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STORIA MODERNA A.A.

2019/2020
Prof Maurizio Sangalli

 Date inizio: 1453= conquista Costantinopoli; 1492= scoperta dell’America


 Date fine: 1789= Rivoluzione francese; 1814= Congresso di Vienna; anni ‘30-‘40 dell’800= moti
carbonari
Queste date valgono solo se si guarda la storia da un punto di vista eurocentrico.

IMPERO MONGOLO
La storia dell’Europa dipende da quello che è successo nell’immenso continente asiatico negli stessi secoli.
L’Impero cinese è stato uno dei grandi motori della storia del mondo. Un impero relativamente coeso in
Estremo Oriente si è creato prima che si creasse l’Impero Romano, quindi nel 221 a.C. la dinastia che ha
unificato l’Impero cinese era la dinastia Qin e da qui ha preso il nome di Cina ma in realtà, essendo venuta
meno poco tempo dopo, gli è succeduta un’altra dinastia, quella degli Han, molto più duratura, dal 200 a.C.
al 200 d.C. Una delle dinastie più lunghe e più durature è la dinasta Tang, tra il VII e il X secolo, quello che
per noi è l’Alto Medioevo. La storia della Cina cambia negli anni ‘70 del XIII secolo, tra il 1271 e il 1279;
nel 1271 prende il potere il Khan Kubilai, il quale nel 1279 con il suo esercito conquista l’Impero cinese. In
questi anni la dinastia dominante è quella dei MONGOLI, grazie a Gengis Khan che vive tra gli ultimi
decenni del XII secolo e i primi del XIII e riesce a spostarsi dalla Mongolia con un avanzamento verso ovest
che lo porta ad occupare tutta la Russia meridionale fino alle porte dell’Europa riuscendo a creare un impero
enorme. Alla morte di Gengis Khan, avvenuta nel 1227, questo immenso territorio si frammenta tra i figli e i
nipoti ed è possibile individuare quattro aree:
1. KHANATO DEL GRAN KHAN, che conquista anche il territorio della Cina dell’epoca;

2. KHANATO DI CHAGATAI, il quale prende il nome da uno dei suoi figli ed è posizionato in un’area
centrale che rappresenta il punto di contatto tra l’Estremo Oriente e l’Europa (tra le città più
importanti Samarcanda, Bukhara: punti di partenza e di arrivo per la Via della Seta) È questo uno dei
principali motivi di successo dell’Impero mongolo: le ricchezze e il contatto con chi aveva fame di
esse;
3. KHANATO DELL’ORDA D’ORO, territorio che oggi geograficamente corrisponde alla Russia;

4. ILKHANATO DELL’IRAN, geograficamente tra l’Iran e l’Iraq. La città più importante di quest’area è
Baghdad, abitata fino all’XI secolo da arabi e musulmani, i quali nel 1258 finiscono sotto il dominio
dei mongoli. Nello stesso anno finisce un’importante dinastia, quella degli Abbasidi e Baghdad
viene conquistata dai mongoli. Essi riescono a fare ciò grazie soprattutto al cavallo, con cui gli
uomini si spostavano velocemente.
Quello della Cina era un impero già allora millenario che tra il XIII e il XIV secolo era abitato da 60 milioni
di persone in uno Stato unico, coeso, compatto e molto popoloso.
La civiltà e la cultura cinese ritengono che, come in Cielo esiste un solo astro, il Sole, in Terra esiste un unico
punto di riferimento: un solo imperatore al quale è riconosciuta una missione importante: tenere in armonia
le risorse umane con le forze naturali. Il termine che indica il capo supremo all’interno dell’Impero celeste è
WANG. Altro termine importante è anche HUA, cioè trasformazione, in quanto i cinsi ritengono che il mondo
sia in perenne trasformazione che l’uomo deve cercare di comprendere attraverso uno strumento
fondamentale, WEN, ovvero la letteratura, che serve per capire meglio il mondo e fornire dei modelli
comportamentali per far sì che la società progredisca in maniera virtuosa.
L’obiettivo era quello di creare una burocrazia fortemente centralizzata e i funzionari dell’impero erano i
MANDARINI, i quali venivano scelti non per nascita bensì per concorso. Un altro modo per arrivare ai vertici
della scala sociale era quello dell’acquisto delle cariche, senza dare importanza alla nobiltà di sangue.
A differenza di quanto accadeva in Europa, in Cina ad avere presa sul potere era la burocrazia, quindi il
potere civile al posto di quello militare. Era molto diffusa la corruzione e tra gli esponenti più dediti a fare
ciò vi erano gli EUNUCHI DI CORTE, i quali cominceranno a diventare un vero e proprio problema per la
Cina a causa del sempre maggiore accumulo di denaro nelle loro mani.

18/02 CINA MODERNA


Dopo la fine della dominazione mongola, nel 1368 ritorna una dinastia di origine cinese, quella dei Ming che
regnerà fino al 1644. Altri termini importanti sono DAO, cioè la via che conduce al giusto equilibrio tra le
forze della natura e i fondamenti della società si ripartiscono tra il Dao e LI, cioè i riti in quanto danno
l’indirizzo a come ci si deve comportare nella vita per vivere armoniosamente all’interno della società. A
fronte di questi fondamenti, all’interno della cultura cinese, ci sono degli elementi che sono molto meno
presenti, come ad esempio il diritto; allo stesso modo, mentre fin dall’Impero Romano l’economia ha
funzionato all’interno del continente europeo con lo sviluppo delle monete, in Cina sono state molto
scarsamente presenti. Un ulteriore elemento che rappresenterà un richiamo da parte della cultura cinese è la
scarsa attenzione nei confronti delle scienze, della matematica e dell’astronomia. Accanto a questi due
fondamenti basilari che normano la società cinese ce ne sono altri che appartengono all’organizzazione della
società e che si possono dividere in 3 settori principali:
1. la famiglia cosiddetta ‘allargata’, un insieme di famiglie legate da rapporti parentali che vivono
sotto lo stesso tetto.
2. il lignaggio e il clan, dovuto al fatto che molti portassero lo stesso cognome;
3. il culto per gli antenati, che rappresenta all’interno della Cina di età moderna un vero e proprio
cemento della società e si tramanda solo per linea maschile.
Un elemento basilare per Confucio (Kong) sono gli scritti considerati come i fondamenti del cristianesimo e
un punto di contatto tra la civiltà cristiana e quella cinese. Accanto al razionalismo confuciano, in Cina ha
resistito anche la cosiddetta religiosità popolare, la quale credeva alla presenza degli spiriti che bisognava
cercare di ingraziarsi oppure di frenare nelle loro manifestazioni negative. Sono credenze che hanno una
diretta influenza sul modo in cui in Cina si costruiscono gli edifici: i tetti ricurvi hanno una precisa
spiegazione nel fatto che in questo modo si riuscisse ad ostacolare l’influsso malefico degli spiriti maligni.
Queste credenze popolari prendono il nome di FENGSHUI, acqua e vento; tutte le civiltà sono costituite da
culti.
Il 90% dell’economia cinese si basa sull’agricoltura con delle caratteristiche molto diverse rispetto al mondo
occidentale europeo; una delle caratteristiche che distingue il modo di sopravvivere dei cinesi è il fatto che
in Cina è sempre stato molto scarsamente presente l’elemento zootecnico, cioè poca presenza di latte e dei
suoi derivati e anche di letame che serve per rendere il terreno più fertile, a causa della scarsa presenza dei
bovini. Tutto ciò ha alimentato la produzione del riso, che è diventato l’elemento basilare della dieta dei
cinesi e che non ha bisogno di nessuna concimazione. Altra caratteristica che differenzia i modi di
produzione è il fatto che in Cina il contadino è proprietario della terra che coltiva, dandogli la possibilità di
sostentarsi meglio.
Per quanto riguarda il settore secondario, la produzione è basata sulla seta ma anche sulle ceramiche che in
Cina sono di proprietà imperiale. Il problema dell’economia cinese è il fatto che in questi secoli in Cina non
riesca a crearsi una borghesia mercantile e che fosse presente l’idea di una forte svalutazione del profitto; di
conseguenza, una società del genere vive di contrasti e contrapposizioni molto forti. Questo elemento ha
precluso la possibilità di raggiungere i grossi standard che invece hanno raggiunto le economie occidentali.
La chiusura della Cina ai commerci con l’estero è databile ai primi decenni del XV secolo; da poco la civiltà
cinese è ritornata ai vertici del potere e all’inizio del ‘400 vengono organizzate delle spedizioni commerciali
marittime con una grande flotta di navi finanziata dall’imperatore che si spinge verso l’Oceano Indiano e
arriva a toccare le coste dell’Africa Orientale (Mozambico, Corno d’Africa). Tutto si blocca nel 1422
quando la dinastia Ming decide di interrompere i commerci marittimi e l’economia cinese da quel momento
in poi si chiude su sé stessa; il momento in cui si affacceranno sulle coste cinesi i mercanti provenienti dai
paesi occidentali, principalmente dal Portogallo, rappresenta non un momento di riapertura bensì di graziosa
concessione per consentire all’imperatore di avere dei punti di contatto come Macao e Canton. Altro
elemento è il fatto che all’interno della società cinese si può ascendere la scala sociale attraverso il sistema
dei concorsi per accedere ai gradini più alti. Nella storia dell’Impero cinese ci sono state delle rivolte ma
non delle rivoluzioni durate fino all’inizio del XX secolo.
Nella metà del XVII secolo ci sono rivolte sociali in parte dovute a delle carestie che indeboliscono tra gli
anni ‘30 e ‘40 del ‘600 la dinastia Ming e che portano nel 1644 ad un cambio di dinastia ai vertici del
potere; di nuovo dopo 3 secoli la Cina viene conquistata da una popolazione non di origini cinesi che vive
nel nord del territorio orientale del continente asiatico, la Manciuria, ovvero i Manciù. Essi sono una
popolazione nomade che ha una cultura molto diversa rispetto a quella cinese degli Han; quest’ultimi
considerano i Manciù degli esseri inferiori. Quando la cultura dominante vive una sorta di complesso di
inferiorità rispetto a quella dei conquistati, inizialmente cerca di imporsi come i Manciù cercavano di
imporre un determinato tipo di capigliatura: solo un codino dietro la nuca e il resto della testa rasata.
Tuttavia, l’influsso dei Manciù venne meno e questi furono assimilati dagli Han. I Manciù erano identificati
con il nome di Qing (1644-1911), il cui termine significa ‘chiaro’, ‘puro’. La società cinese diventa a tutti
gli effetti una società multiculturale (cinese, mongolo ed elemento mancese) e si può parlare di triarchia
sino-mongolo-mancese, una società multietnica che si dimostra disponibile alla convivenza tra differenti
etnie, culture e religioni. Un’altra grande filosofia spirituale che si diffonde largamente in Cina è quella
buddhista. Uno dei divieti che i Manciù impongono ai cinesi è quello di non oltrepassare la Muraglia in
quanto vogliono che i territori che stanno a nord di essa rimangano incontaminati. Uno dei più importanti e
più longevi imperatori della dinastia Qing è Kangxi, imperatore per una sessantina d’anni, dal 1662 al 1722.
Egli nel 1670 emana il cosiddetto Sacro Editto, che riguarda lo studio e le norme etiche, i due elementi su
cui deve continuare a basarsi la società cinese. Sempre nel XVIII secolo i Manciù decidono di annettere il
territorio del Tibet, che verrà definitivamente sottomesso nel 1750. Solo nel 1793 gli inglesi riescono a
mandare una propria ambasceria a Pechino per chiedere all’imperatore di aprire la Cina ai commerci con il
mondo occidentale; bastava Canton come luogo in cui scambiare merci tra Oriente e Occidente. Questa
chiusura dura fino al 1839-40, data in cui avviene la cosiddetta guerra dell’oppio, quando le potenze europee
riescono a fare breccia nel territorio cinese e ad aprirlo agli scambi commerciali.

IMPERO GIAPPONESE
Esso ha avuto sempre rapporti molto stretti con la Cina e rappresenta l’altro grande impero dell’Estremo
Oriente nonostante abbai un territorio meno vasto. L’elemento militare qui è molto forte e presente. Al
vertice della scala sociale vi è l’imperatore anche se solo formalmente; al di sotto dell’imperatore vi sono le
caste dei guerrieri: i samurai, i ‘daymio’, cioè i grandi feudatari e infine lo ‘shogun’, il quale è il capo
militare di più alto livello e colui che governa per conto dell’imperatore la società giapponese. Come
succede in Europa chi alimenta queste caste di guerrieri sono i contadini che coltivano la terra non solo per
sé stessi ma anche per i ceti superiori per far sì che essi continuino ad imporre il proprio dominio. Nel corso
del ‘500 la civiltà giapponese è percorsa da ripetute guerre civili, che si allentano solo alla fine del secolo.
L’imperatore aveva un potere simbolico perché a governare era lo shogun e questo viene relegato nella sua
residenza di Kyoto. Il buddhismo dall’India è arrivato fino in Giappone. A prendere il potere è la famiglia
dei Tokugawa, la quale dà vita ad una dinastia che durerà dal 1603 al 1867; dal punto di vista della
periodizzazione siamo negli anni in cui in Cina arrivano i Manciù. Nel 1585 viene presa una decisione
importante anche per gli storici di oggi: viene deciso di approntare il primo catasto del territorio giapponese
per alimentare in particolare gli eserciti e la fanteria. Un catasto è una mappatura, una sorta di fotografia in
cui ogni parcella del territorio è segnata come appartenente ad una determinata persona; è un modo per lo
Stato di conoscere meglio il proprio territorio e i propri contribuenti, oltre che introitare più imposte. La
cellula fondamentale degli eserciti è la figura dei samurai, piccoli feudatari che traggono la propria
sussistenza dallo sfruttamento dei territori loro assegnati e il denaro necessario per pagarsi
l’equipaggiamento del cavallo, la propria armatura ed eventualmente dei fanti che li seguono in battaglia. I
samurai hanno sempre rappresentato un elemento di destabilizzazione della società giapponese e lo shogun
ha sempre cerato di imporre delle limitazioni:
 obbligo di residenza, sempre nello stesso posto;
 non automatica ereditarietà dei feudi, una volta morto il samurai non è obbligatorio che la terra
venga lasciata ai propri eredi;
 obbligatorietà di risiedere per certi periodi all’anno a Edo, quella che oggi è la capitale del
Giappone, Tokyo, in quanto è un modo per controllare maggiormente i militari indisciplinati.
Ciò è un modo per depotenziare le spinte eversive della piccola e media nobiltà.
Altri elementi che avvicinano il sistema di organizzazione giapponese a quello occidentale è il fatto che i
samurai non possono sposarsi senza avere ricevuto il consenso da parte del proprio grande feudatario di
riferimento. Si riesce ad ottenere un maggiore disciplinamento tanto è vero che la dinastia dei Tokugawa ha
la possibilità di stabilizzarsi per più di 4 secoli e mezzo e mantenere una forte presa all’interno della società.
Nella seconda metà del ‘500, giunge un altro grande elemento di destabilizzazione: innanzitutto l’arrivo
degli europei tra cui l’approdo dei primi mercanti portoghesi che avviene nel 1543; successivamente, nel
1549 approda sulle coste giapponesi il primo missionario cattolico che appartiene all’ordine dei gesuiti
(esistente solo da 9 anni) Francesco Saverio. Solamente 10 anni dopo, nel 1559, i gesuiti impiantano la
prima missione stabile in Giappone ma ciò che fa sì che il cristianesimo cominci ad avere dei problemi è il
fatto che i cattolici si inseriscono all’interno delle faide interne e gli shogun li comincino a vedere con
sospetto. Nonostante ciò l’elemento cristiano continua a crescere e nel 1580 i gesuiti fondano due seminari
per la formazione del clero indigeno e un collegio per l’educazione della nobiltà. Il fatto che questi
missionari cattolici riconoscessero come proprio signore sovrano l’imperatore che vi era a Roma, cioè il
Papa, costituiva un problema; dall’altra parte i missionari cattolici e i giapponesi che si convertono al
cattolicesimo fanno un giuramento di fedeltà ad un Dio che è estraneo alla cultura e alla civiltà giapponesi
così come a quelle cinesi. Negli anni ‘90 del ‘500, ai gesuiti si aggiungono i francescani; questi due ordini
religiosi hanno due modi molto diversi di rapportarsi alle culture dell’Estremo Oriente: essi non vogliono
avvicinare quelli che sono i fondamenti del cristianesimo alle culture locali. Nel 1597 avviene la prima dura
repressione nei confronti dei gesuiti portoghesi, lo shogun impone a tutti di giurare fedeltà all’imperatore, i
buddhisti giapponesi si sottomettono a questa imposizione e tra il 1614 e il 1639 si verificheranno in
Giappone ripetute campagne repressive ed esecuzioni in massa nei confronti dei cristiani che porteranno a
decine di migliaia di persone martirizzate fino alla decisione che viene presa nel 1636 di tagliare tutti i ponti
con l’Occidente europeo (spagnoli e portoghesi in particolare), tranne gli olandesi anche se relegati su
un’isola artificiale davanti a Nagasaki, Deshima, in quanto gli olandesi avevano deciso di abbracciare il
protestantesimo calvinista. Bisognerà aspettare la metà dell’800 affinché gli americani impongano ai
giapponesi di aprirsi agli scambi commerciali.

24/02 La religione per i giapponesi è lo shintoismo, religione autoctona. L’elemento religioso che comincia
a creare problemi è rappresentato dal cristianesimo; con l’arrivo dei francescani, quest’ultimi entrano subito
in conflitto con i gesuiti. Mentre i secondi ritengono che ci si possa adeguare alla cultura dei popoli
all’interno dei quali si opera, i primi, essendo un po' più integralisti, ritengono che debbano essere gli altri
popoli e le altre culture ad adeguarsi. Sono due differenti visioni di come il cristianesimo può radicarsi al di
fuori dell’Europa. Questo fa sì che ci siano dei decreti emanati dallo shogun ai fini di adeguarsi alle regole
dell’Impero. I buddhisti si sottomettono per evitare problemi; i cristiani invece no perché i preti riconoscono
come loro capo il Papa di Roma e rispondono solo al loro Dio, estraneo però ai cinesi e ai giapponesi.
Il Giappone del ‘600 è l’età dei samurai, della preminenza del potere militare su quello civile, gli shogun e i
daymio che rappresentano i capisaldi della società del XVII secolo. Aver tagliato tutti i ponti con l’Occidente
non vuol dire che i contatti che ci sono stati tra a metà del ‘500 e la metà del ‘600 siano stati cancellati, in
quanto rimangono alcuni elementi portati dagli europei che destabilizzano il contesto giapponese:
l’acquisizione da parte loro di tutti quegli strumenti commerciali che sono stati inventati dagli europei, e in
particolare dagli italiani, fin dal pieno Medioevo. Tra questi gli assegni, le cambiali, quindi strumenti
sostitutivi del denaro che servono soprattutto per il commercio in quanto i mercanti non potevano portarsi
dietro i forzieri. Altro elemento è l’incremento del commercio marittimo grazie anche al contato con le navi
europee arrivate nei decenni precedenti sulle coste giapponesi; il loro interesse era quello di incrementare i
rapporti soprattutto con la Cina, la Corea e in generale il sud-est asiatico. Un’ulteriore necessità era quella di
rendere più robusto il mercato del credito di cui ne avevano bisogno i samurai e i daymio, obbligati a
dimorare loro per periodi alternati e le loro famiglie in maniera continua nella corte imperiale. Ciò
comportava maggiori spese e quindi i nobili erano costretti a chiedere dei prestiti, fino ad arrivare alla
creazione nel 1670 di una vera e propria Banca centrale che prende il nome di ‘Dieci del Cambio’ che
erogava crediti a chi ne avesse bisogno. Questo comincia ad erodere le fortune della piccola, media e grande
aristocrazia giapponese e i terreni cominciano ad essere coltivati anche per la produzione cerealicola con
delle conseguenze anche sullo sviluppo delle città, aumentandone la popolazione. Dall’altra parte,
l’indebolimento della grande aristocrazia, fa sì che molti terreni comincino ad essere acquistati da grossi
contadini che strutturano all’interno delle campagne delle nuove élite che si affiancheranno all’aristocrazia
terriera. Nel ‘700 quindi, all’interno della società giapponese, si crea una contrapposizione tra campagna e
città, tra elemento rurale e cittadino con un tentativo di ridimensionare il potere dei ceti mercanti, i quali nel
frattempo si sono impadroniti della Banca centrale controllando il mercato del credito e tenendo nelle loro
mani le sorti dell’aristocrazia terriera. All’interno dell’ambito urbano vi è anche il ceto artigianale costituito
da artigiani, bottegai, ecc… i quali si riuniscono nelle cosiddette Corporazioni, che cominceranno a
rappresentare un freno per l’economia in quanto volevano controllare tutto il processo produttivo dall’inizio
alla fine. Poteva diventare fabbro o falegname solo chi si affiancava ad una persona che già lo era per
imparare il mestiere e in seguito, essendo diventato provetto, poteva sostituirlo presso la bottega in cui si era
formato. Questo fattore di freno fa sì che ad un certo punto le corporazioni cercano di bloccare
l’immigrazione della forza lavoro proveniente dalle campagne, provocando un progressivo declino delle città
giapponesi nel corso del XVIII secolo. Altro elemento di rottura è la spaccatura che si amplia sempre di più
tra i daymio e i samurai; comincia quindi a disgregarsi la tradizionale composizione della famiglia
giapponese, dove è presente il culto degli antenati rimandando al culto patriarcale così come per la Cina. Vi è
una particolare attenzione per gli anziani, i più saggi e i primogeniti, ovvero i cadetti; se quest’ultimi
rimangono all’interno della famiglia, essa può continuare ad aiutarli; se vengono emarginati sono destinati al
fallimento. Un elemento positivo ma che produce effetti negativi è l’espansione anche all’interno del mondo
rurale dell’istruzione di base; può essere destabilizzante perché chi comincia a saper leggere e scrivere
comincia anche ad allargare i propri orizzonti e a capire di poter chiedere di più. Ciò diventa uno stimolo per
i contadini a ribellarsi. Nel momento in cui viene a mancare il pane, durante le carestie, dà vita a delle rivolte
aggravate dal conseguente aumento delle imposte. Anche in Giappone cominciano a diffondersi all’interno
delle campagne delle manifatture, soprattutto tessili: sono le donne che hanno la possibilità di lavorare da
casa per ricamare e produrre tessuti e soprattutto chiedono meno rispetto agli artigiani delle città; di
conseguenza le corporazioni si scagliano contro il lavoro nelle campagne. La crisi della struttura corporativa
urbano e il debito pubblico fanno sì che la società giapponese si indebolisca a tal punto da aprire una breccia
nel Giappone della metà del XIX secolo, 1853, nella quale si incuneano gli americani che obbligano il
Giappone ad aprirsi al resto del mondo provocando la fine del periodo della dinastia dei Tokugawa, alla
quale si sostituisce la dinastia Meiji che resisterà fino all’inizio del XX secolo. Il sintomo della fine
dell’epoca dei samurai, professionisti della guerra fino ad allora, è che nel 1873 viene introdotta anche in
Giappone la coscrizione obbligatoria.

DIFFUSIONE DEL CRISTIANESIMO


A differenza di quello che succede con la cristianizzazione del Nuovo Mondo, in Estremo Oriente essa non è
legata alla conquista coloniale delle potenze europee; ciò significa che in questi posti il cristianesimo può
diffondersi di più rispetto alla presenza commerciale europea.
 FILIPPINE
Questo nome ha origine da Filippo II, re di Spagna e sono una colonia fondata da un’altra colonia, il
Messico. Nel 1565 dalla costa del Pacifico parte una spedizione che attraversa tutto l’Oceano e arriva sulle
coste dell’attuale Filippine. 5-6 anni dopo fondano quella che è ancora oggi la capitale, Manila ma gli
spagnoli, i conquistadores che hanno sottomesso l’impero azteco, si concentrano solo in questa città mentre il
resto del territorio non è controllato direttamente da loro. Le Filippine sono in Estremo Oriente il paese con il
più alto tasso di cristianesimo. Essi riescono a fare ciò mediante una politica di alleanze con le tribù locali e
il sincretismo, cioè elementi di due religioni che si amalgamano, dando vita ad una differente religione.
In Cina la diffusione del cristianesimo è dovuta soprattutto ad una figura importante, quella di Matteo Ricci,
nato a Macerata, gesuita e considerato l’apostolo della diffusione del cristianesimo in Cina dove arriva
insieme a Michele Ruggieri nel 1580 ca. questo ha aiutato i gesuiti ad affermarsi anche e soprattutto al di
fuori dell’Europa; a loro due viene concesso di recarsi a Pechino e di vivere e operare alla corte
dell’imperatore, vestiti da monaci buddhisti perché capiscono che hanno maggiori possibilità di essere
ascoltati e accettati. Essi capiscono anche che non basta solo travestirsi ma è necessario anche parlare con
concetti che per loro sono familiari e quindi inventano quello che è chiamato il <<modo soave>> di
conversione che significa utilizzare i concetti del confucianesimo e individuare al suo interno quegli elementi
che sono il più possibile vicini ad alcuni elementi costitutivi del cristianesimo. Matteo Ricci impara la lingua
cinese e arriva a tradurre in latino i quattro libri di Confucio creando un ponte tra la cultura cinese e quella
occidentale utilizzando quella che era la lingua veicolare dell’epoca, oltre che della Chiesa. Quest’operazione
è importante perché l’alleanza con il confucianesimo permette ai gesuiti di cominciare a convertire gli strati
alti della popolazione cinese. Un altro elemento che aiuta i gesuiti ad essere ascoltati a corte è il fatto che
Ricci e i suoi compagni sono molto preparati e hanno potuto approfittare degli avanzamenti soprattutto
nell’ambito delle materie scientifiche, quindi la matematica, ma anche l’astronomia e la musica: tutti
elementi in cui contano i numeri e discipline nei confronti delle quali i cinesi erano stati sorpassati dagli
europei. Il contatto che avviene tra ‘500 e ‘600 fa sì che i missionari gesuiti siano apprezzati anche come
scienziati, oltre che come letterati con l’obiettivo di trovare dei contati con la cultura del posto. I due
elementi di contiguità riguardano la morale individuale e l’etica sociale; sia confucianesimo che
cristianesimo predicano che l’individuo debba comportarsi correttamente anche nei confronti della società
basandosi sul rispetto nei confronti delle persone più anziane all’interno della famiglia e sul culto degli
antenati. Nel 1621 papa Paolo V concede ai gesuiti di celebrare la messa in cinese e riconosce l’adattamento
ai riti confuciani del cristianesimo in Cina. Sembra che i gesuiti abbiano vinto la loro battaglia e che questa
vittoria sia riconosciuta anche dal loro capo ma arrivano i francescani e i domenicani, provenienti dalla
Spagna, a contrapporsi ai gesuiti intentando una causa che dura per più di un secolo nei confronti del modo
in cui i gesuiti hanno adattato il cristianesimo nei confronti della cultura cinese, la cosiddetta controversia
dei “riti cinesi” e si oppongono anche alla traduzione di alcuni termini nuovi, come ad esempio quello che
indica Dio oppure il Paradiso. Nel 1742, con papa Benedetto XIV, la controversia si conclude con un
arroccamento della Chiesa di Roma in quelli che erano i fondamenti tradizionali del cristianesimo;
l’imperatore della Cina decide di mantenere comunque a corte i gesuiti in qualità di dotti letterati e scienziati.
Quella politica di penetrazione che i gesuiti avevano messo in atto, prima con i Ming e poi con i Manciù, fa
sì che nel corso del ‘700 i gesuiti abbiano la possibilità di continuare ad operare all’interno della Cina con il
ruolo di ‘funzionari’ ricevendo la stima da parte dei vertici cinesi.

25/02 IMPERO RUSSO


Il Khanato che si forma nei territori dell’attuale Russia è chiamato dell’Orda d’oro e coloro che lo
compongono vengono denominati ‘Tartari’ oppure ‘Tatari’. È il khanato più importante e consistente fino a
quando, nella seconda metà del ‘300, alcune popolazioni che provenivano dalla Scandinavia cominciano a
contrapporsi alla dominazione tartara e a sottrarre territorio al khanato per creare un regno che nella sua
estensione originale è molto limitato ma che poi, mediante le annessioni, diventa immenso. Da una parte il
nemico della Russia è rappresentato dai tatari e dal khanato che già dall’XI secolo si era convertito alla
religione islamica (costituisce un problema ancora oggi); il territorio dei russi comincia quindi ad
emanciparsi sotto la guida dei principi di Mosca a partire dalla fine del ‘300 e il patriarcato ortodosso si
trasferisce dalla città di Kiev a quella di Mosca, i cui principi si ergono a difensori della cristianità ortodossa
contro i dominatori che sono islamici-musulmani. Ci sono però altri nemici che stanno ai confini occidentali
di questa aggregazione politico-statuale che si va formando tra ‘300 e ‘400 e sono rappresentati da uno stato
fortemente cattolico: la Lituania.
*Scisma tra Chiesa di Roma a Occidente e Costantinopoli a Oriente avvenuto nel 1054*
Ivan III sale al trono nel 1462 e regna per circa 40 anni, fino al 1505. Successivamente, Basilio III regna dal
1505 al 1533 e Ivan IV, soprannominato ‘Il Terribile’ domina dal 1547 al 1584, anche se inizialmente è la
madre ad assumere il potere perché egli aveva solo 3 anni. Ivan III si sposa con la principessa Sofia
Paleologa nel 1472, la quale proviene da Costantinopoli; quest’ultima cambia nome, diventa Istanbul ma
cambia anche la religione una volta che sottomettono quello che rimaneva dell’Impero Romano. Sofia
appartiene all’ultima dinastia che ha regnato a Costantinopoli, quella appunto dei Paleologhi ed è nipote di
Costantino XI. Ivan decide di sposarla perché capisce che, essendo venuto meno il centro più importante
dell’ortodossia cristiana, ha la possibilità di ergersi ad erede di quella dinastia ma soprattutto a paladino della
cristianità ortodossa. Questo ha un immediato risvolto simbolico ma allo stesso tempo concreto perché
significa che il patriarcato più importante delle chiese ortodosse d’Oriente non sarà più Costantinopoli bensì
la città di Mosca. 8 anni dopo ciò ha un risvolto sul termine di ‘zar’ che deriva dal latino ‘csar’, che tradotto
significherebbe Cesare secondo gli italiani; è un cambiamento notevole perché significa che da quel
momento esiste un imperatore. Nel 1480 Ivan III riesce a sconfiggere definitivamente il Khanato dell’Orda
d’oro che si era formato in quei territori 240 anni prima e lo sottomette senza grossi conflitti e spargimenti di
sangue perché i Tatari decidono semplicemente di ritirarsi più a est e concentrarsi sul Khanato di Crimea che
permane nel sud della Russia di oggi. Egli riuscirà ad allearsi con questo khanato in funzione anti-islamica
nei confronti di un altro khanato: quello di Kazan, nella parte più orientale della penisola caucasica. Sono
tutte strategie che mirano a ridurre e contenere l’elemento tataro per dare possibilità a quello russo di
espandersi. Nel 1482, dieci anni dopo il matrimonio, Ivan III sigla un’altra alleanza matrimoniale tra il figlio
e una principessa di origine moldava, anch’ella ortodossa. L’espansione continua con la conquista nel 1487
della città di Novgorod che era un importante centro commerciale e dieci anni dopo, nel 1497, Ivan III riesce
a imporsi anche all’interno del proprio principato nei confronti della grande aristocrazia che in Russia viene
indicata con il termine di ‘Boiari’ o ‘Boiardi’, la quale aveva grandi risorse che utilizzava contro il sovrano.
Il problema principale, non solo per Ivan III ma anche per i suoi successori, sarà quello di contenere
l’irrequietezza di questa grande aristocrazia. Il regno del figlio si espande ulteriormente ma la maggior parte
delle acquisizioni sono del periodo del nipote, Ivan IV. Quest’ultimo prosegue quella politica di
accentramento del potere che era iniziata con il suo antenato e anche una politica di espansione nei confronti
dell’esterno; per contenere la grande aristocrazia si serve di un’invenzione: l’affiancamento ad una nobiltà di
servizio. La differenza sta nel fatto che i Boiari sono nobili per discendenza ereditaria, quella di servizio si
acquisisce perché sono personaggi che s sono appunto posti al servizio dello zar; spesso non sono di umili
origini ma provengono dalle professioni e dal mondo del commercio e vengono nobilitati dallo zar mediante
il rilascio delle ‘patenti di nobiltà’. Un altro elemento è la sottomissione della nobiltà di servizio ai tribunali
dello zar per i suoi misfatti, una responsabilità personale oppure per una responsabilità penale, cosa che non
succede per i nobili di nascita, i quali si ergono essi stessi come giudici ma non possono essere giudicati da
altri. Un altro fronte nei confronti del quale Ivan IV attua una rigida politica è quello ecclesiastico; mentre
nella chiesa cattolica di Roma il papa cerca di affermare il proprio potere nei confronti dell’imperatore, ad
oriente i patriarchi si sottomettono in maniera totale. Lo zar si arrogava il diritto di deporre un patriarca che
non gli andava a genio (Mosca) insieme a quello di espropriare delle terre della Chiesa ortodossa. Ciò
significa che nonostante la monarchia russa sia paladina dell’ortodossia è profondamente laica in cui il
sovrano è a capo sia dello Stato che della Chiesa e questo elemento deriva da un diretto influsso del modo di
concepire i sovrani nelle monarchie orientali, là dove il sovrano ha un potere assoluto sia sui corpi che sulle
anime dei propri sudditi. Questo rafforzamento del potere dello zar si coniuga con un peggioramento delle
condizioni di vita dei contadini dovuto al fatto che lo zar è costretto ad aumentare la pressione fiscale che
serve principalmente a mantenere due settori principali dello Stato: l’esercito e la burocrazia. Nel 1584, alla
morte di Ivan IV, in assenza di eredi diretti inizia un periodo di instabilità politica che prende il nome di
‘epoca dei torbidi’, un periodo di caos istituzionale che dura fino al 1613. Il trono di Russia quindi finisce
anche nelle mani usurpatori, tra cui Boris Godunov che muore alla fine del ‘500 e la situazione russa si
complica ancora di più al punto che per pochi anni, tra il 1610 e il 1613, per la prima ma anche l’ultima volta
Mosca verrà conquistata dalla Polonia. Per i russi questo significa essere sottomessi da quelli che, insieme ai
musulmani, consideravano i loro peggiori nemici; tra l’altro nel 1569 la Polonia si era unita al regno di
Lituania e aveva formato lo stato più esteso territorialmente di tutta l’Europa, con la fusione di questi due
stati per difendere il cattolicesimo. La dominazione polacca però dura poco perché gli aristocratici russi nel
1613 individuano tra di loro la figura di Michele Romanov che darà vita a quella dinastia di zar che
dominerà il trono russo fino al 1917, per più di tre secoli fino allo scoppio della Rivoluzione russa.
I due successori saranno Alessio e Fedor, i quali regnano dal 1613 al 1689.
La novità di questi decenni è l’acquisizione di un enorme territorio, quello della Siberia alle dirette
dipendenze dello zar di Mosca. Questo facilita l’arrivo alle porte dell’Impero cinese con la stipulazione del
primo trattato tra Russia e Cina, quello di Nercinsk del 1689, indirizzato alla definizione dei confini. Per
farsi capire esso non viene stipulato né in russo né in cinese ma in una terza lingua, il latino grazia al
supporto dei gesuiti. Un’altra novità importante è il fatto che nel 1648 i cosacchi dell’Ucraina si ribellano al
regno di Polonia-Lituania e decidono di staccarsene e unirsi al Principato di Mosca. I Romanov cercano di
strutturare ancora meglio il potere all’interno del paese e per contenere ancora di più i Boiari affiancano ai
terreni appartenenti ai monasteri ortodossi, i Votcina, dei terreni che in russo prendo il nome di Pomest’e,
attribuiti alla nobiltà di servizio. La differenza tra queste due tipologie di terreni è che, mentre la prima è
ereditaria come trasmissione, i secondi sono affidati dallo zar ai propri nobili non in proprietà, quanto
piuttosto in possesso. Essi, almeno inizialmente, non si potevano trasmettere di padre in figlio. Per quanto
riguarda l’ambito della Chiesa ortodossa, questi decenni sono particolarmente movimentati perché si arriva
alla destituzione di un patriarca di Mosca, Nikon da parte dello zar poiché si era opposto alla sua volontà.
Quest’operazione che funziona a Mosca, a Roma invece non potrebbe e da qui si ha lo scisma di Avvakum
che dà origine alla Chiesa dei <<vecchi credenti>>; una parte del clero russo sostiene che i greci ortodossi si
sono fatti contaminare dal contatto da una parte con i cattolici e dall’altra con gli islamici. Essi credono che
l’unica religiosità non contaminabile sia quella russa. Una ricaduta diretta di questo scisma è il fatto che i
vecchi credenti rifiutano la traduzione delle Scritture dal greco al russo e sostengono che si debba fare
riferimento solo a quelle non tradotte; esso provoca una persecuzione da parte dello zar e i vecchi credenti
sono quindi costretti a fuggire in Siberia continuando a rimanere un gruppo piuttosto ristretto.
Nel 1682 Fedor muore e Pietro I rimane l’unico zar; quest’ultimo decide di recarsi in Occidente tra il 1697 e
il 1698 nelle capitali di alcuni stati non scelti a caso: Amsterdam, Londra, Berlino, posti in cui sa che le
innovazioni tecnologiche sono più avanzate e dove ha la possibilità di imparare come si costruiscono le flotte
da guerra e mercantili e come si strutturano gli eserciti. Approfitta di questo viaggio, passato alla storia con il
nome di ‘grande ambasceria’ anche per cercare di dividere l’alleanza che la Francia da alcuni decenni aveva
siglato con la Svezia, la quale nella prima metà del ‘600 diventa una delle grandi potenze militari europee e
approfitta di questo suo ruolo per controllare il Mar Baltico che diventa un limite nei confronti dell’impero
russo, il quale aveva bisogno di uno sbocco per incrementare i propri commerci. Ciò porterà ad una lunga
guerra che inizia poco dopo il rientro di Pietro in Russia, nel 1700 e che durerà fino al 1721 che lo vede
contrapposto al re di Svezia Carlo XII. Essa si conclude con il trattato di Nystad e con la vittoria della
Russia tutte le potenze europee capiscono che ad oriente si è affermata una nuova potenza. Le riforme
introdotte da Pietro sono molte. Tra queste:
1. La trasformazione della Duma dei Boiari in un Senato, in cui si accede dietro concessione da parte
del sovrano;
2. Il patriarcato ortodosso di Mosca viene sostituito dal Santo Sinodo, 1720 ca., in cui sono
rappresentate le massime cariche religiose ma anche lo zar con la definitiva affermazione del potere
dello zar sulla Chiesa ortodossa;
3. La creazione di un esercito professionale con un servizio militare permanente, viaggi di formazione
all’estero e la possibilità di fare carriera e sposarsi solo se si è imparato a leggere e scrivere;
4. Emanazione tra il 1716 e il 1720 di vari codici sulla base di vari influssi dell’Europa occidentale.
Viene approntato un codice navale (flotta), uno militare (esercito) e uno per la burocrazia pubblica. I
codici sono un insieme di articoli che intendono normare e controllare un determinato settore e sono
strategici.
Nel 1722 viene creata la ‘Tavola dei ranghi’ che prevede 14 livelli: si parte dal più basso, l’esercito, per
arrivare al vertice della burocrazia, ovvero i due pilastri su cui si basa il potere del sovrano solo se si è
sempre più competenti e capaci. Questo non vuol dire sostituire il merito con la nascita bensì rendere
quest’ultima ancora più potente al fine di creare una gabbia direttamente controllata dal sovrano.

02/03 La servitù della gleba è costituita da contadini che lavorano la terra, molto spesso proprietà del
signore e si usa il termine ‘corvèes’ per indicare le giornate gratuite di lavoro. Mentre in Europa occidentale
la servitù della gleba era sancita anche dal punto di vista giuridico, nell’Europa orientale invece molto più
tardi, nel 1649, si è giunti alla sanzione giuridica, cioè l’esistenza di una legge che obbliga i contadini a
servire il proprio signore che dura molto più a lungo, fino al 1861 con Alessandro II. Essere servi della gleba
significava anche che venivano imposte sempre più spesso delle restrizioni alla circolazione e al movimento
dei contadini, quasi come se fossero incatenati alla terra senza la possibilità di spostarsi da un villaggio
all’altro. Ciò si ottiene tramite delle operazioni che imponevano ai signori di registrare i contadini posti sotto
la loro giurisdizione mediante i censimenti. Questo fenomeno viene deciso in vari paesi dell’Europa
occidentale tra il XVII e il XVIII secolo e così anche in Russia; già dal ‘600 però gli zar avevano intenzione
di capire quanti e che tipo di abitanti vivessero nel loro territorio e quanti militari fosse possibile assoldare
per le campagne militari. La più grande opera di codificazione non è quella di Pietro il Grande bensì quella
di Napoleone Bonaparte, nel primo decennio dell’800 in cui la codificazione riguarderà ancora più settori.
L’esercito è un elemento fondamentale per la potenza degli Stati, ognuno dei quali investe almeno i 2/3 del
bilancio pubblico per il suo mantenimento e funzionamento. Pietro decide di distribuire l’esercito russo in
tutte le province del regno, fornendogli anche dei compiti di polizia; è ovvio che tenere mobilitato un
esercito in continuazione richiedeva dei costi e l’unica possibilità da parte dei sovrani era quella di imporre
delle tasse ai propri sudditi che andavano a finanziare tutte le spese. In Russia il sistema fiscale si basava su
tasse pro-capite che pesavano solo su alcune persone: nobili e clero erano esenti dal pagamento testatico, al
contrario dei contadini, i quali costituivano il 90% della popolazione. Per fare in modo che essi non si
sottraessero, lasciando il proprio villaggio per scappare da un’altra parte, Pietro il Grande introduce un
passaporto interno per spostarsi da una località all’altra dell’Impero zarista. Allo stesso modo non vi era
possibilità di sottrarsi al servizio militare; sono tutti elementi che legano ancora di più i lavoratori della terra
proprio a quest’ultima, avendo come risultato un aggravamento delle condizioni di vita. Successivamente
Pietro attua dei sostegni concreti a determinati settori dell’economia per far sì che il suo regno si trasformi
davvero in una grande potenza: industria bellica, mineraria, siderurgica e sostegni all’impianto di manifatture
di beni di lusso in modo da non doverli importare dall’estero e indirizzati ad un ristretto ambito sociale. Un
altro settore economico che riceve un grande impulso e che viene stimolato a svilupparsi è quello della
produzione della carta, ai fini di tenere sotto controllo la macchina dello Stato. Un’ulteriore invenzione di
Pietro che ha un obiettivo ben preciso e che avrà esiti molto importanti è quella della fondazione di una
nuova città e una nuova capitale, che verrà trasferita da Mosca a San Pietroburgo, fondata nel 1703 vicino al
fiume Neva. L’ultimo porto che l’Impero zarista aveva potuto utilizzare fino all’inizio del ‘700 era quello di
Arcangelo che essendo stato spostato a sud-ovest dava la possibilità di insediarsi nei commerci controllati da
altri. Non tutte le riforme vennero accolte in maniera pacifica: Pietro impone ai propri sudditi di tagliarsi
barba e capelli e di indossare uniformi simili a quelle tedesche. Possono farsi ministri della religione
ortodossa, e quindi diventare ‘Pope’, solo i maschi che abbiano compiuto i 45 anni d’età perché in gioventù
sarebbero state braccia sottratte all’esercito. Pietro il Grande riforma anche l’alfabeto cirillico e per la prima
volta sotto il suo regno viene pubblicato il primo giornale, la ‘Gazzetta di San Pietroburgo’. Vengono inoltre
fondate scuole professionali e professionalizzanti che si affiancavano a quelle aperte e finanziate dalla Chiesa
ortodossa. Queste riforme verranno messe da parte e poi riprese e potenziate nella seconda metà del ‘700 da
Caterina II. Tra gli elementi che hanno frenato il suo operato vi è l’insofferenza nei confronti della leva
militare, la requisizione di braccia umane per le opere industriali e di edilizia pubblica (costruire una città in
un luogo paludoso, su delle palafitte), la tassazione sempre più pesante e infine il cambiamento dei costumi.
Ciò ha provocato, soprattutto negli ultimi anni del suo regno, violente opposizioni interne e l’uccisione del
suo stesso figlio, sospettato di essersi messo d’accordo con una parte dell’aristocrazia russa per sconfiggerlo
e prendere il suo posto. Tra l’ultimo decennio del ‘600 e i primi due decenni del ‘700 la Russia cambia volto
e le potenze europee comprendono che è nato uno stato a cui devono adeguarsi.

I TURCHI
Il vero primo mondo di età moderna nel bacino del Mediterraneo era l’Impero turco islamico. Tutta l’Europa
occidentale, alla fine del Medioevo, è popolata da circa 70 milioni di persone che nei successivi due secoli
superano di poco i 100 milioni. L’Impero ottomano, nel 1530, era popolato da 30 milioni di persone; non
c’era nessuno stato in grado di competere con esso. I turchi hanno rappresentato il più acerrimo nemico della
cristianità occidentale; se a Istanbul c’era un unico capo che governava, in Europa invece il potere era
detenuto da più persone. Per tutta l’età moderna l’Europa cristiana e l’Impero ottomano si sono fatti la guerra
cercando di sopraffarsi l’un l’altro; ci sono stati contatti culturali, commerciali che sono continuati
nonostante le contrapposizioni belliche. La guerra è una costante della storia umana.
I turchi si sono convertiti alla religione islamica a partire dalla metà dell’XI secolo. Il nome ottomani deriva
dal primo sultano del primo stato turco che si fonda in Anatolia e che sostituisce un altro stato turco
insediatosi tra la Mesopotamia e l’Anatolia: i Turchi selgiuchidi sono quelli che danno vita al primo stato
turco tra l’XI e il XIV secolo che poi collassa e viene sostituito dai Turchi ottomani. Entrambi i nomi
derivano dai capostipiti delle due dinastie: rispettivamente Selgiuk e Osman. L’Impero ottomano finirà nel
1918, al termine della 1GM. La prima capitale dello stato ottomano è la città di Bursa che si trova sulla costa
settentrionale della Turchia di oggi e che rimane capitale fino al 1361; la seconda è la città di Adrianopoli dal
1365 al 1453, di origini romane e che oggi corrisponde alla città di Edirne. Nel 1453 la capitale dell’Impero
ottomano diventa Costantinopoli che i turchi decidono di chiamare Istanbul, il cui nome significa ‘la città
per eccellenza’. I due stati più forti che gravitavano sulla penisola balcanica erano la Serbia e l’Ungheria; la
forza dell’esercito ottomano riesce a sconfiggere una a una tutte le varie aggregazioni statuali. Nel 1389, in
una battaglia combattuta in Kossovo, chiamata ‘Kossovo Polje’, la Serbia viene sconfitta. Altri scontri
importanti sono la battaglia di Varna del 1444, in cui addirittura un esercito di francesi-ungheresi viene
sconfitto dall’esercito turco. Queste due battaglie rappresentano lo sgretolarsi della penisola balcanica e la
sua sottomissione alla dominazione turca. Tra il 1470 e il 1480 viene conquistata l’Albania; colui che riesce
per lungo tempo a difenderla è Giorgio Castriota Scanderbeg che però muore nel 1468 e in seguito
l’esercito albanese non riesce più a contrastare la pressione dei turchi. La città di Otranto nel 1480 subisce un
assedio da parte della flotta turca, dalla quale sarà conquistata e gli abitanti rifiuteranno di arrendersi. I turchi
erano entrati all’interno dell’Europa occidentale e in particolare l’Italia dal punto di vista economico,
culturale e delle innovazioni militari era all’avanguardia. Nel 1481 muore Maometto II e il suo successore
decide di ritirare la flotta turca e Otranto riesce ad essere riconquistata dal Regno di Napoli. Questo evento
ha fatto sì che gli europei si preoccupassero fortemente della possibilità di un dilagare dell’Impero ottomano
anche in Occidente. Era caduta la maggior parte dello Stato serbo ma gli ungheresi erano riusciti a mantenere
la città di Belgrado, recuperata nel 1427 e rimarrà nelle loro mani fino al 1521 quando poi verrà conquistata
dal sultano di Istanbul. Le altre acquisizioni degli ottomani furono: il Khanato di Crimea, sottomesso nel
1474; il Peloponneso (Grecia odierna). Tutti territori a stragrande maggioranza cristiana.

