema, caso mai, un altro, ed l'articolazione
di uno spazio di snodo fra testo, in quanto prodotto da un
processo, e processo in quanto pratica che istituisce il
testo. Nella tradizione strutturalista il sistema si oppone
al processo, e quest'ultimo viene poi direttamente
identificato con i testi, che sarebbero per pi propriamente
il prodotto di quei processi che attualizzano il sistema.
Lo schema dei modi di produzione cerca di dare conto,
complessificandolo, proprio del momento in cui la proces-
sualit si immette nella struttura del sistema o, per usare
la terminologia del Trattato, nella teoria dei codici.
Da questo punto di vista la teoria della produzione ha
pi di un tratto in comune con la nozione di prassi
enunciazionale elaborata molto pi recentemente, in ambito
post-greimasiano, da Fontanille e Zilberberg, a mio avviso
proprio per superare le strettoie trascendentali implicite
nella teoria classica dell'enunciazione. La prassi
enunciazionale focalizza la conversione delle "forme" in
"operazioni", in maniera non diversa da quanto fanno le
pratiche di produzione per Eco.
Una questione interessante che si pone a questo punto
quella del rapporto fra pratiche di produzione e pratiche di
interpretazione che, ad un primo sguardo, sembrerebbero
intrattenere un rapporto di reciprocit, come termini
contrari. Nella semiotica echiana il testo/segno appare, ad
un primo sguardo, come il risultato di un doppio movimento,
o pi precisamente di una doppie serie di pratiche, le
pratiche produttive da un lato, nella complessa variet di
tutti i loro modi di produzione, le pratiche interpretative
dall'altro, nei loro movimenti inferenziali. Il testo si
presenta cos come lo spazio di intersezione che si apre
nell'incontro delle due pratiche di produzione e interpre-
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tazione, e questo mi pare il modello che emerge ad esempio
nel Lector.
In realt a ben vedere non forse corretto
contrapporre produzione e interpretazione come due pratiche
nettamente distinte e articolate in una opposizione di
contrariet: l'interpretazione sembra piuttosto essere uno
dei modi di produzione di senso, attraverso la costruzione di
interpretanti e quindi di segni e di semiosi. Che
l'interpretazione rientri a pieno diritto nei modi di
produzione gi implicito nella tabella dei modi nel
Trattato, dove si parla di segni 'per riconoscimento'.
L'interpretazione certamente una pratica "di riconosci-
mento", di tipo inferenziale e abduttivo, in cui il senso
viene costruito via nuovi interpretanti. Ma anche tutte le
altre modalit di produzione, non solo l'invenzione, ma anche
l'ostensione e perfino la replica, se si accetta l'idea del
segno come inferenza, sono costitutivamente pratiche di
produzione che implicano un lavoro interpretativo. In altri
termini produzione e interpretazione sono termini
coestensivi, in quanto sono semplicemente due prospettive
diverse di guardare a quello che esattamente lo stesso
lavoro, cio l'attivit della semiosi in atto.
Il soggetto, come si detto, viene a coincidere con
quelle pratiche, essendo, secondo i termini stessi di Eco, il
risultato dei processi di continua segmentazione e risegmen-
tazione del contenuto. Siamo qui molto lontani da un'idea di
soggetto come traccia lasciata nel testo; si tratta piuttosto
di una soggettivit diffusa, iscritta nelle pratiche
(interpretative e produttive), si tratta, in altri termini,
della semiosi in atto.
Dire che soggetto e semiosi coincidono significa per
operare uno spostamento radicale nel modo stesso di pensare
la nozione fondativa di segno e il rapporto fra i due piani
costitutivi di ogni semiotica. Come ho gi accennato, nel
momento in cui il segno si apre al movimento inferenziale non
vi pi alcun codice, n alcuna regola prefissata a poter
garantire la connessione; ci che consentir allora di
suturare e tenere insieme significante e significato,
espressione e contenuto, cio di fare agire la semiosi, sar
solo il soggetto. Mi pare che in questo Eco di fatto
anticipi, gia nel Trattato del 1975, quel superamento dello
strutturalismo formalista e logicista che nella tradizione
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post-strutturale e generativa acquisizione molto pi
recente. Nello strutturalismo classico, o forse bisognerebbe
pi correttamente dire in quella che diventata la sua
vulgata, il legame fra i due piani della semiosi era
instaurato da un operatore unicamente logico, era infatti una
funzione la funzione segnica - ci che metteva in rela-
zione e connetteva i funtivi dell'espressione e del
contenuto. Oggi, anche all'interno della tradizione genera-
tiva pi di ogni altra erede delle posizioni strutturaliste,
ampiamente sentita la necessit di interrogarsi sulla
natura della relazione che tiene insieme i due piani della
semiosi, mettendone in discussione il logicismo di fondo.
