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INDICE
-Introduzione .................................................................................p.5
I. LA CRISI DELLA PRESENZA NEL MONDO MAGICO.p.8
1.1 Sul filo della presenza...p.8
1.2 Perdere lanima, perdere il mondop.10
1.3 La crisi della presenza...p.10
1.4 I momenti critici del divenirep.12
1.5 Polo della crisi e polo del riscatto.p.13
1.6 La magia come tecnica della presenza..p.14
1.7 Il Cristo magico: lo sciamanop.16
1.8 Istituti storici della magia: fattura e imitazione.p.17
1.9 Il valore culturale del dramma magico..p.19
1.10 Le realt del mondo magicop.20
1.11 La critica al soggetto trascendentale kantiano.p.22
1.12 Del magico si pu, si deve, fare storia.p.25
1.13 Dasein e Dasein-sollen: un confronto con Heidegger.p.26
1.14 Il rischio antropologico permanente.....p.27
- Bibliografia...p.72
Introduzione
La tematica che, con il presente lavoro, viene affrontata quella della crisi della
presenza, variamente illustrata negli scritti di Ernesto de Martino. Lintento non
tuttavia quello di dare un resoconto esaustivo del complesso ed elaborato itinerario
demartiniano, n di ripercorrere le innumerevoli tappe del suo articolato percorso
storico ed etnografico. Piuttosto che sulla sua attivit di antropologo ci si soffermer
infatti su alcune specifiche questioni teoriche, dagli importanti risvolti filosofici,
che, talora in superficie talora in modo carsico, percorrono tutta la sua produzione.
Questi fils rouges, di cui possiamo rintracciare le origini fin dalle opere giovanili, sono i
due nuclei concettuali di crisi della presenza e di apocalisse culturale.
Il discorso sulla presenza, e sulla sua crisi, non potr inoltre prescindere da una
riflessione sul linguaggio, in quanto la natura umana si identifica e si caratterizza
proprio per questa facolt. Non si pu mai cogliere luomo separato dal linguaggio;
usando unimmagine di Saussure, presenza e linguaggio costituiscono il recto e il verso
di un medesimo foglio. Nellultima parte del lavoro ci si occuper dunque di filosofia
del linguaggio; si mostrer come la crisi della presenza, mettendo in discussione le
caratteristiche salienti e le prerogative basilari delluomo, comporti necessariamente
delle ripercussioni sul piano linguistico, piano per definizione appartenente allontologia
e alla biologia umana.
Nel primo capitolo la questione della crisi della presenza verr illustrata nel particolare
ambito del mondo magico, un mondo storico in cui la propria presenza individuale non
mai data per scontata, ma si configura piuttosto come un problema costante e una meta
da conquistare. In questo specifico frangente il ci sono perennemente esposto al
rischio di non esserci; lindividuo mette pertanto in atto varie strategie allo scopo di
difendere la propria presenza e di mantenerla al cospetto del mondo. Le pratiche e i riti
magici costituiscono la principale tecnica protettiva di cui si serve luomo delle civilt
primitive per riscattare la propria presenza dalla crisi e dunque per poter agire nel
mondo, piuttosto che lasciarsi agire da esso.
5
Anche latto linguistico volto a fondare e a ricostituire la presenza umana nel mondo.
Prima ancora di significare una qualsiasi cosa, lenunciato si riferisce infatti al fatto che
qualcuno lo ha prodotto, che qualcuno parla: ogni emissione di linguaggio segnala cio
linserzione della presenza nel mondo.
Linguaggio e presenza sono fenomeni corrispondenti e indissociabili. Nel terzo capitolo,
partendo da questa imprescindibile identit, ci si occuper della inevitabile coincidenza
tra crisi della presenza e crisi dellattivit linguistica.
Le manifestazioni linguistiche della crisi della presenza consistono essenzialmente in
alterazioni di semanticit, in un difetto o in un eccesso di questa. Il troppo e il troppo
poco di semanticit, lonniallusivit del discorso e la regressione dal segno al segnale,
costituiscono le reazioni linguistiche di una presenza che non riesce pi a conferire un
senso al mondo e dunque a se stessa nel mondo.
Il discorso sulleccesso e sul difetto di semanticit verr sviluppato aprendosi a
differenti prospettive, seguendo pi direzioni, non preliminarmente tracciate.
Si esplorer un terreno non ancora del tutto sondato, un angolo forse rimasto al buio,
sicuramente meno argomentato da Ernesto de Martino, ma che pure egli solleva,
consapevole della molteplicit degli sviluppi possibili, della pluralit delle direzioni che
da qui potranno prendersi, dei plurimi luoghi, o forse non-luoghi, a cui potr condurre.
Il Mondo Magico (1948) lopera nella quale de Martino presenta la tematica che,
come un fiume carsico, percorrer tutta la sua futura produzione ed elaborazione
teorica: quella della presenza e della crisi della presenza. Oltre i concetti, che saranno
motivo di ulteriori approfondimenti e di feconde riflessioni nelle successive opere, sono
qui presenti in nuce le loro profonde implicazioni, nonch le loro significative
conseguenze, sul piano storico e filosofico. Il mio percorso prende dunque avvio
dallanalisi di questa opera che costituisce la genesi, e allo stesso tempo gi lascia
scorgere i futuri sviluppi, del poliedrico pensiero demartiniano.
Nel mondo magico la presenza sta come una meta e un compito, come un dramma e un
problema. Il ci sono perennemente esposto al rischio di non esserci e la presenza,
che non ha ancora la forza di gettare davanti a s loggetto e di differenziarsene,
rischia continuamente di smarrire la propria trascendenza, di perdere se stessa e di
abdicare.
In questa fase storica il confine tra uomo e natura, tra soggetto e oggetto deve ancora
essere tracciato, e luomo continuamente tentato ad adeguarsi mimeticamente alla
natura anzich oggettivarla.1 La sua presenza incerta, non si mantiene, rubata,
sottratta, fugge, scivola via; la natura non costituisce unalterit definita, ma piuttosto un
misterioso oltre, un universo di cose e di eventi che da ogni parte minacciano e
insidiano la presenza.
La realt non data, non oggettivata poich manca ancora lo sguardo di un soggetto;
essa non un possesso garantito, ma un risultato da conseguire, lesito di uno sforzo che
luomo tenta di portare a compimento. La realt in decisione, in fieri, intenta a
costituirsi.
La presenza deve ancora raccogliersi come unit di fronte al mondo e, correlativamente,
il mondo non ancora distanziato e differenziato dalla presenza: lio non saldamente
distinto dal non-io. Se in una civilt come la nostra, presenza al mondo e mondo che
si fa presente sono costituiti come una dualit decisa e garantita, nella civilt magica la
dualit presenza-mondo non ancora tale, ma costituisce un problema dominante e
caratterizzante che investe lintera esperienza e la stessa possibilit di avere esperienza.
Nella magia il mondo non ancora deciso e lesserci una realt condenda.2
Il problema del magismo non dunque quello di conoscere il mondo, o di modificarlo,
azioni che entrambe presuppongono la presenza certa e salda del soggetto-, ma
piuttosto di garantire un mondo.
