2019/2020
Prof Maurizio Sangalli
IMPERO MONGOLO
La storia dell’Europa dipende da quello che è successo nell’immenso continente asiatico negli stessi secoli.
L’Impero cinese è stato uno dei grandi motori della storia del mondo. Un impero relativamente coeso in
Estremo Oriente si è creato prima che si creasse l’Impero Romano, quindi nel 221 a.C. la dinastia che ha
unificato l’Impero cinese era la dinastia Qin e da qui ha preso il nome di Cina ma in realtà, essendo venuta
meno poco tempo dopo, gli è succeduta un’altra dinastia, quella degli Han, molto più duratura, dal 200 a.C.
al 200 d.C. Una delle dinastie più lunghe e più durature è la dinasta Tang, tra il VII e il X secolo, quello che
per noi è l’Alto Medioevo. La storia della Cina cambia negli anni ‘70 del XIII secolo, tra il 1271 e il 1279;
nel 1271 prende il potere il Khan Kubilai, il quale nel 1279 con il suo esercito conquista l’Impero cinese. In
questi anni la dinastia dominante è quella dei MONGOLI, grazie a Gengis Khan che vive tra gli ultimi
decenni del XII secolo e i primi del XIII e riesce a spostarsi dalla Mongolia con un avanzamento verso ovest
che lo porta ad occupare tutta la Russia meridionale fino alle porte dell’Europa riuscendo a creare un impero
enorme. Alla morte di Gengis Khan, avvenuta nel 1227, questo immenso territorio si frammenta tra i figli e i
nipoti ed è possibile individuare quattro aree:
1. KHANATO DEL GRAN KHAN, che conquista anche il territorio della Cina dell’epoca;
2. KHANATO DI CHAGATAI, il quale prende il nome da uno dei suoi figli ed è posizionato in un’area
centrale che rappresenta il punto di contatto tra l’Estremo Oriente e l’Europa (tra le città più
importanti Samarcanda, Bukhara: punti di partenza e di arrivo per la Via della Seta) È questo uno dei
principali motivi di successo dell’Impero mongolo: le ricchezze e il contatto con chi aveva fame di
esse;
3. KHANATO DELL’ORDA D’ORO, territorio che oggi geograficamente corrisponde alla Russia;
4. ILKHANATO DELL’IRAN, geograficamente tra l’Iran e l’Iraq. La città più importante di quest’area è
Baghdad, abitata fino all’XI secolo da arabi e musulmani, i quali nel 1258 finiscono sotto il dominio
dei mongoli. Nello stesso anno finisce un’importante dinastia, quella degli Abbasidi e Baghdad
viene conquistata dai mongoli. Essi riescono a fare ciò grazie soprattutto al cavallo, con cui gli
uomini si spostavano velocemente.
Quello della Cina era un impero già allora millenario che tra il XIII e il XIV secolo era abitato da 60 milioni
di persone in uno Stato unico, coeso, compatto e molto popoloso.
La civiltà e la cultura cinese ritengono che, come in Cielo esiste un solo astro, il Sole, in Terra esiste un unico
punto di riferimento: un solo imperatore al quale è riconosciuta una missione importante: tenere in armonia
le risorse umane con le forze naturali. Il termine che indica il capo supremo all’interno dell’Impero celeste è
WANG. Altro termine importante è anche HUA, cioè trasformazione, in quanto i cinsi ritengono che il mondo
sia in perenne trasformazione che l’uomo deve cercare di comprendere attraverso uno strumento
fondamentale, WEN, ovvero la letteratura, che serve per capire meglio il mondo e fornire dei modelli
comportamentali per far sì che la società progredisca in maniera virtuosa.
L’obiettivo era quello di creare una burocrazia fortemente centralizzata e i funzionari dell’impero erano i
MANDARINI, i quali venivano scelti non per nascita bensì per concorso. Un altro modo per arrivare ai vertici
della scala sociale era quello dell’acquisto delle cariche, senza dare importanza alla nobiltà di sangue.
A differenza di quanto accadeva in Europa, in Cina ad avere presa sul potere era la burocrazia, quindi il
potere civile al posto di quello militare. Era molto diffusa la corruzione e tra gli esponenti più dediti a fare
ciò vi erano gli EUNUCHI DI CORTE, i quali cominceranno a diventare un vero e proprio problema per la
Cina a causa del sempre maggiore accumulo di denaro nelle loro mani.
IMPERO GIAPPONESE
Esso ha avuto sempre rapporti molto stretti con la Cina e rappresenta l’altro grande impero dell’Estremo
Oriente nonostante abbai un territorio meno vasto. L’elemento militare qui è molto forte e presente. Al
vertice della scala sociale vi è l’imperatore anche se solo formalmente; al di sotto dell’imperatore vi sono le
caste dei guerrieri: i samurai, i ‘daymio’, cioè i grandi feudatari e infine lo ‘shogun’, il quale è il capo
militare di più alto livello e colui che governa per conto dell’imperatore la società giapponese. Come
succede in Europa chi alimenta queste caste di guerrieri sono i contadini che coltivano la terra non solo per
sé stessi ma anche per i ceti superiori per far sì che essi continuino ad imporre il proprio dominio. Nel corso
del ‘500 la civiltà giapponese è percorsa da ripetute guerre civili, che si allentano solo alla fine del secolo.
L’imperatore aveva un potere simbolico perché a governare era lo shogun e questo viene relegato nella sua
residenza di Kyoto. Il buddhismo dall’India è arrivato fino in Giappone. A prendere il potere è la famiglia
dei Tokugawa, la quale dà vita ad una dinastia che durerà dal 1603 al 1867; dal punto di vista della
periodizzazione siamo negli anni in cui in Cina arrivano i Manciù. Nel 1585 viene presa una decisione
importante anche per gli storici di oggi: viene deciso di approntare il primo catasto del territorio giapponese
per alimentare in particolare gli eserciti e la fanteria. Un catasto è una mappatura, una sorta di fotografia in
cui ogni parcella del territorio è segnata come appartenente ad una determinata persona; è un modo per lo
Stato di conoscere meglio il proprio territorio e i propri contribuenti, oltre che introitare più imposte. La
cellula fondamentale degli eserciti è la figura dei samurai, piccoli feudatari che traggono la propria
sussistenza dallo sfruttamento dei territori loro assegnati e il denaro necessario per pagarsi
l’equipaggiamento del cavallo, la propria armatura ed eventualmente dei fanti che li seguono in battaglia. I
samurai hanno sempre rappresentato un elemento di destabilizzazione della società giapponese e lo shogun
ha sempre cerato di imporre delle limitazioni:
obbligo di residenza, sempre nello stesso posto;
non automatica ereditarietà dei feudi, una volta morto il samurai non è obbligatorio che la terra
venga lasciata ai propri eredi;
obbligatorietà di risiedere per certi periodi all’anno a Edo, quella che oggi è la capitale del
Giappone, Tokyo, in quanto è un modo per controllare maggiormente i militari indisciplinati.
Ciò è un modo per depotenziare le spinte eversive della piccola e media nobiltà.
Altri elementi che avvicinano il sistema di organizzazione giapponese a quello occidentale è il fatto che i
samurai non possono sposarsi senza avere ricevuto il consenso da parte del proprio grande feudatario di
riferimento. Si riesce ad ottenere un maggiore disciplinamento tanto è vero che la dinastia dei Tokugawa ha
la possibilità di stabilizzarsi per più di 4 secoli e mezzo e mantenere una forte presa all’interno della società.
Nella seconda metà del ‘500, giunge un altro grande elemento di destabilizzazione: innanzitutto l’arrivo
degli europei tra cui l’approdo dei primi mercanti portoghesi che avviene nel 1543; successivamente, nel
1549 approda sulle coste giapponesi il primo missionario cattolico che appartiene all’ordine dei gesuiti
(esistente solo da 9 anni) Francesco Saverio. Solamente 10 anni dopo, nel 1559, i gesuiti impiantano la
prima missione stabile in Giappone ma ciò che fa sì che il cristianesimo cominci ad avere dei problemi è il
fatto che i cattolici si inseriscono all’interno delle faide interne e gli shogun li comincino a vedere con
sospetto. Nonostante ciò l’elemento cristiano continua a crescere e nel 1580 i gesuiti fondano due seminari
per la formazione del clero indigeno e un collegio per l’educazione della nobiltà. Il fatto che questi
missionari cattolici riconoscessero come proprio signore sovrano l’imperatore che vi era a Roma, cioè il
Papa, costituiva un problema; dall’altra parte i missionari cattolici e i giapponesi che si convertono al
cattolicesimo fanno un giuramento di fedeltà ad un Dio che è estraneo alla cultura e alla civiltà giapponesi
così come a quelle cinesi. Negli anni ‘90 del ‘500, ai gesuiti si aggiungono i francescani; questi due ordini
religiosi hanno due modi molto diversi di rapportarsi alle culture dell’Estremo Oriente: essi non vogliono
avvicinare quelli che sono i fondamenti del cristianesimo alle culture locali. Nel 1597 avviene la prima dura
repressione nei confronti dei gesuiti portoghesi, lo shogun impone a tutti di giurare fedeltà all’imperatore, i
buddhisti giapponesi si sottomettono a questa imposizione e tra il 1614 e il 1639 si verificheranno in
Giappone ripetute campagne repressive ed esecuzioni in massa nei confronti dei cristiani che porteranno a
decine di migliaia di persone martirizzate fino alla decisione che viene presa nel 1636 di tagliare tutti i ponti
con l’Occidente europeo (spagnoli e portoghesi in particolare), tranne gli olandesi anche se relegati su
un’isola artificiale davanti a Nagasaki, Deshima, in quanto gli olandesi avevano deciso di abbracciare il
protestantesimo calvinista. Bisognerà aspettare la metà dell’800 affinché gli americani impongano ai
giapponesi di aprirsi agli scambi commerciali.
24/02 La religione per i giapponesi è lo shintoismo, religione autoctona. L’elemento religioso che comincia
a creare problemi è rappresentato dal cristianesimo; con l’arrivo dei francescani, quest’ultimi entrano subito
in conflitto con i gesuiti. Mentre i secondi ritengono che ci si possa adeguare alla cultura dei popoli
all’interno dei quali si opera, i primi, essendo un po' più integralisti, ritengono che debbano essere gli altri
popoli e le altre culture ad adeguarsi. Sono due differenti visioni di come il cristianesimo può radicarsi al di
fuori dell’Europa. Questo fa sì che ci siano dei decreti emanati dallo shogun ai fini di adeguarsi alle regole
dell’Impero. I buddhisti si sottomettono per evitare problemi; i cristiani invece no perché i preti riconoscono
come loro capo il Papa di Roma e rispondono solo al loro Dio, estraneo però ai cinesi e ai giapponesi.
