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CHE COS'È LA FILOSOFIA 

LA FILOSOFIA COME PROBLEMA DELLA VITA


La filosofia viene anche vista come l’impostazione e la soluzione al problema della vita (es:
Fedone di Plat: la vita è la preparazione tramite la filosofia alla morte, intesa come fine della
conoscenza) 

UNITÀ DEI DUE PROBLEMI


filosofia= problema dell’essere
religione= problema della vita

sembrano essere concetti separati ma in realtà sono uniti, hanno molti oggetti in comune

PROBLEMA DELLA VITA E DEL PRAGMATISMO


Pragmatismo: dottrina che fa coincidere il vero con ciò che ha valore per la vita (non si può
accettare che il fine della vita non abbia valore per essa)

FILOSOFIA E METAFISICA
Metafisica: ciò che va oltre l’esperienza sensibile. Dimensione da prendere in considerazione
nell’ambito conoscitivo; non possiamo dire di conoscere tutto il reale, poiché tutto necessita di una
spiegazione. Esistono però vari tipi di metafisiche

VARI TIPI DI METAFISICHE


Immanenza (chiamato anche monismo): l’Assoluto è il mondo dell’esperienza, tutto ciò che
possiamo conoscere è già nella realtà, non c’è bisogno di andare oltre (es: materialismo, idealismo
di Hegel…)
 

Trascendenza (chiamato anche pluralismo): l’Assoluto è aldilà dell’esperienza, in una dimensione


trascendente (es:Plat, Ari, Cartesio)

le metafisiche dell’immanenza possono essere:


 idealistiche: l’Assoluto è spirito (Hegel)
 materialistiche: l’Assoluto è materia (Marx)

anche il panteismo è una forma di immanenza, che si può associare all’idealismo o al


materialismo secondo che tenda più a “il mondo in Dio” (vede il mondo come apparenza di Dio) o
“Dio nel mondo” (divinizzazione della natura)

anche la metafisica della trascendenza assume due forme:


 idealismo: l’Assoluto si distingue dal mondo reale, inteso come mondo di solo pensiero, i
corpi sono solo rappresentazioni ( si distingue dall’idealismo immanente in quanto non vi è
un unico spirito ma una pluralità di spiriti)
 realismo: l’Assoluto non solo è separato dal mondo dell’esperienza ma che la corporeità
esiste ed è separato dal nostro pensiero

TENTATIVI DI RINUNCIARE ALLA METAFISICA E LORO IMPOSSIBILITÀ


Agnosticismo: c’è una realtà sensibile che possiamo conoscere, oltre ad essa non possiamo
andare e non sappiamo se essa sia tutta la realtà o meno

l’uomo non può fare a meno della metafisica, gli serve per dare spiegazione al problema della vita

FILOSOFIA E RELIGIONE
ENTITÀ DEL PROBLEMA, DIVERSITÀ NEL MODO DI RISOLVERLO
C’è nella storia un insieme di dottrine e convinzioni che chiamiamo religione (come un insieme di
altre convinzioni chiamiamo scienza, arte, poesia)
la filosofia e la religione condividono lo stesso oggetto: il problema della vita. La prima prova a
risolverlo tramite la ragione, la seconda tramite la fede

non si ha alcun motivo di abbandonare la religione fin quando è utile, la rivelazione ci serve per
conoscere ciò che tramite la sola ragione umana sarebbe difficile o addirittura impossibile

l’affidarsi alla rivelazione permette di compiere un tragitto in maniera più sicura e semplice, chi si
basa sul solo ragionamento deve compiere sforzi immani per avere pochi risultati

Scienza:
 conoscenza dimostrata (lo è anche la filosofia)
 insieme delle scienze particolari 
prendiamo il secondo significato

teoria aristotelica dei 3 gradi di astrazione:


 la fisica astrae solo gli elementi individuanti, mentre considera il mondo corporeo nei suoi
elementi qualitativi e quantitativi
 la matematica astrae anche le qualità per considerare il mondo solo sotto gli elementi
quantitativi
 la metafisica astrae tutto e considera il mondo solo come ente

quindi come si distingue scienza e filosofia?


ci sono varie teorie
a. la scienza è il raffinamento della tecnica, mentre la filosofia è puramente teoretica
b. scienza= ricerca delle cause prossime, filosofia= ricerca delle cause ultime
c. filosofia= metodo deduttivo. scienza= metodo induttivo

a. tuttavia la filosofia e la scienza condividono lo stesso percorso; entrambe partono


dall’esperienza per poi arrivare all’astrazione

b. per aspetti universali si intende l’essere che si trova in ogni realtà, mentre per aspetti specifici
intendiamo quelli che caratterizzano qualche realtà. Ogni realtà ha l’essere ma non ogni realtà è
detto che abbiamo tutte le caratterizzazioni specifiche (es: sia vivo, luminoso, rosso…). Le cause
prossime determinano quell’effetto lì, quelle remote invece determinano quello e tanti altri; la prima
si chiede come, mentre la seconda perché

c. ogni uomo ha la concezione di essere intrinseca in sé; tuttavia nella vita quotidiana e nella
ricerca scientifica ciò viene posto sullo sfondo. Se voglio conoscere l’essere in sé allora dovrò
procedere a priori con la deduzione, se invece voglio ragionare su casi specifici allora dovrò
indagare più approfonditamente. Nasce dunque la necessità del metodo induttivo; che va
dall'esperienza all’assioma e poi alla definizione

vi è un’ altra distinzione tra scienza moderna e filosofia: essa si esprime e da soluzioni in termini
matematici. Ovvero esprime i fenomeni fisici quantitativamente e non qualitativamente (es: il calore
viene misurato in base alla lunghezza della colonna di mercurio)

ma che cos’è la matematica?


