Una delle tematiche più importanti e feconde della geografia riguardo proprio il tema del paesaggio.
Il tema ha rappresentato dal 800 il fulcro della disciplina e continua a costituire uno dei capisaldi più
caratterizzanti.
Il ritorno in auge di questa tematica lo si deve alla presa di coscienza che il paesaggio rappresenta un bene
comune sottoposto a rapido consumo e bisognoso di rinnovamento, per tato necessità di attenzioni.
Molti specialisti e anche i politici hanno iniziato piano di intervento a tutela della promozione regionale tesi ad
assicurare una migliore qualità della vita ed uno sviluppo compatibile con le risorse e l’ambiente.
La geografia nel suo perenne adeguamento ai nuovi scenari si è impegnata e spesa prevalentemente su due versanti:
quello teorico, aggiornando concetti e metodi, dall’altro empirico, promosso studi, progetti e programmi di
intervento; ma al contempo si è impegnata nella formazione e nella sensibilizzazione dei cittadini sempre più
responsabili dei loro diritti e doveri.
In questo modo ha consolidato la propria vocazione interdisciplinare, intensificando il dialogo con altri sapere e
con le istituzioni, a scala locale, nazionale e globale.
Da un punto di vista didattico, si rende opportuno un excursus storico dell’idea del paesaggio, perché “ studiare
l’evoluzione di questa idea equivale a ripercorrere tutta intera la storia del pensiero geografico.”
Il termine paesaggio è entrato nelle lingue indoeuropee tra il 400 e 500, mentre nei secoli precedenti assume il
significato di sentimento della natura. Il concetto prende forma in ambito pittorico inteso come panorama, insieme
di bellezze naturali, per poi passare più tardi alla geografia.
I pittura i primi paesaggi compaiono già in età ellenistica: Vitruvio descrive e cita nomi di pittori paesaggisti.
Dobbiamo ricordare che il paesaggio è sempre in funzione del soggetto principale rappresentato; in alcuni casi
perde addirittura la sua veridicità per diventare trascendentale, elevazione spirituale.
Anche in noti quadri rinascimentali il paesaggio si mostra come semplice atmosfera.
Solo più tardi, con il romanticismo, il paesaggio diventa soggetto, si carica di valenze e significati, specchio del
sentimento.
Il termine deriva da “pagus”, il cippo di confine, poi esteso al significato di “villaggio”. Ricorda il francese “paysage”
che in campo pittorico è una rappresentazione i cui predominano elementi naturalistici.
Dalla pittura probabilmente derive il senso comune di intendere il paesaggio come semplice veduta.
Il paesaggio non è mai qualcosa di negativo: ci possono essere paesi brutti e belli, ma non ne cambiano la sostanza:
ma cambiano gli occhi di chi guarda.
Il paesaggio è qualcosa di mutabile e presuppone una soggettività: presume l’occhio di un osservatore che a
sua volta trasporta i suoi valori.
Il paesaggio quini si idealizza e diventa espressione di un’idea di uno stato d’animo: panorami e tramonti diventato
attori. Il paesaggio non è più sfondo inerte.
Ecco la prima invenzione moderna del paesaggio: una rappresentazione, una costruzione mentale di un rapporto tra
osservatore e la realtà circostante.
Non esiste una definizione univoca di paesaggio e dal momento in cui Humboldt, nella prima metà del 800, ne fa un
tema geografico, si sviluppano una pluralità di posizione in rapporto all’approccio adottato.
Humboldt era riuscito a superare l’atteggiamento contemplativo per connotarlo con un sapere capace di
fornire conoscenza e grazie al quale il concetto passa, per la prima volta, da un aspetto estetico, pittorico e
poetico, a uno scientifico, in grado di assicurare una spiegazione razionale, quindi analitica del mondo.
Humboldt non nega il momento estetico, ma lo declassa ad un oscuro e indefinito sentimento; sposta il concetto dal
linguaggio comune a quello scientifico, anzi, l’idea di un paesaggio come concetto astratto ed artistico gli serve per
introdurre e far accogliere le sue idee scientifiche.
Per lui l’uomo è in grado di comprendere sentimentalmente le manifestazioni; ma, se sentimentale, questo rapporto
non è più scientifico. Dunque, “oscuro sentimento”, come condizione prescientifica che diventa “chiara
conoscenza”.
Sostanzialmente distingue il paesaggio come impressione sensibile che non ha nulla di scientifico ma che
rappresenta il primo stadio della conoscenza, dal paesaggio sottoposto all’esame analitico-scientifico e quindi dalla
scomposizione degli elementi, misurati e valutati in sequenze razionali.
