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Schelling

Stoccarda, 1775, Svizzera, 1854. Studiò allo Stift di Tubinga, istituto per la formazione dei teologi
protestanti dove conobbe Hegel e Holderlin. Si appassionò agli scritti di Rousseau, Kant e Fichte che
conobbe personalmente. Grazie a Fichte e Goethe divenne professore a Jena.
Naturphilosophie
Supera la concezione fichtiana di natura come non-io, assumendo che esista un profondo legame tra natura
e spirito: entrambi sono percorsi dallo stesso slancio vitale: la natura è spirito visibile e lo spirito è natura
invisibile. Costituiscono due aspetti di un unico essere. La natura è attività – creatività – spontaneità. La
sua attività infinita si esplica come forza positiva, generatrice e al contempo negativa, corruttrice. Questa
continua opposizione costituisce la storia della natura. Tutti i fenomeni sono connessi in un processo
teleologico unitario dal principio dell’anima del mondo (Weltseele)
Riporta l’Io assoluto alla sostanza di spinoza-> principio dell’infinità oggettiva a differenza dell’Io di
Fichte che è principio dell’infinità soggettiva. Sc intende unire i due principi in un Assoluto che sia al
tempo stesso fondamento del soggetto e dell’oggetto, natura e ragione. È identità di natura e spirito.
Riprende l’importanza della natura e dell’arte. La natura è viva e razionale perciò ha valore in se stessa.
Sviluppa il suo pensiero in due filoni,
-filosofia della natura =come la natura si risolve nello spirito
-filosofia trascendentale = come lo spirito si risolve nella natura
La naturphilosophie muove dalla critica ai due modelli esplicativi tradizionali: quello meccanicistico-
scientifico e quello finalistico-teologico.
Sc sostiene un ORGANICISMO FINALISTICO E IMMANENTISTICO:
-ogni parte ha senso solo in relazione al tutto e alle altre parti
-oltre al meccanismo si manifesta una finalità superiore, interna alla natura stessa e non derivata da un
intervento esterno.

HEGEL
Stoccarda, 1770, Berlino, 1831. Studiò filosofia e teologia a Tubinga. Fu professore a Jena e direttore del
ginnasio di Norimberga poi professore di filosofia a Heidelberg e Berlino.
L’idealismo hegeliano si basa principalmente su tre tesi di fondo:
1) la risoluzione del finito nell’infinito: ossia la concezione della realtà come un organismo unitario; tutto
ciò che esiste è manifestazione di questo organismo che rappresenta l’Assoluto o infinito, mentre le sue
manifestazioni sono enti finiti. Il finito in sé non esiste perché è soltanto un’espressione parziale
dell’infinito.
H sostiene quindi un monismo panteistico in quanto il finito è solo la manifestazione o realizzazione
dell’infinito, cioè di Dio. A differenza dell’assoluto spinoziano che coincide con la natura ed è una realtà
statica, l’assoluto di H è un soggetto in divenire, dinamico, non è una sostanza ma un soggetto perciò non è
immutabile ma è un processo di auto-produzione.
2) l’identità tra ragione e realtà: il soggetto spirituale infinito a base della realtà è detto Idea o Ragione,
indicando la coincidenza di pensiero ed essere, ragione e realtà. Per H ciò che è razionale è reale; infatti la
razionalità è la forma stessa di ciò che esiste, è ciò che lo governa e inoltre ciò che è reale è razionale
poiché la realtà non è caotica ma consiste in una struttura razionale. Questa identità è necessaria e implica
anche l’identità tra ciò che è e ciò che razionalmente deve essere.
3) la funzione giustificatrice della filosofia: compito della filosofia è diventare consapevoli della struttura
razionale della realtà, la filosofia non può pretendere di determinare la realtà e guidarla poiché quando
inizia a studiarla, la realtà è già stata fatta dunque la filosofia può solo comprenderla nella sua struttura già
razionalmente definita. (Come la nottola di minerva). L’atteggiamento filosofico nei confronti della realtà
è giustificazionista.
L’Assoluto in quanto soggetto dinamico, diveniente, passa attraverso i tre momenti dell’Idea o Ragione
che costituiscono la Triade Dialettica: l’Idea in sé e per sé, l’Idea fuori di sé e l’Idea che ritorna in sé.
1-l’Idea in sé e per sé o Idea pura è l’idea considerata in se stessa a prescindere dalla sua concreta
realizzazione nel mondo. H la paragona a Dio prima della creazione, anche se l’idea/ragione/assoluto è un
infinito che non crea il mondo in quanto è esso stesso il mondo. Perciò corrisponde alla struttura logico-
razionale della realtà.