Matematica: scienza deduttiva, non necessariamente separata dall’esperienza, in quanto lavora e
deduce sulla quantità. Se ad esempio l’universo fosse ingrandito o rimpicciolito nessuno se ne
potrebbe accorgere poiché le grandezze rimarrebbero le stesse ( la mia stanza sarebbe ancora
una 3m per 5)
CONCETTO DI LOGICA
Logica: lo studio dell’ente d’origine, ovvero del pensato in quanto pensato. Essa dunque studia il
pensiero, la conoscenza

LA LOGICA È SCIENZA DEL PENSATO


la conoscenza però si divide in due:
 l’atto del pensare, la capacità conoscitiva del soggetto. La conoscenza viene considerata
reale (Es: la funzione respiratoria) e viene studiata dalla psicologia
 ciò che essa mette davanti alla mente, il suo oggetto. La conoscenza viene considerata
dal punto di vista ideale, oggetto della logica
 
c’è differenza tra il giudicare una frase e il significato stesso della frase; ogni volta che dico che “il
segmento di una retta è la linea più breve tra due punti” compio un atto diverso, ma il significato
rimane sempre uguale

quando penso, posso considerare o ciò che è presente nel pensiero oppure il modo con cui il
pensiero si manifesta (es: “tutti gli uomini sono mortali” posso pensarla preoccupato della sorte
degli uomini oppure considerandola come una proposizione universale, affermativa ecc…) questa
seconda è campo della logica

quando studio logica considero i caratteri del pensato in quanto pensato; mentre all’essere mortale
compete all’uomo poiché uomo, l’essere proposizione universale non compete a nulla in questo
mondo

l’ente ideale è come il mio pensiero conosce la realtà

se consideriamo la logica come un'arte, dato che ogni arte presuppone una teoria, allora anche
l’arte logica presupporrà una scienza logica (es: non posso dire “l’aspirina fa passare l’influenza”
senza un minimo di conoscenza per cui so che l’aspirina  fa ciò)

logica minor: questioni più semplici


logica maior: questioni più complesse

Un'altra distinzione è tra logica formale e logica materiale, la prima si occupa della coerenza del
discorso mentre la seconda della sua verità.

Ci sono poi due momenti nella logica: il primo studia le varie forme del discorso, il secondo si
chiede “che cos’è un discorso?”. Essi possono corrispondere, considerando al distinzione tra
scienza e filosofia
 alla logica scientifica: che studia e analizza i diversi tipi di pensato
 alla logica filosofica: che studia il pensato nei suoi caratteri universali 

logica maior= logica filosofica= gnoseologia o teoria della conoscenza


logica minor= logica scientifica= logica (per come la si intende in tempi moderni)

logistica= logica matematica o simbolica= un perfezionamento della logica antica alla quale è
stato aggiunto un formulario matematico che permette una maggiore esattezza e raffinatezza nei
procedimenti

la logica matematica non è divisa da quella aristotelica, è solo una sua continuazione che la
perfeziona col tempo. La logica minor aristotelica, è tuttora valida, non è stata sostituita dalla logica
simbolica moderna

LOGICA MINOR
CAP 1
IL CONCETTO IN GENERALE
si possono descrivere 3 tipi di attività conoscitiva: 
 la pura apprensione: ho presente un certo contenuto o oggetto senza affermare nulla (es:
cavallo, virtù, tavolo) [CAP 1]
 il giudizio: l’atto col quale affermo o nego qualcosa (es: il cavallo è una bestia, la virtù
deve essere pratica, il tavolo è solido) [CAP 2]
 il ragionamento: connetto insieme le enunciazioni, passando da una ad un’altra (es: la
luce era spenta quando sono uscito, ora è accesa, qualcuno è entrato durante la mia
assenza) [CAP 3]

alla logica tuttavia ciò che interessa è i tipi di pensato che corrispondono a tali attività (esse
interessano alla psicologia): il concetto, l’enunciazione e l’argomentazione

il concetto viene definito anche termine, in quanto presente nelle proposizioni, e si distingue in:
 mentale: il pensiero, o concetto (la logica si occupa di questo)
 orale: la parola che esprime tale concetto
 scritto: il segno grafico che esprime il concetto

i termini orali e scritti sono segni, ovvero ci fanno conoscere qualcos’altro; infatti essi ci fanno
conoscere un pensiero e non sono considerati come suoni o disegni.

un’altra distinzione è tra signum instrumentale e signum formale: il primo è ciò che deve essere
prima conosciuto in se stesso per poi far capire di cosa è segno (es: la bandiera deve prima
essere vista come un pezzo di stoffa colorata per poi capire di che nazione è), non esaurisce la
sua realtà nel significato, ha anche una realtà in sé. Il secondo invece è il puro segno, la sua realtà
è il solo significare; esso corrisponde al puro concetto.

si distingue anche in naturale e convenzionale: è naturale ciò che per natura fa conoscere
un’altra cosa (es: il fumo per natura fa conoscere che c’è fuoco), convenzionale invece ciò che
significa una determinata cosa perché decisa dagli uomini (es: le bandiere significano la nazione
poiché è stato deciso così); anche il linguaggio è convenzionale in quanto è stato l’uomo ad
associare a quella parola quell’oggetto

il concetto si divide in semplice e complesso: semplice se non si può scomporre ulteriormente


(es: cielo), complesso se è composto da concetti semplici (es: cielo stellato)

i termini poi possono avere estensione e comprensione: la prima indica il numero di soggetti ai
quali esso è predicabile (es: uomo, è l’insieme dei vari uomini); la seconda invece riguarda le
caratteristiche che pensiamo quando pensiamo a quel termine (es: uomo, mortale, razionale…).
esse però sono inversamente proporzionali tra di loro, se infatti considero “animale”, termine più
esteso di uomo, esso avrà meno comprensione (non sono razionali, artistici…).

l’estensione si divide in termini singolari e universali; i singolari possono essere usati ad un


soggetto solo (es: Pietro), mentre universale è ciò che può essere applicato sia al molteplice che al
singolo (es: uomo). Da non confondere con collettivo, che si può applicare solo al molteplice (es:
esercito)

Distinzioni riguardanti la comprensione:


 finito e infinito: uno significa cos’è un oggetto, l’altro cosa non è (es: intelligente e non
intelligente)
 concreto e astratto: uno significa una cosa avente certo carattere mentre l’altro il carattere
in sé (es: la cosa bianca, bianchezza)
 assoluto e connotativo: uno significa un oggetto come a sé stante (non necessita di altri
termini), l’altro come un oggetto determinativo di un altro (es: bianchezza, bianco)
 categorematico e sincategorematico: uno è ciò che ha significato indipendente e può
essere pensato da sé, l’altro quello che per sé non ha alcun significato (es: rosso, qualche)

il modo con cui un concetto è conosciuto può avere varie distinzioni:


a. proprio e analogico: il primo è ottenuto dall’esperienza diretta del concetto mentre il
secondo tramite un’esperienza diversa ma che rimanda quel concetto (es: vedere un
animale, vederne le impronte o vederlo in un libro)
b. chiaro e oscuro: il primo se riesce ad essere distinto dal resto, se no è oscuro (es: un
bambino che non distingue una pecora da un cane non ha il concetto di pecora chiaro)
il concetto di chiaro poi si divide in:
 distinto e confuso: distinto se contiene i caratteri essenziali della cosa, confuso se
non li contiene (es: un pastore distingue una pecora solo perché è diversa dalle
altre ma non sà quali sono i suoi caratteri essenziali; l’uomo invece è distinto poiché
animale razionale, e ciò è un suo carattere essenziale)
il concetto di distinto si divide in:
 completo e incompleto: completo se contiene tutti i caratteri essenziali
della cosa, incompleto se ha solamente alcuni essenziali
quello completo poi può essere comprensivo: concetto che afferma
l’essenza della cosa dal di dentro della cosa stessa. tale concetto vi è solo in
Dio