03/03 Selim I regna per pochi anni, dal 1512 al 1520 ma riesce comunque ad espandere il territorio
dell’Impero ottomano e Solimano I che governa dal 1520 al 1566, soprannominato ‘il Magnifico’. Il primo
decide di dirigere la propria azione di accorpamento di altri territori verso oriente; qui vi è un acerrimo
nemico dei turchi: il khanato di Persia che era uno dei regni nati dalla frammentazione dell’impero di Gengis
Khan ma un altro problema era anche il fatto che i musulmani che vi facevano parte si erano convertiti alla
versione sciita dell’Islam. Lo sciismo vede come unico discendente il genero Alì che alla metà del ‘600 viene
ucciso da un fanatico e da quel momento gli sciiti rimangono in attesa del suo successore che non si è ancora
mai palesato. I sunniti, invece, hanno sempre riconosciuto l’autorità politica del califfo; tra sunniti e sciiti vi
è dunque una divisione molto forte. I due grandi stati che incarnano queste due diverse correnti sono da una
parte l’Impero ottomano e dall’altra l’Iran; si tratta di contrapposizioni di carattere religioso ma anche
geopolitico-economico. All’inizio del ‘500, pochi anni prima che Selim I diventi sultano, in Persia prende il
potere una nuova dinastia, quella dei Safavidi che soprattutto inizialmente viene incarnata nella figura dello
scià Ismail che regna dal 1501 al 1524. Il re di Persia viene designato con il nome di scià di scià, re dei re,
che si riteneva maggiore rispetto a tutti gli altri sovrani del mondo allora conosciuto. Gli ottomani, quando
conquistano Costantinopoli, si fanno chiamare Padisha, con lo stesso significato ma assumono anche il titolo
di Basileus. La differenza tra l’imperatore e il re è che il primo può avere al di sotto di sé dei sovrani che
però gli sono inferiori. Esisteva un imperatore anche in Occidente ma nessuno fu disposto per lungo tempo
ad accettare di attribuire lo stesso titolo all’imperatore del Sacro Romano Impero, prima franco e poi
germanico. Con i Safavidi e con Ismail si decide di obbligare tutti i fedeli a convertirsi allo sciismo; l’appello
per la protezione dell’Islam sunnita si rivolge nei confronti del sultano di Istanbul. Nel 1517 Selim riesce a
conquistare anche l’Egitto, il quale si trovava sotto il controllo degli Stati Uniti. Esso rappresentava uno
snodo fondamentale per la sua posizione geografica, in quanto si affacciava sul Mar Rosso permettendo di
mettere in collegamento l’Oceano Indiano con il Mediterraneo. Le merci, molto quotate e ricercate, ovvero le
spezie, potevano transitare arrivando in cima al Mar Rosso, dove venivano scaricate, messe sui cammelli e
trasportate nel porto di Alessandria d’Egitto, alle foci del Nilo e in seguito caricate sulle navi. Le
Repubbliche marinare erano le intermediarie tra i beni di lusso provenienti dall’Oriente e i compratori
europei. Dal XIII secolo in Egitto regnava una dinastia, quella dei Mamelucchi, di origine islamica e che si
era rafforzata proprio grazie al fatto di poter gestire questo flusso. I sultani mamelucchi, che avevano la loro
capitale al Cairo, erano indeboliti dal fatto di non avere una propria flotta mercantile e le navi che portavano
le spezie erano navi di mercanti arabi e non egiziani. Essi riescono ad individuare un partner forte, dotato
anche di una flotta e che potrebbe essere un sostituto rispetto alle flotte delle Repubbliche marinare italiane;
succede però che Selim decide di inglobare l’Egitto all’interno dell’Impero ottomano (1517). Per
quest’ultimo rappresenta un colpaccio sia per una ragione mercantile, in quanto possono gestire in proprio il
commercio delle spezie sia per ragioni religione poiché l’Egitto controllava anche una fascia della penisola
arabica importante per la presenza delle due città sacre dell’Islam: La Mecca e Medina. Selim trasferisce la
sede del califfato dal Cairo a Istanbul, identificandosi da quel momento con il sultanato. I musulmani sunniti
che vivevano nelle steppe dell’Asia centrale, da adesso possono usufruire di una via alternativa rispetto alla
necessità di dover passare attraverso l’impero persiano, cioè in territori dove la maggior parte dei fedeli è
sciita. La conquista dell’Egitto apre le porte per la quasi sottomissione degli stati tributari, quelli che pagano
dei tributi al sultano. Essi sono gli stati ‘barbareschi’, come quelli del Magreb, che però nel corso del
Medioevo si sono convertite all’Islam. La vera contesa tra Solimano e Carlo V si consuma tra Tunisi e
Algeri; i capi tribù delle aggregazioni tribali berbere che stazionano nell’area del Nordafrica e il cui capo più
importante è Khair-Eddin, soprannominato ‘ Barbarossa’, decidono di riconoscere Solimano il Magnifico
come loro sovrano e lo supportano in quella che diventa un’azione forte di disturbo nei confronti della fascia
d’Europa che si affaccia sul Mediterraneo perché i berberi danno vita a quella ‘Guerra di corsa’, indirizzata
a fare delle incursioni per depredare le coste dell’Europa cristiana, facendo prigionieri donne, bambini e
adulti maschi per portarseli via come schiavi. Quest’azione va a vantaggio del dominio del Mediterraneo da
parte della flotta turca.
Mentre Selim era stato più orientato verso un’azione in Medio Oriente, Solimano preme contro la parte
occidentale dell’Europa. Nel 1521 cade la città-fortezza di Belgrado, un pezzo di terra molto piccolo
all’interno di un altro dominato da un sovrano. Nel 1526, nella battaglia di Mohàcs, in Ungheria, perde la
vita Luigi II, re d’Ungheria e di Boemia, attuale Repubblica Ceca e il suo regno si sfalda, conquistato per la
maggior parte dagli ottomani. Nel 1541 essi riusciranno a conquistare anche la città di Buda e gran parte
dell’Ungheria cade sotto il giogo ottomano, così anche la Transilvania, il cui principe diventa un sovrano
tributario del sultano di Istanbul e gli Asburgo d’Austria riescono a mantenere una piccola striscia del Regno
d’Ungheria che fa da cuscinetto. Nel 1529 gli ottomani assediano la città di Vienna, la quale fino alla metà
dell’800 era stata una città-fortezza; essa era la sede della dinastia europea più importante, gli Asburgo,
quella che deteneva il titolo imperiale rischiando così di diventare un unico grande territorio sotto la
dominazione islamica. Questo primo tentativo fallisce e momentaneamente l’Europa cristiana riesce a
contenere l’espansionismo dell’Imero ottomano ma ciò non vuol dire che la sua pressione venga meno, in
quanto Solimano prima e i suoi successori dopo, continueranno a rafforzare la flotta militare e cercheranno di
imporre il proprio controllo sulla parte orientale del Mar Mediterraneo, occupata da alcuni territori che erano
in mano alla Repubblica di Genova ma soprattutto a quella di Venezia. Venete erano due importanti isole:
quella di Creta e quella di Cipro; su quest’ultima si consuma una vera e propria guerra tra il 1570 e il 1573,
la ‘Guerra di Cipro’, al termine della quale essa viene sottratta alla Repubblica di Venezia. Il 7 ottobre 1571
i cristiani guidati da Filippo II di Spagna riescono per la prima vota ad avere la meglio sulla flotta turco-
ottomano, nella battaglia di Lepanto, posta sulle coste del Peloponneso. Ancora oggi l’isola di Cipro è divisa
in due mediante un muro che divide la parte turca da quella greca, facendo sì che al suo interno si
installassero dei turchi islamici che cercassero di controbilanciare la presenza greco-ortodossa. La
contrapposizione forte è tra l’Impero ottomano e il Sacro Romano Impero germanico, quindi tra gli Asburgo
e il sultano di Istanbul. Questi due protagonisti cercano di farsi fuori cercando alleati ad ovest e a est che
indeboliscano queste due grandi formazioni; il sultano di Istanbul riesce a stabilire un’alleanza con
Francesco I re di Francia, gli Asburgo, invece, la cercano con l’Impero persiano. Nella prima musulmani
con cristiani- cattolici, nella seconda Islam sciita. Nella seconda metà del ‘500 si inserisce un altro paese
europeo, ovvero l’Inghilterra di Elisabetta I, la quale cerca di siglare dei contatti commerciali con l’Impero
ottomano. In questo modo l’Inghilterra si assicura un importante partner commerciale sotto vari aspetti: il
primo è quello di riuscire a vendere ai turchi una materia prima, lo stagno, che fuso con il rame produce armi
da fuoco, utile quindi per l’artiglieria turca; il secondo è il noleggio delle navi ‘d’altura’, quelle che vanno
appunto in alto mare; il terzo la lotta contro il predominio degli Asburgo in Europa da parte degli inglesi.

 Esercito: costituito da cavalieri, i quali prendevano il nome di ‘sipahi’. Appartenendo ai ceti


superiori della città, dovevano fornire i mezzi economici necessari per condurre la guerra. Lo
strumento che viene sfruttato per pagarsi la propria armatura è la terra. In Europa, è costituito dal
feudo che qui prende il nome di Timar; se nell’Europa cristiana il detentore del feudo è il feudatario,
nel Timar è il timariota. Il feudo fin dall’Alto Medioevo si basava su un istituto, il Commendatio,
cioè dare la propria persona in segno di sottomissione ad un qualcuno che sta al di sopra. Il signore a
sua volta elargisce al feudatario la terra con la clausola per cui una parte dei proventi debbano essere
utilizzati nelle campagne militari quando il signore ne ha bisogno. La Commendatio non esiste in
terra ottomana. Tutti sono sudditi del sultano, vi è quindi un potere assoluto sui corpi ma anche sui
beni dei propri sudditi, cosa che invece non succede in Occidente, contestato dai grandi feudatari
della Chiesa. Tra le somiglianze vi è il fatto che i contadini posseggono anche autonomamente dei
poderi e la limitata circolazione della moneta e sono più presenti gli scambi in natura. Il Timar è
comunque la cellula economica base dell’Impero ottomano. I fanti erano chiamati ‘giannizzeri’, cioè
‘nuova truppa’, coloro che erano alle dirette dipendenze del sultano con caratteristiche inusuali
rispetto ad altri eserciti occidentali: per la maggior parte sono formati da prigionieri di guerra oppure
da giovani che vengono razziati dai territori sottomessi dagli ottomani, in particolare dalla penisola
balcanica, mediante una pratica chiamata ‘Devsirme’, con cui gli ottomani sottraevano alle famiglia i
figli maschi, li portavano a Istanbul e li obbligavano a convertirsi alla religione musulmana,
imparando la lingua turca ed essendo addestrati alla carriera militare, durante la quale non potevano
sposarsi in quanto le donne erano fonte di distrazione. Dall’altra parte erano privilegiati poiché
esentati dalle tasse e se commettevano delitti venivano giudicati da giudici militari e non civili. Oltre
a potersi sposare, essi venivano ricompensati con un Timar, cioè appezzamenti di terra che gli
garantivano una vecchiaia tranquilla. Essi dipendono completamente dal sultano ma nonostante cioè
non sono schiavi, in quanto secondo la religione musulmana dovevano essere liberi. Inoltre,
condizionano sempre di più il potere politico e i cambi di successione al trono avverranno proprio a
causa delle loro rivolte. Terzo elemento all’interno dell’esercito turco è quello delle cosiddette
‘truppe irregolari’ (contadini), chiamate ‘Akino’, che si posizionano soprattutto sui confini e che
servono di disturbo facendo razzie e incursioni presso i propri nemici. A differenza di quanto
accadeva in Europa, l’Impero ottomano ha un unico capo, il sultano; il secondo elemento è quello di
far finta di indietreggiare e scappare facendo sì che l’esercito nemico arrivi in un punto dove è
nascosto il grosso dell’esercito turco, riuscendo così ad avere la meglio.
 Stato: struttura piramidale che vede al vertice la figura del sultano. I due sultani più rappresentativi
della storia dell’Impero ottomano sono Maometto II, conquistatore di Costantinopoli nel 1453 con
l’abbattimento della compagine statuale millenaria dell’Impero Romano d’Oriente e dall’altra parte
Solimano il Magnifico. Il primo aspetto che differenzia i sultani turchi dallo zar di Russia è il fatto
che essi non regnano solo per volontà di Dio ma anche per giusta conquista, la quale avviene senza
una conversione forzata delle popolazioni cha cadono sotto il dominio musulmano. I più acerrimi
nemici dei turchi non furono né gli europei cattolici né i russi ortodossi bensì gli sciiti, anch’essi
musulmani, i quali ebbero una forte incarnazione nella dinastia dei Safavidi che all’inizio del ‘500 si
impadroniscono dell’Impero persiano imponendo la conversione allo sciismo di tutti i loro sudditi.
Così, prima Selim I e poi Solimano il Magnifico, portano loro guerra per sottrarre territori importanti
quali la Siria, la Palestina e l’Egitto tra il 1516 e il 1517 e la Mesopotamia con la conquista di
Baghdad nel 1534 sotto Solimano. La figura del sultano rappresenta la massima autorità dalla quale
dipende la vita e la morte dei propri sudditi; il sultanato però è rappresentato anche da intrinseche
debolezze, tra la fine del ‘500 e il XVII secolo, che fanno riferimento a due ambiti ben precisi: 1)
l’influsso che i giannizzeri riescono in maniera sempre più pervasiva ad imporre sui sultani che si
succedono sul trono di Istanbul; 2) lo stuolo di mogli che costituivano l’harem dei sultani, conviventi
all’interno del palazzo sultaniale con il sultano stesso che però rappresentava anche un elemento di
scontro tra le mogli e le concubine. Solimano il Magnifico, pur avendo più mogli, ad un certo punto
decide di privilegiarne una su tutte, Rosselana e anche suo figlio Selim, colui che diventerà Selim II
e che riesce ad accedere al trono sultaniale grazie ad una pratica che era già presente fin da epoche
remote, quella degli omicidi dinastici, cioè sopprimere il più velocemente possibile i probabili rivali
nell’accaparramento del trono. Ciò indebolisce la carica sultaniale e inizia una sequela di sultani
poco virtuosi dal punto di vista della gestione del potere e anche paranoici; entreranno in funzione
delle dinamiche che faranno sì che i giannizzeri cercheranno di far accedere al trono dei successori
più capaci, provocando a loro volta un ulteriore indebolimento della carica del sultano mediante la
stessa pratica. Sempre in posizione apicale troviamo la figura del grand visir, una sorta di odierno
Presidente del consiglio che si circonda di un gruppo di ministri che devono gestire settori
differenziati dell’amministrazione pubblica, i visir sono a capo dell’apparato burocratico dello Stato
da una parte e dall’altra dell’esercito. Essi si riuniscono nel palazzo del sultano che prende il nome di
‘Topkapi’ per far andare avanti la macchina dello Stato in quello che è il consiglio imperiale che in
turco prende il nome di ‘diwan’ o ‘divan’ da cui deriva anche il nostro attuale termine di ‘divano’,
una sala dove non erano presenti tavoli ma ci si sedeva su delle sedute poste lungo i muri e in fono vi
era una grata dalla quale il sultano poteva assistere, non visto, alle riunioni del consiglio imperiale e
questo incideva sul modo in cui essi le tenevano perché non avevano mai la certezza che il sultano
fosse fisicamente presente ad ascoltarli e quindi anche a giudicarli nelle decisioni che venivano
prese. Al di sotto dei visir ci sono i governatori provinciali, coloro che gestiscono l’amministrazione
della cosa pubblica all’interno del vasto Impero ottomano; sono funzionari formati a palazzo, quindi
la formazione avviene nella capitale Istanbul e da lì, in base alle loro capacità e alla carriera che
intraprendono, vengono poi distribuiti su tutto il territorio dell’Impero. La provincia storicamente più
importante, quella da cui ha avuto origine il capostipite, è l’Anatolia, quella parte della Turchia di
oggi facente parte del continente asiatico. I turchi abitanti in Anatolia sono musulmani, si sono
convertiti alla religione islamica ma molto spesso sono condizionati anche da elementi relativi a
credenze anteriori, perciò credono ancora per esempio nelle forze della natura e negli sciamani che
hanno la possibilità di guarire le persone proprio per il loro rapporto diretto con quest’ultima e le
divinità. Figure importanti sono rappresentate dai cosiddetti ‘dervisci’, dei mistici guidati da
sceicchi, il cui termine identifica il capo, la guida, per l’islamizzazione dei territori che a amano a
mano sono entrati all’interno della dominazione musulmana partendo da religioni differenti
dall’Islam. Il territorio più importante è stato quello della cosiddetta Rumenia, chiamata così dal
termine rom che identifica il vecchio territorio dell’Impero romano. Essi si stabilisco in determinate
aree, richiamano fedeli musulmani, costruiscono all’interno del territorio dei conventi, cioè
fondazioni caritatevoli che tramite donazioni erogano credito alle attività manifatturiere o
commerciali, oltre che luoghi di ospitalità per i viaggiatori. In ambito cittadino l’Islam urbano è più
ortodosso, non si fa quindi condizionare da credenze ed è strutturato tramite la diffusione degli
edifici di culto, le moschee, sempre accompagnate dall’apertura di scuole che in ambito arabo
prendono il nome di ‘madrase’ mentre in quello turco di ‘medrese’ con una radice come. Sono scuole
di formazione di un’altra figura importante del mondo islamico, l’Ulema, la guida spirituale che
segue dei corsi di diritto e di teologia e i donatori eccellenti cercavano di farsi seppellire il più vicino
possibile alla moschea.

 Capitale: uno degli edifici più rappresentativi della città di Costantinopoli era la Basilica di Santa
Sofia (mosaici paleo-cristiani) che Maometto II decise di non distruggere ma di trasformare in una
moschea con una particolare attenzione nei confronti di una specifica disciplina, l’astronomia.
Accanto ad essa, Maometto II e i suoi successori faranno costruire quella cittadella sultaniale
imperiale che viene chiamata ‘Topkapi’ che in turco significa ‘la porta del cannone’, una città regia
che all’interno della più grande città di Istanbul è destinata ad ospitare la corte del sultano. Sull’altra
sponda del mar di Marmara e del Corno d’Oro sorge la cittadella di Galata dove erano insediate le
comunità di commercianti e mercanti europei che fin dall’epoca dell’Impero romano d’Oriente e
durante la dominazione ottomana continueranno a fare affari e a risiedere al suo interno. Dall’altra
parte, invece, viene creato il cosiddetto ’Gran Bazar’ che ancora oggi è possibile visitare come una
sorta di contraltare dei commerci europei che si erano sviluppati. Il problema della città di Istanbul
subito dopo la conquista da parte degli ottomani era il fatto che fosse una città quasi spopolata
perché molti decisero di fuggire per sottrarsi al dominio ottomano. Alla scarsa popolazione, quindi,
Maometto II e i suoi successori decidono di far fronte con l’imposizione di quote obbligatorie di
immigrati dalle province dell’Impero ottomano per cercare di rivitalizzare quest’importante città
anche dal punto di vista economico. Coloro che decidono di rimanere ad abitare ad Istanbul,
rappresentanti dell’Impero romano d’Oriente e quindi appartenenti alla religione cristiana sono
ancora una quota consistente che avranno però vita piuttosto complicata. Ad essi si aggiungeranno
poi gli ebrei che provengono in particolare dalla penisola iberica dove, nel 1492 in Spagna e poco
dopo anche nel regno del Portogallo, saranno costretti ad emigrare forzatamente; arrivano anche a
Istanbul e fanno fortuna con la produzione di tessuti per le uniformi della guardia imperiale, i
giannizzeri, ma soprattutto saranno importanti perché pare che la prima stamperia fu installata a
Istanbul nel 1493 ca. proprio da ebrei rifugiatisi lì, cioè quella grande invenzione che ha cambiato le
sorti culturali dell’Europa occidentale a partire dal 1455, dalla pubblicazione della prima Bibbia con
il sistema dei caratteri mobili. Un’altra fetta consistente della popolazione della capitale è
rappresentata dai funzionari dell’amministrazione pubblica; essi si sono formati a palazzo e proprio
per questo risultano essere più fedeli rispetto a quelli formatisi nelle periferie nei confronti del
sultano, il quale alla morte dei suoi funzionari ha la possibilità di inglobare di nuovo i loro beni
all’interno delle proprietà del sultano stesso. La capitale dell’Impero ottomano tra ‘400, ‘500 e ‘600
diventerà una delle grandi città del mondo fino a raggiungere il milione di abitanti.

 Diritto: gli Ulema fino alla fine del 400 potevano provenire anche dai posti più disparati del mondo
islamico ed esercitare senza problemi le loro funzioni di giudici facendo fortuna all’interno di
territori che invece avevano una più forte impronta ottomana. Proprio alla fine del ‘400 si rompe il
cosmopolitismo della figura dell’Ulema e il funzionario pubblico, legato all’ambito giuridico, viene
sempre di più formato a Istanbul, cioè essi si formano nella lingua turca e non in quella araba anche
se sono comunque tenuti a conoscerla perché in arabo è scritto il Corano. Questo significa che viene
stabilito anche un unico iter per la formazione, da una parte il giudice che deve giudicare ed
eventualmente condannare in ambito militare e il giudice supremo in ambito civile. A differenza del
mondo arabo, vi è una plurivocità di ambiti di riferimento rappresentati all’interno del diritto turco
perché accanto a quello religioso c’è anche il diritto del sultano che prende il nome di ‘kanun’ e che
si esplicita nell’emanazione di decreti sultaniali o imperiali che prendono il nome di ‘ firmani’. Tra
questi due differenti diritti spesso prevale quello del sultano anche perché egli è l’unico proprietario
terriero di tutto l’Impero; solo case e giardini sono di proprietà ei singoli sudditi. Una terza fonte del
diritto a cui si può fare riferimento è quella delle cosiddette consuetudini locali che in turco
prendono il nome di orf, le quali servono per avere delle basi relative alla riscossione delle tasse.
Questo elemento deve tenere conto necessariamente della specificità degli enormi territori che
compongono l’Impero ottomano.

 Comunità religiose: i due nemici principali dei turchi ottomani sono da una parte gli sciiti e
dall’altra gli infedeli, tra cui gli ebrei ma anche le molte declinazioni del cristianesimo che avevano
popolato le aree del Mediterraneo che cadranno progressivamente sotto la dominazione ottomana.
Per esempio in Egitto si erano installati i ‘Copti’; in Siria erano presenti i greco-ortodossi; in
Armenia i cristiani armeni gregoriani; in Dalmazia, Bosnia, Ungheria e nelle isole dell’Egeo vi era
una prevalenza importante di cattolici e infine, in Ungheria e Transilvania, vi erano importanti
comunità di calvinisti, facenti parte della sottofamiglia del protestantesimo. Queste differenti
comunità religiose venivano organizzate per nazioni che in turco prendevano il nome di ‘ millet’, alle
quali era consentito di organizzarsi sotto la guida dei loro capi religiosi: vescovi e preti per i
cattolici; rabbini per quanto riguarda gli ebrei. Queste comunità, inoltre, erano obbligate a pagare un
‘testatico’, cioè una tassa personale sui bei posseduti; non potevano testimoniare in processo contro
gli islamici e per accentuare la loro sottomissione all’elemento islamico le loro case dovevano essere
più basse rispetto a quelle dei musulmani. Rare erano le conversioni forzate anche perché chi si
convertiva alla religione islamica non era più tenuto al pagamento del testatico; succedeva però che
ebrei e cristiani decidessero di convertirsi più per convenienza che non per una vera e propria
convinzione religiosa: essere musulmani consentiva comunque di adire a carriere vietate a esponenti
di altre religioni, quindi c’erano anche motivazioni di avanzamento sociale che facevano sì che le
persone si convincessero ad abbandonare la loro religione di origine e a convertirsi a quella
musulmana.

L’EUROPA OCCIDENTALE. LE MOTIVAZIONI DELL’AVVENTURA COLONIALE


Il territorio dell’Europa occidentale per secoli è stato sulla difensiva, pressato da nemici che a ondate
successive arrivavano a lambire i confini e ad occupare l’Europa balcanica. Questo piccolo continente, molto
più piccolo rispetto a quello asiatico, pian piano ha invertito la tendenza facendosi più aggressivo e
insidiando lui stesso le altre grandi potenze mondiali che fino ad allora avevano dominato la scena. Le
debolezze dell’Europa occidentale, tra la fine del Medioevo e l’inizio dell’età moderna, appartengono a vari
ambiti: innanzitutto quello demografico, in quanto non si superavano i 100 milioni di abitanti (relativamente
pochi in termini assoluti) frazionati tra stati piccoli, medi e grandi in costante conflitto tra loro e
profondamente divisi; scarsa efficienza nella tecnica militare. Proprio quest’ultimo punto sarà il momento di
svolta che farà invertire le sorti del pianeta e farà sì che queste frazionate potenze occidentali comincino
un’espansione al di fuori dei propri confini con l’aspirazione a raggiungere e sottomettere quei territori del
Medio e dell’Estremo Oriente dai quali per secoli erano provenute merci preziose e di lusso molti apprezzate
e ricercate all’interno soprattutto dei ceti più abbienti dell’Europa occidentale. Una delle spiegazioni
dell’espansione economica europea è stata individuata nella volontà di aggirare quel blocco che i turchi
avevano imposto ai commerci delle potenze europee con la dominazione sull’Egitto (1517) e il controllo dei
traffici commerciali che dall’Oriente attraverso il Mar Rosso arrivavano sulle coste del Mediterraneo e da lì
raggiungevano poi tutta l’Europa. Si tratta però di una spiegazione che risulta debole quantomeno fino alla
metà se non addirittura alla fine del XVI secolo, quando l’espansione coloniale e le esplorazioni geografiche
degli europei datano da almeno 150/200 anni. Visto il declino della potenza commerciale e mercantile della
Repubblica di Venezia, quella che resiste maggiormente al blocco da parte dei turchi dei commerci con
l’Estremo Oriente, esso avvenne solamente verso la fine del ‘500. Altre motivazioni dell’espansione
coloniale da parte degli europei sono dovute a differenti fattori che appartengono a diversi ambiti:
1. Fattore religioso, relativo alla volontà di un’estensione di quelle crociate che gli europei avevano
messo in atto a partire dall’’XI secolo per recuperare i luoghi santi e sacri del cristianesimo in
Palestina e per sottrarli alla dominazione dei musulmani. Questa motivazione ebbe un suo peso nella
volontà di raggiungere nuove terre e si legava anche a delle storie che fin dal Medioevo circolavano
in Europa relative all’esistenza di un mitico regno di un sovrano che prendeva il nome di prete
Gianni, re-sacerdote che doveva trovarsi in un’area dell’Africa orientale che si affacciava
sull’Oceano Indiano e raggiungere il regno cristiano del prete Gianni avrebbe significato per gli
europei trovare in oriente un alleato per sconfiggere o comunque arginare l’espansione dei
musulmani.
2. La pressione demografica che l’Europa si trova a vivere e ad affrontare a partire dalla metà del XV
secolo, dopo aver recuperato tutti i buchi che si erano creati a causa della peste bubbonica all’interno
della popolazione europea; questa espansione demografica durerà per circa un secolo e mezzo,
arrivando ad invertire la tendenza solo tra l’ultimo decennio del ‘500 e i primi decenni del ‘600,
quando si innescherà di nuovo una crisi dapprima economica e poi sanitaria legata alla presenza
rinnovata e importante di epidemie di peste (i Promessi Sposi 1628-1630). La fase demografica
espansiva è stata messa in parte in relazione con la volontà degli europei di trovare nuovi spazi,
nuove terre, nuove possibilità di fortuna al di fuori dell’Europa; anche questa teoria tuttavia ha subito
un ridimensionamento da parte degli studiosi perché la pressione demografica può spiegare
l’espansione solo a partire dalla seconda metà del ‘700 in avanti, quando di nuovo vengono colmati i
buchi in termini di vite umane che si erano creati durante le pestilenze.
3. Avventura commerciale, la vera spinta che ha fatto sì che dapprima Spagna e Portogallo e poi tutti
gli altri grandi stati nazionali europei (Francia, Inghilterra, Paesi Bassi) si avventurassero sulla strada
dell’espansione coloniale è stata rappresentata dalla ricerca del profitto. Un famoso e importante
storico dell’economia italiano, Carlo Maria Cipolla, ha sintetizzato ciò in maniera esemplare con
una sola frase: <<la religione fornisce il pretesto, l’oro fornisce il motivo e il progresso tecnologico
fornisce i mezzi per l’espansione coloniale degli europei al di fuori dei confini dell’Europa
occidentale>>. Il potere degli europei fu un potere soprattutto marittimo, talassocratico, cioè un
tentativo di dominio delle rotte marittime. Mentre l’Europa da una parte scopre e dall’altra conquista
il Nuovo Mondo e mentre si installa in Oriente, sulla terraferma deve invece arretrare di fronte
all’avanzata turca, in quanto l’Impero ottomano è il più acerrimo e pericoloso nemico dell’Europa
occidentale. In quegli stessi secoli, l’Europa comincia a dominare le rotte marittime; questo trend si
capovolgerà solamente con ulteriori innovazioni tecnologiche, soprattutto nel campo dell’artiglieria,
che si avranno in Europa intorno alla metà del ‘600 (durante e appena conclusa la Guerra dei
Trent’anni). Da allora, il predominio europeo sarà incontrastabile e incontrastato sia per mare che per
terra; devono quindi passare quasi due secoli prima che le potenze europee riescano a prevalere sui
propri nemici e sugli altri grandi imperi che ancora esistevano e prosperavano in giro per il mondo.

CAPITALISMO E CAPITALISTI TRA MEDIOEVO ED ETÀ MODERNA


L’espansione marittima ha preparato il terreno a quello che sarà il secondo grande balzo in avanti nella storia
dell’espansione coloniale dell’Europa occidentale: la Rivoluzione Industriale, la quale a sua volta stimolerà
un’ulteriore espansione, che si colloca tra la fine dell’età moderna e buona parte dell’età contemporanea,
rappresentando il vero punto di svolta del dominio delle potenze coloniali europee sul resto del mondo. Vi è
poi una tesi che ha cercato di spiegare la volontà e la riuscita da parte delle potenze europee nel tentativo di
accaparrarsi fette di mercato e di territorio negli altri continenti giungendo alla conclusione che il popolo più
tecnologicamente avanzato è destinato a prevalere sugli altri. Questi tesi forte ha una sorta di riprova
concreta in quello che poi è effettivamente successo nel corso dell’età contemporanea e in particolare nel XX
secolo: i popoli non europei hanno dovuto occidentalizzarsi, acquisendo modi di fare, armi e tecnologia dai
paesi europei per contrapporsi all’occidente; è da qui che sono partite le dinamiche di colonizzazione,
facendo sì che vasti territori che erano stati sottomessi dalle potenze europee vengano a contrapporsi in
maniera vincente alla sottomissione nei confronti delle potenze europee occidentali.
La base per questa spinta è rappresentata dall’esistenza in Europa di forme di proto-capitalismo. Il termine
‘capitalismo’ è stato coniato solo intorno al 1900 in ambienti del socialismo tedesco, quindi esso esisteva
prima che assumesse un tale nome. Esisteva un capitalismo che un importante storico francese dell’età
moderna, Fernand Braudel, ha denominato come ‘capitalismo di circolazione’, cioè un capitalismo basato
da una parte sui commerci e dall’altra sulle industrie manifatturiere che collega punti commerciali costieri e
che trasporta merci e uomini. Egli però sottolinea anche la necessità di studiare non tanto il capitalismo
quanto i capitalisti, ovvero i soggetti che hanno fatto il capitalismo tra il Basso Medioevo e l’inizio dell’età
moderna. Essi si basavano su:
1. Diaspore commerciali, cioè per fare fortuna, alimentare i propri commerci e scambiare le proprie
mercanzie, gli uomini dovevano spostarsi dalle loro zone di origine verso altre zone per incontrare,
aggredire e conquistare nuovi mercati.
2. Insediamenti strategici, si cercava cioè di individuare degli ambiti urbani dove impiantare delle filiali
delle proprie attività commerciali (es: i fiorentini nelle Fiandre, in Inghilterra).
3. Associazioni di mercanti e commercianti che si aiutano e si sostengono nei viaggi, nel credito in
modo da far sì che insieme le loro attività riescano a prosperare in maniera importante.
4. Invenzione della contabilità in partita doppia , entrata nell’uso di tutte le aziende, che consente al
proprietario nell’individuazione del dare e dell’avere di poter avere sotto controllo lo sviluppo della
propria attività commerciale e attuare manovre espansive nel caso in cui risultino degli utili oppure
correre ai ripari nel caso in cui risultino delle perdite. È quindi un modo per razionalizzare l’attività
economica e basare le proprie manovre sulla base dell’andamento dei propri traffici e commerci. È
un’invenzione in particolare di ambito toscano tra pieno e tardo Medioevo, dal XIII secolo in avanti.
5. Invenzione dei banchi cittadini, ovvero le banche di oggi. È un’invenzione italiana, a partire dal XVI
secolo con la creazione del Banco di Rialto a Venezia; nella seconda metà del ‘500 la creazione del
Banco di San Giorgio a Genova. Questa pratica di banche che erogano credito alle imprese si
espanderà e si diffonderà in tutta Europa, in città come Londra, Amsterdam e Amburgo.
6. Diversificazione delle attività commerciali e mercantili , che possono essere incarnate nelle figure del
mercante di Firenze, quello di Lisbona in Portogallo e infine quello di Genova nella repubblica
omonima. Il primo attua un’attività di carattere verticale, cioè importa la lana (materia prima che ha
fatto la fortuna del comune di Firenze), la lavora e poi la esporta (dalla materia prima al prodotto
finito); il secondo attua il commercio puro, ovvero il suo guadagno è legato al dislivello tra il prezzo
delle merci di lusso (pepe e spezie pagate molto poco nei luoghi di origine e rivendute a prezzi
elevatissimi in Europa); per il terzo più che il termine mercante sarebbe più giusto usare quello di
‘finanziere’ poiché ciò su cui si basa il suo profitto è il commercio di denaro e il credito che riesce ad
elargire ai sovrani dell’Europa dell’epoca che ne hanno grande bisogno (es: la corona di Spagna, con
prestiti al re, il quale li utilizza per il finanziamento delle campagne militari e per l’espansione
coloniale). Con questo si richiama un’ulteriore elemento caratteristico di evoluzione del capitalismo:
all’economia reale, propria del mercante fiorentino, si sostituisce pian piano il mondo della finanza.
Il capitalismo del ‘500 è quindi un impiego oculato di somme di denaro contante o strumenti di credito come
potrebbero essere gli assegni o le cambiali, invenzioni italiane dei mercanti padani e lombardi piuttosto che
toscani. Al capitalismo mercantile si sostituisce un capitalismo finanziario, quello dei genovesi, al quale a
sua volta si sostituirà un capitalismo mercantile, quello degli olandesi (tra 5-600) ed infine di nuovo uno
finanziario. Gli stacchi e le cesure spesso sono dovuti a forti crisi economiche che poi sfociano anche in crisi
sanitarie. La prima storia globale del mondo fu solo marittima: non esistette un unico capitalismo bensì molte
forme differenti di capitalismo radicate localmente e per arrivare alla fine delle lunghe crisi bisognerà
giungere all’esplosione della Rivoluzione Industriale nella seconda metà del XVIII secolo.

LA RIVOLUZIONE MILITARE
 PREMESSE E CARATTERISTICHE
La guerra rimane una delle principali attività dell’uomo. Esiste un famoso libro di uno storico inglese,
Michael Roberts, con un titolo molto significativo ‘la rivoluzione militare’, la cui periodizzazione inizia con
il 1560 e termine con il 1660, un secolo intero in cui cambia il volto del modo di fare guerra in Europa. È un
testo pubblicato nel 1955 che rimane ancora oggi un classico e a cui gli studiosi dei decenni successivi hanno
continuato a fare riferimento. Le caratteristiche e gli aspetti principali che Roberts sottolinea sono:
1. Una vera e propria rivoluzione nella tattica di guerra, cioè alcune tipologie di armi da guerra
vengono sostituite da altre; alla lancia e alla picca (lungo bastone su cui viene innestata una punta in
metallo) si sostituiscono progressivamente l’arco e il moschetto. Cominciano quindi ad imporsi
sempre di più le armi da fuoco.
2. Aumenta sempre di più la dimensione degli eserciti, diventano più consistenti in termini di persone
che vi sono impiegate.
3. Dalla tattica si passa alla strategia, la prima riguarda una singola battaglia, la seconda invece a guerra
nel suo complesso. Anche le strategie subiscono forti modifiche e innovazioni e diventano sempre
più complesse proprio perché devono far funzionare eserciti sempre più complessi e consistenti.
4. Aumento delle guerre, le quali cominciano ad avare un sempre maggiore impatto sulla società,
quella che oggi chiamiamo società civile; riguardano quindi sia i militari sia la popolazione civile.
Nel corso dell’età moderna si struttura anche l’ambito di tutto ciò che ruota intorno al mestiere delle
armi perché vengono aperte accademie militari, cioè si creano istituzioni nelle quali si segue un
percorso di formazione per diventare provetti militari; viene a formarsi un diritto di guerra cosiddetto
‘positivo’, ovvero gli stati danno vita a dei protocolli che cercano di normare l’ambito militare e
infine si sviluppa una letteratura sull’arte della guerra, su come si conducono le campagne militari e
su quali sono le tattiche e le strategie migliori per avere successo in guerra.
Nel 1800 gli imperi occidentali controllavano il 35% delle terre emerse; ancor più significativo è il balzo che
nell’arco di poco più di un secolo, nel 1914, quest’occupazione raggiunge. In questa data le potenze
occidentali e gli imperi commerciali, militari e politici europei arrivano a dominare su circa l’85% delle terre
emerse del nostro pianeta.
 BOMBARDE E CANNONI
Fin dall’XI secolo l’Europa occidentale aveva assistito ad un fenomeno molto vasto che prende il nome di
incastellamento, cioè la creazione di castelli e fortezze che servivano per proteggere le persone del contado
ma anche sede dei feudatari, i quali controllavano porzioni di territorio circostanti in modo da garantire
sopravvivenza a loro e a coloro che erano sottoposti al loro controllo. Ciò vuol dire che nel Medioevo la
guerra si era sviluppata secondo dinamiche per cui la difesa predominava sull’attacco: venivano posti sotto
assedio i castelli, gli eserciti nemici si disponevano intorno alle mura ed era un modo di fare la guerra
sostanzialmente statico. Se l’assedio aveva successo un nuovo signore si sostituiva a quello che aveva perso
la battaglia contro il suo nemico. la situazione di questo modo di fare la guerra si sbloccherà nel momento in
cui compariranno le ‘bombarde’, cioè gli antenati dei cannoni che vengono creati intorno alla seconda metà
del XIV secolo. Sono una sorta di super cannoni perché hanno dimensioni consistenti e che venivano creati
in bronzo e anche, seppur in maniera minore, in ferro. La caratteristica delle bombarde e poi dei cannoni in
bronzo è quella di essere molto più sicure, in quanto il bronzo è una lega che vede la fusione di due materie
prime: il rame e lo stagno e proprio perché derivante da una fusione avevano una maggiore tenuta nel
momento in cui partiva il colpo; il ferro, invece, non poteva ancora essere fuso perché non si conosceva la
tecnica e questi cannoni dovevano essere creati tramite la possibilità d chiudere delle lamine di ferro
all’interno di cerchi senza però poterle fare aderire completamente tra di loro. Capitava quindi molto spesso
che nel momento in cui i cannoni in ferro venivano caricati esplodessero prima che il colpo potesse partire. I
cannoni in bronzo venivano fusi all’interno di fonderie che vedevano anche la fusione delle campane per le
chiese, due oggetti che dal punto di vista dell’utilizzo erano agli antipodi tra di loro.
Per adire alla fusione anche del ferro bisogna aspettare gli anni ’40 del ‘500 in Inghilterra con il re Enrico
VIII; quest’ultima è sempre stata un paese ricco di giacimenti di materiale ferroso e, grazie all’invenzione
dovuta ad un parroco del Sussex, si riesce ad inventare una tecnica per la sua fusione. Questa nuova tecnica
viene poi ulteriormente affinata grazie all’immigrazione di artigiani dalle Fiandre (Paesi Bassi e Belgio di
oggi) e questo costituirà una vera fortuna per l’Inghilterra, la quale avrà la possibilità non solo di produrre in
proprio dei cannoni molto più sicuri, affidabili e leggeri ma potrà anche diffondere e far conoscere questa
tecnica in giro per l’Europa (Olanda, area germanica e Svezia).
In Svezia, nel 1629, viene creato il primo piccolo cannone ‘reghement stuke’, un cannone piccolo, mobile e
facilmente ricaricabile che viene inventato per delle ragioni ben precise: innanzitutto perché in Svezia vi è
una gran quantità di foreste che possono essere sfruttate per far funzionare le fonderie; ci sono buoni corsi
d’acqua, quindi collegamenti per trasferire le materie prime e i prodotti finiti e infine anche in Svezia si
verifica una consistente immigrazione di personale specializzato dalle Fiandre, in particolare dall’Olanda. I
fiamminghi diventano quindi i propulsori in tutta Europa delle nuove tecniche di innovazione nell’ambito
delle armi da fuoco. Questo piccolo cannone avrà un suo primo utilizzo con successo all’interno della Guerra
dei Trent’anni e sarà una delle motivazioni che porteranno a far sì che l’ingresso della Svezia nel conflitto
che lacerava l’Europa dal 1618 porterà ai successi degli eserciti del re di Svezia Gustavo Adolfo contro
l’esercito ben più numeroso dell’imperatore del Sacro Romano Impero.
I maggiori utilizzatori e acquirenti nel campo delle armi da fuoco saranno gli stati nazionali in formazione
dalla metà del ‘400 in avanti: la prima motivazione è il fatto che essi erano costantemente in guerra tra loro;
la seconda perché si verifica un nuovo fenomeno, quello delle esplorazioni geografiche. Tra questi Portogallo
e Spagna, i primi due stati europei che tentano l’avventura dell’espansione coloniale al di fuori dell’Europa.

 CASTELLI
Bisogna rendere maggiormente sicuri e meno aggredibili le strutture in muratura, i castelli appunto,
caratteristici dell’epoca medievale e che continuano ad esistere nel corso dell’età moderna.
Alla fine del ‘400 viene pubblicato un famoso trattato sul modo di fare la guerra scritto da un noto umanista
italiano, Leon Battista Alberti; questo testo esce nel 1485 e il titolo è in latino ‘De re edificatoria’, cioè ‘sul
modo di costruire’. Il consiglio di Alberti all’interno di questo manuale di architettura militare è quello di
costruire le fortificazioni a linee irregolari, utilizzando per esempio la forma a dente di sega o a stella, poiché
in questo modo vi è maggiore possibilità che le mura delle fortezze riescano a resistere alle palle dei cannoni
e delle bombarde. A Leon Battista Alberti si uniranno tutta una schiera di architetti militari che daranno
ulteriori indicazioni e consigli che verranno seguiti per rendere maggiormente difendibili i castelli tra cui:
1. Abbassare e rinforzare le mura, con mura di densità maggiore si riesce ad arginare maggiormente i
colpi di bombarde e cannoni; a questo si contrappone però il fatto che le mura possono essere minate
alla loro base oppure si possono verificare degli attacchi di sorpresa ai quali gli assediati non sono
preparati.
2. I castelli vengono circondati da ampi e profondi fossati, ideati per costituire un argine maggiore
all’invadenza da parte degli assedianti.
3. Costruzione di torioni agli angoli che vengano muniti di bocche da fuoco per far sì che coloro che
stanno all’interno del castello possano avvicinarsi maggiormente agli assedianti e colpirli.
4. Creazione di fortificazioni a difesa di questi fossati, in particolare bastioni triangolari che prendono il
nome di ‘rivellini’, soprattutto quando il fossato è colmo d’acqua.
5. Creazione di fortilizi esterni per il controllo del territorio del contado intorno al castello o alla
fortezza principale che devono servire da contenimento e argine nel momento in cui il nemico si
avvicina.
Il terreno di prova di tutte queste innovazioni in ambio militare è rappresentato dal lungo periodo delle
guerre d’Italia che iniziano nel 1494 con la discesa nella penisola del re di Francia Carlo VIII e che si
concluderanno più di 60 anni dopo, nel 1559, con la pace di Cateau-Cambrésis tra Francia e Spagna. È qui
che si testano per la prima volta le caratteristiche della rivoluzione militare.
Le popolazioni della penisola italiana si rendono conto che la guerra è diventata molto più violenta e crudele
rispetto a come la conoscevano dai secoli antecedenti; questa maggiore crudeltà viene sintetizzata
nell’espressione della cosiddetta ‘furia franzese’, cioè la violenza che gli eserciti di Carlo VIII mettono in
atto non solo contro gli eserciti dei signori italiani con i quali si trovano a guerreggiare ma anche nei
confronti delle popolazioni civili. Secondo elemento di novità che viene testato è il fatto che i cannoni non
vengono più caricate con palle di pietra bensì con palle di metallo di dimensioni più ridotte ma con una
ricarica più veloce. Per capire la forza dirompente che l’esercito francese ha in ambito italiano quando nel
1494 passa le Alpi e arriva a conquistare il Regno di Napoli basta un solo dato: esso è dotato di 40 cannoni
agili, veloci e facilmente trasportabili; gli stati italiani, ciascuno per contro proprio, hanno al massimo in
dotazioni 4-5 bombarde molto pesanti e molto poco mobili.

 ARMI DA FUOCO PORTATILI


Durante la battaglia di Marignano che corrisponde all’odierna cittadina di Melegnano alle porte di Milano
nel 1515 risultano completamente fuori luogo la balestra, la piccalunga, l’alabarda e gli spadoni a due mani;
si attesta quindi che le innovazioni tecnologiche che si erano sviluppate nel corso del XV e all’inizio del XVI
secolo si sono definitivamente affermate. I luoghi dove maggiormente si affina l’arte di produzione delle
armi da fuoco sono l’Italia settentrionale e l’area germanica; infatti saranno soprattutto armaioli, cioè
produttori di armi lombardi e tedeschi a innovare fortemente nell’ambito delle armi da fuoco portatili.
Si inizia con l’invenzione del cosiddetto schioppetto nel tardo ‘400 ma è ancora troppo pesante, pesa circa 15
kg ed è troppo lungo. Un balzo in avanti viene compiuto con l’invenzione dell’archibugio con accensione a
serpentina, lungo solamente un metro e pesante solo 5-6 kg, tre volte meno. L’arte di fare guerra comincia a
semplificarsi sempre di più e a calibrarsi maggiormente sulla possibilità che una sola persona abbia più
agilità nell’utilizzare questi nuovi strumenti. Uno dei problemi principali era quello di riuscire ad accendere
velocemente la miccia in modo che lo scoppio riuscisse a partire e arriverà per questo un nuovo acciarino che
utilizzerà la cosiddetta ‘pietra focaia’ e da qui prende il nome una nuova arma da fuoco portatile, il focile,
cioè il nostro fucile. Infine, alla metà del XVI secolo, viene inventata la pistola: un’invenzione fondamentale
in quanto può essere agevolmente utilizzata non solo dai fanti (militari che guerreggiano a piedi) ma anche
dai cavalieri. Essa rendeva molto più incisivo il modo di fare la guerra.