Humboldt passa dalla sintesi degli stessi, alla loro ricomposizione in modo da ricreare un tutto organico.
Per lui il paesaggio implica un metodo di studio scientifico, di analisi e frammentazione per poi approdare
ad una visione d’insieme.
Humboldt comincia a far filtrare le sue nuove idee scientifiche. Alla base delle sue convinzioni sta la filosofia
illuminista e attraverso un opera di maieutica ripropone quei temi tanto diffusi riconsiderati in un’ottica
scientifica.
Grazie a lui il concetto di paesaggio muta da estetico a scientifico, dalla letteratura artistica alla geografia,
caricandosi di metodologie inedite e feconde per le future prospettive della disciplina e del rapporto società natura.
Quindi: con questo suo orientamento si accosta al paesaggio come un complesso di interventi umani guidato da
logiche indagabili e spiegabili. Non è possibile nessuna azione sulla natura senza conoscerne prima le sue leggi e
ogni conoscenza si basa sulla misurazione e sull’ordine.
Humboldt riesce a collegare il mondo sensibile con il mondo del logos.
Per Humboldt il paesaggio consiste nelle forme che il territorio assume in conseguenza di nessi di causa-effetto tra
le strutture fisiche e il modo di abitare e sfruttare le risorse locali; è frutto di rapporti di causalità tra le condizioni
naturali e le modalità d’insediamento e di produzione.
Quindi per studiare un paesaggio basta cogliere le condizioni essenziali e l’ordinata organizzazione con cui si
sviluppa grazia l’investigazione ragionata e al metodo scientifico.
Diversala geografia del suo contemporaneo Ritter, il quale sosteneva che la realtà territoriale non poteva essere
spiegata e compresa in termini di rapporto di causa-effetti poiché egli parte dall’esistenza di una realtà non
visibile.
Ritter era più uno studioso teorico che pratico e con una radicata formazione luterana, si rivela sensibile alle
tematiche del romanticismo e il suo ragionamento è influenzato da una profonda convinzione religiosa: Dio ha
costruito tutto, così che tutto ciò che è manifesto, compreso il paesaggio, è già precostruito; La terra è una
costruzione provvidenziale voluta da Dio; quindi il paesaggio è il “più rilevante messaggio che la terra offre
all’interpretazione dell’uomo”; il paesaggio diventa qualcosa che va oltre il visibile perché impregnato e
condizionato dalla presenza di dio.
Mentre per Humboldt il paesaggio è una realtà oggettiva, estera al soggetto, misurabile e indagabile,
analizzata con una logica analitica, per Ritter, invece, è una realtà soggettiva che nasce dal soggetto,
dall’interno del soggetto, risultato della sua capacità di vedere nel paesaggio quello che non è materialmente
manifesto.
Rispetto a quello che accade in Germania, il pensiero geografico francese è segnato da una svolta totale grazie
all’opera di Vidal de la Blache(1845-1918), la sua regola di lavoro era: descrivere, poi definire e infine spiegare,
senza mai assumere posizioni dottrinali aprioristiche.
Il messaggio di Vidal viene riassunto nell’assioma che la Natura offre l’ordito, ma è l’uomo a ricavarne il disegno,
cogliendo le risorse ambientali e ponendole in valore secondo le sue conoscenze e possibilità tecnologiche. Egli
non rinnega l’elemento naturale, ma per lui il paesaggio è qualcosa di esterno al soggetto.
Vidal è sensibile alla filosofia spiritualista e all’idea che le leggi non possano avere un valore assoluto; per il
metodo cartesiano è teso a razionalizzare qualcosa che razionale non è.
Il suo discorso si articola su un doppio binario costituito da natura e collettività sociali.
La natura è considerata in rapporto alle influenze e iterazioni con le comunità umane. Tali influenze possono mutare
nel corso del tempo, sia perché la natura evolve, sia perché cambia il modo di interagire degli uomini, in
rapporto ai fattori culturali e a quelli tecnologici.
Nel suo pensiero egli chiama un altro importante elemento, cioè le opere e i comportamenti delle comunità umane
che agiscono proprio in base alla loro cultura, a sua volta frutto di un processo storico.
Per Vidal le azioni sono importanti nel determinare le forme del territorio e al geografo spetto il compito di
individuarne le forze in campo e di spiegarne l’interazione e la trasformazione.
I 4 elementi, due naturali ( opportunità e condizionamenti) e due sociali (cultura e tecnologia) producono lo
spazio organizzato le cui forme visibili e caratterizzanti sono i paesaggi. Questi formano una realtà non statica
ma soggetta ad evoluzione perché, se in evoluzione è la natura, ancora di più lo sono le società.