IL CONCETTO COME TERMINE DELLA PROPOSIZIONE


nella proposizione il termine può essere soggetto o predicato: soggetto è il termine di cui si dice
qualcosa, predicato il termine che dice qualcosa.

il predicato può essere:


 univoco: se predica la medesima cosa per tutti i soggetti (es: uomo; A è un uomo, B è un
uomo…)
 equivoco: se predica cose totalmente diverse in base al soggetto (es: cane; costellazione
o animale)
 analogo: se predica che in parte è uguale e in parte diverso nei diversi soggetti (es: sano;
un animale sano è una condizione fisiologica, un cibo sano produce uno stato invece)
i termini in sé non possono essere identificati come univoci, equivoci o analoghi, hanno bisogno di
essere in funzione di predicato

CATEGORIE: concetti universali sotto i quali si identificano i diversi aspetti della realtà, i supremi
generi dei predicati. Esse derivano dall’esperienza (es: le categorie di Ari.)

PREDICABILE: i diversi modi di predicazione; sono 5: genere, specie, differenza specifica,


proprio e accidente (vedi mappa sul libro a pag. 56)

SUPPOSITIO: il domandarsi quali soggetti rappresenta il termine (es: l’uomo zappava la terra,
l’uomo è un genere animale: l’uomo che zappava la terra può essere Tizio, ma tizio non può
essere un genere animale). Essa può essere
a. materiale: quando il luogo del termine è la parola stessa (es:uomo è una parola di 4
lettere)
b. formale: il luogo del termine è nel suo significato. Si divide in
1. logica: quando il termine sta in luogo di ciò che è pensato in quanto pensato (es:
uomo è un concetto universale)
2. reale: quando il termine sta in luogo del significato (es: l’uomo è un animale
sociale). Si divide in
 assoluta: se il termine sta in luogo di tutti (es: gli uomini hanno un’anima)
 personale: se il termine sta in luogo solo per alcuni (es: l’uomo lavoratore).
Può essere
a. comune: se il termine sta in luogo a tutti gli individui che ai quali si
applica (es: l’uomo è socievole)
b. discreta: se sta in luogo solo ad alcuni (es: l’uomo è musicista). SI
divide in
1. determinata: se indica certi individui (es: il cibo è sul tavolo,
indica un determinato cibo). il predicato esprime un’azione o
uno stato attuale
2. confusa: se indica un individuo qualunque di una
determinata specie (es: il cibo serve per sopravvivere).
esprime una possibilità o una necessità

I termini possono avere rapporti tra loro, e possono essere di esclusione o implicazione.

Implicazione: 
 reciproca: se A implica B allora B implica A (es: Parigi e la capitale della Francia, sono
invertibili)
 non reciproca: se A implica B ma non viceversa (es: Parigi e capitale, non tutte le capitali
sono Parigi) 

Esclusione:
 disparati: se indicano cose totalmente diverse (es: rosso e dolce)
 contrari: se indicano gli estremi di uno stesso genere (es: luce e ombra)
 contraddittori: se uno pone ciò che l’altro toglie (es: verde e non verde)
 relativi: se esprimono una relazione ma in modo che uno non possa essere scambiato con
l’altro (es: padre e figlio)

DEFINIZIONE E DIVISIONE
Definizione: discorso con cui significhiamo che cosa è un oggetto
se possiamo definirlo significa che abbiamo di lui già qualche nozione; il semplice dare il nome a
ciò che abbiamo sperimentato sensibilmente significa elevare un contenuto sensibile a portatore di
significato universale (es: leone rappresenta quell’animale per tutti)

 la definizione può essere:


 nominale: spiega il significato sostituendo la parola con un’altra dal significato equivalente
(es: tachimetro, misuratore di velocità)
 reale: spiega l’oggetto significato dal nome. Si divide in
1. essenziale: dice ciò che costituisce l’oggetto nella sua essenza. Si divide in
a. fisica: esprime i costitutivi fisici dell’oggetto, le parti realmente distinte (es: l’uomo è anima
e corpo)
b. metafisica: esprime i costitutivi metafisici dell’oggetto che non sono realmente distinti.
Corrispondono al genere e alla differenza specifica
2. casuale: spiega la cosa tramite le sue cause o la sua causa prima (es: anima=
forma di un corpo creata da Dio)
3. descrittiva: spiega ciò che la cosa è mediante aspetti esteriori caratteristici della cosa (es:
tutte le definizioni di animali)
la definizione migliore è quella essenziale metafisica; tuttavia ben poche ce ne sono (es: chi
potrebbe dire perché l’oro è oro, ciò che in natura fa sì che l’oro sia oro?). Anche se in realtà in
tutte le definizioni si fanno uso del genere e della differenza specifica. Se devo definire qualcosa;
prima gli assegno ciò che ha in comune con altri (genere), poi gli aggiungo gli elementi per cui
differisce (differenza specifica)

non si possono dunque definire i generi supremi, che non hanno concetto più universale di loro, e
gli individui in quanto le loro differenze non sono intuibili all’intelletto umano.

una definizione deve essere:


1. convertibile col definito (non posso definire un’automobile come una fiat)
2. più chiara del definito
3. breve
4. tale che il definito non entri nella definizione (es: la giustizia è la virtù di essere giusti)
5. possibilmente senza termini negativi

la definizione può essere buona o non buona, no vera o falsa; in quanto finché essa non viene
accostata al definito essa non è ancora giudizio

Divisione: mira a rendere distinti i concetti tramite la distinzione in varie parti di un oggetto o dei
suoi significati. Può essere:
a. nominale: se distinguo i vari significati di un termine
b. reale: se distinguo le varie parti di un oggetto. Si divide, in base al tipo di parti considerate,
in
1. parti soggettive: i soggetti a cui si applica la divisione (es: l’enumerazione delle
varie specie comprese in un genere)
2. parti integranti: parti la cui unione costituisce il tutto che si vuol dividere. Esse
possono essere
 quantitative: possono sussistere separate dal tutto (es: 1 metro cubo
corrisponde a 1000 decimetri cubi)
 essenziali: non possono sussistere separate dal tutto (es: il corpo è fatto di
materia e forma)
3. parti potenziali: esprimono le varie capacità di un tutto (es: le capacità di un
vivente sono il nutrirsi, riprodursi…)

Una divisione deve essere:


1. le parti enumerate devono esaurire il tutto diviso senza andare oltre
2. ogni parte enumerata deve essere minore al tutto diviso
3. si necessita sempre una certa opposizione nelle parti divise, senza non ci sarebbe
distinzione (es: l’animale può essere ragionevole o intelligente; poiché non si oppongono
una racchiude l’altra).