 ESERCITI
Tradizionalmente l’esercito è diviso nelle due componenti fondamentali della fanteria e della cavalleria; in
termini di numeri la prima è sempre più consistente rispetto alla seconda, mentre in termini di distinzione
sociale la fanteria è per la maggior parte affidata a persone che provengono dai ceti inferiori della società, la
cavalleria è questione dei ceti più elevati della società. In Europa esistono popolazioni che sono
maggiormente specializzate nell’arte della guerra tra cui gli svizzeri, che prima degli altri cominciano ad
usare le innovazioni tecnologiche. Saranno proprio loro ad utilizzare per la prima volta lo schioppetto contro
il ducato di Borgogna nel 1477; si renderanno conto però che si tratta di un archibugio troppo pesante e
malsicuro. La motivazione per cui gli svizzeri furono maggiormente conosciuti, temuti e utilizzati dai
sovrani europei è l’invenzione del cosiddetto ‘quadrato svizzero’, anche se in realtà era più un rettangolo che
un quadrato. Si tratta di una formazione di 6000 uomini disposti su 60 righe che si muovono
contemporaneamente in tutte le direzioni con tamburi, pifferi e gridi di battaglia che servono per terrorizzare
il nemico. Da questa formazione prenderanno esempio anche tutti gli altri eserciti europei a partire da quello
spagnolo con la creazione dei cosiddetti ‘tercios’ spagnoli, abituati al combattimento in ordine sparso e corpo
a corpo che si trasformeranno sempre di più in falangi alla svizzera. Questo fa sì che la fanteria diventi non
solo un elemento per la difesa della cavalleria bensì un battaglione d’assalto che ha la possibilità rapidamente
di passare dalla difensiva all’offensiva; comincia quindi ad avere un peso determinante nelle sorti dei
conflitti militari.
Nelle aree germaniche vi è un corpo militare, quello dei ‘lanzichenecchi’, cioè gli armigeri di campagna.
Sono per lo più mercenari di umile estrazione vestiti però con colori sgargianti e costosi, al servizio in
particolare della dinastia degli Asburgo.
Cambia quindi la composizione degli eserciti, per cui i fanti diventano dei tiratori scelti che fanno fuoco, si
tirano indietro per ricaricare, fanno posto a quelli che stanno dietro di loro e riescono dunque ad avere una
forza di fuoco senza interruzioni. Viene utilizzato poi il nuovo archibugio messo su un cavalletto a forca con
una canna di 1,5 metro, una ricarica di meno di 2 minuti e una gittata del colpo di 200 metri, in particolare
cercando di colpire i cavalli. Questo vuol dire che negli eserciti europei dell’età moderna declina la cavalleria
pesante a favore di quella leggera; i cavalli non vengono più bardati in maniera pesante e la cavalleria viene
sempre di più integrata e combinata con la fanteria pesante e l’artiglieria che rappresentano il vero punto di
svolta che fa sì che gli eserciti di terra delle potenze occidentali siano all’avanguardia su tutti gli altri eserciti
loro nemici.
 GALERE E NAVI A VELA
Il primo fronte di preminenza delle potenze occidentali in ambito mondiale è stato rappresentato dalla loro
preminenza in ambito marittimo; è quindi sul mare e sul modo di navigare che si innestano importanti
innovazioni relative anche al modo di costruire le imbarcazioni da guerra. Esistono due differenti modi di
navigare; il primo, che è stato per secoli caratteristico dell’area del Mediterraneo, è la cosiddetta
‘navigazione di cabotaggio’, cioè si naviga non allontanandosi troppo dalla linea di costa perché è
necessario poter attraccare velocemente in un porto sicuro per fare rifornimenti; il secondo, che è il più
conosciuto, è rappresentato dalla cosiddetta ‘navigazione d’altura’, il quale, a differenza del primo, ha avuto
per secoli seri problemi nell’individuare dei punti di riferimento in alto mare. Caratteristica imbarcazione
della navigazione di cabotaggio è stata la galera, ovvero la nave a remi, termine che poi è entrato nell’uso
comune per indicare le prigioni proprio perché venivano usati come rematori dei delinquenti o schiavi che
erano stati condannati ai lavori forzati sulle galere (andare in galera= essere costretti a utilizzare la forza
delle proprie braccia sulle imbarcazioni di questo nome). Le galere resistono all’interno del mar
Mediterraneo fino al ‘700; sono però costrette alla navigazione costiera sia per i rifornimenti (dare agli
uomini acqua e cibo per poter svolgere il loro compito) sia perché spesso gli scontri tra galere avvengono
non troppo distanti dalla costa (motivi militari). La vera novità delle navi d’altura è il perfezionamento delle
navi a vela che progressivamente sostituiranno le galere; esse sfruttano invece la forza del vento e quindi
possono spingersi anche in alto mare. Sarà proprio il perfezionamento di queste imbarcazioni il vero spunto
di svolta che consentirà ai marinai di spingersi in aree del pianeta lontanissime dalle coste dei paesi da cui
sono partiti.
La prima importante innovazione è l’uso di strumentazione che consente di avventurarsi in alto mare, gran
parte della quale proviene dalla Cina, come ad esempio l’uso della bussola così come la diffusione delle carte
nautiche. Carte nautiche per eccellenza sono i cosiddetti ‘portolani’ che danno la possibilità di creare delle
sorte di mappe che con le esplorazioni geografiche verranno sempre più migliorate e che possono essere
utilizzate e perfezionate dai naviganti che si succederanno a coloro che le hanno redatte in prima istanza
(servono per dare una rotta più veloce e sicura). Oltre a questo si aggiunge anche la necessità di trovare dei
punti di riferimento quando ci si trova in altro mare; viene quindi inventata la misurazione della latitudine
che, per quanto riguarda il nostro emisfero, è fornita dall’osservazione dell’altezza del sole e delle stelle.
Quando invece i naviganti europei si sposteranno nell’altro emisfero, l’unico punto di riferimento sarà
rappresentato dalla misurazione dell’angolo formato dal sole allo Zenith (punto più alto raggiunto durante la
giornata) e dalla linea dell’acqua e dell’oceano all’orizzonte. Si formeranno quindi delle tabelle matematiche
per facilitare calcoli di questo tipo; per la longitudine invece bisognerà aspettare il XVIII secolo.
Ci sono anche innovazioni che appartengono al modo di costruire le imbarcazioni tra cui la sostituzione di
due timoni laterali con un unico timone posteriore; questa sostituzione dà la possibilità di manovrare più
facilmente la nave, imprimerle una maggiore velocità, aumentare la sua stazza e riempirla maggiormente di
merci. Questo consentirà di praticare la navigazione d’altura in maniera più sicura. Un’ulteriore novità è
rappresentata dall’aumento del numero degli alberi che passa da 1 a 3; si crea in questo modo la possibilità di
dar vita a nuove tipologie di imbarcazioni come la caracca, un’imbarcazione tonda a 3 alberi e la caravella,
caratterizzata dall’utilizzo delle vele quadre che, a differenza di quelle triangolari, hanno la possibilità di
sfruttare meglio la forza del vento e quindi di aumentare la loro velocità. Esse sono frutto del connubio fra la
tradizione marittima mediterranea e quella nordica. L’ultimo balzo in avanti è la possibilità di caricare sulle
navi a vela le armi da fuoco che erano già state perfezionate. All’inizio del ‘500 i cannoni che in parte erano
già presenti sulle navi a vela, passano dalla coperta, la parte esposta della nave, alla sottocoperta e vengono
aperti dei portelli laterali nello scafo, cioè dei buchi dove vengono infilate le bocche dei cannoni. Inoltre, essi
venivano caricati su affusti mobili con quattro ruote che evitano il rinculo del cannone nel momento in cui il
colpo viene esploso rendendo quindi molto più stabile e sicuro il loro utilizzo sull’imbarcazione.
Il punto finale di questo processo è rappresentato, nel 1550, dalla comparsa di un’enorme imbarcazione che
caratterizzerà soprattutto la flotta delle potenze iberiche, Portogallo e Spagna: il galeone, una nave che mette
insieme l’aspetto militare con quello commerciale; una nave enorme che è allo stesso tempo nave da guerra e
nave mercantile. Saranno proprio i galeoni spagnoli quelle imbarcazioni contro le quali si scaglieranno le
molto più agili, veloci e leggere navi corsare, in particolare dei pirati e dei corsari al soldo della regina
Elisabetta I d’Inghilterra (Francis Drake e William Raleigh).
Lo speronamento e l’abbordaggio delle navi che aveva rappresentato il modo di fare la guerra sul mare fin
dall’età antica, cioè il fatto di avvicinarsi a una nave e far sì che i militari saltassero sulla nave nemica e
ingaggiassero una lotta corpo a corpo con i loro nemici, si sostituisce un nuovo modo: le bordate dei cannoni
sulle fiancate delle navi per provocare l’affondamento della nave nemica. Rematori e balestrieri, coloro che
avevano popolato le galere (energia umana), cedono il passo alle vele e ai cannoni (energia eolica e chimico-
fisica). Si è quindi aperta nella storia del mondo la cosiddetta ‘età delle macchine’.

 IL COLONIALISMO EUROPEO
I termini colonizzazione e colonialismo indicano il dominio esercitato da un popolo su un altro tramite lo
sfruttamento economico, politico e ideologico del differente grado di sviluppo di un popolo su un altro; è
questo il dislivello alla base dell’avventura coloniale. Quest’ultima ha dato vita a differenti tipi di colonie e
gli storici ne hanno delineati in particolare tre:
1. Le colonie come basi d’appoggio, vale a dire colonie che vengono create per fini esclusivamente
economico-commerciali e di presenza militare; colonie che sono soprattutto posizionate lungo le
coste del continente africano, asiatico e successivamente anche lungo quelle del nuovo continente
americano. Questa tipologia è caratteristica della colonizzazione portoghese e solo in parte di quella
olandese.
2. Le colonie cosiddette ‘di insediamento’, cioè si vuole popolare i territori sottomessi, si procede con
la bonifica delle terre contro le popolazioni locali che vengono mandate via o schiavizzate e si
introduce la proprietà privata. Questa seconda tipologia è tipica del colonialismo spagnolo,
soprattutto nel Nuovo Mondo ma anche nelle Filippine.
3. Il vero e proprio dominio coloniale, ovvero il controllo di un intero paese senza un ripopolamento
dei territori. L’esempio principale è quello dell’India britannica tra il XVIII e nel corso del XIX
secolo fino alla decolonizzazione e alla sua indipendenza dopo la Seconda Guerra Mondiale grazie
alla figura di Gandhi. Un controllo quindi di un paese senza la necessità di trasferirsi in maniera
consistente all’interno del territorio sottomesso e soggiogato.
La tipologia della colonizzazione americana si colloca a cavallo tra il secondo e il terzo tipo, in quanto ci
furono importanti immigrazioni di popolazione spagnola nel Nuovo Mondo ma non in misura molto
consistente; molto meno consistente fu quella degli inglesi nell’India britannica.

TRAFFICI MERCANTILI E COMMERCIALI IN EUROPA PRIMA DELL’ERA DELLE ESPLORAZIONI


GEOGRAFICHE
Il mondo dello scambio e del commercio è sempre stato, dal punto di vista delle proporzioni, infinitamente
più limitato rispetto all’altro fondamentale settore che ha governato le sorti economiche e di sopravvivenza
non solo delle popolazioni europee ma anche di tutte le civiltà in giro per il mondo che è rappresentato dal
settore agricolo: il settore primario coinvolgeva circa il 90% della popolazione, che lavorava non solo per
dare da mangiare alle proprie famiglie ma anche per sostentare i ceti superiori della società che non erano
impegnati nei lavori meccanici, cioè non si sporcavano le mani e una parte minoritaria della popolazione era
dedita agli scambi mercantili e commerciali. Dal punto di vista del PIL europeo, il mondo della produzione
agricola ha rappresentato per tutta l’età moderna il settore trainante; stati, governi, ceti dirigenti e le categorie
professionali che traggono maggiore profitto dai traffici commerciali, mercanti e finanziatori, riusciranno a
coinvolgere anche il mondo rurale nel loro ambito di pertinenza, in modo che anche quest’ultimo potesse
accedere più facilmente agli scambi commerciali e si creasse una movimentazione maggiore in ambito
contadino.
Le due aree che prima delle scoperte geografiche hanno rappresentato i due poli principali di interazione e di
scambio dal punto di vista mercantile e commerciale all’interno del continente europeo sono:
1. Il Mar Mediterraneo e tutti quei paesi che si affacciano, ben tre continenti: l’Europa, l’Asia a est e
l’Africa a sud, sulle sue coste; non a caso, infatti, è stato una grande culla di civiltà importanti.
2. Il Mar Baltico, posto a nord dell’Europa, racchiuso all’interno di paesi che vi si affacciano: a sud
l’area germanica e quella polacca, a ovest quella che subisce la diretta influenza dell’Impero russo e
a nord le potenze scandinave, in particolare la Svezia. Per quanto riguarda il passaggio dal mar
Baltico al mare del Nord, la Danimarca, la quale controlla quello stretto del Sund da cui tutte le navi
mercantili dovevano passare per effettuare il transito dal mar Baltico all’Oceano Atlantico.
I prodotti su cui si basava lo scambio tra l’Europa del sud e l’Europa del nord, per quanto riguarda il
Mediterraneo, erano rappresentati innanzitutto da quelli alimentari, con quelle produzioni tipiche dell’area
mediterranea quali vini, oli, frutta, grani (frumento) e sale e sono ancora oggi produzioni tipiche. Tra le
materie prime del settore secondario, in particolare manifatturiero, vi erano la lana, il cotone, la seta e
l’allume, presente in giacimenti dell’Anatolia e della parte orientale del Mediterraneo ma anche giacimenti
che appartengono alla penisola italiana; i più importanti erano dislocati in Toscana (Volterra) e nell’alto
Lazio (Tolfa). Esso era importante in quanto aveva vari utilizzi: come fissante nell’industria tessile ma anche
come emostatico per impedire l’eccessiva fuoriuscita di sangue quando una persona veniva ferita; infatti,
l’attività principale delle popolazioni europee era rappresentata dalla guerra. Proveniente dall’Asia minore, e
in particolare dal centro urbano di Focea, veniva raffinato a Smirne (città turca che si affaccia sul
Mediterraneo) e in Siria e da qui poi trasportato, grazie ad una sorta di monopolio da parte della Repubblica
di Genova che conquista Focea nel 1275, in Europa occidentale. Con la conquista turca del 1455 di questi
territori, si interrompe il flusso di allume che arriva in Europa occidentale e si riescono fortunatamente a
trovare giacimenti di allume nell’area di Volterra, in particolare a Castelnuovo Val di Cecina e nell’area di
Tolfa nel 1462, garantendo in questo modo la possibilità di continuare ad avere questa importante materia
prima da utilizzare in ambito manifatturiero. Ciò andrà a vantaggio dello sviluppo delle manifatture
lombarde e toscane in particolare.
Terzo fronte di scambi e di traffici che percorrevano le acque del Mediterraneo è rappresentato da materie
prime che provenivano dall’Oriente: il pepe e le spezie arrivavano tramite mercanti arabi che transitavano
dall’Oceano Indiano attraverso il Mar Rosso; da qui, caricate sui cammelli, giungevano al porto di
Alessandria d’Egitto, venivano prese in carico dalle navi veneziane o genovesi e poi trasferite e distribuite in
tutta l’Europa occidentale. Sarà in particolare Venezia a continuare ad avere una parte considerevole nel
controllo di questi traffici; nel 1499 il 60-70% del pepe è ancora controllato da navi veneziane così come il
45% delle spezie.
A nord bisogna distinguere due tipi di itinerari commerciali: terrestri e marittimi. I primi, dalle città
anseatiche del nord della Germania di oggi (termine che deriva da un’associazione di città dedite ai traffici
commerciali che nel Medioevo aveva preso il nome di ‘Hansa’) che avevano stabilito degli itinerari prioritari
con la Pianura Padana attraverso le città di Francoforte e di Augusta. Tramite queste due città transitavano
verso l’Europa meridionale soprattutto l’argento e il rame di cui l’Europa centrale e orientale era
particolarmente ricca; l’altro itinerario era il cosiddetto ‘corridoio lotaringio’, il cui nome richiama un
imperatore discendente da Carlo Magno (Alto Medioevo) al quale era stato devoluto un territorio che andava
dalle Fiandre, attraverso l’Alsazia e la Lorena, fino all’area svizzera. Attraverso questo corridoio, che dalle
coste dello stretto della Manica che divide i Paesi Bassi dall’Inghilterra arrivava alle Alpi per sorpassarle e
implementare i commerci con l’area italiana, transitavano le Iane inglesi. Tramite i porti affacciati sulle due
coste dello stretto della Manica arrivavano in Europa meridionale queste materie prime che poi venivano
lavorate in parte nelle manifatture fiamminghe e in parte in quelle tessili italiane. Esisteva anche un punto di
snodo per quanto riguarda l’ambito finanziario, cioè l’area della Francia nord-orientale, la zona della
Champagne, Lione, la Svizzera e l’Italia settentrionale: erano aree in cui si tenevano importantissime fiere
commerciali e mercantili e dove si concentravano anche importanti istituzioni bancarie.
Tra i secondi, il più importante era quello che transitava attraverso lo stretto di Gibilterra; le navi partivano
dalle coste del Mar Baltico, attraversavano lo stretto del Sund, transitavano dalla Manica andando verso sud
lungo le coste della Francia e della Spagna e poi entravano nel Mediterraneo mediante lo stretto di Gibilterra,
punto focale per il controllo del traffico tra l’Europa del nord e quella del sud.
Un altro importante itinerario di scambi di prodotti fondamentali per la sopravvivenza, ovvero le carni, era
quello che dal nord dell’Europa e dalla penisola balcanica, arrivava alle città tedesche e alle città dell’Europa
meridionale; erano grandi rotte per lo spostamento di mandrie di bovini che garantivano in questo modo
l’approvvigionamento in particolare di carni bovine.

IL COLONIALISMO PORTOGHESE
Il Portogallo è lo stato del continente europeo che si trova più a occidente con la maggior parte delle sue
coste affacciate sull’Oceano Atlantico, quindi dal punto di vista geografico poteva rappresentare lo stato
europeo maggiormente proiettato verso l’avventura in mare aperto. In particolare, esso si specializza
nell’importazione di spezie e di pepe dall’Oriente cercando di scoprire una via alternativa rispetto a quella
rappresentata dal Mar Rosso e dal Mar Mediterraneo, dominata dai mercanti genovesi e veneziani.
Le spezie costituivano un’attrazione fondamentale per gli europei e in particolare per i ceti più elevati della
società in quanto venivano utilizzate per impreziosire il gusto dei cibi (cottura della cacciagione) ma anche
per usi medicinali, i cui prezzi erano molto elevati. La proiezione verso la scoperta di nuovo luoghi e nuovi
punti di approdo commerciali inizia prima della metà del XIV secolo; nel 1341 viene messa in atto una prima
spedizione commerciale con navi che partono da Lisbona e che approdano nelle isole Canarie. Si svilupperà
poi una lunga disputa tra Spagna e Portogallo per il possesso di queste isole; disputa che si risolverà più di un
secolo più tardi con il trattato di Alcáçovas-Toledo del 1479, attribuendole alla corona spagnola la quale le
detiene ancora oggi. Il fatto che le esplorazioni geografiche e i traffici commerciali con proiezione atlantica
del Portogallo siano iniziati a metà del XIV secolo, porta a indebolire la tesi che fu soprattutto il blocco turco
dovuto alla conquista dell’Egitto all’inizio del ‘500 a far sì che i portoghesi venissero spinti a trovare delle
vie alternative per portare le spezie in Europa, in quanto questi tentativi erano iniziati un secolo e mezzo
prima. Le Canarie rappresentano un primo passo che verrà poi implementato quando, a partire dal 1385, si
stabilirà una nuova dinastia, quella degli Aviz, dapprima con il re Giovanni I e soprattutto con l’interesse
che uno dei suoi figli, il principe Enrico detto non a caso ‘il navigatore’, nutrirà nei confronti delle
avventure e dei traffici commerciali, facendosi lui stesso finanziatore di spedizioni commerciali.
Quest’ultime si dirigono per la maggior parte verso il continente africano a partire dal 1415, l’anno in cui i
portoghesi si appropriano della città di Ceuta in Marocco e che rappresenta il primo avamposto portoghese
sul continente africano; da qui poi si susseguiranno una serie di successive appropriazioni di isole e di punti
fortificati sulle coste occidentali in una progressione che porterà i portoghesi dalle aree dell’Africa del nord,
lungo il XV secolo, sempre più verso sud. 5 anni dopo la conquista di Ceuta, essi arriveranno a Madeira nel
1420, conquisteranno le Azzorre 10 anni più tardi nel 1430 fino a doppiare, nel 1434, il Capo Bojador che
darà loro la possibilità di insediare dei punti commerciali nel golfo di Guinea e quindi cominciare ad avere
rapporti sempre più stretti con le tribù africane della parte centrale del continente. Fin dalle prime spedizioni
commerciale, l’interesse principale dei portoghesi era sempre stato quello di acquisire materie prime molto
preziose presenti in grandi quantità quali l’oro e l’avorio; un’altra merce molto appetibile che gli veniva
fornita dai capi delle tribù africane erano gli schiavi. Altro elemento importante è che sia il Portogallo sia la
Spagna successivamente saranno costituiti dall’impianto di piantagioni di canna da zucchero. Il primo
emporio di quella lunga linea di città fortificate che incarna la prima forma di colonialismo portoghese delle
colonie come basi d’appoggio fu quello di Arguin fondato nel 1448 che diventa il primo punto di approdo
ricevendo la denominazione di ‘feitoria’. Ma la prima vera e propria città europea fondata al di fuori
dell’Europa sarà São Jorge da Mina, una città sulle coste africane in particolare nella zona del golfo di
Guinea costruita all’inizio degli anni ’80 del ‘400 il cui nome rivela l’importanza della presenza di miniere
che andavano ad alimentare i commerci.
L’avventura dell’esplorazione del continente africano continuerà anche nei decenni successivi, si rafforzerà
soprattutto nella seconda metà del ‘400 nonostante il principe Enrico il navigatore muoia nel 1460 e risultati
importanti si posizioneranno nell’ambito del regno del re Giovanni II che sale al trono nel 1481 perché,
proprio tra il 1487 e il 1488, una spedizione guidata dal portoghese Bartolomeo Diaz riuscirà a doppiare il
Capo di Buona Speranza. Servirà ancora un decennio, fino al 1498 con la spedizione di Vasco Da Gama, per
fare arrivare dalle coste orientali del continente africano fino al subcontinente asiatico e indiano, con l’arrivo
presso la città di Calicut in India. Non sarà quest’ultima a rappresentare un punto di snodo importante per i
traffici commerciali portoghesi ma sarà una città posta più a sud, quella di Cochin che si trova nell’attuale
regione dell’India denominata Kerala. In questo modo i portoghesi riescono a istaurare un contatto diretto
con le aree di approvvigionamento di pepe e spezie e ad aggirare definitivamente la preminenza che le
potenze delle repubbliche marinare italiane avevano acquisito nel corso del Medioevo per gli scambi di
questi prodotti.
Altri rivali con cui i portoghesi dovevano confrontarsi all’interno dell’Oceano Indiano erano i mercanti arabi
di fede musulmana; si verificheranno infatti numerosi scontri anche molto violenti ma il Portogallo riuscirà
comunque a rafforzare e stabilire definitivamente un proprio impero coloniale in Asia a partire dall’India per
poi arrivare a toccare l’isola di Ceylon, nella parte estrema meridionale del subcontinente indiano da dove
comincerà ad affluire un’altra spezia, la cannella. All’inizio del ‘500 si istaureranno punti fortificati
commerciali nella Malacca, penisola malese, e arrivare a stabilire una città commerciale in Cina, ovvero
Macao e, a partire dalla metà del ‘500, a istaurare rapporti commerciali anche con l’Impero giapponese dove
il porto principale di riferimento è rappresentato dalla città di Nagasaki. Quella che prenderà il nome di
‘Carreira da India’ sarà una via commerciale che, accanto alle spezie e al pepe, sarà sempre di più
implementata dallo scambio di tessuti preziosi, quali seta, lacche e porcellane, tutti quei prodotti che in
Europa occidentale erano richiestissimi e per i quali i ceti più facoltosi erano disposti a sborsare somme
considerevoli. Un’ulteriore acquisizione dell’impero coloniale portoghese è quella che avviene nel 1500 con
una spedizione guidata da Cabral la quale, a causa di un errore nei calcoli di navigazione, arriverà per caso a
toccare le coste dell’America meridionale e in particolare dell’attuale Brasile. Inizialmente verrà chiamata
Terra della Vera Cruz, poi della Santa Cruz e che acquisisca il nome odierno di Brasile grazie a un liquido di
colore rosso che viene estratto da un legno chiamato ‘pau brasil’ e che verrà utilizzato all’interno delle
manifatture tessili europee. La caratteristica principale dell’avventura coloniale portoghese è quella di essere
una conquista talassocratica, cioè i portoghesi sono interessati ad acquisire un controllo delle rotte marittime
e non ampie fette di territori. Secondo aspetto importante è caratterizzato da un monopolio della corona e
dell’aristocrazia, è quindi un colonialismo ancora pervaso da forti componenti feudali; terzo elemento è un
colonialismo caratterizzato da una scarsa accumulazione monetaria perché le spedizioni sono finanziate in
proprio soprattutto dalla corona; quarto elemento è la forte partecipazione di mercanti e banchieri stranieri
che apportano le loro conoscenze e competenze affiancandosi a quelli portoghesi. Nonostante questa forte
spinta di traffici commerciali, Venezia per tutto il ‘500 continuerà ad avere ancora un peso forte nella
commercializzazione di pepe e di spezie e, insieme alla città di Marsiglia, continuerà a controllare per tutto il
XVI secolo un quarto delle importazioni di questi prodotti. Sarà però un’altra città a diventare il punto focale
dei traffici commerciali europei che si trova nella parte nord-ovest dell’Europa, attualmente in Belgio, cioè
Anversa che diventa il vero importante centro di redistribuzione delle spezie portoghesi che arrivavano
dall’Oriente tanto che nel 1509 essi decidono di aprire lì una loro succursale chiamata ‘feitoria de Flanders’
e il denaro acquisito con la commercializzazione servirà per l’acquisizione del rame proveniente dalla
Boemia o l’argento proveniente dalle miniere del Tirolo in Austria. Anversa sostituirà quindi
progressivamente i grandi empori dell’area meridionale dell’Europa, in particolare quella mediterranea.
Ultimo aspetto importante è che il colonialismo portoghese sarà costretto a confrontarsi con vari rivali a
partire dalla Spagna per arrivare poi all’Olanda e all’Inghilterra che sottrarranno buona parte dei centri
commerciali al Portogallo soprattutto in area asiatica e africana tanto che, dalla metà del ‘500 in avanti, sarà
il Brasile a diventare la colonia più importante all’interno del Portogallo grazie, oltre alle piantagioni di
canna da zucchero, alla scoperta di giacimenti di oro e metalli preziosi che faranno sì che si strutturi sempre
di più la presenza coloniale e commerciale del regno del Portogallo.

IL COLONIALISMO SPAGNOLO
 LE CIVILTÀ PRE-COLOMBIANE. PREMESSA
La Spagna dell’epoca non era un regno compatto e coeso come il Portogallo; già a partire dall’XI secolo
degli spagnoli avevano intrapreso una lotta di riacquisizione di territori che erano stati sottratti loro dagli
arabi a partire dall’inizio dell’VIII secolo d.C. quando in Spagna era presente la dominazione dei Visigoti. Fu
un percorso lungo che durò quattro secoli il cui atto finale fu rappresentato nel 1492, anno della scoperta
dell’America da parte di Cristoforo Colombo, dalla conquista e dalla sottomissione definitiva di
quell’estrema propaggine di territorio ancora musulmano rappresentato dal regno di Granada; questa
operazione militare venne messa in atto dai sovrani dei due più importanti regni che costituivano la parte più
consistente della penisola iberica: Castiglia e Aragona. A capo del primo vi era la regina Isabella, a capo del
secondo il re Ferdinando; questi due sovrani si erano uniti in matrimonio nel 1469 e dieci anni più tardi, nel
1479, avevano deciso di unire le loro due corone ma non i loro due stati, i quali continuarono anche
successivamente ad essere gestiti in maniera separata tra di loro. Il regno di Aragona era a sua volta diviso in
sotto entità molto differenti fra loro e che tenevano in maniera particolare al riconoscimento di una sorta di
semi-indipendenza: accanto al regno di Aragona si affiancavano la contea di Barcellona e il regno di
Valencia.
Sotto le mura di Granada giunge nel gennaio del 1492 Cristoforo Colombo, probabilmente di origini
genovesi, che riesce a convincere la regina Isabella di Castiglia a finanziare una spedizione avventurosa che
l’avrebbe portato a raggiungere l’Estremo Oriente dirigendosi però verso occidente. Isabella decide di
finanziarlo e così la spedizione partirà dalle coste meridionali della Spagna e giungerà il 12 ottobre del 1492
ad avvistare una delle isole dell’arcipelago delle Bahamas, probabilmente San Salvador, e da qui a toccare
anche altre isole dei Caraibi fino ad arrivare alle coste del continente americano e in particolare del Messico
di oggi. È un momento di svolta epocale anche nei rapporti tra Spagna e Portogallo tanto che dovrà
intervenire il papa dell’epoca, papa Alessandro VI di origini spagnole, in particolare di Valencia,
appartenente alla famiglia aristocratica dei Borgia, il suo nome era infatti Rodrigo Borgia, per cercare di
porre pace tra le due potenze. Con una serie di bolle emanate nel corso del 1493, Alessandro VI deciderà di
tracciare una linea che in spagnolo prende il nome di ‘Raja’, la quale verrà posizionata cento leghe a ovest e
a sud delle Azzorre e di Capo Verde (lega= miglio marittimo) e che viene tracciata per favorire i regni
spagnoli. Tuttavia, il Portogallo con sarà d’accordo con questa demarcazione e un anno più tardi, nel 1494, si
arriverà alla sottoscrizione del ‘trattato di Tordesillas’ che sposterà la Raja di 270 leghe ulteriormente più a
ovest, arrivando a misurare 370 leghe in totale. Nel momento in cui questo trattato viene sottoscritto, questa
ulteriore estensione non rappresenterà un problema per la Spagna; il problema si pone quando nel 1500
Cabral approderà sul Brasile. Da quel momento in poi questo territorio rientrerà all’interno dei possedimenti
spettanti al Portogallo e la Spagna si troverà a dover accettare questa situazione ed è anche il motivo per cui
il Brasile è l’unica area dell’America meridionale dove ancora si parla il portoghese.
Vi erano delle assenze che vengono subito evidenziate dagli europei quali l’assenza di animali domestici, del
cavallo, della ruota e di siderurgia, cioè la capacità di lavorare e modellare il metallo. D’altra parte vengono
notate delle caratteristiche che depongono per l’accentuazione di una sorta di mostruosità, le quali avevano a
che fare con pratiche di queste popolazioni che agli occhi degli europei venivano considerate primitive
inferiori: la pratica del cannibalismo e quella dei sacrifici umani così come veniva osservata anche la
particolare bellicosità di queste popolazioni. Un terzo aspetto è la straordinaria ricchezza di questi territori,
sia in termini di prodotti agricoli che di metalli preziosi quali l’oro e soprattutto l’argento; allo stesso tempo
viene sottolineata anche la grande creatività di queste popolazioni native, abbinata però alla scarsa
innovazione tecnologica.
Le fonti scritte locali di queste popolazioni sono limitate solo all’America centrale con una predominanza
della civiltà dei Maya, mentre nell’America meridionale gli Inca per esempio non conoscevano neppure la
scrittura, la maggior parte delle quali vennero distrutte dagli spagnoli durante i famosi ‘auto da fé’ che
venivano organizzati per cancellare il passato di queste popolazioni come se dal fuoco potesse nascere una
nuova civiltà fortemente condizionata dall’elemento europeo e dalla religione cristiana. Sopravvivono solo
20 codici di età pre-colombiana in tutto il continente dell’America centrale e meridionale; quindi si interroga
il passato di queste aree con altri strumenti, soprattutto quelli dell’archeologia. Accanto alla scarsità di fonti
scritte locali c’è però una letteratura piuttosto copiosa di cronache contemporanee e successive di spagnoli e
di meticci di sangue misti che rappresentano un buon punto di riferimento per la ricostruzione di queste aree,
depurate dalle interpretazioni degli autori. Terzo elemento è l’opera dei filosofi, degli storici, dei teologi e dei
letterati europei, però molto meno attendibili.
Gli imperi dell’America centrale hanno un loro sistema di scrittura geroglifico, fatto quindi per immagini e
pittogrammi; quello degli Inca invece è un impero senza scrittura. Interessi particolari dei Maya e degli
Aztechi erano indirizzati verso la matematica, l’astronomia e l’astrologia. Il terzo elemento è costituito dalla
presenza di consistenti e importanti centri urbani che venivano alimentati dal contado circostante, i quali per
garantire la sopravvivenza delle proprie popolazioni vi stabilivano un forte controllo. L’America centrale è la
parte che inizialmente entrò in contatto più diretto con i conquistadores spagnoli; il primo che dalle isole dei
Carabi approda senza autorizzazione sulle sponde dell’America centrale ed entra in diretto contatto con la
civiltà azteca fu Hernán Cortés nel 1519, passa quindi circa un trentennio dalla spedizione di Colombo alla
sottomissione e allo sfaldamento del primo grande impero dell’America centrale, quello azteco.
Gli Inca sono una popolazione che ha saputo, proprio per le condizioni ostiche del territorio in cui si è
trovata a vivere, organizzare il settore agricolo in maniera molto oculata cercando di sfruttare al massimo le
sue potenzialità, ad esempio tramite l’organizzazione di terrazzamenti: il Perù infatti si trova sulla
Cordigliera delle Ande con rilievi montuosi molto elevati dove l’agricoltura è possibile solo se si riesce a
organizzare il territorio in questo modo. Un altro ambito nel quale gli Inca diedero prova di essere provetti fu
quello delle grandi opere: il tracciamento di strade e la costruzione di ponti e acquedotti; tutto questo a fronte
di una distribuzione della popolazione molto più sparpagliata rispetto all’Impero azteco, non tanto con grandi
centri come Tenochtitlán, odierna Città del Messico e capitale dell’Impero azteco, quanto con piccoli villaggi
sparsi sul territorio che però garantivano un maggiore controllo su quest’ultimo, molto complicato e molto
ostico.

 AZTECHI E INCA
In America meridionale Pizarro e Almagro nel 1534-35 approdano ed esplorano la parte continentale del
vasto continente americano. Quest’ultimo da migliaia di anni era popolato da popolazioni provenienti
dall’Asia che aveva attraversato quel corto tratto di mare mediante lo stato che si trova più a nord, l’Alaska.
Esse poi si sono trasferite sempre più a sud popolando dapprima l’America settentrionale, poi quella centrale
e infine quella meridionale. Prima degli aztechi, provenienti dall’America settentrionale, in quella centrale
esistevano delle civiltà organizzate teocraticamente, cioè i sovrani avevano sia un potere temporale che
religioso. Si erano sviluppate quindi civiltà superiori minacciate però dai barbari bellicosi che provenivano
dal nord, tra i quali anche gli aztechi. A partire dal X-XI secolo in poi era stata sviluppata in queste aree
un’agricoltura intensiva, basata sulla coltivazione di uno dei prodotti che il Nuovo Mondo donerà al Vecchio
e all’Europa: il mais. Ciò aveva come conseguenza il fatto di poter alimentare numeri consistenti di persone
che si organizzano e si riuniscono intorno ai centri urbani, favorendo ulteriormente la crescita demografica.
Erano anche popolazioni che si spostavano frequentemente da un territorio all’altro; una delle motivazioni
era dovuta a un fenomeno tipico di molte civiltà, vale a dire i pellegrinaggi che facevano spostare masse di
persone verso luoghi identificati per la loro importanza dal punto di vista spirituale e religioso. Le
popolazioni di questi luoghi erano dedite soprattutto al politeismo, quindi avevano un pantheon di dei che
spesso avevano ognuno un proprio santuario; nel momento in cui al politeismo si sostituì il cristianesimo in
Europa e nell’area mediterranea, anche in queste località l’arrivo degli spagnoli non fece altro che
sovrapporre ai santuari luoghi di culto dedicati alla divinità cristiana e soprattutto alla figura della Vergine.
Una delle più famose madonne che vengono ancora oggi venerate in ambito messicano è la Vergine di
Guadalupe, la quale ha origine in luoghi dove prima si posizionavano santuari dedicati alle divinità azteche.
Intorno al XIV secolo, i barbari che premevano sulle frontiere settentrionali dell’America centrale invadono
questi territori: sono gli aztechi. Queste civiltà teocratiche guardavano altre civiltà che per secoli erano state
tenute ai margini e che ad un certo punto riescono a sopraffarli. Anche prime dell’arrivo degli aztechi altre
popolazioni si erano spostate da nord verso sud, come gli ‘olmechi’ e i ‘toltechi’; all’arrivo degli aztechi
anche queste popolazioni vengono sottomesse e conquistate tanto che alcune di queste si metteranno al
servizio degli spagnoli e lo faranno proprio perché capiscono che potrebbe essere per loro la possibilità di
scalzare la dominazione azteca che mal digerivano. Il loro arrivo porta però un rapido incivilimento ma
anche la necessità di riscrivere la storia precedente individuando sé stessa come l’elemento atteso con il
sostegno della divinità per rinvigorire delle civiltà che loro ritenevano che dovessero essere sottomesse e
addomesticate. Si sviluppano odi molto forti aggravati dal fatto che gli aztechi portano alcune caratteristiche
della loro civiltà che non vengono completamente accettate dalle popolazioni sottomesse, tra cui quella dei
sacrifici umani. Nel momento in cui Cortés con il suo piccolo gruppo di uomini entra in contatto con la
civiltà azteca si trova a confrontarsi con il sovrano Moctezuma II che stava attuando un tentativo di
irrigidimento assolutistico del potere nelle proprie mani; egli cerca anche di attuare una dinamica che arrivi a
sostituire, nell’accesso alle cariche pubbliche, il privilegio di nascita rispetto al merito. Questa potrebbe
essere una delle motivazioni di spiegazione del crollo repentino della civiltà azteca che in termini anche
numerici era molto più consistente rispetto alle poche centinaia di spagnoli; un’altra delle motivazioni deriva
dalla personalità di Moctezuma che è stato ritenuto un sovrano troppo debole soprattutto nei confronti di
realtà che lui non conosceva e che sulla base di antiche tradizioni e di presagi ad un certo punto sarebbero
arrivati degli dei che avrebbero posto fine alla civiltà azteca. Essi vengono velocemente identificati negli
spagnoli anche se buona parte della popolazione poi si ricrede e si pensa che insieme ad altri fattori anche
questo atteggiamento di accettazione di un qualcosa di inevitabile abbia fatto sì che gli aztechi si siano fatti
trovare completamente impreparati al contatto con i conquistadores spagnoli.
In Perù la civiltà Inca si installa sulla Cordigliera delle Ande intorno al XIII secolo; la situazione di queste
aree era molto più complicata con una forte distinzione tra civiltà montane e civiltà costiere tra le quali però
vi era una certa compenetrazione. Sono la guerra e i pellegrinaggi ai luoghi di culto delle divinità a favorire
gli incontri, non tanto lo sviluppo dei commerci; quello che è stato possibile stabilire grazie agli studi
archeologici è un’introduzione precoce in queste aree dell’agricoltura, il 7000 a.C. per le aree costiere più
pianeggianti e il 2500 a.C. sugli altipiani. Si erano create delle civiltà in cui dominava il lignaggio patri-
lineare, cioè discendenza da padre in figlio con la coltivazione comune della terra all’interno dei villaggi
agricoli. All’agricoltura queste popolazioni integravano anche la pesca della sopravvivenza; erano anche aree
in cui era stata costituita una buona rete di irrigazione che favoriva l’unificazione politica insieme ad
un’ottima rete stradale. Non esisteva la ruota bensì un ottimo sistema di scambio di uomini e di informazioni
tra un punto e l’altro di una determinata area, in quanto erano stati creati dei messaggeri veloci chiamati
‘chasqui’ che operavano tramite un sistema di staffetta, i quali si esercitavo fin da giovani scambiando
velocemente e su un territorio ostico gli ordini e le informazioni degli apparati di potere. Per preservare la
purezza di sangue, fin da subito gli Inca sanciscono le nozze tra fratello e sorella e decidono anche di
dividere l’Impero in 3 grandi parti: una di pertinenza e proprietà dello Stato, una per i servizi di religione e
un’altra destinata al lavoro dei contadini e alla proprietà contadina. Si tratta di una conquista militare ma
anche diplomatica in quanto gli Inca decidono di lasciare al loro posto le classi dirigenti locali in modo da
garantirsene la fedeltà e solo in caso di rivolta attuare massicci spostamenti di popolazione con un
rimescolamento di differenti civiltà che oggi rende particolarmente complicata in quelle zone la ricerca
archeologica. Gli Inca portano anche, dal punto di vista dei culti religiosi, quello del sole procedendo però
alla soppressione delle religioni locali affinché ciò diventi un elemento unificante del territorio posto sotto il
loro controllo. Molto di più rispetto agli aztechi, gli inca oppongono una forte resistenza alla penetrazione e
alla dominazione dei conquistadores spagnoli; la conquista dell’America meridionale è molto più complicata
rispetto a quella centrale.
Un ultimo imperatore inca sarà Túpac Amaru, il quale si ribellerà ancora per decenni agli spagnoli fino a
quando non verrà definitivamente catturato e giustiziato nel 1572 ma in realtà queste popolazioni continuano
a rimanere in uno stato di agitazione molto a lungo; ancora nella seconda metà del ‘700 ci fu una rivolta di
un personaggio che si considerava discendente dell’ultimo imperatore inca, tanto che si fece chiamare Túpac
Amaru II, sedata solo con la sua morte tra il 1780 e il 1781.

 VICE-REAMI E ORGANIZZAZIONE DEL TERRITORIO


I conquistadores spagnoli provenivano soprattutto dalla piccola nobiltà della Spagna metropolitana, giovani
uomini in cerca di fortuna che non erano riusciti ad acquisire nella loro terra di origine. Venivano identificati
con il termine spagnolo di ‘hidalgos’, che significa ‘hijo de algo’, cioè figlio di qualcuno in contrapposizione
ai poveri, figli di nessuno. Si tratta di poche centinaia di persone che però riescono ad avere ragione di civiltà
strutturate e soprattutto di una popolazione che ammontava a milioni di unità (20-25 milioni). Il dato che
tragicamente colpisce è che di queste ne sopravvissero solo poche, 2-3 milioni; la motivazione non fu
soltanto la guerra ma anche i suicidi da una parte e le epidemie dall’altra. Ci furono scambi di elementi
patogeni (batteri, virus) per i quali i corpi degli indigeni americani erano assolutamente impreparati e che
proprio il contatto con essi provocò la morte di milioni di persone. Si pensa che la sifilide, che fa la sua
comparsa in Europa alla fine del ‘400, sia stata introdotta dagli spagnoli che, tornati dal Nuovo Mondo,
l’avevano contratta nelle Americhe. A livello macro, la Spagna organizza i territori in vice-reami, cioè entità
politiche autonome unite alla Spagna metropolitana dalla fedeltà ad un’unica corona; tutte le terre sottomesse
dai conquistadores sono possedimenti personali del re di Spagna, tanto che vengono chiamati ‘ estos reinos’
mentre quelli coloniali in America centrale e meridionali ‘esos reinos’. Essi vengono attribuiti a dei vice-re
che sono diretta emanazione del re di Spagna. Il primo di questi viene creato nel 1535 nell’area dell’America
centrale e prende il nome di ‘nuova Spagna’, dal luogo di origine dei conquistadores e il primo vice-re sarà
Antonio de Mendoza che rappresenta direttamente il sovrano, ovvero Carlo V. il secondo, che viene
costituito dopo la conquista dell’Impero degli Incas, è quello del Perù al quale viene data vita 7 anni dopo,
nel 1542, e che si situa nella parte meridionale del continente americano. Le capitali di questi due vice-reami
sono Città del Messico, la quale continua ad essere un grande centro urbano e Lima, fondata nel 1544
direttamente sulla costa. Sono delle vere e proprie metropoli che portano un elemento tipico della civiltà
europea: quello della formazione di grandi centri urbani. Ci saranno altri due vice-reami che si costituiranno
molto tempo dopo in America meridionale: quello della ‘nuova Granada’ nel 1717 e nella parte meridionale,
tra Brasile, Argentina e Chile, quello del ‘Río de la Plata’, creato nel 1776; la loro creazione nel ‘700 era
giustificata dal fatto che fosse necessario tenere sotto controllo queste aree vastissime e spesso poco abitate
dell’America meridionale.
Altro importante elemento è il fatto che la creazione di quello che prende il nome di ‘ señorio real’, cioè la
‘signoria reale’, il fatto che il sovrano sia il diretto proprietario di tutti i possedimenti acquisiti è anche
dovuto al fatto che il re di Spagna vuole evitare nel Nuovo Mondo quegli elementi di limitazione al suo
potere, ovvero la formazione di signorie feudali e dunque un ceto aristocratico che limiti il suo potere e vuole
anche limitare i poteri dei consigli municipali che in Spagna erano rappresentati all’interno delle Cortes e che
spesso si contrapponevano alla volontà del sovrano. Terzo fattore è il fatto che, sulla basa di una decisione
della regina Isabella di Castiglia, si sancisce che tutti gli indigeni americani siano considerati liberi sudditi
della corona castigliana purché si convertano al cristianesimo; questa fu la ragione dei battesimi di massa.
L’elemento schiavistico pertiene solo all’importazione di schiavi neri dall’Africa ma non è possibile rendere
schiavo, dal punto di vista formale, un indigeno americano che abbia deciso di convertirsi alla religione
cristiana. Vengono creati dei ‘repartimientos’, cioè contingenti di indigeni obbligati a lavorare all’interno di
aziende agricole che prendono il nome di ‘encomiendas’. L’encomienda è la cellula base della
colonizzazione spagnola.
Il filo rosso che i conquistadores seguono è quello di ripopolare questi territori con l’insediamento di coloni
cristiani e la costituzione di una repubblica cristiana che sottomettesse i mori, cioè i nemici islamici. Nel
Nuovo Mondo vi era in più la partecipazione attiva degli indigeni a cui si cerca di insegnare il lavoro, la
religione e la cultura europee occidentali. Uno degli elementi tipici di appropriazione del territorio è la
fondazione di nuove città mediante un rito che si ripete continuamente: il conquistador arriva in una
determinata area dell’America, il capitano che prende il nome di ‘adelantado’, cioè colui che va avanti
colpisce 5 volte l’albero di giustizia del re prendendo a caso un albero che si trova davanti, i soldati che sono
al suo seguito scaricano gli archibugi e vi è anche un notaio che scrive un atto di appropriazione di quel
territorio per nome e per conto del re di Spagna. Ciò avvenne fin dalla prima spedizione di Cristoforo
Colombo; si costituisce a quel punto un consiglio municipale che prende il nome di ‘cabildo’ del quale fanno
parte due magistrati ordinari, chiamati ‘alcaldes ordinarios’ e un ‘regimiento’ formato da 4 a 8 persone, cioè
il sindaco e la giunta municipale di oggi. I cittadini che prendono il nome di ‘vecinos’ diventano tali
iscrivendosi al libro del cabildo, una sorta di anagrafe così come i parrocchiani si iscrivono nel registro della
parrocchia, fondata insieme all’amministrazione comunale. I vecinos ricevono repartimientos di terre e di
indigeni che lavorino queste terre, dette ‘mita’, che però possono sempre ritornare al sovrano.
L’encomienda rappresenta in sostanza il vero e proprio passaggio dalla fase della conquista alla fase della
colonizzazione; il sovrano teoricamnete dovrebbe poter tornare in possesso della terra alla morte
dell’encomendero, colui che la fa funzionare. Essi cercano di aggirare quest’imposizione affiliandosi a
fondazioni religiose (grandi monasteri e conventi) che hanno la loro sede nella Spagna metropolitana oppure
alle grandi famiglie aristocratiche spagnole, le quali diventano delle sorte di patroni che cercano di tutelare e
difendere gli encomenderos dall’eccessiva invasività dei funzionari regi, riuscendo in questo modo a far sì
che la terra si possa trasferire mediante trasmissione ereditaria da padre in figlio, senza che venga di nuovo
incamerata dal sovrano per distribuirla al figlio, nel caso il padre si fosse comportato fedelmente nei
confronti della corona, oppure ad un nuovo encomendero, con tutti i disagi e rischi che questo poteva
comportare compresa la ribellione del figlio dell’encomendero che si vedeva sottratto un bene di cui il padre
e la sua famiglia avevano goduto fino a quel momento.