Il Giappone del ‘600 è l’età dei samurai, della preminenza del potere militare su quello civile, gli shogun e i
daymio che rappresentano i capisaldi della società del XVII secolo. Aver tagliato tutti i ponti con l’Occidente
non vuol dire che i contatti che ci sono stati tra a metà del ‘500 e la metà del ‘600 siano stati cancellati, in
quanto rimangono alcuni elementi portati dagli europei che destabilizzano il contesto giapponese:
l’acquisizione da parte loro di tutti quegli strumenti commerciali che sono stati inventati dagli europei, e in
particolare dagli italiani, fin dal pieno Medioevo. Tra questi gli assegni, le cambiali, quindi strumenti
sostitutivi del denaro che servono soprattutto per il commercio in quanto i mercanti non potevano portarsi
dietro i forzieri. Altro elemento è l’incremento del commercio marittimo grazie anche al contato con le navi
europee arrivate nei decenni precedenti sulle coste giapponesi; il loro interesse era quello di incrementare i
rapporti soprattutto con la Cina, la Corea e in generale il sud-est asiatico. Un’ulteriore necessità era quella di
rendere più robusto il mercato del credito di cui ne avevano bisogno i samurai e i daymio, obbligati a
dimorare loro per periodi alternati e le loro famiglie in maniera continua nella corte imperiale. Ciò
comportava maggiori spese e quindi i nobili erano costretti a chiedere dei prestiti, fino ad arrivare alla
creazione nel 1670 di una vera e propria Banca centrale che prende il nome di ‘Dieci del Cambio’ che
erogava crediti a chi ne avesse bisogno. Questo comincia ad erodere le fortune della piccola, media e grande
aristocrazia giapponese e i terreni cominciano ad essere coltivati anche per la produzione cerealicola con
delle conseguenze anche sullo sviluppo delle città, aumentandone la popolazione. Dall’altra parte,
l’indebolimento della grande aristocrazia, fa sì che molti terreni comincino ad essere acquistati da grossi
contadini che strutturano all’interno delle campagne delle nuove élite che si affiancheranno all’aristocrazia
terriera. Nel ‘700 quindi, all’interno della società giapponese, si crea una contrapposizione tra campagna e
città, tra elemento rurale e cittadino con un tentativo di ridimensionare il potere dei ceti mercanti, i quali nel
frattempo si sono impadroniti della Banca centrale controllando il mercato del credito e tenendo nelle loro
mani le sorti dell’aristocrazia terriera. All’interno dell’ambito urbano vi è anche il ceto artigianale costituito
da artigiani, bottegai, ecc… i quali si riuniscono nelle cosiddette Corporazioni, che cominceranno a
rappresentare un freno per l’economia in quanto volevano controllare tutto il processo produttivo dall’inizio
alla fine. Poteva diventare fabbro o falegname solo chi si affiancava ad una persona che già lo era per
imparare il mestiere e in seguito, essendo diventato provetto, poteva sostituirlo presso la bottega in cui si era
formato. Questo fattore di freno fa sì che ad un certo punto le corporazioni cercano di bloccare
l’immigrazione della forza lavoro proveniente dalle campagne, provocando un progressivo declino delle città
giapponesi nel corso del XVIII secolo. Altro elemento di rottura è la spaccatura che si amplia sempre di più
tra i daymio e i samurai; comincia quindi a disgregarsi la tradizionale composizione della famiglia
giapponese, dove è presente il culto degli antenati rimandando al culto patriarcale così come per la Cina. Vi è
una particolare attenzione per gli anziani, i più saggi e i primogeniti, ovvero i cadetti; se quest’ultimi
rimangono all’interno della famiglia, essa può continuare ad aiutarli; se vengono emarginati sono destinati al
fallimento. Un elemento positivo ma che produce effetti negativi è l’espansione anche all’interno del mondo
rurale dell’istruzione di base; può essere destabilizzante perché chi comincia a saper leggere e scrivere
comincia anche ad allargare i propri orizzonti e a capire di poter chiedere di più. Ciò diventa uno stimolo per
i contadini a ribellarsi. Nel momento in cui viene a mancare il pane, durante le carestie, dà vita a delle rivolte
aggravate dal conseguente aumento delle imposte. Anche in Giappone cominciano a diffondersi all’interno
delle campagne delle manifatture, soprattutto tessili: sono le donne che hanno la possibilità di lavorare da
casa per ricamare e produrre tessuti e soprattutto chiedono meno rispetto agli artigiani delle città; di
conseguenza le corporazioni si scagliano contro il lavoro nelle campagne. La crisi della struttura corporativa
urbano e il debito pubblico fanno sì che la società giapponese si indebolisca a tal punto da aprire una breccia
nel Giappone della metà del XIX secolo, 1853, nella quale si incuneano gli americani che obbligano il
Giappone ad aprirsi al resto del mondo provocando la fine del periodo della dinastia dei Tokugawa, alla
quale si sostituisce la dinastia Meiji che resisterà fino all’inizio del XX secolo. Il sintomo della fine
dell’epoca dei samurai, professionisti della guerra fino ad allora, è che nel 1873 viene introdotta anche in
Giappone la coscrizione obbligatoria.
02/03 La servitù della gleba è costituita da contadini che lavorano la terra, molto spesso proprietà del
signore e si usa il termine ‘corvèes’ per indicare le giornate gratuite di lavoro. Mentre in Europa occidentale
la servitù della gleba era sancita anche dal punto di vista giuridico, nell’Europa orientale invece molto più
tardi, nel 1649, si è giunti alla sanzione giuridica, cioè l’esistenza di una legge che obbliga i contadini a
servire il proprio signore che dura molto più a lungo, fino al 1861 con Alessandro II. Essere servi della gleba
significava anche che venivano imposte sempre più spesso delle restrizioni alla circolazione e al movimento
dei contadini, quasi come se fossero incatenati alla terra senza la possibilità di spostarsi da un villaggio
all’altro. Ciò si ottiene tramite delle operazioni che imponevano ai signori di registrare i contadini posti sotto
la loro giurisdizione mediante i censimenti. Questo fenomeno viene deciso in vari paesi dell’Europa
occidentale tra il XVII e il XVIII secolo e così anche in Russia; già dal ‘600 però gli zar avevano intenzione
di capire quanti e che tipo di abitanti vivessero nel loro territorio e quanti militari fosse possibile assoldare
per le campagne militari. La più grande opera di codificazione non è quella di Pietro il Grande bensì quella
di Napoleone Bonaparte, nel primo decennio dell’800 in cui la codificazione riguarderà ancora più settori.
L’esercito è un elemento fondamentale per la potenza degli Stati, ognuno dei quali investe almeno i 2/3 del
bilancio pubblico per il suo mantenimento e funzionamento. Pietro decide di distribuire l’esercito russo in
tutte le province del regno, fornendogli anche dei compiti di polizia; è ovvio che tenere mobilitato un
esercito in continuazione richiedeva dei costi e l’unica possibilità da parte dei sovrani era quella di imporre
delle tasse ai propri sudditi che andavano a finanziare tutte le spese. In Russia il sistema fiscale si basava su
tasse pro-capite che pesavano solo su alcune persone: nobili e clero erano esenti dal pagamento testatico, al
contrario dei contadini, i quali costituivano il 90% della popolazione. Per fare in modo che essi non si
sottraessero, lasciando il proprio villaggio per scappare da un’altra parte, Pietro il Grande introduce un
passaporto interno per spostarsi da una località all’altra dell’Impero zarista. Allo stesso modo non vi era
possibilità di sottrarsi al servizio militare; sono tutti elementi che legano ancora di più i lavoratori della terra
proprio a quest’ultima, avendo come risultato un aggravamento delle condizioni di vita. Successivamente
Pietro attua dei sostegni concreti a determinati settori dell’economia per far sì che il suo regno si trasformi
davvero in una grande potenza: industria bellica, mineraria, siderurgica e sostegni all’impianto di manifatture
di beni di lusso in modo da non doverli importare dall’estero e indirizzati ad un ristretto ambito sociale. Un
altro settore economico che riceve un grande impulso e che viene stimolato a svilupparsi è quello della
produzione della carta, ai fini di tenere sotto controllo la macchina dello Stato. Un’ulteriore invenzione di
Pietro che ha un obiettivo ben preciso e che avrà esiti molto importanti è quella della fondazione di una
nuova città e una nuova capitale, che verrà trasferita da Mosca a San Pietroburgo, fondata nel 1703 vicino al
fiume Neva. L’ultimo porto che l’Impero zarista aveva potuto utilizzare fino all’inizio del ‘700 era quello di
Arcangelo che essendo stato spostato a sud-ovest dava la possibilità di insediarsi nei commerci controllati da
altri. Non tutte le riforme vennero accolte in maniera pacifica: Pietro impone ai propri sudditi di tagliarsi
barba e capelli e di indossare uniformi simili a quelle tedesche. Possono farsi ministri della religione
ortodossa, e quindi diventare ‘Pope’, solo i maschi che abbiano compiuto i 45 anni d’età perché in gioventù
sarebbero state braccia sottratte all’esercito. Pietro il Grande riforma anche l’alfabeto cirillico e per la prima
volta sotto il suo regno viene pubblicato il primo giornale, la ‘Gazzetta di San Pietroburgo’. Vengono inoltre
fondate scuole professionali e professionalizzanti che si affiancavano a quelle aperte e finanziate dalla Chiesa
ortodossa. Queste riforme verranno messe da parte e poi riprese e potenziate nella seconda metà del ‘700 da
Caterina II. Tra gli elementi che hanno frenato il suo operato vi è l’insofferenza nei confronti della leva
militare, la requisizione di braccia umane per le opere industriali e di edilizia pubblica (costruire una città in
un luogo paludoso, su delle palafitte), la tassazione sempre più pesante e infine il cambiamento dei costumi.
Ciò ha provocato, soprattutto negli ultimi anni del suo regno, violente opposizioni interne e l’uccisione del
suo stesso figlio, sospettato di essersi messo d’accordo con una parte dell’aristocrazia russa per sconfiggerlo
e prendere il suo posto. Tra l’ultimo decennio del ‘600 e i primi due decenni del ‘700 la Russia cambia volto
e le potenze europee comprendono che è nato uno stato a cui devono adeguarsi.
I TURCHI
Il vero primo mondo di età moderna nel bacino del Mediterraneo era l’Impero turco islamico. Tutta l’Europa
occidentale, alla fine del Medioevo, è popolata da circa 70 milioni di persone che nei successivi due secoli
superano di poco i 100 milioni. L’Impero ottomano, nel 1530, era popolato da 30 milioni di persone; non
c’era nessuno stato in grado di competere con esso. I turchi hanno rappresentato il più acerrimo nemico della
cristianità occidentale; se a Istanbul c’era un unico capo che governava, in Europa invece il potere era
detenuto da più persone. Per tutta l’età moderna l’Europa cristiana e l’Impero ottomano si sono fatti la guerra
cercando di sopraffarsi l’un l’altro; ci sono stati contatti culturali, commerciali che sono continuati
nonostante le contrapposizioni belliche. La guerra è una costante della storia umana.
I turchi si sono convertiti alla religione islamica a partire dalla metà dell’XI secolo. Il nome ottomani deriva
dal primo sultano del primo stato turco che si fonda in Anatolia e che sostituisce un altro stato turco
insediatosi tra la Mesopotamia e l’Anatolia: i Turchi selgiuchidi sono quelli che danno vita al primo stato
turco tra l’XI e il XIV secolo che poi collassa e viene sostituito dai Turchi ottomani. Entrambi i nomi
derivano dai capostipiti delle due dinastie: rispettivamente Selgiuk e Osman. L’Impero ottomano finirà nel
1918, al termine della 1GM. La prima capitale dello stato ottomano è la città di Bursa che si trova sulla costa
settentrionale della Turchia di oggi e che rimane capitale fino al 1361; la seconda è la città di Adrianopoli dal
1365 al 1453, di origini romane e che oggi corrisponde alla città di Edirne. Nel 1453 la capitale dell’Impero
ottomano diventa Costantinopoli che i turchi decidono di chiamare Istanbul, il cui nome significa ‘la città
per eccellenza’. I due stati più forti che gravitavano sulla penisola balcanica erano la Serbia e l’Ungheria; la
forza dell’esercito ottomano riesce a sconfiggere una a una tutte le varie aggregazioni statuali. Nel 1389, in
una battaglia combattuta in Kossovo, chiamata ‘Kossovo Polje’, la Serbia viene sconfitta. Altri scontri
importanti sono la battaglia di Varna del 1444, in cui addirittura un esercito di francesi-ungheresi viene
sconfitto dall’esercito turco. Queste due battaglie rappresentano lo sgretolarsi della penisola balcanica e la
sua sottomissione alla dominazione turca. Tra il 1470 e il 1480 viene conquistata l’Albania; colui che riesce
per lungo tempo a difenderla è Giorgio Castriota Scanderbeg che però muore nel 1468 e in seguito
l’esercito albanese non riesce più a contrastare la pressione dei turchi. La città di Otranto nel 1480 subisce un
assedio da parte della flotta turca, dalla quale sarà conquistata e gli abitanti rifiuteranno di arrendersi. I turchi
erano entrati all’interno dell’Europa occidentale e in particolare l’Italia dal punto di vista economico,
culturale e delle innovazioni militari era all’avanguardia. Nel 1481 muore Maometto II e il suo successore
decide di ritirare la flotta turca e Otranto riesce ad essere riconquistata dal Regno di Napoli. Questo evento
ha fatto sì che gli europei si preoccupassero fortemente della possibilità di un dilagare dell’Impero ottomano
anche in Occidente. Era caduta la maggior parte dello Stato serbo ma gli ungheresi erano riusciti a mantenere
la città di Belgrado, recuperata nel 1427 e rimarrà nelle loro mani fino al 1521 quando poi verrà conquistata
dal sultano di Istanbul. Le altre acquisizioni degli ottomani furono: il Khanato di Crimea, sottomesso nel
1474; il Peloponneso (Grecia odierna). Tutti territori a stragrande maggioranza cristiana.
