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Elementi di

semiotica –
Stefano
Gensini

1. Segno
Un segno è
un’entità biplanare fatta di
un’espressione e di un
contenuto.

Logica di Port Royale (1662): SEGNI NATURALI ≠ SEGNI ARTIFICIALI; esso


distingue tra:
1. segni naturali: sono quelli fisici e naturali, come il fumo che indica un fuoco, starnuto che indica raffreddore o
una macchia sul viso  INDICI
2. segni artificiali: quelli prodotti dall’essere umano o da altre specie viventi, come i cartelli stradali  SEGNI
PROPRIAMENTE DETTI

I. Indici  SEGNI NATURALI


Luis Prieto: indici = segni naturali che non sono significativi di per sé, ma solo in quanto qualcuno che riesce a
leggerli gli attribuisce un determinato valore.
 l’indice rappresenta qualcos’altro in virtù di una connessione reale esistente fra i due dati (segno e significato)
- Sono segni naturali
- hanno una vicinanza fisica con la causa che li ha prodotti;
- non sono prodotti secondo un codice
- richiedono l’applicazione di conoscenze culturali per assolvere la funzione comunicativa
- “diventano” segni di qualcosa se un interprete dà loro un valore
Es. il sintomo è un indice
INDIZI ≠ INDICI
Indizi sono una categoria particolare di segni  Non vi è una specifica volontà comunicativa dietro; la differenza con
gli indici è che sono prodotti dall’uomo o dagli animali ma senza intenzionalità  es: lo starnuto è un indice; proviene
dall’uomo ma non è lui che lo produce, è una cosa naturale e fisiologica; se un uomo o un animale invece camminano
sulla sabbia generano delle impronte che non sono state intenzionali né a scopo comunicativo ma sono comunque
state prodotte da loro  gli indizi necessitano di interpretazione.

II. CARATTERISTICHE DEL SEGNO  Sono prodotti da esseri viventi, umani o altre specie animali, con l’aggiunta di
tutti i sistemi inventati dagli uomini con la finalità specifica di assolvere una funzione comunicativa (segnaletiche,
sistemi di allarme, ecc.)
 Intenzionalità: i segni sono realizzati secondo le regole previste da un codice (le lingue, i linguaggi
degli animali, ecc.)
 sistema di segni: quelli nei quali non occorre l’applicazione di un codice dall’esterno perché le
potenzialità semiotiche si rivelino (le lingue sono sistemi naturali, in quanto dipendono da una facoltà
innata negli umani, e sono insieme storico-naturali, in quanto vengono imparate con l’inserimento in un
qualche tessuto familiare, sociale, nazionale

III. Che cos’è un codice?


Un codice (sistema di segni) è l’insieme delle regole e delle istruzioni in base alle quali un segno è costruito e/o
riconosciuto come tale dai suoi utenti La conoscenza di un codice permette di:
- produrre segni con le stesse caratteristiche morfologiche
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- riconoscere un segno come segno di quel sistema semiotico
- circoscrivere i segni estranei al proprio sistema
- indicare (con restrizioni più o meno forti a seconda del caso) le modalità di combinazione dei segni tra di loro
- stabilire le corrispondenze fra elementi espressivi ed elementi di contenuto

Un codice non è sempre traducibile in altri codici:


I codici artificiali sono sempre sottoinsiemi di codici storico-naturali  le lingue sono quasi sempre intertraducibili
(es. sistema numerazione autobus si riferisce a una città specifica ma è traducibile) // mentre da specie a specie
vivente si riscontrano barriere naturali non superabili in quanto i relativi codici sono legati a un’organizzazione
specifica della conoscenza del mondo mediata dalla percezione che ogni specie ha dell’ambiente.
Distinguiamo tre tipologie di codici:
1) CODICI STORICO NATURALI
I linguaggi o codici storico-naturali si dicono così perché hanno una doppia componente:
INNATA, iscritta nel patrimonio genetico (DNA). È la facoltà del linguaggio, ovvero la capacità di associare
significanti e significati (soglia utile all’apprendimento fra i 7e gli 11 anni, detta “periodo critico”)
APPRESA, dipendente dall’educazione sociale e dall’ambiente in cui si cresce: la singola lingua, il singolo sistema
gestuale ecc. che si apprende (italiano, cinese, spagnolo …)
2) CODICI NATURALI ovvero i sistemi di comunicazione degli animali - non umani (ad es. il linguaggio delle api, la
comunicazione olfattiva nei cani, il sistema di corteggiamento dei pinguini ecc.)
3) CODICI ARTIFICIALI ovvero dispositivi fabbricati dagli esseri umani, nei quali sono implementati dei procedimenti
comunicativi (ad es. sistemi di allarme, segnaletiche, dispositivi di rilevamento dell’umidità, dei movimenti
geologici ecc.)

IV. I segni da Ippocrate a Saussure


La nozione di segno nasce nell’antica Grecia in relazione ad arti antiche 
- pratica medica (Ippocrate, Galeno): il medico è il “semeiotico” perché sa attribuire significato alle manifestazioni
fisiche di una patologia
Medico Ippocrate di Cos (400 a.C. circa), diagnosticava le patologie tenendo conto di vari fattori inerenti
all’individuo (gli umori) e delle condizioni dell’ambiente in cui egli viveva, in modo da stabilire un rapporto
attendibile fra “antecedenti” e “conseguenze”
Il medico opera dunque un’interpretazione di un segno naturale, secondo un meccanismo di tipo inferenziale
- divinazione: gli indovini leggono eventi naturali come segni di volontà superiori
- fisiognomica: tratti fisici come significanti del carattere
Scuola di Aristotele - fisiognomica es. distinzione individuo coraggioso: capelli ispidi, portamento eretto, ventre
sporgente // codardo: capelli morbidi, fisico rilassato, occhi spenti

Agostino di Ippona – grande studioso, pioniere della riflessione in maniera moderna sulla nozione di segno

De doctrina christiana
 Segni che significano per natura (naturalia) non hanno alcuna volontà di significare (come l’espressione del volto),
ma grazie all’osservazione e all’esperienza un uomo attribuisce un significato
 Segni che significano per intenzione (data)
un gesto o un sorriso particolare vengono utilizzati da un individuo per comunicare ad un altro le proprie
intenzioni;
anche gli animali utilizzano segni intenzionali: es. il gallo quando trova il mangime, con la voce segnala alle galline
di accorrere.
 Segni che significano per convenzione (Es: linguaggio dei sordomuti o il BRAILLE)

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Grazie ad Agostino viene formulata la prima definizione scientifica di segno: “Qualcosa che sta per qualcos’altro
per qualcuno in certe circostanze”

Esempi:
Segnaletica stradale: esempio di sistema dei segni creato dagli esseri umani con precisa finalità comunicativa
(regolare circolazione);
Il gesto del saluto è una manifestazione fisica che veicola il saluto (ciao/arrivederci) 
Agostino specifica che perché questo segno significhi un saluto è necessario qualcuno che lo interpreti come tale 
Il segno esaurisce la sua funzione solo a fronte di utenti che conoscono il codice in cui si inserisce e ne fanno uso .
Anche gli animali usano segni, la comunicazione umana avviene attraverso l’utilizzo di segni di diverso tipo MA il
primato appartiene alla parola - gli esseri umani hanno capacità di inventare codici di comunicazione artificiali.
Agostino sostiene che il linguaggio verbale sia diverso dagli altri linguaggi perché più potente di essi: le parole
riescono ad esprimere e in qualche modo a tradurre tutti i sensi degli altri linguaggi.

Agostino // Saussure
Agostino: un individuo ha una parola (verbum) dentro di sé e per comunicarla ad un suo simile utilizza il suono
della voce, per potergliene trasmettere il significato (intellectus)
Saussure: parla di circuito delle parole, un individuo A associa dei concetti (fatti insiti nella sua coscienza) a dei
segni linguistici o a delle immagini acustiche prima di esprimerli a B (langue/parole)
Fenomeno psichico caratterizzato da un processo fisiologico: il cervello di A trasmette un impulso (correlativo
all’immagine acustica) all’organo fonatorio (la bocca) e tramite questo esso viene trasferito all’orecchio di B;
quindi si ripete in B., in modo inverso, il processo di A. (l’impulso parte dall’organo fonatorio e arriva al cervello,
per poi essere associato al concetto corrispondente).