Stefano Petrucciani, De Martino, Adorno e le avventure del s, in Mario De Caro, Massimo Marraffa (a cura di),
La filosofia di Ernesto de Martino, Paradigmi,anno XXXI, 2013, n.2, p.128
2
Ernesto de Martino, Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo, Torino, Bollati Boringhieri, 2007, p.75
E. de Martino, Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo, cit., p.123
10
E. de Martino, Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo, cit., p.73
11
de
Martino
definisce
come
momenti
critici
dellesistenza.
Luomo magico esposto al rischio della labilit nelle sue solitarie peregrinazioni,
quando la solitudine, loscurit, la ricerca del cibo, il pericolo costituito dagli animali e
dal rapporto con lo straniero, e la stanchezza dovuta al lungo peregrinare
sopraggiungono a mettere in crisi lunit della sua persona.
Il momento critico dellesistenza critico perch impone una decisione e una scelta,
un pronto adattamento alla realt, un comportamento ricco di conseguenze altamente
impegnative per la presenza. Il cacciatore davanti alla fiera, lagricoltore davanti alla
tempesta, il pastore davanti alla solitudine, luomo davanti alla donna, il guerriero
davanti al nemico, lo schiavo davanti al padrone, il giovinetto davanti alla pubert, i vivi
davanti al cadavere; questi momenti critici dellesistenza sono largamente tradizionali
nelle societ umane. Il carattere che tutti li lega che in essi la storia, il divenire, si
manifesta, e la presenza prende contatto di un mutamento, di un passaggio, cos
impegnativi per essa da rischiare di non mantenersi.6
In tali momenti, di oggettiva difficolt, richiesta una presenza umana particolarmente
vigile e luomo chiamato ad uno sforzo pi alto del consueto: in tutti questi
momenti la storicit sporge, il compito umano di esserci direttamente e
irrevocabilmente chiamato in causa, qualche cosa di decisivo accade o sta per accadere,
costringendo la stessa presenza ad accadere, a sporgere a se stessa, a impegnarsi e a
scegliere.7
Basta una semplice rottura dellordine abituale, il verificarsi di un evento appena al di
fuori dalla norma, a far precipitare luomo nella paralisi della propria presenza:
lincapacit di dare un senso al reale, di comprenderlo -e quindi di dominarlo-, innesta
la crisi. Il suono di una campana, una pianta che d frutti fuori stagione, lapparizione di
un missionario o unalterazione improvvisa del paesaggio sono tutti accadimenti
rischiosi, violazioni che richiedono un compenso, una riparazione riequilibratrice.
5
Tale presupposto teorico sar fonte di contrasto con Mircea Eliade, per il quale il divenire in s, e non solo alcuni
segmenti, ad essere caratterizzato da una valenza negativa.
6
Dario Danti, Dalla presenza alla singolarit. Uno studio su Ernesto de Martino, 2007, tesi di dottorato, p.27
7
Ernesto de Martino, Fenomenologia religiosa e storicismo assoluto, in Studi e materiali di storia delle religioni,
1953-1954, 24-25, p.18
12
Proprio a causa del carattere eccezionale degli accadimenti in corso, in questi momenti
critici del divenire il rischio di non esserci pi intenso, la situazione oggettiva tale
da mettere in dubbio la possibilit di essere umanamente padroneggiata. Luomo
pervaso da unangoscia caratteristica8: la volont di esserci come presenza davanti al
rischio di non esserci.9 La sua labilit diventa un problema che sollecita la reazione e il
riscatto.
Tale angoscia pu indurre la paralisi della presenza e la stasi dellattivit valorizzatrice, stasi cui corrisponde il
regresso delluomo dalla cultura alla natura.
9
E. de Martino, Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo,cit., p.73
10
Federico Leoni, La magia degli altri e la nostra. Ernesto de Martino e le tecniche della presenza, in Mario De Caro,
Massimo Marraffa (a cura di), La filosofia di Ernesto de Martino, Rivista Paradigmi, anno XXXI, 2013, n.2, p.72
11
E. de Martino, Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo, cit.,p.74
13
Quello magico un momento che si colloca nellinterstizio tra il crollo effettivo della
presenza e la possibilit del crollo; de Martino tiene il crollo al di qua del suo
compiersi12 e lo rende concreto solo nella coscienza angosciosa della sua possibilit.
In altre parole labdicazione de facto viene elusa affrontando e combattendo langoscia,
cio lavvertimento della possibilit del proprio nulla.
Nel dramma magico si percepisce la dissoluzione dellesserci come una forza maligna
che insidia la presenza e, per combatterla, si entra in rapporto con tale negativo, con tale
maligno, insomma con la propria angosciosa labilit. Per vincere la labilit occorre
saper acquistare il potere di padroneggiarla: occorre la magia.
Gennaro Sasso, Ernesto de Martino. Fra religione e filosofia, Napoli, Bibliopolis, 2001, p.222
E. de Martino, Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo, cit., p.94
14
Id., p.91
13
14
De Martino ci offre numerosi esempi che mostrano come la magia sia una tecnica della
presenza, una strategia elaborata per mantenere, e consolidare, lesserci delluomo nel
mondo. La dialettica della presenza tra rischio e relativo riscatto ben dispiegata
nellanalisi dellatai degli indigeni di Mota.
Latai si costituisce in occasione della percezione di un oggetto che colpisce
limmaginazione e che desta meraviglia in chi lo percepisce. un oggetto, per esempio
una pietra, a cui lindividuo associa il suo destino personale: egli vive, prospera, patisce
e muore insieme al suo atai. Latai esprime il dramma della presenza nel mondo
esistenziale magico, presenza che, davanti al rischio di annientarsi nel mondo e di essere
vinta dalloggetto, si salva ritrovandosi e trattenendosi nellalter ego.
La dissoluzione della presenza arrestata mediante questa fissazione e localizzazione
in un oggetto, con il quale si stabiliscono rapporti regolati e duraturi. Latai costituisce
dunque una sorta di compromesso: la presenza che si sta perdendo si riconquista ed
trattenuta fissando la propria unit nellunit della cosa. Il riscatto compiuto in questa
esistenza a due. Il mero abdicare della presenza arrestato attraverso una creazione
culturale suscettibile di sviluppo e di significato; latai il prodotto culturale di una
presenza che vuole esserci nel mondo.
Lesempio appena esposto non costituisce lunica modalit di riscatto per la presenza;
il riscatto pu compiersi infatti anche attraverso pratiche magiche che esprimono
il bisogno di allontanare e di separare loggetto che insidia la presenza. Tali modalit si
attuano soprattutto nei casi che hanno a che vedere con la morte e con i morti.
La presenza non riesce a mantenersi davanti levento della morte, levento negativo per
eccellenza, ed esprime lavvertimento di questo rischio nella rappresentazione del
cadavere che contagia, che ruba e che succhia lanima. Il cadavere deve dunque
essere allontanato, separato dal mondo dei vivi.