03/03 Selim I regna per pochi anni, dal 1512 al 1520 ma riesce comunque ad espandere il territorio
dell’Impero ottomano e Solimano I che governa dal 1520 al 1566, soprannominato ‘il Magnifico’. Il primo
decide di dirigere la propria azione di accorpamento di altri territori verso oriente; qui vi è un acerrimo
nemico dei turchi: il khanato di Persia che era uno dei regni nati dalla frammentazione dell’impero di Gengis
Khan ma un altro problema era anche il fatto che i musulmani che vi facevano parte si erano convertiti alla
versione sciita dell’Islam. Lo sciismo vede come unico discendente il genero Alì che alla metà del ‘600 viene
ucciso da un fanatico e da quel momento gli sciiti rimangono in attesa del suo successore che non si è ancora
mai palesato. I sunniti, invece, hanno sempre riconosciuto l’autorità politica del califfo; tra sunniti e sciiti vi
è dunque una divisione molto forte. I due grandi stati che incarnano queste due diverse correnti sono da una
parte l’Impero ottomano e dall’altra l’Iran; si tratta di contrapposizioni di carattere religioso ma anche
geopolitico-economico. All’inizio del ‘500, pochi anni prima che Selim I diventi sultano, in Persia prende il
potere una nuova dinastia, quella dei Safavidi che soprattutto inizialmente viene incarnata nella figura dello
scià Ismail che regna dal 1501 al 1524. Il re di Persia viene designato con il nome di scià di scià, re dei re,
che si riteneva maggiore rispetto a tutti gli altri sovrani del mondo allora conosciuto. Gli ottomani, quando
conquistano Costantinopoli, si fanno chiamare Padisha, con lo stesso significato ma assumono anche il titolo
di Basileus. La differenza tra l’imperatore e il re è che il primo può avere al di sotto di sé dei sovrani che
però gli sono inferiori. Esisteva un imperatore anche in Occidente ma nessuno fu disposto per lungo tempo
ad accettare di attribuire lo stesso titolo all’imperatore del Sacro Romano Impero, prima franco e poi
germanico. Con i Safavidi e con Ismail si decide di obbligare tutti i fedeli a convertirsi allo sciismo; l’appello
per la protezione dell’Islam sunnita si rivolge nei confronti del sultano di Istanbul. Nel 1517 Selim riesce a
conquistare anche l’Egitto, il quale si trovava sotto il controllo degli Stati Uniti. Esso rappresentava uno
snodo fondamentale per la sua posizione geografica, in quanto si affacciava sul Mar Rosso permettendo di
mettere in collegamento l’Oceano Indiano con il Mediterraneo. Le merci, molto quotate e ricercate, ovvero le
spezie, potevano transitare arrivando in cima al Mar Rosso, dove venivano scaricate, messe sui cammelli e
trasportate nel porto di Alessandria d’Egitto, alle foci del Nilo e in seguito caricate sulle navi. Le
Repubbliche marinare erano le intermediarie tra i beni di lusso provenienti dall’Oriente e i compratori
europei. Dal XIII secolo in Egitto regnava una dinastia, quella dei Mamelucchi, di origine islamica e che si
era rafforzata proprio grazie al fatto di poter gestire questo flusso. I sultani mamelucchi, che avevano la loro
capitale al Cairo, erano indeboliti dal fatto di non avere una propria flotta mercantile e le navi che portavano
le spezie erano navi di mercanti arabi e non egiziani. Essi riescono ad individuare un partner forte, dotato
anche di una flotta e che potrebbe essere un sostituto rispetto alle flotte delle Repubbliche marinare italiane;
succede però che Selim decide di inglobare l’Egitto all’interno dell’Impero ottomano (1517). Per
quest’ultimo rappresenta un colpaccio sia per una ragione mercantile, in quanto possono gestire in proprio il
commercio delle spezie sia per ragioni religione poiché l’Egitto controllava anche una fascia della penisola
arabica importante per la presenza delle due città sacre dell’Islam: La Mecca e Medina. Selim trasferisce la
sede del califfato dal Cairo a Istanbul, identificandosi da quel momento con il sultanato. I musulmani sunniti
che vivevano nelle steppe dell’Asia centrale, da adesso possono usufruire di una via alternativa rispetto alla
necessità di dover passare attraverso l’impero persiano, cioè in territori dove la maggior parte dei fedeli è
sciita. La conquista dell’Egitto apre le porte per la quasi sottomissione degli stati tributari, quelli che pagano
dei tributi al sultano. Essi sono gli stati ‘barbareschi’, come quelli del Magreb, che però nel corso del
Medioevo si sono convertite all’Islam. La vera contesa tra Solimano e Carlo V si consuma tra Tunisi e
Algeri; i capi tribù delle aggregazioni tribali berbere che stazionano nell’area del Nordafrica e il cui capo più
importante è Khair-Eddin, soprannominato ‘ Barbarossa’, decidono di riconoscere Solimano il Magnifico
come loro sovrano e lo supportano in quella che diventa un’azione forte di disturbo nei confronti della fascia
d’Europa che si affaccia sul Mediterraneo perché i berberi danno vita a quella ‘Guerra di corsa’, indirizzata
a fare delle incursioni per depredare le coste dell’Europa cristiana, facendo prigionieri donne, bambini e
adulti maschi per portarseli via come schiavi. Quest’azione va a vantaggio del dominio del Mediterraneo da
parte della flotta turca.
Mentre Selim era stato più orientato verso un’azione in Medio Oriente, Solimano preme contro la parte
occidentale dell’Europa. Nel 1521 cade la città-fortezza di Belgrado, un pezzo di terra molto piccolo
all’interno di un altro dominato da un sovrano. Nel 1526, nella battaglia di Mohàcs, in Ungheria, perde la
vita Luigi II, re d’Ungheria e di Boemia, attuale Repubblica Ceca e il suo regno si sfalda, conquistato per la
maggior parte dagli ottomani. Nel 1541 essi riusciranno a conquistare anche la città di Buda e gran parte
dell’Ungheria cade sotto il giogo ottomano, così anche la Transilvania, il cui principe diventa un sovrano
tributario del sultano di Istanbul e gli Asburgo d’Austria riescono a mantenere una piccola striscia del Regno
d’Ungheria che fa da cuscinetto. Nel 1529 gli ottomani assediano la città di Vienna, la quale fino alla metà
dell’800 era stata una città-fortezza; essa era la sede della dinastia europea più importante, gli Asburgo,
quella che deteneva il titolo imperiale rischiando così di diventare un unico grande territorio sotto la
dominazione islamica. Questo primo tentativo fallisce e momentaneamente l’Europa cristiana riesce a
contenere l’espansionismo dell’Imero ottomano ma ciò non vuol dire che la sua pressione venga meno, in
quanto Solimano prima e i suoi successori dopo, continueranno a rafforzare la flotta militare e cercheranno di
imporre il proprio controllo sulla parte orientale del Mar Mediterraneo, occupata da alcuni territori che erano
in mano alla Repubblica di Genova ma soprattutto a quella di Venezia. Venete erano due importanti isole:
quella di Creta e quella di Cipro; su quest’ultima si consuma una vera e propria guerra tra il 1570 e il 1573,
la ‘Guerra di Cipro’, al termine della quale essa viene sottratta alla Repubblica di Venezia. Il 7 ottobre 1571
i cristiani guidati da Filippo II di Spagna riescono per la prima vota ad avere la meglio sulla flotta turco-
ottomano, nella battaglia di Lepanto, posta sulle coste del Peloponneso. Ancora oggi l’isola di Cipro è divisa
in due mediante un muro che divide la parte turca da quella greca, facendo sì che al suo interno si
installassero dei turchi islamici che cercassero di controbilanciare la presenza greco-ortodossa. La
contrapposizione forte è tra l’Impero ottomano e il Sacro Romano Impero germanico, quindi tra gli Asburgo
e il sultano di Istanbul. Questi due protagonisti cercano di farsi fuori cercando alleati ad ovest e a est che
indeboliscano queste due grandi formazioni; il sultano di Istanbul riesce a stabilire un’alleanza con
Francesco I re di Francia, gli Asburgo, invece, la cercano con l’Impero persiano. Nella prima musulmani
con cristiani- cattolici, nella seconda Islam sciita. Nella seconda metà del ‘500 si inserisce un altro paese
europeo, ovvero l’Inghilterra di Elisabetta I, la quale cerca di siglare dei contatti commerciali con l’Impero
ottomano. In questo modo l’Inghilterra si assicura un importante partner commerciale sotto vari aspetti: il
primo è quello di riuscire a vendere ai turchi una materia prima, lo stagno, che fuso con il rame produce armi
da fuoco, utile quindi per l’artiglieria turca; il secondo è il noleggio delle navi ‘d’altura’, quelle che vanno
appunto in alto mare; il terzo la lotta contro il predominio degli Asburgo in Europa da parte degli inglesi.
Capitale: uno degli edifici più rappresentativi della città di Costantinopoli era la Basilica di Santa
Sofia (mosaici paleo-cristiani) che Maometto II decise di non distruggere ma di trasformare in una
moschea con una particolare attenzione nei confronti di una specifica disciplina, l’astronomia.
Accanto ad essa, Maometto II e i suoi successori faranno costruire quella cittadella sultaniale
imperiale che viene chiamata ‘Topkapi’ che in turco significa ‘la porta del cannone’, una città regia
che all’interno della più grande città di Istanbul è destinata ad ospitare la corte del sultano. Sull’altra
sponda del mar di Marmara e del Corno d’Oro sorge la cittadella di Galata dove erano insediate le
comunità di commercianti e mercanti europei che fin dall’epoca dell’Impero romano d’Oriente e
durante la dominazione ottomana continueranno a fare affari e a risiedere al suo interno. Dall’altra
parte, invece, viene creato il cosiddetto ’Gran Bazar’ che ancora oggi è possibile visitare come una
sorta di contraltare dei commerci europei che si erano sviluppati. Il problema della città di Istanbul
subito dopo la conquista da parte degli ottomani era il fatto che fosse una città quasi spopolata
perché molti decisero di fuggire per sottrarsi al dominio ottomano. Alla scarsa popolazione, quindi,
Maometto II e i suoi successori decidono di far fronte con l’imposizione di quote obbligatorie di
immigrati dalle province dell’Impero ottomano per cercare di rivitalizzare quest’importante città
anche dal punto di vista economico. Coloro che decidono di rimanere ad abitare ad Istanbul,
rappresentanti dell’Impero romano d’Oriente e quindi appartenenti alla religione cristiana sono
ancora una quota consistente che avranno però vita piuttosto complicata. Ad essi si aggiungeranno
poi gli ebrei che provengono in particolare dalla penisola iberica dove, nel 1492 in Spagna e poco
dopo anche nel regno del Portogallo, saranno costretti ad emigrare forzatamente; arrivano anche a
Istanbul e fanno fortuna con la produzione di tessuti per le uniformi della guardia imperiale, i
giannizzeri, ma soprattutto saranno importanti perché pare che la prima stamperia fu installata a
Istanbul nel 1493 ca. proprio da ebrei rifugiatisi lì, cioè quella grande invenzione che ha cambiato le
sorti culturali dell’Europa occidentale a partire dal 1455, dalla pubblicazione della prima Bibbia con
il sistema dei caratteri mobili. Un’altra fetta consistente della popolazione della capitale è
rappresentata dai funzionari dell’amministrazione pubblica; essi si sono formati a palazzo e proprio
per questo risultano essere più fedeli rispetto a quelli formatisi nelle periferie nei confronti del
sultano, il quale alla morte dei suoi funzionari ha la possibilità di inglobare di nuovo i loro beni
all’interno delle proprietà del sultano stesso. La capitale dell’Impero ottomano tra ‘400, ‘500 e ‘600
diventerà una delle grandi città del mondo fino a raggiungere il milione di abitanti.
Diritto: gli Ulema fino alla fine del 400 potevano provenire anche dai posti più disparati del mondo
islamico ed esercitare senza problemi le loro funzioni di giudici facendo fortuna all’interno di
territori che invece avevano una più forte impronta ottomana. Proprio alla fine del ‘400 si rompe il
cosmopolitismo della figura dell’Ulema e il funzionario pubblico, legato all’ambito giuridico, viene
sempre di più formato a Istanbul, cioè essi si formano nella lingua turca e non in quella araba anche
se sono comunque tenuti a conoscerla perché in arabo è scritto il Corano. Questo significa che viene
stabilito anche un unico iter per la formazione, da una parte il giudice che deve giudicare ed
eventualmente condannare in ambito militare e il giudice supremo in ambito civile. A differenza del
mondo arabo, vi è una plurivocità di ambiti di riferimento rappresentati all’interno del diritto turco
perché accanto a quello religioso c’è anche il diritto del sultano che prende il nome di ‘kanun’ e che
si esplicita nell’emanazione di decreti sultaniali o imperiali che prendono il nome di ‘ firmani’. Tra
questi due differenti diritti spesso prevale quello del sultano anche perché egli è l’unico proprietario
terriero di tutto l’Impero; solo case e giardini sono di proprietà ei singoli sudditi. Una terza fonte del
diritto a cui si può fare riferimento è quella delle cosiddette consuetudini locali che in turco
prendono il nome di orf, le quali servono per avere delle basi relative alla riscossione delle tasse.