 ORGANIZZAZIONE STATUALE E MINIERE D’ARGENTO


Il governo spagnolo inventa una nuova modalità rappresentata dalla creazione dei cosiddetti ‘corregimientos
de indios’, gli indios rimasti sotto la diretta giurisdizione del sovrano vengono riuniti in comunità a capo
delle quali vengono messi dei cabildos indigeni, in modo che gli indios si sentano maggiormente a loro agio
dal fatto di ricevere ordini da persone che appartengono alla loro stessa etnia. Al di sopra di questa rete di
comunità viene messo un funzionario pubblico, rappresentante del sovrano che prende il nome di
‘corregidor’. I corregidores di solito vengono scelti all’interno della burocrazia regia e per la maggior parte
dei casi sono dei sudditi fedeli e meritevoli sui quali il sovrano può fare totale affidamento. Essi
costituiscono una risposta alle limitazioni al potere del sovrano perché, alla morte dell’encomendero, il
corregidor essendo lì sul posto ha la possibilità di intervenire con confische o l’incameramento delle terre
dell’encomienda all’interno dei corregimientos; lo scopo finale è far sì che vengano sottratte sempre più terre
agli encomenderos, le quali poi vengano a far parte dei corregimientos, direttamente dipendenti dalla corona.
È un processo che non riuscirà ad avere un’azione sufficientemente pervasiva anche per il fatto che si tratta
di controllare dei territori molto vasti.
In questi vice-reami vengono impiantate delle istituzioni molto simili a quelle che governano il territorio
della Spagna metropolitana, quindi vengono previsti dei funzionari del tesoro, inviati per amministrare in
maniera oculata il cosiddetto ‘quinto’, cioè la quinta parte di ciascun reddito che deve essere
obbligatoriamente devoluta al sovrano. Dapprima questi funzionari vengono inviati per sincerarsi che il
quinto venga effettivamente corrisposto da parte dei sudditi del re di Spagna e poi però diventeranno dei
funzionari permanenti che andranno a costituire una sorta di Ministero delle Finanze in loco per la gestione
del patrimonio del sovrano. Immediatamente al di sotto del vice-re vi sono dei governatori per le province
che compongono il vice-reame, mentre per l’amministrazione della giustizia vengono creati dei tribunali
chiamati ‘audiencias’, il corrispettivo delle ‘cancillerias’ castigliane, cioè dei tribunali di appello dei
magistrati. I magistrati investigativi avevano un compito ben preciso, quello di andare ad analizzare, alla
scadenza del mandato di ciascun funzionario pubblico, il suo operato, quindi capire se ha operato
correttamente nell’interesse del sovrano oppure se vi è stata sottrazione di denaro pubblico indebitamente
intascato dai funzionari statali. Essi controllano l’operato degli adelantados all’interno delle singole comunità
così come quello dei governatori e dello stesso vice-re. La tattica escogitata in caso di appropriazioni
indebite di denaro pubblico è il fatto che agli amministratori pubblici non viene pagato l’ultimo semestre del
loro stipendio.
Un’importante novità è la fondazione di nuove città, alcune sono città portuali in quanto gli scambi tra
vecchio e nuovo mondo avvengono necessariamente via mare e altre invece fortezze, quelli che vengono
chiamati i centri cosiddetti ‘pretoriani’, termino preso a prestito dall’antichità romana. Accanto a ciò vi sono
anche centri minerari che diventano città di consistenza cospicua; la più importante di queste è Potosí in
Bolivia, una città che si crea dal nulla intorno alla scoperta di giacimenti di metalli preziosi, in particolare
l’argento, che arriva ad avere perfino 200.000 abitanti; comincerà a declinare solo a partire dal XVIII secolo.
Allo stesso tempo però vi era una scarsa presenza di persone provenienti dalla Spagna metropolitana: durante
il primo secolo l’uomo europeo è ancora molto raro in America (solo 125.000 uomini bianchi) a fronte di
indigeni locali che rappresentano ancora qualche milione di persone, i quali vengono però completamente
sottomessi e ai quali si aggiungeranno gli schiavi africani. Rari furono sia i conquistatori che i conquistati,
decimati dalle malattie.
La prima cosa che Colombo, Cortés, Pizarro, Almagro e tutti gli altri hidalgos cercano e di cui chiedono nel
momento in cui vengono a contatto con queste civiltà sconosciute è il metallo prezioso per eccellenza per un
europeo, cioè l’oro; se esso era considerato il simbolo della ricchezza in Europa, da parte degli indigeni
americani era considerato di pochissimo valore. L’oro che i conquistadores spagnoli riescono a recuperare
sottraendolo alle popolazioni locali si esaurisce molto velocemente e altrettanto velocemente viene sostituito
dall’argento di cui vengono scoperti enormi giacimenti minerari sia in Mesoamerica che nell’America
meridionale. Nel 1545 vengono scoperti i giacimenti argentei della città di Potosí e l’anno dopo, nel 1546,
quelli della città di Zacatecas in Messico; intoro a questi due importanti giacimenti si sviluppano due grandi
città. Oltre ad essi, viene scoperta anche una tecnica dovuta all’utilizzo del mercurio che fa sì che l’argento
estratto da queste miniere riesce ad essere raffinato e purificato dalle scorie che lo compongono e quindi ad
assumere un valore molto maggiore. Sarà proprio l’argento che riempirà i galeoni spagnoli che dal Nuovo
Mondo torneranno in Europa, sottoposti al pericolo costituito dalle azioni di pirateria dei corsari. In questo
modo la corona spagnola ha la possibilità di far fronte alle richieste finanziarie dovute all’amministrazione
dello Stato e ai numerosi conflitti con le altre potenze europee e l’Impero ottomano; questo però a fronte di
una sorta di inaridimento delle fonti dell’economia locale spagnola, come le manifatture locali che vengono
ad annichilirsi. La Spagna utilizza quindi questo metallo prezioso per pagare tutti i prestiti e gli anticipi che
riceve dai banchieri italiani e che utilizza per pagare anche i debiti contratti nei confronti degli altri stati. Sarà
la città di Siviglia, posta nella parte meridionale della penisola iberica, a rappresentare lo snodo
fondamentale di partenza e di arrivo delle navi spagnole in relazione con l’Impero coloniale. Qui, nel 1503,
viene creata la ‘casa de contratación’, l’istituto regio deputato a controllare tutto lo smercio e i traffici
commerciali di andata e di ritorno dal Nuovo Mondo in collegamento con la città di Anversa che tra l’altro è
entrata a far parte dei possedimenti spagnoli.
DEMOGRAFIA, COMUNITÀ DI VILLAGGIO E FAMIGLIA IN ETÀ MODERNA
Tra la fine del Medioevo e per tutta l’età moderna si assiste al progredire demografico della popolazione
europea; le popolazioni di questo periodo erano abituate ad affrontare momenti di grande calamità e
difficoltà, a costo di perdite molto consistenti di vite umane dalle quali si è comunque usciti. Nel 1600 la
distribuzione della popolazione in Europa era molto differente rispetto a quella di oggi: essa era molto più
dispersa sul suolo dei differenti Stati europei e molto poco concentrata nei centri urbani, di dimensione molto
ridotte, tanto che solo il 5% della popolazione europea, all’inizio del XVII secolo, viveva in un centinaio di
oggi con più di 20.000 abitanti, fino all’estremo di grandi città come poteva essere Napoli con 400.000
abitanti piuttosto che Venezia con 150/200.000 abitanti. Città molto popolose come Parigi e Londra, in
questo periodo erano molto meno popolate. Un 20% della popolazione europea era distribuita in medi-piccoli
centri di campagna e il restante 75% viveva invece disperso in piccolissimi villaggi o agglomerati di poche
case che punteggiavano l’ambiente rurale. La cellula base della distribuzione della popolazione sul territorio
per i 2/3 era costituita dalle comunità di villaggio che potevano essere identificate con la parrocchia; non
sempre esse coincidevano con un unico villaggio ma molto spesso potevano comprendere più villaggi legati
tra di loro per scambi di differente tipologia con i centri vicini: potevano essere scambi di merci oppure di
uomini attraverso la conclusione di matrimoni endogamici, cioè al di fuori del proprio ristretto ambito
comunitario. Dunque, una comunità in epoca moderna si definisce non tanto per l’appartenenza ad un
singolo villaggio quanto piuttosto per aree più o meno vaste omogenee tra di loro sulla base di altri fattori,
quali ad esempio l’uguaglianza delle coltivazioni che può essere la preminenza della coltura cerealicola
oppure la diffusione della coltura della vite. Un secondo elemento è rappresentato dalle caratteristiche del
suolo, arido o umido, con differenti possibilità di sfruttamento e del clima, siccitoso, piovoso, rigido o
temperato. Altro elemento di omogeneizzazione è dato dalla somiglianza delle attività lavorative, per cui vi
sono alcuni distretti in cui ci si concentra su alcune attività manifatturiere (seta o ferro); infine, la possibilità
di parlare una medesima lingua o comunque una lingua con tratti molto comuni che favoriscono la
comprensione tra le persone.
All’interno di ogni singolo villaggio vi è una sotto cellula base, rappresentata dai nuclei familiari, cioè le
unità base del villaggio medesimo i cui capi famiglia si aggregano in un’assemblea, chiamata appunto ‘dei
capifamiglia’, in cui si riuniscono in particolare coloro che erano proprietari di beni, ovvero di terre. Il
villaggio non era composto solo da possidenti ma vi erano anche famiglie che non avevano alcun bene
oppure erano emarginati ai limiti della sussistenza. Per questi, come per tutti, nel corso del Medioevo, i
villaggi hanno previsto la possibilità di sfruttamento dei cosiddetti beni comuni di proprietà della comunità,
dove per esempio coltivare piccoli appezzamenti di terra per piccole produzioni che servono solo per
garantire la sussistenza di sé stessi e delle proprie famiglie oppure l’uso comune di boschi e foreste dove
poter andare a tagliare la legna per potersi rifornire per l’inverno e avere la possibilità di stare al caldo e di
avere un pasto caldo. Questi beni comuni verranno sempre più alienati dalle comunità di villaggio per
pagare, da una parte le imposte sia nei confronti del signorotto locale che dei funzionari del sovrano che
passavano periodicamente a riscuoterle, dall’altra i debiti che esse erano costrette a contrarre per far fronte
alle loro necessità e alle imposte che non riuscivano a pagare per mancanza di fondi. Chi si approfitta di
questa situazione sono i contadini più facoltosi del luogo oppure le famiglie borghesi e nobiliari che
acquistano questi beni comuni, se ne appropriano, li contornano di recinzioni e li sottraggono all’uso da parte
delle comunità di villaggio ma soprattutto alla parte più debole di queste, le quali si vedono gettate nella
miseria più nera. Questo provoca un progressivo declino del ‘benessere’ all’interno dei villaggi ma anche
della loro autonomia e la perdita di importanza e incisività dell’assemblea dei capifamiglia. Uno dei paesi in
cui questo fenomeno di progressiva recinzione e privatizzazione delle terre dilaga è l’Inghilterra, dove
prende il nome di ‘enclosures’.
Le persone nutrivano un senso di appartenenza maggiore per il proprio villaggio o distretto piuttosto che per
lo Stato in generale, visto come qualcosa di lontano che spesso faceva sì che alcune aree venissero trasferite
da una compagine statuale ad un’altra sulla base di trattative che passavano ben al di sopra delle persone che
abitavano queste determinate aree. Il concetto di patria in epoca moderna è quindi legato alla comunità di
villaggio e non alla fedeltà nei confronti dello Stato, considerato un’entità astratta; un elemento di coagulo
era rappresentato piuttosto dal sovrano e dalla corona.

LA DEMOGRAFIA STORICA IN EUROPA TRA XV E XVIII SECOLO


Coloro che si occupano di questo specifico settore, cioè gli storici della demografia, sono abbastanza
facilitati perché uno dei fenomeni tipici dell’età moderna in Europa è stato proprio il diffondersi di una
mentalità statistica e di metodi legati alla statistica; cioè, si è sempre più ritenuto importante contare la
popolazione, fenomeno legato alla necessità di affermare per uno Stato e per uno sovrano la propria potenza
nei confronti degli stati circostanti ma soprattutto di quelli nemici. Per quanto riguarda la storia
dell’andamento della popolazione in Europa, un vero e proprio spartiacque è stato rappresentato dalla grande
pestilenza, chiamata ‘peste nera’ del 1347-1348 che ha fanno milioni di morti; ci sono voluti decenni,
addirittura più di un secolo, per riempire i buchi lasciati dalla pestilenza della metà del XIV secolo. Solo a
partire dal 1470-1480 la popolazione europea comincia nel suo complesso ad aumentare nuovamente rispetto
ai livelli raggiunti precedentemente, intorno ai 70 milioni di persone. È un periodo di incremento costante,
per cui gli storici hanno parlato di un ‘lungo 500’, che inizia negli ultimi decenni del XV secolo e si
conclude nei primi decenni del XVII; dura, quindi, 150 anni. Si tratta di un incremento che si può
quantificare con il 33% in più circa di popolazione. A partire dal 1619-1620 inizia un andamento molto
negativo per quanto riguarda la popolazione europea che, nel corso del Seicento, va incontro a una serie di
gravi carestie e conflitti bellici: la Guerra dei Trent’anni che inizia proprio nel 1618 e occuperà tutto l’arco
del primo cinquantennio del XVII secolo, concludendosi solo all’inizio del XVIII secolo; un periodo
negativo che fa sì che la popolazione europea aumenti, tra gli anni ‘20 del ‘600 e gli anni ’10 del ‘700, solo
di un 7%. È un trend che inizia di nuovo ad avere un’evoluzione fortemente positiva a partire dal secondo
decennio del Settecento; una progressione cha dal quel momento in poi non avrà più momenti d’arresto fino
ai giorni nostri. In questo secolo, e fino agli ini dell’800, si assiste in Europa ad un aumento della
popolazione del 54%. Questo vuol dire che dalla fine del ‘400 all’inizio dell’800 la popolazione europea
raddoppia i suoi numeri, si passa dai 70 ai 150 milioni di popolazione complessiva alle soglie dell’età
contemporanea.
Tra le fonti utilizzate dagli storici della demografia per cercare di capire l’evoluzione della popolazione la
principale, già utilizzata nelle diocesi, sono dei registri in cui i parroci annotano battesimi, matrimoni e
funerali. A partire dal Concilio di Trento, cioè dalla seconda metà del ‘500, questi registri diventeranno
obbligatori in tutta l’Europa, soprattutto per quella rimasta cattolica, anche se ben presto adottati pure da
quella protestante. La sensibilità statistica a livello statuale si manifesta in maniera precoce soprattutto in
paesi che hanno abbracciato il protestantesimo; il primo paese che dà vita a istituti pubblici di statistica è la
Svezia, il cui compito era quello di contare la popolazione. Già nel 1686 le autorità svedesi avevano imposto
ai pastori luterani di tenere un registro dei parrocchiani. La novità dell’ambito svedese è il fatto che qualche
decennio più tardi, nel 1748, viene dato vita al ‘tabellverket’, cioè un ufficio statale che elabora i sati raccolti
appunto dai pastori protestanti ed è a tutti gli effetti il primo ufficio di anagrafe creato nella storia
dell’Europa. Altri stati europei prima della Svezia avevano creato dei meccanismi di computo della
popolazione, il quale si basava sui focolari domestici, cioè i componenti familiari che si aggregavano intorno
ad un focolare domestico e che avevano una motivazione ben precisa: poter avere delle informazioni precise
per esigere poi il pagamento delle imposte ed evitare che questo venisse evaso. Erano attività sporadiche che
non arriveranno mai ad assumere la decisione di dare vita a dei censimenti estesi a tutto il territorio
nazionale; prima del XIX secolo solo l’Europa scandinava dà vita a dei censimenti simili a quelli moderni,
mentre il resto continua a muoversi sul canale dell’utilizzo dei registri all’interno delle parrocchie.
Per quanto riguarda le cause del crollo della popolazione europea, verificatosi nel XVII secolo, vi è chi dà la
colpa ad un raffreddamento climatico che si ebbe tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600, identificato con
l’espressione di ‘piccola era glaciale’, alla quale le popolazioni avevano assistito anche durante i decenni
precedenti la peste nera. Un raffreddamento climatico che aveva portato ad una diminuzione del rendimento
agricolo e alle carestie; esso fu consistente solo a partire dalla metà del XVII secolo e solo nella parte
settentrionale più estrema del continente europeo. Ciò indebolisce la tesi secondo cui la diffusione di carestie
ed epidemie fu una delle motivazioni del calo demografico, poiché esso era iniziato quantomeno trent’anni
prima. Un’altra ipotesi fu quella relativa alla diffusione di una maggiore igiene anche personale all’interno
delle società dell’Europa del ‘600, che però si diffonde solo in ristretti ambiti e ceti sociali, in particolare in
quelli più elevati che rappresentano una quota molto piccola della popolazione nel suo complesso. Terzo
elemento sono i progressi in ambito medico, i quali però furono riguardarono solo la descrizione ma non alla
cura delle malattie. Il richiamo più forte relativo è alle cause è dovuto alla diffusione di quei tre elementi che
fin dalle epoche più remote hanno costituito la base dei disastri dal punto di vista demografico: il diffondersi
di carestie, cioè la necessità per la gente di fare molta più fatica ad approvvigionarsi, debilitando quindi i
corpi delle persone; il diffondersi della guerra e dei conflitti bellici che causano sconvolgimento all’interno
delle società locali, per la disorganizzazione dei lavori agricoli più che per la violenza delle soldatesche e,
infine, la diffusione delle epidemie: quella per eccellenza fu la peste, epidemia ricorrente sradicata solo
grazie ai cordoni sanitarie che furono inventati proprio in Italia, alla fine del Medioevo, e imitati poi nel
resto dell’Europa. Le ultime pestilenze che la popolazione europea dovette affrontare furono quella di
Marsiglia del 1720 e quella della città di Messina del 1743. I tre grandi fattori di falcidia delle popolazioni
europee di età medievale e moderna possono essere sintetizzati nella famosa espressione latina che fa sì che
si invochi l’aiuto del Dio cristiano per liberarle da <<peste, fame et bello>>.

LE TESI MALTHUSIANE E I RISULTATI DELLE NUOVE RICERCHE DI STORIA DEMOGRAFICA


C’è chi ha tentato di studiare in maniera razionali i dati relativi alla popolazione in Europa e in particolare
l’ha fatto partendo dall’osservatorio inglese: si tratta di Thomas Malthus nato nel 1766 e morto nel 1834 e
che, alla fine del XVIII secolo, scrive un trattato fondamentale che rappresenta una sorta di spartiacque nello
studio della demografia storica in Europa e che prende il nome di ‘Saggio sul principio di popolazione e i
suoi effetti sullo sviluppo futuro della società’, pubblicato nel 1798. La tesi di fondo espressa da Malthus in
questo suo lavoro è fondata su una premessa: la popolazione ha la tendenza ad aumentare secondo una
progressione geometrica, a fronte della quale vi sono le risorse e le disponibilità alimentari che aumento
invece secondo una progressione aritmetica. Ad un certo punto si arriva ad un momento di rottura
rappresentato dal fatto che le risorse alimentari non bastano più per sfamare la popolazione presente in quel
momento sul suolo europeo; a questo limite si cerca di non arrivare sulla base di freni da lui denominati
come ‘checks’ che sono di due tipi: i freni repressivi o positivi e i freni preventivi. I primi sono i cataclismi
esterni che uccidono una parte più o meno consistente della popolazione ristabilendo l’equilibrio che si era
troppo sbilanciato nel momento in cui la popolazione era aumentata troppo rispetto a quanto il settore
primario potesse produrre per sfamarla; i secondi pertengono a delle misure di regolamentazione della
crescita demografica che pesano però in maniera molto meno rilevante. È una tesi che è stata molto
contestata dagli studiosi successivi da un certo punto di vista anche a ragione perché è vero che esistono
delle regolarità nella storia demografica ma è anche vero che la popolazione adatta la propria crescita alle
condizioni dell’ambiente in cui si trova a vivere. La regola dovrebbe essere quella di evitare eccessive
generalizzazioni e sottolineare invece le differenziazioni all’interno dell’area europea. Tra i fattori che
entrano in gioco per riequilibrare la proporzione tra crescita demografica e disponibilità delle risorse vi è
innanzitutto il fatto che, nella seconda metà del XX secolo, non c’è stata in alcun luogo del continente
europeo una volontà sistematica di limitare il numero dei figli; è vero come sottolineava Malthus che sono
esistiti dei freni preventivi da ricercare non tanto nelle pratiche contraccettive, conosciute e praticate per lo
più dalle prostitute, quanto nella nuzialità e di conseguenza nella natalità. Il freno per la maggior parte
inconsapevole che le popolazioni europee hanno messo in atto è il cosiddetto matrimonio ritardato o
celibato forzato temporaneo, una delle più importanti acquisizioni della ricerca demografica degli ultimi
decenni; si cerca di fare in modo di contrarre il primo matrimonio della propria vita ad un’età piuttosto
tardiva. Ciò che è stato possibile ricostruire anche sulla base dello studio della documentazione rappresentata
dai registri parrocchiali è il fatto che nell’Europa di età moderna l’età media del primo matrimonio oscillava
tra i 24 e i 27 anni; un po' più precoce per le donne e tardiva per i maschi, considerando che la durata media
della vita tra Medioevo ed età moderna oscillava all’incirca tra i 35 e i 40 anni riducendo quindi di molto il
periodo in cui le donne poteva procreare. È anche molto frequente, soprattutto per i maschi, risposarsi dopo il
decesso del coniuge, i quali lo facevano entro il primo anno di vedovanza, in quanto avevano la necessità di
trovare una donna che potesse crescere i figli rimasti orfani. Il periodo dell’anno in cui preferibilmente si
contraeva matrimonio era quello in cui i lavori agricoli non avevano necessità di essere svolti, cioè quello
invernale da novembre a febbraio. Inoltre, entro la metà del XVIII secolo, si calcola che meno del 5% delle
nascite totali fosse derivata da coppie non regolarmente sposate (figli illegittimi) a fronte di tecniche
contraccettive poco conosciute e di una quota molto alta di celibi, nubili e vedove ancora in età feconda; ciò
non dipende tanto dal rispetto della disciplina sessuale imposta dalla morale religiosa cristiana quanto
piuttosto dalla necessità di frenare più o meno consapevolmente il numero delle nascite in quanto ci si
rendeva conto che a quei bambini non si sarebbe potuta fornire un’alimentazione necessaria, tenendo anche
conto del fatto che buona parte dei bambini moriva prima di raggiungere l’età della riproduzione. Non
sopravvive quindi se non una piccola eccedenza di bambini, appena sufficiente per compensare il celibato
definitivo di coloro che decidono o sono obbligati a non sposarsi per tutto il resto della loro vita. Secondo
Malthus, questa regolazione è consapevole, la quale è motivata dalla paura della misura, la paura di non
riuscire a sfamare il proprio nucleo familiare; oggi, invece, si ritiene che sia una sorta di autoregolazione
della società per mezzo del ritardo nella nuzialità senza però un vero e proprio controllo cosciente, poiché in
antico regime non è possibile contrarre matrimonio senza dare vita alla fondazione di un nuovo focolare. Ciò
significa che i fidanzati non si sposavano fino a quando non hanno la possibilità di mettere su casa, cosa che
avviene solo quando muoiono i genitori per cui le grandi morie facilitano i matrimoni, la sostituzione delle
coppie vecchie con quelle giovani e la possibilità di dare vita a più figli.
Più del matrimonio, in età medievale e moderna, conta di più il momento in cui si contrae un fidanzamento,
legato soprattutto alle decisioni e alla volontà delle famiglie (i giovani non hanno voce in capitolo) che
diventa quasi più solenne del matrimonio medesimo; in alcuni casi è anche consentito ai due fidanzati di
poter convivere con tutti i rischi che questo comporta, primo tra tutti il fatto di dare vita a dei figli che
nascerebbero al di fuori del matrimonio, cosa che diventa un problema nel momento in cui il maschio
abbandona la propria fidanzata, la quale si ritrova con un figlio illegittimo.
Il trend dell’andamento demografico spiegato da Malthus si interrompe tra gli anni ’30 e ’40 del ‘700 quando
intervengono novità come l’accelerazione dell’aumento della popolazione e la riduzione della mortalità che
fa sì che ci sia un maggiore incremento delle nascite, legittime e illegittime, così come i profitti dando la
possibilità di reperire molto più facilmente rispetto al passato quelle risorse che fino ad allora erano molto
scarse. Proprio per questo, durante questo periodo, si assiste ad una crescita costante della popolazione che
non subirà più battute d’arresto.

LA RIVOLUZIONE DEI PREZZI


 PREMESSA E CAUSE (VERE E PRESUNTE)
La rivoluzione dei prezzi è una delle prime di tutto l’arco temporale dell’età moderna poiché si colloca tra gli
ultimi decenni dell’età medievale e i primi di quella moderna. Siamo abituati a identificare la modernità con
un concetto molto legato al movimento: di uomini, di merci, esplorazioni geografiche, colonizzazioni, ecc…
In realtà anche il Medioevo, a partire dal rivitalizzarsi delle attività commerciali in Europa, dalla formazione
dei liberi comuni, dal rinnovato irrobustirsi dei centri urbani in termini di popolazione e ricchezza, ha visto
grandi spostamenti di uomini, quali ad esempio mercanti tra Africa, Asia e Europa, pellegrini, artigiani che
andavano a vendere in posti anche molto lontani tra di loro; questa grande mobilità si lega ad una crescita
demografica che si intensifica soprattutto a partire dalla seconda metà del ‘400 in avanti. Quest’ultima
comporta spostamenti tra zone rurali e aree urbane, dalle campagne verso le città, dove si sperava di trovare
migliori condizioni di vita e possibilità di migliorare le condizioni delle proprie famiglie in maniera più
veloce; ma vi è anche un movimento interno alle campagne, tra villaggi e villaggi, quindi una grande
mobilità dovuta a svariati motivi. Una fuga dalla miseria che è stata aggravata dal fenomeno delle recinzioni
dei terreni comuni, dall’aumento degli affitti, da maggiori gravami fiscali che i feudatari locali o i sovrani
impongono ai contadini, dalla fuga dai saccheggi e dalle razzie provocate dai conflitti armati e infine dal
fenomeno dell’inflazione.
Una delle grandi novità della fine del ‘400, insieme alla scoperta di nuovi territori e di nuovi mondi, è
rappresentata da un aumento straordinario rispetto al passato dei prezzi, del costo della vita. Aumenta in
maniera importante soprattutto il prezzo del grano, fonte di sostentamento principale di tutta la popolazione
europea. Ci fu anche un aumento dei prezzi per quanto riguarda i manufatti però fu inferiore rispetto a quelli
in ambito cerealicolo. È vero che ci fu un aumento dei prezzi ma fu diverso in vari periodi; fu un rincaro
senza precedenti e proprio per questo venne ricordato come un qualcosa di impressione e fu vissuto come un
evento straordinario; terzo elemento fu l’aumento anche dei salari e degli affitti.
Tra le cause, vere o presunte, della rivoluzione dei prezzi vi è il fatto che, quando ci si trova a vivere in un
periodo di inflazione, la popolazione normalmente tende ad attribuire questo fenomeno all’avidità delle
persone tanto è vero che vengono identificati dei capri espiatori quali gli speculatori, cioè coloro che cercano
in ogni modo di guadagnare dalla differenza di prezzo di acquisto e vendita di un prodotto e gli incettatori,
cioè coloro che fanno scorte di grano quando non costa molto, lo immagazzinano e successivamente, quando
questo scarseggia, lo rivendono a prezzi molto più elevati cercando di guadagnare il più possibile.
Speculatori e incettatori molto spesso sono il sintomo e non la causa del fenomeno perché si trovano costretti
a difendersi dall’instabilità finanziaria causata da un motivo ben preciso, ovvero quello dello svilimento
della moneta: nel Medioevo e in età moderna circolavano soprattutto monete metalliche la cui capacità di
acquisto era legata alla quantità di metallo prezioso che veniva utilizzato al momento del conio. Un ulteriore
elemento è la differenza tra il valore nominale e il valore nominale di una moneta; il primo è quello che c’è
scritto sulla moneta, il secondo è quanto pane, quanti beni o servizi è possibile acquistare. In un periodo di
inflazione, è ovvio che ad essere penalizzato sarà il valore reale della moneta. Ad essere maggiormente
colpiti sono gli strati più poveri della popolazione che vivono soprattutto di denaro spicciolo, il quale
contiene scarsissime o spesso anche nulle quantità di metallo prezioso ed è molto più colpito dalla perdita di
potere di acquisto della moneta medesima. Dall’altra parte, artigiani e commercianti cercano di aumentare i
prezzi dei prodotti che commercializzano o che producono per recuperare le perdite dovute al diminuito
potere di acquisto e allo svilimento della moneta. Ci fu un unico sovrano in Europa che riuscì a far fronte in
maniera vincente ai fenomeni inflattivi, Elisabetta I d’Inghilterra, la quale dopo il 1560 riuscì a stabilizzare
la moneta inglese proteggendola dagli speculatori stranieri. All’opposto dell’Inghilterra vi è la Spagna di
Filippo II che invece farà sempre più ricorso allo svilimento della moneta su larga scala tanto che oro e
argento scompariranno pressoché definitivamente dal conio delle monete spagnole. Il problema che sorge a
questo punto è che la Spagna, ma anche altri stati come la Polonia e la Lituania, riescono a mantenere la
moneta stabile fino alla fine del ‘500; vuol dire che la rivoluzione dei prezzi a lungo non ha inciso fortemente
in un paese come la Spagna. In realtà l’aumento dei prezzi non fu dovuto solo alle riconiazioni di monete con
una quantità di metallo prezioso decrescente.
Una tesi forte fu la spiegazione che un teorico, studioso, filosofo della politica francese, Jean Bodin, diede
nella seconda metà del ‘500 del fenomeno dell’aumento dei prezzi: egli accusa come causa principale
l’arrivo in abbondanza di oro e di argento dalle Americhe; secondo lui sono proprio questi metalli preziosi
che arrivano in maniera spropositata in Europa ad introdurre un fenomeno inflattivo galoppante. Questa tesi
venne ripresa anche da studiosi posteriori, in particolare nel 1930 da uno studioso anglosassone che si
chiamava Earl Hamilton, ovvero l’anno dopo la grande crisi economica del 1929 e dopo la Prima Guerra
Mondiale.

 LA TESI BODIN-HAMILTON
La teoria di Jean Bodin e Earl Hamilton è una teoria quantitativa o metallistica della moneta, se la
domanda e la velocità di circolazione della moneta sono stabili, il livello dei prezzi è direttamente
proporzionale alla quantità di moneta disponibile sul mercato. Dunque, se la moneta disponibile sul mercato
aumenta per maggiore riconiazione di argento, di conseguenza rialzano direttamente anche i prezzi. Fu
quello che avvenne nel corso del ‘500 ma con delle precisazioni:
1. Non tutti i prezzi aumentano nella medesima misura all’interno dei differenti ambiti;
2. Incide sulla maggiore presenza della moneta disponibile sul mercato la domanda dei consumatori
che si accresce proprio per l’aumento demografico;
3. Incide anche sulla produzione delle merci e non solamente sulla loro vendita.
Tra le maggiori critiche apportate a questa teoria vi è il fatto che gli studiosi hanno verificato che l’aumento
dei prezzi in Europa non data dall’ultimo decennio del ‘400 e dai primi del ‘500, cioè quando cominciano ad
affluire imponenti quantità di metalli preziosi, ma esso avvenne già in Francia e nelle aree germaniche a
partire dal 1470-1480. Entrambi hanno cercato di rispondere a questa critica sostenendo che gli aumenti
precedenti alle scoperte geografiche furono dovuti ad un’accresciuta produzione di argento in Europa
centrale. Però fu una produzione che nella sua quantità complessiva non può essere portata come una
spiegazione di un fenomeno così importante quale fu l’inflazione dell’inizio dell’età moderna.
Seconda critica che viene fatta a questa tesi è dovuta al fatto che noi disponiamo di dati incompleti relati
all’importazione di metalli preziosi dal Nuovo Mondo, in quanto non si tiene conto di un aspetto importante
che fu quello del contrabbando, cioè di coloro che riuscivano a sfuggire ai controlli che venivano effettuati
all’arrivo dei metalli preziosi in Europa.
Terza e ultima critica, ma forse la più importante, è il fatto che questi metalli preziosi e in particolare i
galeoni spagnoli carichi di argento che arrivavano a partire dalla metà degli anni ’40 del ‘500 nel porto di
Siviglia in realtà non si fermano in Spagna e quindi non possono essere considerati la vera causa
dell’inflazione. Non si fermano perché da una parte vanno subito a ripagare i debiti del re di Spagna che
quest’ultimo ha contratto con mercanti e banchieri in giro per l’Europa, dall’altra la maggior parte di questo
argento va fuori dal continente europeo poiché viene utilizzato dalle potenze coloniali europee per pagare le
merci che provengono dall’Estremo Oriente.
L’assorbimento dell’oro e dell’argento americani è non tanto la causa quanto l’effetto dell’inflazione, serve
cioè per far fronte ad un aumento dei prezzi che in Europa è già avvenuto a partire dagli ultimi decenni
dell’età medievale.
 LA RIVOLUZIONE DELLA TERRA
Ad aumentare, oltre al prezzo di beni essenziali come il grano, è anche il valore dei terreni; si potrebbe
parlare di una sorta di rivoluzione, quella appunto della terra e il valore aumenta perché vi è maggiore
domanda, è maggiormente richiesta dall’accresciuta popolazione che abita in Europa. La crescita
demografica fa sì però che ad un certo punto, avendo più manodopera a disposizione, si assista ad una
diminuzione dei salari reali; il salario ‘nominale’ è quello che c’è scritto sulla busta paga, mentre il salario
‘reale’ è quello con cui è possibile acquistare per sé stesso e per la propria famiglia. Si è trattato quindi di
un’inflazione ‘selettiva’, cioè relativa soprattutto a prezzi di beni di consumo essenziali, a prezzi dei terreni.
La vera unità di misura della ricchezza in Europa è rappresentata dal possesso di terreni; su quest’ultimo,
infatti, viene calcolato il contributo che il proprietario deve fornire allo Stato in termini di imposte. È per
questo che l’aumento del valore della terra scambiata contribuì a rendere memorabile quest’inflazione; ci
furono categorie di persone favorite da questo fenomeno, mentre altre svantaggiate. Favoriti furono
sicuramente gli affittuari, coloro che avevano contratto un affitto per lo sfruttamento della terra dai legittimi
proprietari e che possono godere dello scarto tra bassi canoni di affitto e un aumento del prezzo dei prodotti
della terra; svantaggiati, invece, furono i proprietari terrieri che per la maggior parte vivono delle rendite
provenienti dall’affitto dei loro terreni e che, avendo dato in locazione la terra per un lungo periodo di tempo
con contratti a lungo termine, non possono approfittare delle variazioni del mercato per aumentare i canoni di
affitto. Una delle soluzioni può essere quella di impiegarsi loro direttamente nella conduzione dei terreni di
loro proprietà ma, soprattutto se si tratta di famiglie nobiliari, un limite forte è dato dal fatto che un nobile
non può “sporcarsi le mani” in attività legate alla conduzione della terra.
Si verifica quindi una rivoluzione della terra che fa sì che sempre di più mercanti e commercianti decidano di
immobilizzare i capitali acquisiti grazie all’inflazione nella terra, cioè nell’acquisto di tenute in aree rurali.
Quindi la terra non rappresenta tanto un fattore di conservazione, quale era stato durante l’arco dell’età
medievale, ma diventa sempre di più un fattore di mutamento, di miglioramento personale e anche di scalata
all’interno della società.
 LA RISPOSTA DEI GOVERNI EUROPEI
Tutti i governi dell’epoca furono fortemente preoccupati dall’inflazione galoppante dei primi decenni dell’età
moderna perché metteva a rischio la stabilità monetaria (l’unico sovrano che riesce a mantenerla è la regina
Elisabetta I d’Inghilterra) e incideva sui maggiori oneri che dovevano essere destinati all’attività principale
di tutti i monarchi e gli stati europei dell’epoca, ovvero i conflitti bellici, i quali comportavano un esborso
maggiore per le casse dello Stato al fine di finanziare le campagne militari.
La Spagna invia all’estero grandi quantità di argento per finanziare gli eserciti ma in questo modo
contribuisce anche ad aumentare l’inflazione degli altri paesi; la situazione peggiorerà alla fine del regno di
Filippo II che muore nel 1598 e soprattutto nel corso del regno di suo figlio Filippo III che dura dal 1598 al
1621. Quest’ultimo, già nel 1599, permette l’emissione di monete senza contenuto di argento e il suo
successore Filippo IV, nel 1650, farà sì che il 98% delle monete coniate dalla zecca statale spagnola sia
costituito solamente di rame, un metallo ‘vile’.
Gli Stati furono anche colpiti dalla diminuzione del gettito fiscale alla quale la popolazione più difficilmente
poteva far fronte e questo innesca una serie di scontri soprattutto con i ceti privilegiati e con i cosiddetti
‘corpi costituzionali’. Alcuni storici hanno spiegato le rivolte che caratterizzeranno la prima metà del ‘600
come una risposta a quella destabilizzazione causata dagli scontri e dai conflitti che si verificavano tra lo
Stato e i ceti privilegiati.
La disputa che si sviluppò nel ‘600 tra coloro che erano favorevoli all’assolutismo monarchico e coloro che
invece erano favorevoli all’accentramento dei poteri nel corpo burocratico centrale dello Stato è stata
spiegata da alcuni come una contesa relativa alla gestione della finanza pubblica.

L’ECONOMIA EUROPEA NEL CINQUECENTO


Il vero movente di cambiamento tra la fine del ‘400 e lungo tutto l’arco del ‘500 fu rappresentato in Europa
dalla crescita demografica, con un incremento superiore al 30% arrivando fino a più di 100 milioni di
abitanti. Ciò comportò notevoli novità nella vita quotidiana della popolazione europea, nel modo di
riconfigurare il paesaggio agricolo e nella spinta di europei al di fuori del continente in cerca di fortuna
grazie alle esplorazioni geografiche e alle colonizzazioni. Ci fu quindi un trasferimento di persone dalle
montagne alle pianure per offrire forza lavoro, la messa a coltura di nuove terre per garantire un aumento
delle rese agricole e poter sfamare la popolazione in eccesso e le migrazioni dovute alle scoperte
geografiche. Il tratto distintivo della civiltà europea dell’inizio dell’età moderna è un ritorno importante della
ruralità, dell’importanza della campagna che fa da contraltare allo sviluppo delle città; i traffici commerciali
con il Nuovo Mondo continuano a rimanere piuttosto esigui fino all’incirca alla metà del ‘700, rappresenta
ancora una componente marginale del PIL del continente europeo ed è un ulteriore elemento di debolezza
della tesi Boudin-Hamilton. Secondo studi fatti da studiosi francesi alla metà degli anni ’60 del ‘900 è stato
calcolato che solo l’1% del prodotto lordo annuo europeo è rappresentato dal contributo delle merci di varia
natura provenienti dalle Indie occidentali. Ciò significa che questo nuovo continente è stato sì conquistato
ma a lungo è stato poco sfruttato; piuttosto gli economisti hanno invitato a non dimenticare che ci furono
altri continenti che contribuirono forse in maniera anche più importante al PIL, come ad esempio l’Africa e
soprattutto le Indie orientali, i cui traffici sono di gran lunga più consistenti rispetto a quelli con il Nuovo
Mondo (altro elemento di debolezza della tesi). Le aree più innovative all’interno del continente europeo dal
punto di vista storico-economico sono quelle che ancora oggi sono le più ricche, vale a dire la Lombardia e
la Pianura Padana in Italia, i Paesi Bassi e l’Inghilterra, le quali sono anche aree in cui si sviluppano le
attività manifatturiere. Un primo elemento è rappresentato dal fatto che in queste aree la terra non
rappresenta più solo un patrimonio da conservare e da mantenere immobile ma tramite la mobilizzazione,
cioè la vendita dei terreni, diventa una fonte di profitti; secondo elemento è uno sviluppo notevole della
zootecnia, cioè delle modalità innovative di allevamento del bestiame che dà la possibilità, con l’aumento del
concime utilizzato per la fertilizzazione dei terreni, di accedere ad un incremento delle rese per ettaro dei
terreni coltivati soprattutto a cereali.
Due ambiti spinti in avanti dalla crescita demografica sono le industrie tessili e l’edilizia; c’è più gente e
quindi più bisogno di vestirsi e di costruire abitazioni. Accanto alla rivoluzione dei prezzi e quella della terra,
si può dire che in Europa si verifica una terza rivoluzione: quella dei consumi; dal punto di vista del settore
tessile l’innovazione riguarda tutti gli ambiti delle materie prime che vengono impiegate quali la lana, il lino
e la seta. Si dà vita quindi a nuove tipologie di tessuti come per esempio i cosiddetti ‘carses’, tessuti leggeri
che si diffondono tra più ampi strati della popolazione perché vengono venduti a prezzi inferiori e che
inducono però delle variazioni anche nella produzione manifatturiera di altri territori come le Fiandre; i
produttori fiamminghi devono quindi reimpostare la loro produzione su prodotti di più largo consumo dando
vita quella che viene chiamata la ‘Nouvelle Draperie’, cioè la risposta fiamminga alla concorrenza inglese.
Sia gli uni che gli altri possono essere collocati nelle aree rurali oppure in quei mercati nuovi rappresentati
dalle colonie oltremare; successivamente si verificherà anche un fenomeno di emigrazione di manodopera
specializzata dalle Fiandre verso l’Inghilterra, attirata da condizioni economiche più favorevoli. Proprio
quest’emigrazione porrà poi le basi in ambito inglese per i futuri sviluppi del settore manifatturiero che, a
partire dalla metà del XVIII secolo, daranno il via al grande fenomeno della Prima Rivoluzione Industriale.
All’ambito manifatturiero del settore tessile è legato anche lo sviluppo delle manifatture chimiche, ovvero le
materie tintorie che servono per colorare i tessuti, la produzione del mordente per fissare i coloranti sui
tessuti, la produzione e l’utilizzo dell’allume di Tolfa.
Ultimo settore che registra un forte balzo in avanti è quello siderurgico e anche qui è l’Inghilterra a fare da
padrone. È proprio qui che si scopre il modo di fondere il ferro e di costruire dei cannoni molto più
manovrabili rispetto a quelli in bronzo e anche meno costosi ed è sempre qui, grazie alla fortuna di avere
consistenti giacimenti di carbon fossile, che il settore siderurgico si struttura secondo modalità nuove rispetto
all’epoca medievale; da una parte si rafforza quel sistema corporativo che prende il nome di ‘ gild system’,
che trae il nome da come venivano denominate le corporazioni e dall’altra controlla l’attività estrattiva del
carbon fossile dalle miniere mediante lo sviluppo del ‘factory system’, il quale garantisce la lavorazione del
minerale estratto. A questi due si affianca poi il ‘domestic system’, ovvero la trasformazione della materia
prima grezza e dei semi-lavorati in prodotti finiti.
Ultimo ambito è l’intermediazione finanziaria, cioè quella repubblica internazionale del denaro che inizia in
Italia; grandi imprenditori, mercanti, banchieri tra cui i Ruitz, i Welser e i Fugger nell’area germanica. Ai
privati si affiancano i banchi e le banche pubbliche e si diffondono sempre di più le cosiddette ‘fiere dei
cambi’, in cui si scambia denaro. Una prima importante piazza dove si tenevano periodicamente è quella di
Lione, nella Francia del sud; un’altra è quella di Besançon, sull’arco alpino e dal 1570 Piacenza, nella
Pianura Padana.