Quindi il paesaggio non è altro che l’effetto di processi naturali e storici ed è sempre unico perché costruito dalla
cultura della comunità locali che hanno dialogato con la natura.
Grazie all’unicità del paesaggio che si riesce a dare autonomamente forma alla regione, caratterizzarla e distinguerla
l’una dall’altra.
Il paesaggio si lega alla regione perché è espressione di questa. La regione è parte del territorio con originalità
culturale e organizzativa basata, a sua volta, da insediamento-produzione-relazione; ed è ciò che caratterizza
l’identità delle regioni, risultato delle relazioni tra comunità umana e natura, tra storia sociale ed eventi fisici.
In realtà questo nuovo modo di vedere il paesaggio è stato usato per la prima volta da Reclus(1830-1905), il
geografo anarchico dalle belle idee ma proscritto dall’università e della vita del paese per i suoi principi e interventi
politici, ma risentendo dell’esperienza geografica tedesca, la scuola francese ha preferito Vidal.
Nel suo studio sulla Francia, Reclus rileva lo stretto rapporto tra suolo e uomini. E tale studio deve
necessariamente considerare l’evoluzione storica il cui suolo è andato incontro.
Per Vidal il paesaggio è quindi un processo in divenire, dipendente da dinamiche per nulla prevedibili, da
rapportare sempre alle possibili azioni dell’essere umano, il quale sceglie tra le diverse possibilità offerte
dall’ambiente. L’uomo ha quindi un ruolo attivo e creativo nella costruzione del paesaggio che non è che un
semplice prodotto, anzi si possono cogliere i fatti umani, frutto della cultura e della tecnologia, che intervengono
sempre più sull’ambiente. E proprio la cultura il fattore che determina un genere di vita.
Regione e paesaggio coincidono anche in Jean Brunher(1869-1930)che, come Vidal, parla di “fisionomia del
paesaggio” ”fisionomia della regione”, cioè come realtà oggettiva che identifica un territorio e arriva a dire che
l’uomo iscrive il suo paesaggio con delle impronte che sono l’oggetto dei suoi studi.
Il paesaggio è quindi l’impronta e anche gli elementi naturali sono umanizzati e vengono modificati dall’uomo.
Regione e paesaggio costituiscono uno spazio a misura d’uomo, percorribile a vista.
Questo sguardo viene chiamato in causa anche da un altro allievo di Vidal, Edouard Ardaillon( 1867-1926), il quale
sottolinea, non solo il guardare, ma anche il saper guardare utilizzando tecniche visive per cogliere l’oggetto e
l’andare a vedere, il che implica viaggiare, il conoscere attraverso la ricerca sul campo.
Anche Pierre George(1906-2006) riprende e sottolinea l’importanza dello sguardo, l’obiettivo del geografo è quello
di aiutare a “cogliere i complessi dettagli del paesaggio”. Lo sguardo, dapprima analitico, teso a individuare i
singoli elementi, deve poi pervenire a una visione unitaria e sintetica dell’insieme paesaggistico:
dissociazione e associazione quindi sono i due termini attraverso i quali si perviene e si rivela l’originalità
del paesaggio.
Anche Max Sorre(1880-1962), fondatore di un indirizzo socio-ecologico della geografia, parla di segni e
dell’importanza dell’osservazione diretta: il paesaggio è realtà in superfice, un qualcosa che va osservato letto e
interpretato, tutta la geografia consiste nello studio del paesaggio.
Fevbre fu il primo che parla di possibilismo: non esistono necessità inevitabili, ma solo possibilità offerte all’uomo:
la natura propone, e l’uomo dispone secondo le sue conoscenze tecnologiche.
Tutta la geografia della scuola francese aveva considerato il paesaggio come qualcosa di estero al soggetto e nel
contempo come manifestazione e iterazione tra comportamento sociale e natura.
Ma negli anni 70 viene rivalutata la componente naturale, conseguenza della crescente preoccupazione
ambientale.
In questo decennio il dibattito teorico si divide in due filoni: sistemico-ecologista e umanistico.
Nel primo la geografia risente del metodo scientifico che prospetta una visione sistemica e impone di considerare le
strutture nei rapporti con l’ambiente esterno.
Nel tentativo di percorre nuove strade riguardo al paesaggio prendono forma due filoni: lo studio del paesaggio
come geo sistemico e l’ecologia del paesaggio.
Perseguire su questa strada avrebbe significato continuare a considerare il paesaggio solo nei suoi aspetti
fisici, quindi negli anni 80 si torna a considerare gli elementi umani. Si sviluppa così un indirizzo che nasce
come reazione allo strutturalismo e all’idea di ridurre il territorio a una semplice struttura spiegata con rapporti di
causa effetto.