Questo elemento deve tenere conto necessariamente della specificità degli enormi territori che
compongono l’Impero ottomano.
Comunità religiose: i due nemici principali dei turchi ottomani sono da una parte gli sciiti e
dall’altra gli infedeli, tra cui gli ebrei ma anche le molte declinazioni del cristianesimo che avevano
popolato le aree del Mediterraneo che cadranno progressivamente sotto la dominazione ottomana.
Per esempio in Egitto si erano installati i ‘Copti’; in Siria erano presenti i greco-ortodossi; in
Armenia i cristiani armeni gregoriani; in Dalmazia, Bosnia, Ungheria e nelle isole dell’Egeo vi era
una prevalenza importante di cattolici e infine, in Ungheria e Transilvania, vi erano importanti
comunità di calvinisti, facenti parte della sottofamiglia del protestantesimo. Queste differenti
comunità religiose venivano organizzate per nazioni che in turco prendevano il nome di ‘ millet’, alle
quali era consentito di organizzarsi sotto la guida dei loro capi religiosi: vescovi e preti per i
cattolici; rabbini per quanto riguarda gli ebrei. Queste comunità, inoltre, erano obbligate a pagare un
‘testatico’, cioè una tassa personale sui bei posseduti; non potevano testimoniare in processo contro
gli islamici e per accentuare la loro sottomissione all’elemento islamico le loro case dovevano essere
più basse rispetto a quelle dei musulmani. Rare erano le conversioni forzate anche perché chi si
convertiva alla religione islamica non era più tenuto al pagamento del testatico; succedeva però che
ebrei e cristiani decidessero di convertirsi più per convenienza che non per una vera e propria
convinzione religiosa: essere musulmani consentiva comunque di adire a carriere vietate a esponenti
di altre religioni, quindi c’erano anche motivazioni di avanzamento sociale che facevano sì che le
persone si convincessero ad abbandonare la loro religione di origine e a convertirsi a quella
musulmana.
LA RIVOLUZIONE MILITARE
PREMESSE E CARATTERISTICHE
La guerra rimane una delle principali attività dell’uomo. Esiste un famoso libro di uno storico inglese,
Michael Roberts, con un titolo molto significativo ‘la rivoluzione militare’, la cui periodizzazione inizia con
il 1560 e termine con il 1660, un secolo intero in cui cambia il volto del modo di fare guerra in Europa. È un
testo pubblicato nel 1955 che rimane ancora oggi un classico e a cui gli studiosi dei decenni successivi hanno
continuato a fare riferimento. Le caratteristiche e gli aspetti principali che Roberts sottolinea sono:
1. Una vera e propria rivoluzione nella tattica di guerra, cioè alcune tipologie di armi da guerra
vengono sostituite da altre; alla lancia e alla picca (lungo bastone su cui viene innestata una punta in
metallo) si sostituiscono progressivamente l’arco e il moschetto. Cominciano quindi ad imporsi
sempre di più le armi da fuoco.
2. Aumenta sempre di più la dimensione degli eserciti, diventano più consistenti in termini di persone
che vi sono impiegate.
3. Dalla tattica si passa alla strategia, la prima riguarda una singola battaglia, la seconda invece a guerra
nel suo complesso. Anche le strategie subiscono forti modifiche e innovazioni e diventano sempre
più complesse proprio perché devono far funzionare eserciti sempre più complessi e consistenti.
4. Aumento delle guerre, le quali cominciano ad avare un sempre maggiore impatto sulla società,
quella che oggi chiamiamo società civile; riguardano quindi sia i militari sia la popolazione civile.
Nel corso dell’età moderna si struttura anche l’ambito di tutto ciò che ruota intorno al mestiere delle
armi perché vengono aperte accademie militari, cioè si creano istituzioni nelle quali si segue un
percorso di formazione per diventare provetti militari; viene a formarsi un diritto di guerra cosiddetto
‘positivo’, ovvero gli stati danno vita a dei protocolli che cercano di normare l’ambito militare e
infine si sviluppa una letteratura sull’arte della guerra, su come si conducono le campagne militari e
su quali sono le tattiche e le strategie migliori per avere successo in guerra.
Nel 1800 gli imperi occidentali controllavano il 35% delle terre emerse; ancor più significativo è il balzo che
nell’arco di poco più di un secolo, nel 1914, quest’occupazione raggiunge. In questa data le potenze
occidentali e gli imperi commerciali, militari e politici europei arrivano a dominare su circa l’85% delle terre
emerse del nostro pianeta.
BOMBARDE E CANNONI
Fin dall’XI secolo l’Europa occidentale aveva assistito ad un fenomeno molto vasto che prende il nome di
incastellamento, cioè la creazione di castelli e fortezze che servivano per proteggere le persone del contado
ma anche sede dei feudatari, i quali controllavano porzioni di territorio circostanti in modo da garantire
sopravvivenza a loro e a coloro che erano sottoposti al loro controllo. Ciò vuol dire che nel Medioevo la
guerra si era sviluppata secondo dinamiche per cui la difesa predominava sull’attacco: venivano posti sotto
assedio i castelli, gli eserciti nemici si disponevano intorno alle mura ed era un modo di fare la guerra
sostanzialmente statico. Se l’assedio aveva successo un nuovo signore si sostituiva a quello che aveva perso
la battaglia contro il suo nemico. la situazione di questo modo di fare la guerra si sbloccherà nel momento in
cui compariranno le ‘bombarde’, cioè gli antenati dei cannoni che vengono creati intorno alla seconda metà
del XIV secolo. Sono una sorta di super cannoni perché hanno dimensioni consistenti e che venivano creati
in bronzo e anche, seppur in maniera minore, in ferro. La caratteristica delle bombarde e poi dei cannoni in
bronzo è quella di essere molto più sicure, in quanto il bronzo è una lega che vede la fusione di due materie
prime: il rame e lo stagno e proprio perché derivante da una fusione avevano una maggiore tenuta nel
momento in cui partiva il colpo; il ferro, invece, non poteva ancora essere fuso perché non si conosceva la
tecnica e questi cannoni dovevano essere creati tramite la possibilità d chiudere delle lamine di ferro
all’interno di cerchi senza però poterle fare aderire completamente tra di loro. Capitava quindi molto spesso
che nel momento in cui i cannoni in ferro venivano caricati esplodessero prima che il colpo potesse partire. I
cannoni in bronzo venivano fusi all’interno di fonderie che vedevano anche la fusione delle campane per le
chiese, due oggetti che dal punto di vista dell’utilizzo erano agli antipodi tra di loro.
Per adire alla fusione anche del ferro bisogna aspettare gli anni ’40 del ‘500 in Inghilterra con il re Enrico
VIII; quest’ultima è sempre stata un paese ricco di giacimenti di materiale ferroso e, grazie all’invenzione
dovuta ad un parroco del Sussex, si riesce ad inventare una tecnica per la sua fusione. Questa nuova tecnica
viene poi ulteriormente affinata grazie all’immigrazione di artigiani dalle Fiandre (Paesi Bassi e Belgio di
oggi) e questo costituirà una vera fortuna per l’Inghilterra, la quale avrà la possibilità non solo di produrre in
proprio dei cannoni molto più sicuri, affidabili e leggeri ma potrà anche diffondere e far conoscere questa
tecnica in giro per l’Europa (Olanda, area germanica e Svezia).
In Svezia, nel 1629, viene creato il primo piccolo cannone ‘reghement stuke’, un cannone piccolo, mobile e
facilmente ricaricabile che viene inventato per delle ragioni ben precise: innanzitutto perché in Svezia vi è
una gran quantità di foreste che possono essere sfruttate per far funzionare le fonderie; ci sono buoni corsi
d’acqua, quindi collegamenti per trasferire le materie prime e i prodotti finiti e infine anche in Svezia si
verifica una consistente immigrazione di personale specializzato dalle Fiandre, in particolare dall’Olanda. I
fiamminghi diventano quindi i propulsori in tutta Europa delle nuove tecniche di innovazione nell’ambito
delle armi da fuoco. Questo piccolo cannone avrà un suo primo utilizzo con successo all’interno della Guerra
dei Trent’anni e sarà una delle motivazioni che porteranno a far sì che l’ingresso della Svezia nel conflitto
che lacerava l’Europa dal 1618 porterà ai successi degli eserciti del re di Svezia Gustavo Adolfo contro
l’esercito ben più numeroso dell’imperatore del Sacro Romano Impero.
I maggiori utilizzatori e acquirenti nel campo delle armi da fuoco saranno gli stati nazionali in formazione
dalla metà del ‘400 in avanti: la prima motivazione è il fatto che essi erano costantemente in guerra tra loro;
la seconda perché si verifica un nuovo fenomeno, quello delle esplorazioni geografiche. Tra questi Portogallo
e Spagna, i primi due stati europei che tentano l’avventura dell’espansione coloniale al di fuori dell’Europa.
CASTELLI
Bisogna rendere maggiormente sicuri e meno aggredibili le strutture in muratura, i castelli appunto,
caratteristici dell’epoca medievale e che continuano ad esistere nel corso dell’età moderna.
Alla fine del ‘400 viene pubblicato un famoso trattato sul modo di fare la guerra scritto da un noto umanista
italiano, Leon Battista Alberti; questo testo esce nel 1485 e il titolo è in latino ‘De re edificatoria’, cioè ‘sul
modo di costruire’. Il consiglio di Alberti all’interno di questo manuale di architettura militare è quello di
costruire le fortificazioni a linee irregolari, utilizzando per esempio la forma a dente di sega o a stella, poiché
in questo modo vi è maggiore possibilità che le mura delle fortezze riescano a resistere alle palle dei cannoni
e delle bombarde. A Leon Battista Alberti si uniranno tutta una schiera di architetti militari che daranno
ulteriori indicazioni e consigli che verranno seguiti per rendere maggiormente difendibili i castelli tra cui:
1. Abbassare e rinforzare le mura, con mura di densità maggiore si riesce ad arginare maggiormente i
colpi di bombarde e cannoni; a questo si contrappone però il fatto che le mura possono essere minate
alla loro base oppure si possono verificare degli attacchi di sorpresa ai quali gli assediati non sono
preparati.
2. I castelli vengono circondati da ampi e profondi fossati, ideati per costituire un argine maggiore
all’invadenza da parte degli assedianti.
3. Costruzione di torioni agli angoli che vengano muniti di bocche da fuoco per far sì che coloro che
stanno all’interno del castello possano avvicinarsi maggiormente agli assedianti e colpirli.
4. Creazione di fortificazioni a difesa di questi fossati, in particolare bastioni triangolari che prendono il
nome di ‘rivellini’, soprattutto quando il fossato è colmo d’acqua.
5. Creazione di fortilizi esterni per il controllo del territorio del contado intorno al castello o alla
fortezza principale che devono servire da contenimento e argine nel momento in cui il nemico si
avvicina.
Il terreno di prova di tutte queste innovazioni in ambio militare è rappresentato dal lungo periodo delle
guerre d’Italia che iniziano nel 1494 con la discesa nella penisola del re di Francia Carlo VIII e che si
concluderanno più di 60 anni dopo, nel 1559, con la pace di Cateau-Cambrésis tra Francia e Spagna. È qui
che si testano per la prima volta le caratteristiche della rivoluzione militare.
Le popolazioni della penisola italiana si rendono conto che la guerra è diventata molto più violenta e crudele
rispetto a come la conoscevano dai secoli antecedenti; questa maggiore crudeltà viene sintetizzata
nell’espressione della cosiddetta ‘furia franzese’, cioè la violenza che gli eserciti di Carlo VIII mettono in
atto non solo contro gli eserciti dei signori italiani con i quali si trovano a guerreggiare ma anche nei
confronti delle popolazioni civili. Secondo elemento di novità che viene testato è il fatto che i cannoni non
vengono più caricate con palle di pietra bensì con palle di metallo di dimensioni più ridotte ma con una
ricarica più veloce. Per capire la forza dirompente che l’esercito francese ha in ambito italiano quando nel
1494 passa le Alpi e arriva a conquistare il Regno di Napoli basta un solo dato: esso è dotato di 40 cannoni
agili, veloci e facilmente trasportabili; gli stati italiani, ciascuno per contro proprio, hanno al massimo in
dotazioni 4-5 bombarde molto pesanti e molto poco mobili.