2-l’idea fuori di sé è la natura in quanto esplicazione, alienazione dell’idea nella realtà spazio-temporale.
3-l’idea che torna in sé è lo spirito ossia l’idea dopo essersi fatta natura acquista coscienza di sé
nell’uomo. I tre momenti non avvengono nel tempo ma sono de intendersi in senso ideale. Nella realtà
esiste concretamente solo lo spirito che tuttavia presuppone per essere tale la natura e l’idea pura.
Questo movimento è dialettico perché passa attraverso la negazione; infatti in soggetto in sé concepisce un
oggetto come opposto a sé ma poi si rende conto, prende coscienza che l’oggetto non è altro che se stesso e
così attraverso il suo opposto riconosce se stesso.
Questo processo dell’idea viene applicato anche alla conoscenza; si passa dal sapere apparente in cui
soggetto e oggetto sono opposti tra di loro al la scienza vera e propria in cui essi si scoprono identici.
Inoltre ai tre momenti corrispondono anche le tre sezioni in cui si divide il sapere filosofico:
-Logica = scienza dell’idea in sé e per sé, nel suo essere implicito
-Filosofia della natura = scienza dell’idea nel suo alienarsi da sé
-Filosofia dello spirito = scienza dell’idea che ritorna in sé.
Distingue i tre momenti del pensiero:
A) momento astratto o intellettuale in cui si concepisce l’esistente sotto forma di molteplicità di
determinazioni separate le une dalle altre, è il grado più basso della ragione in cui il pensiero si ferma alle
determinazioni rigide della realtà
B) momento dialettico o negativo-razionale: il pensiero mette in relazione le varie determinazioni con le
loro determinazioni opposte, procedendo oltre il principio di identità
C) momento speculativo o positivo-razionale: il pensiero coglie l’unità delle determinazioni opposte,
diventa consapevole che sono tutte determinazioni di un’unica realtà più alta che li comprende tutti.
Comprende che la realtà è unità che vive grazie alla molteplicità.
La DIALETTICA è la legge che regola il divenire dell’Assoluto, e consiste in:
-affermazione di un concetto astratto e limitato -> tesi
-negazione di tale concetto e passaggio ad un concetto opposto -> antitesi
-unificazione di tesi e antitesi in una sintesi che le comprende.
La sintesi è detta Aufhebung in quanto superamento di tesi e antitesi separate, consiste in una
riaffermazione potenziata della tesi ottenuta tramite l’antitesi.
La dialettica sottolinea il concetto di risoluzione del finito nell’infinito, infatti ogni parte finita di realtà non
può esistere da sola ma solo nel contesto più ampio della totalità del reale. Perciò per porre se stesso il
finito è obbligato ad opporsi a qualcos’altro.
La dialettica è il processo in cui ogni determinazione della realtà diventa un momento dell’idea unica e
infinita. Ogni sintesi rappresenta la tesi di un’altra antitesi, e questo potrebbe portare ad un processo
infinito ma per H la dialettica ha una sintesi finale chiusa, che ha un preciso punto di arrivo in cui lo spirito
avrà realizzato pienamente se stesso e ripercorrerà il percorso già intrapreso.

Schopenhauer
Danzica, 1788, Francoforte sul Meno, 1860. Studiò a Gottinga con maestro di filosofia Schulze. Fu molto
influenzato da Platone e Kant. A Berlino seguì le lezioni di Fichte e si laureò a Jena. Divenne professore a
Berlino ma senza alcun successo. A causa del suo anti-idealismo, il suo pensiero rimase pressoché
sconosciuto fino al 1848 quando un’ondata di pessimismo invase l’Europa e la sua filosofia iniziò ad
essere condivisa.
Di Platone condivide la teoria delle idee (intese come forme eterne sottratte alla caducità dolorosa del
mondo), Kant è per lui il più grande filosofo e ne apprezza l’impostazione soggettivistica della
gnoseologia. Recupera il tema dell’infinito e del dolore dal Romanticismo e si accanisce contro l’idealismo
(in particolare di Hegel) che definisce la bestia nera, la filosofia delle università; disprezza la presunzione
ottimistica di ricondurre la realtà a razionalità; per S il mondo è intriso di irrazionalità.