Entrambi i pensatori ritengono il segno un’entità a due facce (una mentale e una fisica, oggetto di “trattamento”
da parte degli organi di produzione), ma c’è un’importante differenza:
- Agostino ritiene che la voce generi un significato in modo diretto (il pensiero viene “colato” in una forma fonica)
- Saussure aggiunge che, prima di determinare un significato, la voce deve essere associata a un’immagine mentale.
Distingue il segno linguistico in due realtà: quella fisicamente percepibile (il suono della voce) e quella mentale
che è quindi composta da un’immagine acustica (il significante) e da un concetto (il significato)  è solo grazie al
piano mentale che i segni diventano comprensibili.
Da non trascurare quindi è la scommessa interpretativa compiuta da ogni singolo individuo, nel ricevere un
segnale fonico e associarlo al significato che soggettivamente ritiene più opportuno.

2. L’oggetto della semiotica


 Stabilire che cosa si intende esattamente per segno e individuare un metodo di analisi adatto a tale obiettivo
Secondo vari studiosi:
1. Charles Morris  la semiotica si occupa dello studio degli oggetti che partecipano alla semiosi, questa dipende
dal fatto che qualcuno interpreti qualcosa come segno  chiedersi cosa sia segno oppure no, non ha senso poiché
tutto può diventarlo in presenza dell’interpretazione.

2. Sebeok (biologo di formazione)  Nella visione di Sebeok, come nella biosfera vi sono forme di vita legate alla
produzione (le piante), altre legate all’ingestione (gli animali) e altre dedite alla decomposizione (i funghi), allo
stesso modo il processo semiotico è caratterizzato da:
- produttori dell’oggetto semiotico
- gestori dei segni che istituiscono il meccanismo di rinvio
- decompositori, gli interpretanti che elaborano il processo e permettono alla semiosi di ripartire di nuovo.

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3. Umberto Eco: non si può asserire che tutta la cultura sia di per sé semiosi, ma lo diventa solo quando vi è un
processo di significazione (che si verifica, a sua volta, solo se esiste un codice). Codice possono esserlo quindi i
sensi, il campo medico, i miti o le arti.

4. Saussure parla di “una scienza che studia la vita dei segni dell’ambito della vita sociale” che lui definisce
semiologia. Secondo questo pensiero, vanno messi sullo stesso piano i linguaggi storico-naturali (lingue parlate,
lingua dei sordomuti e sistemi di scrittura) e tutte le altre forme di comunicazione (quali i segnali militari o tutti gli
altri riti simbolici).
5. ≠ Barthes: non ha senso mettere sullo stesso piano il linguaggio verbale e le altre forme di comunicazione, tutte
le forme di comunicazione hanno bisogno, per funzionare, di trovare riscontro nella parola. Quindi, la linguistica
sarebbe l’ossatura su cui si basano tutti gli altri sistemi di segni / MA limitativo perché nega la specificità dei vari
linguaggi riducendoli tutti al linguaggio verbale.

6. Luis Prieto condivide con Eco l’idea che la significazione stia alla base della comunicazione, specificando però
che essa acquista valore solo se basata su indici convenzionali (come i comportamenti sociali) che sono ritualizzati
nell’uso  la ritualizzazione fa scattare la connotazione (cioè qualcosa acquista significato).

 Connotazione indica quelle pratiche semiotiche che selezionano determinati segni in base al fatto che, in un
contesto dato, essi fungano, nel loro insieme, da significanti di altri segni, che avranno per significato elementi
aggiuntivi rispetto al puro valore denotativo, letterale e referenziale, dei segni di parte.

3. La comunicazione e i suoi equivoci

I. Un modello elementare

Modello di Shannon 
Secondo Shannon il processo comunicativo avviene in questo modo: un mittente trasferisce un messaggio a un
destinatario (sia il primo che il secondo soggetto possono essere uomo, animale o macchina). Affinché esso sia
condiviso dalle parti in gioco, è necessario che sia formato da componenti (segni) basate su regole precise (che
formano il codice). E’ necessario quindi che venga utilizzato un canale fisico per trasferire il messaggio (il canale
fonico-uditivo per trasmettere la voce, oppure quello grafico-visivo per trasmettere la scrittura) e bisogna tener
conto del contesto in cui la comunicazione si realizza, perché esso influenza parecchio la scelta del codice (tra
amici si parla in modo rilassato, mentre in aula, davanti a un professore, si utilizza un linguaggio ricercato).

Modello di Jakobson 
Tale modello è stato poi rielaborato negli anni sessanta dal linguista russo Roman Jakobson:
non basta prendere in considerazione i sei elementi della comunicazione citati da Shannon (mittente, messaggio,
destinatario, codice, canale, contesto) ma bisogna anche capire qual è la funzione che essi svolgono (e ognuna di
queste può assumere un rilievo maggior rispetto alle altre)
• mittente (o locutore, o parlante) che è colui che invia
• messaggio che è l'oggetto dell'invio
• destinatario (o interlocutore), che riceve il messaggio, il quale si riferisce a
• contesto (che è l'insieme della situazione generale e delle circostanze particolari in cui ogni evento comunicativo è
inserito). Per poter compiere tale operazione sono necessari
• codice che risulti comune a mittente e destinatario (ad esempio, tra due italiani la lingua italiana), e
• contatto (o canale) che è una connessione fisica e psicologica fra mittente e destinatario, che consenta loro di
stabilire la comunicazione e mantenerla.

Ogni scambio comunicativo include necessariamente tutti e sei i suoi componenti; volta per volta, tuttavia, uno di
questi componenti assume una posizione di salienza:
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• Mittente - funzione emotiva (espressiva)  il codificatore si concentra su se stesso e sul suo atteggiamento
riguardo a quello di cui parla (ad es. interiezioni, espressioni di stati d’animo)
• Messaggio - funzione poetica  attenzione posta sul messaggio. L’emittente costruisce il messaggio in modo che il
destinatario sia attirato dal modo in cui il messaggio viene costruito; l’attenzione verte sul testo concretamente.
prodotto, esaltato dalla peculiarità dei segni impiegati (ad es. una metafora, la battuta finale di una barzelletta,
uno slogan)
• Destinatario - funzione conativa (“tendere verso…”)  Il fine è quello di condizionare il comportamento del
destinatario. Trova la sua espressione grammaticale più pura nel vocativo e nell’imperativo (ad es. una preghiera,
un ordine, una minaccia).
• Contesto - funzione referenziale  lo scopo del codificatore è unicamente un rimando diretto alla realtà
extralinguistica (esempio tabellone con gli orari del treno che ci dice unicamente la realtà in stazione in quel
momento); solo comunicare un’informazione, struttura linguistica ridotta all’osso
• Codice - funzione metalinguistica (riferita cioè al sistema dei segni, usato come lingua-oggetto)  Attenzione sul
codice. Si ha quando il mittente e/o il destinatario devono verificare se utilizzano lo stesso codice (es. “Cosa
intendi quando dici “metalinguaggio”? oppure “parli italiano?”)
• Canale - funzione fàtica (controllo della tenuta del mezzo)  Attenzione sul canale; messaggi che servono a
stabilire, prolungare o interrompere la comunicazione. Es: “pronto, mi senti?” – verificare se il canale funziona /
“allora? Mi ascolti?” – attirare l’attenzione dell’interlocutore o ad assicurarsi la sua continuità.

LIMITI DEL SISTEMA COMUNICATIVO DI JAKOBSON 

• La comunicazione viene presentata come un processo Sì/NO, senza ulteriori alternative, ma nei codici
comunicativi più potenti la dinamica comunicativa è enormemente più complessa
• La forma e il senso delle parole e delle frasi incorporano fin dal loro prodursi il punto di vista di chi ascolta
• Non è affatto detto che mittente e destinatario debbano condividere a pieno titolo il codice perché avvenga la
comunicazione: non ci si capisce mai in assoluto ma sempre e solo in relazione a determinate circostanze
• Un grave difetto del modello è che non riesce a dar conto del processo di interpretazione

L’interpretazione e il modello di Peirce  Peirce e il carattere interpretativo della semiosi umana


Come abbiamo già detto il modello di Jakobson peccava di alcuni limiti, tra cui quello della mancanza del processo
di interpretazione; Peirce la introduce sostenendo che la simmetria fra mittente e destinatario supposta da
Jakobson non ha ragione di esistere: abbiamo interpretazione tutte le volte che il comportamento di risposta ad
uno stimolo non è meccanicamente determinato; non si riduce quindi a due possibili opzioni imposte dall’esterno,
ma implica una qualche scelta; lo si può ritrovare anche nelle situazioni più semplici in cui è necessario andare a
recuperare dal proprio bagaglio di conoscenze tutta una serie di informazioni  Supponendo che il processo sia
messo in moto da un’esperienza empirico-percettiva (da un qualcosa nella realtà) la mente dell’interprete
(mittente o destinatario) reagisce producendo una lettura di questa esperienza, consistente in una sua prima
elaborazione conoscitiva e in una forma sensibile che la rappresenta; ma tale lettura si concretizza
immediatamente in una riformulazione dell’esperienza, attraverso un gesto, un comportamento, una parola,
insomma attraverso un interpretante, che pur contenendo in sé qualcosa dell’evento inziale, se ne discosta
inevitabilmente perché esso è espressione di una soggettività.
INTERPRETANTE  riformulazione di un segno da parte dell’interprete. (gesto, comportamento, parola, frase ecc.)