1. La geografia umanistica pone il soggetto in primo piano, al centro della rappresentazione nel
rapporto con il territorio. È il soggetto che assume forza e importanza perché il solo in grado riunire,
raccogliere i simboli della rappresentazione presenti in un paesaggio diventando così il varco di una
visione. Non si parla più di territorio o spazio ma di luogo, e il paesaggio (manifestazione di cultura) è
frutto di una particolare relazione tra il soggetto e i luoghi, i quali sono connotati da simboli e valori.
Il geografo, perciò, indaga la cultura, le condizioni sociali, cerca di capire come i luoghi sono percepiti e
rientrano nella costruzione delle visioni e delle immaginazioni.
A ben riflettere, prendere in esame i semplici dati, gli aspetti umani, non era difficile visto che gli elementi fisici e
antropici erano stati già presi in conto da diversi geografi, MA considerare il soggetto nel paesaggio significava
portare la FILOSOFIA nel campo della geografia suscitando un nuovo dilemma: la realtà va valutata in sé
per sé oppure va vista come proiezione del soggetto?
Il problema è avvertito da:
ROGER BRUNET
Egli tenta un compromesso:
superare la rigida visione del paesaggio come geosistema dando più valore agli aspetti umani e
soprattutto assicurando maggiore attenzione al soggetto, senza farne il fulcro della rappresentazione.
Introduce nel discorso geografico la percezione perché considera come il soggetto percepisce il paesaggio, sebbene
tale processo si avvii dagli aspetti tangibili, e il sistema venga regolato da rapporti di causa effetto.
Da qui la sequenza dei tre momenti fondamentali del metodo geografico:
A. PERCEZIONE
B. SPIEGAZIONE
C. AZIONE
Negli anni 90 la prospettiva manistica e la visione del paesaggio ha trovato un nuovo impulso grazie a LEHMAN,
dando origine a un filone definito spiritualista che coinvolge studiosi come Luisa Bonesio. Questa parla di
GEOFILOSOFIA e considera il territorio come un teatro che produce sollecitazioni sulla sfera spirituale
dell’individuo e delle comunità umane. In realtà la visione spiritualista sottolinea il ruolo della spiritualità di un
paesaggio che precede la capacità razionale del soggetto che percepisce. È quanto accade al poeta, al pittore o
musicista.
Riassumendo: il paesaggio non è solo costituito da componenti fisici, naturali ed antropogenici, ma anche da
percezioni, immaginazioni, valori che nascono e toccano il nostro animo diversamente da ciascuno di noi.
Possiamo sostenere che anche in Italia l’idea del paesaggio e i suoi progressi sono coincisi con
i diversi stadi di crescita della disciplina.
Un primo momento è riconducibile al determinismo geografico che ha posto l’attenzione sui rapporti di
causalità unidirezionali dal mondo fisico all’uomo. Il paesaggio è visto come qualcosa di oggettivo e se si
prende in considerazione l’elemento soggettivo è solo perché funzionale allo studio degli influssi che
l’ambiente esercita sull’uomo.
Un altro momento è quello che possiamo far coincidere con l’apertura al sociale e ai conseguenti fatti
economici. Questa fase in Italia porta a una riflessione critica, con Lucio GAMBI, sul concetto di
paesaggio: gli elementi fisici sono definitivamente superati per far posto alla causalità storica.
Infine, con lo sviluppo della geografia umana e l’inclusione della dimensione storica che conduce alla
nascita della geografia culturale, si afferma l’idea di paesaggio come prodotto culturale e l’attenzione è
posta sui simboli presenti e caratterizzanti tutte le attività umane di cui cerca di svelare i significati.
Dalla rappresentazione del paesaggio come semplice realtà materiale, oggettiva, costruito da forme, si passa a una
rappresentazione che pone attenzione ai simboli e a questi attribuisce qualità . È il soggetto che vede i simboli e a
questi attribuisce qualità e significati, sulla base di categorie individuali e culturali.
PORENA
Il concetto di paesaggio da tempo utilizzato, anche in Italia, entra ufficialmente nella geografia grazie a FILIPPO
PORENA che nel 1891
Ne parla come aspetto complessivo di un paese che commuove il nostro senso estetico.
È quindi l’idea del paesaggio come visione, immagine a cui si accede con la vista e verso il
quale si esprimono valutazioni estetiche.
Ritroviamo la stessa idea con CORRADO RICCI che parla di paesaggio come Insieme di bellezze naturali. Questo
modo di intendere il paesaggio, questa capacità da parte dello stesso di agire sullo spirito umano da origine alla
prima legge di tutela del 1939.