La sua riflessione muove dalla distinzione kantiana tra fenomeno e noumeno; tuttavia, mentre per K il
fenomeno era realtà, l’unica accessibile all’uomo e il noumeno era un concetto-limite con la funzione di
sottolineare i limiti della conoscenza umana, per S il fenomeno è pura parvenza, illusione e sogno è il velo
di maya dietro al quale si nasconde la realtà o noumeno. Il fenomeno è una rappresentazione del soggetto
perciò esiste solo dentro la coscienza. La conoscenza umana non può uscire dall’apparenza, dal fenomeno;
il mondo è mia rappresentazione perché la conoscenza che si ha del mondo è conoscenza di un’apparenza
che risulta dalla relazione tra soggetto e oggetto.
La rappresentazione è costituita dal soggetto rappresentante e dall’oggetto rappresentato intese come due
facce della stessa medaglia, entrambi necessari. Con questo S si discosta dal materialismo che nega il
soggetto riducendolo all’oggetto o materia ma anche dall’idealismo che riduce tutta la realtà al soggetto.
Anche per S il sistema nervoso e cerebrale umano presenta delle forme a priori: spazio, tempo e causalità.
(Tutte le altre 11 categorie kantiane sono riconducibili alla causalità). Spazio e tempo sono forme generali
dell’esperienza fenomenica, e dalla loro unione nasce la materia intesa come principium individuationis.
La causalità assume diverse forme a seconda di come viene applicata; essa può essere principio del
divenire (per oggetti naturali), del conoscere, dell’essere e dell’agire. Costituisce il principio di ragione
sufficiente ossia il fondamento logico della conoscenza scientifica.
Mentre per K il fenomeno era esso stesso realtà, per S il fenomeno è l’ambito delle apparenze e delle
illusioni perciò si è portati a credere che oltre questa apparenza debba esistere anche una vera realtà,
l’essere. Grazie all’esperienza del proprio corpo è possibile andare oltre la rappresentazione e accedere al
noumeno, lacerando il velo di Maya. Il nostro rapporto con il corpo è duplice; da un lato esso è
rappresentazione, un oggetto visto dal di fuori, ma dall’altro lato oltre a vedersi da fuori, l’uomo vive
anche dentro al suo corpo e lo esperisce come forza, e sente dentro di sé un impulso, la volontà di vivere
che lo spinge ad esistere e ad agire. Ogni movimento del corpo è un oggettivazione del nostro volere perciò
il corpo è la fenomenizzazione della volontà, cioè del noumeno o cosa in sé. L’intero mondo fenomenico è
il modo in cui la volontà si manifesta in una dimensione spazio-temporale. La volontà è l’essenza segreta
di tutte le cose, celata dal velo di maya.
La volontà del mondo è una fora cieca e inconscia senza finalità perciò libera, è una forza cieca che tende a
perpetuare se stessa senza seguire alcun progetto; è un principio metafisico irrazionale che sta oltre lo
spazio e il tempo, oltre il principium individuationis ossia la materia, i fenomeni soggetti a spazio e tempo
e causalità. È unica e la stessa dovunque.
Al contrario del noumeno kantiano, la volontà è conoscibile. La volontà del singolo deve essere
identificata con quella dell’intero universo.
Il continuo volere implica un desiderio continuo di qualcosa che è assente, perciò l’uomo si trova in
perenne angoscia e la libertà sarebbe il non volere, la noluntas (nirvana). Ogni piacere è vano. Giungere
alla salvezza è possibile attraverso arte, morale e ascesi.

Karl Marx
Renania 1818, Londra 1875. Ottenne una laurea in filosofia a Jena, si dedicò al giornalismo. A Parigi conobbe
Engels, iniziò a interessarsi di economia. Nel 1848 per incarico della Lega dei comunisti scrisse insieme ad Engels il
Manifesto del partito comunista.
Schierandosi con i giovani hegeliani contro Hegel, sottolinea la presunzione della filosofia hegeliana che vorrebbe
comprendere il mondo eppure concepisce l’uomo come manifestazione di uno spirito infinito immerso in un
mondo apparente. M sente la necessità di una filosofia nuova che si ponga col mondo in un rapporto pratico di
trasformazione. Inoltre per H famiglia e società civile sono solo concetti astratti, momenti nel processo di
realizzazione dello Stato, incarnazione dell’idea reale cioè dello spirito. Per M al contrario famiglia e società devono
essere considerati soggetti reali, mentre lo Stato è solo un’idea astratta. Secondo M, H ha effettuato un’inversione
di soggetto e predicato, scambiando l’elemento ideale (stato) per il soggetto concreto della storia e questi effettivi
soggetti reali li ha scambiati per semplici momenti, predicati del soggetto – stato. Riprende l’accusa mossa ad H da
Feuerbach. Inoltre critica la dialettica hegeliana perché considera le realtà finite come puramente ideali mentre
l’infinito è l’unica vera realtà. Per M quelle finite sono le autentiche realtà mentre l’infinito o spirito o assoluto è un
oggetto mistico, ipostatizzazione di un’idea umana.