I riti funerari degli Arunta, presi ad esempio da de Martino, hanno lo scopo di produrre
questo allontanamento, di creare una distanza tra il cadavere e i viventi.
La capanna del defunto viene distrutta per impedire che vi faccia ritorno, la terra che
ricopre il cadavere calpestata per renderla pi compatta, il suo nome non pu essere
pronunciato, poich la parola rischia di diventare la cosa significata. I vivi gridano
15
intorno alla tomba per scacciare il morto e vi depongono ossa, in modo che il morto
possa riconoscersi in esse.
Soltanto apparentemente il rito funebre il rito compiuto dai vivi intorno e per i morti,
in realt la serie di atti che vengono compiuti nascondono unoperazione pi importante
e radicale: quella del tracciamento di un confine, di una linea di separazione.
Il rito, e loperazione magica in generale, vogliono introdurre una distanza, stabilire una
non-coincidenza.
I vivi vogliono assicurarsi dalla malevolenza dei defunti, garantirsi dallo spettro della
morte. Il rito magico cos una tecnica della presenza in quanto anche una tecnica
dellassenza: rendendo assenti i morti, rende presenti i vivi; produce un oggetto, il
morto, in modo tale che i vivi possano gettarlo davanti a s. Solo una volta
oggettivata la morte, solo una volta proiettata davanti, si potr creare lo spazio della
presenza, lo spazio del soggetto.
Il rito, distinguendo tra presenza e assenza, introduce una differenza tra soggetto e
oggetto. Tutte le operazioni magiche, tutte le tecniche della presenza hanno a che fare
con la costruzione di questa distinzione, con lo stabilire questa distanza.
Martino
come
leroe
della
presenza,
il
Cristo
magico.15
Id.,p.98
Ibidem
16
demoniaca e maligna che insidia la presenza, riplasmato dallo sciamano in una serie
definita di spiriti che vengono cos identificati e padroneggiati. Attraverso la sua
figura il rischio della labilit viene riassorbito nella demiurgia umana, diventa un
momento del dramma culturale.
Un esempio: soffia un forte vento, percepito come maligno in quanto realt che ruba
lanima, lo sciamano lo osserva attentamente e vi legge le forme che lo travagliano:
lunghi gatti demoniaci. Solo lo sciamano pu vederli, solo lui pu combatterli, getta
contro di loro pietre e poi li uccide con dei bastoni. Compiuta loperazione loltre
minaccioso del vento stato esorcizzato: tutta la comunit salva dalla forza maligna
che minacciava la sua presenza.
Attraverso lo sciamano la comunit si dota di un mezzo potente, munito di reale
efficacia, che combatte e che cura la labilit degli individui. Lo sciamano incarna il
dramma esistenziale di tutta una collettivit: attraverso di esso la comunit nel suo
complesso si apre alla vicenda dellesserci che si smarrisce e si ritrova.17
Governando e amministrando langoscia, volgendola verso una determinata fine, il
Cristo magico prepara la risalita dagli inferi verso la luce. 18 I drammi esistenziali di
tutti, le esperienze individuali di crisi della presenza, non restano isolate e irrelative19
le une rispetto alle altre, ma, grazie allazione salvifica dello sciamano, si modellano
secondo uno schema comune, si appoggiano alla tradizione, vengono cio culturalmente
regolate.
17
Id.,p.94
G. Sasso, Ernesto de Martino. Fra religione e filosofia, cit., p.230
19
E. de Martino, Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo, cit., p. 98
18
17
Non c dubbio che un Arunta morir per una ferita, anche superficialissima, se
creder che larma che ha causato la ferita sia stata affatturata (sung), e dotata di
arungquilta. Egli si accascia, rifiuta il cibo, e deperisce. 20
Un altro uomo [] si prese un leggero raffreddore, ma lo stregone del luogo gli disse
che i membri di un gruppo a circa venti miglia a est gli avevano portato via il cuore: la
qual cosa credendo, luomo si accasci e and in consunzione.21
[]Venne da noi un uomo con una leggere ferita alla schiena. Gli fu assicurato che la
ferita non era grave, e fu curato come si suole in casi simili. Ma luomo persisteva nel
dire che la freccia era stata affatturata, e che essendo la sua schiena rotta, sebbene in
modo invisibile, egli doveva morire: come infatti mor.22
Questi esempi servono a mostrarci quanto sia reale e concreto il rischio a cui esposto
colui che crede di essere affatturato; ma altrettanto reale ed efficace leliminazione del
rischio ad opera della contro-fattura.
Fattura e contro-fattura acquisiscono rilievo di importanza storica; tramite esse il rischio
di non esserci umanizzato: non proviene pi dal di fuori, non insorge
accidentalmente nelle notti di tenebra o durante solitarie peregrinazioni, ma
volontariamente prodotto dalluomo e dalla sua intenzionalit. Attraverso gli istituti
storici della fattura e della contro-fattura luomo partecipa attivamente al dramma
esistenziale magico e ne controlla i momenti: producendo il rischio anche in grado di
superarlo.
Nellautentica realt delle cose, l dove sul serio la presenza si perde, come soggetto,
nellanonimia della natura, ed foglia che stormisce, vento che soffia []; nel luogo in
cui a dominare la morte, il dramma un dramma, anzi una tragedia, un colpo fatale
che [] cade sulla presenza e la schianta. Nella realt ritualizzata della tecnica magica,
nel dramma che vi prodotto e mimato, la tragedia un dramma; che, avendo un inizio
controllato, per questo pu anche esserlo nel suo esito; che non perci la tragedia della
morte, ma il riscatto da questa.23
20
Id.,p.105
Ibidem
22
Ibidem
23
G. Sasso, Ernesto de Martino. Fra religione e filosofia, cit., p. 231
21
18
24
25
E. de Martino, Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo, cit., p.111
Id.,p.123
19
26
27
Id.,p.151
Id.,p.152
20
sogno e che il sogno non prova niente. Eppure, dice de Martino, le cose non stanno
proprio cos.28
Il nostro concetto di presenza, cos come il nostro concetto di realt, presupponendo
scontatamente il processo storico del costituirsi del ci sono, non possono penetrare il
mondo magico. In unepoca storica in cui la presenza non si ancora nettamente
decisa nel senso della veglia, in una civilt in cui la presenza e il mondo che si fa
presente si estendono nel senso della coscienza onirica, e il reale culturalmente
significativo include anche ci che vissuto da questa coscienza29 ben possibile che
Grubb abbia rubato le zucche. Se affermiamo che il missionario in modo assoluto e
sotto tutti i rapporti non ha rubato le zucche, non facciamo altro che restare prigionieri
del nostro concetto di realt, imponiamo forzatamente la nostra concezione come
assoluta e valida in tutte le epoche e per tutte le civilt.
In realt vi sono due Grubb: quello che fa parte della nostra cultura, della visione
occidentale della presenza e del mondo come realt date, e quello inserito nel contesto
del dramma magico, della presenza indefinita che si intreccia col mondo, del pensiero
che non disgiunto dalla realt. Un terzo Grubb, un Grubb in s assolutamente vero
non esiste.