BIASUTTI
Dopo 50 anni, RENATO BIASUTTI sente la necessità di distinguere i diversi modi di interpretare il paesaggio,
escludendo la nozione, la connotazione estetica e accanto al paesaggio sensibile introduce il paesaggio
geografico con il quale intende la “sintesi astratta di quelli visibili” dove la natura non è armonica o
disarmonica, è qualsiasi cosa. Per Biasutti nel momento in cui l’uomo affronta il concetto non può che farlo dal
punto di vista naturale e così l’elemento umano rientra in una categoria biologica.
Biasutti distingue il paesaggio rappresentato dalla fotografia, da un quadro dal paesaggio geografico: sintesi
astratta dei paesaggi visibili. Questo gli permette di distinguere alcune forme del paesaggio terrestre,
individuabili attraverso quattro categorie di fenomeni:
1. Clima
2. Morfologia
3. Idrografia
4. Vegetazione
In un secondo momento aggiunge l’uomo.
SESTINI 1904
Con lui l’attenzione è posta alla dimensione temporale e conia il termine antropogeografico, con il quale vuole
esplicitare la dimensione temporale del paesaggio: elementi fisici, antropici e tempo sono tutti importanti e
vanno studiati come momenti di un processo. Per lui il paesaggio è un prodotto della storia dove gli elementi
fisici, modificati dall’uomo per soddisfare bisogni, si uniscono quelli umanizzati (poco studiati nella geografia
italiana). L’uomo agisce sugli elementi fisici e insieme a questi (che sono stati modificati) si uniscono elementi
umanizzati che per lui erano stati poco considerati.
Sestini parla di paesaggio antropogeografico = elementi fisici+ dimensione temporale. Il paesaggio riesce a
mantenere le tracie delle organizzazioni precedenti. Questo però non deve farci considerare il paesaggio come
qualcosa di immutabile perché esso si modifica senza sosta: la natura si evolve e si modifica. Egli sottolinea come il
senso comune, l’opinione pubblica usi in modo improprio il concetto di paesaggio: sottolinea che esiste un
paesaggio del senso comune e quello dei geografi. Esso passa da semplice immagine (PANORAMA, VEDUTA),
colta con lo sguardo, che produce una impressione emotiva; progressivamente si arriva ad una sintesi di vedute:
non più una solo immagine legata al punto preciso dove ci troviamo, ma una sequenza di immagini associate legate
da relazioni. Entrambe (visione e sintesi) sono una categoria importante per arrivare ad una visione integrale, ma
se diamo prevalenza al semplice sguardo si arriva ad un paesaggio soggettivo, estetico e formale. Se diamo
prevalenza al secondo caso (sintesi) si perviene ad un paesaggio funzionale, oggettivo che è il paesaggio
geografico: dove vengono presi in considerazione gli elementi oggettivi.
SONO IMPORTANTI ENRTAMBI secondo Sestini.
Il paesaggio che fa ricorso ai sensi, in particolare la vista, viene chiamato PAESAGGIO SENSIBILE: è comunque
geografico perché si basa su rapporti spaziali di grandezza e posizione. Possiamo dire che è di livello più basso,
rispetto a quello geografico, è un livello DESCRITTIVO e non funzionale. Per essere funzionale si deve parlare di
paesaggio geografico.
Il paesaggio diventa razionale, geografico: perché riflettiamo, diamo significato, cogliamo le relazioni e capiamo
come funzionano le forme e le funzioni di un insieme. Cerchiamo di dare a queste una spiegazione di tipo razionale.
Questo è un paesaggio GEOGRAFICO.
Un’altra importanza di Sestini è di non far coincidere la geografia con il paesaggio: la geografia studia anche
altri oggetti. Il paesaggio è una tematica fondamentale della geografia ma non per questo si deve esaurire li.
Poco prima di lui Roberto Almagià aveva proposto una visione della geografia incentrata completamente sul
paesaggio. Dopo di lui Renato Tognolo definisce la geografia come scienza del paesaggio per eccellenza. Quindi la
voce di Sestini è ancora più importante se viene paragonata a questi due autori, che nel panorama della geografia
italiana erano due capisaldi.
Per ALMAGIA’ l’uomo è un elemento del paesaggio e diventa agente modificatore al pari degli elementi fisici. Egli
introduce nel paesaggio geografico l’uomo. L’azione dell’uomo entra maggiormente nel paesaggio tanto più è maggiore
il suo livello tecnologico raggiunto, la sua storia... Anche in questo caso ci riporta all’azione della scuola francese.