M si distaccò definitivamente dalla sinistra hegeliana che accusò di idealismo, poiché sviluppava la critica a H solo
attraverso altre idee filosofiche e religiose, rimanendo così idealista e conservatrice.
M sviluppa così la concezione del materialismo storico; polemica contro la sinistra hegeliana che nella critica che
intendeva muovere a hegel, ha mantenuto una posizione teorica che crede di essere indipendente dalla realtà
materiale, e che M definisce ideologia contrapponendola alla scienza reale e positiva. La polemica è indirizzata
anche a Feuerbach per aver considerato l’uomo come un’entità metatemporale escludendone la sua componente
di storicità; per aver concepito la realtà umana come natura, ossia materia statica anziché come prassi, azione
trasformatrice e rivoluzionaria che mira a cambiare lo stato di cose esistente. Anche F nella sua critica a H rimane
su un piano filosofico indicando la religione come causa dell’alienazione umana senza comprendere che
l’alienazione è dovuta a cause di natura storica, in particolare consiste in un’alienazione di tipo economico,
alienazione del lavoro dovuta alla società capitalistica. Secondo M l’uomo crea la religione per trovarvi una
consolazione alla sua miseria economica. Definisce la religione come l’oppio del popolo.
M concepisce l’uomo come un essere storico, pratico perciò per risolvere ogni problema di tipo teorico, filosofico,
religioso occorre comprenderne il suo lato pratico, la sua prassi.
Sviluppa quindi una filosofia della storia che studia l’uomo in quanto animale che si distingue dagli altri perché
produce da solo i propri mezzi di sussistenza e quindi la sua vita, il suo essere dipende direttamente dalle
condizioni materiali e dal modo di produrre ciò che necessita.
Queste condizioni costituiscono la struttura, lo scheletro economico della società. Su questa struttura fatta di
condizioni materiali si costituisce una sovrastruttura di forze politiche, dottrine etiche, attività religiose, filosofiche.
Queste attività spirituali, filosofiche talvolta credono erroneamente di essere indipendenti dalle condizioni
materiali e creano ideologie, false coscienze. Infatti non è la coscienza che determina la vita ma è la vita materiale
che determina la coscienza.
Perciò è la struttura economica che determina le leggi, lo Stato, le religioni, le filosofie. Secondo M le vere forze
motrici, gli impulsi che guidano la storia non sono di natura spirituale ma di natura socio-economica.

Kierkegaard
Copenaghen, 1813, 1855. Il padre pietista gli diede un’educazione religiosa molto severa.si iscrisse alla
facoltà di teologia ma non interessato condusse una gioventù dissipata e si avvicinò alla filosofia. Sostenne
poi l’esame di teologia diventando pastore della chiesa luterana. In seguito ad una crisi abbandonò la
professione e si dedicò alla scrittura di testi filosofici, a Berlino seguì le lezioni di Schelling. Pubblicò con
pseudonimi le opere: Aut-aut, Timore e tremore, La ripresa, Stadii del cammino della vita, nelle quali
illustra i diversi stadi della vita, estetico etico e religioso.
Nell’opera Aut-aut si pone contro la filosofia hegeliana che aveva unificato tutte le opposizioni in una
sintesi, un processo che per K non si può compiere poiché nella vita esistono alcune opposizioni che
implicano per forza una scelta, a favore di una possibilità o dell’altra.
Questa alternativa incorre tra i due stadi fondamentali della vita; quello estetico e quello etico. Questi non
sono due momenti di un unico sviluppo che passa dall’uno all’altro conciliandoli, poiché tra essi c’è un
abisso, un salto. Perciò ogni stadio rappresenta una vita a sé e si presenta come una possibilità che esclude
l’altra. La vita estetica è quella dedita al piacere dei sensi, propria di chi vive nell’attimo irripetibile senza
preoccuparsi del futuro. L’esteta vive in uno stato di permanente ebbrezza intellettuale, sfuggendo alla
quotidianità e alla ripetizione. Una figura di esteta esemplare è incarnata dal Don Giovanni di Mozart,
seduttore che conquista numerose donne senza riuscire ad amarne nessuna poiché è incapace di trovare in
una sola donna tutto il piacere e la realizzazione che sta cercando. L’esteta sceglie questo tipo di vita per
sfuggire alla noia eppure alla noia è destinato non riuscendo a trovare nulla che lo soddisfi fino in fondo.