Penso a tutto il lavoro del nostro amico Rastier, a Coquet e,
con un taglio diverso, all'opera recentissima di Fontanille e
al suo ultimo libro uscito quest'anno in italiano (2004).
Fontanille individua nel corpo piuttosto che nel soggetto
l'operatore della relazione semiotica, ma questa differenza,
dal mio punto di vista, non cos rilevante, anche perch
sono convinta che il soggetto di Eco, a differenza di quanto
io stessa pensassi alcuni anni fa, sia o possa essere molto
corporeo e molto radicato nella suo ancoraggio percettivo e
sensibile. Ma su questo torner fra poco. Per ora preme
sottolineare che Eco, facendo coincidere il soggetto con
l'attivit della semiosi, cio con la relazione fondativa che
connette i due piani del segno, reinstalla il soggetto al
centro non solo del testo ma della processualit, delle
pratiche che lo producono.
In questo modo, e con un unico movimento, Eco si
allontana contemporaneamente sia dalla trascendentalit del
soggetto dell'enunciazione, che da una posizione rigidamente
testualista. Esiste infatti un nesso costituivo fra teoria
classica dell'enunciazione e prospettiva testualista:
soggetto trascendentale e testualismo si implicano l'un
l'altro, dato che una delimitazione forte di testo presuppone
un soggetto enunciatore forte e a sua volta il soggetto
dell'enunciazione ha nel testo e solo all'interno di esso il
suo luogo di manifestazione. In Eco la diffusivit della
nozione di soggetto, che di fatto lo fa coincidere con le
pratiche della semiosi in senso ampio, produce un contem-
poraneo spostamento dalla testualit tradizionalmente
concepita all'apertura enciclopedica. Cos come il soggetto
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nelle pratiche di produzione e interpretazione, piuttosto che
nelle tracce lasciate nei testi, cos il senso distribuito
in quella infinita rete intertestuale che l'enciclopedia,
di cui i singoli testi possono essere visti come altrettanti
snodi, punti di intreccio e di intersezione del rizoma che
la compone. Punti di stabilit che possiamo e dobbiamo
interrogare (e Eco lo ha fatto costantemente nel corso di
tutta la sua opera), ma che solo nella dimensione
costitutivamente enciclopedica della intertestualit si
lasciano cogliere nel pieno dispiegarsi del loro senso.
Credo che questa impostazione sia, paradossalmente, non
soltanto compatibile ma anche molto vicina all'ispirazione di
fondo che ha animato i padri fondatori dello strutturalismo,
in particolare Saussure e Lvi-Strauss.
In Saussure, come stato recentemente osservato
(Simone), sono compresenti due paradigmi diversi, che hanno
dato luogo a letture fortemente divergenti. Accanto ad un
paradigma centrato sul linguaggio, generalmente accreditato
nella vulgata saussuriana, in cui lo statuto del parlante
relegato al ruolo di variabile, rintracciabile anche un
paradigma centrato invece sull'utente, in cui i fatti del
linguaggio non sono dati nell'oggettivit del sistema, ma
sono quelli percepiti e ricostruiti dal parlante stesso. In
questa lettura, oggettivit e soggettivit paiono
curiosamente invertire i loro rispettivi ruoli: diventano i
dati oggettivi a porsi sul piano delle variabili, mentre
piuttosto la soggettivit a fondare il sistema, a consentire
l'istituirsi di un ordine in un universo di entit
oggettivamente caotiche. Si pensi a come Saussure definisce
il piano del significante: non certo l'esistenza fisica di
suoni infinitamente variabili nella loro oggettivit
materiale a consentire la forma sonora linguisticamente
organizzata, che invece immagine acustica, entit mentale
soggettivamente costituita, non pura materialit oggettiva.
Insomma, la soggettivit ci che fa sistema, ci che ci
rende uguali in un certo senso, mentre proprio
nell'oggettivit della materia che siamo diversi.