Anche per TOGNOLO il paesaggio è il risultato di ambiente e società: quanto interagiscono danno vita ad una
fisionomia particolare del territorio chiamata paesaggio. È quindi una manifestazione collettiva di forme
organizzate che sono in continua evoluzione e che non si può esaurire nella semplice osservazione.
Umberto TOSCHI
Secondo lui non è possibile far coincidere geografia e paesaggio. Toschi rivaluta gli aspetti economici e gli aspetti
di tipo sociali, in questo geografo troviamo una rivalutazione degli elementi sociali, le valenze culturali e le valenze
spirituali. Proprio per sottolineare il fatto che non si può far coincidere geografia e territorio, Toschi sottolinea che
la geografia ha una pluralità di interessi e che in qualche modo il paesaggio è uno dei temi della geografia.
Nell’analisi del paesaggio chiama in causa elementi spirituali e culturali. L’elemento che svela il paesaggio è lo
sguardo, l’attenzione. Per lui per parlare di paesaggio è necessario l’intromissione del TEMPO (dinamica temporale
in quanto è qualcosa di vivo e in movimento) e tutto ciò che sta dietro il visibile (tutto ciò che non si vede ma che
condiziona). Toschi sottolinea che ad una prima osservazione salta all’occhio l’elemento plastico ma non è da
considerare come paesaggio. Egli dà importanza a tutto ciò che non si vede: questo non è statico e non può essere
considerato così, anche questo è in evoluzione. Più che fruizione estetica, contemplazione, è il prodotto e
manifestazione di pratiche sociali viste nella loro evoluzione.
Lucio GAMBI
Dava attenzione alla forma, ma non come intesa nella scuola francese ma come risultato di dinamismi storici, dove
troviamo il concetto di struttura, di economia, di storia...
Con lui entra pienamente nella geografia italiana la storia (come accade in Francia con
VIDAL). La storia, con l’economia e gli aspetti sociali entrano a pieno titolo con Gambi. Il paesaggio è un prodotto
sociale, non più uno scenario, non più un’entità ecologica ma è un fenomeno di tipo politico, culturale
continuamente in trasformazione. Per Gambi il paesaggio è il luogo degli uomini, ma uomini come soggetti
politici, storici e come soggetti sociale.
L’aspetto politico è molto forte, rispetto agli altri geografi.
Quindi dal 1985 si accoglie nel paesaggio gli aspetti della cultura non materiale per arrivare a recuperare il concetto
di forma, della tradizione vidaliana. Fino adeso abbiamo visto che se veniva presa l’idea di forma secondo il pensiero
di Vidal in realtà poi veniva trasformata. Ad un certo punto però (1985) si recupera quell’idea di forma della
tradizione vidaliana. L’idea di FORMA viene intesa come capace di rivelare i segni che rimandano a dei valori.
Allora anche in Italia si parla di paesaggio SIMBOLICO, che viene compreso ponendo attenzione ai simboli, alle
loro possibili relazioni che non sono sempre chiare. Il paesaggio è un’unica realtà costituita da segni e contrassegni
che esprimono dei valori. I segni sono capaci di narrare l’individualità di un luogo, sono i segni che lo rendono
unico. In questo tipo di analisi rientra la geografia della percezione, per cui anche nel paesaggio c’è un modo diverso
di intendere il paesaggio.
Questo concetto (introduzione della geografia della percezione) viene espresso dalle parole di MANZI che sottolinea: i
paesaggi sono filtrati a seconda del livello culturale, imperversare dell’uomo comune del passato.
Giuseppe DEMATTEIS
Considera il paesaggio come oggetto e soggetto. Cercando di conciliare valori opposti, conoscendone la difficoltà
nel considerare la realtà in entrambi i modi. Lui parte da una considerazione: è possibile una conoscenza che si basa
solo sui simboli? Domanda che non trova risposta perché:
Tutto il suo lavoro sul paesaggio è il tentativo di conciliare due termini opposti, soggetto ed elemento
oggettivo.
Fa una buona opera di ricostruzione critica della storia della geografia, e sottolinea di come emerga il paesaggio
come prodotto sociale: frutto di una società e una cultura. Lui individua due orientamenti che non sono in
contrasto.
1. Il primo è quello di coloro che considerano il paesaggio come un insieme di SIMBOLI che devono essere
interpretati. In Dematteis l’immagine ne rappresenta il momento iniziale della conoscenza. Il
paesaggio è comprensione e utilizza procedimenti non razionali; in questo primo momento di
considerare il paesaggio, esso è un’immagine. Nel guardarlo utilizzo procedimenti non razionali. Se
utilizzo l’idea di paesaggio come simbolo il paesaggio, nel momento che lo osservo non utilizzo metodi
razionali, quindi si tratta di utilizzare esplicitare i significati evocati dall’immagine paesaggistica. Devo
capire l’immagine utilizzando li elementi simbolici. Questi elementi simbolici diventano elementi chiave per
la comprensione. Sono elementi rappresentativi.