Egli si trova dunque nella disperazione, tuttavia proprio scegliendo l’atteggiamento della disperazione
riesce a riappropriarsi di se stesso e iniziare una vita etica: caratterizzata dall’impegno, dalla scelta di
trovare stabilità nei propri valori riaffermando se stessi ma adeguandosi ad una forma, all’universale,
rinunciando ad essere l’eccezione. L’espressione della vita etica è la figura del marito, in particolare K
indica l’assessore Guglielmo, marito fedele, professionista onesto e laborioso. K si riferisce al momento
della dialettica hegeliana in cui lo spirito oggettivo si incarna nelle istituzioni quali famiglia, società civile
e stato. Il matrimonio è l’espressione tipica dell’eticità in quanto compito che può essere proprio di tutti.
Inoltre il lavoro è la vocazione, il compito che l’individuo è portato a realizzare, perciò adempiendo a
questa funzione raggiunge tutto ciò che ha desiderato. La vita etica prevede una scelta assoluta, infatti
l’uomo deve scegliere la libertà, cioè sceglie la scelta stessa. Avendo scelto la propria storia, in cui risiede
la sua identità, dovrà accettare anche gli aspetti più dolorosi e crudeli della sua storia nei quali si identifica
pentendosi, riconoscendo la propria colpevolezza. Dunque nemmeno la vita etica è sufficiente per redimere
i suoi peccati, poiché pur impegnandosi per la perfezione, l’uomo si accorge che non vi arriverà mai.
L’unica via è il pentimento e il totale abbandono a Dio. Si presenta la possibilità di un terzo tipo di vita,
ancora più slegato degli altri due. Questo stadio è descritto nell’opera Timore e tremore, in cui la religione
non è una condizione di tranquillità ma di timore, in cui l’uomo di fronte a Dio teme di essere punito e
decide allora di abbandonarsi a lui. Questo atto di fede non è la conseguenza di una scelta ragionata ma un
salto, una decisione immotivata, libera. La figura che esprime la vita religiosa è Abramo che avendo
vissuto sempre seguendo la vita morale, la infrange lasciandosi al rischio quando Dio gli comanda di
uccidere suo figlio Isacco. Proprio per essersi fidato ciecamente, Abramo verrà salvato da Dio.

Nietzsche
Rocken (Lipsia) 1844, Weimar 1900. Ammesso per le sue brillanti capacità letterarie e musicali al ginnasio reale. Studiò
teologia e filosofia a Bonn. A soli 20 anni fu nominato professore di filologia greca all’università di Basilea. Con l’aggravarsi
della malattia che lo portò al crollo psichico lasciò l’insegnamento ritirandosi in Engadina e in Italia dove a Torino ebbe un
definitivo crollo e fu ricoverato a Basilea.
Ne La nascita della tragedia dallo spirito della musica N propone i due archetipi dello spirito greco: apollineo e dionisiaco.
Rappresentano i due impulsi di base dello spirito e dell’arte greci.
-apollineo: è un atteggiamento di fuga dal divenire, dal caos e di celebrazione dell’armonia e dell’ordine. Si esprime nella
scultura e nella poesia epica.
-dionisiaco, si manifesta come una grande energia vitale che accoglie e partecipa al divenire del mondo. Massime espressioni si
hanno nelle musica e nella poesia lirica.
Nella Grecia presocratica i due impulsi vivevano separati e opposti ma nell’età della tragedia attica si riunirono creando un
equilibrio ed esprimendosi nella tragedia, capolavoro sublime di armonia tra i due opposti. Con la filosofia di Socrate e la
tragedia di Euripide l’impulso apollineo prevale su quello dionisiaco, a causa del processo di razionalizzazione.
N trae da Schopenhauer il carattere doloroso della vita, dell’essere, ma a differenza sua non cerca salvezza nell’ascesi o nella
noluntas, bensì celebra un atteggiamento entusiasta di fronte all’essere nella sua totalità. Di fronte alla vita dolorosa, crudele,
incerta, N non segue le orme della morale cristiana che si basa sulla rinuncia, sulla fuga ma si sente libero di accettare la vita
così com’è. Nella figura di Dioniso N vede il simbolo del sì al mondo, e in particolare al mondo terreno, non quello dell’aldilà in
cui i credenti vedono la salvezza. La visione di N del mondo si presenta come una continua lotta tra gli opposti che giocano
insieme. Solo l’arte è in grado di comprendere il mondo. Il progressivo prevalere dello spirito apollineo ha portato alla
decadenza della civiltà, perciò N sottolinea la necessità di una rinascita della cultura tragica incentrata sull’arte e sulla musica
dionisiaca, che vede incarnata in Wagner.