LE RIFORME PROTESTANTI. LE PREMESSE TARDO-MEDIEVALI


All’inizio del ‘500 l’Europa cristiana fu interessata da una spaccatura religiosa che diede vita a quelle
riforme protestanti alle quali diede inizio Martin Lutero con la sua protesta nei confronti di alcuni
atteggiamenti della Chiesa di Roma e che ebbe il suo punto iniziale ed esplosivo nell’affissione delle 95 tesi
sulla porta della Cattedrale di Wittenberg, in area germanica alla viglia di Ognissanti, il 31 ottobre 1517.
Probabilmente prima ci fu una circolazione da parte di Lutero di queste tesi presso teologi e religiosi di area
germanica; di ciò approfittarono alcuni principi tedeschi per il processo di autonomizzazione, da una parte
sul piano ecclesiastico dalla Chiesa romana e soprattutto nei confronti dell’altra grande autorità, l’imperatore
del Sacro Romano Impero. Essa non nacque dal nulla ma ci furono dei precedenti; Lutero infatti si pone su
un filo di continuità con altri riformatori che l’hanno preceduto tra la fine del XIV e nel XV secolo. Nell’arco
del ‘300 vi fu lo spostamento della sede papale da Roma ad Avignone e il suo ritorno a Roma nel 1378 grazie
anche agli uffici di Caterina da Siena; da questa decisione scaturì quello che è chiamato il grande scisma
d’Occidente, cioè la divisione della Chiesa cattolica romana in due differente obbedienze: una che faceva
capo al papa e una che faceva capo a un altro papa eletto dai vescovi francesi. Esso inizia nel 1378 e dura
fino al 1417, parecchi decenni durante i quali i cristiani in Occidenti si trovarono confusi e spaesati dovendo
obbedire a due differenti pontefici e all’inizio del ‘400 si arrivò ad avere tre papi contemporaneamente. Il
grande scisma venne risolto dalla decisione di riunire un Concilio ecumenico nella città svizzera di
Costanza che obbligò alla deposizione tutti i papi allora presenti e riunificò la Chiesa sotto l’obbedienza di
un unico pontefice identificato nella figura di Martino V. Fu un momento di grande tensione che diede vita a
tentativi di riportare la Chiesa su binari di purificazione spirituale, di unità e di concordia. Questi tentativi di
riforma ebbero origine non solo in ambito ecclesiastico ma anche all’interno del laicato; fra ‘300 e ‘400 si
verificò il diffondersi di movimenti settali composti da élites di riformatori, concentrati soprattutto nell’area
nord-occidentale del continente europeo: Valle del Reno, Fiandre e Boemia in Europa centrale. Tra i
riformatori vi erano coloro che avevano deciso di denominarsi ‘gli amici di Dio’, lungo la zona percorsa dal
fiume Reno e ‘i fratelli della vita comune’ che ebbero origine nelle Fiandre. Il più famoso membro fu
Erasmo da Rotterdam; erano movimenti che praticavano forme di ascesi personale, di vita comunitaria, di
condivisione all’interno della comunità dei propri beni e delle proprie ricchezze e si predicavano la povertà
monastica e il celibato dei preti in opposizione al concubinato che nonostante fosse vietato da ben quattro
secoli continuava ad essere praticato.
Accanto al diffondersi di questi movimenti di riforma e al fatto che si posero come modello ci fu anche un
ritorno dell’escatologia, cioè la credenza in un prossimo vicino ritorno di Cristo sulla Terra, preceduto però
dal regno dell’Anticristo, identificato nella figura del papa di Roma (necessità di cambiare vita). Infine,
l’affermarsi della teoria secondo la quale la Chiesa che si vede non è la vera Chiesa di Dio, in quanto
quest’ultima è invece quella invisibile e che consiste soltanto in un gruppo scelto di eletti che sono
identificabili grazie alla loro condotta irreprensibile; dunque il papa di Roma non può essere assunto come
capo di questa Chiesa. Si arriva addirittura alla negazione della validità di alcuni sacramenti e/o della
possibilità da parte di un clero corrotto di amministrare; tutto ruota intorno al sacramento più importante,
l’eucarestia, celebrata ogni volta che ci si riunisce per la Santa Messa. Durante un altro Concilio ecumenico,
convocato 200 anni prima, cioè il Concilio Lateranense IV chiamato così perché convocato presso la
Basilica di San Giovanni in Laterano, tra il 1215 e il 1217, venne affermato il dogma della
transustanziazione, una sostanza che si trasforma in qualcos’altro, vale a dire il pane e il vino (elementi
materiali) che si trasformano nel corpo e nel sangue di Cristo. Già nel ‘400 ci furono dei riformatori che
contestarono questo dogma: all’interno del regno di Boemia Jan Hus e in Inghilterra John Wyclif. È quindi
esistita una riforma cattolica antecedente a quella evangelica che prese il via con l’atto di Lutero. I suoi
attacchi non furono solo contro le deformazioni del cattolicesimo medievale ma anche contro una certa
forma di cattolicesimo che prese origine durante i secoli del Medioevo che egli riteneva avesse deformato il
Vangelo, al quale invece secondo lui bisognava tornare perché era l’unica fonte a cui doveva fare riferimento
ogni cristiano. Le riforme protestanti, quindi, furono soprattutto riforme religiose secondo cui si riteneva che
durante il Medioevo si fosse arrivati ad un concetto troppo modesto della maestà e della santità di Dio e ci
fosse stata invece una sopravvalutazione delle capacità dell’uomo di incidere sul mondo terreno. Queste
riforme non avrebbero avuto nessuna possibilità di riuscita e non si sarebbero potute propagare se non fosse
intervenuto un ulteriore elemento: il sostegno ai riformatori protestanti da parte inizialmente dei principi
tedeschi che decisero anche e soprattutto per motivazioni politiche di sostenerli. Le cose andarono al di là di
quello che essi si aspettavano e quelle che sembravano riforme circoscritte arrivarono invece ad essere dei
punti di non ritorno e ci furono ampie fette dell’Europa centrale e settentrionale che si staccarono
definitivamente dalla Chiesa di Roma e abbracciarono il protestantesimo arrivando all’obiettivo inizialmente
individuato: la creazione di vere e proprie chiese nazionali completamente autonome e separate da quella di
Roma.
LA RIFORMA LUTERANA
 LUTERO E LE 95 TESI
Martin Lutero nasce a Eisleben nel 1483, inizialmente venne indirizzato dalla famiglia verso studi giuridici
ma nel 1505, a poco più di vent’anni, trovandosi a Erfurt dove studiava giurisprudenza, si narra che venne
colpito da un fulmine e fu un momento forte di presa di consapevolezza che la strada che gli avevano fatto
intraprendere i genitori non era quella giusta e che invece la cosa più importante per lui era curare il proprio
spirito e abbracciare pertanto la vita ecclesiastica. Entra quindi all’interno di un ordine religioso che faceva
parte dell’ordine di mendicanti, il più noto dei quali era quello dei francescani e dei domenicani, formatosi
circa tre secoli prima all’inizio del ‘200, ordini differenti rispetto al monachesimo precedente (benedettini)
perché a differenza dei monaci che rimanevano rinchiusi nelle loro abbazie e nei loro monasteri a pregare e
lavorare (ora et labora), i frati invece avevano un contatto diretto con i fedeli: le loro chiese e i loro conventi
erano posizionati all’interno del nucleo urbano del centro cittadino e non in luoghi isolati nell’ambito rurale.
Lutero si fa frate agostiniano e nel 1511 compie il famoso viaggio a Roma durante il quale prende coscienza
della corruzione, dell’eccessivo sfarzo e della mollezza di vita in cui viveva in particolare l’alto clero; ritorna
da questo viaggio con molti dubbi, una sorta di crisi spirituale che cerca di risolvere con i mezzi che la
tradizione della Chiesa cristiana metteva a disposizione per chi si trovava in momenti di difficoltà interiore
ed erano sostanzialmente due: la via della penitenza e la via del misticismo. La prima si impernia su uno dei
sette sacramenti, quello della confessione che sempre di più nel corso del Medioevo aveva visto uno
slittamento dal concetto di ‘contrizione’ a quello di ‘attrizione’: quando un fedele sa di aver commesso dei
peccati va a confessarli al proprio parroco di riferimento e riceve delle penitenze da assolvere per purificarsi;
però si deve essere davvero contriti, cioè si deve avere davvero rimorso per il peccato compiuto. Invece, nel
corso del Medioevo, molti scrittori ecclesiastici avevano insistito piuttosto sull’attrizione, cioè sul rammarico
per il peccato non perché se ne era coscienti quanto per la paura delle pene (l’inferno in particolare). Lutero
era piuttosto scettico sulla reale importanza della penitenza per il fatto che si confessavano solo i peccati
evidenti ma secondo lui c’erano anche quelli occulti persino alle stesse persone che andavano a confessarli
non rendendosi conto di aver agito in maniera scorretta oppure non ritenendo di averlo fatto. Un terzo
elemento è la cosiddetta ‘soddisfazione’, cioè l’assolvere a quelle pene che il confessore impone al pentito,
ritenuto da Lutero un elemento debole perché nessuno può fare un’adeguata ammenda nei confronti del
peccato che ha commesso. La seconda via è quella del misticismo, un abbandono completo dell’uomo nei
confronti della divinità (la rappresentazione più bella nella storia dell’arte è ‘L’Estasi’ di Santa Teresa del
Bernini che si trova a Santa Maria della Vittoria); vi è un’unione intima di Dio che porta a far sì che l’uomo
tocchi il momento culminante della vicinanza fra sé stesso e la divinità. Unica condizione del misticismo è
quella di arrendersi completamente con amore a Dio; Lutero prova entrambe le vie ma alla fine contesta sia
l’una che l’altra. Ciò che il suo confessore gli impone come penitenza per questa contestazione è il fatto di
diventare da una parte predicatore e dall’altra di impiegarsi come docente di studi biblici presso l’università
di Wittenberg in Sassonia. Il primo corso che tiene tra il 1513 e il 1515 riguarda proprio i Salmi, quella parte
dell’Antico Testamento che riunisce appunto i Salmi penitenziari e commentandoli durante le lezioni scopre
quella che viene identificata come la ‘teologia crucis’, grazie al commento del Salmo XXII che riporta una
frase riutilizzata da Cristo nel momento in cui era nell’orto dei Getsemani, “Dio mio Dio mio perché mi hai
abbandonato?”. Grazie a questo commento scopre che l’incarnazione e la redenzione, cioè la decisione di
Dio di farsi uomo nella figura di Cristo dopo la Resurrezione, sono i momenti che avvicinano maggiormente
Cristo-Dio all’uomo e che lo distanziano dal Padre. Lutero individua il punto in cui la divinità ha toccato la
miseria: la discesa di Cristo sulla terra, la sua passione, morte e resurrezione; per lui questo è il vero miracolo
della fede cristiana. Da qui una svalutazione della ragione; credere e avere fiducia in Dio è l’unico compito
dell’uomo che solo per la sua fede sarà salvato. Si contrappongono quindi due differenti tradizioni dottrinali
che si erano sviluppate nella storia del cristianesimo: la prima, preceduta dalle epistole di San Paolo nel
Nuovo Testamento, è quella che faceva capo agli scritti di Agostino D’Ippona (frati agostiniani), la quale
sostiene che l’uomo non può fare nulla per garantirsi la salvezza eterna perché è una decisione che viene
presa da Dio; la seconda è quella che faceva riferimento alla figura di Tommaso D’Aquino, appartenente ai
domenicani e che aveva sostenuto che è vero che tutto dipende da Dio ma l’uomo, con le sue capacità e con
il buon operare, può in qualche modo contribuire alla sua salvezza. Se i primi restringono gli ambiti del
libero arbitrio, il secondo invece cerca di salvaguardarlo il più possibile. La conclusione è che Lutero è più
teso ad abbracciare la prima tradizione. Le sue 95 tesi hanno al loro interno un appello al sentimento
nazionale tedesco che secondo Lutero era offeso dallo sfruttamento non solo da parte del papa di Roma ma
anche dei vescovi e principi tedeschi del sistema delle indulgenze e poi la negazione della giurisdizione del
papa sul Purgatorio, quel nuovo elemento che era stato ‘inventato’ nel corso del Medioevo, grazie anche alla
nascita del nuovo ceto sociale della borghesia. Tutto ciò si basa su una teoria secondo la quale i santi,
insieme a Cristo, hanno acquisito durante la loro vita dei meriti in eccedenza elargiti da Dio ai papi affinché
li usino a vantaggio dei peccatori, dietro però il pagamento in denaro di determinate somme che aiutino
maggiormente il raggiungimento dell’obiettivo. Riguardo il sistema delle indulgenze, nel corso del
Medioevo, si erano sviluppate 3 teorie: la prima era che il papa poteva solo rimettere le penitenze da lui
stesso imposte in terra; la seconda era che il potere del papa si estendeva anche alle anime del Purgatorio, le
cui pene potevano essere da lui ridotte mediante degli aiuti in denaro da parte dei parenti vivi e, infine, la
terza riguardava non solo il condono ma anche il perdono dei peccati, dando un potere spropositato alla
figura del pontefice. È sulla seconda ma soprattutto sulla terza di queste teorie che si scaglia Lutero
all’interno delle 95 tesi, aderendo solo alla prima. Inoltre, egli evidenzia che il peccatore non ha scampo e
non può sfuggire al castigo divino ma l’unica via di salvezza è la Parola di Cristo ricevuta attraverso la fede.
 FONDAMENTI E SVILUPPI
La riforma luterana è il frutto di un percorso di riflessione personale e di eventi esterni che hanno condotto
verso esiti che forse lo stesso riformatore non si attendeva. Vi sono dei capisaldi che possono essere
sintetizzati con alcune espressioni: la prima è quella del ‘sola scriptura’, cioè Lutero è convinto del primato
assoluto delle Sacre Scritture come unico punto di riferimento per il cristiano. Tutto quello che è stato scritto
dopo sono aggiunte che però nella sostanza sono anzi responsabili degli esiti negativi dello sviluppo del
cristianesimo nel corso del Medioevo; su tutto ci deve essere l’autorità della Sacra Scrittura: Dio si è rivelato
nell’incarnazione, crocifissione, morte e resurrezione di Cristo. Un altro caposaldo può essere sintetizzato
con l’espressione ‘sola fide’, vale a dire che l’uomo si salva solo se ha fede; l’uomo non ha alcun merito e
per la sua salvezza eterna l’unica cosa è quella di accettare la fede e la Parola di Dio. Infine, vi è l’ambito
sacramentale, quel lungo percorso che la Chiesa cristiana aveva intrapreso dando vita a quell’apparato
sacramentale che però per Lutero era solo un modo da parte della Chiesa di Roma di tenere più sotto
controllo i fedeli. Per lui il sacramento è il segno visibile di una grazia invisibile, quella della divinità; dei 7
sacramenti che la Chiesa aveva acquisito, egli ne mantiene solamente due. Il sacramento del matrimonio non
è più ritenuto tale da Lutero perché lui sa che è un istituto presente anche presso civiltà che non riconoscono
il cristianesimo come religione; il sacramento dell’ordine, quello grazie al quale si accede allo stato
ecclesiastico, Lutero ritiene che non sia stato istituito da Cristo, anzi secondo lui tutti i cristiani sono
sacerdoti; ciò fa sì che ci sia un’abolizione del clero secolare, i preti e del clero regolare, i monaci, i frate, le
monache e le suore e che quindi i protestanti individuino all’interno delle loro comunità delle guide,
chiamate ‘pastori’, persone delegate a spiegare la Parola di Dio durante i momenti di riunione della comunità
dei fedeli. L’estrema unzione, con l’olio santo, che viene data ai moribondi per Lutero non è altro che una
superstizione, in quanto viene utilizzato un elemento materiale come l’olio attribuendogli delle funzioni
salvifiche; la cresima, cioè il momento della confermazione, non è altro che un rito di passaggio e infine
penitenza e confessione non sono necessari. I sacramenti che invece rimangono validi sono il battesimo, cioè
il sacramento che ci introduce nella comunità cristiana e l’eucarestia, quello che ci fa accostare
maggiormente alla divinità. Il primo viene mantenuto perché Lutero è convinto che Dio può accordare la
fede anche a un neonato che in quel momento non ne ha consapevolezza e soprattutto non può decidere
autonomamente e consapevolmente; un ulteriore elemento è il fatto che si è creato anche il coagularsi di
legami che esorbitano l’ambito prettamente religioso perché i neonati che vengono battezzati solitamente lo
sono anche alla presenza di un padrino e/o di una madrina, ovvero figure che dovrebbero aiutare, sorreggere
e accompagnare il fanciullo nel suo percorso di fede per poter far parte della comunità cristiana (non
venivano scelti a caso). Per quanto riguarda il secondo, invece, Lutero ritiene che l’eucarestia sia una forma
di ringraziamento per la grazia ricevuta dall’altro (la radice etimologica di questo termine è la ‘buona
grazia’) in cui però non vi è alcun sacrificio perché l’uomo non presenta nulla a Dio, l’unico legittimato a
dare; Lutero non nega la presenza reale della divinità nell’ostia consacrata ma la interpreta in maniera
diversa rispetto alla Chiesa cattolica: al dogma della transustanziazione egli oppone la teoria della
consustanziazione, cioè nel momento in cui vengono consacrati il pane e il vino, questi due elementi
materiali non si trasformano in sangue e corpo di Cristo come credeva la Chiesa cattolica ma è vero che in
quel momento si ha la reale presenza di Dio all’interno della comunità dei fedeli che sta assistendo a
quell’evento e quindi il compito del pastore è quello di far vedere ai fedeli che seguono la Messa che c’è
questa presenza reale. Ultimo elemento è il fatto che è un rito di vicinanza con Dio e con Cristo e anche di
solidarietà con i fedeli.
Un ulteriore aspetto relativo al modo in cui Lutero concepisce questa nuova forma di cristianesimo riguarda
le questioni etiche e morali e la domanda che gli hanno posto i suoi contemporanei è: se l’uomo non può
aiutare in qualche modo sé stesso con le opere buone ad acquisire la salvezza eterna, che fine fa l’etica, la
morale? Perché ovviamente ci si potrebbe comportare in maniera disonesta e malvagia e non poter far nulla
per andare incontro alla dannazione eterna perché è un qualcosa su cui l’uomo non riesce ad avere alcun tipo
di presa. Lutero risponde che all’interno del cristianesimo vi è un punto focale riferendosi al quale ogni
cristiano ha una sorta di faro che lo può aiutare a mantenere una condotta di vita il più possibile onesta e
corretta. Lo Stato è l’unica autorità per lui alla quale Dio ha concesso di poter punire i malvagi e proteggere i
buoni; si stabilisce quindi un’endiadi tra Chiesa e Stato in cui la prima si appoggia al secondo e sarà
condizionata dalle prese di posizione dello Stato per il mantenimento dell’ordine pubblico. Lutero quindi
sottolinea che il cristiano non può prendere le armi per la difesa della religione ma lo deve fare solo se è
autorizzato da parte delle autorità pubbliche e sarà anche per questo che condannerà le rivolte sociali alle
quali la diffusione del suo messaggio e della sua dottrina daranno vita in ambito germanico: quelle dei
cavalieri, dei nobili e dei contadini. Nei confronti di quest’ultimi egli sarà molto più duro e deciso e scriverà
che lo Stato ha tutto l’appoggio da parte sua nell’intervenire in maniera anche molto violenta per far sì che
queste rivolte rientrino e che i rivoltosi vengano condannati. Quest’alleanza tra Chiesa e Stato ebbe due
differenti conseguenze: da una parte il ‘cesaropapismo’, cioè la possibilità da parte del potere politico di
acquisire e utilizzare degli elementi che gli vengono dal potere religioso; dall’altra il dar vita a delle vere e
proprie teocrazie e sarà una delle strade percorse dal calvinismo. Nei regimi teocratici è il potere religioso
che si assume compiti che normalmente pertengono a quello temporale o civile; nell’ambito del calvinismo
queste forme teocratiche saranno incarnate in assemblee di anziani (Ginevra) che si porranno come le
massime autorità in ambito locale.

ZWINGLI E IL PROTESTANTESIMO IN SVIZZERA


Dall’iniziale frattura dovuta a Martin Lutero la frantumazione continua dando vita a quell’insieme di chiese
riformate che, negli anni successivi alla pubblicazione delle 95 tesi, si espandono sul continente europeo. Il
primo riformatore subito dopo Lutero fu Zwingli, di origine svizzera che nella vita faceva il sacerdote; era
un sacerdote un po' particolare legato al mestiere per eccellenza, dopo l’allevamento del bestiame, degli
svizzeri dell’epoca: il mestiere delle armi. È cappellano militare delle truppe svizzere che fra gli anni ’10 e
gli anni ’20 del ‘500 sono impiegate nelle cosiddette “guerre d’Italia’ ed egli in particolare parteciperà nel
1515 alla battaglia di Marignano, cioè Melegnano alle porte di Milano in un esercito al soldo del papa
dell’epoca, Leone X, appartenente alla famiglia dei Medici di Firenze. Una volta rientrato in patria, Zwingli
comincia ad essere influenzato dalle notizie che provengono dall’area germanica e nella sua predicazione a
Zurigo comincia a diffondere le teorie e le tesi luterane, arrivando alla riforma tramite un percorso molto più
centrato sugli studi umanistici; infatti, l’altro suo importante punto di riferimento è rappresentato da Erasmo
da Rotterdam che nel 1516 aveva pubblicato un’edizione in più lingue del Nuovo Testamento, diventata un
punto di riferimento anche per gli studi di filologia. I due pilastri della decisione di Zwingli di aderire al
protestantesimo sono da una parte Erasmo da Rotterdam, che però continuerà a rimanere cattolico seppur da
una posizione molto critica e dall’altra Martin Lutero. Il punto di riferimento iniziale è rappresentato dagli
scritti di San Paolo dalle quali trae anche una visione che lo avvicina sempre di più da una teoria, quella della
predestinazione, cioè il fatto che, fin dalla nascita, ciascun uomo e ciascuna donna è già predestinato
all’Inferno o al Paradiso, alla beatitudine o alla dannazione eterna. Un’altra caratteristica importante che lo
distingue è la sua accentuata adesione a una visione patriottica della sua nazione; la Svizzera fin dal 1295 si
era resa semi-indipendente dal Sacro Romano Impero pur continuando a farne parte e, alla fine del ‘400,
questa sua indipendenza era stata riconosciuta anche dall’imperatore Massimiliano I d’Asburgo. Zwingli lega
fortemente questa visione anche ad una rilettura dell’Antico Testamento avvicinando la sua patria all’antico
Israele che, dopo la fuga dall’Egitto grazie alla guida di Mosè arriva a stabilirsi nella Terra Santa e nel
Vecchio Testamento fuoriesce come il ‘popolo eletto’ che fonda la sua identità da una parte sulla terra
promessa e dall’altra sul sangue, tanto è vero che ancora oggi l’ebraicità si trasmette tramite la discendenza
materna. C’è in Zwingli una sorta di congiunzione tra quello che era stato il popolo di Israele nell’antichità e
quello che fu il popolo svizzero che decide di aderire alla riforma protestante. La sua riforma punta piuttosto
verso un rinnovamento del cattolicesimo fondato sulla preminenza della Sacra Scritture, e in particolare su
una spiegazione ai fedeli del Vangelo, e sull’abolizione delle caratteristiche fondamentali del cattolicesimo:
durante tre dispute che avvengono nel 1522 a Zurigo si arriva alla decisione di abolire la celebrazione della
Messa, di sotterrare tutte le reliquie che riempivano le chiese della cattolicità ma il cui culto veniva ritenuto
dai protestanti come un qualcosa di superstizioso, la rimozione di tutte le immagini sacre dalle chiese e
l’abolizione del digiuno quaresimale e quindi la possibilità di mangiare anche la carne durante questo
periodo. Un altro elemento che contraddistingue il protestantesimo è l’abolizione del clero e di conseguenza
del celibato ecclesiastico; si tratta quindi di una riforma molto più rigorosa che giunge fino alla negazione
della presenza reale di Cristo nell’eucarestia. Zwingli non parla più né di transustanziazione né di
consustanziazione ma sostiene che Dio può essere adorato solo in spirito. L’abolizione della Messa non
significa che i fedeli non continuassero a riunirsi durante i giorni festivi per pregare insieme ma questa
riunione era incentrata soprattutto sull’ascolto e sulla spiegazione della Parola di Dio; non c’è più una
liturgia che anima la celebrazione eucaristica. Zwingli ritiene che i sacramenti non siano qualcosa di sacro
bensì segni di appartenenza a una comunità, facendo quindi riferimento al modo in cui gli ebrei interpretano i
loro riti (es: la circoncisione del prepuzio del pene dei bambini piccoli è un segno dell’appartenenza alla
comunità del popolo eletto; osservanza della Pasqua, in stretta concomitanza con quella cristiana). Dal punto
di vista politico quella che si forma è una vera e propria teocrazia, cioè la preminenza dell’elemento religioso
su quello temporale; Zwingli cerca di fare in modo che anche altre aree della Svizzera aderiscano alla sua
forma di protestantesimo mediante una propaganda missionaria, la quale ha più successo nel Nord piuttosto
che nel Sud. Si crea quindi una spaccatura tra coloro che aderisco al protestantesimo riformato e coloro che
invece rimangono fedeli al papa di Roma; da una parte i cantoni rimasti cattolici individuano come loro
protettori gli Asburgo d’Austria e dall’altra i riformati cercano appoggio dai principi tedeschi che hanno
aderito al luteranesimo. Una prima battaglia si ha in una località svizzera chiamata Kappel nel 1529 in cui
però le due parti contrapposte decidono di arrivare ad una tregua; si cerca di rinsaldare maggiormente i
legami con i luterani tedeschi da parte dei quali vi è una chiusura netta in quanto Lutero sostiene che l’uomo
non deve impugnare le armi di sua iniziativa, poiché questa spetta allo Stato, e soprattutto non lo deve fare in
difesa della religione. Nonostante ciò essi cercano di parlarsi e lo fanno riunendosi nella città tedesca di
Marburgo che si trova nella regione dell’Assia, una di quelle che aveva aderito al luteranesimo, attraverso
una conferenza che si svolge sempre nel 1529 ma che non arriva ad un accordo; il maggior punto di
disaccordo è proprio sul modo di interpretare il sacramento dell’eucarestia che costituirà sempre il maggior
punto di contrasto. In questo caso Lutero e i luterani decidono di non aderire alla visione estrema sulla Messa
perché questo avrebbe rappresentato una chiusa totale nei confronti di futuri eventuali accordi con i cattolici.
Si verifica una seconda battaglia di Kappel nel 1531 durante la quale Zwingli trova la morte e questo evento
drammatico fa sì che i cantoni svizzeri decidano di trovare un modus vivendi molto in anticipo rispetto a
quello che succederà nelle aree germaniche dell’impero: una sorta di compromesso secondo il quale nei
cantoni a maggioranza protestante le minoranze cattoliche siano consentite, mentre in quelli che hanno
continuato a rimanere obbedienti alla Chiesa di Roma non sia possibile che convivano con i cattolici delle
minoranze di protestanti. In questo modo si riesce ad arrivare ad una stabilizzazione della situazione: nella
parte sud e in quella centrale continuano a rimanere cantoni fortemente legati al cattolicesimo, mentre in
quella settentrionale vi sono cantoni passati alla confessione religiosa riformata. Vi sono però anche dei
cantoni a religione mista, come il Vescovato di Basilea, quello di Sangallo e infine, quello in assoluto più
esteso, è il Canton Grigioni di cui fa parte anche la Valtellina, a prevalenza cattolica.

CALVINO E IL CALVINISMO
Il terzo grande riformatore è Giovanni Calvino, o per meglio dire Jean Calvin, che nasce nel 1509, non fa
parte del clero ma è un avvocato e la sua adesione alla riforma non avviene in Francia bensì in ambito
svizzero, in particolare a Ginevra, città francofona. Nel 1534 Calvino è costretto ad abbandonare
precipitosamente Parigi e la Francia a causa di uno scandalo relativo ad un avvenimento denominato
“l’affair de placards”, cioè fogli volanti che vengono fatti trovare sul percorso che il re di Francia Francesco
I compie tutte le mattine per recarsi ad assistere alla celebrazione della Messa e che come contenuto hanno
una forte critica nei confronti della Messa intesa secondo la dottrina cattolica. Alcuni compagni di Calvino
perdono la vita a causa di questo affronto, Calvino invece riesce a fuggire e si rifugia in quell’oasi di libertà
che era la Svizzera dell’epoca. Non approda subito a Ginevra ma una prima tappa del suo percorso da esule
si situa nella città svizzera di Basilea dove, due anni dopo, nel 1536, pubblica quello che da molti è ritenuto
uno dei testi fondanti del protestantesimo: la ‘Institutio christianae religionis’, l’istituzione della religione
cristiana dove condensa le basi del suo modo di concepire il protestantesimo, che da lui prenderanno il nome
di ‘calvinismo’. Tutte queste confessioni religiose sono cristiane, cioè dal 1517 non c’è più come prima
un’equivalenza tra cristianesimo e cattolicesimo, ma quest’ultimo è solo una delle confessioni cristiane.
Calvino condivide con Lutero una concezione pessimistica dell’uomo dalla quale però trae un invito ad agire
nel mondo, a fare, a produrre; ciò si lega ad un rifiuto della concezione escatologica. Calvino ritiene che si
possa fondare l’instaurazione del regno di Dio sulla terra grazie al gruppo degli ‘eletti’, coloro che vengono
scelti e che possono essere riconosciuti mediante alcuni indizi: la professione di fede, cioè il credo, la
partecipazione ai sacramenti e la correttezza di vita, ovvero la possibilità di comportarsi in maniera il più
possibile corretta nella vita quotidiana. Accanto a questi temi vi è poi l’acquisizione della teoria della
predestinazione: Calvino ritiene che gli uomini e le donne siano già fin dalla nascita dannati o salvati e ciò fa
sì che l’uomo non debba gettarsi nella disperazione oppure nella gioia ma deve piuttosto indirizzare tutte le
sue energie a onorare Dio. Calvino crede che esista una distanza assoluta tra Dio e l’uomo; l’uomo elemento
che permette di congiungere questi due mondi completamente separati tra di loro è la fede che Calvino
traduce come una grazia gratuitamente ricevuta da Dio, la quale riesce con la sua forza a piegare anche la
volontà umana, detta infatti ‘irresistibile’, e allo stesso tempo concede agli uomini la perseveranza, facendo
sì che gli eletti, una volta commesso un peccato e poi pentitisi, abbiano un aiuto per evitare di cadere
nuovamente nel peccato. La teoria della predestinazione è più una teoria calvinista, cioè non si trae
direttamente dagli scritti di Calvino quanto piuttosto dal dibattito che si è sviluppato intorno a questi scritti;
la teoria secondo la quale tra gli indizi che possono far propendere una persona a ritenere di essere stata
ricompresa all’interno del gruppo degli eletti ci sia il successo negli affari e il legare questo successo a nuove
modalità di vita nel sociale e in ambito economico ha fatto sì che parecchi secoli dopo, in un testo pubblicato
tra il 1904 e il 1905 da Max Weber (filosofo e sociologo tedesco) e intitolato ‘L’etica protestante e lo spirito
del capitalismo’, egli legasse lo sviluppo del capitalismo alla possibilità che in certe regioni d’Europa il
calvinismo sia stato accolto in concorrenza con il cattolicesimo, dando una spinta in più all’individualismo
economico, all’imprenditorialità.
Calvino approda definitivamente a Ginevra dove viene istaurata una vera e propria teocrazia, che prende il
nome di ‘Repubblica dei Santi’ e la città diventa il punto di riferimento del protestantesimo in tutta Europa
dalla metà del ‘500 in avanti. A capo di questa repubblica vi era un consiglio degli anziani che decideva sia
dal punto di vista della politica religiosa che di quella temporale ma che portò a sviluppare forme di
intolleranza contrarie e uguali a quelle che nello stesso periodo stava sviluppando la Chiesa cattolica di
Roma con il Tribunale dell’Inquisizione. Anche a Ginevra quindi si mandano a morte i dissenzienti: uno dei
nomi più noti è quello di uno spagnolo, Miguel Serveto, un anti-trinitario, ovvero disconosceva il dogma
della Santissima Trinità; egli dice che nel Vangelo non è assolutamente presente la possibilità che la divinità
sia composta da tre persone con un’unica sostanza e per queste sue idee che, decide di non ritrattare, verrà
mandato a morte. Calvino ritiene che i sacramenti debbano rimanere un veicolo di comunione con Dio e di
solidarietà con i fratelli e quindi non possono essere ritenuti semplici cerimonie commemorative e, in
maniera simile a Lutero, mantiene solo due sacramenti che sono gli stessi: il battesimo e l’eucarestia. Per
quanto riguarda il primo, decide di mantenerlo perché trova degli elementi di giustificazione all’interno del
Nuovo Testamento, in particolare nell’episodio in cui Gesù rimprovera i propri discepoli che cercavano di
allontanare un gruppo di bambini schiamazzanti che volevano avvicinarlo; per lui eliminare il battesimo
sarebbe equivalso ad un misconoscimento della misericordia divina mentre i cristiani hanno il dovere di
educare i bambini nella legge di Dio e somministrargli il Vangelo fin da neonati. Per quanto riguarda il
secondo anche lui non riconosce la consustanziazione e quindi ritiene che il pane e il vino non diventino il
corpo e il sangue di Cristo ma crede comunque che siano dei segni di comunione del fedele con Cristo; non
c’è più la presenza reale della divinità bensì la partecipazione reale alla vita e ai benefici che all’umanità
sono stati elargiti dalla discesa di Dio sulla terra. A questo punto viene quindi a cadere l’ingestione materiale
dell’ostia consacrata che Lutero aveva mantenuto e che invece Calvino non prevede più. Ancora nel ‘500 il
protestantesimo è diffuso nella parte centrale e orientale della Germania di oggi, mentre tutto il resto
(Fiandre, Boemia, Ungheria e Polonia) continua a rimanere cattolico; alla vigilia della Guerra dei Trent’anni
la repubblica delle 7 province unite, l‘Olanda di oggi, è passata dal cattolicesimo al protestantesimo
soprattutto nella sua versione calvinista sottraendosi anche alla dominazione spagnola grazie alla Guerra
degli Ottant’anni. Altre aree che, nel 1618, diventano di religione mista sono da una parte il regno di Boemia
e dall’altra quella piccola fetta del regno di Ungheria rimasta sotto il dominio degli Asburgo.