ESERCITI
Tradizionalmente l’esercito è diviso nelle due componenti fondamentali della fanteria e della cavalleria; in
termini di numeri la prima è sempre più consistente rispetto alla seconda, mentre in termini di distinzione
sociale la fanteria è per la maggior parte affidata a persone che provengono dai ceti inferiori della società, la
cavalleria è questione dei ceti più elevati della società. In Europa esistono popolazioni che sono
maggiormente specializzate nell’arte della guerra tra cui gli svizzeri, che prima degli altri cominciano ad
usare le innovazioni tecnologiche. Saranno proprio loro ad utilizzare per la prima volta lo schioppetto contro
il ducato di Borgogna nel 1477; si renderanno conto però che si tratta di un archibugio troppo pesante e
malsicuro. La motivazione per cui gli svizzeri furono maggiormente conosciuti, temuti e utilizzati dai
sovrani europei è l’invenzione del cosiddetto ‘quadrato svizzero’, anche se in realtà era più un rettangolo che
un quadrato. Si tratta di una formazione di 6000 uomini disposti su 60 righe che si muovono
contemporaneamente in tutte le direzioni con tamburi, pifferi e gridi di battaglia che servono per terrorizzare
il nemico. Da questa formazione prenderanno esempio anche tutti gli altri eserciti europei a partire da quello
spagnolo con la creazione dei cosiddetti ‘tercios’ spagnoli, abituati al combattimento in ordine sparso e corpo
a corpo che si trasformeranno sempre di più in falangi alla svizzera. Questo fa sì che la fanteria diventi non
solo un elemento per la difesa della cavalleria bensì un battaglione d’assalto che ha la possibilità rapidamente
di passare dalla difensiva all’offensiva; comincia quindi ad avere un peso determinante nelle sorti dei
conflitti militari.
Nelle aree germaniche vi è un corpo militare, quello dei ‘lanzichenecchi’, cioè gli armigeri di campagna.
Sono per lo più mercenari di umile estrazione vestiti però con colori sgargianti e costosi, al servizio in
particolare della dinastia degli Asburgo.
Cambia quindi la composizione degli eserciti, per cui i fanti diventano dei tiratori scelti che fanno fuoco, si
tirano indietro per ricaricare, fanno posto a quelli che stanno dietro di loro e riescono dunque ad avere una
forza di fuoco senza interruzioni. Viene utilizzato poi il nuovo archibugio messo su un cavalletto a forca con
una canna di 1,5 metro, una ricarica di meno di 2 minuti e una gittata del colpo di 200 metri, in particolare
cercando di colpire i cavalli. Questo vuol dire che negli eserciti europei dell’età moderna declina la cavalleria
pesante a favore di quella leggera; i cavalli non vengono più bardati in maniera pesante e la cavalleria viene
sempre di più integrata e combinata con la fanteria pesante e l’artiglieria che rappresentano il vero punto di
svolta che fa sì che gli eserciti di terra delle potenze occidentali siano all’avanguardia su tutti gli altri eserciti
loro nemici.
GALERE E NAVI A VELA
Il primo fronte di preminenza delle potenze occidentali in ambito mondiale è stato rappresentato dalla loro
preminenza in ambito marittimo; è quindi sul mare e sul modo di navigare che si innestano importanti
innovazioni relative anche al modo di costruire le imbarcazioni da guerra. Esistono due differenti modi di
navigare; il primo, che è stato per secoli caratteristico dell’area del Mediterraneo, è la cosiddetta
‘navigazione di cabotaggio’, cioè si naviga non allontanandosi troppo dalla linea di costa perché è
necessario poter attraccare velocemente in un porto sicuro per fare rifornimenti; il secondo, che è il più
conosciuto, è rappresentato dalla cosiddetta ‘navigazione d’altura’, il quale, a differenza del primo, ha avuto
per secoli seri problemi nell’individuare dei punti di riferimento in alto mare. Caratteristica imbarcazione
della navigazione di cabotaggio è stata la galera, ovvero la nave a remi, termine che poi è entrato nell’uso
comune per indicare le prigioni proprio perché venivano usati come rematori dei delinquenti o schiavi che
erano stati condannati ai lavori forzati sulle galere (andare in galera= essere costretti a utilizzare la forza
delle proprie braccia sulle imbarcazioni di questo nome). Le galere resistono all’interno del mar
Mediterraneo fino al ‘700; sono però costrette alla navigazione costiera sia per i rifornimenti (dare agli
uomini acqua e cibo per poter svolgere il loro compito) sia perché spesso gli scontri tra galere avvengono
non troppo distanti dalla costa (motivi militari). La vera novità delle navi d’altura è il perfezionamento delle
navi a vela che progressivamente sostituiranno le galere; esse sfruttano invece la forza del vento e quindi
possono spingersi anche in alto mare. Sarà proprio il perfezionamento di queste imbarcazioni il vero spunto
di svolta che consentirà ai marinai di spingersi in aree del pianeta lontanissime dalle coste dei paesi da cui
sono partiti.
La prima importante innovazione è l’uso di strumentazione che consente di avventurarsi in alto mare, gran
parte della quale proviene dalla Cina, come ad esempio l’uso della bussola così come la diffusione delle carte
nautiche. Carte nautiche per eccellenza sono i cosiddetti ‘portolani’ che danno la possibilità di creare delle
sorte di mappe che con le esplorazioni geografiche verranno sempre più migliorate e che possono essere
utilizzate e perfezionate dai naviganti che si succederanno a coloro che le hanno redatte in prima istanza
(servono per dare una rotta più veloce e sicura). Oltre a questo si aggiunge anche la necessità di trovare dei
punti di riferimento quando ci si trova in altro mare; viene quindi inventata la misurazione della latitudine
che, per quanto riguarda il nostro emisfero, è fornita dall’osservazione dell’altezza del sole e delle stelle.
Quando invece i naviganti europei si sposteranno nell’altro emisfero, l’unico punto di riferimento sarà
rappresentato dalla misurazione dell’angolo formato dal sole allo Zenith (punto più alto raggiunto durante la
giornata) e dalla linea dell’acqua e dell’oceano all’orizzonte. Si formeranno quindi delle tabelle matematiche
per facilitare calcoli di questo tipo; per la longitudine invece bisognerà aspettare il XVIII secolo.
Ci sono anche innovazioni che appartengono al modo di costruire le imbarcazioni tra cui la sostituzione di
due timoni laterali con un unico timone posteriore; questa sostituzione dà la possibilità di manovrare più
facilmente la nave, imprimerle una maggiore velocità, aumentare la sua stazza e riempirla maggiormente di
merci. Questo consentirà di praticare la navigazione d’altura in maniera più sicura. Un’ulteriore novità è
rappresentata dall’aumento del numero degli alberi che passa da 1 a 3; si crea in questo modo la possibilità di
dar vita a nuove tipologie di imbarcazioni come la caracca, un’imbarcazione tonda a 3 alberi e la caravella,
caratterizzata dall’utilizzo delle vele quadre che, a differenza di quelle triangolari, hanno la possibilità di
sfruttare meglio la forza del vento e quindi di aumentare la loro velocità. Esse sono frutto del connubio fra la
tradizione marittima mediterranea e quella nordica. L’ultimo balzo in avanti è la possibilità di caricare sulle
navi a vela le armi da fuoco che erano già state perfezionate. All’inizio del ‘500 i cannoni che in parte erano
già presenti sulle navi a vela, passano dalla coperta, la parte esposta della nave, alla sottocoperta e vengono
aperti dei portelli laterali nello scafo, cioè dei buchi dove vengono infilate le bocche dei cannoni. Inoltre, essi
venivano caricati su affusti mobili con quattro ruote che evitano il rinculo del cannone nel momento in cui il
colpo viene esploso rendendo quindi molto più stabile e sicuro il loro utilizzo sull’imbarcazione.
Il punto finale di questo processo è rappresentato, nel 1550, dalla comparsa di un’enorme imbarcazione che
caratterizzerà soprattutto la flotta delle potenze iberiche, Portogallo e Spagna: il galeone, una nave che mette
insieme l’aspetto militare con quello commerciale; una nave enorme che è allo stesso tempo nave da guerra e
nave mercantile. Saranno proprio i galeoni spagnoli quelle imbarcazioni contro le quali si scaglieranno le
molto più agili, veloci e leggere navi corsare, in particolare dei pirati e dei corsari al soldo della regina
Elisabetta I d’Inghilterra (Francis Drake e William Raleigh).
Lo speronamento e l’abbordaggio delle navi che aveva rappresentato il modo di fare la guerra sul mare fin
dall’età antica, cioè il fatto di avvicinarsi a una nave e far sì che i militari saltassero sulla nave nemica e
ingaggiassero una lotta corpo a corpo con i loro nemici, si sostituisce un nuovo modo: le bordate dei cannoni
sulle fiancate delle navi per provocare l’affondamento della nave nemica. Rematori e balestrieri, coloro che
avevano popolato le galere (energia umana), cedono il passo alle vele e ai cannoni (energia eolica e chimico-
fisica). Si è quindi aperta nella storia del mondo la cosiddetta ‘età delle macchine’.
IL COLONIALISMO EUROPEO
I termini colonizzazione e colonialismo indicano il dominio esercitato da un popolo su un altro tramite lo
sfruttamento economico, politico e ideologico del differente grado di sviluppo di un popolo su un altro; è
questo il dislivello alla base dell’avventura coloniale. Quest’ultima ha dato vita a differenti tipi di colonie e
gli storici ne hanno delineati in particolare tre:
1. Le colonie come basi d’appoggio, vale a dire colonie che vengono create per fini esclusivamente
economico-commerciali e di presenza militare; colonie che sono soprattutto posizionate lungo le
coste del continente africano, asiatico e successivamente anche lungo quelle del nuovo continente
americano. Questa tipologia è caratteristica della colonizzazione portoghese e solo in parte di quella
olandese.
2. Le colonie cosiddette ‘di insediamento’, cioè si vuole popolare i territori sottomessi, si procede con
la bonifica delle terre contro le popolazioni locali che vengono mandate via o schiavizzate e si
introduce la proprietà privata. Questa seconda tipologia è tipica del colonialismo spagnolo,
soprattutto nel Nuovo Mondo ma anche nelle Filippine.
3. Il vero e proprio dominio coloniale, ovvero il controllo di un intero paese senza un ripopolamento
dei territori. L’esempio principale è quello dell’India britannica tra il XVIII e nel corso del XIX
secolo fino alla decolonizzazione e alla sua indipendenza dopo la Seconda Guerra Mondiale grazie
alla figura di Gandhi. Un controllo quindi di un paese senza la necessità di trasferirsi in maniera
consistente all’interno del territorio sottomesso e soggiogato.
La tipologia della colonizzazione americana si colloca a cavallo tra il secondo e il terzo tipo, in quanto ci
furono importanti immigrazioni di popolazione spagnola nel Nuovo Mondo ma non in misura molto
consistente; molto meno consistente fu quella degli inglesi nell’India britannica.
IL COLONIALISMO PORTOGHESE
Il Portogallo è lo stato del continente europeo che si trova più a occidente con la maggior parte delle sue
coste affacciate sull’Oceano Atlantico, quindi dal punto di vista geografico poteva rappresentare lo stato
europeo maggiormente proiettato verso l’avventura in mare aperto. In particolare, esso si specializza
nell’importazione di spezie e di pepe dall’Oriente cercando di scoprire una via alternativa rispetto a quella
rappresentata dal Mar Rosso e dal Mar Mediterraneo, dominata dai mercanti genovesi e veneziani.
Le spezie costituivano un’attrazione fondamentale per gli europei e in particolare per i ceti più elevati della
società in quanto venivano utilizzate per impreziosire il gusto dei cibi (cottura della cacciagione) ma anche
per usi medicinali, i cui prezzi erano molto elevati. La proiezione verso la scoperta di nuovo luoghi e nuovi
punti di approdo commerciali inizia prima della metà del XIV secolo; nel 1341 viene messa in atto una prima
spedizione commerciale con navi che partono da Lisbona e che approdano nelle isole Canarie. Si svilupperà
poi una lunga disputa tra Spagna e Portogallo per il possesso di queste isole; disputa che si risolverà più di un
secolo più tardi con il trattato di Alcáçovas-Toledo del 1479, attribuendole alla corona spagnola la quale le
detiene ancora oggi. Il fatto che le esplorazioni geografiche e i traffici commerciali con proiezione atlantica
del Portogallo siano iniziati a metà del XIV secolo, porta a indebolire la tesi che fu soprattutto il blocco turco
dovuto alla conquista dell’Egitto all’inizio del ‘500 a far sì che i portoghesi venissero spinti a trovare delle
vie alternative per portare le spezie in Europa, in quanto questi tentativi erano iniziati un secolo e mezzo
prima. Le Canarie rappresentano un primo passo che verrà poi implementato quando, a partire dal 1385, si
stabilirà una nuova dinastia, quella degli Aviz, dapprima con il re Giovanni I e soprattutto con l’interesse
che uno dei suoi figli, il principe Enrico detto non a caso ‘il navigatore’, nutrirà nei confronti delle
avventure e dei traffici commerciali, facendosi lui stesso finanziatore di spedizioni commerciali.