Nel discorso La visione e l’enigma dell’opera Così parlò Zarathustra, N formula la teoria dell’eterno ritorno. Recupera la
concezione greca del tempo ciclico. La scena vede Z che sale su una montagne con un nano sulle spalle, e giunge ad una porta
carraia su cui è scritta la parola Attimo ad indicare il presente. Alla porta giungono due sentieri eterni, uno porta al passato e
l’altro al futuro. Il nano dice a Z che il tempo è un circolo e che tutte le cose dritte mentono. Z ha una visione in cui vede un
pastore si rotola per terra soffocando perché un serpente è entrato nella sua bocca; per liberarsi questi morde la testa del serpente
e scoppia poi in una forte risata. Il pastore rappresenta l’uomo che può trasformarsi un ubermensch solo vincendo il pensiero
soffocante dell’eterno ritorno simboleggiato dal serpente che si morde la coda. Con questa dottrina N sostiene che tutte le cose
ritornano eternamente, la storia ha un corso circolare come una clessidra che deve sempre essere girata per continuare a scorrere.
Fondamentali sono le implicazioni morali della dottrina: il superuomo infatti non solo accetta il pensiero soffocante dell’eterno
ritorno ma addirittura lo vuole, poiché ha imparato a vivere l’attimo presente come se lo volesse vivere infinite volte. Ogni
singolo momento non ha il proprio fine oltre se stesso, nel futuro ma ha in se stesso il proprio senso compiuto. Il superuomo ama
la vita così com’è senza dover imporre delle finalità o dei significati ulteriori, egli vive di amor fati, accettando il divenire e il
suo perenne ritornare.

Husserl
1859-1938. H si pose l’intento di riformulare la filosofia quale sapere razionale rigoroso a fondamento sia
delle scienze particolari sia dell’agire e dell’esistere dell’uomo. La sua ricerca dei fondamenti oggettivi del
sapere è peculiare poiché passa attraverso l’attività soggettiva. Nelle prime opere sul concetto e l’origine
dei numeri ne individua il principio nell’atto del collegare, effettuato a livello psichico. Tuttavia in seguito
si convinse dell’impossibilità di fondare la logica su basi psicologiche poiché gli atti psichici sono sempre
realtà particolari mentre le entità logiche sono ideali e universali.
Dopo la prima guerra mondiale si diffuse un clima di crisi dovuto al venir meno dell’ottimismo e della
fiducia nel progresso che portò ad accentuare la sensibilità nei confronti della finitudine umana. La
filosofia dell’esistenza si basa sugli aspetti limitanti e negativi della condizione umana nel mondo. La
guerra aveva notevolmente contribuito al crollo degli ideali ottocenteschi. In filosofia si pone al centro
l’esistenza intesa come modo d’essere proprio dell’uomo, il tema della scelta (si diffusero in questo
periodo le opere di Kierkegaard), la singolarità dell’uomo.
Jaspers
1883, 1969. Laureato in medicina, passò poi a studi filosofici e divenne professore ordinario di filosofia a
Heidelberg. Dovette poi lasciare l’insegnamento per le origini ebree della moglie, e si impegnò in questioni
di attualità. Una prima esposizione della filosofia dell’esistenza si ha nell’opera Psicologia delle visioni del
mondo dove J studia la vita psichica facendo riferimento alle situazioni-limite quali dolore, lotta, morte,
ossia situazioni incomprensibili che l’uomo non può che accettare ciecamente. Sono situazioni in cui si
manifesta la necessità dell’essere, che si scontra con l’uomo che non può reagire ma si trova costretto a
non poter non subire tale condizione.
L’esistenza per J è ricerca dell’essere, che inizia considerando se stessi come un Esserci, ossia come un
elemento del mondo. Il mondo è la totalità di oggetti studiati dalle scienze naturali che possono ampliare il
loro sapere tuttavia non riescono a superare il limite intrinseco alle scienze stesse ossia il fatto di conoscere
sempre solo una parte del mondo e mai il mondo nella sua totalità. È possibile costruire un’immagine
totale del mondo che non corrisponderà però al mondo stesso bensì ad un cosmo, un particolare punto di
vista tra i tanti nel mondo. Il mondo è quindi frantumazione nelle diverse prospettive, mai unitarie. Il limite
della conoscenza del mondo si applica anche al proprio essere, il sapere oggettivo non piò cogliere
l’esistenza. Occorre la chiarificazione dell’esistenza; questa deve essere considerata situazione, è un potere
essere dell’uomo. Egli attraverso il suo pensare e il suo agire diventa se stesso nelle situazioni concrete.