ENRICO VIII E L’ANGLICANESIMO


A Londra avviene uno scisma dalla Chiesa di Roma abbastanza particolare per vari motivi, il primo dei quali
è legato alla figura di colui che sceglie la separazione: Enrico VIII, re d’Inghilterra dal 1509 al 1547. È
differente rispetto alle altre forme di protestantesimo, in quanto non è più legata alla figura del riformatore
bensì allo spazio all’interno del quale si installa, tanto è vero che si parla di ‘ anglicanesimo’. Lo scisma
anglicano è sui generis anche per il fatto che è una soluzione ispirata al sincretismo, ovvero la possibilità di
mettere insieme, creando dei compromessi, elementi fondanti di una confessione religiosa insieme a quelli di
un’altra; è un sincretismo che ha una motivazione ben precisa in ambito inglese: a differenza del continente
dove si privilegia una sistemazione territoriale in cui si punta sulla compattezza dottrinale a scapito però
dell’unità territoriale, l’Inghilterra privilegia una sistemazione sincretistica in cui il nucleo deve essere l’unità
dello Stato a spese però di una chiarezza dottrinale. Essa non era lacerata da contrasti confessionali molto
forti come gli altri paesi europei continentali; ciò che però causa problemi nei primi decenni del ‘500 è il
fatto che il papato è finito sotto il controllo dell’imperatore del Sacro Romano Impero Carlo V, in
particolare a partire dal 1527, passato alla storia come l’anno del Sacco di Roma da parte dei lanzichenecchi
al soldo di Carlo V. La riforma anglicana ha un percorso più lungo e travagliato rispetto alle altre riforme
protestanti continentali e proviene da un’occasione ben precisa: la richiesta di annullamento del matrimonio
che Enrico VIII aveva contratto con la principessa spagnola Caterina d’Aragona, a causa del fatto che non
aveva avuto da quest’ultima dei figli maschi per trasmissione ereditaria del potere. Egli si appiglia al fatto
che fosse stato costretto a sposare Caterina, la quale prima era stata data in moglie al fratello primogenito
Arturo, nel 1501, che però era morto precocemente; il padre non volendo restituire metà della dote che era
già stata ricevuta dalla Spagna, costringe il figlio a sposare Caterina. Il matrimonio dura abbastanza a lungo;
sarà solo nel corso degli anni ’20 e all’inizio degli anni ’30 che Enrico VIII porrà il problema di un
annullamento del matrimonio per poter sposare un’altra donna che gli desse finalmente il tanto agognato
figlio maschio. Il papa dell’epoca, lo stesso Clemente VII che si era visto saccheggiare Roma dalle truppe
imperiali non può sciogliere il matrimonio per un fatto ben preciso: Caterina, oltre ad essere regina
d’Inghilterra, è soprattutto zia dell’uomo più potente d’Europa, Carlo V. Si cerca di convincere la regina a
ritirarsi a vita privata in un monastero, cosa che avrebbe facilitato l’accoglimento della richiesta di Enrico
VIII ma anche questa soluzione non viene accettata. Il re, quindi, comincia a mettere in campo tutta una serie
di azioni indirizzate verso il rafforzamento del potere regio a scapito dell’obbedienza dei suoi sudditi nei
confronti del capo della Chiesa; viene di nuovo rimesso in vigore un divieto che già esisteva per il clero
inglese di presentare appello in ultima istanza alla Chiesa romana per cause originate all’interno del regno
d’Inghilterra e si stabilisce che senza il consenso del re quest’ultimo appello a Roma non può essere portato
avanti. Inoltre, si cerca di ridurre i tributi che annualmente affluivano dall’Inghilterra verso le casse della
Chiesa romana mettendo in campo anche la decisione del Parlamento inglese, il quale approva la riduzione di
questo flusso di denaro. Terzo elemento è la nomina da parte di Enrico VIII di un arcivescovo di Canterbury:
Thomas Cranmer, filo-luterano. Infine, nel caso in cui il papa avesse lanciato la scomunica sul regno
d’Inghilterra (chiese chiuse, no sacramenti, ecc…), Enrico VIII si fa giurare dal clero che quest’ultimo
continuerà ad amministrare i sacramenti e a celebrare le Messe; anche in questo caso il Parlamento approva
questo obbligo. L’Inghilterra è sempre stata caratterizzata da un forte anticlericalismo, che però non si era
legato all’inizio del ‘500 ad un’importante penetrazione del protestantesimo. Accanto a queste decisioni, si
arriva a degli atti di rottura veri e propri tra cui: nella primavera del 1534 la promulgazione da parte di
Enrico VIII dell’atto di successione che prevedeva l’annullamento del matrimonio con Caterina e la
possibilità di sposare Anna Bolena. Nel novembre di quello stesso anno, 1534, si arriverà alla rottura
definitiva con la promulgazione dell’atto di supremazia, in cui lui stesso si dichiara capo della Chiesa
anglicana incarnando quindi il ‘cesaropapismo’. Enrico VIII però non si arroga il diritto di consacrare i
vescovi, li sceglie ma fa sì che vengano consacrati dall’arcivescovo di Canterbury che a quel punto diventa,
dopo di lui, la figura più importante; Enrico VIII non vuole quindi essere un re-sacerdote. Le immediate
conseguenze sono innanzitutto l’oppressione di tutti i monasteri e di tutti i conventi, cioè viene soppresso
quello che viene chiamato il ‘clero regolare’ al contrario del ‘clero secolare’, dunque continua ad esserci una
gerarchia ecclesiastica. Questa soppressione è facilitata dalla scarsa stima di cui godevano monaci e frati
all’interno della popolazione e così il re ha la possibilità di incamerare i beni dei conventi e monasteri
soppressi e di venderli oppure donarli agli aristocratici di corte. Altra importante conseguenza è
l’imposizione all’interno di ogni chiesa della presenza di una Bibbia in inglese, tradotta dai sudditi di Enrico
VIII. Conseguenze negative, invece, sono la brutta fine che faranno gli oppositori alla decisione del re di
separarsi dalla Chiesa di Roma e ci furono anche delle vittime illustri: Tommaso Moro e il cardinal Fisher, i
quali decidono di non aderire all’anglicanesimo in nome della libertà di coscienza, in quanto ritengono che la
decisione di essere cattolici sia una norma vincolante e non relativa e quindi neppure il proprio sovrano
legittimo ha la possibilità di entrare nelle coscienze di ciascun individuo e di imporre determinate decisioni;
entrambi però troveranno la morte. Il re non vuole che allo scisma si accompagni anche la possibilità di
abbracciare in toto gli elementi fondanti del protestantesimo, infatti nei 6 articoli che promulga nel 1539
prevede la punizione con la morte di coloro che non riconoscono la presenza reale di Cristo nell’eucarestia e
non prevede la possibilità del matrimonio da parte dei preti. Enrico VIII muore nel 1547 e gli succede l’unico
figlio maschio, Edoardo VI, il quale diventa però sovrano solamente all’età di 9 anni e morirà 6 anni dopo,
per cui viene coadiuvato dai reggenti che sono il duca di Somerset e poi il duca di Northumberland. In questi
anni si passa dallo scisma alla vera e propria eresia, prima con l’assunzione di elementi del luteranesimo e
poi con quelli dello zwinglianesimo e del calvinismo. Un elemento che fa capire questo passaggio è un testo
liturgico opera dell’arcivescovo di Canterbury, intitolato ‘Book of Common Prayer’, ‘Il libro della preghiera
comune’; una prima edizione nel 1549 improntata ai dettami del luteranesimo e una seconda edizione nel
1552 in cui invece si passa a elementi più vicini al calvinismo. Ci sarà una pausa e un tentativo di ritorno al
cattolicesimo con la sorellastra di Edoardo VI, che muore nel 1553, la regina Mary, figlia di Caterina
d’Aragona, ma che a causa della durata limitata del suo regno, solamente 5 anni, dal 1553 al 1558, non riesce
nel suo intento e dal 1158 in avanti, con l’accesso al trono di Elisabetta I, figlia di Anna Bolena, si opta
definitivamente per una confessione religiosa sincretistica in cui si mantengono elementi del cattolicesimo e
si crea un connubio con elementi provenienti dalle confessioni religiose protestanti. Il nuovo testo liturgico
che Elisabetta promulga si limita a mettere insieme elementi delle due edizioni; ciò a cui tiene di più è l’unità
del regno, diventando l’incarnazione del nazionalismo inglese, sulla base dell’idea che contava di più la
sicurezza e la tranquillità del regno piuttosto che divisioni e contrasti. Nel 1570 papa Pio V scomunicherà la
regina Elisabetta; da quel momento in poi e tutt’oggi la Chiesa anglicana è separata da quella di Roma.
La Controriforma e il Concilio di Trento
Il termine Controriforma è stato coniato ed è stato frutto di un forte dibattito su come si dovesse chiamare la
risposta della Chiesa di Roma, se chiamarla “controriforma” o “riforma cattolica”. Il termine è entrato
nell'uso comune comparendo all'interno di un manuale universitario redatto da Johann Stephan Putter che
indica con il termine di “controriforma” il tentativo di riportare i protestanti all'obbedienza nei confronti del
cattolicesimo, che si dipana in un arco di tempo che val dal 1555 al 1648. Il 1555 è l'anno in cui il fratello di
Carlo V, Ferdinando, e i protestanti firmano la Pace di Augusta; questa è sintetizzata da una frase latina
“cuius regio, eius religio” → ciascun fedele è obbligato a seguire il credo religioso del proprio principe
naturale. Chi non vuole convertirsi, deve vendere i suoi beni ed emigrare in un altro Stato. La Pace di
Augusta segna il consolidamento di una spaccatura tra un'Europa Luterana e una Cattolica e fedele. Il 1648 è
l'anno in cui si conclude la Guerra dei Trent'anni (1618-1648). Una tra le più importanti motivazioni che
danno il via a questa guerra è che, nella Pace di Augusta, non era stato riconosciuto il calvinismo. L'evento
cardine della risposta della Chiesa di Roma fu la decisione molto sofferta di convocare un Concilio
ecumenico. L'autorità universalistica maggiormente interessata al riavvicinamento di Cattolici e protestanti è
l'imperatore del Sacro Romano Impero, Carlo V. Carlo V era interessato all'attuazione di una riconciliazione,
per questo stimola il Papa di Roma, prima Clemente VII poi Paolo III. Nella seconda metà degli anni 30 e
all'inizio degli anni 40 si inizia a pensare a delle città che avrebbero potuto ospitare il Concilio: prima
Vicenza, poi Mantova, alla fine si sceglie la città di Trento. Trento viene scelta rispetto altre due perché era
formalmente all'interno del Sacro Romano Impero e, allo stesso tempo, è geograficamente all'interno della
Penisola Italiana. Il Concilio si riunisce nel 1545 e si possono distinguere tre fasi: 1545-1548, 1551-1552,
1562-1563. Formalmente, è durato 18 anni, ma in sostanza 7 anni. Durante la prima fase: tutti i padri
conciliari sono italiani, tranne la presenza esigua di due vescovi spagnoli, un vescovo francese, uno inglese e
uno tedesco; il Papa non partecipa di persona ma manda dei legati. Alcuni di questi faranno molta fortuna e
succedettero i Papi stessi, il cardinal Giovanni Maria del Monte, successore di Paolo III con il nome di
Giulio III, e Marcello Cervini, con il nome di Marcello II. I due più importanti problemi da discutere erano:
l'eresia protestante e la riforma della disciplina all'interno della chiesa. Paolo III pensava che fosse troppo
tardi per arrivare ad una riappacificazione; secondo lui, il Concilio doveva essere un momento di
ridefinizione dei pilastri del Cattolicesimo e per ricondurre i territori che erano passati al protestantesimo in
seno alla Chiesa di Roma. Era necessario ribadire i fondamenti del Cattolicesimo, partendo dal ribadimento
di riconoscere tutti i 7 sacramenti. Un altro elemento su cui ci si focalizza è il fatto di affiancare alla Sacra
scrittura anche l'autorevolezza degli scritti dei pontefici, ovvero la tradizione. Un altro dei pilastri del
luteranesimo, la giustificazione per fede, subisce la chiusura da parte della Chiesa, perché si decide di
riaffermare fortemente il valore delle opere come necessarie per acquisire la salvezza eterna. Un altro tema
era quello di come impostare la riforma disciplinare: i primi passi portano subito ad un ostacolo. Il primo
argomento è la residenza dei vescovi nelle diocesi: si doveva dichiarare la residenza dei vescovi come diritto
divino. Su questa spingevano soprattutto i padri conciliari spagnoli, a cui si uniranno anche altri. Dichiarare
la residenza dei vescovi di origine divina era una minaccia all'autorità del Papa, che non avrebbe più potuto
concedere delle autorizzazioni ai vescovi che gli permettevano di rimanere a lavorare all'interno della curia
romana, e li avrebbero costretti a recarsi nelle diocesi che il Papa gli assegnava. Un altro problema: limitare
l'autorità del Papa significava anche affermare la superiorità delle decisione del Concilio di Trento su quelle
del Papa. Paolo III voleva evitare questo quindi si decide di non decidere e i lavori conciliari subiscono un
rallentamento quando, nel 1547, Carlo V ottiene un'importante vittoria contro i principi protestanti alleati
della Sassonia e l'Assia a Norimberga. Questi, insieme ad altri principi, avevano formato agli inizi degli anni
30 alla Lega di Smalcalda, lega militare che aveva l'obiettivo di difendere l'autonomia dei principati
protestanti. Un evento inaspettato, cioè il diffondersi della notizia di un'epidemia, fa sì che Paolo III abbia la
giustificazione allontanare i padri conciliari da Trento, spostandosi a Bologna che, però, fa parte dello Stato
Pontificio. Tra il 1547-1548 si svolgeranno alcune sessioni del concilio a Bologna, ma poi viene sospeso e
riunito dopo la morte di Paolo III, da Giulio III che deciderà di riaprire il concilio di nuovo a Trento, nel
1551 (seconda fase del concilio di Trento. In questa fase, c'è una novità importante: si aggiungono tre
arcivescovi tedeschi e tentano di aggiungersi i protestanti. Non ci riescono perché si fronteggiano sul tema di
come considerare l'Eucaristia. Si formano due differenti partiti: il partito italiano filo-papale e vescovi
spagnoli e tedeschi. Nel 1552, succede un evento inaspettato: Carlo V viene sconfitto dalla Lega di
Smalcalda; così inizia a capire che non sarà possibile far riconciliare cattolici e protestanti, quindi inizia a
pensare alla Pace di Augusta (1555). Giulio III decide di depotenziare i dissidi portati avanti dal partito
spagnolo e tedesco, promettendo una riforma che sarebbe stata affidata da una commissione di cardinali
insediata a Roma con alcuni dei più importanti cardinali dell'epoca. Paolo IV, di simpatie filo-francesi, si
allea con la Francia, provocando nel 1557 l'invasione dello Stato Pontificio da parte dell'esercito imperiale.
Papa Paolo IV passerà alla storia per aver istituito il ghetto di Roma per gli ebrei ed averli obbligati ad
indossare dei pezzi di stoffa gialla. Paolo IV fu uno degli artefici dell'istituzione del Tribunale
dell'Inquisizione e creò uno dei più importanti Indice dei libri proibiti, che proibirà la lettura dei testi dei
riformatori protestanti, ma anche di grandi umanisti rimasti cattolici. La terza ed ultima fase del Concilio si
sviluppa in un periodo in cui il protestantesimo soprattutto calvinista si diffonde in Europa. A Paolo IV
succede Pio IV, particolarmente preoccupati per la diffusione del calvinismo in Francia. I calvinisti francesi,
gli ugonotti, erano una minoranza. Pio IV decide, quindi, di riunire il Concilio a Trento. Non si discute più di
pacificazione tra protestati e cattolici, ma la novità è che si discute della Riforma della Chiesa e disciplinare
del Clero. Si riparte dal problema della residenza vescovile: anche qui una contrapposizione tra vescovi
spagnoli e francesi al partito italiano, che rifiuta di discutere del diritto di vino. Il compromesso viene trovato
aumentando il potere dei vescovi nelle diocesi. C'è un ultimo tentativo di approvare la comunione sotto le
due specie, cioè l'ingestione dell'ostia consacrata e del vino, i tedeschi la chiedano non solo per richiamare i
protestanti ma per evitare che i cattolici diventassero protestanti, ma non viene accettata. Il Partito italiano
riconosce, però, una superiorità del vescovi su tutto il clero diocesano. Un'altra grande novità è la creazione
di strutture educative in cui formare i preti cattolici: nascono così i seminari diocesani in cui far confluire i
giovani chierici che dovranno formarsi per svolgere meglio il loro ruolo. Il rafforzamento dei poteri dei
vescovi si realizza anche con un ampliamento della sua giurisdizione, cioè del suo potere, su strutture che
fino ad allora erano sfuggite al suo controllo; per esempio, i capitoli delle cattedrali e della collegiate. Altri
strumenti nelle mani dei vescovi sono le visite pastorali, che devono essere svolte a intervalli regolari,
almeno una volta all'anno, e prevedono che i vescovi si muovano in tutto il territorio e chieder conto ai preti,
e poi vengono redatti dei verbali. Un altro elemento è il potere di convocare dei sinodi diocesani annuali:
cioè riunire tutti preti. Si permette ai vescovi di sospendere i preti concubinari; inoltre, avevano la possibilità
di imporre la stretta clausura per i monasteri femminili. Il successore di Pio IV è Pio V. Questi emana una
bolla “Circa pastoralis” (1556) in cui è contenuta proprio quest'imposizione della clausura. Molte monache,
quindi, vogliono scappare ma le loro famiglie non sono disposte ad accettarle. Si creano dei disquilibri
sociali in merito a questo; si creano degli ordini femminili nuovi come quelli delle Carmelitane scalze in
Spagna, le Orsoline bresciane di Sant'Angela Merici, Congregazione parigina Notre Dame ecc. Sono ordini
che, a differenza delle monache di clausura, esprimono il loro apostolato aiutando i poveri ecc. Si
aggiungeranno degli ordini maschili anche più importanti di quelli femminili come congregazioni di chierici
regolari, tra questi la Compagnia di Gesù fondata da Ignazio di Loyola nel 1534. Questa ha due obiettivi:
recuperare i protestanti convertiti riportarli al cattolicesimo e creare delle istituzioni educative, i collegi per
l'educazione della nobiltà e dei ceti privilegiati. Altri ordini sono: i teatini, i barnabiti, i somaschi, i
cappuccini, gli scolopi. Un' altro fondamentale punto da ricordare è il Decreto Tametsi che riguarda una
nuova disciplina del matrimonio: i padri conciliatori ritengono di dover normale questo sacramento perché è
importante anche la proposta di matrimonio. Se l'uomo lasciava la donna da sola a crescere un figlio era un
problema, quindi il Decreto riconosce il matrimonio alla presenza di almeno due testimoni e la necessità de
consenso dei genitori solo per la donna al di sotto dei 18 anni e l'uomo al di sotto dei 20; l 'imposizione di
pubblicare i nomi dei promessi sposi qualche settimana prima alle porte della chiesa e la possibilità di
divorzio. Quello che rimane fuori è la Riforma della Curia romana.
Basi storico politiche della storia dell'Europa Occidentale. Europa e Italia alla fine del 400.
Un imperatore europeo che attuerà un tentativo di egemonia fu Carlo V d'Asburgo. La storia europea è
sintetizzata nell'opera “Equilibrio o Egemonia” (1948) di Ludwig Dehio. La storia dell'Occidente si è mossa
tra due differenti spinte: la tendenza all'unificazione, che non ha mai portato ad una vera e propria unità sotto
un unico capo; la tendenza alla frammentazione, che non ha mai condotto ad un vero e proprio
smembramento (unità e pluralità). Per quasi tutto il Medioevo, il problema della frammentazione che non si
ricompone in unità si è posto in maniera abbastanza limitata, i due elementi che si scontravano erano
l'imperatore e il Papa; ad un certo punto, nella metà del XIII secolo, si rafforzano gli Stati nazionali che,
nell'arco di due secoli, fanno concorrenza alla Chiesa di Roma. L'elemento più evidente della sconfitta della
Chiesa è rappresentata dal periodo della cattività avignonese, in cui il Papa si sottomette al volere dei re di
Francia. L'Europa della fine dell'età medievale è molto frastagliata e Carlo V vorrà incidere sempre di più. La
Pace di Lodi (1454), firmata da cinque grandi Stati, il Ducato di Milano e la Repubblica di Venezia, La
Repubblica di Firenze, lo Stato Pontificio e il Regno di Napoli, dando vita alla cosiddetta ”politica
dell'equilibrio”. Queste, infatti, avevano capito che la loro potenza era molto simile, quindi decidono di
mantenere lo status quo, siglando questa pace, che durerà fino al 1594, quando la Francia di Carlo VIII
decise di far valere i suoi diritti sul Regno di Napoli per entrate nella Penisola Italiana e discenderla,
destabilizzando il quadro geopolitico dell'epoca, e di appropriarsene. Sarà un'avventura che non avrà esito
positivo, perché gli Stati, intimoriti dal fatto di cadere sotto il dominio della Francia, si coalizzarono e, nel
1495, nella Battaglia di Fornovo, i francesi furono sconfitti. Questo rappresenta il primo momento di grande
destabilizzazione, dando il via a inediti progetti di egemonia sul continente, che riguarderanno Francia,
Spagna e Sacro Romano Impero. Perché proprio l'Italia? L'Italia era la regione europea dove per prima si era
creato l'umanesimo, diventato poi Rinascimento, e dove era stato possibile recuperare quei residui della
civilizzazione antica greco-romana; era un faro culturale all'interno del continente. Più importante era il
fattore economico, perché l'Italia era un'area di grande sviluppo economico, anche per la sua posizione
geografica che la poneva al centro del Mar Mediterraneo. Il monopolio con le relazione con l'Oriente è un
altro fattore rilevante nell'interesse degli altri Stati. Nella contrapposizione, prima tra la Francia e la Spagna,
rappresentata da Luigi XII e Ferdinando d'Aragona, e dal 1515 Francesco I e Carlo I (1516),è la Repubblica
di Venezia che salva la libertà degli Stati italiani, impedendo che cada prima sotto il controllo dei francesi e
poi degli spagnoli. I nonni di Carlo d'Asburgo erano Massimiliano I, che aveva sposato la più ricca ereditiera
a livello europeo, Maria di Borgogna, la quale aveva ereditato dal padre l'area più ricca e avanzata: il Ducato
di Borgogna che comprendeva il Nord della Francia fino alle Fiandre. I nonni materni erano i re cattolici,
Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castiglia. I figli di Maria di Borgogna e Massimiliano, Filippo il Bello,
sposano i figli di Ferdinando e Isabella, Giovanna la pazza. La congiunzione si raddoppia con il matrimonio
dell'erede a trono di Spagna, Giovanni, con Margherita, figlia di Massimiliano e Maria; Giovanni morirà
molto presto e Margherita partorirà un figlio morto, quindi in realtà non c'era un vero e proprio erede. Un
altro matrimonio, tra Isabella, figlia di Isabella e Ferdinando, e il re del Portogallo, e Caterina d'Aragona che
sposerà Enrico VIII. Con la morte di Filippo il Bello, l'unico erede che rimane è Carlo, che diventerà re nel
1516. In realtà, Ferdinando e Isabella hanno avuto altri figli, tra cui Ferdinando I, che avrebbe dovuto
succedere al trono di Spagna perché formatosi lì e conosceva lo spagnolo, e invece i nobili spagnoli premono
perché sul trono vada Carlo. Nel 1519, Carlo riesce ad accaparrarsi l'eredità asburgica della sua famiglia,
perché diventa imperatore del Sacro Romano Impero, avendo come rivale Francesco I. La carica imperiale
non si trasmetteva ereditariamente, ma era elettiva: esisteva un collegio composto da 7 membri, 3 principi
ecclesiastici e 4 grandi principi laici. I principi si facevano facilmente corrompere dallo sborso di denaro da
parte dei candidati. Carlo vince e diviene imperatore. Ciò significa rivendicare la discendenza dall'Impero
romano; il trono di Spagna e la Corona imperiale arrivarono a Carlo V tramite alleanze matrimoniali
intelligenti e tramite successioni dinastiche imprevedibili. L'Imperatore era una carica differente da quella
del sovrano, esistono tanti sovrani, ma un solo imperatore. Bisognava combattere i nemici della cristianità,
rappresentati dai turchi e dai protestanti. Oltre a questa tesi, si legano altre due: l'Impero come restaurazione
dell'Impero romano con Roma capitale e l'idea della monarchia universalis o dell'impero mondiale. La sua
idea è di diventare un imperatore ancora più importante degli altri imperatori, ma la sua monarchia
universalis non sarà altro che un'unione di territori coesi dalla fedeltà all'imperatore (è un'unione personale).
Il potere di Carlo si sviluppa su vari scacchieri: lo scacchiere spagnolo, con rivolte di ceti che mal
digeriscono il suo governo, lo scacchiere italiano, dove si confronta con Francesco I di Francia con l'esito
definitivo del predominio di Carlo V. Proprio la lotta per l'Italia ripropone una costante di fondo della storia
dell'Europa che inizia alla fine del 400 e si porta avanti fino alla metà del 700: la contrapposizione tra la
dinastia degli Asburgo e le dinastie che si succedono sul trono di Francia, che rappresenteranno il grande
rivale della dinastia asburgica. Lo scacchiere tedesco, dove Carlo V è protagonista ma ha dei nemici che
cercano di sminuire il suo potere, i principi tedeschi che, sfruttando il diffondersi del protestantesimo in
Germania, aumentano le spinte autonomistiche; la Francia, fortemente cattolica, per ragioni politiche, per
contrastare l'egemonia di Carlo V, si allea con dei principi protestanti (Germania), ma quest'alleanza porterà
ad una dissoluzione dell'autorità imperiale. Un altro è lo scacchiere ottomano, in cui i turchi fecero da
contrappeso al tentativo di egemonia da parte di Carlo V sul continente europeo; anche qui, in funzione anti
asburgica, la Francia avrà un ruolo importante, perché si alleerà con Solimano il Magnifico per battere Carlo
V. L'alleanza tra Francia e Impero Ottomano durerà fino alla seconda metà del 700. Un'altra costante sarà la
funzione degli zar di Russia come possibilità di contenimento della politica espansionistica di Carlo V,
soprattutto nell'Europa Orientale. Ci sarà un altro stato europeo, l'Inghilterra, che proverà a contrapporsi a
Carlo V, cercando di limitarne il potere, ma senza riuscirvi. Il momento più alto è l'assedio di Vienna,
preceduto nel 1526 dalla Battaglia di Moháchs in Ungheria che aveva visto morire il re d'Ungheria e Boemia,
Luigi II. La fortuna è che il fratello di Carlo, Ferdinando I, aveva sposato la sorella di Luigi II, la quale aveva
ereditato il regno d'Ungheria e fa sì che Ferdinando riesca ad acquisire una striscia di terra che ,come un
cuscinetto, tiene a bada l'impero ottomano che si insedia comunque. Dal 1526 entrano così all'interno dei
possedimenti asburgici anche i regni di Ungheria e di Boemia, rafforzando la presa di Ferdinando, che
diventerà l'erede di Carlo V. Questa prospettiva si verifica quando, nel 1556, Carlo V decide di abdicare. I
possedimenti vengono allora divisi tra il figlio, Filippo II, che diventerà Re di Spagna, e Ferdinando I, a cui
va la carica imperiale. Durante i primi anni di regno di Filippo II si conclude il periodo delle Guerre d'Italia,
con la Pace di Cateau-Cambrésis (1459) , con cui la maggior parte del territorio italiano, il Ducato di Milano
e il Regno di Napoli, rimane sotto il diretto dominio degli Asburgo di Spagna, e altri stati che dipendono dal
controllo della Spagna, come la Repubblica di Genova, che rappresenta un punto d'approdo delle navi
spagnoli che portano gli schiavi, e il Ducato di Toscana che subisce l'influenza della monarchia spagnola,
infatti Filippo II deciderà di formare un agglomerato di territori (Stato dei presidi) che si trova al Sud della
Toscana; lo Stato della Chiesa diventa alleato di Filippo II; l'unico Stato che non è controllato più o meno
direttamente dalla Spagna è la Repubblica di Venezia. Filippo II viene aiutato da altri elementi.
Filippo II e l'Europa del secondo Cinquecento
Filippo II, figlio di Carlo V, eredita una parte cospicua dell'Impero del padre, la Spagna, tutti i possedimenti
italiani e le Fiandre. Al di fuori dell'Europa, tutto l'impero coloniale spagnolo, nel Nuovo Mondo, e un pezzo
di Asia con la conquista delle Filippine. Filippo II (1556-1598). Il suo primo vantaggio è che la situazione
religiosa che aveva movimentato i primi decenni del 500 ora si è stabilizzata con la Pace di Augusta(1555)
che riconosce la bi confessionalità del Sacro Romano Impero. La sua famiglia è legata a quello dello zio, a
cui succederà Massimiliano II, nel 1564, e poi Rodolfo II nel 1576, che sposterà la capitale da Vienna a
Praga e ne farà un grande centro culturale dell'Europa dell'epoca; entrambi, operarono sul fronte germanico a
favore della Spagna, fornendo aiuti anche laddove servano a Filippo II. Un altro elemento a suo favore è di
natura geopolitica: una catena di territori che vanno dai possedimenti spagnoli in Italia (il Ducato di Milano)
e proseguono con la Franca contea finendo alle coste del Mare del Nord con i possedimenti fiamminghi che
rappresentano una sorta di argine posto dalla Spagna di Filippo II all'espansionismo francese che, durante i
decenni delle guerre d'Italia, aveva costituito il nemico principale. Oltre a cercare di arginare il regno di
Francia, questa ha avuto problemi interni che le hanno impedito di agire sullo scacchiere nazionale in
maniera offensiva. Un quarto punto a favore di Filippo II è la Chiesa di Roma: i Papi furono solidali con la
potenza spagnola e dagli anni 50 tutti i papi si alleeranno con la Spagna contro i nemici, gli eretici protestanti
e gli infedeli ottomani; le forze coalizzate riusciranno ad ottenere un'importante vittoria contro la flotta
ottomana nella battaglia di Lepanto, il 7 ottobre del 1551. I turchi ricevono una sconfitta, ma non sarà
definitiva perché riuscirà presto a riprendersi, come dimostrerà, nel 1683, il rinnovato assedio di Vienna. Un
altro elemento di vantaggio è il fatto che, con lui, per la prima volta, la potenza asburgica in Europa
acquisisce una solida base nazionale; con lui c'è la possibilità do avere un Paese compatto e coeso alle sue
dipendenze. Inoltre, gli giunge un ulteriore fortuna, nel 1578 muore l'ultimo discendente diretto degli Aviz, e
nel 1580 il Portogallo rimane senza eredi diretti al trono, quindi si cerca il parente più stretto della dinastia
che si era estinta, ovvero Filippo II, che aveva sposato una principessa portoghese, e diventa re del
Portogallo, acquisendo l'enorme impero coloniale (basi africane, in Indonesia, in Cina ecc). Fino al 1640
Portogallo e Spagna saranno riuniti sotto un unico sovrano, e questo farà cessare le rivalità tra i due. Un altro
vantaggio è l'afflusso enorme di metalli preziosi, in particolare di argento, dal Nuovo Mondo alla Spagna, e
gli consente di finanziare la sua politica di potenza, a fronte di un arretramento della situazione economica
della Penisola Iberica, dovuta al fatto che, essendo ricchi in argento, non si sviluppano le manifatture locali,
ma si vive di rendite, ma anche perché con la politica della limpieza del sangre ha perso dei pezzi importanti
economici per motivazioni religiose ed etniche (1492: gli ebrei sefarditi; 1609: moriscos).
La Francia del Cinquecento
La Francia non riesce a rappresentare un pericolo per la Spagna anzi, la Spagna cercherà addirittura di
conquistare il regno francese, senza riuscirci. Dopo la morte di Francesco I, sale al trono il figlio, Enrico II,
che aveva contratto matrimonio con Caterina De Medici, ma nel 1559 perde la vita in un incidente. La
dinastia dei Valois era arrivata in Francia nel corso del XIII secolo, ma nella seconda metà del CVI secolo si
estinguerà. Possiamo sintetizzare la strutturazione del potere in Francia con una famosa espressione “une foi,
une loi et un roi”. Al vertice della piramide vi era il re e rappresentava il fattore unificante; in più, il re di
Francia era un re-sacerdote. Quando era stato sancito questo aspetto della monarchia di Francia? Si può
risalire al battesimo di Clodoveo V-VI sec; Clodoveo decide di battezzarsi e di abbracciare la religione
cristiana, da quel momento tutti i sovrani verranno incoronati all'interno della cattedrale di Reims, e ci sarà
una vera e propria unzione del sovrano con una cerimonia attestante le qualità miracolose e guaritive.
Bisognerà aspettare il Medioevo, con Papa Innocenzo III, per far sì che anche da parte dei papi di Roma
venisse riconosciuto il fatto che il re di Francia venisse incoronato da Dio. Formalmente il re di Francia era
un princeps a legibus solutus , cioè non è vincolato dalle leggi. Gli Stati generali, che si dividevano in clero,
nobiltà e terzo stato, e rappresentavano il popolo, la voce della Nazione e venivano convocati dal sovrano per
conoscere i pensieri della gente. Accanto agli Stati generali, c'erano gli Stati provinciali, che rappresentavano
le varie aree in cui era diviso il regno. Il sovrano e la sovranità era limitato dei privilegi posti da parte del
clero; e poi c'erano i privilegi delle città. Tutte queste entità concedono al sovrano l'imposizione di tasse
straordinarie. Un ulteriore istituzione che limita il potere dei sovrani in Francia sono i Parlamenti: non come
lo intendiamo noi oggi, che deriva dalla tradizione inglese, ma in Francia questi corrispondevano alle alte
corti di giustizia, erano degli organi giudiziari, la più importante delle quali era rappresentata dal Parlamento
parigino. I Parlamenti erano costantemente in funzione, invece gli Stati generali venivano convocati
solamente dietro decisione del sovrano.
• Il clero: partecipa ai privilegi della nobiltà, formalmente è esente dal pagamento delle tasse e cerca di
difendere i diritti che gli erano stati riconosciuti da un documento Prammatica Sanzione di Burges (1438)
che stabiliva che il clero doveva dipendere non solo dal Papa di Roma, ma anche dal sovrano, e infatti verrà
creata la Chiesa Gallicana, creando un legame con il passato, nazionalizzando la Chiesa francese, rendendola
semiautonoma dalla Chiesa di Roma. Questo processo subirà una battuta d'arresto nel 1516, quando
Francesco I siglerà con Papa Leone X un concordo che prevede il diritto del sovrano di presentare le
candidature per le successioni al Papa e poi al Papa la scelta. Inoltre, stabiliva che il clero si impegna a
corrispondere al sovrano ogni 5 anni il don gratuit.
• La nobiltà: la nobiltà di sangue è a successione petrilineare maschile ed è esonerata dal pagamento delle
tasse. Questa è titolare di feudi ed ha l'obbligo di fornire eserciti quando il sovrano lo richiede. La nobiltà fa
parte del consiglio del re, all'interno del quale si trovano i membri della grande aristocrazia. Questi
considerano il sovrano un primus inter pares. Accanto alla nobiltà di sangue si viene a istituire la toga,
“noblesse de robe”, che si acquisisce tramite l'acquisto di una carica all'interno dell'amministrazione dello
stato. Il sovrano può creare anche dei nuovi nobili, vendendo gli uffici e creando la nobiltà di toga, ma anche
con delle lettere di nobiltà, elargite a personaggi fedeli e utili nei confronti della monarchia e del sovrano.
Per quanto riguarda l'ambito giuridico, è il re che emana le leggi (potere legislativo), le fa eseguire (potere
esecutivo), e le fa rispettare sanzionando chi non le rispetta (potere giudiziario). Il potere giudiziario deve
interloquire con i Parlamenti; una legge entra in vigore solo dopo aver ottenuto la registrazione da parte dei
Parlamenti. Il Parlamento può registrare quella legge, oppure può rispedirla al sovrano chiedendo che venga
modificata. A questo punto, il sovrano può rispettare quello che dicono i Parlamenti, oppure può imporre
comunque quella legge con una cerimonia “lit de justice” che rievoca il modo in cui si svolgeva la
cerimonia: il sovrano, disteso sul baldacchino, si faceva portare nella sede del Parlamento, e per questo il
Parlamento era obbligato a registrare la legge. Le leggi avevano poi bisogno di essere fatte conoscere e la
diffusione avveniva da parte delle autorità locali e soprattutto da parte dei curati (parroci) che leggevano e
spiegavano le leggi ai fedeli. Esistevano più fonti del diritto in Francia: il diritto personale e quello
territoriale; il primo affondava le radici nelle legislazioni delle antiche popolazioni barbariche, il secondo era
il diritto romano. Il diritto personale prende anche il nome di “droit coutumier”, cioè diritto del costume, usi
e costumi che variavano da una località all'altra del regno di Francia. Un altro tipo di diritto a cui dovevano
sottostare gli ecclesiastici, ovvero il diritto canonico, formatosi in ambito universitario bolognese alla metà
del XII secolo. Nel nord della Francia, prevaleva il diritto consuetudinario, cioè quello personale; nella zona
del sud, prevaleva quello romano. Le leggi emanate direttamente dai sovrani francesi sono ordinanze che si
vengono ad incuneare all'interno di questa bipartizione del diritto; solo teoricamente le ordinanze reali sono
una fonte primaria del diritto, nella sostanza sono i giudici a decidere sulla base o del diritto personale o di
quello territoriale. La monarchia è finanziata non solo mediante i don gratuit del clero, ma anche con
un'imposta diretta TAILLE, che può essere imposta senza dover passare dai Parlamenti; inoltre, il
finanziamento può avvenire anche mediante la vendita degli uffici. Per quanto riguarda il controllo del
protestantesimo in Francia, non esiste il Tribunale dell'Inquisizione (1542), e la repressione è delegata ai
Parlamenti. Buona parte dei parlamentari si convertiranno sempre più al calvinismo, indebolendo la
repressione dell'eresia. Si formano due partiti contrapposti, uno cattolico e uno calvinista, alla cui guida
hanno delle grandi famiglie aristocratiche che si contrapporranno. I protestanti hanno la famiglia dei
Borbone, convertitasi al calvinismo, che domina la Navarra; i cattolici sono egemonizzati dalla famiglia dei
Guisa, che hanno i possedimenti nella parte orientale della Francia. Un ulteriore elemento di debolezza della
monarchia francese è che, dopo la morte di Enrico II, si succedono una serie di sovrani, prima Francesco II e
poi Carlo IX , troppo giovane, infatti il trono verrà controllato dalla madre, Caterina De Medici. Questa cerca
di trovare una conciliazione tra Cattolici e Ugonotti, convocando gli Stati Generali a Saint Germain nel 1561.
La conciliazione però è molto fragile, perché il problema è l'interpretazione dell'Eucaristia, e su questo non si
arriva ad un accordo. Si stabilisce che il culto pubblico protestante può essere celebrato fuori dagli ambiti
urbani, e all'interno delle città gli ugonotti possono celebrare le loro liturgie solo all'interno delle loro case.
Tra il 1561 e l'inizio degli anni 70, le parti contrapposte cominciano a cercare degli alleati al di fuori del
regno. I Guisa si alleeranno con i principi luterani tedeschi, con Filippo II, mentre i Borbone si alleeranno nel
principato tedesco del Palatinato e con la famiglia olandese degli Orange. Ciò porterà a degli scontri armati,
e gli Ugonotti si troveranno asserragliati all'interno della fortezza di La Rochelle e verranno sostenuti dagli
inglese, riusciranno a trionfare e ad ottenere, nel 1570, un'ampia libertà di culto. Viene deciso che di questo
compromesso sia suggello il matrimonio tra la figlia di Caterina De Medici, Margherita di Valois e Enrico di
Borbone. Il matrimonio si dovrà svolgere a Parigi nell'agosto del 1572, ma la notte precedente Carlo IX e
Caterina decidono di attuare un blitz e far fuori la maggior parte degli ugonotti (Notte di San Bartolomeo,
23-24 agosto 1572). Nel 1574, Carlo IX muore e gli succede Enrico III. Questi capisce che il regno si sta
lacerando e cerca di attuare una politica di ricomposizione e di riavvicinamento ai calvinisti e ai cattolici
meno intransigenti; ma questa non viene accettata dalla famiglia dei Guisa e decide di estromettere il sovrano
dalla capitale. A questo si aggiunge il fatto che, nel 1584, muore il Duca d'Avanson e la discendenza della
monarchia pesa unicamente sulle spalle di Enrico III, che era omosessuale. Durante l'assedio di Parigi da
parte di Enrico III, al quale si affianca Enrico di Borbone, in città viene assassinato il principe di Guisa e il
fratello, l'arcivescovo di Parigi, e al di fuori della capitale, nel 1589, viene ucciso il re di Francia Enrico III
da un fanatico, Gustave Le Bon. A questo punto, il partito dei Guisa non ha più i propri capi, il regno di
Francia non ha più un sovrano,e l'unico che può assumersi l'eredità dei Valois è Enrico di Borbone (Enrico
IV) , ma è calvinista. Questa situazione si risolve con la sua conversione dal calvinismo al cattolicesimo.
Questo fa sì che si riesca a respingere il tentativo d'invasione della Francia della Spagna di Filippo II; un
altro elemento che ostacola l'invasione è, nel 1594, dall'accettazione della conversione da Papa Clemente
VIII. Ma Enrico IV non dimentica di essere stato un ugonotto, e capisce che la Francia ha bisogno di una
pacificazione, che avviene con l'emanazione dell'Editto di Nantes (1598), che consente la libertà di coscienza
e di culto in tutto il regno, tranne che a Parigi. Inoltre, concede alla minoranza degli ugonotti francesi un
centinaio di fortezze, la più importante delle quali è La Rochelle, che rappresentano anche una presenza
militare all'interno del regno, e daranno problemi nel XVII secolo.
I nemici di Filippo II: Inghilterra e Olanda
Molti erano i punti a vantaggio della politica egemonica di Filippo II, ma questo non arriva ad un punto
concreto, perché ci sono stati degli ostacoli. L'elemento decisivo fu lo scontro con il Regno d'Inghilterra,
dove era salita al trono nel 1558 la regina Elisabetta I. L'Inghilterra sarà decisiva sia per la sua posizione,
perché fa parte dell'Europa ma è un'isola, quindi più facile da difendere e più difficile da conquistare, sia per
l'acquisizione di una maggiore potenza sul mare, con l'affidamento del rafforzamento marittimo grazie a
figure come quella di Francis Drake e Walter Raleigh. Lo scontro decisivo si verifica nel 1588, perché poco
prima Elisabetta I aveva deciso di mandare a morte la regina di Scozia Maria Stuarda. Questa aveva preso la
via dell'esilio in Inghilterra, ma in realtà è in uno stato di sottomissione. Questo provoca la reazione di
Filippo II che organizza una spedizione punitiva ma anche tentativo di conquista del regno inglese.
L'iniziativa militare incontra un fallimento perché più di 150 galeoni spagnoli verranno sconfitti da una flotta
militare inglese di 5 volte inferiore. Questo avviene perché le enormi navi spagnole non erano abituate ad
operare in un territorio stretto come quello della Manica, e anche perché le navi inglese, pi piccole, erano più
facili da manovrare. A quel punto, tutti i nemici della Spagna capiscono che questa sta andando a fronte di un
momento non molto prospero e ne approfittano per infliggerle dei colpi. Il primo di questi colpi arriverà
dall'interno della Spagna stessa, cioè dalle Fiandre. Sarà la Repubblica delle 7 province unite (Olanda) ad
aggiungersi al Portogallo e alla Spagna nell'avventura coloniale. Come potenza marinara e coloniale, sarà
molto più simile e più vicina al Portogallo come tipologia di colonialismo: conquista buona parte della
colonie portoghesi in Africa e Asia, ma crea anche dei punti di appoggio. La motivazione principale della
spinta veloce dell'Olanda verso l'acquisizione di un enorme impero coloniale è caratterizzata dal fatto che si
crea una dialettica virtuosa tra il fronte terrestre 'monarchico', incarnato nella famiglia degli Orange-Nassau
con a capo i militari , sorretto da un esercito di professionisti e anche dagli starti più bassi della popolazione,
e un fronte marittimo, incarnato nella grande borghesia capitalistica . Il popolo e la società, nella Repubblica
delle province unite avranno un ruolo sempre più importante. Filippo II fallisce perché, spostando la
pressione dall'Olanda sulla Francia, ha ridestato in Francia il sentimento proto nazionalistico e si è visto
tradito dal Papa. I territori fiamminghi hanno sempre rappresentato un punto di congiunzione importante dei
traffici tra il Mediterraneo e il Baltico. Un territorio che tra il 1363 e il 1477, dopo essere stato parte del
Sacro Romano impero, era rientrato all'interno dei possedimenti del Duca di Borgogna, che aveva lasciato
come erede Maria di Borgogna che opterà come suo compagno Massimiliano d'Asburgo, e favorendo il
ritorno dei territori all'interno del Sacro Romano impero. In questi territori, si diffonde rapidamente il
protestantesimo, dapprima nella forma luterana, poi all'anabattismo. Gli anabattisti sono una forma
minoritaria, ma hanno avuto una grande importanza. Anabattismo significa avere la possibilità di battezzarsi
una seconda volta. Questi credono che solo da adulti si può essere coscienti di abbracciare il credo religioso;
verranno battezzati solo una volta, da adulti. Gli anabattisti sono per la maggior parte rifiutano l'ingerenza
dello stato nella vita dei cittadini, per esempio, si rifiutano di prestare giuramento nei confronti delle autorità
istituite. Tanti di loro predicavano la non-violenza, però all'inizio molti presero le armi per difendersi (presa
di potere durante la guerra dei contadini negli anni 20 del 500 a Münster). Quindi, una forte caratteristica
dell'anabattismo è che è stato fortemente condannato, non solo dai cattolici, ma anche dagli altri protestanti.
Tuttavia, dalle aree in cui si era sviluppato, si diffonderà nell'Europa orientale e all'interno delle Fiandre, per
esempio ad Amsterdam, nel 1535, sono migliaia gli anabattisti che si sono rifugiati lì; ad un certo punto
verranno repressi e saranno costretti a fuggire o a convertirsi anche dalla Repubblica delle 7 province unite,
dove si insedia il calvinismo. Due importanti rappresentati di questa 'nuova' forma di protestantesimo:
Menno Simmons (anabattisti 'mennoniti') che predica l'abbandono del millenarismo e si scaglia contro
l'azione armata a favore del del rifiuto del mondo terreno e affonda le radici nella non-violenza; questa forma
di anabattismo ha largo seguito negli strati bassi della popolazione; David Yonis, spostato verso il
misticismo, predica l'imprescindibilità religiosa e la non intromissione dello Stato nelle coscienze individuali
delle persone. Il calvinismo si diffonde pochi anni dopo l'arrivo degli anabattisti, ma comincia a fare la sua
comparsa in area fiamminga nel corso degli anni 40 del 500; questo era caratterizzato da due anime distinte: i
concilianti, che ha lo zoccolo duro nell'oligarchia urbana dedita al commercio e traffici commerciali presenti
nelle più importanti città, e i rigoristi, più fanatici, che trovavano adesione nella piccola borghesia e nei ceti
inferiori della popolazione. Dal punto di vista politico la storia di questo territorio va trattata a partire da un
documento - “Il privilegio del Brabante” (1356) – che da la possibilità ai sudditi di rifiutare
momentaneamente nei confronti del proprio sovrano determinati servizi, come la possibilità di onorare e
obbedire al re quando questo si comporta in modo improprio nei confronti dei propri sudditi; fino ad arrivare
a postulare anche la deposizione di un sovrano che si è trasformato in un vero e proprio tiranno. Succedeva
che si stabilisse una sorta di rapporto contrattuale tra i sudditi e il proprio principe. Nel 1463 vengono creati
gli Stati generali e gli Stati provinciali, organismi elettivi che rappresentano strati della popolazione; in
ambito fiammingo sono rappresentati all'interno di questi Stati il clero, la nobiltà e le città. Come in Francia,
questi vengono creati soprattutto per sentire l'opinione del popolo su un argomento ben preciso,
l'imposizione fiscale. Nel 1574, un gruppo di intellettuali fiamminghi arrivano a sostenere che gli Stati
ricevono la loro autorità da Dio e dalle leggi del Paese, come i sovrani. Era un grande balzo in avanti che gli
avrebbe consentito di costituirsi non in monarchia, bensì in repubblica oligarchica → è una rivendicazione di
libertà (privilegi) e individua una sempre maggiore prevalenza dei ceti mercantili all'interno delle assemblee
rappresentative; questo voleva dire anche postulare un diritto di resistenza nei confronti di sovrani che
volessero imporre delle leggi che potevano risultare contrarie alla storia e alle leggi del Paese. Nasce, quindi,
una nuova idea di sovranità popolare. Il calvinismo rinnova il rapporta feudale, sostituendo al vassallo il
popolo e al signore la divinità, cioè un rapporto diretto tra popolo e Dio. All'interno del territorio fiammingo,
saranno gli Stati generali ad incarnare le istanze e le ragioni del popolo e si arrogheranno il diritto di opporsi
a sovrani che non rispettano il contratto stabilito tra loro e i loro sudditi. A questo punto, la sovranità diventa
un vero e proprio contratto tra il re e il popolo, un contratto qualitativamente superiore sia al sovrano che alle
magistrature; si instaura un obbligo reciproco tra re e popolo che può prevedere anche un diritto di resistenza
indicato come naturale e inalienabile, e non può essere esercitato da tutto il popolo ma deve incarnarsi nelle
magistrature. Si sviluppa quindi una vera e propria rivoluzione politica che darà vita ad un nuovo Stato. La
rivoluzione politica aiutata dalla congiuntura internazionale, dove lo stato nasce prima della nazione. La
rottura avviene con il confluire di questi territori all'interno dei domini spagnoli grazie all'abdicazione di
Carlo V e l'assegnazione di questi territori a Filippo II. Questi ha bisogno di farsi aiutare da una figura
politica in loco, un governatore, e nel 1559 sceglie come governatore la sua sorellastra, Margherita
d'Asburgo, che cercherà di appoggiarsi a capi militari, riuniti nel Consiglio segreto, che cercheranno di
tenere sotto controllo la situazione; le province saranno affidate alla gestione della nobiltà locale. Nel corso
degli anni 60 del 500 c'è la pressione dei Turchi, le guerre di religione in Francia e la conclusione del
Concilio di Trento e la volontà di Filippo II di imporre a questi territori alcune novità, come la possibilità di
ampliare il numero delle diocesi (altre14) scompaginando gli equilibri di potere; cerca di imporre la
creazione dei seminari ma, soprattutto, quello che fa scoppiare la rivolta è l'imposizione del Tribunale
dell'Inquisizione spagnola, per il controllo e la repressione della diffusione del protestantesimo in versione
calvinista e anabattista. Questo provoca una rivolta degli aristocratici fiamminghi, ottenendo la liberazione
degli eretici protestanti che erano stati incarcerati, sia il fatto che il Tribunale non si sarebbe installato nei
territori fiamminghi. La rivolta arrivo ad un punto di rottura nel 1568, e nel 1572, Guglielmo d'Orange viene
nominato statuder delle Fiandre, capo militare delle Fiandre. Nel 1575 la Corona di Spagna aveva dichiarato
il fallimento e questo impedisce di pagare gli eserciti e l'anno dopo i tercios spagnoli si daranno al sacco di
Anversa che causerà la fine dell'importanza economica di questa città, a favore di Amsterdam. La guerra che
porterà alla separazione definitiva dei Paesi Bassi prenderà il nome di Guerra degli Ottant'anni (1568-1648).
Il punto di rottura che innesca la separazione definitiva tra i Paesi Bassi settentrionali e il resto dei
possedimenti spagnoli avviene a partire dal 1579, quando si creano due differenti fronti: Unione di Utrecht,
dalla quale nasceranno le 7 province unite (1581) con la dichiarazione unilaterale di indipendenza della
Repubblica delle 7 province unite (Zelanda e Olanda → le più importanti; Utrecht, Gheldria, Overijssel,
Frisia e Groninga) e l'Unione nella parte meridionale delle Fiandre, siglata con il trattato di Enrasse, e vede
confluire Brabante, Artois, Hainaut, Fiandre e Namur, dove prevale l'elemento francofono ed è cattolica. Nel
1581 non c'erano idee chiare su come organizzare il territorio, si fanno delle proposte di diventare monarchi
di questo nuovo stato ad un rappresentante della famiglia degli Asburgo e, dopo che rifiuta, ad un
rappresentante dei Valois, il Duca d'Avanson. Sia il re che il governatore dovranno dichiararsi sottomessi ai
diritti della comunità locale. Nel 1583 il calvinismo viene riconosciuto come unica chiesa protetta dallo stato.
La Repubblica delle 7 province unite consente la tolleranza nei confronti dei cattolici, ma non libertà del