Una prospettiva di questo tipo genera un imprevisto (ma
fino ad un certo punto!) corto circuito con la semiotica
peirciana. Anche per Peirce il soggetto ad instaurare la
semiosi, cos come per Eco il soggetto a mettere in
correlazione Espressione e Contenuto. La semiotica nasce
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dunque, sia nel suo versante interpretativo che in quello
strutturale, come fortemente attraversata dalla questione
della soggettivit, che ne sta al suo centro come istanza
cositutiva. E' in questa tradizione che Eco si colloca e va
collocato.
Vi anche un'altra somiglianza che vale la pena di
sottolineare: in Semiotica e Filosofia del linguaggio,
affrontando la questione del soggetto, Eco avanzava il
sospetto che non di un soggetto al singolare si trattasse, ma
sempre di una 'collettivit di soggetti', spostando cos
nettamente l'accento dal piano individuale a quello
collettivo. Ma anche per Saussure la soggettivit non
coincide affatto con l'individuale, al contrario una
soggettivit collettivamente regolata, una soggettivit
sociale in qualche misura, che mi pare assomigliare molto al
soggetto diffuso e 'avverbiale' di Eco.
Insieme all'idea di soggettivit cos definibile,
l'altra nozione fondante che ci lascia Saussure quella di
relazione: ogni entit non mai in s, ma sempre e soltanto
nella relazione con altri elementi.
(Tra parentesi, trovo questa nozione di straordinaria
attualit, applicabile anche a questioni che oggi ci
attraversano e ci appassionano come quella delle identit:
forse se ci ricordassimo di pensare e sentire in termini pi
relazionali e meno essenzialistici potremmo sfuggire a molti
degli orrori che il presente ci riserva.)
Ma per tornare a pi limitate questioni, applicata ai
testi l'idea di relazione ci suggerisce una prospettiva
fortemente improntata all'intertestualit, dove ogni singolo
testo risulta analizzabile e comprensibile soltanto nella
rete di relazioni intertestuali che instaura con altri testi,
in una parola nell'enciclopedia complessiva che delimita
l'orizzonte di una cultura. Questa prospettiva sulla
testualit esplicita in Lvi-Strauss, che ribadisce il
carattere costitutivo del rapporto intertestuale nelle sue
analisi dei miti: l'analisi di un singolo mito, di un singolo
testo, isolato dalla rete-sistema di tutti gli altri miti e
testi, impraticabile, perch il singolo elemento
risulterebbe opaco. Non vi sono testi e poi trasformazioni,
ma piuttosto l'inverso: trasformazioni e pratiche che poi si
fissano localmente in singoli testi prodotti, la cui
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intelligibilit richiede sempre lo sfondo delle
trasformazioni intertestuali che li ha prodotti.
Un'idea di questo tipo inerentemente enciclopedica e
piuttosto distante dagli esiti di un testualismo che guarda
solo all'interno del singolo testo struttura, oggettivandolo
e isolandolo.
Ci si potrebbe a questo punto interrogare sul perch la
semiotica di impronta strutturalista, che nasce centrata
sulle nozioni di soggettivit e di relazione intertestuale,
si poi fatta oggettivista e testualista in senso pi
tradizionale, considerando il testo come un oggetto in s
conchiuso. Pi interessante per mi pare osservare che anche
all'interno di questa tradizione stiamo oggi assistendo a
significative trasformazioni nei concetti di testo e di
enunciazione, in direzione di un'apertura a cui ho gi fatto
cenno verso le pratiche e l'enunciazione in atto, tutti
concetti pi mobili e dinamici.. Questa svolta
probabilmente stata indotta anche dalla necessit di
confrontarsi sempre pi con nuovi universi di senso, dalla
rete potenzialmente aperta di internet, mirabile metafora
dell'enciclopedia, alle pratiche sociali e all'esperienza
fenomenologica e corporea, che forzano i confini pi
tradizionali della testualit.
Nel modello teorico sviluppato da Eco, vocazione
enciclopedica e attenzione al processo della semiosi sono
presenti fin dall'inizio, determinando gi a partire dagli
anni '70 una apertura a forme diverse di testualit e
intertestualit, nonch un'idea di soggettivit in farsi
dinamica e diffusa nei processi.