IL SEGNO SECONDO PEIRCE  TRIANGOLO SEMIOTICO  Un segno ha una relazione triadica con il suo Oggetto e
con il suo Interpretante. Ma è necessario distinguere l’Oggetto immediato (o l’Oggetto come il segno che lo
rappresenta) dall’Oggetto dinamico (o Oggetto realmente efficiente, ma non immediatamente presente).

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Ogni processo di comprensione si traduce nel passaggio da un interpretante ad un altro, con una continua opera
di riformulazione – interpretazione, che si avvicina all’oggetto, senza però mai coinvolgerlo (esempio: perifrasi,
traduzioni etc.). Secondo Peirce la semiosi è illimitata, come la fuga degli interpretanti.

III. Codici, strutture, contesti


Saussure esamina a fondo le strategie di formazione e di riconoscimento dei segni appartenenti a un codice, e dei
rapporti che hanno tra loro.
Sostiene che un segno non sia mai un elemento autonomo, distaccato dagli altri, ma anzi un individuo riesce a
comprenderlo solo se conosce la sua relazione con gli altri segni.
Es. nel sentire la parola “zio”, una persona la riconosce perché sa come essa si collega ad altre parole della stessa
“categoria”, quali “genitore, fratello, figlio, ecc”.
Tale meccanismo funziona anche riguardo ad altri sistemi di segni o codici (es. l’abbaiare di un cane)
 la cooperazione codice-sistema è decisiva per la definizione del significato.

Nei sistemi di segni complessi il codice è molto più di una macchina di decodifica, ma ha una sua autonomia, una
grammatica che occorre padroneggiare.

 Morris – Lineamenti di una teoria dei segni:

- Veicolo segnico = significante


- Designatum = significato
- Interprete = mittente o destinatario
- Interpretante = riformulazione di un segno da parte dell’interprete.

4. Basi naturali della semiosi


LA SEMIOSI UMANA 
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Possiamo definire la semiosi umana come una sintesi di ‘natura’ (ciò che dipende dal nostro patrimonio genetico,
iscritto nel DNA) e ‘cultura’ (ciò che, non essendo iscritto nel bagaglio genetico, viene appreso dopo la nascita
tramite l’inserimento in una società e in un ambiente). Quindi tutti i bambini hanno pari capacità di linguaggio, ma
solo la famiglia e l’ambiente insegneranno la lingua (se un figlio di italiani crescesse in Cina, parlerebbe il cinese).
La capacità naturale è frutto di un processo evolutivo cominciato circa 2 milioni di anni fa’ con le prime pratiche
simboliche degli Australopitechi, e poi proseguito e maturato grazie all’Homo sapiens sapiens che ha cominciato a
sfruttare lingue analoghe a quelle usate oggigiorno.
I gesti e i primi vocalizzi son stati sfruttati dagli Australopiteci, una comunità capace di provvedere alla caccia, alla
difesa e alla distribuzione del cibo.
Gli homo sapiens invece hanno cominciato a utilizzare forme di linguaggio “contestuale”, che permetteva loro di
muoversi al buio o scavalcare ostacoli fisici; capirono che non c’era più bisogno di usare le mani e, di conseguenza,
queste potevano essere lasciate libere per tutte le funzioni di approvvigionamento o difesa.
Probabilmente, l’acquisizione della postura eretta e la liberazione della mano da compiti di locomozione ha
proceduto di pari passo con l’elaborazione delle prime facoltà di linguaggio.
Ciò che abbiamo chiamato ‘codici’ (lingue, linguaggi gestuali, ecc.) sono invece la parte culturale del processo. Un
bambino normodotato ha alla sua nascita capacità semiotiche uguali a tutti gli altri bambini normodotati del
pianeta: ma quale lingua imparerà come materna dipenderà solo dalla famiglia e dall’ambiente sociale nel quale
Crescerà. La natura mette a disposizione della nostra specie un vero e proprio sistema operativo capace di
supportare programmi semiotici diversi. Tuttavia, diversamente dai sistemi artificiali, nell’essere umano la
capacità di sviluppare codici semiotici è a tempo: se l’insegnamento spontaneo di un codice non inizia subito
(entro i 6/7 anni), la capacità di apprendimento si spegne.

II. Basi anatomiche: l’apparato di fonazione


Nell’evoluzione del linguaggio verbale gioca un ruolo fondamentale la formazione dell’apparato di fonazione. Gli
uomini hanno ereditato dagli ominidi di circa 5 mln di anni fa un apparato respiratorio che solo col tempo si è
adattato a funzionare come apparato fonatorio.
Nei nostri antenati la laringe, parte terminale della trachea che contiene le corde vocali necessarie per la
generazione dei suoni, si trovava più in alto e quasi formava un tutt’uno con la cavità nasale. Tale posizione
impediva l’articolazione dei timbri vocalici (il neonato si trova tutt’oggi in questa condizione, perciò non riesce a
parlare).
Nell’apparato respiratorio dell’uomo moderno la laringe si è notevolmente abbassata, permettendo all’aria di
circolare facilmente e “stimolare” le corde vocali.
La diversa vibrazione delle corde ci permette di formulare lettere diverse e dare un’intonazione diversa alle
lettere. L’apparato respiratorio si è nell’uomo riconvertito in apparato anche fonatorio-articolatorio.
Questa è una caratteristica tipica della specie Homo sapiens e differenzia in modo decisivo gli esseri umani dai
“cugini” scimpanzé e bonobo, mettendoli in grado di produrre il linguaggio verbale.

III. Cervello e linguaggio


L’attività semiotica comincia nel cervello, che organizza le informazioni provenienti dall’apparato uditivo-fonatorio.
Nello specifico, è la corteccia, uno strato di cellule nervose, a “dirigere” le attività cognitive principali, quali
ricordare, vedere, capire etc.
Le informazioni vengono scambiate in forma chimica grazie ai neuroni, i quali instaurano delle sinapsi
(collegamenti); esse per una parte sono insite nella struttura originaria del cervello di un uomo, per un’altra invece
si sviluppano grazie all’ambientamento e all’educazione (processo darwiniano).
La ricerca scientifica contemporanea ha cercato di individuare quali fossero effettivamente le aree preposte
all’elaborazione linguistica (si parla di teoria localizzazionista). Un primo studioso ad aver effettuato una scoperta
rilevante è stato Paul Broca nel 1861, il quale, esaminando il cervello di pazienti affetti da afasia motoria (consiste
nella perdita della capacità di ogni emissione di linguaggio, sia esso parlato o scritto), ha sostenuto di aver
localizzato l’area addetta alla produzione del linguaggio; un altro studioso invece, il tedesco Karl Wernicke, nel
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1874 esaminò il cervello di pazienti affetti da afasia sensoriale e ipotizzò di aver individuato l’area addetta alla
comprensione.
Sulla base di tali ricerche è stato quindi appurato che l’emisfero sinistro del cervello è responsabile della capacità
linguistica.
Metodo di analisi PET (tomografia a emissione di positroni): permette di osservare quale area si attivi in seguito a
“stimolazione” linguistica. Ad esempio, in seguito a visione passiva o produzione di parole, si sono attivate aree
diverse da quelle di Broca e Wernicke.
Il linguaggio ha una precisa funzione conoscitiva = il processo che noi chiamiamo pensiero si avvale di simboli per
manifestarsi. Questi simboli (un esempio classico sono il patrimonio di parole che i bimbi assimilano durante i
primi anni di vita) lo rendono stabile e gli permettono di ancorarsi a valori socialmente condivisi.