CAP 2
Enunciazione o proposizione: è il termine logico del giudizio, ovvero esprime un affermazione o
negazione e può essere vera o falsa

L’ENUNCIAZIONE IN SE
nell’espressione mentale gli elementi dell’enunciazione sono il soggetto e il predicato, mentre
nella sua espressione verbale sono il nome e il verbo. Il nome esprime una realtà concepita come
sostanza (non il tempo, quello è la misura del divenire), il verbo esprime il divenire e perciò deve
essere determinato in base al tempo

il verbo può essere: sostantivo o attributivo; il primo corrisponde al verbo essere quando
esprime l’esistenza, il secondo corrisponde a tutti gli altri verbi che presuppongono il verbo essere
e ad esso aggiungono un altro attributo

il verbo essere ha due funzioni: predicato quando esprime l’esistenza, copula se unisce il
predicato e il soggetto senza esprimere l’esistenza 

predicazione: attribuzione di un predicato ad un soggetto. Essa può essere diretta se il predicato


segue il soggetto (es: il cane è buono), indiretta se è viceversa (es: buono è il cane)

l’enunciazione si divide in forma e materia; la prima  corrisponde al nesso fra i termini, la


seconda sono i termini stessi, soggetto e predicato.
per la materia un'enunciazione può essere:
 necessaria: quando il predicato esprime un concetto che appartiene necessariamente al
soggetto (es: il triangolo ha tre lati)
 impossibile: quando il predicato esprime un concetto che non può mai stare col soggetto
(es: il cerchio è quadrato)
 contingente: quando il predicato esprime un concetto che appartiene al soggetto ma che
potrebbe anche non avere (es: questo triangolo è disegnato sulla carta)

dall'estensione del soggetto dipende la sua quantità, e per la quantità l’enunciazione può
essere: 
 universale: quando il predicato è attribuito a tutti gli enti ai quali si estende il concetto
espresso dal soggetto (es: ogni triangolo ha tre lati)
 particolare: quando il predicato è attribuito ad alcuni enti ai quali si estende il concetto
espresso dal soggetto (es: alcuni uomini sono filosofi)
 singolare: quando il predicato è attribuito ad un solo individuo (es: Franco è filosofo). Essa
è un caso particolare della particolare
 indefinita: quando il predicato è attribuito al soggetto, senza specificare a quanti enti si
estenda. Essa inoltre equivale ad una universale quando è necessaria o impossibile, ad
una particolare quando è contingente

l’estensione del predicato è determinata dalle seguenti regole:


 il predicato di una proposizione affermativa è preso secondo la sua comprensione e non
estensione (es: tutti gli uomini sono mortali, significa che ogni uomo ha tutti i caratteri di
mortale, ma non che tutti i mortali sono uomini)
 il predicato di una proposizione negativa è preso secondo la sua estensione e non
secondo la sua comprensione (es: gli uomini non sono angeli, significa che gli uomini non
sono nessun angelo, ma non che non abbiano nessuno dei caratteri di angelo)

per la forma le enunciazioni si distinguono in


a. affermative e negative. Si usano i simboli aristotelici: 
 A= universale affermativa
 E= universale negativa
 I= particolare affermativa
 O= particolare negativa
b. assertorie e modali: le prime connettono o dividono il predicato dal soggetto senza dire in
che modo siano connessi o divisi, le seconde invece indicano tale connessione (modus).
Le modali sono composte dal dictum e il modus, ovvero ciò che è detto e come è detto
(es: è necessario che Dio esista, è necessario: modus, Dio esista: dictum)

vi sono 4 modi:
 necessaria: il predicato deve essere attribuito al soggetto (es: è necessario che il triangolo
abbia tre lati)
 impossibile: il predicato non può essere attribuito al soggetto (es: è impossibile che Dio ci
inganni)
 possibile: il predicato può essere attribuito al soggetto (es: è possibile che un uomo sia
filosofo)
 contingente: il predicato è attribuito al soggetto, ma poteva anche non esserlo (es: è
contingente che Aldo corra, potrebbe anche non farlo)

la forma delle proposizioni modali dipende dalla copula che unisce il modus con il dictum non il
soggetto con il predicato (es: è necessario che dio non ci inganni, è affermativa; non è necessario
che dio crei il mondo, è negativa).

La verità e la falsità delle modali dipendono dal modus e non dal dictum (es: è impossibile che un
triangolo abbia 4 lati, è vera; è possibile che un triangolo abbia 3 lati, è falsa). Bisogna poi
distinguere tra senso composto e senso diviso: il primo quando i termini del dictum si realizzano
simultaneamente, il secondo quando si realizzano successivamente (es: è possibile che un cieco
veda; è falsa in senso composto, è vera in senso diviso)
La quantità delle modali dipende dall’estensione del modo:
necessaria= universale affermativa (A)
impossibile= universale negativa (E)
possibile= particolare affermativa (I)
contingente= particolare negativa (O)

le enunciazioni possono essere semplici o composte: semplice è quella che esprime solo o
un'affermazione o una negazione, composta quella che esprime più proposizioni semplici insieme

Le composte possono essere: apertamente o occultamente composte.