In un mondo in cui le presenze sono ancora indefinite, e in cui spazio e tempo sono
inclusi nella decisione umana, lindividuo pu teletrasportarsi in luoghi distanti, pu
leggere nel pensiero, comunicare telepaticamente o visitare realmente altri individui in
sogno. Fin quando lesserci costituisce un problema dominante e caratterizzante la
fattura ammalia, la contro-fattura salva; se latai muore, muore anche colui che vi
legato. Questi tipi di eventi fanno parte della decisione e dellintenzionalit umana.
Se vogliamo addentrarci nella civilt magica dobbiamo mettere da parte la positivit e la
datit del nostro mondo, liberarci dai nostri limiti storiografici e tenere presente che
abbiamo a che fare con unaltra forma di realt, legata ad un diverso ordine storico e
culturale: dobbiamo renderci conto che qui in gioco una forma di realt che non la
datit.30
28
Id.,p.135
Id.,p.136
30
Id.,p.134
29
21
Id.,p.132
Id.,p.40
33
Ibidem
32
22
fonda
parimenti
la
possibilit
del
crollo
di
questa
autonomia.
34
Id.,p.158
E. de Martino, Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo, cit.,p.160
36
Ibidem
35
23
38
In altre parole il
37
Id.,p.159
G. Sasso, Ernesto de Martino. Fra religione e filosofia, cit., p. 250
39
S.Petrucciani, M. De Caro, M. Marraffa (a cura di), cit.,p.131
40
E. de Martino, Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo, cit.,p.160
38
24
41
Lucien Lvy-Bruhl (1857-1939) antropologo, sociologo, filosofo ed etnologo francese. Ha condotto studi sulla
mentalit religiosa dei popoli arcaici, a seguito dei quali ha elaborato la teoria del prelogismo dei primitivi. Si veda, a
questo proposito, La mentalit primitive, 1923
42
E. de Martino, Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo, cit., p.162
43
Adolfo Omodeo, maestro di de Martino con il quale si laure presso luniversit di Napoli nel 1932, e che lo
introdusse nella cerchia di Benedetto Croce. In una lettera datata 1941, Omodeo osservava, in polemica con de Martino,
che a rigore di logica la storia del magismo non esiste.
44
Critica riportata da Adolfo Omodeo e altres supportata da Benedetto Croce.
25
storia. Rilievo storico avrebbe solo una ricerca volta a determinare la Weltanschauung
del magismo e la funzione storica di tale Weltanschauung.45
De Martino coglie lessenza del mondo magico e ne rivendica la piena storicit, ne fa
oggetto di una problematica storiografica autonoma. Lelemento magico, nella storia
della civilt, svolge un ruolo culturale, salvifico, eroico, pedagogico46. Del magismo
dunque si pu, e si deve, fare storia.
45
26
In polemica con tale esistenzialismo negativo de Martino non intende lesserci come
deiezione. Per egli il Dasein non esso stesso angoscia; langoscia piuttosto la paralisi
della presenza e la sofferenza che questa paralisi provoca allesserci che ne vittima,
langoscia il sentimento di chi avverte il venir meno della propria presenza, della
propria capacit di emergere nel mondo. Di conseguenza il crollo del mondo, che
coincide con la vita inautentica, non una modalit di essere-nel-mondo, e quindi una
possibilit strutturale dellesserci, ma costituisce un rischio radicale, una minaccia
permanente. La negativit dunque non situata nel cuore dellesserci, ma si configura
piuttosto come un pericolo da combattere, come una possibilit da scongiurare.
Lesserci demartiniano un esserci in cui il ci si configura storicamente entro contesti
storico-culturali determinati; altrettanto storicamente determinati sono presenza e
mondo.48 De Martino sottolinea il carattere sociale di un uomo situato entro una
tradizione culturale definita; di un uomo che, mediante la cultura e la forza del valore,
lotta contro il rischio, contro il negativo e contro la morte.
In tale ottica acquista rilievo il rischio di non-poterci-essere-nel-mondo e, quindi, il
doveroso impegno umano di combattere tale rischio, di trascenderlo mediante la
fondazione di un ordine culturale. Tale trascendimento il vero principio in forza del
quale diventa possibile un mondo in cui si presenza.
Concludendo, per de Martino il fondamento dellumana esistenza non lessere ma
il dover essere. Lesserci non essere-nel-mondo ma doverci-essere-nel-mondo.
Dasein come Dasein-sollen, in-der-Welt-sein come in-der-Welt-sein-sollen. In questa
profonda differenza sta la netta distanza tra il Dasein di Heidegger e lesserci
demartiniano.
Clara Gallini, Introduzione alla Fine del mondo, Torino, Einaudi, 1977, p.LII
27
La presenza non conquistata una volta per tutte, ma sempre precaria e soggetta alla
reversibilit; un prodotto, il risultato conseguito da uno sforzo umano che si dispiega
nella storia, un possesso temporaneo che, in qualsiasi momento, pu venire a mancare.
Il nostro approdo alla presenza non mai conclusivo e definitivo, ma perennemente
esposto
allevenienza
della
catastrofe
alla
possibilit
del
regresso.
28
29
Magia e religione partecipano alla sfera del sacro. Nellottica di de Martino il sacro
costituisce un dispositivo di protezione, un prodotto culturale creato dalla civilt allo
scopo di arginare il rischio della perdita della presenza.
La tecnica religiosa, parimenti a quella magica, salva luomo dalla caduta nella mera
natura, assicura il persistere di un mondo culturale. Il discorso sulla presenza, tesa tra la
possibilit di esserci e del non-esserci, si rivela dunque inscindibile dal discorso sugli
istituti protettivi magico-religiosi.
49
30
alliniziativa
umana53,
opera
un
mascheramento
della
storia
51
31
32
Strumento primario ed indispensabile della destorificazione il simbolismo miticorituale. Di conseguenza la religione essenzialmente mito e rito. Il mito offre il modello
metastorico del quale il rito compie literazione. Il rito, con parole e gesti definiti, ripete,
narrando e mimando, miti esemplari, nei quali tutto si gi svolto nel modo desiderato.
La negativit attuale del divenire viene cos riassorbita in una esemplarit mitica
risolutiva, viene cancellata in virt di un come mitico, dove il negativo sempre
cancellabile per la semplice ragione che gi stato cancellato.59
Destorificare significa dunque sospendere il divenire nella pura ripetizione del mito e
del rito. Questa operazione ha un carattere soteriologico e reintegrativo, reimmette
lesserci nella corrente positiva delloperare60. La potenza della religione e dei suoi
istituti sta nellattuare la riconversione dalla paralisi della presenza alloperare umano
nel mondo. La forza del sacro sta nel (ri)dischiudere alluomo lorizzonte del profano.
33
61
E. de Martino, La fine del mondo. Contributo allanalisi delle apocalissi culturali, cit., p. 139
Id., p.225
63
Ibidem
64
Id., p.223
62
34
la
paralisi
dellattivit
valorizzatrice.