L’esistenza è paradossale in quanto libertà e colpa allo stesso tempo; è libera poiché l’uomo sceglie ogni
situazione ma è colpevole perché non può non assumere su di sé i limiti della situazione concreta in cui
vive. L’uomo deve essere consapevole di diventare ciò che è.
Per essere consapevole di se stesso l’uomo deve comunicare con l’altro da sé, tirando fuori dall’altro il se
stesso che è in lui. Tuttavia ogni esistenza è unica e irripetibile dunque non può dipendere solo dall’altro.
La vera esistenza si manifesta soltanto nelle situazioni-limite

Bergson
Parigi, 1859, 1941. Maggiore esponente della reazione al positivismo. Insegnò al College de France.
Premio Nobel per la letteratura nel 1928.
Saggio sui dati immediati della coscienza: distinzione tra il tempo misurato dagli orologi, ossia tempo
cosmologico, spazializzato e astratto e il tempo della coscienza, definito come il tempo vero. Un periodo
di tempo uguale secondo la misurazione degli orologi può essere vissuto come più breve o più lungo dalla
coscienza, a seconda dello stato d’animo in cui si trova; essa definisce la durata reale del tempo.
La coscienza è durata, in quanto dimensione interna non soggetta alle leggi della meccanica e quindi
imprevedibile e libera. La libertà è la causa delle azioni spontanee. B identifica la coscienza o spirito con la
memoria (coscienza del proprio passato) e il corpo o materia con la capacità dello spirito di percepire la
realtà. Nell’opera Evoluzione creatrice B afferma che materia e spirito derivano da un unico principio
all’origine di tutta la realtà, lo slancio vitale, élan vital. Perciò a differenza di quanto sostenuto dal
positivismo, lo spirito non deriva dalla materia bensì entrambi hanno un’origine comune e inoltre la
realtà è frutto di un’evoluzione creatrice in quanto crea sempre qualcosa di nuovo e imprevedibile non
essendo soggetta alle leggi della necessità.
La materia è il residuo dello slancio vitale, nel momento in cui questo si esaurisce non potendo più creare,
viene generata la materia. Lo slancio vitale creativo invece dà vita alle realtà più alte quali il mondo
vivente in cui regna l’istinto e il mondo dello spirito caratterizzato dall’intelligenza.
Solo attraverso un’intuizione è possibile cogliere la realtà e lo slancio vitale che la anima. L’intuizione è
una facoltà immediata come l’istinto ma non è rivolta a fini pratici bensì a cogliere l’essenza della realtà.
Mentre l’intelligenza è la facoltà propria delle scienze, cioè della conoscenza superficiale astratta,
l’intuizione è la facoltà della metafisica o conoscenza profonda concreta. In opposizione al positivismo, B
rivaluta la metafisica a discapito delle scienze naturali.

Heidegger
Messkirch, 1889, 1976. Inizia teologia a Friburgo ma poi si dedica a scienze matematiche e naturali e
filosofia. Diventa assistente e amico di Husserl. Insegna poi a Marburgo ritirandosi a periodi nella foresta
nera per scrivere Essere e Tempo, Sein und Zeist nel 1927.
Nella tradizione metafisica l’essere veniva inteso come ente presente. Esso non veniva considerato in
rapporto al tempo nella sua totalità di passato, presente e futuro bensì soltanto nella sua dimensione
presente. Si trattava quindi di una metafisica della presenza che secondo H ha bisogno di essere ampliata
considerando l’essere in relazione alla totalità delle articolazioni temporali. H inizia la sua trattazione a
partire dall’ente privilegiato dell’Esserci (da-sein), il modo proprio dell’uomo e modo proprio
dell’esistenza intesa come un avere-da-essere; l’esserci deve sempre rapportarsi al proprio essere per
deciderne la possibilità e realizzabilità attraverso il sottrarsi all’avere-da-essere. Rapportarsi al proprio
essere (Esserci) significa progettare effettivamente tale essere perciò è un processo pratico proiettato nella
dimensione del futuro, ha quindi un carattere di apertura al mondo. L’esserci è un essere-nel-mondo.
L’esserci si muove nel mondo della vita quotidiana relazionandosi con le cose circostanti intese come
strumenti, esseri-utilizzabili. Esse non hanno il proprio fine in se stesse bensì nell’esserci che le utilizza.
Nel mondo quotidiano l’Esserci ha un atteggiamento pratico definito come un prendersi cura. Da questo
atteggiamento l’Esserci passa ad un atteggiamento teoretico di osservazione e constatazione e le cose
esterne si presentano nel modo d’essere del sussistere, come una semplice presenza sotto mano.