Le apertamente composte si dividono in:
 condizionale o ipotetica: è la più importante, enuncia che una cosa è o non è se un’altra
è o non è. Essa è composta da due parti: la condizione e il condizionato (es: se c’è il sole
(condizione) vado a spasso (condizionamento)).
la verità e la falsità dipendono dal nesso fra le due parti (es: se l’uomo è puro spirito non
occupa spazio, è vera; se l’arancia è matura domani piove, è falsa)
 disgiuntiva: esprime una contrapposizione ed un’alternativa (es: O mi curo o morirò).
Essa è vera se le sue parti non possono avverarsi entrambe o nessuna delle due
 copulativa: vi sono due affermazioni o negazioni assieme (es: la terra gira e il sole è
fermo).
La verità dipende da se sono entrambe vere
Le occultamente composte sono proposizioni che sembrano semplici ma che ne implicano altre, e
sono:
 l’esclusiva (solo dio è buono, sottintende che nessun altro lo è)
 l’eccettiva (tutti corrono, eccetto tizio)
 la reduplicativa (l’uomo, poiché dotato di pensiero, può conoscere dio)
 la comparativa (la saggezza vale più della ricchezza)

RAPPORTI FRA LE PROPOSIZIONI


OPPOSIZIONE
due proposizioni sono opposte quando avendo lo stesso soggetto e predicato si escludono tra
loro e possono essere: contraddittorie, contrarie e subcontrarie
 contraddittorie: quando una nega l’altra; esse devono essere una affermativa e l’altra
negativa, una universale e l’altra particolare (ovvero differiscono sia per forma che quantità)
 contrarie: non solo si negano l’un l’altra, am negano anche qualcosa in più (es: nessun
uomo corre non nega solo ogni uomo corre ma anche alcuni uomini corrono), esse
differiscono solo per forma e non per quantità, sono entrambe universali
 subcontrarie: non negano direttamente l’altra proposizione ma negano la sua forma
universale, differiscono per forma ma non per quantità, devono essere entrambe particolari
 subalterne, non sono opposizioni, hanno stessa forma e diverse quantità, si implicano l’un
l’altra

vi sono vari gradi di opposizione: il massimo è quello della contraddittorie poiché devono essere
una per forza vera ed una falsa. Poi vi sono le contrarie che possono essere entrambe false,
ponendo vera una particolare affermativa. Infine vi sono le subcontrarie che possono invece
essere entrambe vere (mai entrambe false)

EQUIPOLLENZA
si dicono equipollenti due proposizioni che differiscono per forma ma che sono uguali per
soggetto, predicato e valore logico (es: non ogni triangolo è rettangolo, alcuni triangoli non sono
rettangoli).
Due contraddittorie diventano equipollenti quando ad una delle due si premette una negazione
(es: NON ogni triangolo è rettangolo; alcuni triangoli non sono rettangoli)

Due contrarie diventano equipollenti quando in una di esse si pone la negazione dopo il soggetto
(es: tutti gli uomini NON corrono; nessun uomo corre)

CONVERSIONE DELLE PROPOSIZIONI


consiste nello scambiare il predicato con il soggetto e viceversa senza però mutare la forma o la
veridicità. Può essere:
 totale: se resta identica la quantità della proposizione (es: nessun quadrato è un triangolo
→ nessun triangolo è un quadrato)
 parziale: quando bisogna modificarne la quantità, e quindi da universale deve diventare
particolare (es: tutti gli uomini sono mortali → ALCUNI mortali sono uomini)
 indiretta: quando bisogna rendere infiniti i termini, premettendo loro un NON (es: tutti gli
uomini sono mortali → tutti i NON mortali sono NON uomini)

CAP 3
L’ARGOMENTAZIONE IN GENERALE
L’argomentazione è il termine logico del ragionamento; esso indica l’attività con la quale lo
spirito passa da una proposizione nota ad un’altra. Ma non basta che un giudizio segua un altro,
serve che uno sia causa dell’altro. Abbiamo dunque un antecedente, dal quale si genere il
conseguente, essi sono legati dal vincolo chiamato conseguenza.

L’argomentazione non è né vera né falsa, ciò compete i giudizi, bensì può essere buona o
cattiva dipendentemente se la conseguenza c’è veramente o meno (es: per tutti i triangoli vale il
teo di Pita., i triangoli ottusangoli sono triangoli ⇒ il teo di Pita vale per i triangoli ottusangoli; la
premessa è falsa ma comunque è una buona argomentazione)

MATERIA E FORMA DELL’ARGOMENTAZIONE


materia: le proposizioni di cui è costituita
forma: la disposizione delle proposizioni in modo che da essi risulti la conseguente o la
conclusione

si dice argomentazione formale quella in cui il conseguente deriva dall antecedente in virtù
della forma (questa è la vera argomentazione)
si dice argomentazione materiale quella in cui il conseguente deriva dall antecedente in virtù
della materia, ovvero delle determinate proposizioni (es: questo triangolo ha tre lati ⇒ tutti i
triangoli hanno tre lati). Non c’è nesso però tra antecedente e conseguente

REGOLE DELL’ARGOMENTAZIONE IN GENERALE


1. se l'antecedente è vero il conseguente deve essere vero, infatti il conseguente dovrebbe
risiedere nell’antecedente; dunque tutto ciò che è contenuto nel conseguente deve esserci
nell’antecedente. Nell’antecedente può esserci più che nell’conseguente, ed esso può non
prendere tutto dal primo
2. se l’antecedente è necessario allora lo sarà anche il conseguente; ma esso lo può essere
anche se l’antecedente è impossibile, possibile o contingente
3. se l’antecedente è possibile allora lo sarà anche il conseguente; ma esso lo può essere
anche se l’antecedente è impossibile
4. il conseguente del conseguente è conseguente dell’antecedente
5. ciò che contraddice il conseguente contraddice anche l’antecedente, ma non viceversa (es:
tizio è uomo, dunque animale → se nego che tizio è animale nego che è anche uomo, ma
se nego che è uomo non nego che sia animale)

per la materia l’argomentazione può essere: dimostrativa, probabile e sofistica


per la forma può essere: deduttiva e induttiva
IL SILLOGISMO
Sillogismo: argomentazione nella quale da un antecedente che unisce due termini con un terzo si
genera un conseguente che unisce quei due termini fra loro. Il conseguente si chiama
conclusione mentre e i due termini uniti nella conclusione sono l’estremo maggiore (predicato) e
l’estremo minore (soggetto) (es: ogni uomo è mortale, tizio è un uomo, tizio è mortale; tizio è
mortale è la conclusione, tizio e l’estremo minore, mortale è l’estremo maggiore)
I due estremi nell’antecedente si rapportano con un terzo termine chiamato termine medio (M).
L’antecedente è costituito da due proposizioni chiamate premesse: se vi è l’estremo maggiore sarà
la premessa maggiore (P), se vi è l'estremo minore sarà la premessa minore (S). Per cui si avrà:
MèP
ora S è M
dunque S è P
(es: l’area del triangolo la si ottiene facendo base per altezza diviso due; un poligono regolare
equivale alla somma di tanti triangoli quanti i suoi lati ⇒ scopro come trovare la regola per trovare
la sua area)