TEORIA DELLA PLASTICITA’  È probabile che molte funzioni cognitive , fra cui il linguaggio, si avvalgano della
collaborazione di varie e distinte parti della corteccia, e che anche le zone più antiche del cervello abbiano a che
fare con esso (come il sistema limbico, che regola le nostre emozioni)

IV. Formatività del linguaggio


Funzione conoscitiva = il processo che noi chiamiamo pensiero si avvale di simboli per manifestarsi. Questi simboli
(un esempio è il patrimonio di parole che i bimbi assimilano durante i primi anni di vita) lo rendono stabile e gli
permettono di ancorarsi a valori socialmente condivisi.
Formatività  L’idea che il linguaggio (verbale e non) sia non solo lo strumento del pensiero, ma in un certo modo
il dispositivo che innesca quest’ultimo, può essere espressa col concetto di formatività.
Il primo a formulare tale concetto è stato il linguista tedesco Von Humboldt: il linguaggio è l’organo che forma il
pensiero. Questo si manifesta mediante il suono e in tal modo viene percepito dai sensi. Tale attività è un tutt’uno
col linguaggio, e quindi essi risultano inseparabili.
L’uomo si avvale di un mondo di suoni per poter elaborare la propria lingua e tale processo, naturalmente, è
differente fra un popolo e l’altro.
Ferdinand de Saussure sviluppa il concetto di formatività in quello di arbitrarietà radicale - riguarda il modo in cui
le lingue dividono su due piani il materiale fonico e quello concettuale:
Su entrambi i piani vengono proiettati dei limiti che determinano arbitrariamente il suono e il significato delle
parole. Essendo un processo di delimitazione arbitraria, è sempre differente (es. sul piano fonologico, mentre nel
latino la lunghezza delle sillabe permetteva di differenziare il senso delle parole, in italiano, che la “a” contenuta in
una parola si pronunci lunga o breve non fa differenza. Sul piano del significato, mentre nel tedesco si usa il
termine neutro “Geshwister” per indicare il fatto che due persone siano figli degli stessi genitori, in italiano si usa
il termine maschile fratelli).
= vi è una formazione arbitraria, dipendente da ragioni storico culturali, delle parole; vi sono in pratica delle forme
(pertinenze, caratteristiche scelte dalle comunità parlanti, quali i fonemi da attribuire alle lettere) che
conferiscono loro una certa sostanza.
LA TEORIA DEI PROTOTIPI  La teoria dei prototipi fu elaborata da Eleanor Rosch negli anni settanta per spiegare
in che modo categorizziamo gli oggetti. Un concetto si definirebbe tramite la presenza o assenza di un tratto
definitorio (un triangolo non è un esagono, ecc.); tuttavia, in moltissimi settori dell’esperienza cognitiva umana, il
criterio per includere o no un dato oggetto nell’estensione di un concetto non è di tipo binario (sì/no), ma di tipo
graduale (più/meno).
Prototipico è, volta a volta, il membro percepito come più centrale della categoria, sul cui modello si orientano i
giudizi di appartenenza. La categoria prototipica illustra come si delineano le classi estratte (concetti) in cui
consistono fonemi e significati. Inoltre l’appartenenza di un’entità ad un certo significato linguistico viene data da
una “somiglianza di famiglia”. Anche per significati di genere naturale (sedia, veicolo ecc.) si ha una gamma di
risposte sensibili a fattori culturali. La psicologa statunitense Eleanor Rosch ha spiegato, negli anni sessanta, in che
modo categorizziamo le parole, cioè facendo riferimento a dei prototipi.
È stato dimostrato che nel riconoscimento di un concetto, un uomo non compie una scelta drastica (dicendo si o
no) ma graduale (più o meno). Quindi si sceglie il prototipo, l’elemento che ha il maggior numero di caratteristiche
in comune con una data categoria.
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5. Proprietà semiotiche fondamentali
5.1 – ARBITRARIETA’ - Arbitrarietà Verticale (o debole)
La semiotica ha … proprietà fondamentali, che caratterizzano la semiosi naturale mediante la loro presenza o
assenza.
Nella concezione moderna (Saussure, Hjelsmev, De Mauro) si è arrivati a distinguere diversi tipi di arbitrarietà:
 Tra segno e referente  Non c’è alcun legame naturale né di derivazione l’uno dall’altro tra un elemento della
realtà esterna (referente) e il segno nella sua interezza (significante + significato) cui questo è associato –
arbitrarietà esterna.

 Tra significato e significante 


Non c’è nessun legame naturalmente motivato, connesso alla natura o all’essenza delle cose, tra il significante ed
un significato di un segno.
Il significante /3/ del sistema della cifrazione araba è legato in maniera immotivata al significato (concetto) “tre
volte l’unità”, tanto è vero che in altre lingue è indicato da diversi significanti.
Il significante /cane/ è solo convenzionalmente e immotivatamente legato al significato (concetto) “cane”, tanto è
vero che in altre lingue è indicato da diversi significanti: dog, chien, kalb.
Quindi il significato (il concetto di cane come “animale quadrupede, domestico, ecc.”) è legato in maniera
immotivata a un particolare significante, ovvero a una particolare sequenza di fonemi, di suoni di una lingua.
 Nella organizzazione interna del significato, tra forma (sistema di distinzioni) e sostanza (materia) del
significato, si istituiscono rapporti non determinati dalla natura, ma ritagliati secondo organizzazioni proprie di
ciascuna lingua, dipendenti esclusivamente da ragioni storico-culturali.
L’esempio classico è nell’ambito semantico del bosco e affini su come diverse lingue suddividono i segni:
Italiano: bosco, legno, legna
Francese: bois “bosco-legno-legna”
Tedesco: Wald “bosco”; Holz “legno-legna”
Italiano andare
Tedesco gehen “andare a piedi” fahren “andare con mezzo”
 Nella organizzazione interna del significante (Hjelmslev, Saussure) le lingue organizzano liberamente, senza
alcuna costrizione, la scelta del materiale fonico (la strutturazione formale dei fonemi).
In alcune lingue dunque un insieme di suoni sarà pertinente e cioè distinguerà parole diverse, mentre in altre
lingue non avrà questo potere: ad esempio nel latino classico la quantità sillabica ha valore distintivo e consente di
differenziare sensi (es. PŎPULUS popolo; PŌPULUS pioppo PĂLUS palude; PĀLUS palo LĔVIS leggero; LĒVIS liscio)
mentre in italiano tale valore è stato perso e il fatto di pronunciare lunga o breve la o di /popolo/ non ha alcuna
rilevanza semantica

Il segno linguistico è arbitrario poiché l’associazione tra espressione e contenuto (significante e significato) non è
motivata né da un punto di vista logico né naturale.

Le eccezioni dell’arbitrarietà sono quei segni linguistici che appaiono parzialmente motivati: LE ONOMATOPEE.

Arbitrarietà radicale 
= oltre ad essere arbitraria l’associazione tra significante e significato (arbitrarietà debole o verticale), il segno è
RADICALMENTE ARBITRARIO poiché anche i significanti e i significati si formano arbitrariamente.
Nelle lingue è arbitrario anche il rapporto tra un significante e gli altri significanti e tra un significato e gli altri
significati.
Ciò implica che la classificazione dell’esperienza contenuta nelle singole lingue è arbitraria: non c’è nessuna
motivazione per cui i significanti o i significati debbano essere organizzati in un modo piuttosto che in un altro.

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5.2 - CONVENZIONALITÀ
Attribuzione volontaria e socialmente stipulata di un certo significante a un certo significato e viceversa. Il
meccanismo della convenzionalità si applica in toto e ad ogni tipo di lingua formalizzata (come le simbologie della
chimica). Trova applicazione anche nelle segnaletiche (ad esempio è frutto di convenzione internazionale il fatto
che i divieti di superare certe velocità siano indicati da un numero nero scritto su campo bianco all’interno di una
struttura circolare dal bordo rosso).

La convenzionalità non va confusa con l’arbitrarietà né con l’iconicità: vi sono anche codici convenzionali non
arbitrari (iconici) e codici arbitrari ma non convenzionali (come il codice linguistico all’origine)

5.3 - ICONICITÀ
Le icone sono segni che rinviano per somiglianza ad oggetti o eventi della realtà e sono frutto di abitudini e
convenzioni sociali.
Peirce distingue tre tipologie differenti di segni.
- INDICI: hanno vicinanza, contiguità fisica con l’oggetto a cui si riferiscono (segni ‘naturali’ es. orma/piede)
(es: una mappa rispetto al territorio che rappresenta)
• IPOICONE: hanno un rapporto di similarità (likeness) con gli oggetti cui si riferiscono, qualità in comune
(ritratto)
• SIMBOLI: hanno un rapporto stabilito per convenzione con l’oggetto a cui si riferiscono (es. parole) Tuttavia secondo
Peirce, ogni segno è un po’ icona, un po’ indice e un po’ simbolo.
L’iconicità non si risolve in un dato visivo, infatti Sebeok spiega che un’icona può essere un dipinto, una formula
algebrica o qualche specie animale che fa uso di segnali iconici.
Sappiamo anche che la maggior parte delle parole di una lingua sono arbitrarie, ma se lo fossero tutte sarebbe
impossibile memorizzarle  l’iconicità interviene su questo limite introducendo strategie di motivazione che
rendono la lingua più ricordabile.