In lui sono presenti elemento oggettivo (secondo orientamento) e soggettivo (primo orientamento). Nel
primo caso il paesaggio è il momento iniziale, in cui si scoprono i significati, nel secondo caso siamo nel
momento finale. In base all’importanza che do al soggetto ottengo diversità :
- Se considero il soggetto come unico elemento della rappresentazione nasce il concetto di paesaggio come
una semplice costruzione mentale.
- Se invece considero solo il soggetto questo rimane sempre presente ma do importanza alle relazioni che
intrattiene con la realtà fisica allora do sempre importanza al soggetto ma MAGGIORE importanza alle
relazioni che il soggetto intrattiene con la realtà fisica.
Anche in questo caso arrivo e due comportamenti. Se do importanza agli elementi fisici il paesaggio diventa
geosistema. Se metto in primo piano gli elementi umani il paesaggio viene considerato come un prodotto
storico sociale.
Giuliana ANDREOTTTI
Grazie a lei entra in Italia la corrente spiritualista. Affronta il rapporto tra geografia e paesaggio, ma la sua
attenzione va al paesaggio culturale frutto di culture che si relazionano e confrontano; facendo ciò danno una
particolare impronta allo spazio geografico.
Quindi lei dà importanza al paesaggio CULTURALE.
Per Andreotti è importante è la capacità dell’osservatore nell’interpretare. Andreotti inserisce il soggetto nel
paesaggio mette tutto sé stesso: il paesaggio è un rapporto tra uomini e luoghi. È un paesaggio retto da forti
tensioni.
Il concetto di paesaggio è facile da intuire ma è difficile da definire perché ingloba la realtà dei luoghi, un aspetto
soggettivo insieme a quello psicologico, e tutto si complica perché è un concetto interdisciplinare.
Per lei abbiamo un paesaggio se c’è l’intervento dell’uomo, è necessaria una sua architettura altrimenti abbiamo solo
natura: natura + mano dell’uomo= paesaggio, che presuppone sempre un cambiamento anche se tentiamo di
catturarlo in una fotografia. Solo con l’azione dell’uomo con le sue opere nasce il paesaggio.
Il paesaggio è la somma degli elementi naturali e le azioni dell’uomo. Per lei c’è una categoria superiore: sopra il
paesaggio troviamo il paesaggio culturale. Lo troviamo quanto un’essenza, una summa di tradizioni, civiltà,
storia… Nel luogo c’è già il paesaggio, ma quando questo è ricolmo di valori etici, estetici questo passa al paesaggio
culturale. Può essere colto solo da chi ha una predisposizione particolare, come il poeta.
FARINELLI
Definito come il filosofo della geografia, che vede nel paesaggio una doppia natura: REALTA’ E IMMAGINE DELLA
REALTA’. Nel paesaggio si esprimono queste due componenti. Così che in qualche modo la sua conoscenza
coinvolge la ragione e la sensazione degli uomini. Il paesaggio è difficile da definire, secondo Farinelli, perché
significherebbe riferirsi alla cosa e al tempo stesso alla descrizione della cosa: significato e significante. Non ci può
essere una crisi del paesaggio, né tanto meno la sua morte perché esso nasce per descrivere questa crisi. (boh)
TURCO
Parla di paesaggio liminale capace di riflettere gli aspetti sociali e culturali nella loro evoluzione e
movimento. È liminale in quanto interfaccia tra azione individuale e sociale, tra superficie e profondità , tra
radicamento e scoperta, diventando intermediario tra luoghi- genti-culture.
Per lui il paesaggio è una struttura identitaria: un capitale comunicativo, dove si intrecciano assetti materiali,
simbolici, dichiarazioni.
PERSI
Che si interessa al paesaggio toccandolo su più aspetti, e non ha mai ignorato gli intenti applicativi (come molti
geografi hanno fatto). Per lui il paesaggio parla di un’armonia, che però è il risultato di una lotta tra elementi tra
loro antagonisti (fisico e umano). Non è una felice e statica condizione dove tutto è in armonia, ma è uno scontro
tra forze e valori che sono in continuo attrito. Alla fine, trovano una pacificazione, equilibrio di sistema, e noi
percepiamo solo questa finale armonia. Il tutto viene concepito da Persi in un quadro planetario dove la storia e la
natura svolgono i loro ruoli, in un cammino che dovrebbe essere sempre solidale e democratico e rispettoso
per le generazioni future. Ecco quindi che del paesaggio, lui, non dimentica mai l’elemento umano. Anche se ha una
forte formazione naturalistica, non dimentica la dimensione umana e spiritualistica. Lui dice che il paesaggio è la
realtà storica naturale, in cui entrano: il lavoro umano, la genialità dell’artista, il genio del potente (politica).