PRINCIPIO FONDAMENTALE DEL SILLOGISMO


principio di convenienza e discrepanza: se due termini convengono su un terzo, essi
convengono tra loro; se di due termini uno solo conviene su un terzo non convengono tra loro, essi
infatti divergono in un aspetto.

dictum de omni e dictum de nullo: ciò che viene affermato universalmente deve affermarsi
anche a tutti i suoi inferiori,; quello che si nega universalmente deve negarsi anche a tutti i suoi
inferiori (applicazione del principio di convenienza e discrepanza)

LEGGI DEL SILLOGISMO


i termini devono essere soltanto tre (conseguenza della natura stessa del sillogismo)
1. i termini devono avere la stessa estensione nelle premesse e nella conclusione. Si avrebbe
se no un termine diverso nella conclusioni e non sarebbero più solo 3 (legge 1)
2. il medio non deve mai entrare nella conclusione
3. il medio deve essere preso almeno una volta nella sua totale estensione
4. due premesse negative non danno nessuna conclusione (si viene solo a dire che due cose
sono diverse da una terza)
5. due premesse affermative danno sempre una conclusione (significa dire che due premesse
convengono tra loro)
6. due premesse particolari non danno alcuna conclusione:
 se le premesse sono affermative, tutti i termini sono particolari ⇒ il medio non può
essere preso nella sua estensione (contro la 4 legge)
 se sono entrambe negative (contro la 5 legge)
 se sono una affermativa e una negativa, quella negativa avrà il predicato universale
che sarà il medio ⇒ gli estremi non saranno presi per la loro completa estensione ⇒
anche la conclusione sarà particolare (legge 2), essa dovrà essere negativa (legge
8), ma in una negativa il predicato deve essere preso secondo tutta la sua
estensione
8. la conclusione segue sempre la parte peggiore:
 se una premessa è negativa la conclusione sarà negativa (i due estremi non
convengono con il medio, dunque non converranno tra loro)
 se la premessa è particolare la conclusione sarà particolare (il medio, che deve
essere universale, sarà il soggetto dell’universale, i due estremi saranno particolari
⇒ la conclusione sarà particolare)

FIGURE DEL SILLOGISMO


ci sono tre figure possibili del sillogismo:
1. il termine medio è soggetto della maggiore e predicato della minore, per cui si ha:
MèP
ora S è M
dunque S è P
per essa le leggi che valgono sono
 la minore deve essere affermativa: se fosse negativa ⇒ la conclusione dovrebbe
essere negativa (legge 8), ma il predicato della conclusione è predicato della
maggiore ⇒ anche la maggiore sarebbe negativa ⇒ va contro la 5 legge
 la maggiore deve essere universale: se la minore è affermativa, allora il medio che
è il suo predicato non sarà preso nella sua estensione ⇒ lo dovrà essere nella
maggiore (legge 4) ⇒ la maggiore deve essere universali
da essa si possono ottenere conclusioni affermative, negative, universali o particolari
2. il medio è due volte predicato, per cui si ha:
PèM
ora S non è M
dunque S non è P
per essa le leggi che valgono sono
 una premessa deve essere negativa: il medio è predicato in entrambe, e deve
essere preso nella sua estensione (legge 4) ⇒ una deve essere negativa
 la maggiore deve essere universale: il soggetto della maggiore è predicato della
conclusione, la conclusione è negativa (legge 8) ⇒ il predicato deve essere preso
in tutta la sua estensione ⇒ la maggiore è universale
da essa si possono ottenere solo conclusioni negative
3. il medio è due volte soggetto, per cui si ha:
MèP
ora M è S
dunque S è P
per essa le leggi che valgono sono
 la minore deve essere affermativa: vedi la 1)
 la conclusione deve essere particolare: il soggetto della conclusione è predicato
della minore, se la minore è affermativa ⇒ il predicato non è preso nella sua
estensione ⇒  la conclusione è particolare

MODI DEL SILLOGISMO


è la disposizione delle premesse secondo forma e quantità, si dividono in: diretti, se il predicato
della conclusione è contenuto nella prima premessa e il soggetto nella seconda; indiretti, se il
predicato della conclusione è contenuto nella seconda premessa e il soggetto nella prima

ci sono 19 modi validi di sillogismo: 14 diretti e 5 indiretti; quelli diretti sono


 4 della prima figura, sono modi perfetti
 4 della seconda
 6 della terza
quelli indiretti sono tutti della prima
si indicano con queste espressioni simboliche:

Barbara, Celarent, Darii, Ferio ( 1 diretti) ;


Baralipton, Celantes, Dabitis, Fapesmo, Frisesomorum ( 1 indiretti) ;
Cesare, Camestres, Festino, Baroco (2 figura) ;
Darapti, Felapton, Disamis, Datis·i, Bocardo, Ferison (3 figura).

essi si decifrano:
 le vocali indicano la qualità e quantità delle proposizioni (AEIO)
 la consonante iniziale indica a dei modi perfetti è riducibile (i primi)

VARI TIPI DI SILLOGISMI


espositorio: ha per medio un singolare (es: Socrate è greco, Socrate è filosofo, un greco è
filosofo)
composto: se le sue premesse sono proposizioni composte, può essere
 condizionale
a. parzialmente: se la minore afferma la condizione la conclusione è affermativa; se
nega il condizionato la conclusione è negativa; se nega la condizione non segue
nulla
b. totalmente, anche la conclusione sarà condizionale
 disgiuntivo: ha per maggiore una proposizione disgiuntiva, la minore e la conclusione
mostrano le alternative