culto religioso, questa tolleranza non è presente con gli anabattisti. Si pensa alla creazione di una monarchia
costituzionale da affidare a Guglielmo d'Orange, che era a capo dell'esercito olandese, ma sarà ucciso nel
1584; quindi non si pensa più di modificare l'assetto 'repubblicano' fornito al nuovo stato. Questo è il primo
vero stato nuovo dell'Europa moderna e si crea su premesse ideologiche rivoluzionarie. Alla base della
piramide ci sono le assemblee cittadine, che prendono delle decisioni e designano dei membri che
costituiscono gli Stati provinciali, che rappresentano le singole province e, a loro volta, scelgono i membri
degli Stati generali tramite elezione. Questi hanno il limite del voto all'unanimità, soprattutto per evitare
delle ingerenze eccessive da parte degli elementi destabilizzanti del nuovo quadro politico: i calvinisti e il
capo militare. Un ulteriore elemento al vertice del potere è il principe protettore, lo statuder che si incarna
dapprima nella figura di Gugliemo d'Orange e poi continuerà ad avere successori in questa famiglia Orange-
Nassau. Questo ha la sopraintendenza sull'esercito, potere di polizia e di convocare gli stati provinciali, egli
incarna il potere militare. Nonostante questo, saranno soprattutto i ceti mercantili della Zelanda e dell'Olanda
a dominare la politica interna e internazionale della Repubblica. Nel corso degli anni 80, dopo la
proclamazione d'indipendenza del novo stato, Filippo II decide di riprendere l'offensiva nei confronti di
questi “rivoltosi”, al cui capo verrà posto il generale Alessandro Farnese, ma si ripresentano gli stessi
problemi di prima: la distanza dalla sede della Spagna metropolitana e perché la sempre più compromessa
situazione finanziaria delle casse spagnole garantiva con difficoltà la regolarità del pagamento del soldo alle
truppe. Nonostante ciò, nel 1585 viene riconquistata Anversa ed è il colpo definitivo a quello che era stato il
centro economico, perché migliaia di persone si sposteranno da Anversa all'Olanda, andando a consolidare la
città di Amsterdam. Forte della vittoria su Filippo II, arriva il sostegno della regina Elisabetta I: le vicende
del conflitto tra i Paesi Bassi meridionali sotto il controllo spagnolo, e i Paesi Bassi settentrionali (autonomi)
avrà tregua solo nel 1609, quando verrà siglato un periodo di annullamento delle operazioni militari per 12
anni che costituirà un riconoscimento implicito della vittoria di questo piccolo stato. L'Olanda, con la
cittadina di Amsterdam, da 35.000 abitanti arriva, nel 1700, ad averne 200.000, diventando un grande centro
urbano dell'Europa dell'epoca. Ad Amsterdam si concentra la maggior parte dei mercanti internazionali, si
rafforza il legame tra politica ed economia che farà la fortuna dei Paesi Bassi settentrionali, un'economia e
una politica che cercheranno di affermare dei limiti anche all'ostentazione della ricchezza, predicando
l'umiltà, la parsimonia, il risparmio e la sobrietà. Gli Orange, sostenuti dalla nobiltà che dagli stati popolari,
si impegnano nei confronti dell'estero a diventare difensori il calvinismo. A capo degli Stati generali c'è la
figura del Gran pensionario, che è una sorta di Ministro degli Esteri. Nel 600 si instaura una sempre
maggiore tolleranza in ambito religioso, gli anabattisti mennoniti cominciano ad essere tollerati in ambito
olandese, perché sono anabattisti che hanno fatto fortuna, sono benestanti e danno garanzie di accettazione
dell'ordine costituito; lo stesso avviene nei confronti dell'elemento ebraico, contribuendo a rafforzarne il
prestigio economico. Il 600 vede anche rafforzarsi la spaccatura tra calvinisti rigoristi e calvinisti concilianti:
i primi identificati con il nome di Francois Gomard, i gomaristi, sono intransigenti, predestinazionisti, e i
secondi identificati con Arminio, gli arminiani, concilianti nei confronti del calvinismo e del cattolicesimo,
perché credono che si possano trovare dei rinnovati punti di contatti con il cattolicesimo. Questi, riunitisi per
discutere a Dordrecht tra il 1618-1619 escono sconfitti, e si affermano i gomaristi.
La crisi del Seicento e il mercantilismo
Il Seicento è caratterizzato dal concetto di crisi. Il termine 'crisi' viene dal greco crunein(decidere, cambiare,
distinguere, separare). Il periodo critico dell'economia seicentesca è la conseguenza di un lungo periodo di
crescita, il lungo 500 che affonda le sue radici negli ultimi decenni del 400 verso il 600. Gli anni tra il 1619 e
il 1622 sono anni in cui la spinta involutiva subisce un arresto definitivo e si andrà incontro ad un
cinquantennio di crisi legati a tre fattori che la innescano: 1)le carestie che colpiscono l'Europa dalla fine del
500; 2) le epidemie, la più importante è la pestilenza del 1628-30; 3) le devastazioni dei conflitti bellici, il
più importanti dei quali è la Guerra dei Trent'anni. La crisi del 600 non fu uguale in tutta Europa, ci fu una
duplice tendenza democratica, con un aumento della popolazione dell'Europa settentrionale, e una sensibile
diminuzione della popolazione nella parte meridionale dell'Europa. Nella parte occidentale dell'Europa, dal
1620 al 1670, si assiste ad una forte crisi dell'economia rurale, in cui è impiegato il 90% della popolazione.
Le devastazioni, le epidemie portano ad un peggioramento della qualità dei lavori in ambito agricolo; meno
terreni vengono coltivati a cereali, i terreni incolti vengono adibiti a pascolo. A questo si affianca il
peggioramento delle condizioni di vita dei contadini, a partire dalla loro alimentazione: la carne viene
sostituita dai legumi. Importante è la diffusione di nuove coltivazioni: si rafforza la risicoltura nella Pianura
Padana, in Toscana si diffonde la viticoltura. In Europa orientale, che comincia a rappresentare il vero bacino
di produzione di cereali, soprattutto frumento, si sviluppa l'economia latifondista estensiva e si pianta la
diffusione della proto industrializzazione: questo accade perché qui la manodopera è più economica e perché
ci sono maggiori risorse energetiche, come l'acqua, che consente facili irrigazioni dei terreni e facili trasporti
delle merci. Altri due fattori facilitanti sono stati rappresentati in Europa orientale da una minore incidenza
dei carichi fiscali (minore tassazione) e dal fatto che le città e le corporazioni sono meno sviluppati, quindi
per i mercanti è più facile spostare le lavorazioni dai centri urbani verso i centri rurali. Mercantilismo: si
sviluppa nei primi dei 600 a causa dell'avversa congiuntura agricola, con un aumento dei prezzi dei prodotti
agricoli, con il riproporsi del disordine monetario e il declino delle manifatture tradizionali e la decadenza
dei traffici commerciali; un'inversione del ciclo economico che non è attribuibile al disseccarsi del flusso di
metalli, piuttosto è dovuta ad un diverso riposizionamento delle risorse e del potere economico all'interno del
continente europeo.
Il termine 'mercantilismo' richiama i traffici commerciali, ma nel suo significato più puntuale ha a che fare
con la quantità di ricchezza monetaria di un Paese. Il meccanismo è: è più forte economicamente lo Stato che
riesce a mantenere il più possibile una maggiore quantità di moneta al suo interno e ad attirare moneta
preziosa dagli altri Stati. Questo si ottiene erigendo delle barriere doganali sulle merci che vengono
dall'estero e facilitando la produzione all'interno del Paese e l'esportazione in modo che entri moneta
preziosa. Il mercantilismo può essere tradotto anche con 'nazionalismo' e 'xenofobia', cioè avversione nei
confronti dello straniero; il mercantilismo è una sorta di nazionalismo economico. La novità del XVII secolo
è che il nazionalismo economico viene sistematizzato, teorizzato, e si addebita all'esportazione di maniere
prime e alla fuga di monete forti ( con cospicue quantità di metallo prezioso) la causa della decadenza delle
nazioni. La conseguenza diretta è che anche gli altri Stati cercano di creare degli Stati autarchici, creando
corti circuiti ed esasperazioni anche dal punto di vista sociale e militare che caratterizzano il XVII secolo.
Il colonialismo olandese
Aspetti storico-economici che si situano nel corso del XVII secolo, secolo dell'oro per l'Olanda. L'economia
si collega strettamente a delle novità dal punto di vista culturale: gli olandesi capiscono che è importante
puntare su una migliore strutturazione del mondo accademico, con il potenziamento dell'Università di
Leiden; ad Amsterdam si punta sulla fusione delle librerie e sul potenziamento dei giornali (“Elzeviro” che
prende il nome da una famiglia olandese Elzevier), che hanno un indirizzo di carattere economico, vengono
sfruttati per diffondere le notizie economiche. Amsterdam ha un'esplosione dal punto di vista demografico,
ma qui si installano delle istituzioni: la fondazione della prima grande banca nazionale nel 1609 con una
specializzazione nel commercio dei metalli preziosi (Banca nazionale); tra il 1608-1611 viene creata la prima
borsa merci olandese; nel 1602 viene creata la Compagnia delle Indie Orientali; nel 1621 la Compagnia delle
Indie Occidentali. Questo tipo di compagnie erano già esistite, ma l'importanza di quelle olandesi è relativa
al fatto che operano su scala mondiale. Queste compagnie nascono dalla riunione di compagnie più piccole.
La Compagnia delle Indie Orientali è dominata dalla provincia dell'Olanda (VOC) e controlla il territorio tra
il Capo di Buona Speranza e lo Stretto di Magellano. La Compagnia delle Indie Occidentali (WIC) controlla
le colonie tra il Tropico del Cancro e il Capo di Buona Speranza. La VOC si specializza nel commercio delle
spezie; la WIC nel commercio dello zucchero. In Oriente, sottraggono territori ai portoghesi, soprattutto il
Capo di Buona Speranza, e nell'arcipelago Indonesiano, e a Dejima, l'isola artificiale che commercia con
l'impero giapponese. Nel corso del XVII si sviluppa un interventismo nei confronti delle potenze iberiche,
Spagna e Portogallo. Queste compagnie commerciali sono una sorta di stato nello stato: si fanno i loro
eserciti, coniano le loro monete, stipulano trattati di pace e alleanze. Il colonialismo olandese somiglia molto
a quello portoghese (colonialismo di basi di appoggio), ma c'è un'evoluzione rispetto a quest'ultimo, perché
sia in America Latina che in Indonesia si addentrano nel territorio, sfruttandolo per condizionarne la
produzione, indirizzandola verso le esigenze dei mercati europei (es. tramite il contrabbando,
specializzazioni colturali) Il tutto veniva controllato da élite commerciali olandesi con la possibilità di creare
dei veri e propri monopoli, sostenuto dal settore dell'informazione (i giornali). Questa politica commerciale,
mercantile e coloniale ha una doppia faccia: grande pragmatismo rappresentato dal fatto che gli olandesi
impongono il mare chiuso (monopolio sui traffici marittimi ad Oriente) e impongono il mare aperto
(liberalizzazione dei commerci e concorrenza in Europa). I termini di mare aperto/mare chiuso sono utilizzati
anche i due testi: 1) Ugo Grozio, Mare liberum (1609), che predica la libertà dei mari in ambito europeo; 2)
John Selden, Mare clausum (1635), che postula il diritto di proprietà dell'Inghilterra sulle acque circostanti le
isole britanniche. Gli olandesi diventano i principali responsabili delle difficoltà economiche che stanno
vivendo altri Paesi nel corso della crisi del 600 (es. i tessuti inglesi passano da 120.000 a 45.000 nel 1640) La
risposta dell'Inghilterra è il protezionismo, la spinta verso l'autarchia, che si estrinsecano nell'emanazione
degli atti di navigazione, il primo dei quali viene emanato nel 1651, 1660, 1662,1663, agli inizi degli anni
70, dando vita alle cosiddette guerre degli atti di navigazione, che vedono contrapposte la Repubblica delle 7
province unite e l'Inghilterra. Il movente è che i prodotti portati in Inghilterra possono essere fatti entrare
solo su navi di proprietà inglese o con equipaggio inglese; e che i traffici con le colonie inglesi possono
essere espletati solo da mercanti inglesi. La conseguenza delle tre guerre degli atti di navigazioni (tutte vinte
dall'Inghilterra):1)una spinta verso l'aumento della flotta mercantile inglese; 2) il venir meno di una delle
caratteristiche degli olandesi, che venivano anche chiamati i carrettieri del mare, le cui flotte erano le più
consistenti dell'Europa in termini numerici, e ciò permetteva anche il loro noleggio agli altri Paesi (funzione
mediatrice). Il più noto passaggio di territorio dagli olandesi agli inglesi sarà la colonia di Nuova Amsterdam
(1664), che la intitoleranno New York.
Il colonialismo inglese e francese nel Nord America
Piccoli timidi passi del colonialismo inglese erano stati fatti già nel corso del regno di Elisabetta I, nel 1585
era stata toccata la costa dell'America settentrionale, chiamata Virginia in onore di Elisabetta I. Queste prime
forme di colonialismo erano dominate dai pirati, dai corsari che davano filo da torcere ai galeoni spagnoli
che portavano il metallo prezioso dal Nuovo Mondo in Europa. Le compagnie commerciali che si vengono a
create in ambito inglese nascono da un compromesso tra vari fattori: 1) la necessità dei privati di mettere
insieme le forze economiche e le risorse umane per reperire capitali; 2) ripartirsi i rischi delle avventure
commerciali; 3) la necessità da parte dello Stato di continuare ad avere un certo controllo dei traffici
commerciali. In Inghilterra, accanto alle regulated companies, dal 600 prendono corpo le joint-stock
companies, le società per azioni. Queste saranno create perché si modellano meglio sulle necessità imposte
dai traffici interoceanici, e queste scardineranno il monopolio iberico sul Nuovo Mondo, creando delle basi
d'appoggio nel Mar dei Caraibi, come avevano fatto anche gli olandesi. Alcune di queste isole sono ancora
olandesi, inglese o francesi (Tobago, olandese, Martinica, francese, Jamaica, inglese). Su queste colonie
verranno anche impiantate piantagioni di tabacco e cotone che alimenteranno il contrabbando, inferendo un
colpo maggiore alla potenza coloniale spagnola. La colonizzazione spagnola, anche se è durata molto a
lungo, fino al XIX secolo, è stato un tentativo fallito di creare una nuova Europa: Nuova Spagna, Nuova
Castiglia, Nuova Granada, denominazioni oggi scomparse. C'è una mescolanza tra forma coloniale
d'insediamento e il vero e proprio dominio coloniale, tuttavia nasce in questo territorio: spagnoli e indigeni si
mescolano, dando vita ad un miscuglio etnico ancora caratteristico di queste aree del pianeta. Invece, la
colonizzazione parte dall'idea di creare una nuova Europa, e ci riesce. L'obiettivo è la creazione di un'Europa
migliore, quindi gli inglese chiamano le colonie del Nord America: New York, New Empshire, Virginia,
Georgia, nomi ancora oggi presenti. Gli inglesi, come gli spagnoli, avevano avuto un precedente di
sottomissione di un territorio coloniale, nel corso del Medioevo con la sottomissione e la conquista precaria
dell'Irlanda. Un altro punto di contatto tra spagnoli e inglese è il fatto che i corsari inglese sono dei cavalieri
di ventura, alla stessa stregua dei conquistadores spagnoli, non sono dei meri mercanti come gli olandesi. Le
caratteristiche principali delle colonie inglesi in America: 1) l'Inghilterra le vede come dei possibili mercati
per lo smercio dei propri prodotti, come la lana; 2) intravedono come dei serbatoi da cui attingere la grande
quantità di legna che verrà utilizzata dall'Inghilterra per la costruzione di navi mercantili e anche per dei
prodotti non presenti in Inghilterra, cioè vino e frutti esotici; 3) questi nuovi territori vengono individuati
come dei luoghi di confino delle parti della società inglese che in Inghilterra farebbero problema, i
delinquenti, i vagabondi, i dissidenti religiosi (i cattolici, i puritani, i quaccheri). I puritani sono anglicani
influenzati dalla dottrina calvinista → 1620: 101 puritani si imbarcano sulla Mayflower e fondano in
America la cittadina di Plymouth e, prima di scendere dalla nave stipulano il Mayflower Compact, un
contratto sociale importante per fondare la nuova democrazia americani → i Pilgrim Fathers (padri
pellegrini) sono una delle manifestazioni di approdo nel Nuovo Mondo dei dissidenti religiosi. I quaccheri,
daranno vita alla colonia della Pennsylvania che, insieme a Maryland, rappresentano una prima tipologia di
colonie inglesi nel Nord America, le colonie proprietarie, ovvero che il re d'Inghilterra da il proprietà ad un
aristocratico. Ci sono anche le colonie regie, a dirette dipende del re d'Inghilterra (Georgia) e le colonie
corporative, attribuite a delle compagnie commerciali.
Il colonialismo francese è molto territorialmente vicino a quello francese, perché si sviluppa in all'America
del Nord, nel 1604, risalendo la corrente del Fiume di San Lorenzo e nel 1608 formano la città di Québec.
Queste colonie vengono create soprattutto per la caccia ai castori, per avere le pellicce di questi animali,
molto pregiate e richieste in Europa, grazie al diffondersi della moda del cappello in feltro. Sono colonie che
rimangono poco importanti per il regno di Francia e ci sarà una spinta verso un ampliamento della
colonizzazione francese solamente nel Nord America negli anni 60 del XVII, in particolare con Jean-Baptiste
Colbert, che vuole dare vita ad una vera e propria politica coloniale, dove viene imposto un rigido
cattolicesimo, e quindi i dissidenti calvinisti non sono accettati. In queste colonie si sviluppa l'assolutismo
monarchico, in maniera più pervasiva rispetto a quello che Luigi XIV riusciva a fare in Francia. Per esempio,
i comuni del Canada francese avranno limitatissima autonomia. Sono delle città che sviluppano soprattutto
lungo i corsi d'acqua. Queste verranno perse alla fine della Guerra dei sette anni, nel 1763, e passeranno
all'Inghilterra.
L'Inghilterra: da Giacomo I a Carlo I
Nel corso del XVII secolo il quadro politico inglese si destabilizza tanto da andare incontro a due
rivoluzioni: una prima che ha una durata molto estesa, dal 1640 al 1660, ed una seconda, che è un
prolungamento della prima, la Gloriosa rivoluzione, del 1688-89. Il regno di Elisabetta I (1558-1603) vede
succedere il figlio di Maria Stuarda che lei stessa aveva mandato al patibolo. Questo avviene perché lei e sua
madre erano cugine, e il parente più vicino era Giacomo VI re di Scozia, che nel 1603 diventa Giacomo I re
d'Inghilterra, inaugurando una nuova dinastia. Si era estinta la dinastia dei Tudor, e si instaura la dinastia
scozzese degli Stuart. Giacomo I era protestante; nel 1604 verrà scoperta la congiura delle polveri, in cui un
gruppo di cattolici avevano progettato di far saltare in aria il Parlamento inglese. Nel 1625, Giacomo I muore
e gli succede il figlio, Carlo I, sovrano della prima rivoluzione inglese e ne contribuirà allo scoppio. Carlo I è
protestante, molto vicino all'arminianesimo, sposa una principessa cattolica, e questo è un elemento di
sospetto, perché da più parti questi verrà accusato di preparare l'Inghilterra al ritorno al cattolicesimo. Il
regno d'Inghilterra deve proseguire il suo percorso di sostengo ai protestanti perseguitati, e uno degli episodi
più importanti si situa nel 1627-28 quando Carlo I invia una flotta in aiuto agli ugonotti chiusi nella fortezza
di La Rochelle , ma per fare questo necessita di denaro, e chiede il permesso di imporre nuove tasse al
Parlamento inglese. Il Parlamento inglese è un organismo in cui vengono rappresentati strati della società, è
una struttura bipartita: la Camera dei Comuni e la Camera dei Lords. Alla Camera dei comuni si può
accedere a suffragio censitario con un sistema di elezione basato sulle circoscrizioni amministrative in cui è
diviso il regno, le contee, e la possibilità di mandare da queste contee dei propri rappresentati a Londra. La
Camera dei Lords è di nomina regia e i componenti sono vescovi della Chiesa anglicana e la grande nobiltà.
Il Parlamento inglese non è convocato in maniera continuativa, ma solamente dietro richiesta del sovrano:
così succede nel 1627-28 quando Carlo I deve finanziare la spedizione militare, ma il Parlamento approfitta
di questa richiesta per presentare al sovrano un documento, Petition of Rights, che riguarda un
riconoscimento da parte del sovrano delle prerogative del Parlamento e dei parlamentari (il diritto dell'
habeas corpus, la possibilità di incarcerare membri del Parlamento o della piccola media nobiltà senza una
giusta causa e con delle garanzie; quelli che affondano le radici nella Magna carta del 1215, in cui si
riconoscono i privilegi della nobiltà). La risposta di Carlo I è molto netta: chiude il Parlamento, e si rifiuta di
firmarla. Dal 1628 Carlo I si rifiuterà di riconvocare il Parlamento, e per più di un decennio attuerà la politica
senza convocare il Parlamento. In questo decennio si attua una politica in mezzo a delle questioni che nel
1640:” thorough” (tutto) che indica la sua volontà → cercare di instaurare un regime assolutistico in
Inghilterra, affidandosi al Conte di Strafford e l'arcivescovo di Canterbury William Laud. Quindi da una
parte ci sono problemi di carattere religioso, una dialettica forte all'interno della Chiesa anglicana tra puritani
e arminiani; i problemi politici che si incancreniscono in questo decennio, si limita sempre più la
partecipazione dell'elettorato; aspetto sociale: chiusura dell'ascesa sociale, causata dal venir meno della
vendita dei titoli nobiliari; ambito economico: vengono imposti dei monopoli regi; si instaura un tentativo di
assolutismo, periodo di obbedienza nei confronti della monarchia, della gerarchia laica o ecclesiastica, una
politica paternalistica che prevede un'unione sempre più forte tra la Corona e la Chiesa d'Inghilterra.
Un'intransigenza che porterà, insieme alla personalizzazione dei problemi e alle gravi difficoltà economiche
del 600 , all'esplosione della rivoluzione. La rivoluzione inglese fu importante, non tanto e non solo peri
risultati concreti che ebbe sulla società inglese, quanto per il contenuto intellettuale dei programmi che cercò
di portare avanti: a fronte di quelle libertà incarnate nella Magna Carta, si contrapporranno nel ventennio
rivoluzionario, un'affermazione della libertà (al singolare) del suddito; ci sarà una spinta verso l'eguaglianza
contrapposta al privilegio; si verificherà una sempre maggiore spinta verso la fraternità contro la deferenza.
Tutto questo per arrivare ad una maggiore tolleranza religiosa limitata all'ambito protestante, la limitazione
dell'ingerenza del potere esecutivo nell'ambito delle libertà personali, una politica basata sul consenso di
ampi settori della società.
La prima rivoluzione inglese e la Glorious Revolution
La prima rivoluzione inglese scoppia nel 1640, dopo il decennio del thorough. Ciò che la fa scoppiare è una
motivazione di carattere religioso, perché l'arcivescovo Laud decide di tentare l'imposizione
dell'anglicanesimo ai presbiteriani scozzesi, dando vita a quella che è passata alla storia come la “Prima
guerra dei Vescovi”. Anche ora il sovrano Carlo I è costretto a convocare il Parlamento inglese, che passerà
alla storia con la denominazione di Parlamento breve, perché durò poche settimane, tra l'aprile e il maggio
del 1640, e perché, non aderendo alle richieste del sovrano, Carlo I decide di rimandare tutti a casa. Si
innesca un nuovo conflitto con gli scozzesi, la “seconda guerra dei vescovi”, e Carlo I è costretto a
convocare un nuovo Parlamento, che passerà alla storia come “Parlamento lungo”, che durerà dal 1640 al
1660. Le dichiarazioni del Parlamento lungo sono: 1) la dichiarazione di non poter essere sciolti dal sovrano
medesimo; 2) l'accettazione da parte del sovrano che il Parlamento abbia giurisdizione in ambito fiscale,
sulla Chiesa anglicana e sui vescovi, sull'esercito e sulla giustizia; 3) sopprimere un'istituzione: la Camera
stellata, un'alta corte di giustizia che aveva il compito di tribunale di seconda istanza e contro i reati di lesa
maestà; 4) l'arresto dell'arcivescovo di Canterbury e l'arresto e l'uccisione del Conte di Strafford. A questo si
aggiunge un incancrenirsi della situazione dal punto di vista militare, perché nel 1641 si verifica
un'insurrezione da parte dell'Irlanda, che viene repressa con un interventismo forte da parte del Parlamento
che ha acquisito una forte presa sull'esercito. In questi primi anni della rivoluzione c'è un fervore di iniziative
che tendono a scardinare alcuni punti fissi della società gerarchica inglese: si diffonde la pratica di prediche
da parte di puritani con digiuni indetti ogni ultimo mercoledì del mese, che diventano occasioni di
propaganda politica pro parlamentare e contro la monarchia; si diffonde il settore di panflettistica, di
pubblicazioni che raggiunge ampi strati della popolazione (più di 22.000 pubblicazioni di stampo
informativo politico e religioso). Si attua una spaccatura profonda nella società, dove alcuni settori della
società si schierano con il re, i realisti, e coloro che si schierano con il Parlamento. La guerra civile diventa
inevitabile e anche l'esercito si spaccherà in due: uno obbediente al sovrano e uno che si pone sotto la
direzione del Parlamento. La gentry è la piccola media nobiltà inglese di ambito rurale che comincia ad
essere rappresentata anche all'interno del Parlamento: questi sono indirizzati verso il cambiamento,
costituiscono l'ala riformatrice. Uno dei rappresentati è Henry Parker, che diventa uno degli intellettuali più
ascoltati. Le sue idee sono: 1) la fonte del potere politico sta nel consenso dei sudditi e se il sovrano non
rispetta il contratto può essere deposto; 2) il Parlamento deve essere riconosciuto come l'autorità suprema, in
quanto organismo che rappresenta la comunità; 3) i sudditi hanno la possibilità di resistere nei confronti di
atteggiamenti che ritengono ingiusti o arbitrati da parte dell'invadenza eccessiva del potere esecutivo. La
società inglese si divide in fazioni, laddove i moderati (si riconoscono con anglicani), i radicali (puritani) e i
settari (appartengono ai dissidenti e hanno presa sul “popolo minuto”). Quando scoppia la guerra civile,
all'interno dell'esercito si creano due fronti ai quali vengono affibbiati due differenti nomi: “cavaliers” e
“roundheads” che volevano distinguersi anche nella forma dai realisti. Tra le roundheads si inizierà a
distinguere un generale, Oliver Cromwel, che darà vita ad un nuovo esercito, che prende il nome di New
Model Army. Questo riuscirà a sconfiggere i cavaliers, nella Battaglia di Marstone Moore del 1644. Carlo I
deciderà di ritirarsi in Scozia, ma gli scozzesi, memori delle due guerre dei vescovi, penseranno di venderlo
agli inglesi, e ritornerà a Londra. A livello religioso, gli anglicani continuano ad esistere ma ad un certo
punto la Chiesa anglicana verrà soppressa e la dialettica sarà tra i presbiteriani calvinisti ai quali si associano
i puritani, e i congregazionalisti dissidenti. Questi erano stati fondati da Robert Brown nel 1581 e
rappresentano una delle tante sette di dissidenti formatesi. Da questi si staccheranno i battisti, che si
insedieranno soprattutto nelle colonie inglesi del Nord America. La Chiesa battista è caratterizzata da una
predisposizione verso lo spirito irenico, di pacificazione e di concordia. I quaccheri nascono proprio in questi
anni, nel 1647 e il loro fondatore è George Fox. Tutte queste sette non avranno espansione nell'Inghilterra
metropolitana, ma nelle colonie inglesi nel Nord America. Accanto a questi fattori, c'è un forte dibattito nei
primi anni anche in ambito politico, con delle posizioni anche molto estreme che preoccupano fortemente
quei settori della società che non vogliono uno stravolgimento del contesto sociale. I “levellers” o livellatori,
che hanno come leader John Lilburne e hanno delle idee molto avanzate per l'epoca: 1) tutti gli uomini sono
uguali; 2) la sovranità è del popolo, la cui conseguenza diretta è che 3) tutti gli uomini possano votare
(suffragio universale maschile); 4) la rivendicazione della totale libertà in ambito religioso. L'unico elemento
fortemente destabilizzante del quadro religioso è che i levellers continuano a sostenere l'importanza della
proprietà privata. Un altro gruppo sono i “diggers”: il loro leader è George Winstanley e predicano che la
proprietà è di tutti e che la terra deve essere distribuita a tutti (viene meno la proprietà privata). Un punto di
contatto con i levellers è il fatto che la religione pertiene alla coscienza di ciascun singolo individuo e lo
Stato deve garantire la maggiore libertà religiosa possibile. Sia i levellers che i diggers sono una grande
elemento di destabilizzazione del quadro sociale inglese, ed è per questo che alla fine c'è un rientro rispetto
alle spinte in avanti, e prevarranno gli Indipendence puritani. Il prevalere dell'ala puritana all'interno del
Parlamento inglese porterà all'esito più drammatico del primo decennio della rivoluzione: il dibattito sulla
messa a morte di Carlo I → il 31 gennaio 1649 Carlo I sarà decapitato. L'uccisione del sovrano ha un valore
importante: novità perché il re viene ucciso in nome del popolo con la motivazione di alto tradimento, per
aver violato la Costituzione del regno, il contratto tra sovrano e popolo. La decapitazione del sovrano porta
ad un cambiamento di regime: dal 1649 l'Inghilterra non è più una monarchia, ma diventa una Repubblica. Si
dà vita ad una Repubblica oligarchica, il cui potere è rappresentato dal Commonwealth. Nel 1649 si apre una
fase nuova, durante la quale la vita politica inglese è egemonizzata sia dal Parlamento che da Oliver
Cromwell, che durante i primi anni del 50 condurrà una nuova campagna repressiva nei confronti degli
irlandesi con dei massacri. Il Parlamento proporrà a Cromwell la Corona, ma la rifiuterà, e nel 1653
assumerà il ruolo di Lord protettore del Commonwealth. Negli anni successivi, questa carica diventerà
ereditaria: nel 1658, questa passerà al figlio Richard, ma sperpererà tutto. Un ulteriore elemento è la
pubblicazione nel 1651 di un testo fondamentale “il Leviatano” di Thomas Hobbes che indica come unica
soluzione per la stabilità politica di un Paese la monarchia. Egli sostiene che si è passati dallo stato di un'altra
alle società come le conosciamo proprio perché si volevano superare i periodi di insicurezza, rappresentati
dall' homo omini lupus, e questo è avvenuto rinunciando ad un pezzo di libertà individuale in nome della
sicurezza della società nel suo complesso. La società, secondo Hobbes, si basa su un patto, un contratto che
indica con il termine di “Covenant”, tra l'individuo e il suo capo, è la teorizzazione dello stato assoluto sulla
base di un patto che sta a fondamento del convivere civile. Nel 1660, il generale Monck deciderà di andare
ad Edimburgo dove si è rifugiato il figlio di Carlo I, Carlo II, che diventerà re d'Inghilterra, con la
restaurazione della monarchia . Regnerà fino al 1685, e capisce che è necessario adottare il compromesso, e
concede un'amnistia nei confronti dei rivoluzionari, restaura la Chiesa anglicana, ma ci saranno anche
elementi negativi: una sempre maggiore corruzione della corte, ritorna l'arbitrio del sovrano, si accentuano le
simpatie cattoliche all'interno dell'ambiente di corte, che provoca forti contrapposizioni, per cui ad un certo
punto in Parlamento, gli anglicani e i realisti si contrappongono, e si vengono a creare due contrapposizioni: i
Tories, conservatori, e i Whigs, liberali. I Tories sono filo-monarchici, accolgono i vescovi, la grande nobiltà,
i grandi mercanti; i Whighs costituiti dalla gentry, sostenitori delle libertà costituzionali. Il prevalere degli
Whigs all'interno del Parlamento sarà rappresentato dall'emanazione del Test Act (1673), che prevede che i
cattolici siano esclusi dalle cariche pubbliche. Successivamente verrà emanato l'Atto di esclusione: sul trono
d'Inghilterra non sarà più possibile che sieda un sovrano cattolico. Questo avviene perché il Duca di York,
fratello di Carlo II, più diretto erede al trono, era cattolico: non ci riusciranno perché nel 1685 diventa re
d'Inghilterra con il nome di Giacomo II, e gli inglesi l'accettano solo perché questi non ha eredi diretti
maschi, ma ha solo figlie cresciute nella religione protestante. Giacomo II sposerà Maria di Modena e gli
darà un figlio uomo, che farà battezzare nella religione cattolica. Questa è la scintilla che fa scoppiare la
seconda rivoluzione inglese, la Glorious Revolution. Nel timore che si perpetuasse sul trono inglese un
sovrano cattolico, il Parlamento decide di deporre Giacomo II e chiamare a sostituirlo la figlia, Mary Stuart,
che aveva sposato lo stadhouer olandese che diventa re d'Inghilterra, Guglielmo d'Orange. In questo modo, i
due imperi coloniali, la Repubblica delle 7 province unite e il regno d'Inghilterra, eviteranno di farsi la
guerra. La conclusione di questo percorso sarà con la sorella di Mary, Anna Stuart, l'estinzione della dinastia
degli Stuart all'inizio del 700, e l'arrivo di una nuova dinastia, che nel XX secolo ha cambiato nome in
Windsor. Il documento più importante che viene stilato dopo la Gloriosa rivoluzione è il Bill of Rights, che
nella sostanza dà vita ad una sorta di monarchia costituzionale in Inghilterra, in cui il sovrano è controllato
nell'esercizio del suo potere dal Parlamento, governa il re in Parlamento. John Locke appartiene ai Whigs e
sottolinea nei suoi scritti che lo Stato non può interferire nelle libertà individuali; il contratto su cui si basa la
società non è qualcosa di originario, ma è un impegno costante tra le parti, deve essere riconfermato ogni
volta che un sovrano sale sul trono; l'inviolabilità della proprietà privata. Su queste idee cardine si svilupperà
la successiva storia inglese.
La Guerra dei Trent'anni (1618-1648)
Il 1648, data in cui termina la guerra, è anche una data di riorganizzazione del territorio europeo,
paragonabile alla Pace di Lodi, perché lo stesso equilibro che si crea nel 1454 si riproporrà molto più in
grande con la Paci di Vestfalia. La Guerra dei Trent'anni è una delle più lunghe, dura in maniera molto
invasiva, con una distruzione del tessuto sociale ed economico soprattutto in ambito germanico. Sul fronte
imperiale all'interno del Sacro Romano Impero è tra due differenti visioni della politica e del modo di
organizzarla:da una parte il principio monarchico, incarnato nella dinastia degli Asburgo, che detengono il
titolo imperiale dal 1438 in maniera continuativa; dall'altra parte il principio federativo, basato sulla presenza
di una miriade di Stati (più di 300), e sul sostegno a questo sistema dai ceti imperiali. Il Sacro Romano
Impero, all'inizio del 600, è un'area molto vasta che raccoglie tra i 15-20 milioni di abitanti, che conosce la
crisi seicentesca (←). Si crea, qui, una situazione che gli storici hanno denominato “confessionalizzazione”,
relativa alle differenti confessioni religiose che si sono impiantate nell'impero e a quei momenti di
definizione del corpus dottrinale delle differenti confessioni religiose che hanno rappresentato, per i cattolici,
il Concilio di Trento, per i luterani, la formula di concordia tra luterani (1577) e il Liber concordiae (1580),
rappresenta lo stesso di quello che fu il Concilio di Trento per i cattolici, la volontà di riunirsi intorno a un
corpus dottrinale che chiarissero il perché si è luterani e perché cattolici. Un terza confessione religiosa fu il
calvinismo che, però, non era stato ricompreso nella Pace di Augusta (1555). Anche i calvinisti, nel 1563,
decidono di darsi un testo in cui le varie sfaccettature del calvinismo si riconoscessero, il catechismo che
viene pubblicato a Heildelberg. Si crea, quindi, proprio per questa tripartizione religiosa nel Sacro Romano
Impero, da una parte un problema di confessionalizzazione e dall'altra un problema di disciplinamento
sociale: il primo, perché si vuole che sia sempre più chiara l'adesione di un territorio ad una determinata
confessione, il secondo, perché si cerca di agire nel sociale per fare in modo che i fedeli si adeguino alla
scelta che è stata operata. La conseguenza di ciò è la creazione di 3 differenti “Germanie”: una cattolica, una
luterana e una calvinista. La Germania cattolica era egemonizzata dalla dinastia dei Wittelsbach di Baviera,
Massimiliano di Baviera; la Germania luterana ha come capi la Sassonia, con Dresda, e il Brandeburgo, con
Berlino. La Germania calvinista riconosce i suoi pari nella città d Heildelberg e nei conti imperiali minori. Le
3 Germanie sono tutte potenzialmente contro gli Asburgo, per due ragioni: 1) la dinastia incarna da secoli il
principio monarchico all'interno dell'Impero, mantenendo la carica imperiale nelle sue mani; 2) la famiglia
degli Asburgo si è estesa anche al di fuori dell'Impero e controlla la Spagna, quindi sono visti anche una
dinastia “spuria”. Si crea una contrapposizione tra Impero e Stati: Reich e Stats. All'Impero viene
riconosciuto il compito di difesa militare dell'impero e di cura dell'ambito di giustizia e di diritto a livello di
ultima istanza. All'imperatore si affiancano i distretti imperiali, aree che riuniscono più organizzazioni
statuali, che hanno il potere esecutivo delle aree e far sì che le infrastrutture funzionino. Ci sono gli stati
territoriali, che si occupano dell'amministrazione della vita quotidiana dei sudditi e di mantenere la
disciplina.
- La fase boemo-palatina: Rodolfo II d'Asburgo era succeduto al padre Massimiliano II, nel 1576. Questi
rimarrà a lungo sul trono, morendo nel 1612. Era un cattolico obbediente alla Chiesa di Roma, affascinato
dall'alchimia, dall'esoterismo e crea a Praga una cerchia di intellettuali, medici, filosofi e letterati, isolato nel
castello. Rodolfo II si rende conto che la situazione della Boemia è molto mutata dal 500: era sempre stato
un territorio molto vivo, pieno di fermenti religiosi e di rivendicazione nazionalistica; ora era diventata pluri
confessionale e Rodolfo II emana la Lettera di Maestà (1609) che concede libertà di culto e di fede a tutti i
ceti boemi. Questo era stato spinto anche dalla creazione di due fronti politici e confessionali opposti:
l'Unione protestante (1608) guidata dal Palatinato e la Lega Cattolica (1609) guidata di Wittelsbach.
Nonostante questo la situazione non migliore perché Rodolfo II muore, e gli succede il fratello minore
Mattia, che hanno una visione diversa di come condurre la politica religiosa in Boemia. Mattia ritiene che la
Boemia possa e debba diventare un laboratorio per il processo di riconfessionalizzazione cattolica della
regione. Più di lui, sarà convinto di questo il suo successore, Ferdinando signore di Siria, che diventerà
dapprima re di Boemia e poi imperatore del Sacro Romano Impero (1619). Durante questa fase, per la messa
in atto della politica di ricattolicizzazione della Boemia, vengono messe in atto delle azioni anti protestanti,
la più eclatante delle quali fu la distruzione di due Chiesa protestanti, che causarono la protesta di due nobili
e si risolse con l'episodio della “defenestrazione di Praga” (1618), in cui i due ambasciatori dell'imperatore
vennero buttati dalla finestra delle reggia di Praga. Ferdinando II si allea con la Baviera (cattolica) e con la
Sassonia(protestante). Nel frattempo, non solo i boemi hanno praticato la defenestrazione, ma hanno
disconosciuto Ferdinando II come loro sovrano e hanno offerto la corona a Federico V del Palatinato. Il
Palatinato era passato al calvinismo e il cui principe aveva delle relazioni internazionali molto estese: era
genero di Giacomo I d'Inghilterra, nipote di Maurizio d'Orange-Nassau, parente del re di Svezia Gustavo
Adolfo. Gli eserciti coalizzati dell'imperatore sconfiggono i boemi e Federico V nella Battaglia della
Montagna bianca (1620) e Federico V è costretto a fuggire, e si rifugerà nella Repubblica delle 7 province
unite. La vittoria militare sui boemi consente a Ferdinando II di attuare la politica di ricattolicizzazione della
Boemia. Il modo è molto pervasivo e invasivo: sottraendo i beni fondiari ai nobili protestanti e attribuendoli
ai nobili cattolici. I nobili protestanti sono costretti a lasciare il loro Paese e Ferdinando II impone che la
corona boema fosse ereditaria all'interno della famiglia degli Asburgo. Prima questo avveniva tramite una
decisione votata dalla Dieta boema, ma dagli anni 20 questa diventerà ereditaria. Ulteriore conseguenza della
disfatta dei boemi è che il Palatinato viene attribuito a Massimiliano di Baviera (1623). I Wittelsbach di
Baviera, da quel momento in poi, possono avere voce in capitolo nell'elezione imperiale.
- La fase danese: Da una parte Giacomo I d'Inghilterra e dall'altra il re di Francia Luigi XIII non accettano
che si instauri in area germanica uno strapotere della famiglia degli Asburgo, e intervengono per far sì che la
parte settentrionale del Sacro Romano Impero rimanga protestante. Entra in gioco un altro stato, il regno di
Danimarca, con Cristiano IV. La Danimarca era un territorio ricco, soprattutto per i pedaggi che tutte le navi
che passano dal Mar Baltico al Mare del Nord devono pagare. C'è la volontà di Cristiano IV di entrare in
guerra anche per imporre la sua egemonia sulla Repubblica delle 7 province unite. L'entrata in guerra però va
subito incontro ad una sconfitta, dovuta soprattutto alla presenza, nello schieramento imperiale, di
Wallenstein e Tilly, che fanno sbaragliare Cristiano Iv, ponendo fine alla seconda fase della guerra dei
trent'anni. La fase di conclude con la Dieta di mushlein (1627) che dà vita ad un riassetto confessionale della
Germania e stabilisce che debbano essere restituiti alla Chiesa cattolica tutti i beni secolarizzati a partire dal
1552. I protestanti si oppongono a questa decisione; con l'Editto di Restituzione (1629), che riguardava le
questioni relative ai beni fondiari. Anche i cattolici avversano l'Editto di restituzione perché lo considerano
un attentato alla libertà dei ceti. I ceti imperiali vogliono affermare nuovamente la compartecipazione al
potere e la libertà all'interno dei singoli territori. L'Editto di Restituzione si spinge a dichiarare i calvinisti
eretici e considerarli come un corpo estraneo all'interno della società.
- La fase svedese: il cardinale Richelieu si fa mediatore nel conflitto che opponeva la Svezia alla Polonia e,
attuando una politica anti ugonotta, conquista la fortezza di La Rochelle (1628). Il suo intento era di rompere
l'accerchiamento asburgico nei confronti della Francia, siglato nella pace di Cateau-Cambrésis. Richelieu
vuole che si crei un ordine che passi dagli Asburgo ai francesi. Per questo, attua delle manovre di
accerchiamento, portando la guerra in altri territori. Nel corso degli anni 20, viene portata la guerra nell'Italia
settentrionale, per la conquista della Valtellina, che rappresenta un importante canale di passaggio delle
truppe imperiali, e anche nella guerra per Mantova e il Monferrato. A Mantova si era estinta la famiglia dei
Gonzaga e diventa terreno di scontro tra i Bordone e gli Asburgo; si imporrà la dinastia dei Gonzaga-Nevers,
a scapito della stabilità del ducato, che nel 1629 vedrà l'assedio a parte delle truppe e la diffusione
dell'epidemia di peste. Ferdinando II necessita di denaro per le guerre e i ceti imperiali impongono la
destituzione del generale Wallenstein. Wallenstein va incontro a seri problemi finanziari e si suicida, e la
situazione che si cerca di mantenere è di accettare una Germania meridionale sotto il controllo degli
Asburgo, e di mantenere un'area germanica settentrionale protestante. Il nuovo alleato è Gustavo Adolfo, re
di Svezia. La Svezia era scarsamente popolata, ma ricco di materie prima, come rame e stagno, ed è spinta
verso l'innovazione tecnologica, e si pone come superpotenza dell'area europea settentrionale e della penisola
scandinava. Si creano, alla fine degli anni 20, tre partiti: uno che sta con l'imperatore, uno che sta con la
Sassonia, a cui si affiancherà il Brandeburgo il cui principe è calvinista, e uno che sta con la Svezia. Gustavo
Adolfo entra in guerra con delle motivazioni ben precise: battere la Danimarca per il controllo del Mar
Baltico, acquisire un'egemonia sull'area germanica settentrionale, aspirare a strappare la corona imperiale
agli Asburgo. Tra il 1631, con la Battaglia di Breitenfeld, e il 1632, con la Battaglia di Lützen, gli svedesi
ottengono delle vittorie strepitose sugli eserciti imperiali, ma nella battaglia del 1632 Gustavo Adolfo perde
la vita, e al fronte protestante viene a mancare il suo capo. Ottiene la fine del predominio cattolico e della
minaccia delle ricattolicizzazione della Germania settentrionale. Tilly muore in battaglia. Viene richiamato il
generale Wallenstein, ma si dimostra troppo ambizioso, tant'è che nel 1634 Ferdinando II manderà dei sicari
a farlo uccidere. Nel 1634, con la Battaglia di Nördlingen, gli svedesi vengono sconfitti dagli eserciti
imperiali cattolici. La Svezia, proprio per aver partecipato alla guerra, si afferma come una delle grandi
potenze politico-militari dell'Europa del 600, anche perché, nonostante il sovrano sia morto, il pilastro è il
ministro Axel Oxenstierna, che tiene le fila del partito protestante, tanto che riesce a portare dalla sua parte la
Francia di Richelieu e di Luigi XIII. Nel 1635, con il trattato di compiegn, la Francia entra ufficialmente
nella guerra dei trent'anni, affianco della Svezia, aprendo la quarta ed ultima fase della guerra.
- La fase franco-svedese: La Francia è già in conflitto con la Spagna per il controllo dei Paesi Bassi
spagnoli, ma anche per il Ducato di Milano e la Valtellina e ora ingaggia un conflitto aperto con gli Asburgo.
Durante i primi anni non ci sono successi strepitosi; Richelieu tenta di staccare la Baviera dal fronte
asburgico; nel 1637 muore Ferdinando II e gli succede il figlio, Ferdinando III, che instaura un nuovo clima
nel rapporto con i ceti imperiali, tant'è vero che decide che possono rimanere ai protestanti tutti i bene
posseduti fino al 1627. Nel 1640, in area spagnola, si ribellano alla dominazione spagnola il Portogallo,
imponendo la dinastia dei Braganza e ritorna un regno autonomo, e la Catalogna, che decide di riconoscere
come proprio sovrano Luigi XIII re di Francia. La Spagna si indebolisce fortemente e il più importante
risultato è la battaglia di Rocroi(1643), in cui i tercios spagnoli vengono sconfitti dai franco-svedesi. A
questo si aggiunge, la guerra civile in Inghilterra, l'Impero stremato a causa delle guerre su suo territorio,
ribellioni interne al territorio francese, quindi ormai tutti gli attori coinvolti vogliono arrivare ad una pace.
Inoltre, nel 1640, diventa signore del Brandeburgo Federico Guglielmo e riesce, grazie all'appoggio della
Svezia, a riavere i propri territori. Da qui, si svilupperà la crescita della Prussia come potenza militare.
I trattati di Pace(1648) furono firmati in due città: Münster e Osnabrück. Come plenipotenziario imperiale
domina il Conte di Trautsmandorf e si impone con un appello al nazionalismo tedesco contro le potenze che
non fanno parte dell'area germanica, Svezia e Francia. A Trautsmandorf si oppone il leader dei protestanti,
Federico Guglielmo di Brandeburgo. Il 1648 è anche l'anno della firma della pace tra Spagna e la Repubblica
delle 7 province unite, il trattato dell'Aja, che pone fine alla Guerra degli Ottant'anni, che si conclude con il
riconoscimento della Repubblica. Nella Paci di Vestfalia si consacra la vittoria del principio federale sul
principio monarchio: i ceti vengono ammessi come protagonisti all'interno dei trattati di pace e quello che si
afferma viene sintetizzato nell'espressione tedesca “Kaiser und Reich”, l'imperatore e l'impero, un dualismo.
Nel concreto, significa che tutte le città tedesche hanno la possibilità di siglare trattati di pace o si
intraprendere dei conflitti bellici (ius belli ac pacis), i ceti imperiali hanno pari rango e sovranità
all'imperatore. Alla Francia vengono dati dei territori al confine con i Paesi Bassi spagnoli, perché è un modo
per contenere l'accerchiamento degli Asburgo di Spagna; alla Svezia viene attribuita la Pomerania, che viene
diviso in due, con la Pomerania orientale assegnata al Brandeburgo. Il Palatinato viene smembrato in
Palatinato alto, mantenuto dai Wittelsbach, e Palatinato basso ,attribuito ai Wittelsbach palatini, cattolici.
Con lo smembramento del Palatinato, i principi elettori non saranno più 7, ma 8, e l'ottavo sarà cattolico. Nel
1692, si aggiungerà un nono principe elettore, rappresentato dai principi di Hannover, il cui principe
diventerà nel 1714 re d'Inghilterra. Dal 1714, l'Inghilterra avrà voce in capitolo nell'elezione dell'imperatore
del Sacro Romano Impero. Con queste paci, tre grandi acquisizioni: 1)si aggiunge il Calvinismo come terza
confessione, accanto al cattolicesimo e al luteranesimo; 2) L'anno di restituzione dei beni secolarizzati viene
fissato al 1624; 3) Il principe naturale del territorio non potrà più imporre la propria confessione religiosa ai
sudditi.
L'Europa della prima metà del 700
Nel corso del 700, l'Impero ottomano, soprattutto a causa del dinamismo degli Asburgo d'Austria, subisce dei
forti colpi; dopo la sconfitta nell'assedio di Vienna del 1683, l'Impero ottomano si richiude in se stesso e
diventa terreno appetibile per gli altri Stati. Si creano due grandi potenze che si consolidano, l'Inghilterra,
che fa sì che il baricentro della storia europea si cominci a spostare sempre più verso la costa Atlantica, e
l'Impero russo. I principi tedeschi rappresentano la parte germanica dell'Europa, non potendosi espandere sul
mare perché l'unico sbocco è già egemonizzato dalle potenze scandinave, capiscono che l'unica possibilità è
ad est e per via di terra, e l'Impero russo sarà un forte ostacolo a questa espansione. Dall'inizio del 700,
grazie a Pietro il Grande, che incarna il cesaropapismo, inizierà ad espandersi sempre più verso la Siberia,
rafforzando l'ascesa dell'Impero russo, garantendosi la fedeltà delle popolazioni che abitano quest'area, e
avendo anche la possibilità di guardarsi le spalle. L'Europa occidentale non si limita ad un politica di
contenimento e di difesa, ma cerca di tenere a bada i nemici e di sottrarre fette di mercati e fette di territori,
con esiti precari. La Russia si mantenne fuori dalle alleanze europee per un periodo abbastanza lungo, e lo fa
per indebolire lo Stato più importante, coeso e compatto, cioè la Francia. La Francia fa una politica di
alleanze in tutta Europa per cercare di garantirsi il primato come potenza. Gli alleati su cui la Francia può
contare sono: la Svezia, la Polonia e l'Impero ottomano (tutte strane alleanze). Queste 3 grandi alleanze sono
tutte potenzialmente anti russe, perché questi 3 Stati sono visti dai russi come i principali avversari da
combattere e sconfiggere. Le motivazioni di alleanze sono tutte di tipo politico. All'inizio del 700, Pietro il
Grande stacca la Polonia da quest'alleanza in funzione anti svedese. Nel corso dei 20 anni (1700-1721,
durante la Guerra del Nord) ad essere favoriti e privilegiati saranno sia la Russia che la Prussia degli
Hohenzollern, la quale riuscirà a strappare alla Svezia la parte della Pomerania che era stata assegnata agli
svedesi al termine della Guerra dei trent'anni. Il nemico nei confronti del quale la Russia non riesce ad avere
importanti vittorie è rappresentato dall'Impero ottomano, ma anche qui si cerca di attuare una strategia di
accerchiamento, stabilendo rapporti con la Cina (Trattato di Nerkins,1689) e la Persia(impero musulmano,
sciismo). La politica russa è una politica intelligente, visto che non può sconfiggerlo, cerca di accerchiarlo
tramite una rete di alleanze. L'Inghilterra si preoccupa di questo attivismo russo, soprattutto a causa delle
relazioni stabilite con gli imperi islamici, temendo che la Russia possa affacciarsi al Golfo Persico, quindi
all'Oceano Indiano che dava accesso alle ricchezze dell'oriente. L'altra preoccupazione è che la Russia riesca
ad affacciarsi sull'Oceano atlantico.