Elementi naturali + dimensione umana. Il paesaggio è in grado di produrre una sensazione di appagamento: esso
è emozione, emblema dell’umanità.
Senza mai distaccarsi dal solco della tradizione parla del paesaggio di come un dispiegarsi, uno scorrere e in
continua evoluzione. Persi non viene mai meno tra quelle che sono le componenti geomorfologiche e gli elementi
sociali. Riconosce emozioni dentro ai territori. Nel momento in cui si incontrano con le componenti sociali, nel
momento in cui creano consenso il paesaggio diventa una rete identitaria. Lui parla di sudario del paesaggio.
Capitolo 2: PERSI
Risvolti educativi
Discutere il paesaggio significa chiamare in causa tantissimi concetti e problemi, ognuno di quali merita riflessione ed
applicazione, che ci impegnano sul pian dell’educazione della formazione personal e collettiva.
Il paesaggio è un qualcosa di estremamente composito e differenziato, governato da logiche rigorose. E’ fatto di
componenti molteplici che reciprocamente si condizionano e di manifestazioni che mutano come conseguenza del
mutare dei processi: natura e società instaurano un rapporto dialettico, incontri e scontri.
Tra le forze naturali va annoverata l’acqua, da cui dipendono i processi fisici(erosione, trasporto, sedimentazione) e i
processi chimici, cioè una trasformazione diretta della materia(dissoluzione carsica e idrolisi).
La sua presenza o scarsità favorisce la produzione di forme e modelli di paesaggio particolari che si evolvono ad opera
prevalentemente della legge della natura.
Analogamente anche l’uomo, attraverso la popolazione, l’economia e la tecnologia ne modifica l’aspetto.
La combinazione di tali forze e tendenza produce il geosistema. Da ciò ne deriva un geosistema perennemente alla
ricerca di in equilibrio.
La realtà è quindi in continua evoluzione; cambia per effetto del contesto sociale che si trasforma e per opera dei
contatti e contaminazioni che società e cultura instaurano. Cambiano le comunità, i modelli e comportamenti, cambiano
i paesaggi interiori ed esteriori.
Il paesaggio è quindi una proiezione delle società presenti e passate impegnate nella trasmissione di un mondo vivibile
e godibile da una generazione alla successiva.
In un paesaggio possono essere riconosciuti numerosi componenti: plastico o geomorfico, cioè tutte le forme concave
con cui si presenta la superficie terrestre; idrografico, vegetale, edilizio ecc.
Ogni componente non è immobile, ma è oggetti di processi dinamici e, accanto a questi, dovremo considerare i
componenti distinti da un vero movimento, a cominciare dagli uomini con i loro flussi migratori e pendolarismi, ai
mezzi di trasporto ecc.
Le forme di rilievo cambiano in rapporto alle condizioni climatiche diverse da località a località, idrografia, spostamento
delle popolazioni ecc.
Tra i vari componenti si instaurano perciò delle vere e proprie catene di connessioni e spesso di interdipendenza con
rapporti di causa effetto. Nei programmi scolastici la questione del paesaggio non sembra adeguatamente sostenuta,
poiché è privo dell’enfasi e del coinvolgimento problematico.
Da ciò ne viene fuori la necessità di educare al paesaggio attraverso tre livelli: conoscenza(cardine fondamentale),
consapevolezza(coinvolgimento personale) e condivisione.
Il paesaggio come testo e metafora della storia sociale, può essere letto, condiviso e comunicato.
Carlo Pongetti
Introduzione
Tra le metafore che hanno ottenuto più largo impiego nella produzione letteraria, scientifica e artistica quella dello
specchio occupa un posto di primo piano.
la ricerca di uno “specchio” è la capacità di decodificare la realtà secondo un altro punto di vista.
Lo studio del territorio si è pertanto specchiato nelle fonti letterarie; i contatti tra geografia e letteratura hanno
portato ad una costante ricerca, soprattutto in un’ottica di lettura critica della realtà.
Attorno alla metà degli anni 90 in ambito marchigiano si registra un particolare fervore dei percorsi che esplicano la
complessità dell’assetto territoriale che, attraverso la sensibilità propria dell’artista, interpreta la pluralità dei
quadri ambientali, paradigma del nostro paese.