Possiamo cos individuare due macro paradigmi nella
teoria semiotica: il primo legato ad un'idea pi oggettivista
di testo, che vede la soggettivit soltanto come iscrizione
testuale, traccia dell'atto produttivo lasciata all'interno
del testo, il secondo a vocazione intertestuale e
enciclopedica, in cui il soggetto l'operatore che instaura
la semiosi. Mi preme molto sottolineare che i due paradigmi
non sono omologhi, n coincidono in modo semplicistico, con i
due approcci interpretativo e generativo, ma piuttosto si
pongano trasversalmente rispetto ad essi, come suggerito da
una pi attenta lettura di Saussure e Lvi-Strauss.
Per quanto riguarda pi specificamente l'idea di
soggetto, che al centro della mia riflessione odierna,
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vorrei ora provare a interrogare i due paradigmi da un punto
di vista lievemente diverso, spostando l'accento sul diverso
rapporto che in essi si instaura fra soggetto e azione.
Sappiamo che il modello greimasiano in primo luogo un
modello della narrativit, che d conto delle forme che essa
prende nella generazione dei testi, essendo la narrativit
nient'altro che la forma generale del senso, il nostro modo
di dare senso alla vita. Al suo livello pi profondo la
narrativit riducibile a una serie di stati e di
trasformazione fra stati, operate da quelle configurazioni
sintattiche astratte che sono gli attanti. Dal punto di vista
della teoria dell'azione, che il cuore della generazione
narrativa dei testi, i due attanti principali sono Soggetto e
Oggetto. Soggetto e Oggetto non sono figure ontologicamente
definibili in s, ma hanno una natura sempre ed
esclusivamente relazionale: un Soggetto tale solo in
relazione ad un Oggetto di valore per lui, cos come un
Oggetto definibile solo in quanto in una relazione di
giunzione (congiunzione o disgiunzione) con un Soggetto. Lo
schema dell'azione che sottost a questo tipo di relazione
quello di un soggetto agente di una trasformazione, che
corrisponde allo schema linguistico della transitivit. La
transitivit, prima ancora che forma grammaticalizzata in una
specifica lingua, un modo particolare di concettualizzare
l'azione e il ruolo del soggetto in essa, centrata sull'idea
di causativit: il processo in atto causato da un soggetto,
presuppone in altri termini un Agency causativa e
intenzionale.
Esiste tuttavia un altro modo di concettualizzare
l'azione ben noto in linguistica, ed il modello che va
sotto il nome di ergativit. Transitivit ed ergativit sono
due modalit distinte di pensare al rapporto fra soggetto ed
azione, e in quanto tali esistono in tutte le lingue,
indipendentemente dal fatto che siano poi grammaticalizzate o
meno nel sistema dei casi di una lingua. La differenza
principale fra i due schemi risiede nel modo di pensare ci
che origina il processo, che pu essere visto come interno al
processo stesso oppure esterno. Lo schema ergativo accomuna
in uno stesso caso sia quello che siamo abituati a pensare
come soggetto di un'azione intransitiva (l'uomo corre) che
l'oggetto di un'azione transitiva (sempre l'uomo in una frase
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come: il leone d la caccia all'uomo e quindi ne causa il
correre. Esempi tratti da Halliday).
Una simile distribuzione pu apparire bizzarra solo se
ci manteniamo all'interno dello schema della transitivit, e
della sua idea di causatitivit. Per capire il senso della
prospettiva ergativa dobbiamo ristrutturarre il nostro
pensiero, come quando si guarda ad una figura che pu
alternativamente apparirici concava o convessa. Nello schema
ergativo, a differenza di quello transitivo, l'azione
interna al soggetto, ma non causata da questi. Avviene, per
cos dire, attraverso il soggetto, ma senza una sua causalit
intenzionale. Anche nelle nostre lingue, che non sono lingue
ergative, alcuni processi sono concettualizzati e compresi
all'interno di questo schema: si pensi a frasi come la pasta
cotta, la macchina si fermata, il filo si spezzato, il
bicchiere si rotto, il ghiaccio si sciolto, eccetera che
sono tutte costruite secondo un punto di vista ergativo.
Certamente qualcuno o qualcosa avr causato quel dato
processo (qualcuno ha cotto la pasta, spezzato il filo, rotto
il bicchiere; qualcosa ha causato l'arresto della macchina
etc.), ma la lingua lo descrive come qualcosa che si fa
senza un intervento esterno. Potremmo dire che l'azione
interna al soggetto, ma non causata da questo.