5.4 - ARTICOLATEZZA E COMBINATORIETÀ - Le potenzialità del codice


Articolatezza 
Un segno può essere articolato o meno a seconda che il suo significante sia scomponibile o no in unità più piccole.
Vi sono numerosi codici provvisti di articolatezza del segno. Solo codici elementari, come le spie luminose, non
hanno tale proprietà.
Non articolato - Giallo, rosso e verde del semaforo.
Articolato - Numerazione araba, in cui i segni possono essere combinati per creare altri segni. Es. 2 e 5 possono
essere combinati per creare 25.
L’articolatezza conferisce economia e potenza al codice: le lingue verbali sono riccamente articolate  grazie a
tale proprietà esse possono, con pochi elementi, formare tutte le possibili parole.
Tutte le unità minimali utilizzate devono essere differenti tra di loro, in quanto un codice funziona per opposizioni.
Anche i gesti che noi uomini facciamo hanno carattere articolatorio/combinatorio: ad esempio se portiamo la
mano sulla pancia compiendo un movimento rotatorio, vogliamo indicare a qualcuno che abbiamo fame.

Doppia articolazione 
Moltissimi segni linguistici sono segmentabili in parti minori, dotate di una forma significante e portatrici di
significato (morfi). A loro volta i morfi si segmentano in unità più piccole (sillabe) e le sillabe in tipi fonici (fonemi).

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Tali segmenti possono combinarsi variamente tra loro, nel rispetto di determinate regole sintattiche Linguista
francese Andrè Martinet:
1. Articolazione in fonemi (o seconda articolazione)  unità minime prive di significato e che sono il frutto
della radicale arbitrarietà delle lingue
2. Articolazione in monemi (o prima articolazione)  unità più piccole delle parole, dotate di senso.
Ogni monema è un segno suscettibile di entrare in molteplici combinazioni
Non è esclusiva del linguaggio verbale (v. numeri e cifre degli autobus, linguaggio di alcuni scimpanzè)
 La doppia articolazione consente flessibilità nell’arricchimento del lessico e nella formazione di unità superiori alla
parola

5.5 - RIDONDANZA  La ridondanza è la sovrabbondanza di segni o delle parti di cui i segni sono composti,
e sono:
1. Ridondanza lessicale  diversi segni, ma stesso o simile significato (es. casa, abitazione, dimora..)
2. Ridondanza morfologica  multipla segnalazione di un tratto morfologico, ad esempio “le scarpette rosse
delle ballerine sono belle”  sei segnalazioni di ripetizione del genere femminile plurale.
3. Ridondanza fonetica  Ad esempio nell’italiano abbiamo 30 fonemi; ne basterebbero meno ma servono a
distinguere più facilmente un segno dall’altro (ad es. in un contesto rumoroso).

5.6 - VOCALITÀ/UDITIVITÀ  vocalità ed uditività non possono dirsi proprietà specie-specifiche  segni
trasmessi tramite la voce e recepiti tramite l’udito.
N.B.  Proprietà condivisa da altri codici (linguaggio di certi mammiferi superiori) ma proprietà non
necessariamente presenti nelle lingue (campo della lettura e scrittura).

5.7 - INDICATIVITÀ/SEMANTICITÀ  indicatività e semanticità non possono dirsi proprietà specie-specifiche 


I segni indicano una qualche realtà e veicolano un significato, offrendo un senso a quella determinata realtà
N.B.: E’ una proprietà presente in altri codici (es. cane poliziotto)

5.8 – CREATIVITÀ  Un codice si dice creativo se ha la capacità di modificare le sue condizioni iniziali senza
smettere di funzionare

a. Creatività regolare (generativa)  conduce al variare (diminuire/aumentare) del numero dei segni di un codice
sulla base delle regole di combinazione dei segni di cui il codice dispone - un codice può arricchire in modo
illimitato il suo sistema di segni, senza modificare le sue regole di base.
Una lingua verbale fa un largo uso della creatività regolare - linguaggio usato dai bambini per esprimersi: quando
un bambino di 3 anni dice ripetutamente “aprito” invece di “aperto” non sta sbagliando, si è già impadronito della
regola per cui i verbi in –ire, costruiscono il participio passato in –ito.

b. Creatività non regolare


Si tratta di un tipo di creatività che permette di far rientrare nella ‘normale’ attività semiotica i processi di scambio
comunicativo, di produzione di senso, di comprensione in presenza di violazione delle regole ‘normali’.
In relazione alle parole, Il fenomeno è noto come <<mutamento lessicale>>.
Variando tra contesti e situazioni della quotidianità, il senso delle parole può essere creativamente alterato in
modo radicale  metti un tigre nel motore invece che una tigre.

c. Creatività di regole  consiste nel riformare interi pezzi di codice, aggiungendo o togliendo regole senza che
questo cessi di funzionare (es. continui aggiornamenti per il computer)
Tale proprietà è molto applicata anche nelle lingue verbali

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 es. connettivo “che”, di solito usato nella lingua italiana come proposizione dichiarativa o come pronome
relativo  Pensiamo a frasi come: “Domani è il giorno che ho lezione” “Ti presento Mario, il ragazzo che studiamo
assieme”. queste ovviamente presentano delle infrazioni che il più delle volte non vengono percepite come tali ed
anzi, vengono usate anche nel linguaggio scritto. In tal caso si parla di “che polivalente”.

5.9 – METALINGUISTICITA’
 Non è una proprietà specie-specifica: si pensi alla gestualità o alla lingua dei segni
Le lingue fanno largo uso di tale proprietà per disciplinare l’uso delle parole. Esempio: Una lingua L1 può essere
usata per veicolare l’insegnamento di L2; in questo caso L1 è il metalinguaggio dell’apprendimento.
Le lingue parlano di sé anche nella vita quotidiana al fine di trovare punti d’accordo per migliorare la
comprensione. Si pensi ad espressioni quali “Cosa vuol dire quando dici deluso?” oppure “attento a come parli”.
La metalinguisticità riflessiva permette di manipolare la sfera semantica di un discorso e di migliorare così lo
scambio comunicativo.

5.10 – VAGHEZZA  Tale proprietà fa sì che significato e significante di ciascun segno linguistico siano degli
insiemi
aperti, continuamente ampliabili o restringibili, di sensi e di espressioni. Per arrivare alla vaghezza si parte dalla
creatività non regolare; tale fenomeno si applica per il fatto che la lingua è un fenomeno intrinsecamente vago.
Possiamo avere:
1. Vaghezza nel significato  risemantizzazione, svuotamento di significato (es. Drone che viene da un insetto)
2. Del significante  uno stesso segno può essere scritto e/o oralmente trasmesso in vari modi (es. SILENZIO! –
silenzio – Silenzio – silenzio)
Disponibilità all’innovazione; necessità di rinnovamento tra utenti di uno stesso codice. La vaghezza è anche
presente nel linguaggio dei gesti; essa però non è una proprietà necessariamente presente nelle lingue in quanto
porzioni di esse presentano gradi di vaghezza molto bassi  esempio: triplice fischio dell’arbitro nel calcio = fine
partita
N.B.: Se vaghezza e creatività non regolare dominassero le lingue ci sarebbe rischio di incomprensione.

6. Sistemi di scrittura e testualità

I. La funzione semiotica della scrittura


Con il termine scrittura intendiamo l’insieme di strategie e di tecniche inventate dall’uomo nella storia, al fine di
fissare il linguaggio parlato e trasmettere nella società pensieri, idee, esperienze. Inizialmente il linguaggio era
fissato in determinati contesti.
Prima dell’avvento della scrittura (comparsa nel IV secolo a.C. in Mesopotamia, e qualche centinaio d’anni più tardi
in Egitto), il linguaggio umano era totalmente espresso attraverso lo scambio comunicativo  le parole erano
l’unico sistema che un individuo aveva per poter trasmettere il proprio pensiero. - l’arte della retorica rivestiva un
ruolo di fondamentale importanza nella società antica.
La scrittura ha però introdotto una risorsa semiotica da non sottovalutare: ha offerto alla memoria umana un
supporto esterno, consentendole di estendersi in grandi proporzioni.
Inoltre ha permesso, grazie a un processo di selezione ortografica, di conservare per lungo tempo e trasmettere
testi. Il segno scritto non solo fissa una conoscenza altrimenti labile, ma retroagisce nella mente umana
consentendole di ricostruire contesti, impostare problemi, prendere decisioni.
Tuttavia la scrittura introduce nel discorso una “formalità” maggiore rispetto al parlato. Dovendo infatti funzionare
senza mittente essa è costretta a rendere espliciti tutti quei riferimenti che conversando a tu per tu possono
rimanere nel “non detto”.