Guerra di successione polacca e austriaca


Nel corso della prima metà del 700, si verificano in Europa altre due guerre di successione: quella polacca
(1733-1738), quella austriaca (1740-1748). Come la guerra di successione spagnola, nascono dal fatto che si
crea un problema relativamente alla successione al trono. Per quanto riguarda la Polonia, è un regno elettivo;
i due candidati che si contrappongono a partire dal 1733, quando muore Augusto II di Polonia, sono il figlio
Augusto, e un nobile polacco, Stanislav Leszczynski, che aveva già tentato di diventare un re, senza però
riuscirvi. Alla fine di questa guerra, la corona di Polonia va a Augusto, che diventa re di Polonia con il nome
di Augusto III, e per dare un contentino all'altro, gli viene attribuito il Ducato di Lorena, perché questi, oltre
ad essere un nobile importante, era anche il suocero del re di Francia, Luigi XV, che aveva sposato la figlia.
Il Ducato di Lorena era governato da Francesco Stefano, che era anche diventato marito di Maria Teresa
d'Asburgo. Francesco Stefano decide di abdicare e cedere il ducato a Stanislav Leszczynski, in cambio di un
altro territorio, il Granducato di Toscana; da quel momento inizia la dinastia degli AsburgoLorena. Un altro
elemento da sottolineare alla fine della guerra di successione polacca è la perdita da parte dell'Austria del
Regno di Napoli e il passaggio sul trono di Napoli di Don Carlos di Borbone, figlio di Filippo V di Spagna e
Elisabetta Farnese, il quale aveva acquisito la corona di Parma e gli si era anche prospettata anche la corona
di Toscana. Da quel momento, il Regno di Napoli torna ad avere a tutti gli effetti una dinastia. Più tardi, Don
Carlos di Borbone avrà la corona di Spagna, succedendo a suo padre Filippo V. Per quanto riguarda l'Austria,
quando nel 1740 muore Carlo VI si innesca la lotta per la successione, diventa arciduchessa la figlia Maria
Teresa d'Austria, c'è uno scontro con Federico II di Prussia che era diventato re di Prussia, che era il più
acerrimo nemico di Maria Teresa d'Austria, e cerca di sottrarle un territorio ricco, la Slesia. In questi 8 anni
di guerra non consecutivi, si confronteranno i Borbona (Francia e Spagna, che sostengono la Prussia) e
l'Austria che riceve il sostegno della Repubblica delle 7 province unite e l'Inghilterra. L'esito è il
riconoscimento della legittimità di Maria Teresa come successore al trono di Carlo VI, il riconoscimento al
trono di Francesco Stefano come imperatore del Sacro Romano Impero. La Prussia si annetterà la Slesia e i
Borbone di Spagna riescono ad imporre un loro rappresentante sul trono di Parma e Piacenza. Con la Pace di
Aquisgrana del 1748 si ricompone, dopo mezzo secolo di lotte, un quadro geopolitico europeo destinato a
durare ancora per qualche anno, prima di essere totalmente sconvolto dalla Rivoluzione Francese e le guerre
napoleoniche.
La guerra dei 7 anni
La metà del 700 si apre con un avvenimento che sconvolge la consolidata tradizione che aveva visto il
contrapporsi degli Asburgo e i Valois, poi Borbone. Quello che accade è l'avvicinamento tra questi due
tradizionali nemici che si erano fatti la guerra: Luigi XV e Maria Teresa si alleano, perché nel 1756 viene
siglato un trattato di alleanza, il Trattato di Westminster tra Federico II di Prussia e l'Inghilterra, tradizionale
alleata dell'Austria. Perché avviene questo? Da una parte perché l'Inghilterra crede che non sarà mai possibile
che due differenti entità statuali e differenti dinastie potranno arrivare a scendere a patti o allearsi; dall'altra
parte, il re di Prussia non capisce che il vero scontro non è più tra Francia e Austria, ma tra Francia e
Inghilterra. Proprio a causa del rovesciamento delle alleanze, trae origine un altro importante conflitto che
vede contrapporsi gli Stati europei secondo il nuovo scema di alleanze: la Guerra dei 7 anni (1756-1763). La
Guerra dei 7 anni non si consuma solo sul suolo europeo, addirittura ha origine al di fuori dell'Europa, da una
parte nel Nord America, in cui Luigi XV voleva collegare il Canada e la Louisiana, collegamento che viene
vissuto come una sorta di accerchiamento dalle potenze inglesi; dall'altra porta, alcuni focolai si sviluppano
nel subcontinente indiano, dove si sviluppano entrambe le potenze, le quali vogliono inserirsi all'interno delle
contrapposizioni tra i sovrani del territorio indiano per farsi le scarpe l'un l'altra. Con la Pace di Parigi del
1763, l'Inghilterra risulterà vincitrice. Il re Federico di Prussia riesce a salvare lo Stato e il dominio. Altri
esiti, anche al di fuori dell'Europa, sono che l'Inghilterra si appropria del Canada francese, che diventa
protettorato inglese, e della Florida. Il rafforzamento inglese però sarà solo temporaneo.
L'Europa nella seconda metà del 700
La Russia è la protagonista dei capovolgimenti che hanno luogo in Europa in questo periodo. La
protagonista dell'impero russo è Caterina II, principessa di origini tedesche che aveva sposato lo zar Pietro
III, la cui morte le diede il trono (1762). Nei 34 anni di regno, Caterina mette in atto una serie di azioni che
affermano la Russia come protagonista della storia europea e asiatica, ma soprattutto come un rivale sempre
più pericoloso per le frontiere orientali. La sua politica si sviluppa dapprima nei confronti della Polonia che,
tra il 1772 e il 1795, arriva a scomparire definitivamente dalla cartina. Una prima spartizione si verifica nel
1772, e vede come protagonisti la Russia, l'Austria e la Prussia, ma va a vantaggio della Prussia, perché
riesce ad ottenere un collegamento territoriale diretto tra il Brandeburgo e i territori orientali del Ducato di
Prussia, e diventa un territorio compatto e coeso. La Polonia ricomparirà solo alla fine della Prima Guerra
Mondiale. Caterina II è attiva anche nei confronti di un altro nemico, l'Impero ottomano. La guerra russo-
turca (1768-1774) è passata alla storia per un'impresa che sembrava impossibile: la circumnavigazione da
parte della flotta russa di tutto il continente europeo, dal Mar Baltico al Mar Egeo. Un'impresa frutto della
volontà di potenziare la flotta navale turca che aveva avuto bisogno per potersi concretizzare. La Russia
cerca di fomentare la rivolta dei greci contro i turchi; stabilisce contatti con l'Egitto, ma tutto viene fermato
dall'azione dell'Inghilterra, fortemente preoccupata per l'ingresso russo nel Mediterraneo, quindi dà vita ad
un'alleanza che riunisce i nemici russi, Svezia, Impero ottomano e Prussia. E' un'alleanza capitanata
dall'Inghilterra per tenere a bada uno stato il cui attivismo era visto come rischioso; la chiave di volta che
salva l'Impero ottomano è la sorprendente resistenza turca che vanifica i tentativi della zarina Caterina II di
colpire al cuore l'Impero ottomano. Nel corso degli anni 70 del 700, la Russia darà dimostrazione della sua
magnificenza, che può essere vista come un vero rivale che può diventare rischioso.
La Rivoluzione Americana
Ci sono state tre differenti interpretazioni della Rivoluzione Americana. La prima di queste individua nella
rivolta dei coloni un movimento d'indipendenza nazionale. Questa è stata creata a posteriori in ambito
americano, perché è diventato un mito di fondazione dell'unità e dell'identità della nazione che si è creata alla
fine del conflitto. L'interpretazione tende a sopire i conflitti sociali e le lotte intestine che si svilupparono
negli anni della rivolta dei coloni nei confronti della madrepatria. Una seconda interpretazione vede nella
Rivoluzione Americana la volontà di un cambiamento sociale, basato sull'affermazione dell'uguaglianza
originaria degli uomini presente nella Dichiarazione d'indipendenza, ma che cozza con la realtà che si
sviluppo anche dopo le ricostituzioni che si vengono a sottoscrivere, perché nella sostanza la società
americana continuerà a vivere nelle disuguaglianze, economiche e sociali. Una terza interpretazione, vede la
Rivoluzione in funzione dell'esito che questa ha avuto, cioè la creazione di uno Stato nazionale nuovo,
differente, che cambia in proseguo di tempo, perché nel 1777 si crea un'unione perpetua delle colonie che si
sono rese autonome dalla madrepatria, riunendosi sotto una Confederazione, e nel 1787 quello che si crea è
uno Stato federale a tutti gli effetti. Nella Confederazione, gli Stati mantengono delle prerogative di
autonomia e indipendenza e cercano un coordinamento centrale che non sia invasivo; nella Federazione che
si crea 10 anni dopo, la Federazione delega la parte importante del potere degli Stati a degli organismi
centrali che hanno ancora potere d'intervento all'interno dei singoli Stati. Tutte queste sono costruzione
messe in atto contro i nativi,che i coloni americani cercano di comprimere sempre più, venendo contro alla
Royal Proclamation (1763) che il Regno d'Inghilterra aveva firmato per sancire il divieto per i coloni inglese
la linea dei monti allagheni che divideva la costa Atlantica dal Nord America. Il rappresentate del re nelle
colonie è il governor (governatore) che riunisce in sé il potere esecutivo e quello giudiziario. Il governor si fa
coadiuvare dal council, che ha voce in capitolo anche nel potere esecutivo e forma la corte d'appello. Poi,
l'assembly, in cui si accede per elezione censitaria; ha un potere legislativo limitato al territorio della colonia
e all'imposizione fiscale. All'interno delle colonie, gli indigeni non sono considerati sudditi (come accadeva
nelle colonie spagnole), ma estranei, e i coloni inglesi non hanno interesse a convertirli al cristianesimo, è
più diffusa l'ideologia puritana secondo qui il popolo eletto ha il diritto di sottrarre la terra ai pagani. Ci sono
gli schiavi africani che, a sud continuano a rimanere a schiavi, a nord ci sono meno schiavi ma più trafficanti
di schiavi. Per quanto riguarda l'economia, le colonie sono rappresentate da uno scarso sviluppo delle
manifatture locali, non solo per i divieti mercantilistici inglesi, ma anche perché in effetti i prodotti inglese
sono di migliore qualità e costano anche meno. Producono: carne, cereali e legno, utile alla cantieristica
navale inglese. Il giro di vite imposto dagli inglesi sarà una delle cause della rivolta dei coloni nei confronti
della madrepatria. La causa principale è riferita alle conseguenze della Guerra dei 7 anni, relative alla
volontà da parte della madrepatria di far pagare ai coloni americani le enormi spese che l'intervento inglese
ha provocato durante la guerra. Le cause sono molteplici, ce ne furono anche altre; il costo dello scontro con
gli indiani, come causa di riorganizzazione del sistema fiscale del vasto impero coloniale inglese; la
recessione economica che si sviluppa a causa della guerra, quindi si realizza un incremento del debito delle
colonie nei confronti della madrepatria aggravata anche dall'invasione dei prodotti della rivoluzione
industriale all'interno delle colonie. Ci fu anche la diminuzione dei profitti in ambito commerciale, in parte
dovuti alla crisi economica che si era avuto a causa della guerra che ha anche un risvolto positivo per le
colonie, perché ha fatto sì che capitali potessero essere indirizzati verso lo sviluppo di manifatture colonie
che hanno costituito una sorta di boomerang nei confronti della madrepatria. Inizialmente il termine
'americani' viene usato dagli inglesi con un'accezione negativa, a partire dal 1763, la cui accezione ha a che
fare con il fatto che gli inglesi si sentono differenti e che considerano inferiori. L'identità americana si forma
tra il 1763 e la metà degli anni 70 del 700, dapprima come negativa poi acquisendo un'accezione identitaria
forte. C'è anche una differente concezione di ciò che è legale, lecito per gli inglesi e per i coloni. Gli inglesi li
ritengono incapaci di gestirsi e autogovernarsi; i coloni ritengono che ci sia un'indebita intromissione da
parte degli inglese nei loro affari interni e sviluppano questa percezione quando, dopo il Trattato di Parigi, gli
inglese intervengono in ambito fiscale. Nel 1764, si inizia con l'emanazione del Revenue Act, un decreto che
intende contrastare il contrabbando. Il contrabbando con le colonie caraibiche contro gli interessi della
madrepatria era una delle fonti di ricchezza delle colonie; introduce delle bolle di accompagnamento per
tracciare il percorso delle merci; inoltre impone una ristrutturazione delle dogane e prevede un
dimezzamento dei dazi di importazione delle merci, ma impone che vengano applicati con rigore. Questa è
una prima avvisaglia della sempre maggiore tensione tra madrepatria e colonie. Lo Stamp Act (1765) impone
che tutte le transazioni commerciali vengano accompagnate da documenti e da bolli acquistati presso
rivenditori autorizzati. I coloni si ribellano e contestano addirittura l'autorità del Parlamento inglese
nell'imporre delle tasse a coloni che non sono rappresentati all'interno del Parlamento inglese (“No taxation
without representation”). Fin dalla Glorious Revolution, l'attività legislativa era condivisa dalle due Camere
e dalla Corona, in un processo di costruzione del consenso. Una delle prerogative più importanti del
Parlamento era quella di essere consultato per l'approvazione di nuove tasse perché solo i rappresentanti del
popolo hanno il diritto di trasferire pezzi di proprietà. Quello che i coloni non accettano è che questo potere
sia riconosciuto al Parlamento inglese e non alle assemblies. Questo diritto viene ridotto da questi decreti che
cominciano ad arrivare dalla madrepatria. Thomas Whately nel 1765 risponde con la Teoria della
rappresentanza virtuale: il Parlamento inglese rappresenta tutti i sudditi inglese, ovunque essi abitino, e
all'interno del Parlamento inglese non sono rappresentati poveri, donne e bambini, ma sono comunque tenuti
a rispettare le regole, e lo stesso devono fare i coloni. Questa teoria derivava dal pensiero costituzionale del
600, secondo il quale un rappresentate di una fetta di popolazione, rappresenta tutti, solo chi lo ha eletto, ma
tutto il popolo. Gli risponde Daniel Dulany che dice che la rappresentanza virtuale può andar bene, ma solo
per gli inglesi, non vale quando non si è legati da un vincolo territoriale. La risposta del Parlamento inglese
sarà l'emanazione di nuovi atti: 1767, Townscend Acts, impone nuovi dazi sulle merci circolanti all'interno
dell'impero coloniale inglese, scatenando nuove proteste, tanto che più tardi l'Inghilterra sarà costretto a
sopprimere l'Act, lasciando il dazio solo sul the, che sarà all'origine del “Boston Tea Party” (1773), in cui i
coloni americani getteranno in mare un carico da the in forma di protesta plateale. La reazione giungerà e
sarà durissima, con gli Intolerable Acts, che comporterà la chiusura definitiva del porto di Boston, daranno
più potere ai governors e alle milizie inglesi. Gli Intolerable Acts portano alla riunione del primo congresso
continentale dei coloni americani a Philadelphia nel 1774, nel quale non si parla ancora di indipendenza, ma
ci sono due possibilità: accettare la validità del Parlamento di Londra con un'assemblea intercoloniale che
controlla le leggi; oppure il Parlamento inglese ha giurisdizione solo sulle isole britanniche, le colonie si
autogovernano e riconoscono solo il re, idea avanzata da Thomas Jefferson. Sciolto il congresso, la
situazione sfugge dalle mani dei coloni, infatti iniziano a formarsi dei comitati e delle milizie popolari che si
contrappongono all'esercito inglese, con il quale inizia ad una vera e propria guerra. Si inizia a riscuotere le
tasse in autonomia, e nel 1775 sarà convocato un secondo congresso. Viene creato un esercito che raggruppa
le milizie coloniali in un unico esercito, la Continental Army, la cui guida è attribuita a George Washington,
che avrà un ruolo importante nella Rivoluzione americana. Nel 1776, esce un breve libretto di Thomas Paine
“Common sense”, che sostiene che l'indipendenza delle colonie è ormai necessaria, opportuna e inevitabile.
Questo perché quello che si vuole creare è un nuovo mondo che sconfessa il vecchio ordine europeo e che
può diventare un mondo migliore, dove può regnare la libertà e la felicità, che sarà alla base della
Dichiarazione dei diritti e dell'indipendenza, nel luglio 1776. Viene sottoscritta il 2 luglio, ma ciò avvenne
solo il 4 luglio, festa nazione degli USA. La Dichiarazione d'Indipendenza è esemplata su quella della
Virginia,a sua volta esemplata sul Bill of rights del 1689, che dà vita alla Confederazione degli Stati Uniti
d'America. Nel decennio tra la prima e la seconda costituzione, si capisce che gli Stati così divisi hanno
scarsa capacità di combattere, tant'è vero che si dà vita ad una seconda costituzione del 1787, che delinea la
divisione dei poteri che continua ad esserci ancora oggi. Si arriva all'esito di un governo forte e centralizzato,
con la creazione di un Congresso bicamerale (Senato e Camera dei deputati, che hanno il potere legislativo);
il potere esecutivo è riconosciuto nelle mani di un presidente, il primo sarà George Washington e rappresenta
la popolazione, ma avrà anche un po' del potere giudiziario, perché il potere giudiziario verrà affidato ad una
corte suprema, ma questi vengono designati dal Presidente, solamente se uno di questi membri muore nel
periodo di mandato del Presidente. Per la prima volta si viene a creare una democrazia in cui in maniera
consistente viene applicata la separazione dei poteri,così come era stata postulata da Montesquieu nel
1748.Altri precedenti hanno ispirato la creazione della Repubblica Federale degli Stati Uniti d'America: le
rivoluzioni inglese del 600, i de trattati sul governo di John Locke, la Magna Carta del 1215, il richiamo al
repubblicanesimo antico cioè la repubblica romana e si richiamano anche gli autori politici che avevano
ripreso questo tema, come Niccolò Machiavelli, e il testo di Adam Smith “La ricchezza delle nazioni” che
individua che alla base del liberismo si basa sulla tutela e e il carattere espansivo della proprietà privata come
volontà di accumulare ricchezza individuale, che vuol dire anche migliorare la nazione in cui questi vivono.
Gli antecedenti della Rivoluzione Francese
Dopo un primo tentativo all'interno dell'ambito asburgico e spagnolo incarnato dalla figura di Carlo V, dopo
un secondo tentativo legato alla Spagna rappresentato da Filippo II, dopo che nella seconda metà del 600 e
inizio 700 il testimone è passato a Luigi XIV, ora il tentativo fuoriesce dalla spaccatura rivoluzionaria, ma si
incarnerà nella figura di Napoleone Bonaparte, e sarà questo quarto tentativo di egemonia, insieme a quello
di Hitler, arriveranno molto vicino a quest'obiettivo. C'è stato un effetto scatenante della rivolta, che tra i veri
motivi annovera anche quelli di carattere economico. Nel 1788, si verifica un cattivo raccolto, la più grave
carestia mai conosciuta, ancora più fenomenale, anche perché nei 15 anni precedenti si era assistito ad un
trend di ribasso dei prezzi indispensabili, cereali e pane. E' proprio la velocissima esplosione del rincaro del
pane che arriva a toccare il 70%, una crisi delle manifatture tessili dovuta alla concorrenza inglese, a
provocare forte malcontento, e ai vertici del potere regio, Luigi XVI, si rende conto che è necessario mettere
in atto una politica riformistica. Fra il 1783-87 viene nominato come controllore generale delle finanze
Callon che, nel 1786, presenta al sovrano il piano di miglioramento delle finanze, che ha l'obiettivo di
cercare di ridurre il debito pubblico. Tra le varie proposte, la vendita in 25 anni dei beni del demanio
pubblico, la soppressione delle dogane interne con la liberalizzazione del commercio del grano, la
sostituzione degli Stati provinciali con delle assemblee municipali,distrettuali, provinciali, alle quali si
accedeva su base censitaria per cercare di concentrare qui la distribuzione dell'imposizione fiscale, in
direzione del contrasto dei privilegi della nobiltà e delle esenzioni. A causa dell'opposizione dei Parlamenti,
il programma viene rigettato. Luigi XVI si trova costretto a licenziarlo e sostituirlo con Loménie de Brienne,
che ritira fuori buona parte delle proposte di Callon. Nel 1788, presenta un rendiconto del tesoro in cui
fuoriesce il peso del deficit nelle spese sostenute dallo Stato; si sottolinea che gli interessi per acquistare i
titoli che finanziano il debito pubblico assommano a più del 50% delle spese in un anno. Le sue proposte
sono quelle di liberalizzare il commercio interno, di creare delle assemblee provinciali e di rendere
redimibili(riscattate in denaro) le corvè. Proprio in questo momento, il Parlamento di Parigi mette in atto
delle azioni che vanno in direzione opposta: si rifiuta di registrare le missioni di nuovo prestito, a meno che il
sovrano non conceda di convocare gli Stati Generali, che non venivano più convocati dal 1614; emana una
risoluzione contro le Lettres de Cachet, cioè la possibilità del sovrano di imprigionare la Bastiglia senza
giusta causa chiunque ritenesse pericoloso per se stesso o per il Regno; il Parlamento si dichiara custode
delle leggi fondamentali del regno. Un altro collaboratore, il cancelliere Lamoignon , di fronte a questi
ostacoli, risponde in maniera dura: stabilisce che gli editti e le leggi siano registrate da una Corte di nomina
regia, ma viene incontro ad alcune richieste del Parlamento, come la proposta di sopprimere la tortura, la
pena di morte(nel 1786 era stata soppressa nel Granducato di Toscana). Questo scatena violente opposizioni
nelle province, gli aristocratici e i parlamentari si saldano nell'opposizione e hanno come obiettivo le
assemblee provinciali che si stavano sostituendo ai Parlamenti, e invece peronano il ristabilimento degli Stati
provinciali e la convocazione degli Stati Generali. Di fronte a queste proteste, più forti nella parte orientale,
Luigi XVI licenzia: Lamoignon, Lomédie de Brienne, e viene richiamato Jacques Necker. Era un grande
banchiere e va incontro alla richiesta di convocazione degli Stati Generali. Si stabilisce che vengano
convocati l'1 maggio 1789. Si pongono due problemi: problema di rappresentanza, perché i 3 stati degli Stati
generali( clero, nobiltà e terzo stato) devono esprimere un solo voto, e non per testa; e il problema del
numero dei deputati che non possono essere gli stessi nei tre ordini, perché il terzo stato rappresenta la
popolazione. In effetti, nel gennaio del 1789 Luigi XVI concede il raddoppio del numero dei rappresentanti.
Quello che lascio indeciso è il criterio del voto, se per ordine o per testa. I lunghi mesi di preparazione della
convocazione degli Stati Generali, servono alla Francia per stilare i Cahiers de doléhances, degli opuscoli
all'interno dei quali vengono elencati tutte le cose che si ritengono non funzionino nel regno. Le richieste che
fuoriescono: la costituzione che limiti i poteri del sovrano, una rappresentanza che abbia voce in capitolo nel
potere legislativo e nella ripartizione delle imposte, riforma del fisco, garanzia per la libertà di stampa ecc. Ci
sono anche richieste più specifiche che riguardano la nobiltà, che difende il voto per ordine, accetta
l'uguaglianza fiscale(nelle tasse) ma non quella giuridica. Il clero fa emergere dei contrasti tra le richieste del
basso clero e i vescovi, una contrapposizione che arriverà ad una spazzatura proprio l'1 maggio. Gli opuscoli
politici che iniziano a circolare, l'uscita di un libello “Che cos'è il terzo stato”, invitano ad inventare un
linguaggio politico nuovo, con parole vecchie con significati nuovi: Nazione, rappresentata SOLO dal terzo
stato, clero e nobiltà sono corpi estranei; sovranità, non risiede nel re, ma nel popolo; costituzione, non più
un complesso di leggi, ma una carta, che norma forme di sovranità nuova, che regola le libertà nuove del
cittadino, una carta costituzione sottoposta al voto della nazione.
La rivoluzione francese
Prima fase della rivoluzione: 1789-92, vede più ridimensionata la figura del sovrano; la seconda fase 1792-
94, la Francia si trasforma nella Repubblica, il periodo del terrore; terza fase 1794-99, l'età del direttorio; il
colpo di Stato, 1799 in poi, nuova fase in cui la Francia si trasformerà in un impero sotto Napoleone, a
partire dal 1804.
1°fase (1789-92) : Il 5 maggio 1789, si riuniscono a Versailles gli Stati Generali. 291 sono i rappresentati del
clero, per la maggioranza basso clero; 270 nobiltà la maggioranza è composta dai reazionari; 578 del terzo
stato, e sono uomini di legge. A fronte del persistere del silenzio da parte del sovrano sulla questione del
voto, gli Stati Generali si trasformano in Assemblea di deputati dei comuni, che nel giugno diventa
Assemblea nazionale. Questa dà vita al Giuramento della Pallacorda, in cui i rappresentanti del terzo stato,
insieme al basso clero e ai nobili progressisti, si riuniranno il 20 giugno, in cui si esprime il venir meno
dell'Assemblea alle decisioni del sovrano. Si denominerà Assemblea Nazionale costituente. Si diffonde la
“grande paura”, voci su un esercito in viaggio verso Versailles per sciogliere l'Assemblea, si verificano
sommesse sia in città che nelle province contro gli altri prezzi del grano, si verificano nelle campagna delle
rivolte contadine contro la paura dei briganti e contro il diffondersi della voce di un complotto degli
aristocratici per porre fine alla protesta. Si arriva in pochi giorni al 14 luglio 1789. Questa data è
tradizionalmente indicata come la data di scoppio della rivoluzione perché Necker viene licenziato e c'è il
timore di un colpo di stato militare, questi timori fanno sì che entri in azione un nuovo inedito protagonista:
la folla parigina, che si scaglia contro la prigione della Bastiglia, simbolo dell'oppressione e della monarchia.
Da quel giorno, un vero e proprio processo costituzionale, che vuole portare alla sottoscrizione di una vera e
propria carta costituzionale, e in effetti arriverà. Vengono prese delle decisioni importanti dall'Assemblea:
nella notte tra il 4 e il 5 agosto, si decide di abolire i diritti feudali, si rendono riscattabili quelli sulle terre,
con modalità molto restrittive; scompaiono i tribunali signorili che amministravano la giustizia e anche tutte
le decime del clero. I decreti del 5 e 11 agosto abbattono i fondamenti dell'Ancien Régime, cioè la vendita
degli uffici, viene sancita la proporzionalità del pagamento delle imposte, vengono cancellati i privilegi e
viene sancita la libertà come base di partenza per tutti i cittadini. Il 26 agosto si arriverà alla Dichiarazione
dei diritti dell'uomo e del cittadino, in cui viene sancito che ogni uomo ha dei diritti naturali, inalienabili e
sacri. Viene sancita una forte concezione della sovranità ed ella volontà popolare, in cui si stabilisce che è
necessario che i cittadini abbiano voce in capitolo nella formazione delle leggi e anche nel potere esecutivo.
Per quest'ultimo, ci si chiede se il monarca debba avere un potere di veto assoluto o sospensivo verso questi
provvedimenti. La decisione che viene presa è nei confronti del veto sospensivo. Il problema che
l'Assemblea nazionale si trova ad affrontare è come tentare di migliorare la situazione finanziaria del regno.
Nel frattempo, nell'Assemblea è prevalso un partito che chiede di trasferire l'Assemblea da Versailles a
Parigi, anche qui i parlamentari vengono sopravanzati dall'attivismo della folla parigina, con una presenza
ancora più consistente dell'elemento femminile. La folla parigina, agitata per lo scontro, tra il 5-6 ottobre,
costringe l'Assemblea a trasferirsi a Parigi, supportata dal una guardia nazionale, guidata dal marchese della
Fayette, che è un corpo cittadino di guardie. Una volta trasferitasi a Parigi, ci si trova davanti ad una
drammatica situazione finanziaria. Uno dei provvedimenti che si prendono è la confisca dei beni della
Chiesa, da cui si ricavano circa 3 milioni di franchi, e l'emissione di nuova carta moneta detti“assegnati”,
titoli di stato garantiti dal ricavato della vendita del demani regio. Questa è compensata dal fatto che lo stato
si impegna a mantenere i sacerdoti, spese del culto e mantenimento dei poveri. Nel febbraio 1790, vengono
aboliti gli ordini monastici e scompaiono gli ordini regolari; nel luglio 1790 viene emanata la costituzione
civile del clero, che prevede l'elezione diretta di parroci e vescovi, le diocesi vengono equiparati ai
dipartimenti; i vescovi saranno confermati dagli arcivescovi metropoliti e non più dal Papa → con la
costituzione civile del clero nasce una Chiesa nazionale. Nel dicembre 1790, si sottopone il clero ad un
giuramento alla fedeltà nei confronti della rivoluzione, solo metà del basso clero aderisce a questo
giuramento, e dell'alto clero, solo 7 vescovi aderiscono. Si crea una spaccatura tra il clero costituzionale e il
clero refrattario. Il primo ha aderito alla costituzione civile del clero; il secondo si è rifiutato di aderirvi. Nel
marzo 1791, questi provvedimenti porteranno Papa Pio VI a condannare la Rivoluzione Francese. I
rivoluzionari risponderanno, nel maggio 1791, occupando Avignone e il contado Venassino (intorno ad
Avignone, pezzo dello Stato della Chiesa), che entrano a far parte del regno di Francia. Altri provvedimenti
sono: la decisione di dividere la Francia in 83 dipartimenti, che prenderanno i nomi dei fiumi ecc, al di sotto
dei dipartimenti, i distretti, poi i cantoni, e infine i comuni. Queste divisioni amministrative avranno delle
proprie autorità esecutive e proprie guardie nazionali. Per quanto riguarda il potere giudiziario, vengono
soppressi i parlamenti, sostituiti nei cantoni da un giudice di pace, nei distretti da un tribunale civile e uno
penale, a cui farà da tribunale d'appello un tribunale posto in un altro distretto; ci sarà la corte di cassazione,
che deve decidere solo se ci sono dei vizi di forma nei precedenti gradi di giudizio. Per quanto riguarda
l'ambito penale, si decide che venga sorteggiata una giuria formata da 12 cittadini. Emergono i club, tra cui i
più importanti sono: la società degli amici della costituzione, il club dei giacobini, il cui capo sarà
Robespierre; la società degli amici dei diritti dell'uomo, il club dei cordiglieri, con Marat e Danton. Si crea
anche grazie a queste nuove forme di associazione, un movimento detto “della Federazione” a cui si
affiancano 48 sezioni parigine, ovvero luoghi d'incontro e di organizzazione della politica del popolo.
All'interno dell'Assemblea nazionale si iniziano a dividere gruppi sulla base della posizione in cui decidono
di sedersi: gli aristocratici reazionari e i monarchici si iniziano a sedere a destra del presidente; il gruppo
democratico di Robespierre e dei cordiglieri a sinistra del presidente. Il 1791 è un anno di grandi tensioni, c'è
l'introduzione del cosiddetto corso forzoso degli assegnati, cioè da quel momento in poi nessuno può rifiutare
il pagamento degli assegnati. Nel giugno 1791 ad aggravare ulteriormente la situazione ci sarà l'abolizione
delle corporazioni di arti e dei mestieri perché i rivoluzionari vogliono vietare l'associazione, ma questo
provoca la conseguenza di lasciare i lavoratori senza protezione. Anche le manifatture privilegiate cadono in
crisi. Alla fine di giugno 1791, Luigi XVI decide in segreto di tentare la fuga all'estero, ma vengono bloccati
e sono costretti ad un ritorno umiliante a Parigi. Si pone l'interrogativo di cosa fare. Si fronteggiano due
differenti tesi: 1) quella capeggiata da Marat e Robespierre, che vuole che la Francia diventi una Repubblica;
2) i giacobini che si avvicinano ad un nuovo club, il club dei foglianti, guidato dal marchese della Fayette, a
favore della monarchia e della sottoscrizione di una costituzione a base censitaria (maggioranza). Il 4
settembre del 1791 si arriverà alla prima costituzione, che prevede un'unica camera composta da 745
membri, eletta ogni 2 anni a suffragio censitario a due gradi. L'Assemblea incarna il potere legislativo; il
potere esecutivo resta al sovrano, così come l'esercito, la nomina dei ministri e la politica estera. C'è la
possibilità per l'Assemblea di scavalcare il veto sospensivo del sovrano appellandosi direttamente al popolo.
IL 17 luglio del 1791 si era verificata la Manifestazione di Campo di Marte, che voleva spingere i membri
dell'assemblea alla proclamazione della repubblica, ma viene repressa nel sangue. La nuova assemblea si
riunirà il 1 ottobre 1791 con 1/3 di rappresentanti che fanno parte dei foglianti e 1/5 rappresentanti dei
giacobini, tra i quali emerge il club dei girondini, e la metà dell'assemblea sarà costituita da indipendenti e
costituzionali, che non hanno una precisa ideologia. Si arriva alla seconda fase quando la guida
dell'assemblea viene presa dai democratici radicali, favoriti dalle minacce che provenivano dall'esterno e
anche dalle potenze straniere; a questo si aggiungo delle insurrezioni di carattere sociale e religioso, per
esempio in Vandea.
2° fase (1792-94): Il 20 aprile 1792 tutti questi fattori portano alla dichiarazioni di guerra all'Austria; ma già
il 10 agosto 1792 nasce la prima Comune parigina, nata dalla riunione delle 48 sezioni popolari, i cui
rappresentati assaltano il palazzo delle touleirie e a sospende il sovrano. Questo significò che venissero
convocate delle elezioni a suffragio universale maschile di una nuova assemblea, Convenzione.
L'accelerazione degli eventi è dovuta anche all'attivismo dei sanculotti, i popolani che si distinguono dai
nobili che portano le culotte. Si crea una forte tensione tra la Comune parigina e l'Assemblea. I radicali,
capeggiati da Danton, si sentono spinti a delle decisioni dirompenti dall'attivismo dei sanculotti e c'è anche la
preoccupazione della guerra contro gli austro-prussiani. Si cominciano a manifestare delle situazioni che
peggioreranno nel periodo del terrore. Tutto questo fa precipitare la situazione tra agosto e settembre del
1792, fino ad arrivare al 20 settembre 1792, in cui i generali francesi battono i prussiani e in cui si riunisce
per la prima volta la Convenzione. 749 membri, distribuiti tra 200 girondini, 200 radicali di sinistra
“montagnardi”, e tutto il resto prende il nome di “pianura” o “palude”, e appoggiano ora gli uni ora gli altri; i
foglianti, cioè i monarchici, non sono più presenti. Il giorno dopo, la Convenzione proclama ufficialmente la
fine della monarchia e l'avvento della Repubblica in Francia. Questo avrà conseguenze drammatiche, a
partire dal sovrano, perché a metà del gennaio 1793,si decide se deve essere dichiarato colpevole o no, e con
una votazione si vota e si decide per la sua messa a morte. Il 21 gennaio 1793 Luigi XVI sarà ghigliottinato.
Il 1 febbraio 1793, la Francia dichiara guerra a Olanda, Inghilterra e Spagna, perché c'è la volontà di
diffondere la rivoluzione anche nel resto dell'Europa. La superiorità militare dell'Inghilterra comporterò un
rovesciamento della situazione per cui le armate francesi saranno costrette a ritirarsi. Tra maggio e settembre
si era ulteriormente incancrenita la crisi economica, che porterà la Francia repubblicana a calmierare i prezzi
dei prodotti e a limitare la libertà di commercio, con un duro scontro tra i girondini e i montagnardi, e questi
ultimi trionferanno con il sostegno dei sanculotti. Il 6 aprile 1793 si crea il comitato di salute pubblica, un
super organismo che verrà egemonizzato da Robespierre. Le cose non vanno bene per la Francia, perché è
ricominciata la rivolta in Vandea, nei confronti della quale la Francia mette in atto molte forze e riesce a
sconfiggerla. Il 24 giugno 1793 viene emanata una nuova costituzione, la costituzione più democratica mai
vista, perché vi si sancisce il suffragio universale maschile a sistema uninominale, si sancisce l'inviolabilità
dei diritti natura, il diritto al lavoro, il diritto all'istruzione, diritto all'assistenza dello stato, il diritto
all'insurrezione; si proclama la piena libertà economica tra tutti i cittadini; tutto il potere viene concentrato
all'interno della convenzione dall'assemblea legislativa che deve eleggere un consiglio esecutivo composta da
24 membri. Questa non durerà a lungo perché non durerà a lungo il periodo del terrore. L'istituzione simbolo
di questo periodo è il comitato di salute pubblica, che procede all'abolizione totale di tutti i diritti feudali, la
vendita ai contadini dei beni dei nobili emigrati, e procede a condannare a morte tutti coloro che cercano di
lucrare dalla situazione di crisi economica in cui versa la Francia. Durante l'estate c'è un aumento della
tensione, che sfocia il 13 luglio nell'uccisione di Marat; riprendere la rivolta in Vandea, Bretagna, nel sud
della Francia; ci sono difficoltà sul fronte del conflitto bellico; si proclama la leva di massa che porta
l'esercito ad 1 milioni di unità. Si innesca quel periodo che è passato alla storia con il nome di “terrore”, che
prende il via il 17 settembre, con la legge dei sospetti, che darà la possibilità di mandare a morte migliaia di
persone. Il periodo è caratterizzato dalla volontà di restringere l'azione politica dei sanculotti. Si procede ad
una scristianizzazione della nuova Francia: viene abolito il calendario gregoriano, viene creato un calendario
decadario, la domenica non sarà più il giorno del signore, ma le feste civiche, cioè della rivoluzione;
vengono cambiati i nomi dei mesi, sostituiti da nomi del ciclo dell'agricoltura. Questa nuova era viene fatta
iniziare dal 22 settembre 1792. Vengono distrutti i simboli del culto, le chiese vengono trasformate in luoghi
in cui ci si riunisce per discutere di politica, e al culto del dio dei cristiani, viene sostituito il culto dell'essere
supremo, ispirato al deismo. Robespierre capisce che non è possibile scristianizzare completamente la
Francia. Si imprime una svolta nel conflitto bellico. Vengono mobilitate tutte le fasce della società per la
produzione delle armi. Tra il settembre e il dicembre del 1793 tutto questo provoca un rovesciamento della
situazione interna.
3° fase (1794-99): I primi mesi del 1794 vedono un rapido scivolamento verso la drammatizzazione ulteriore
della situazione, si parla di “periodo del grande terrore”. Tutti i funzionari pubblici vengono mesi sotto il
controllo del comitato della salute pubblica, al cui interno si creano delle spaccature tra il gruppo di
Robespierre, che vuole arrivare ad una radicalizzazione della rivoluzione, e un gruppo che fa capo a Danton,
il partito-fazione degli indulgenti che vogliono fermate il terrore, ma verrà arrestato e giustiziato. Tra giugno-
luglio 1794 verranno ghigliottinate circa 2.500 persone. L'intransigenza del gruppo porta anche a far fare
loro una brutta fine, perché tra l'8-9 termidoro 1794 Robespierre verrà pugnalato, lasciato in agonia per due
giorni e ghigliottinato, e avrà così fine il periodo del terrore, che aveva provocato migliaia di morti. I
giacobini non vogliono più continuare la rivoluzione, e a loro si sostituiranno i termidoriani, che danno vita
al “periodo del terrore bianco”, una risposta altrettanto violenta al terrore. I giovani borghesi, la jeunesse
dorèe, attaccano i giacobini, li fanno fuori, guidati da ex giacobini che erano diventati termidoriani. Questo
avviene nell'inverno del 1794-1795. Si torna a favorire il clero refrattario; si riaprono le chiese; si abolisce il
calmiere dei prezzi; ma di fronte alle sollevazioni popolari, si decide di reprimerle violentemente. La
convenzione decide che la costituzione del 1793 non è più accettabile e viene creata una commissione di 11
persone per garantire una nuova costituzione, con due fari principali: garantire la proprietà privata dei ceti
ricchi della società e mantenere l'uguaglianza civile. I successi in guerra aiutarono i termidoriani, infatti la
Prussia e la Spagna si ritireranno dalla guerra, e a fine 1795 si arriverà ad un armistizio. Il 22 agosto 1795
viene emanata la terza costituzione: si ritorna al suffragio censitario; la dichiarazione dei diritti è affiancata
da una dichiarazione dei doveri; viene eliminato il diritto all'insurrezione; la proprietà privata e l'uguaglianza.
Il potere legislativo è in mano a due consigli: il consiglio degli anziani, composto da 250 membri, e il
consiglio dei 500. Il potere esecutivo sarà dato al direttorio, in carica per 5 anni, composto da 5 membri, di
cui 1 viene cambiato ogni anno. Questa costituzione dominerà la scena, facendo emergere vari personaggi,
tra cui Napoleone Bonaparte. Un nuovo organismo che comincia ad avere presa in politica è l'esercito, i
generali e gli ufficiali. La Francia del direttorio è anche la storia delle elezioni che si sono succedute tra il
1795 e il 1799. Le elezioni sono precedute da un assedio della convenzione da parte delle forze che vogliono
tornare alla monarchia, ma viene represso grazie all'aiuto del giovane generale Napoleone. Le elezioni
portano all'affermazione delle forze monarchiche e moderate, anche se i repubblicani riescono a controllare il
direttorio e a designare al suo interno dei sodali. Le elezioni del 1796 vedranno una crescita dei monarchici,
ma anche i giacobini si riorganizzeranno, e il direttorio cercherà di utilizzare queste due fazioni una contro
l'altra per depotenziarne il carattere eversivo. Nel maggio 1796, c'è la “congiura degli eguali” capitanata da
Gracco Babeuf e Filippo Buonarroti, che ruotano intorno alla gazzetta “La tribune du peuple”. La congiura si
chiama così perché i suoi componenti predicano l'abolizione della proprietà privata, la comunione dei beni
contro i giacobini; questa avrà esito negativo soprattutto per i capiti perché Babeuf verrà giustiziato e
Buonarroti depotenziato. Il 4 settembre 1797 avviene un colpo di stato, in cui Bonaparte e altri generali
sostengono il direttorio e occupano militarmente Parigi; il colpo di stato porterà ad una chiusura della stampa
d'opposizione, la rimessa in vigore dei decreti contro il clero refrattario e i nobili emigrati dalla Francia.
Questo colpo di stato fa capire che il vero potere sta nell'esercito e nei generali. Al sentimento rivoluzionario
e patriottico si sostituisce il senso della gloria militare e s'innesta il mito de “la Francia grande nazione”. Il
tutto aiutato dai successi parziali, sul fronte orientale, e più sostanziali, sul fronte italiano, mietuti dalle
armate francesi, che riescono a riportare dei successi. In particolare, risulterà vincente la spedizione in Italia,
che grazie a Barasse verrà assegnata proprio a Napoleone, nel marzo 1796, grazie anche ad una donna,
Joséphine de Beauharnais, che poi diventerà sua moglie. Nelle società degli Stati italiani: Napoleone riesce a
battere i Savoia, con il Trattato di Cherasco (28 aprile 1796) cedono alla Francia la Savoia, Nizza e Tenda;
riesce a battere gli austriaci con la vittoria di Lodi e con l'entrata in Milano (1796); occupa i territori dello
Stato pontificio (Romagna, Ferrara, Bologna) e costringe gli austriaci alla ritirata presso Mantova,che verrà
conquistata nel 1797. La Sigla della Pace di Tolentino con Papa Pio VI (19 febbraio 1797), con la quale il
papa cede Avignone e il contado Venassino già occupati, e rinuncia alle Legazioni pontefice. Può così
nascere la Repubblica cispadana (27 dicembre 1796), con Bologna, Ferrara, Modena, Reggio.. Con il
Trattato di Campoformio (1797) si verifica un arresto nelle speranze degli italiani, che avevano visto
Napoleone come una sorta di liberatore. La Repubblica di Venezia viene ceduta all'Austria in cambio della
rinuncia agli altri possedimenti in Italia e i Paesi Bassi austriaci. Gli italiani vedono questo come un
tradimento, ma il “triennio giacobino” si diffonde nel resto dell'Italia, e verranno costituite nuove
“repubbliche sorelle”, cioè sorelle della Repubblica francese nata il 21 settembre 1792. Queste sono la
Repubblica cispadana (futura repubblica cisalpina), la Repubblica ligure (1797), la Repubblica romana
(1798) e la Repubblica partenopea a Napoli (1799). Questa sarà quella che farà la fine peggiore, perché i
rivoluzionari giacobini verranno giustiziati o mandati in esilio. Tra il 1798-99 è la prima volta che le truppe
russe entrano nella pianura italiana. Si conclude così il triennio giacobino, con una vittoria delle truppe
austro-russe. Nel frattempo Napoleone si dirige in Egitto, perché capisce che sottrarlo all'Impero ottomano,
vuol dire riuscire a colpire il peggior nemico della Francia: l'Inghilterra, insieme all'Austria. Napoleone tenta
di “copiare” Alessandro Magno, cercando di arrivare in India per colpire gli inglesi; vincerà nella battaglia
delle piramidi (1798), ma dopo poco sarà sconfitto nella battaglia di Aboukir. Il direttorio è in grande
difficoltà, dopo la perdita dell'Italia e l'affermazione delle sinistre, Sieyès decide di preparare un colpo di
stato, e Napoleone parteciperà e lo dirigerà (9 novembre 1799). 4°fase: Il colpo di stato prepara la quarta
costituzione della Francia rivoluzionaria, quella del 25 dicembre 1799, che prevede nell'ingegneria degli
organismi di potere la presenza di un senato scelto per cooptazione (scelto non eletto da un nucleo iniziale
indicato da Sieyès). Il senato, a sua volta, designa i membri del tribunato, che discute le leggi, e il corpo
legislativo, che le approva. Le leggi sono proposte da un Consiglio di stato, nominato dal primo console
(capo del governo). Il consolato sarà il trampolino di lancio di Napoleone per dare vita al tentativo di
egemonia sull'Europa che caratterizzerà tutto il primo quindicennio del XIX secolo. La Francia, uscita dal
colpo di stato, e della quarta ed ultima costituzione si struttura secondo un'articolazione nuova, che fa capo
ad una gestione autoritaria del potere, ma vede l'invenzione di nuove figure. Il sindaco (mère) che è il capo
del municipio, deve sottostare ad un sottoprefetto, posto a capo del circondario di dipartimento come
rappresentate del potere centrale e responsabile dell'amministrazione; e poi c'è il prefetto, capo di ogni
singolo dipartimento. A questi, si affianca un forte apparato di polizia repressiva nei confronti dei crimini e
delle opinioni contrastanti con il regime. E' un nuovo modello di stato in cui scompaiono i corpi intermedi
che avevano un ruolo fondamentale nel farsi della politica; quello che prevale è la centralizzazione
burocratica. La rivoluzione non viene misconosciuta, perché so continuano a salvaguardare i principi
rivoluzionar: l'uguaglianza civile, la proprietà come base dello stato, la ricchezza, per selezionare la nuova
classe dirigente, e il talento, per poter ascendere la scala sociale sia in politica che nell'esercito.
L'uguaglianza verrà codificata da Napoleone nei codici emanati tra il 1800-1804, e successivamente tra il
1807-1810, a partire dal codice civile,che stabilisce che i cardini della società sono rappresentati dalla società
e dalla famiglia, che il matrimonio è un contratto, e può essere sciolto con il divorzio. Il codice civile dà
anche un nuovo ruolo alla donna, la quale può ereditare e può rappresentare se stessa in una causa senza
avere il consenso del proprio marito. Il tutto è subordinato dalla figura paterna (paternalismo) che è alla base
del codice civile napoleonico. A questo fa seguito, nel 1807, il codice del commercio, il codice di procedura
civile penale e il codice penale(1810). La nuova fase espansiva inaugurata dalla battaglia di Marengo del
1800, dove vengono sconfitti gli austriaci, e i francesi dilagano in Italia e nel resto dell'Europa. Alcuni
territori saranno ammessi direttamente nell'Impero (Piemonte, Toscana, Lazio e Umbria), quando questo si
costituirà, il 2 dicembre 1804, con l'incoronazione di Napoleone a Parigi. Altri vanno a confluire da una parte
nel regno d'Italia nel nord e nel centro, e il regno di Napoli, assegnato dapprima a Giuseppe e poi a
Gioacchino Murat. Nel resto dell'Europa finisce la storia millenaria del Sacro Romano Impero, che da 350
stati arriva a contarne non più di una quarantina, e nel 1806, Francesco d'Asburgo pone definitivamente fine
alla storia di questa compagine statuale, iniziato con Carlo Magno. Contro l'Inghilterra, la Francia continua a
ottenere sconfitta, con la battaglia di Trafalgar del 1805, mentre continua a mietere vittorie contro le potenze
terrestri (Austria, nella battaglia di Austerlitz; Prussia, Iena 1806 e Friedland 1807). Si creano varie
compagini statuali, ma rimane come nemica di Napoleone solo l'Inghilterra, e Napoleone si inventa una
nuova possibilità che colpisca al cuore il potere marittimo inglese. Infatti, tra il 1806-1807 viene indetto il
“blocco continentale”, cioè il divieto per tutti gli stati che sono direttamente o indirettamente controllati da
Napoleone di commerciare con l'Inghilterra. Il blocco continentale non funzionerà, e si ritorcerà contro la
stessa Francia, infatti l'Inghilterra continuerà a smerciare i suoi prodotti grazie alle colonie, in Europa il
blocco farà aumentare l'ostilità nei confronti di Napoleone, soprattutto in quei paesi che facevano affare con
l'Inghilterra, a partire dalla stessa Russia. Sarà proprio dalla Russia e dalla Spagna, che è uno dei nuovi
territori che vuole occupare Bonaparte, che arriverà il colpo di grazia al tentativo egemonico messo in atto da
Napoleone. Da una parte la rivolta spagnola trae origine da una sorta di proto nazionalismo degli spagnoli
nei confronti degli invasori francesi, infatti si inizierà a parlare di guerriglia, che sfiancherà parte dell'esercito
francese; e infine la campagna di Russia del 1812 che Bonaparte mette in atto per punire lo zar Alessandro I
che non rispetta il blocco continentale. I francesi riusciranno ad occupare Mosca, ma giungerà l'inverno
russo, e le armate napoleoniche si ritireranno. Questo, insieme alla sconfitta a Lipsia delle armate
napoleoniche del 1813, fa sì che Napoleone, il 6 aprile1814, abdichi. Ritorna il Francia la monarchia con i
Borbone e Luigi XVIII. Napoleone verrà relegato all'isola d'Elba, dopo 100 giorni torna in Francia (marzo-
giugno 1815) ma viene definitivamente sconfitto il 18 giugno 1815, nella battaglia di Waterloo.
Il Congresso di Vienna
Nel frattempo, le potenze europee non sono rimaste inermi. Hanno organizzato un congresso “di lavoro” che
vede riunite le potenze che si sono opposte a Napoleone, intorno al 1814-1815. I due veri protagonisti del
congresso di Vienna saranno la Gran Bretagna e la Russia. Il congresso di Vienna diede il via a quella che
viene chiamata “l'età della restaurazione” o della “restituzione” dei territori sottratti dalle armate
napoleoniche ai sovrani. Non si vuole completamente umiliare la Francia, perché serve all'Inghilterra a fare
da contrappeso alla Russia. La Gran Bretagna individua tutta una serie di stati minori, la Svezia e la
Danimarca, i Paesi Bassi, il Portogallo e il regno di Sardegna, come degli stati forzatamente alleati, che
diventano come dei protettorati inglesi. L'Austria, il cui rappresentante è Metternich, teme l'espansionismo
russo, si mette dalla parte degli inglesi. A est, l'unico stato importante che si pone a favore della Russia è la
Prussia, interessata a mantenere e acquisire nuovi territori in area germanica che compensino le perdite che
subisce in area polacca, dove è la Russia a far da padrone. La Russia si avvicina al Mar Nero, uno degli
obiettivi della Russia fin dall'epoca di Pietro I; a nord, si annette la Finlandia; si incunea all'interno
dell'Europa, con il controllo della Polonia. La Russia è uno dei grandi protagonisti, ma non preoccupa ancora
in maniera eccessiva gli inglesi, perché non ha ancora un diretto accesso al Mar Mediterraneo, non ha un
diretto accesso al Mar Nero, dove ci sono ancora gli ottomani, non ha un diretto accesso all'Oceano Indiano,
e quindi ancora l'Inghilterra potrà essere sicura della sua incontrastata potenza marittima. La storia del
mondo emancipa l'Europa, dalla scena ristretta del continente europeo si allarga al mondo, e questo
allargamento rappresenterà la novità sulla quale si costruirà la novità dell'età contemporanea.

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