Quest’ultime si dirigono per la maggior parte verso il continente africano a partire dal 1415, l’anno in cui i
portoghesi si appropriano della città di Ceuta in Marocco e che rappresenta il primo avamposto portoghese
sul continente africano; da qui poi si susseguiranno una serie di successive appropriazioni di isole e di punti
fortificati sulle coste occidentali in una progressione che porterà i portoghesi dalle aree dell’Africa del nord,
lungo il XV secolo, sempre più verso sud. 5 anni dopo la conquista di Ceuta, essi arriveranno a Madeira nel
1420, conquisteranno le Azzorre 10 anni più tardi nel 1430 fino a doppiare, nel 1434, il Capo Bojador che
darà loro la possibilità di insediare dei punti commerciali nel golfo di Guinea e quindi cominciare ad avere
rapporti sempre più stretti con le tribù africane della parte centrale del continente. Fin dalle prime spedizioni
commerciale, l’interesse principale dei portoghesi era sempre stato quello di acquisire materie prime molto
preziose presenti in grandi quantità quali l’oro e l’avorio; un’altra merce molto appetibile che gli veniva
fornita dai capi delle tribù africane erano gli schiavi. Altro elemento importante è che sia il Portogallo sia la
Spagna successivamente saranno costituiti dall’impianto di piantagioni di canna da zucchero. Il primo
emporio di quella lunga linea di città fortificate che incarna la prima forma di colonialismo portoghese delle
colonie come basi d’appoggio fu quello di Arguin fondato nel 1448 che diventa il primo punto di approdo
ricevendo la denominazione di ‘feitoria’. Ma la prima vera e propria città europea fondata al di fuori
dell’Europa sarà São Jorge da Mina, una città sulle coste africane in particolare nella zona del golfo di
Guinea costruita all’inizio degli anni ’80 del ‘400 il cui nome rivela l’importanza della presenza di miniere
che andavano ad alimentare i commerci.
L’avventura dell’esplorazione del continente africano continuerà anche nei decenni successivi, si rafforzerà
soprattutto nella seconda metà del ‘400 nonostante il principe Enrico il navigatore muoia nel 1460 e risultati
importanti si posizioneranno nell’ambito del regno del re Giovanni II che sale al trono nel 1481 perché,
proprio tra il 1487 e il 1488, una spedizione guidata dal portoghese Bartolomeo Diaz riuscirà a doppiare il
Capo di Buona Speranza. Servirà ancora un decennio, fino al 1498 con la spedizione di Vasco Da Gama, per
fare arrivare dalle coste orientali del continente africano fino al subcontinente asiatico e indiano, con l’arrivo
presso la città di Calicut in India. Non sarà quest’ultima a rappresentare un punto di snodo importante per i
traffici commerciali portoghesi ma sarà una città posta più a sud, quella di Cochin che si trova nell’attuale
regione dell’India denominata Kerala. In questo modo i portoghesi riescono a istaurare un contatto diretto
con le aree di approvvigionamento di pepe e spezie e ad aggirare definitivamente la preminenza che le
potenze delle repubbliche marinare italiane avevano acquisito nel corso del Medioevo per gli scambi di
questi prodotti.
Altri rivali con cui i portoghesi dovevano confrontarsi all’interno dell’Oceano Indiano erano i mercanti arabi
di fede musulmana; si verificheranno infatti numerosi scontri anche molto violenti ma il Portogallo riuscirà
comunque a rafforzare e stabilire definitivamente un proprio impero coloniale in Asia a partire dall’India per
poi arrivare a toccare l’isola di Ceylon, nella parte estrema meridionale del subcontinente indiano da dove
comincerà ad affluire un’altra spezia, la cannella. All’inizio del ‘500 si istaureranno punti fortificati
commerciali nella Malacca, penisola malese, e arrivare a stabilire una città commerciale in Cina, ovvero
Macao e, a partire dalla metà del ‘500, a istaurare rapporti commerciali anche con l’Impero giapponese dove
il porto principale di riferimento è rappresentato dalla città di Nagasaki. Quella che prenderà il nome di
‘Carreira da India’ sarà una via commerciale che, accanto alle spezie e al pepe, sarà sempre di più
implementata dallo scambio di tessuti preziosi, quali seta, lacche e porcellane, tutti quei prodotti che in
Europa occidentale erano richiestissimi e per i quali i ceti più facoltosi erano disposti a sborsare somme
considerevoli. Un’ulteriore acquisizione dell’impero coloniale portoghese è quella che avviene nel 1500 con
una spedizione guidata da Cabral la quale, a causa di un errore nei calcoli di navigazione, arriverà per caso a
toccare le coste dell’America meridionale e in particolare dell’attuale Brasile. Inizialmente verrà chiamata
Terra della Vera Cruz, poi della Santa Cruz e che acquisisca il nome odierno di Brasile grazie a un liquido di
colore rosso che viene estratto da un legno chiamato ‘pau brasil’ e che verrà utilizzato all’interno delle
manifatture tessili europee. La caratteristica principale dell’avventura coloniale portoghese è quella di essere
una conquista talassocratica, cioè i portoghesi sono interessati ad acquisire un controllo delle rotte marittime
e non ampie fette di territori. Secondo aspetto importante è caratterizzato da un monopolio della corona e
dell’aristocrazia, è quindi un colonialismo ancora pervaso da forti componenti feudali; terzo elemento è un
colonialismo caratterizzato da una scarsa accumulazione monetaria perché le spedizioni sono finanziate in
proprio soprattutto dalla corona; quarto elemento è la forte partecipazione di mercanti e banchieri stranieri
che apportano le loro conoscenze e competenze affiancandosi a quelli portoghesi. Nonostante questa forte
spinta di traffici commerciali, Venezia per tutto il ‘500 continuerà ad avere ancora un peso forte nella
commercializzazione di pepe e di spezie e, insieme alla città di Marsiglia, continuerà a controllare per tutto il
XVI secolo un quarto delle importazioni di questi prodotti. Sarà però un’altra città a diventare il punto focale
dei traffici commerciali europei che si trova nella parte nord-ovest dell’Europa, attualmente in Belgio, cioè
Anversa che diventa il vero importante centro di redistribuzione delle spezie portoghesi che arrivavano
dall’Oriente tanto che nel 1509 essi decidono di aprire lì una loro succursale chiamata ‘feitoria de Flanders’
e il denaro acquisito con la commercializzazione servirà per l’acquisizione del rame proveniente dalla
Boemia o l’argento proveniente dalle miniere del Tirolo in Austria. Anversa sostituirà quindi
progressivamente i grandi empori dell’area meridionale dell’Europa, in particolare quella mediterranea.
Ultimo aspetto importante è che il colonialismo portoghese sarà costretto a confrontarsi con vari rivali a
partire dalla Spagna per arrivare poi all’Olanda e all’Inghilterra che sottrarranno buona parte dei centri
commerciali al Portogallo soprattutto in area asiatica e africana tanto che, dalla metà del ‘500 in avanti, sarà
il Brasile a diventare la colonia più importante all’interno del Portogallo grazie, oltre alle piantagioni di
canna da zucchero, alla scoperta di giacimenti di oro e metalli preziosi che faranno sì che si strutturi sempre
di più la presenza coloniale e commerciale del regno del Portogallo.
IL COLONIALISMO SPAGNOLO
LE CIVILTÀ PRE-COLOMBIANE. PREMESSA
La Spagna dell’epoca non era un regno compatto e coeso come il Portogallo; già a partire dall’XI secolo
degli spagnoli avevano intrapreso una lotta di riacquisizione di territori che erano stati sottratti loro dagli
arabi a partire dall’inizio dell’VIII secolo d.C. quando in Spagna era presente la dominazione dei Visigoti. Fu
un percorso lungo che durò quattro secoli il cui atto finale fu rappresentato nel 1492, anno della scoperta
dell’America da parte di Cristoforo Colombo, dalla conquista e dalla sottomissione definitiva di
quell’estrema propaggine di territorio ancora musulmano rappresentato dal regno di Granada; questa
operazione militare venne messa in atto dai sovrani dei due più importanti regni che costituivano la parte più
consistente della penisola iberica: Castiglia e Aragona. A capo del primo vi era la regina Isabella, a capo del
secondo il re Ferdinando; questi due sovrani si erano uniti in matrimonio nel 1469 e dieci anni più tardi, nel
1479, avevano deciso di unire le loro due corone ma non i loro due stati, i quali continuarono anche
successivamente ad essere gestiti in maniera separata tra di loro. Il regno di Aragona era a sua volta diviso in
sotto entità molto differenti fra loro e che tenevano in maniera particolare al riconoscimento di una sorta di
semi-indipendenza: accanto al regno di Aragona si affiancavano la contea di Barcellona e il regno di
Valencia.
Sotto le mura di Granada giunge nel gennaio del 1492 Cristoforo Colombo, probabilmente di origini
genovesi, che riesce a convincere la regina Isabella di Castiglia a finanziare una spedizione avventurosa che
l’avrebbe portato a raggiungere l’Estremo Oriente dirigendosi però verso occidente. Isabella decide di
finanziarlo e così la spedizione partirà dalle coste meridionali della Spagna e giungerà il 12 ottobre del 1492
ad avvistare una delle isole dell’arcipelago delle Bahamas, probabilmente San Salvador, e da qui a toccare
anche altre isole dei Caraibi fino ad arrivare alle coste del continente americano e in particolare del Messico
di oggi. È un momento di svolta epocale anche nei rapporti tra Spagna e Portogallo tanto che dovrà
intervenire il papa dell’epoca, papa Alessandro VI di origini spagnole, in particolare di Valencia,
appartenente alla famiglia aristocratica dei Borgia, il suo nome era infatti Rodrigo Borgia, per cercare di
porre pace tra le due potenze. Con una serie di bolle emanate nel corso del 1493, Alessandro VI deciderà di
tracciare una linea che in spagnolo prende il nome di ‘Raja’, la quale verrà posizionata cento leghe a ovest e
a sud delle Azzorre e di Capo Verde (lega= miglio marittimo) e che viene tracciata per favorire i regni
spagnoli. Tuttavia, il Portogallo con sarà d’accordo con questa demarcazione e un anno più tardi, nel 1494, si
arriverà alla sottoscrizione del ‘trattato di Tordesillas’ che sposterà la Raja di 270 leghe ulteriormente più a
ovest, arrivando a misurare 370 leghe in totale. Nel momento in cui questo trattato viene sottoscritto, questa
ulteriore estensione non rappresenterà un problema per la Spagna; il problema si pone quando nel 1500
Cabral approderà sul Brasile. Da quel momento in poi questo territorio rientrerà all’interno dei possedimenti
spettanti al Portogallo e la Spagna si troverà a dover accettare questa situazione ed è anche il motivo per cui
il Brasile è l’unica area dell’America meridionale dove ancora si parla il portoghese.
Vi erano delle assenze che vengono subito evidenziate dagli europei quali l’assenza di animali domestici, del
cavallo, della ruota e di siderurgia, cioè la capacità di lavorare e modellare il metallo. D’altra parte vengono
notate delle caratteristiche che depongono per l’accentuazione di una sorta di mostruosità, le quali avevano a
che fare con pratiche di queste popolazioni che agli occhi degli europei venivano considerate primitive
inferiori: la pratica del cannibalismo e quella dei sacrifici umani così come veniva osservata anche la
particolare bellicosità di queste popolazioni. Un terzo aspetto è la straordinaria ricchezza di questi territori,
sia in termini di prodotti agricoli che di metalli preziosi quali l’oro e soprattutto l’argento; allo stesso tempo
viene sottolineata anche la grande creatività di queste popolazioni native, abbinata però alla scarsa
innovazione tecnologica.