Leterno
ritorno,
rigorosamente
(cio
naturalmente) inteso, si profila dunque come un rischio estremo, come una radicale
insidia per la presenza umana nella storia.
La ripetizione di un mito delle origini, literazione della fondazione, sembra compiere
ed esprimere una sorta di imitatio naturae, tuttavia tale imitatio non coincide con
leterno ritorno che proprio della natura. Nel simbolismo mitico-rituale leterno ritorno
naturale viene riplasmato in una modalit del ripetere che appartiene in pieno al piano
della cultura umana; viene cio trasfigurato in un tipo di ripetizione che non si manifesta
sua sponte ma che in tutto e per tutto sottomessa allumana disciplina.65
Leterno ritorno del mitico-rituale dunque una imitatio naturae che la cultura ha
incorporato e riplasmato in un prodotto culturale, in una tecnica umana. una modalit
di ripetizione interamente piegata ai fini umani e che opera al fine di dischiudere la
storia entro un regime protetto.
Quando la nostalgia dellidentico si rende conto del vuoto che avanza, lidentit
assume la forma dellessere che si ripete, della nostalgia del divenire ciclico, a
imitazione dellordine astronomico, della vicenda stagionale, della legge naturale.
Lordine simbolico assume questo rischio e mediatamente ridischiude limpegno
dellesserci a trascendere le situazioni secondo valori culturali che luomo genera e che
alluomo sono destinati. [] Lordine simbolico mitico-riturale rammemora
periodicamente una origine assoluta della storia e un suo assoluto compimento, lordine
simbolico ricorda lorigine e la prospettiva di unepoca cui si partecipa. 66
G. Filoramo, M. Massenzio, M. Raveri, P.Scarpi, Manuale di storia delle religioni, cit., p.531
E. de Martino, La fine del mondo. Contributo allanalisi delle apocalissi culturali, cit., p. 226
35
Il tema della fine del mondo quel rischio antropologico permanente, proprio della
presenza umana, trasferito sul piano simbolico. Il finire coincide con il rischio di non
poterci essere in nessun mondo culturale possibile. Literazione liturgica della fine e
dellinizio del mondo non fa che riproporre, in maniera metaforica e ritualizzata, il
rischio della crisi della presenza, della sempre possibile caduta delluomo dalla cultura
al caos. La fine del mondo significa il rischio di perdere la possibilit di essere operativi
nellorizzonte mondano, implica la catastrofe di qualsiasi progettazione comunitaria
secondo valori. 67
Lesorcismo contro questo rischio radicale rappresentato dalla cultura umana, che lo
fronteggia e lo riscatta. Il tema culturale della fine di un certo ordine mondano esistente
costituisce una modalit storica di ripresa e di superamento del rischio. Un esempio
dimostrativo, propostoci da de Martino al riguardo, quello del rituale romano del
Mundus.
Id., p.219
36
Paolo Virno, Promemoria su Ernesto de Martino, in Studi culturali, Bologna, il Mulino,anno III, n.1, 2006
37
la esemplarit delle origini, ora la ripetizione degli inizi diventa ripetizione del centro,
della morte e della risurrezione del Cristo. Laccento si sposta dalla ciclicit delle
catastrofi allattesa di un termine finale univoco: lavvento del Regno di Dio.
Con la profezia del Regno si passa da una fine del mondo prossima e imminente ad un
suo rinvio, procrastinato nel tempo. Il rinvio della parusa costituisce appunto
loperazione tecnica che consente la configurazione, e la dilatazione, di un orizzonte di
operabilit mondana: lattesa del Regno di Dio, ovvero lattesa del mondo, porta con s
la nascita di un mondo.
Lo spostamento della fine dalla imminenza alla lontananza, nonch la sua
indeterminazione spaziale e temporale, permette una progressiva estensione
dellorizzonte
lasciato
alla
operabilit
del
mondo.
Questo
dispositivo
di
69
E. de Martino, La fine del mondo. Contributo allanalisi delle apocalissi culturali, cit., p.289
38
Spirito Santo e la Chiesa si compir la promessa.70 Questo gi non deve per essere
concepito come attualit, come compimento gi avvenuto71, ma come un non ancora.
Ci che fece del Cristianesimo una religione fondatrice di civilt, ci che in esso
dischiuse la storia, fu appunto questa paradossale tensione fra gi e non ancora, questo
stare perennemente in tensione vigilante fra l'uno e l'altro, questo sentirsi garantito dal
primo e sospinto verso il secondo, questo viversi di ciascuno nellepoca dello Spirito
Santo, della Chiesa, dellapostolato, della testimonianza sino ai confini della terra, della
buona novella da diffondere tra le genti in un rapporto dominato dallagape. appunto
questa forma cristiana, storicamente definita, dellethos che regge il mondo. Ma questo
ora fra gi e il non ancora, se la grandezza civile del Cristianesimo, costituisce anche
il suo travaglio: il gi ora che oscura il non ancora e il non ancora che perde il gi
costituiscono due forze eccentriche che manifestavano il venir meno di quellagape che
Paolo poneva al di sopra della pistis e dellelps. 72
2.10 Leucarestia
Lesperienza della fine del mondo come rischio esistenziale antropologico trova nella
prospettiva del Regno -che al tempo stesso attesa del futuro e promessa del passatoil suo orizzonte di reintegrazione. La catastrofe del crollo immediato e irrelato del
mondo riscattata e mutata di segno attraverso la prefigurazione del Regno di Dio e, pi
specificatamente, attraverso il rito eucaristico.
Leucarestia la celebrazione ritualizzata, socializzata e istituzionalizzata dellultima
cena, il banchetto del giorno estremo. Il rito delleucarestia presentifica il banchetto
avvenuto nel passato e prefigura quello dei tempi estremi futuri: in virt del simbolo
eucaristico la comunit dei fedeli partecipa ad un orizzonte retrospettivo e prospettico.
Proprio questo duplice orizzonte permette il dischiudersi della dimensione del presente
(e della presenza nel mondo).
Il rischioso puntualizzarsi della catastrofe [] viene ora mediamente oltrepassato: con
il Cristo il mondo ha cominciato a finire, in passato, nel punto centrale del piano divino
70
Id., p.288
Segnerebbe altrimenti la fine della testimonianza operativa mondama, al pari della inerte attesa.
72
Id., p.289
71
39
di salvezza; con il Cristo, sempre in passato, stata data la promessa dei tempi estremi
futuri; e infine con il Cristo reso presente nella iterazione del banchetto eucaristico,
possibile sperimentare nel qui e nellora non gi lattuale immediato crollare del mondo,
ma la promessa passata e lattesa futura del finire vivendo qui ed ora non gi i tempi
estremi, ma la promessa del passato e lattesa del futuro, e quindi la prefigurazione,
lanticipo, il pegno della seconda parusia che certamente avr luogo, poich gi ha
avuto luogo con la prima.73
Con leucarestia si introduce nel tempo storico un rito periodico, limitato ad un
determinato momento del calendario. In questo modo il tempo che intercorre tra le due
celebrazioni reso disponibile alloperare umano e alle attivit culturali profane: tra il
gi e il non ancora lesserci libero di dispiegare la propria potenza.