Se torniamo ora alle parole usate da Eco per definire
il soggetto possiamo notare una curiosa similitudine. "Il
soggetto ci che i processi continui di risegmentazione del
contenuto lo fanno essere. () Siamo come soggetti, ci che
la forma del mondo prodotta dai segni ci fa essere. ()"
Anche qui vediamo un soggetto coinvolto in un processo
(il processo di risegmentazione del contenuto), interno ad
esso, che per non lo determina, non ne l'agente attivo. Si
tratta piuttosto di un soggetto 'agito' dalla semiosi ("siamo
ci che la forma del mondo prodotta dai segni ci fa essere"),
che tuttavia non identificabile nemmeno con una posizione
passiva.
Questa configurazione intermedia, non attiva n
passiva, che disegna un soggetto coinvolto ma non agente,
agito invece dai segni e dalla cultura, costruito dal
reticolo enciclopedico senza esserne mai l'onnipotente
creatore intenzionale mi sembra corrispondere assai pi ad
uno schema ergativo che ad uno transitivo. E certo una
figura della soggettivit assai diversa da quella instanziata
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dalla narrativit greimasaiana, dove il soggetto l'agente
di una azione transitiva che si rivolge all'oggetto e tende
alla congiunzione con esso all'interno di una relazione di
intenzionalit, dato che l'oggetto sempre tale in quanto
investito di un valore per il soggetto. Riemerge in questo
quadro lo sfondo trascendentale che abbiamo gi visto
sottendere la teoria dell'enunciazione classica, dove il
soggetto fonda al tempo stesso l'azione e l'atto conoscitivo,
instaurando la significazione con l'atto di coscienza e
l'azione con il suo progetto intenzionale nel mondo.
Tempo fa, lavorando su testi zen della cultura
giapponese, avevo proposto il modello ergativo proprio per
dar conto della particolare posizione del soggetto che le
pratiche zen tendono a produrre, un soggetto che riesce a
svuotarsi della propria intenzionalit cosciente, della
agentivit del proprio fare, per trasformarsi in un veicolo
ricettivo di un'azione che si fa attraverso di lui, come
l'arciere zen del tiro con l'arco che riesce a colpire il
bersaglio solo quando smette di mirare, arrivando ad uno
stato di sospensione della propria volont e intenzionalit.
A quel punto "l'azione si compie", senza un suo intervento ma
solo "attraverso di lui". Anche in questo caso abbiamo un
soggetto agito, piuttosto che un soggetto agente, un soggetto
senza "io". L'io scompare a quel punto dalla scena, anche da
quella linguistica: l'arco si tende, la freccia tirata, il
bersaglio colpito, ma non sono "io" a tirare l'arco,
scagliare la freccia, colpire il bersaglio.
Potr sembrare certo curioso, soprattutto per chi lo
conosce personalmente, l'accostamento fra Umberto Eco e la
cultura zen. E certo molto lo separa da qual mondo e da quel
pensiero. Ma il paradossale, e un po' ironico, parallelo ci
pu servire per affrontare l'ultimo punto che vorrei
trattare, la questione dell'individualit.
Un'accusa che in passato stata varie volte mossa alle
posizioni di Eco che il suo soggetto un soggetto
puramente mentale, soggetto di pensiero, ma sprovvisto di
corpo e di inconscio. Avendo anch'io sostenuto in passato una
posizione simile mi sento autorizzata a rivederla oggi
criticamente.
In realt nulla vieta che il soggetto diffuso nei
processi semiosici sia dotato di un corpo e di un inconscio.
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Ricordiamo che per Peirce la semiosi comincia proprio nel
corpo, nei processi percettivi e sensibili con cui costruiamo
i primi azzardi interpretativi su ci che ci circonda,
attiviamo i primi interpretanti, attribuiamo il primo senso
fenomenologico al mondo attraverso la percezione che, ben
lungi dall'essere una registrazione passiva di un mondo dato,
anch'essa attivit semiotica e inferenziale. In Kant e
l'ornitorico (1997) d'altronde Eco tornato ad occuparsi di
percezione proprio in questa prospettiva, e non vi sarebbero
in fondo ragioni teoriche che impedirebbero di estendere la
ricerca al piano del sensibile e dell'estesico corporeo su
cui una gran parte della semiotica contemporanea sta oggi
riflettendo.