Le fonti scritte locali di queste popolazioni sono limitate solo all’America centrale con una predominanza
della civiltà dei Maya, mentre nell’America meridionale gli Inca per esempio non conoscevano neppure la
scrittura, la maggior parte delle quali vennero distrutte dagli spagnoli durante i famosi ‘auto da fé’ che
venivano organizzati per cancellare il passato di queste popolazioni come se dal fuoco potesse nascere una
nuova civiltà fortemente condizionata dall’elemento europeo e dalla religione cristiana. Sopravvivono solo
20 codici di età pre-colombiana in tutto il continente dell’America centrale e meridionale; quindi si interroga
il passato di queste aree con altri strumenti, soprattutto quelli dell’archeologia. Accanto alla scarsità di fonti
scritte locali c’è però una letteratura piuttosto copiosa di cronache contemporanee e successive di spagnoli e
di meticci di sangue misti che rappresentano un buon punto di riferimento per la ricostruzione di queste aree,
depurate dalle interpretazioni degli autori. Terzo elemento è l’opera dei filosofi, degli storici, dei teologi e dei
letterati europei, però molto meno attendibili.
Gli imperi dell’America centrale hanno un loro sistema di scrittura geroglifico, fatto quindi per immagini e
pittogrammi; quello degli Inca invece è un impero senza scrittura. Interessi particolari dei Maya e degli
Aztechi erano indirizzati verso la matematica, l’astronomia e l’astrologia. Il terzo elemento è costituito dalla
presenza di consistenti e importanti centri urbani che venivano alimentati dal contado circostante, i quali per
garantire la sopravvivenza delle proprie popolazioni vi stabilivano un forte controllo. L’America centrale è la
parte che inizialmente entrò in contatto più diretto con i conquistadores spagnoli; il primo che dalle isole dei
Carabi approda senza autorizzazione sulle sponde dell’America centrale ed entra in diretto contatto con la
civiltà azteca fu Hernán Cortés nel 1519, passa quindi circa un trentennio dalla spedizione di Colombo alla
sottomissione e allo sfaldamento del primo grande impero dell’America centrale, quello azteco.
Gli Inca sono una popolazione che ha saputo, proprio per le condizioni ostiche del territorio in cui si è
trovata a vivere, organizzare il settore agricolo in maniera molto oculata cercando di sfruttare al massimo le
sue potenzialità, ad esempio tramite l’organizzazione di terrazzamenti: il Perù infatti si trova sulla
Cordigliera delle Ande con rilievi montuosi molto elevati dove l’agricoltura è possibile solo se si riesce a
organizzare il territorio in questo modo. Un altro ambito nel quale gli Inca diedero prova di essere provetti fu
quello delle grandi opere: il tracciamento di strade e la costruzione di ponti e acquedotti; tutto questo a fronte
di una distribuzione della popolazione molto più sparpagliata rispetto all’Impero azteco, non tanto con grandi
centri come Tenochtitlán, odierna Città del Messico e capitale dell’Impero azteco, quanto con piccoli villaggi
sparsi sul territorio che però garantivano un maggiore controllo su quest’ultimo, molto complicato e molto
ostico.
AZTECHI E INCA
In America meridionale Pizarro e Almagro nel 1534-35 approdano ed esplorano la parte continentale del
vasto continente americano. Quest’ultimo da migliaia di anni era popolato da popolazioni provenienti
dall’Asia che aveva attraversato quel corto tratto di mare mediante lo stato che si trova più a nord, l’Alaska.
Esse poi si sono trasferite sempre più a sud popolando dapprima l’America settentrionale, poi quella centrale
e infine quella meridionale. Prima degli aztechi, provenienti dall’America settentrionale, in quella centrale
esistevano delle civiltà organizzate teocraticamente, cioè i sovrani avevano sia un potere temporale che
religioso. Si erano sviluppate quindi civiltà superiori minacciate però dai barbari bellicosi che provenivano
dal nord, tra i quali anche gli aztechi. A partire dal X-XI secolo in poi era stata sviluppata in queste aree
un’agricoltura intensiva, basata sulla coltivazione di uno dei prodotti che il Nuovo Mondo donerà al Vecchio
e all’Europa: il mais. Ciò aveva come conseguenza il fatto di poter alimentare numeri consistenti di persone
che si organizzano e si riuniscono intorno ai centri urbani, favorendo ulteriormente la crescita demografica.
Erano anche popolazioni che si spostavano frequentemente da un territorio all’altro; una delle motivazioni
era dovuta a un fenomeno tipico di molte civiltà, vale a dire i pellegrinaggi che facevano spostare masse di
persone verso luoghi identificati per la loro importanza dal punto di vista spirituale e religioso. Le
popolazioni di questi luoghi erano dedite soprattutto al politeismo, quindi avevano un pantheon di dei che
spesso avevano ognuno un proprio santuario; nel momento in cui al politeismo si sostituì il cristianesimo in
Europa e nell’area mediterranea, anche in queste località l’arrivo degli spagnoli non fece altro che
sovrapporre ai santuari luoghi di culto dedicati alla divinità cristiana e soprattutto alla figura della Vergine.
Una delle più famose madonne che vengono ancora oggi venerate in ambito messicano è la Vergine di
Guadalupe, la quale ha origine in luoghi dove prima si posizionavano santuari dedicati alle divinità azteche.
Intorno al XIV secolo, i barbari che premevano sulle frontiere settentrionali dell’America centrale invadono
questi territori: sono gli aztechi. Queste civiltà teocratiche guardavano altre civiltà che per secoli erano state
tenute ai margini e che ad un certo punto riescono a sopraffarli. Anche prime dell’arrivo degli aztechi altre
popolazioni si erano spostate da nord verso sud, come gli ‘olmechi’ e i ‘toltechi’; all’arrivo degli aztechi
anche queste popolazioni vengono sottomesse e conquistate tanto che alcune di queste si metteranno al
servizio degli spagnoli e lo faranno proprio perché capiscono che potrebbe essere per loro la possibilità di
scalzare la dominazione azteca che mal digerivano. Il loro arrivo porta però un rapido incivilimento ma
anche la necessità di riscrivere la storia precedente individuando sé stessa come l’elemento atteso con il
sostegno della divinità per rinvigorire delle civiltà che loro ritenevano che dovessero essere sottomesse e
addomesticate. Si sviluppano odi molto forti aggravati dal fatto che gli aztechi portano alcune caratteristiche
della loro civiltà che non vengono completamente accettate dalle popolazioni sottomesse, tra cui quella dei
sacrifici umani. Nel momento in cui Cortés con il suo piccolo gruppo di uomini entra in contatto con la
civiltà azteca si trova a confrontarsi con il sovrano Moctezuma II che stava attuando un tentativo di
irrigidimento assolutistico del potere nelle proprie mani; egli cerca anche di attuare una dinamica che arrivi a
sostituire, nell’accesso alle cariche pubbliche, il privilegio di nascita rispetto al merito. Questa potrebbe
essere una delle motivazioni di spiegazione del crollo repentino della civiltà azteca che in termini anche
numerici era molto più consistente rispetto alle poche centinaia di spagnoli; un’altra delle motivazioni deriva
dalla personalità di Moctezuma che è stato ritenuto un sovrano troppo debole soprattutto nei confronti di
realtà che lui non conosceva e che sulla base di antiche tradizioni e di presagi ad un certo punto sarebbero
arrivati degli dei che avrebbero posto fine alla civiltà azteca. Essi vengono velocemente identificati negli
spagnoli anche se buona parte della popolazione poi si ricrede e si pensa che insieme ad altri fattori anche
questo atteggiamento di accettazione di un qualcosa di inevitabile abbia fatto sì che gli aztechi si siano fatti
trovare completamente impreparati al contatto con i conquistadores spagnoli.
In Perù la civiltà Inca si installa sulla Cordigliera delle Ande intorno al XIII secolo; la situazione di queste
aree era molto più complicata con una forte distinzione tra civiltà montane e civiltà costiere tra le quali però
vi era una certa compenetrazione. Sono la guerra e i pellegrinaggi ai luoghi di culto delle divinità a favorire
gli incontri, non tanto lo sviluppo dei commerci; quello che è stato possibile stabilire grazie agli studi
archeologici è un’introduzione precoce in queste aree dell’agricoltura, il 7000 a.C. per le aree costiere più
pianeggianti e il 2500 a.C. sugli altipiani. Si erano create delle civiltà in cui dominava il lignaggio patri-
lineare, cioè discendenza da padre in figlio con la coltivazione comune della terra all’interno dei villaggi
agricoli. All’agricoltura queste popolazioni integravano anche la pesca della sopravvivenza; erano anche aree
in cui era stata costituita una buona rete di irrigazione che favoriva l’unificazione politica insieme ad
un’ottima rete stradale. Non esisteva la ruota bensì un ottimo sistema di scambio di uomini e di informazioni
tra un punto e l’altro di una determinata area, in quanto erano stati creati dei messaggeri veloci chiamati
‘chasqui’ che operavano tramite un sistema di staffetta, i quali si esercitavo fin da giovani scambiando
velocemente e su un territorio ostico gli ordini e le informazioni degli apparati di potere. Per preservare la
purezza di sangue, fin da subito gli Inca sanciscono le nozze tra fratello e sorella e decidono anche di
dividere l’Impero in 3 grandi parti: una di pertinenza e proprietà dello Stato, una per i servizi di religione e
un’altra destinata al lavoro dei contadini e alla proprietà contadina. Si tratta di una conquista militare ma
anche diplomatica in quanto gli Inca decidono di lasciare al loro posto le classi dirigenti locali in modo da
garantirsene la fedeltà e solo in caso di rivolta attuare massicci spostamenti di popolazione con un
rimescolamento di differenti civiltà che oggi rende particolarmente complicata in quelle zone la ricerca
archeologica. Gli Inca portano anche, dal punto di vista dei culti religiosi, quello del sole procedendo però
alla soppressione delle religioni locali affinché ciò diventi un elemento unificante del territorio posto sotto il
loro controllo. Molto di più rispetto agli aztechi, gli inca oppongono una forte resistenza alla penetrazione e
alla dominazione dei conquistadores spagnoli; la conquista dell’America meridionale è molto più complicata
rispetto a quella centrale.
Un ultimo imperatore inca sarà Túpac Amaru, il quale si ribellerà ancora per decenni agli spagnoli fino a
quando non verrà definitivamente catturato e giustiziato nel 1572 ma in realtà queste popolazioni continuano
a rimanere in uno stato di agitazione molto a lungo; ancora nella seconda metà del ‘700 ci fu una rivolta di
un personaggio che si considerava discendente dell’ultimo imperatore inca, tanto che si fece chiamare Túpac
Amaru II, sedata solo con la sua morte tra il 1780 e il 1781.
LA TESI BODIN-HAMILTON
La teoria di Jean Bodin e Earl Hamilton è una teoria quantitativa o metallistica della moneta, se la
domanda e la velocità di circolazione della moneta sono stabili, il livello dei prezzi è direttamente
proporzionale alla quantità di moneta disponibile sul mercato. Dunque, se la moneta disponibile sul mercato
aumenta per maggiore riconiazione di argento, di conseguenza rialzano direttamente anche i prezzi. Fu
quello che avvenne nel corso del ‘500 ma con delle precisazioni:
1. Non tutti i prezzi aumentano nella medesima misura all’interno dei differenti ambiti;
2. Incide sulla maggiore presenza della moneta disponibile sul mercato la domanda dei consumatori
che si accresce proprio per l’aumento demografico;
3. Incide anche sulla produzione delle merci e non solamente sulla loro vendita.
Tra le maggiori critiche apportate a questa teoria vi è il fatto che gli studiosi hanno verificato che l’aumento
dei prezzi in Europa non data dall’ultimo decennio del ‘400 e dai primi del ‘500, cioè quando cominciano ad
affluire imponenti quantità di metalli preziosi, ma esso avvenne già in Francia e nelle aree germaniche a
partire dal 1470-1480. Entrambi hanno cercato di rispondere a questa critica sostenendo che gli aumenti
precedenti alle scoperte geografiche furono dovuti ad un’accresciuta produzione di argento in Europa
centrale. Però fu una produzione che nella sua quantità complessiva non può essere portata come una
spiegazione di un fenomeno così importante quale fu l’inflazione dell’inizio dell’età moderna.
Seconda critica che viene fatta a questa tesi è dovuta al fatto che noi disponiamo di dati incompleti relati
all’importazione di metalli preziosi dal Nuovo Mondo, in quanto non si tiene conto di un aspetto importante
che fu quello del contrabbando, cioè di coloro che riuscivano a sfuggire ai controlli che venivano effettuati
all’arrivo dei metalli preziosi in Europa.