Se fra il gi e il non ancora del simbolo mitico-rituale cristiano la presenza pu
prendere respiro, la concentrazione calendariale periodica del comportamento
liturgico libera il tempo per gli altri comportamenti culturali: Lanno liturgico
cristiano un dispositivo culturale per la completa destorificazione del tempo: il Cristo
vi infinitamente ripetuto come una stessa voce in una caverna dominata dalleco.
E tuttavia il calendario delle celebrazioni se riassorbe in un anno metastorico gli anni
storici del tempo, li ridischiude uno per uno, nei loro concretissimi mesi, giorni, ore e
istanti, raggiungendo cos quel decidere operativo secondo valori a cui luomo, finch
uomo, non pu sottrarsi.74
73
Id.,pp. 291-2
Id.,p.300
75
Paolo Virno, Promemoria su Ernesto de Martino, in Studi culturali, cit.
74
40
76
77
E. de Martino, La fine del mondo. Contributo allanalisi delle apocalissi culturali, cit., p. XXV
E. de Martino, Storia e metastoria. I fondamenti di una teoria del sacro, cit., p.103
41
42
43
alta. [] Mentre le tradizionali barriere protettive cadevano sotto i colpi critici di una
ragione fattasi adulta, lumanit si trovava esposta al rischio [] di un nuovo dramma.
Il rischio di non esserci che, [] ai tempi de Il mondo magico era stato confinato
nellarea remota delle cos dette civilt primitive, e tenuto perci ben lontano dalla
securitas dellOccidente maturo, si rivelava ormai appartenente anche a questa [].
Paradossalmente, era il progresso, era luscita dallepoca delle protezioni religiose, era il
secolarizzarsi, [] a far nascere nellanima occidentale un senso nuovo, eppure antico,
di timore e tremore.79
Se nelle immagini di apocalissi culturali precedentemente descritte il tema della fine del
mondo si risolve in una riplasmazione religiosa, e dunque si svolge lungo una dinamica
che porta alla reintegrazione e al superamento culturale, lapocalisse contemporanea
esperisce invece la nuda crisi del finire alla sola polarit negativa.
Lattuale congiuntura culturale delloccidente conosce [] il tema della fine al di
fuori di ogni orizzonte religioso di salvezza, e cio come nuda e disperata presa di
coscienza del mondano finire.80
La crisi resta nuda quando si spoglia dellorizzonte religioso, quando rompe con un
piano teologico della storia, e con la direzione e il senso che da questo deriva.
La disincantata autocoscienza occidentale, dopo aver perso Dio, e i simboli e i valori ad
esso connessi, non riesce a trovare in se stessa quell energia valorizzante in grado di
superare la crisi. Senza un orizzonte di reintegrazione, senza un luogo di protezione il
finire non pu essere preludio di un nuovo cominciamento o anabasi verso un nuovo
ordine81, ma viene piuttosto esperito al solo segno negativo, come tragica
consapevolezza della catastrofe, come caduta negli inferi senza possibilit di ritorno.
Siamo di fronte ad un disagio esistenziale generalizzato: la crisi borghese una crisi di
valori e pertanto porta con s il rischio di perdere ogni possibile patria culturale, ogni
possibile mondo. La civilt occidentale vittima di una tentazione apocalittica e
attraverso la sua produzione denuncia, con tutte le voci disponibili, la propria malattia:
un male che sembra avere tutti i sintomi di una apocalisse senza escaton.
79
44
E. de Martino, La fine del mondo. Contributo allanalisi delle apocalissi culturali, cit., p.474
Id., p.486
45
84
Id., pp.474-5
Id.,p.466
86
Jean-Paul Sartre (1905-1980) scrittore e filosofo francese, lopera cui facciamo riferimento La Nause, pubblicata
nel 1938
87
Id.,p.479
85
46
Id.,p.529
Id.,pp.471-2
90
Id.,p.468
91
Paolo Virno, Promemoria su Ernesto de Martino, in Studi culturali,cit.
89
47
per cos dire, laltalena della presenza non si stabilizza. La presenza diventa anzi quello
stesso moto oscillatorio e non perviene ad una risoluzione stabile, non trova lequilibrio
per lazione (o per il discorso) culturale. Lapocalisse non attinge cio al suo termine:
quello di ricostituire pienamente la presenza (e, con essa, il mondo).
Lapocalisse dellOccidente pervasiva, ubiqua e perenne, ma non si chiude. Incapace
di far finire la fine in nuovo inizio si rivela priva di una interna energia di riscatto, si
rivela cio priva di escaton ,e pertanto, inconclusiva.
La mancata prospettiva di una reintegrazione culturale e il finire vissuto come catastrofe
in atto rendono lapocalisse dellOccidente pericolosamente analoga a quella
psicopatologica. Proprio per tale allarmante contiguit lapocalisse senza escaton si
presta, in modo elettivo, ad innestare un prolifico confronto tra apocalissi culturali e
apocalissi psicopatologiche, altres rivelando il valore euristico di questultime.
2.17
Apocalissi
psicopatologiche
apocalissi
culturali:
confrontare
per
differenziare
Nellottica di de Martino, le strategie culturali di resistenza possono essere
adeguatamente comprese e proficuamente recepite solo alla luce del confronto con le
crisi prive di riscatto appartenenti allambito della psicopatologia. Il ricorso al
documento psicopatologico si rivela dunque uno strumento di fondamentale importanza
per illustrare la genesi e il funzionamento dei dispositivi reintegrativi culturali, magici e
religiosi.
La psicopatologia accede alluniverso della crisi in atto, le cui molteplici manifestazioni
forniscono la materia su cui si modellano le tecniche religiose di destorificazione e di
reintegrazione92. Presentando il rischio -della crisi della presenza e della fine del
mondo- nella sua forma pi estrema ed esasperata, il dato psicopatologico risalta per
forza di contrasto e per opposizione polare quelle reintegrazioni culturali, quei simboli
variamente religiosi, che hanno combattuto questo rischio.93
92
93
E. de Martino, La fine del mondo. Contributo allanalisi delle apocalissi culturali, cit., p. XVI
Id.,p.15
48
De Martino qualifica i due tipi di forme apocalittiche proprio mettendole luna di fronte
allaltra, intendendole per contrasto, identificandole mediante (e nella) loro differenza.
Analizzando le analogie che intercorrono tra i due tipi di apocalisse mira a farne
risaltare le fondamentali differenze di sostanza, i differenti esiti, il dinamismo di
direzione opposta che le caratterizza: Chi sale e chi scende una rampa di scale si
incontrano necessariamente su un certo gradino: ma quel loro incontrarsi non significa
che, nel momento in cui poggiano il piede sullo stesso gradino, le istantanee relative
della loro identica posizione hanno lo stesso significato dinamico, poich luno sale 94 e
laltro scende.95
Il confronto non si riduce dunque alla mera registrazione dei punti di convergenza (che
pure sussistono) ma tende piuttosto a far emergere, con nitore, le divergenze e i criteri
discriminanti che consentono di distinguere le due formazioni apocalittiche.