ALTRE FORME DI ARGOMENTAZIONE DEDUTTIVA


entimema: sottintende una premessa (es: l’anima è spirituale, dunque incorruttibile; sottintendo
che ogni ente spirituale è incorruttibile)
epicherema: una o entrambe le premesse sono seguite da una dimostrazione, se tale
dimostrazione è un sillogismo completo allora si chiama polisillogismo
sorite: catena di proposizioni in cui il predicato della prima diventa soggetto della successiva, e il
predicato della conclusione diventa soggetto della prima
dilemma: posta una disgiuntiva si mostra che entrambi i membri dell’alternativa portano a
conclusioni insostenibili
L'INDUZIONE
L’induzione è l’argomentazione per cui si passa da proposizioni particolari a proposizioni
universali. In essa si afferma la connessione di due termini che sono connessi in casi particolari, è
l’esperienza dei casi particolari a fare il medio (es: un pezzo di rame cade, un pezzo di carta cade,
un pezzo di legno cade ⇒ l’esser corpo porta a cadere; l’esser corpo è il vero soggetto del
predicato cadere)

METODI INDUTTIVI
J. Stuart Mill suggerisce quattro metodi:
1. metodo di concordanza: se duo o più casi hanno una sola circostanza in comune, essa
sarà il motivo del fenomeno (es: se metto tanti pezzi di carne all’aria aperta tutte
marciranno e nasceranno organismi ⇒ è l’aria che porta i germi)
2. metodo di differenza: se un caso in cui il fenomeno avviene e uno in cui non avviene,
hanno tutte le circostanze in comune eccetto una, quella sarà la ragione del fenomeno (es:
se lascio una carne all’aria mentre un’altra la sigilli, su la prima avrò nuovi organismi
mentre sull’altra no ⇒ l’aria porta i germi)
3. metodo dei residui: se elimino da un fenomeno ciò che già so, quello che rimarrà sarà ciò
che è provocato dagli antecedenti che restano (es: Nettuno fu scoperto perché il moto di
Urano era strano, tolte da questo le leggi già note dei pianeti si scoprì Nettuno)
4. metodo delle variazioni concomitanti: se un fenomeno varia in un modo, al variare di un
altro fenomeno, esso è connesso al primo (es: se espongo una carne all’aria per un ora e
un’altra per due ore e vedrò che nella prima ci sono meno organismi ⇒ l’aria porta i germi)

LOGICA MAIOR
CAP 1
ELIMINAZIONE DEI PREGIUDIZI
IL METODO CRITICO
Critico solitamente viene accostato ad un metodo che segue un giudizio ponderato e lo si
contrappone al procedimento dogmatico. Tuttavia noi intendiamo il metodo critico come
spregiudicatezza radicale nella ricerca, che non presuppone nessuna certezza su come le cose
stiano. Esso è proprio non solo della ricerca della conoscenza ma di ogni ricerca filosofica.

vi sono state fatte 2 obiezioni


1. è banale: è sottinteso che chi ricerca dovrebbe farlo senza presupporre che ciò che cerca
sia vero. Questa però non è un obiezione, ma un chiarimento, infatti tutti i filosofi hanno
seguito tale metodo e non solo quelli che hanno fatto tanto scalpore andando
controcorrente. Tuttavia è tutt’altro che facile mettersi in tale condizione critica (es: alcuni
filosofi antichi si chiedevano come fosse possibile passare dalla coscienza alla realtà;
presupponendo che esse siano separate…)
2. è impossibile, inattuabile: l’uomo non riuscirà mai a non avere pregiudizi su le cose. Tale
obiezione si basa sulla teoria di Tonquedec e sulla sua confusione tra il dubitare di certe
persuasioni, non utilizzandole nella filosofia; e il rinnegarle e dubitarne come uomini. Si può
benissimo non negare le persuasioni della vita quotidiana, ma semplicemente metterle tra
parentesi e non usarle nella ricerca filosofica

L’EVIDENZA
l’evidenza è il vedere che le cose stanno così, ovvero ciò che si vuole raggiungere tramite il
metodo critico; ci si domanda se è vero per vedere se è vero. Le obiezioni contro essa
presuppongono sempre un errato concetto di evidenza

LO SCETTICISMO
se uno non riesce ad arrivare ad una conclusione, e inizi a predicare l’impossibilità del conoscere,
si definirà scettico. Tuttavia questa non è una dottrina in quanto: o, arrivato a tale conclusione,
smette di essere cercatore e pone la sua conclusione come atto arbitrario; oppure la pretende
come vera ma così facendo la suppone come evidenza, contraddicendosi

IL PROBLEMA DEL VALORE DELLA FACOLTÀ CONOSCITIVA


è insostenibile la posizione scettica, ma lo è anche chi presuppone la capacità di conoscere la
verità o chi si chiede se la ragione come facoltà ha valore

lo stesso Hegel dice che prima di conoscere dobbiamo indagare la facoltà del conoscere. Ma per
conoscere il conoscere bisogna conoscere (sarebbe assurdo pensare di imparare a nuotare senza
toccare prima l'acqua)

CAP 2
FENOMENOLOGIA (intesa come studio del fenomeno) DELLA CONOSCENZA
COME CONOSCIAMO LA CONOSCENZA
non abbiamo esperienza immediata del conoscere (non vediamo il vedere), noi conosciamo per
riflessione (es: vediamo il rosso, ma non vediamo il vedere). La conoscenza spesso la si definisce
come un rapporto fra un soggetto e un oggetto, tuttavia il soggetto e l’oggetto non ci appaiono
direttamente, bisogna attuare una riflessione e capire cosa è l’uno e cosa l’altro.

fra le tante realtà alcune conosciamo, ce ne sono alcune che hanno identità reale, come quando
ho freddo, sono lieto di ascoltare musica, e sono preoccupato. Essi sono dunque modi di essere
me (potrei dire io sono infreddolito, io sono lieto…). Ma nella stessa esperienza ci sono anche
fattori come il rosso del camino che non costituiscono la mia identità (non posso dire io sono rosso
del camino), ma che sono comunque uniti al me che ha freddo, lieto e preoccupato.

ci sono dunque due tipi di unità


 fisica: me infreddolito,lieto e preoccupato
 intenzionale: me infreddolito e il rosso. Questa consiste nella conoscenza

noi capiamo che c’è qualcos'altro che oltre a noi, e questa presenza dell’altro la chiamiamo
conoscenza. Il soggetto e l’oggetto li capiamo perché capiamo che l’insieme di sentimenti non è
l’insieme totale di ciò che consta.