Terza e ultima critica, ma forse la più importante, è il fatto che questi metalli preziosi e in particolare i
galeoni spagnoli carichi di argento che arrivavano a partire dalla metà degli anni ’40 del ‘500 nel porto di
Siviglia in realtà non si fermano in Spagna e quindi non possono essere considerati la vera causa
dell’inflazione. Non si fermano perché da una parte vanno subito a ripagare i debiti del re di Spagna che
quest’ultimo ha contratto con mercanti e banchieri in giro per l’Europa, dall’altra la maggior parte di questo
argento va fuori dal continente europeo poiché viene utilizzato dalle potenze coloniali europee per pagare le
merci che provengono dall’Estremo Oriente.
L’assorbimento dell’oro e dell’argento americani è non tanto la causa quanto l’effetto dell’inflazione, serve
cioè per far fronte ad un aumento dei prezzi che in Europa è già avvenuto a partire dagli ultimi decenni
dell’età medievale.
LA RIVOLUZIONE DELLA TERRA
Ad aumentare, oltre al prezzo di beni essenziali come il grano, è anche il valore dei terreni; si potrebbe
parlare di una sorta di rivoluzione, quella appunto della terra e il valore aumenta perché vi è maggiore
domanda, è maggiormente richiesta dall’accresciuta popolazione che abita in Europa. La crescita
demografica fa sì però che ad un certo punto, avendo più manodopera a disposizione, si assista ad una
diminuzione dei salari reali; il salario ‘nominale’ è quello che c’è scritto sulla busta paga, mentre il salario
‘reale’ è quello con cui è possibile acquistare per sé stesso e per la propria famiglia. Si è trattato quindi di
un’inflazione ‘selettiva’, cioè relativa soprattutto a prezzi di beni di consumo essenziali, a prezzi dei terreni.
La vera unità di misura della ricchezza in Europa è rappresentata dal possesso di terreni; su quest’ultimo,
infatti, viene calcolato il contributo che il proprietario deve fornire allo Stato in termini di imposte. È per
questo che l’aumento del valore della terra scambiata contribuì a rendere memorabile quest’inflazione; ci
furono categorie di persone favorite da questo fenomeno, mentre altre svantaggiate. Favoriti furono
sicuramente gli affittuari, coloro che avevano contratto un affitto per lo sfruttamento della terra dai legittimi
proprietari e che possono godere dello scarto tra bassi canoni di affitto e un aumento del prezzo dei prodotti
della terra; svantaggiati, invece, furono i proprietari terrieri che per la maggior parte vivono delle rendite
provenienti dall’affitto dei loro terreni e che, avendo dato in locazione la terra per un lungo periodo di tempo
con contratti a lungo termine, non possono approfittare delle variazioni del mercato per aumentare i canoni di
affitto. Una delle soluzioni può essere quella di impiegarsi loro direttamente nella conduzione dei terreni di
loro proprietà ma, soprattutto se si tratta di famiglie nobiliari, un limite forte è dato dal fatto che un nobile
non può “sporcarsi le mani” in attività legate alla conduzione della terra.
Si verifica quindi una rivoluzione della terra che fa sì che sempre di più mercanti e commercianti decidano di
immobilizzare i capitali acquisiti grazie all’inflazione nella terra, cioè nell’acquisto di tenute in aree rurali.
Quindi la terra non rappresenta tanto un fattore di conservazione, quale era stato durante l’arco dell’età
medievale, ma diventa sempre di più un fattore di mutamento, di miglioramento personale e anche di scalata
all’interno della società.
LA RISPOSTA DEI GOVERNI EUROPEI
Tutti i governi dell’epoca furono fortemente preoccupati dall’inflazione galoppante dei primi decenni dell’età
moderna perché metteva a rischio la stabilità monetaria (l’unico sovrano che riesce a mantenerla è la regina
Elisabetta I d’Inghilterra) e incideva sui maggiori oneri che dovevano essere destinati all’attività principale
di tutti i monarchi e gli stati europei dell’epoca, ovvero i conflitti bellici, i quali comportavano un esborso
maggiore per le casse dello Stato al fine di finanziare le campagne militari.
La Spagna invia all’estero grandi quantità di argento per finanziare gli eserciti ma in questo modo
contribuisce anche ad aumentare l’inflazione degli altri paesi; la situazione peggiorerà alla fine del regno di
Filippo II che muore nel 1598 e soprattutto nel corso del regno di suo figlio Filippo III che dura dal 1598 al
1621. Quest’ultimo, già nel 1599, permette l’emissione di monete senza contenuto di argento e il suo
successore Filippo IV, nel 1650, farà sì che il 98% delle monete coniate dalla zecca statale spagnola sia
costituito solamente di rame, un metallo ‘vile’.
Gli Stati furono anche colpiti dalla diminuzione del gettito fiscale alla quale la popolazione più difficilmente
poteva far fronte e questo innesca una serie di scontri soprattutto con i ceti privilegiati e con i cosiddetti
‘corpi costituzionali’. Alcuni storici hanno spiegato le rivolte che caratterizzeranno la prima metà del ‘600
come una risposta a quella destabilizzazione causata dagli scontri e dai conflitti che si verificavano tra lo
Stato e i ceti privilegiati.
La disputa che si sviluppò nel ‘600 tra coloro che erano favorevoli all’assolutismo monarchico e coloro che
invece erano favorevoli all’accentramento dei poteri nel corpo burocratico centrale dello Stato è stata
spiegata da alcuni come una contesa relativa alla gestione della finanza pubblica.
CALVINO E IL CALVINISMO
Il terzo grande riformatore è Giovanni Calvino, o per meglio dire Jean Calvin, che nasce nel 1509, non fa
parte del clero ma è un avvocato e la sua adesione alla riforma non avviene in Francia bensì in ambito
svizzero, in particolare a Ginevra, città francofona. Nel 1534 Calvino è costretto ad abbandonare
precipitosamente Parigi e la Francia a causa di uno scandalo relativo ad un avvenimento denominato
“l’affair de placards”, cioè fogli volanti che vengono fatti trovare sul percorso che il re di Francia Francesco
I compie tutte le mattine per recarsi ad assistere alla celebrazione della Messa e che come contenuto hanno
una forte critica nei confronti della Messa intesa secondo la dottrina cattolica. Alcuni compagni di Calvino
perdono la vita a causa di questo affronto, Calvino invece riesce a fuggire e si rifugia in quell’oasi di libertà
che era la Svizzera dell’epoca. Non approda subito a Ginevra ma una prima tappa del suo percorso da esule
si situa nella città svizzera di Basilea dove, due anni dopo, nel 1536, pubblica quello che da molti è ritenuto
uno dei testi fondanti del protestantesimo: la ‘Institutio christianae religionis’, l’istituzione della religione
cristiana dove condensa le basi del suo modo di concepire il protestantesimo, che da lui prenderanno il nome
di ‘calvinismo’. Tutte queste confessioni religiose sono cristiane, cioè dal 1517 non c’è più come prima
un’equivalenza tra cristianesimo e cattolicesimo, ma quest’ultimo è solo una delle confessioni cristiane.
Calvino condivide con Lutero una concezione pessimistica dell’uomo dalla quale però trae un invito ad agire
nel mondo, a fare, a produrre; ciò si lega ad un rifiuto della concezione escatologica. Calvino ritiene che si
possa fondare l’instaurazione del regno di Dio sulla terra grazie al gruppo degli ‘eletti’, coloro che vengono
scelti e che possono essere riconosciuti mediante alcuni indizi: la professione di fede, cioè il credo, la
partecipazione ai sacramenti e la correttezza di vita, ovvero la possibilità di comportarsi in maniera il più
possibile corretta nella vita quotidiana. Accanto a questi temi vi è poi l’acquisizione della teoria della
predestinazione: Calvino ritiene che gli uomini e le donne siano già fin dalla nascita dannati o salvati e ciò fa
sì che l’uomo non debba gettarsi nella disperazione oppure nella gioia ma deve piuttosto indirizzare tutte le
sue energie a onorare Dio. Calvino crede che esista una distanza assoluta tra Dio e l’uomo; l’uomo elemento
che permette di congiungere questi due mondi completamente separati tra di loro è la fede che Calvino
traduce come una grazia gratuitamente ricevuta da Dio, la quale riesce con la sua forza a piegare anche la
volontà umana, detta infatti ‘irresistibile’, e allo stesso tempo concede agli uomini la perseveranza, facendo
sì che gli eletti, una volta commesso un peccato e poi pentitisi, abbiano un aiuto per evitare di cadere
nuovamente nel peccato. La teoria della predestinazione è più una teoria calvinista, cioè non si trae
direttamente dagli scritti di Calvino quanto piuttosto dal dibattito che si è sviluppato intorno a questi scritti;
la teoria secondo la quale tra gli indizi che possono far propendere una persona a ritenere di essere stata
ricompresa all’interno del gruppo degli eletti ci sia il successo negli affari e il legare questo successo a nuove
modalità di vita nel sociale e in ambito economico ha fatto sì che parecchi secoli dopo, in un testo pubblicato
tra il 1904 e il 1905 da Max Weber (filosofo e sociologo tedesco) e intitolato ‘L’etica protestante e lo spirito
del capitalismo’, egli legasse lo sviluppo del capitalismo alla possibilità che in certe regioni d’Europa il
calvinismo sia stato accolto in concorrenza con il cattolicesimo, dando una spinta in più all’individualismo
economico, all’imprenditorialità.
Calvino approda definitivamente a Ginevra dove viene istaurata una vera e propria teocrazia, che prende il
nome di ‘Repubblica dei Santi’ e la città diventa il punto di riferimento del protestantesimo in tutta Europa
dalla metà del ‘500 in avanti. A capo di questa repubblica vi era un consiglio degli anziani che decideva sia
dal punto di vista della politica religiosa che di quella temporale ma che portò a sviluppare forme di
intolleranza contrarie e uguali a quelle che nello stesso periodo stava sviluppando la Chiesa cattolica di
Roma con il Tribunale dell’Inquisizione. Anche a Ginevra quindi si mandano a morte i dissenzienti: uno dei
nomi più noti è quello di uno spagnolo, Miguel Serveto, un anti-trinitario, ovvero disconosceva il dogma
della Santissima Trinità; egli dice che nel Vangelo non è assolutamente presente la possibilità che la divinità
sia composta da tre persone con un’unica sostanza e per queste sue idee che, decide di non ritrattare, verrà
mandato a morte. Calvino ritiene che i sacramenti debbano rimanere un veicolo di comunione con Dio e di
solidarietà con i fratelli e quindi non possono essere ritenuti semplici cerimonie commemorative e, in
maniera simile a Lutero, mantiene solo due sacramenti che sono gli stessi: il battesimo e l’eucarestia. Per
quanto riguarda il primo, decide di mantenerlo perché trova degli elementi di giustificazione all’interno del
Nuovo Testamento, in particolare nell’episodio in cui Gesù rimprovera i propri discepoli che cercavano di
allontanare un gruppo di bambini schiamazzanti che volevano avvicinarlo; per lui eliminare il battesimo
sarebbe equivalso ad un misconoscimento della misericordia divina mentre i cristiani hanno il dovere di
educare i bambini nella legge di Dio e somministrargli il Vangelo fin da neonati. Per quanto riguarda il
secondo anche lui non riconosce la consustanziazione e quindi ritiene che il pane e il vino non diventino il
corpo e il sangue di Cristo ma crede comunque che siano dei segni di comunione del fedele con Cristo; non
c’è più la presenza reale della divinità bensì la partecipazione reale alla vita e ai benefici che all’umanità
sono stati elargiti dalla discesa di Dio sulla terra. A questo punto viene quindi a cadere l’ingestione materiale
dell’ostia consacrata che Lutero aveva mantenuto e che invece Calvino non prevede più. Ancora nel ‘500 il
protestantesimo è diffuso nella parte centrale e orientale della Germania di oggi, mentre tutto il resto
(Fiandre, Boemia, Ungheria e Polonia) continua a rimanere cattolico; alla vigilia della Guerra dei Trent’anni
la repubblica delle 7 province unite, l‘Olanda di oggi, è passata dal cattolicesimo al protestantesimo
soprattutto nella sua versione calvinista sottraendosi anche alla dominazione spagnola grazie alla Guerra
degli Ottant’anni. Altre aree che, nel 1618, diventano di religione mista sono da una parte il regno di Boemia
e dall’altra quella piccola fetta del regno di Ungheria rimasta sotto il dominio degli Asburgo.