Gli esistenziali sono le determinazioni essenziali dell’esistenza; i due fondamentali sono il sentirsi situato
che indica la passività e ricettività e il comprendere, che indica la produttività e la spontaneità dell’esserci.
Considerati unitariamente costituiscono la cura.
L’essere-per-la-morte è l’essenziale anticipazione dell’estrema possibilità dell’esserci infatti essendo
consapevole della propria mortalità, l’esserci prende coscienza del suo potere-essere come totalità di
futuro, passato e presente e si comprende come temporalità originaria. La temporalità originaria è la causa
della cura.
L’Esserci è un poter-essere, in quanto è costituito da una parte che è e una che ancora non è; questa può
realizzarsi in autenticità quando l’esserci diventa consapevole della propria finitudine e anticipa il suo
esserci-per-la-morte e con questa consapevolezza ritorna al proprio passato; oppure il poter essere si può
esplicare nell’inautenticità quando l’esserci si perde nell’impersonalità che lo solleva dall’insostenibile
leggerezza del suo essere e non ha consapevolezza della sua temporalità originaria ma rimane fermo al suo
essere in singole situazioni concrete.
Dall’esistenza all’essere: passare dall’ente-presente alla comprensione dell’essere come temporalità
originaria e al sentirsi situato. Dall’esistenza come avere-da-essere all’esserci.

Wittgenstein
Vienna, 1889, 1951. Interessato alla matematica pura e alla logica matematica studia all’università di
Cambridge, dove conosce Russell che insegna al Trinity College. Si trasferisce poi a vivere in Norvegia ma
quando scoppia la guerra si arruola come volontario e nel 1918 viene catturato dagli italiani e imprigionato
a Cassino dove riesce a procurarsi una copia dell’Introduzione alla filosofia matematica di Russell e scrive
all’amico accennandogli le tematiche poi esposte nel Tractatus logico-philosophicus pubblicato nel 1921 in
tedesco e l’anno dopo in inglese. Per alcuni anni insegna nella scuola elementare. Tornato nel 1926 a
Cambridge diventa professore. Nel 1938 in seguito all’annessione dell’Austria alla Germania nazista, W
prende la cittadinanza inglese. Nel 1947 lascia la cattedra e si ritira in Irlanda a comporre le Ricerche
filosofiche, pubblicate postume.
Il mondo è l’insieme di tutto ciò che accade ossia dei fatti e non delle cose, in particolare è la totalità dei
fatti atomici o stati di cose, cioè dei fatti che accadono indipendentemente l’uno dall’altro. Un fatto
atomico è composto da oggetti semplici indivisibili che costituiscono la sostanza del mondo. Questi oggetti
semplici possono determinarsi in diversi modi per formare i fatti atomici. Le forme degli oggetti sono
spazio, tempo e colore.
Gli oggetti semplici costituiscono sia i fatti atomici sia le proposizioni atomiche, elementi semplici del
linguaggio. La proposizione infatti è la raffigurazione formale o logica del fatto. W sostiene infatti la tesi
secondo cui il linguaggio è la raffigurazione logica del mondo.
C’è isomorfismo tra mondo e pensiero e pensiero e linguaggio- identità tra mondo e linguaggio- se si vuole
studiare il mondo occorre studiare il linguaggio, essi hanno la stessa struttura.
Pensiero rappresenta quello che succede nel mondo e il linguaggio esprime quello che esiste astrattamente
nel nostro pensiero.
5-6 dal pensiero al linguaggio; come è fatto il linguaggio
La proposizione è una funzione di verità delle proposizioni elementari-> filosofia dell’atomismo logico
(russell) grandi cambiamenti in chimica-così come la chimica descrive attraverso un piccolo numero di
sostanze elementari atomiche la grande complessità del mondo fisico così il linguaggio attraverso un
piccolo numero di proposizioni elementari(atomiche)
Isomorfismo in azione tra linguaggio e mondo (atomi-proposizioni atomiche)

L’immagine logica dei fatti è il pensiero, il pensiero è la proposizione munita di senso, la prop è una
funziona di verità delle prop elementari.
Il mondo è tutto ciò che accade è diverso da ciò che è- passaggio dall’essere all’accadere è dovuto ai
progressi della scienza, con la nascita della relatività di einstein, si dimostra che non esiste separazione tra
spazio e tempo ma sono uniti nello spaziotempo. Non sono più importanti gli oggetti ma gli eventi, ogg che
si muovono in istanti, W concepisce questa trasformazione nella scienza e ne tiene conto.

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