Usando il linguaggio di de Martino potremmo dire che, con luso sapiente del
documento psicopatologico, si utilizza il morboso per rischiarare il processo del farsi
sano, o che si comprende il sano nel suo farsi sano oltre il rischio dellammalarsi.
Tuttavia lo studioso ci tiene a specificare che non si tratta di spiegare il sano con il
malato, piuttosto di mostrare come le apocalissi culturali costituiscano -o possano
costituire- il rimedio terapeutico, la medicina omeopatica contro il rischio della nuda
crisi psicopatologica.
Mentre nelle apocalissi culturali il rischio sta come momento di una dinamica di ripresa e di reintegrazione,
e quindi si sale il gradino perch opera il riscatto, nella malattia psichica il rischio resta nudo, senza ripresa e
reintegrazione efficaci, e dunque si scende.
95
Id.,p.63
49
di non poterci essere in nessun mondo culturale possibile- nella sua forma pi acerba,
priva di una qualsivoglia elaborazione culturale e storica, e dunque priva di
reintegrazione e di ripresa.
Nel delirio di fine del mondo il malato esperisce come prossima a s una catastrofe
apocalittica dalle dimensioni cosmiche: lorizzonte mondano si destruttura, la catastrofe
coinvolge tutti gli ambiti percettivi, irreversibilmente crolla quello sfondo di ovviet e
di domesticit delle cose che permette la progettazione comunitaria dellutilizzabile.
Quello che de Martino vuole qui presentare la fine del mondo non pi come figura
culturale, ma come bruciante, tragica, esperienza vissuta. La fine come esperienza
psicopatologica, lapocalisse come tema delirante, rappresenta infatti una sorta di
grado zero dellesistenza, costituisce la nitida immagine della nuda crisi, del rischio
della presenza nella sua forma pi cruda ed essenziale.
Nel vissuto della fine ci che finisce , innanzitutto, il significante, loperabile
secondo valori, la progettazione comunitaria intersoggettiva e comunicabile, la potenza
dellandar sempre oltre rispetto alla situazione emergendo come esistenza operante e
progettante, aperta alla valorizzazione, alla intersoggettivit e alla comunicazione.
Questo finire [] si dispiega come crollo della stessa energia del definire su tutto il
fronte della possibile valorizzazione.96
Id.,p.86
50
97
98
Id.,p.74
Ibidem
51
La flessibilit cerea consiste nellassunzione di una determinata posizione del corpo che viene mantenuta anche per
lunghissimo tempo, si tratta di una sorta di negativismo fisico. La stereotipia pu essere cinetica o verbale e consiste
nella rigida ripetizione di un gesto o di parola, senza alcuno scopo o funzione apparente.
100
Id.,p.139
52
difensivi forniti dalla tradizione culturale: anzich aprire il cammino verso il futuro,
questo tipo di occultamento della storia segnala un regresso, una perdita senza
compenso.
La destorificazione operata dal catatonico presenta dunque tutti i caratteri della
patologia: non socialmente disciplinata, non sorretta da un orizzonte culturale, cio
non istituzionalizzata, ma piuttosto una insorgenza spontanea e totalmente
incontrollata del singolo individuo. La negazione del divenire perseguita dal catatonico
si rivela una destorificazione irrelativa, un conato che, rimanendo imprigionato
nellincomunicabilit di un singolo e internato nellindividualit di una psiche, non pu
trovare ri-soluzione.
101
Alfred Storch (1888-1962) psichiatra tedesco che, servendosi di unanalisi analitico-esistenziale, indag gli stadi
iniziali della schizofrenia.
102
Cos come stata teorizzata da Levy-Bruhl.
53
103
Ronald D. Laing (1927-1989). Il concetto sopracitato di insicurezza ontologica primaria trattato nel terzo
capitolo dellopera Lio diviso. Studio di psichiatria esistenziale (1960)
104
Id.,p.44
54
Luomo si differenzia dalle altre specie animali per la sua propriet di linguaggio.
Il discorso verbale parte integrante della nostra costituzione biologica: luomo un
animale parlante. Lesserci si caratterizza e si qualifica per la sua facolt di linguaggio,
per lenunciazione di atti di parola.
Una presenza tale quando agisce nel mondo (difatti in crisi quando agita-da),
e, come ci ricorda anche Wittgenstein, le parole sono azioni: il linguaggio
una attivit. Ogni enunciazione, ripercorrendo le tappe dellantropogenesi, fonda e
ricostituisce la presenza umana nel mondo.
Se lesserci si identifica col linguaggio, se il linguaggio la casa dellessere, ne
consegue che una presenza in crisi non pu non riportare conseguenze sul piano
linguistico -piano per definizione appartenente allontologia e alla biologia umana.
Se essere presenti coincide con lessere in grado di eseguire atti linguistici, ecco che la
crisi della presenza significa la paralisi di questa naturale attivit umana, lanomalia
della discorsivit linguistica: leccesso o il difetto di semanticit.
55
56
57
stato usato da qualcuno, laltro segno (il suo sinonimo) gli appare infatti ridondante e
superfluo e pertanto lo eviter; invece di dire questa chiamata matita aggiunger
piuttosto unosservazione sul suo uso, come serve a scrivere.
Anche la semplice iterazione di una parola pronunciata dallesaminatore sembra al
malato del tutto inutile e ridondante, perci sar incapace di ripeterla. Lafasico ha perso
la capacit di commutare il codice, pertanto il suo modo di parlare diventa la sola
realt linguistica da lui riconosciuta e compresa, mentre il discorso dellaltro gli appare
formulato in una lingua sconosciuta.
In altre parole allafasico ci che manca il metalinguaggio, necessario per il
funzionamento ordinario del linguaggio, oltre che per il suo processo di acquisizione.
La carenza afasica della capacit di denominare costituisce proprio il riflesso della
perdita del metalinguaggio e dellincapacit di ricorrere ad esso.
In tali condizioni in cui alterata la funzione sostitutiva, mentre rimane intatta quella
contestuale, tutte le operazioni che implicano similarit cederanno a favore di quelle
basate sulla contiguit. Ogni raggruppamento semantico sar cio guidato dalla
contiguit spaziale o temporale piuttosto che dalla similarit. La capacit semantica del
soggetto risulta ridotta in tale direzione.
58
59
106
Il testo cui facciamo riferimento Neuropsicologia cognitiva della schizofrenia (1995) di Christopher Frith.
60
107
Gi Wittgenstein ha evidenziato come luso delle definizioni ostensive, ovvero dei termini meramente denotativi,
oltre a conservare una certa ambiguit nella denotazione, risulti vacuo dal punto di vista semantico.
108
J. Cutting, I disturbi del linguaggio nella schizofrenia, in M.R.Monti-G.Stanghellini, Psicopatologia della
schizofrenia, Milano, Raffaello Cortina, 1999, p.49
61
109
62
112
63
appiattimento del significato sul significante e una conseguente dissoluzione del livello
semantico.