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Scrittura e grammaticalizzazione della lingua vanno storicamente di pari passo (GR gramma = “scritto”) - la
grammaticalizzazione raggiunge il suo apice con l’invenzione della stampa.

II. Tipi di scrittura


Una delle forme più antiche di scrittura è sicuramente quella dei pittogrammi = immagini, somiglianti a oggetti del
mondo reale, che conferiscono un determinato significato a un segno.
 geroglifici egiziani, immagini “stampate” mediante tecniche di incisione della pietra o sui papiri.
In mancanza di un alfabeto, un geroglifico esprimeva il suo significato attraverso il sistema del rebus: ad esempio,
il disegno di una rondine poteva esprimere il concetto di grandezza.
L’alfabeto (probabilmente diffusosi nell’Asia anteriore nel II° millennio a.C.) ha invece facilitato di molto
l’espressione del significato: infatti, con un numero limitato di simboli, grazie ad esso, è possibile costruire un kit
molto vasto di parole di una lingua, e di inventarne anche delle nuove.
 la scrittura “alfabetica” dipende molto dall’oralità: i grafemi servono a evocare i suoni corrispondenti.

III. Testo e ipertesto


L’ipertesto è «un testo composto da blocchi di parole (o immagini) collegate elettronicamente secondo percorsi
multipli, catene o percorsi (trails), in una testualità aperta e sempre incompiuta descritta dai termini
‘collegamento’
(link) o rete (network). Il messaggio che un testo offre non si presenta più nella forma lineare tradizionale (come in
un libro), ma in una forma pluriplanare, dove quasi da ciascun punto si può risalire a informazioni, commenti,
integrazioni, approfondimenti situati ad altri livelli testuali cui si ha accesso mediante link.
Rappresenta un’apertura verso un’infinita enciclopedia fatta di conoscenze verbali e di conoscenze che si
esprimono con linguaggi diversi che vanno dalle immagini ai numeri  oggi si parla di IPERMEDIA
La chiave di lettura dell’ipertesto è la parola ed è da questa che deriva o proviene ogni tipo di documento e
informazione che a sua volta si basa sulla parola che permette la sua lettura e comprensione. Gli ipertesti non
fanno altro che riprodurre su larga scala una procedura di conoscenza che sta tutta dentro la mente umana,
simulandone il funzionamento e rendendolo meglio osservabile.

7. La semiotica del testo


DEFINIZIONE DI TESTO DALLA PROSPETTIVA LINGUISTICA  Un testo è ogni unità linguistico-verbale che, inserita
in precise coordinate geo-sociali e di registro, realizzi compiutamente una funzione comunicativa:
• Varietà linguistica: un testo può essere standard, tecnico-scientifico, colloquiale, regionale, dialettale, ecc. (nel
caso dell’italiano)
• Livello di formalità (o registro)
• Il mezzo impiegato, che condiziona l’organizzazione interna del testo. Un testo orale può ad esempio permettersi
ellissi e sconnessioni recuperabili mediante l’interazione faccia-a-faccia dei parlanti; una produzione scritta sarà
più controllata e strutturata; e così via …
COESIONE E COERENZA  Forze che consentono al testo di funzionare nelle condizioni e alle finalità semiotiche
del caso; coesione e coerenza concetti non assoluti.
 Coesione dei mezzi formali di un testo
 Coerenza o unità tematico-logica dei suoi contenuti
 Rendono coeso un testo tutte le componenti che lo fanno linguisticamente ‘stare assieme’: le marche di
genere, le desinenze, ecc.
 Rendono coerente un testo tutti i dispositivi che gli garantiscono unità semantica: gli indicatori
coreferenziali, ecc.

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ANALISI SEMIOTICA E ANALISI LINGUISTICA DI UN TESTO  L’analisi semiotica di un testo si differenzia da
un’analisi di tipo linguistico perché quest’ultima può prescindere dal contorno comunicativo, la prima non può
farlo in nessun caso.
APPROCCI ALL’ANALISI SEMIOTICA DI UN TESTO 
1. Approccio storico-filologico: questo approccio presuppone gli strumenti della filologia e della storia della
lingua: dati linguistici il più possibile estesi e differenziati socialmente e culturalmente, vocabolari, grammatiche
storiche, ecc.
2. Approccio orientato alla fruizione: sposta l’attenzione dai meccanismi di composizione dell’autore e dell’opera
ai meccanismi di fruizione del testo. Fruizione implica un ruolo non passivo da parte di chi legge o ascolta; e
implica che il senso del testo in un certo senso si riproduca ogni qual volta che quel testo viene preso in
considerazione dai suoi tanti possibili lettori, di epoche e livelli socio-culturali diversi.
LETTURA ED INTERPRETAZIONE DEL TESTO  Il lettore collabora alla costruzione del senso del testo
focalizzandone elementi e dando loro unità anche in maniera non prevedibile dall’autore. Si tratterebbe di un
qualcosa di fisiologico, originato dal carattere semiotico del processo di lettura, legato dunque alla necessaria
asimmetria del fruitore, con la sua enciclopedia culturale, le sue propensioni, il suo sistema di attese, rispetto
all’autore.
la teoria della ricezione  interessa le modalità con cui i testi vengono letti e interpretati
Ciò si può fare:
1. In chiave storica, indagando la gamma di sensi e di percorsi interpretativi, accumulatisi sullo stesso testo col
passare delle epoche;
2. in chiave fenomenologica e sincronica, focalizzando i meccanismi che il singolo lettore mette in opera nel
processo di lettura.

Analisi semiotica del testo letterario 


Occorre distinguere fra l’autore materiale del testo (con certe caratteristiche storiche, certe convinzioni
ideologiche, certe idee sull’arte, ecc.), il narratore (che è già una figura del testo, e che può assumere posizioni
distinte: quella di voce narrante, di terza persona, ecc.); il destinatario atteso, il lettore implicito (Iser) o modello
cui il testo rivolge i suoi appelli, e il lettore reale, storicamente determinato, che ne raccoglie il messaggio nella
realtà e ne sviluppa autonomamente il valore. In mezzo a queste quattro figure sta il testo, che assumerò senso in
base alle relazioni che tali figure stipuleranno nel tempo.

7. Linguaggi naturali fra continuità e discontinuità


Il problema della continuità/discontinuità della semiosi fu posto da Charles Darwin  sosteneva che la semiosi è
una proprietà condivisa da gran parte se da non tutto il mondo animale.
Ricerche recenti sono giunte a importanti conclusioni:
I) ogni tipo di semiosi dipende dall’analisi dell’ambiente che le specie possono fare, grazie al proprio sistema
percettivo. Ogni specie vede e interpreta in modo diverso.
II) tutti i sistemi percettivi devono abilitare gli esseri viventi ad almeno un’operazione fondamentale per la
sopravvivenza. Tale operazione è quella di stabilire identità e differenze applicando il criterio della pertinenza che
consente di dividere il mondo in due classi: ciò che è utile alla sopravvivenza e ciò che invece non lo è.
III) i limiti del sistema percettivo stringono ogni specie al suo mondo. Si parla di riferimento o aggancio al mondo:
ogni linguaggio parla di un mondo = grazie ai suoi segni ciascun individuo di una specie è in grado di individuare
nel suo mondo gli oggetti utili.
Il linguaggio umano si differenzia da quello di altri animali non per la presenza di una caratteristica specifica, bensì
per la compresenza di proprietà che le altre specie presentano solo separatamente.

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Alcune ricerche hanno però dimostrato che le strutture cerebrali e la loro plasticità nel funzionare consentono un
vero e proprio salto evolutivo che si nota confrontando le capacità semiotiche della più abile delle scimmie con
quelle di un bambino di pochi anni.