Anche per quanto riguarda l'inconscio, certamente un
terreno poco consono alla sensibilit forse non solo teorica
di Umberto Eco, esso potrebbe credo venire affrontato con gli
strumenti della semiotica interpretativa, almeno in certi
suoi aspetti. La lettura dell'inconscio una pratica
interpretativa che a pieno titolo si iscrive nel grande
paradigma indiziario evocato da Ginzburg, instaurando un
nesso esplicito con la semiotica di Peirce.
Il tema richiederebbe ben altro approfondimento di
quello possibile in questa sede, ma credo che non vi siano
ragioni di principio che impediscano di integrare anche
l'inconscio nella prospettiva interpretativa suggerita da
Eco, a patto per di considerarlo solo come un dispositivo di
ordine generale, un modo di funzionare della psiche parallelo
e co-agente al conscio, ((come ad esempio suggerito da Matte
Blanco)) ma senza interrogarsi sui contenuti specifici e
totalmente idiosincratici che questo dispositivo elabora,
mette in forma, o rimuove.
D'altra parte proprio questa la strada che Eco ha
privilegiato l dove si confrontato, se pure marginalmente,
con queste tematiche. Penso alla sua voce "Simbolo" per
l'Enciclopedia Einaudi (ora in SFL), dove viene ripresa
un'esperienza di visione simbolica mistica descritta da Jung,
precisamente quella di frate Niklaus von der Flue. Di
quell'esperienza a Eco interessa soprattutto il momento in
cui il simbolo individuale entra in contatto con il
collettivo, si traduce nell'enciclopedia della sua epoca e ne
viene, per cos dire, regolamentato. Frate Niklaus iscriver
la propria esperienza visionaria nel dogma trinitario,
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salvandosi cos da quell'eccesso di soggettivit individuale
che avrebbe potuto portarlo all'eresia o alla follia. Anche
qui Eco attento soprattutto alle modalit di
regolamentazione che iscrivono l'inconscio individuale, e i
suoi simboli "eccessivi", nella rete enciclopedica gi
collettivamente assetata e dunque accettabile, mentre rimane
pi in ombra la componente singolare, individuale, specifica
di quel processo.
Non sono dunque tanto l'inconscio o il corpo in quanto
tali a fare problema nella teoria di Eco della soggettivit,
ma l'individualit soggettiva dei singoli corpi, dei singoli
inconsci. E' l'individuale il residuo inespresso della
teoria, ci che oppone resistenza, che rimane come sfondo
opaco e definitivamente non dicibile.
Pi volte Eco ha affermato che ha scritto romanzi per
potervi mettere "ci di cui non si pu teorizzare". Non
allora forse un caso che in quello che mi appare come il pi
personale e autobiografico di tutti i romanzi di Eco,
l'ultima sua opera narrativa, La misteriosa fiamma della
Regina Loana, il protagonista Yambo sia proprio un uomo senza
individualit, un soggetto enciclopedico per eccellenza, che
si muove con perfetta padronanza nei saperi condivisi della
sua cultura ma ha perduto la rete delle proprie pi intime e
segrete assonanze. Ma senza la cifra della propria
singolarit, l'infinito reticolo enciclopedico si presenta
come un dispiegarsi insensato e folle di catene associative
prive di vero senso. Non certo il vuoto zen pacificato e
ricomposto in una quiete superiore quello che Yambo
sperimenta nel suo smarrimento, ma un'angosciosa perdita
della propria autenticit.
"L'enciclopedia mi cadeva addosso a fogli sparsi, e mi
veniva da battere le mani come in mezzo a uno sciame d'api. E
intanto i bambini mi dicevano nonno, sapevo che avrei dovuto
amarli pi di me stesso e non sapevo chi chiamare Giangio,
chi Alessandro e chi Luca. Sapevo tutto di Alessandro il
grande, e niente di Alessandro il piccolino mio."
Per tutto il corso del romanzo Yambo ricercher
l'accesso misterioso alla propria storia individuale, che
assume simbolicamente il volto di Lila, il perduto amore. Ma
il segreto dell'individuale pare davvero l'estremo
indicibile: come per Martin Eden si pu sapere solo quando si
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cessa di sapere. E anche per Yambo nell'attimo in cui l'amato
volto splendente sta per rivelarsi, dando infine senso e pace
al suo affannoso cercare, la visione si allontana per sempre,
il fumo la nasconde e il sole si fa nero.
data di pubblicazione in rete: 7 gennaio 2005

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