116
117
64
118
65
bens di una alterazione semantica, di una modificazione di significato delle cose che
d luogo ad unatmosfera incerta e oscura.
La Wahnstimmung consiste in una disposizione umorale di non-domesticit sinistra,
nella quale si muove in modo occulto e inesprimibile una minaccia decisiva, totale:121
lesperienza di un mutamento oscuro e radicale che interviene nel percepire e nel
percepito, e nella quale il soggetto si sente spaesato e perduto; ogni cosa acquista un
nuovo significato, indefinito quanto minaccioso e inquietante.
Le cose si mettono improvvisamente a significare qualcosaltro, c qualcosa ma non
si sa che-cosa. Oggetti ed eventi assumono un significato spropositato e
angosciosamente indeterminato, vacuo e opprimentemente indefinito: la disposizione
danimo delirante non ha ancora trovato un determinato contenuto da tematizzare, il
delirio non si ancora concretizzato in qualcosa di definito, delirio senza soggetto e
senza oggetto.
Gli oggetti che abitualmente occupano il nostro spazio quotidiano, permettendo che
questo risulti riconoscibile e confermante la nostra identit, non risultano pi utilizzabili
in base alla rete di rimandi significativi che normalmente aprono; hanno perso il loro
carattere strumentale ed operativo, la loro memoria di condotte possibili, la loro
funzione di essere appunto un rimando, un qualcosa per, e di conseguenza hanno
perso la loro utilizzabilit, la loro Zuhandenheit.122
Come suggerisce Bergson, la maniglia tuttuno con il significato dellaprire la porta;
una volta aperta la porta, essa cade nel buio, e, in questo senso, non significa pi, e
anche non c pi. Nella Wahnstimmung c lintenzione, tuttavia, essa non ancora
intenzione-di, non ancora intenzione di un soggetto, n intenzione di un oggetto; non
ancora intenzione piena n vuota ma pura apertura alla Erfllung, potenza indecisa
della Bedeutung, dunque vuoto, Leere, che per essere pronto ad ogni significato non ne
ha alcuno.123 Nella Wahnstimmung lintenzione di significato non si compie, non si
conclude, il mondo perde il suo carattere di utilizzabilit, si riduce a puro esistere
cosale, privo di connessioni funzionali, fluttuante, privo di significato compiuto.
121
E. de Martino, La fine del mondo. Contributo allanalisi delle apocalissi culturali, cit., p.49
Termine heideggeriano che, alla lettera, pu essere tradotto con essere-alla-mano riferito alle cose
123
F. Leoni, Senso e crisi. Appunti sulla Fine del mondo in Bruno Callieri ed Ernesto de Martino, p.90
122
66
124
Id., pp.91-92
E. de Martino, La fine del mondo. Contributo allanalisi delle apocalissi culturali, cit., pp.58-59
126
Id.,p.152
125
67
Queste intenzioni di significato, prive dello sfondo di una salda presenza che le indirizzi
e che le sorregga, non trovano la loro direzione, cio il loro compimento, sfociando
pertanto nelleccesso o nel difetto di semanticit.
Il significato oscilla allora intorno al (suo) nulla: intorno al nulla del suo senso. []
Il significato, lesperienza del significato, il mobile equilibrio tra intenzione di
significato e compimento di significato. Nellintenzione di aprire la porta, per riprendere
lesempio bergsoniano, mi si rivela il mondo nella prospettiva dellaprire, e la maniglia
come centro prospettico di quel mondo. Ecco la presenza concomitante, rispondentecorrispondente, della mia mano che la afferra e della maniglia che afferrata. Ecco il
compimento del significato []. Esperienza il gioco ritmico del senso e del
significato: del venire alla luce di un significato entro lindeterminata (rispetto al
significato stesso) potenzialit del senso []. Anastrofe e catastrofe, dice anche,
genialmente, De Martino []. Anastrofe dellesperienza dal senso al significato, in
direzione cio della cultura nel senso demartiniano; e catastrofe dellesperienza come
naufragio
del
significato
nel
senso,
di
cui
reca
traccia
il
crollo,
il
F. Leoni, Senso e crisi. Appunti sulla Fine del mondo in Bruno Callieri ed Ernesto de Martino, cit., pp. 89-90
68
Nella vana ricerca del suo oltre ogni percepito, suscettibile di diventare qualsiasi cosa,
si deforma mostruosamente, si disf, dilaniato da una cieca forza in cerca di significato
che lo spinge a trasformarsi perpetuamente in altro. Ogni percepito pura potenza senza
atto, e mai trova riposo in una percezione autentica e definita. Ogni percepito un oltre,
possibilit, ma senza realt, indeterminazione che non si determina, significante che
non si curva in un significato, quodditas che non si fa quidditas, insomma potenza senza
atto.
Leccesso di semanticit equivale dunque ad uno stato di potenzialit informe che, sul
piano del linguaggio, si esprime in una progressiva indeterminazione della parola; il
discorso, svincolato da riferimenti univoci, si carica di unallusivit plurima ed oscura.
In questo universo teso nella ricerca di un significato, in questo eccesso di semanticit
che dilaga, ma mai si risolve in significati determinati, la presenza cade vittima di un
incontrollabile vortice inflazionistico: anzich oggettivare il mondo, e quindi
conquistarlo, il mondo che irrompe minacciosamente in essa, che la attraversa e che
la invade. La presenza defluisce nel mondo, e il mondo la riassorbe nel suo caos, un
caos informe perch soltanto potenziale.
Il decorso opposto, il vissuto polare e antinomico rispetto a quello del troppo di
semanticit, quello del troppo poco di semanticit. Se nelleccesso di semanticit
lintenzionalit di significato una tracotanza che annulla ogni confine e vaga irrelata,
nel difetto lintenzionalit si sclerotizza, passiva e assente: gli ambiti percettivi sono
investiti da una tragica inerzia e, impartecipi di qualsiasi oltre che li collochi in un
ordine, si fanno finti, rigidi, teatrali, artificiali.
Il discorso ridotto ad una serie delimitata di segnali monocordi, il segno regredisce a
mero segnale, prevale la ripetizione coatta delle stesse formule e degli stessi gesti. Gli
oggetti perdono corposit, si chiudono in se stessi, diventano intoccabili, fuori dogni
intenzionalit e relazione possibile. Le cose si fanno inconsistenti, meccaniche e
insignificanti, cadono dal quadro dei possibili progetti operativi: si perde cio
lautentico oltre delle cose, il loro consueto orizzonte di operabilit e di progettabilit.
Tutti gli ambiti sono immobili, irrigiditi, senza significato e senza oltre, senza uno
sfondo che li renda esperibili. Ogni percepito un irrelativo, un fuori posto isolato; il
69
128
E. de Martino, La fine del mondo. Contributo allanalisi delle apocalissi culturali, cit., pp. 89-90
Id.,p. 631
130
Id.,p. 59
129
70
131
132
Id.,p. 631
Ibidem
71
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