8. COSA DOBBIAMO INTENDERE PER MENTE?


La mente 
Dato che la semiosi (non il linguaggio verbale) è così largamente diffusa nel mondo animale, altrettanto diffusa
deve essere una qualche capacità di pensiero che possiamo identificare come ‘mente’.
Nella seconda metà del ‘900 ha avuto notevole importanza la teoria secondo cui avere una mente significa
elaborare rappresentazioni del mondo nella forma di simboli retti da regole di combinazione.
Una prima obiezione viene formulata dal filosofo John Searle il quale, nel suo celebre esperimento della camera
cinese, afferma che un computer potrebbe rispondere esattamente a domande formulate in cinese, elaborando
risposte grazie ai dati in possesso: ciononostante il computer ha solo manipolato simboli senza capire nulla del
loro significato.  INTENZIONALITA’ DERIVATA (perché istruita artificialmente dall’uomo).
Seconda obbiezione: la mente umana sembra essere qualcosa di più della somma delle sue infrastrutture fisiche:
fenomeni come le emozioni, le credenze, i desideri, i ricordi emergono da tali infrastrutture e assumono realtà
autonoma  l’attività mentale si ha dove appaiono forme di comportamento interpretativo diverso dalla semplice
risposta ad uno stimolo.  INTENZIONALITA’ ORIGINARIA O PRIMARIA
TEORIA DEGLI ATTEGGIAMENTI INTENZIONALI  Una delle teorie più importanti per naturalizzare il concetto di
mente è quella di Daniel Dennett sugli atteggiamenti intenzionali: se guardiamo le attività svolte dagli esseri
viventi, non possiamo fare a meno di attribuire loro delle capacità di riferimento, una intenzionalità (il cane abbaia
perché ‘vuol dirci’ che ha voglia di uscire, ti ho guardato accigliato perché tu senta la responsabilità di ciò che è
successo, ecc.). Dennett osserva che, tra tutti gli esseri viventi, gli umani sono gli unici a fare un complesso uso
degli utensili linguistici che consentono di diffondere nel mondo interi blocchi di informazioni, conoscenze ed
esperienze. Il pensiero, l’oralità, la scrittura, la gestualità non permettono solo la sua comunicazione ma anche il
suo formarsi.

Il linguaggio è solo uno strumento?


È qualcosa di più. Il linguaggio è un dispositivo che media le attività cerebrali e aiuta la cognizione. Il pensiero,
l’attività mentale, non vengono colati nei segni linguistici, ma in larga misura giungono a determinazione solo
attraverso di essi, proprio perché i segni, con le loro caratteristiche determinate di simboli fonico-grafici e di unità
semantiche, modulano il pensiero, lo obbligano a prendere una forma, a organizzarsi.

9. ANALISI SEMIOTICA DEL TESTO PUBBLICITARIO


Continuità della facoltà di linguaggio secondo Darwin tra l'essere umano e le altre specie viventi. La differenza,
chiamata discontinuità, sta nella gradualità e nella quantità di dati che l'uomo riesce a monitorare, manovrare
rispetto alle altre specie viventi, che invece si fermano ad un certo limite. La parola è il microcosmo della mente.
COME FARE L'ANALISI SEMIOTICA DI UN TESTO PUBBLICITARIO  Un testo pubblicitario: che cos'è e quali sono
le sue caratteristiche  Per testo non si intende solo quello scritto, ma qualsiasi supporto (audio, video ecc.)
Anche i testi pubblicitari, come tutti i testi, operano sulla costituzione di VALORI e di SOGGETTI, nel senso in
cui la dimensione semiotica di ogni testo implica una soggettività e un processo di generazione di senso, il quale
si basa sull’istituzione di un sistema di valori  generazione di senso: io costruisco un testo pubblicitario perché
voglio lanciare un messaggio che arrivi a chi ascolta, e questo messaggio deve avere un valore; questo valore non
è necessariamente quello idealistico, o comunque un valore positivo, spesso anzi si basano su valori materiali,
come valori commerciali, il denaro; associano questi valori ad una merce acquistabile, sia che siano beni che
servizi; lo scopo è far apparire queste merci appetibili, necessari, anche indispensabili.
Un testo pubblicitario implica un soggetto, che sarà sia il creatore che il ricevente del messaggio pubblicitario
Una nota diversa hanno le pubblicità sociali (contro il fumo, a favore dei vaccini, contro la violenza sulle donne
ecc.) -> cambio di valori, non più materiali e finalizzati all'acquisto ma ideali.

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Una pubblicità non deve necessariamente essere esteticamente bella, l'obbiettivo principale è convincere il
ricevente del messaggio; deve essere apprezzabile quindi la sua persuasività  capacità di stimolare e orientare,
più o meno direttamente/indirettamente un determinato comportamento (generalmente l'acquisto).
PERCORSO NARRATIVO CANONICO  costruire un testo pubblicitario 
AZIONE: costituisce il momento centrale, ciò che viene compiuto dal soggetto in questione; si suddivide in:
- COMPETENZA  saper fare e poter fare
- PERFORMANZA  fare vero e proprio; la performanza presuppone sempre la competenza: non si fa nulla
senza la capacità di farlo, e il cattivo esito di un’azione denota una scarsa competenza
L'azione presuppone sempre la MANIPOLAZIONE, ossia un momento narrativo in cui il soggetto, agente
dell'azione, si persuade o viene persuaso a compiere quella determinata azione  esempio: "Ragazza che va in
palestra ma non suda, perchè usa quel deodorante X"  manipolazione; comprando questo deodorante non
puzzerà a morte  estremizzazione del messaggio
Come ci convincono? Con il giudizio, la SANZIONE: Sull’AZIONE si esercita una SANZIONE, un giudizio volto a
valutare
la rispondenza dell’AZIONE alla MOTIVAZIONE da cui è stata generata  es: spot di detersivo che dice "più bianco
non si può"  quindi  "senza quel detersivo non mi verranno mai i panni completamente bianchi; questo è il
migliore" / "se non compri l'ultimo modello di smartphone non potrai fare le foto in HD da condividere con i tuoi
amici":

LA COSTITUZIONE DEL DESIDERIO  persuasione; 4 tipi generali di strategia:


1. Seduzione: La seduzione caratterizza comunicazioni sottili e meno immediate, e si ha quando viene messa in
scena e lusingata la competenza del Soggetto, il suo saper fare, che può ad esempio venir manifestato da un suo
modo di essere, da un suo stile 
(ad esempio nel comprare il prodotto in questione; ad es. "se tu abbracci questa marca hai capito tutto, sei
bravo")  Strategia tipica utilizzata nelle pubblicità dei profumi: viene pubblicizzato uno stile di vita; in rilievo non
c'è la pubblicizzazione del prodotto, ma la marca; chi usa questa marca ha quello stile di vita; l'attenzione è
puntata sull'estetica della pubblicità dei profumi; protagonisti sempre famosi e belli; strategia utilizzata anche
nella pubblicità degli smartphone.
2. Tentazione: La tentazione si ha quando la comunicazione mette in scena un prodotto qualificato come capace di
trasformare o migliorare la competenza del Soggetto, promettendogli di fare cose che altrimenti non potrebbero
fare o che potrebbero fare solo con difficoltà 
esempio di pubblicità tipica con strategie di tentazione è quella dei detersivi, prodotti per la casa per il corpo,
deodoranti: es. di pubblicità del Vanish - tipo di pubblicità molto più ad impatto:

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3. Intimidazione: intesa chiaramente non come forma di minaccia, ma come modi subdoli di intimidazione;
si ha quando anziché lusingato il soggetto viene "minacciato", quando gli si dice non cosa potrà fare con un
prodotto ma cosa non potrà fare se è senza. L'immagine scopo proiettata non sarà più quella di una congiunzione
con il valore desiderato ma quello di una disgiunzione di esso; molto utilizzate nelle campagne sociali:

raramente si usa nelle pubblicità commerciali; è più facile convincerli con la seduzione o la tentazione, ma sono
comunque presenti degli esempi, tipo la pubblicità del Martini del 2007  Martini marca internazionale, George
Clooney come protagonista all'apice della sua carriera (vedi spot su youtube): Festa in una villa. George suona alla
porta, e la padrona di casa usa lo slogan diventato poi famoso "No Martini? No party", sbattendolo fuori dalla
porta: messaggio  senza martini persino george clooney è sfrattato.
4. Provocazione: poco frequente in quanto "border line" dato che anche essa deve mettere un'immagine-scopo
negativa, conseguenza della mancanza di competenza, del non saper fare di un Soggetto. E' una forma che si
caratterizza spesso per il tono ironico; è una tecnica molto difficile perché se non viene compresa l'ironia o il
messaggio provocante si rischia di avere l'effetto contrario: spesso si usa per le campagne sociali, ma anche per
prodotti commerciali; esempi:

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1. 2.

pubblicità del buondì – pubblicità meno evidente che ha bisogno di più rimandi.

3. pubblicità progresso, pubblicità sociale, che vuole far attirare l'attenzione


sulla disoccupazione femminile – rimando alla cultura e alle abitudini
americane di incentivare i dipendenti con la targa “impiegato dell’anno”

Queste tecniche possono essere combinate insieme o possono essere utilizzate separatamente.

SOTTOGENERI DEL TESTO PUBBLICITARIO  un testo pubblicitario difficilmente dice esplicitamente che sta
cercando di convincerci a comprare qualcosa, lavora il più delle volte in modo sottile alla costruzione dell'unicità e
della desiderabilità in quel dato bene o servizio. La pubblicità di profitto e quella di marca costituiscono due
sottogeneri particolari; la prima lavora di solito alla presentazione delle caratteristiche peculiari del prodotto
mostrandone i possibili o impossibili pregi che potrebbero derivare dal suo possesso o uso; la seconda lavora di
solito alla costruzione di una vera e propria identità di soggetto particolare a cui si dovrebbe prestare fiducia
indipendentemente dalle qualità del singolo prodotto: compriamo un profumo di D&G non per il profumo in sé
ma per la marca. I testi pubblicitari mettono in scena storie che possono essere costruite intorno all'uso degli
oggetti pubblicizzati o agli esiti di tali usi, sottolineandone l'efficacia nel risolvere il problema, i benefici che ne
potrebbero conseguire dal loro uso o possesso, la personalità di chi li usa ecc. Pubblicità seriali  es. mulino
bianco; pubblicità create in serie, come se raccontassero una storia (es. prima banderas poi quella che dovrebbe
essere la figlia che prende le redini in mano del mulino di famiglia)
PRODUCT PLACEMENT  prendo un prodotto visibile e lo piazzo all'interno di un film, di un telefilm, di un video
ecc. Il produttore stesso ci ha dovuto pensare mentre scriveva la sceneggiatura. Prima era vietato, ora è
consentito a condizione che venga ringraziata la marca nei titoli di coda.

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I VALORI  Dietro tutto questo ci sono dei valori: il soggetto lancia un messaggio all’ altro soggetto e questo è
pieno di valori. VALORE D'USO: i valori di cui gli oggetti vengono caricati possono specificarsi ulteriormente a
seconda del ruolo che assumono all'interno della narrazione; in molte comunicazioni centrate sull'azione il
prodotto viene caricato di valori eminentemente funzionali: il prodotto "serve a", e dunque assume il ruolo di
Aiutante (es. pubblicità del deodorante)
VALORE DI BASE: in comunicazioni centrate sulla manipolazione il prodotto non viene caricato di valori funzionali:
il prodotto non "serve a", è anzi puramente fine a se stesso (es. pubblicità profumi: lo compri perché lo vuoi non
perché ti serve).

Che cos’è una lingua – Tullio De Mauro


Metalinguisticità riflessiva: es. se una persona dice “Io mento” mentre parla sta dicendo il vero o sta dicendo una
bugia? se sta dicendo il vero allora sta mentendo, ma se sta mentendo non sta dicendo il vero?  Paradosso
insito alla lingua.
Una lingua è fatta in modo tale che può diventare il linguaggio per parlare di se stessa: per i logici questa è una
imperfezione dei linguaggi storico-naturali perché i linguaggi formali NON possono essere usati per essere
descritti. Anche le forme non grammaticali, scorrette, “sgangherate”, possono entrare nella lingua attraverso la
porta del metalinguaggio.
Ci sono vie finite, circostanziate, che aprono le porte dell’infinito alla limitatezza delle lingue storico-naturali.

In principio erat verbum?


1. Greco: sostantivo logos – verbo légo (parlo)  il valore primario del sostantivo fu quello di “parola”, dal quale
successivamente si sono sviluppate le accezioni di “ragionamento” “calcolo razionale” “ragione”

2. Ontogenesi: acquisizione individuale di capacità linguistiche


Mehler ha osservato i neonati nelle prime 36-48 ore di vita. L’udito è maturo già in fase prenatale. I neonati
stabilizzano una precisa graduatoria: al primo posto la voce della madre che parli e continui a parlare la prima
lingua cha il bambino ha udito inizialmente, al secondo posto la voce anche di estranei che parlino la LM, al terzo
posto la lingua della madre che parla una L2.
- La prima fase del lavoro dei bambini per lo sviluppo linguistico è la ricezione = ascolto e discriminazione
uditiva
- precedente è la fase del tatto, legame fisico con chi si prende cura del bambino che lo guida nella fase della
ricezione
- Lallazioni: esercizi vocali apparentemente privi di senso che sfociano in varie fonie  utili perché il bambino
impara a udirsi e si accorge che attraverso i suoni che emette attira l’attenzione
- Dopo i sei mesi di vita (fine lallazioni) – Silenzio: il bambino lavora di analisi, osserva e tesaurizza (fare tesoro di
qualcosa) i suoni che ode, impara a isolare le parole, riconoscere unità di suono e di senso
Il processo è selettivo: il bambino si orienta verso le sole realizzazioni dei fonemi della LM.
Oltre i sette/otto anni i bambini non imparano più a parlare.

3. Filogenesi: Processo di ontogenesi valido per tutti gli esseri viventi.


4. Peirce e Saussure: semiotics e sémiologie  sinonimi che preconizzavano una scienza generale della
comunicazione e dei codici che la regolano, entro la quale collocare i fenomeni propri del linguaggio verbale.
Seconda metà del Novecento: ricerche e studi in questa prospettiva, due direzioni
- Hjelmslev, Buyssens, Prieto, Eco: studio delle forme anche non verbali della comunicazione umana
- Zoosemiotica: Ampliamento degli studi sulle capacità di comunicazione di specie viventi diverse da quella umana
Storia: Homo erectus possedeva senza dubbio la capacità di usare un codice semiologico non lontano dalle
potenzialità semiotiche delle lingue.
Questione su quando hanno prevalso vocalità e uditività in tale codice:

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Le lingue dei sordomuti esemplificano lingue che servendosi solo del canale gesto-visuale hanno potenzialità pari
a quella delle lingue a realizzazione fonico-uditiva; ancora oggi la gestualità ha la funzione di riaccompagnare le
realizzazioni foniche e lo studio dei primati in natura ci ha mostrato vari codici di comunicazione che integrano il
canale fonico-uditivo e quello gesto-visuale  fonico-uditive  il prevalere di queste ultime si è correlata nell’
Homo sapiens sapiens con novità genetico-strutturali: l’abbassamento della laringe e la formazione dell’area di
Wernicke (funzioni motorie coordinate con la funzione di autoascolto).

5. Vocalità e uditività  Segni trasmessi tramite la voce e recepiti tramite l’udito. N.B.  Proprietà condivisa da altri
codici (es. linguaggio di mammiferi superiori), ma proprietà non necessariamente presenti nella lingua (es. campo
della lettura e scrittura).
Indicatività e semanticità  segni che indicano una qualche realtà e veicolano un significato offrendo un senso a
quella data realtà.
Articolatezza  segmentalità, combinatorietà e sintatticità; N.B.  proprietà presente in altri codici (es. calcoli
aritmetici) ma non necessariamente presente nelle lingue. (es. interiezioni)
Neanche la variabilità culturale e temporale è un tratto specifico del linguaggio verbale.
Un’altra proprietà costitutiva delle lingue: l’economicità e combinatorietà del linguaggio, la potenziale infinità dei
segni generabili data una lingua  anche questa non caratterizza in modo specifico le lingue umane;
La ridondanza  Sovrabbondanza/ripetizione di segni
La scrivibilità letterale  creazione di sistemi alfabetici di scrittura delle parole di una lingua
Sabrina Machetti riprende il tema della vaghezza semantica – essa è la ragion sufficiente del continuo ampliarsi e
restringersi di significati. MA non tutte le parole hanno sempre significato necessariamente vago e anche questa
proprietà si trova in semiotiche come la gestualità napoletana.

6. La ricerca di un carattere specifico del linguaggio non ha ancora dato un risultato sicuro.
- La ridondanza è alla radice del costituirsi delle lingue, ed essa trova nella vocalità e uditività una condizione
necessaria.
7. L’espansibilità opera attraverso la scoperta di similarità tra nuovi sensi e sensi già aggregati in una parola e
l’assunzione dei nuovi nei vecchi attraverso usi metonimici o metaforici.
Area di Wernicke  funzioni motorie più auto-ascolto della voce
Area di Broca  Area di articolazione del linguaggio

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