L’io si presenta come soggetto, in quanto soggetto di certe realtà che sono gli stati affettivi, non
come conoscente. La presenza di realtà che non sono me sono la conoscenza, è dunque così che
io mi definisco conoscente.
Ciò che si coglie dunque non è la conoscenza, bensì il suo oggetto (vedo il giallo non il vedere).
Ammettendo che quegli oggetti non sono me, ammetto una loro presenza a me; tale relazione la
chiamo conoscenza (Cartesio intende la stessa cosa quando parla di cogito; indica qualche cosa
che appare, che essa sia reale o meno)

CHE COS'È LA CONOSCENZA


So benissimo la differenza che c’è tra il sapere che una campana suona alle 8 e il suono stesso;
nel primo caso so che il suono c’è stato (non sentendolo) ma non c’è stato per me, cosa che
invece accade quando lo sento io.

la conoscenza dunque è la pura manifestazione delle cose a me

l’oggettività dell’oggetto si risolve tutta nell’essere conosciuta e la soggettività (intesa come


conoscenza) del soggetto si risolve tutta nella presenza dell’oggetto. è vero che quando vediamo
qualcosa di rosso, noi stiamo anche respirando, pensando ecc… E la cosa rossa non è solo rossa
ma anche ruvida, calda ecc… Ma dobbiamo pensare a ciò che accade in atto (una campana può
non suonare e un uditore non udire).

DISTINZIONE FRA ATTO E OGGETTO DI CONOSCENZA


L’oggetto che appare, così come appare, è trascendente la rappresentazione. L’oggetto
conosciuto non si identifica mai con l’atto di conoscerlo (neanche se fosse immaginario, io posso
immaginare il rosso, ma esso non è il mio immaginare)

nella coscienza (?intendi coscienza come conoscenza?) è contenuto in maniera differente l’atto di
conoscere dall'oggetto conosciuto; dunque è problematico parlare di contenuto della coscienza

FALSE POSIZIONI DEL PROBLEMA DELLA CONOSCENZA


Idealismo: tutto ciò che è conosciuto è nella coscienza. Basato sull'ambiguità scritta sopra;
potrebbe esserci come avvenimento del soggetto o come oggetto conosciuto

è uno pseudo-problema anche quello di come fare a passare dalla coscienza all’essere. Tuttavia la
coscienza non è altro che la manifestazione dell’essere nella realtà

CONOSCENZA E RAPPRESENTAZIONE
la conoscenza non si esaurisce nell’avere rappresentazioni; esse ci sono, ma sono solo una parte
della conoscenza, bisogna anche essere coscienti delle rappresentazioni.

Nelle teorie che pongono le rappresentazioni come ciò che si conosce, tali rappresentazioni
dovrebbero essere utilizzate per conoscere gli oggetti esterni, di cui sarebbero immagini. Tuttavia
è impossibile conoscere un oggetto tramite un’immagine se io non conosco l’oggetto (es: non
posso vedere un uomo in un dipinto e dire che è un uomo se non conosco cosa sia un’uomo)

il problema allora della trascendenza della coscienza si risolve dicendo che la conoscenza non è
altro che la presenza dell’oggetto al soggetto

ORIGINE DELLE TEORIE SOPRA CRITICATE


L’idea che la conoscenza si riduca ad un fatto soggettivo si può presupporre nascere dalla critica
all’oggettività delle qualità secondarie, posta da Galileo e da Cartesio

Galileo:
nega che le qualità secondarie esistano, o meglio, che appartengano ai corpi esterni. Pone due
ragioni:
1. mentre concepisco alcune proprietà che una figura deve avere necessariamente
(estensione, moto o quiete…) non concepisco necessarie le qualità secondarie
2. come quando una piuma ci solletica non pensiamo che il solletico sia in lei; così è per le
qualità secondarie
1. se supponiamo che le sole proprietà quantitative, ovvero le uniche pienamente intellegibili
da noi, sono le uniche esistenti; dovremmo ammettere anche che sia l’intelletto umano il
creatore della realtà
2. mentre il solletico è dato come mio, le qualità secondarie non sono dati come miei
Per Galileo dunque: il mondo fisico è pura estensione figurata in movimento, priva di qualità (è nei
viventi che si producono le qualità che poi vengono associate agli oggetti)

Cartesio:
riduce anche il corpo a pura estensione, ponendo tutto ciò che è qualitativo alla res cogitans. Il
mondo dunque è una macchina e nell’uomo vi è la res extensa e res cogitans, la sola capace di
cogliere le sensazioni.
Quando conosciamo, che sia un colore o una figura, otteniamo sempre un idea, con la distinzione
che la prima è confusa, mentre la seconda è chiara e distinta

Locke, Berkeley:
il primo nega che ci siano idee innate, tutte le idee provengono dall’esperienza; ma afferma la
distinzione tra qualità primarie e secondarie, finendo in un incoerenza.

a risolvere tale incoerenza sarà Berkeley, il quale smetterà di distinguere le varie qualità e porrà
tutto sotto il nome di idee. Non bisogna però confondere ideato e ideare (oggetto e atto della
conoscenza). L’ideare, che risiede in me, è sempre distinto dall’ideato; l’atto si distingue sempre
dall’oggetto, che esso esista all’esterno o meno.

(conoscitivamente non c’è nessuna differenza tra il conoscere il moto di un pianeta e conoscere il
proprio cervello)

CAP 3
TEORIA E CRITICA DELLA CONOSCENZA
critica della conoscenza: 
 dottrina che stabilisce quali sono le conoscenze vere (scienza)
 dottrina che stabilisce le condizioni della verità in generale (logica filosofica)

LA CRITICA IMMANENTE AD OGNI SCIENZA


anche la filosofia, come le scienze particolari, deve dimostrare le proprie affermazioni. Se dunque
si attribuisce tutta la critica alla gnoseologia, ogni scienza sarebbe di ambito gnoseologico (es: il
giustificare criticamente la scoperta di un pianeta sarebbe gnoseologia, invece è compito
dell’astronomia)

NON SI DIMOSTRA LA VERITÀ DELLA CONOSCENZA IN GENERALE


Non esiste procedimento all’infuori di quello delle scienze particolari per dimostrare l’esistenza
delle cose. Non si può dimostrare “in generale” l’esistenza di tutto ciò che è esistente, non esiste
una magica chiave che ci permette di conoscere tutto senza dover studiare la singola scienza.

l’idea che possa esistere una scienza unica può essere data da due motivi: 1) la difficoltà del
problema del mondo esterno 2) dall’idea che si possa determinare qualcosa senza prima
determinarne la sua natura
1. tali difficoltà sono determinate da pregiudizi soggettivistici, basta toglierli e vengono
eliminate le difficoltà
2. si dice che per dimostrare le “nature” particolari sia compito delle scienze singole, mentre
che un mondo di corpi esista è compito della gnoseologia. Tuttavia bisogna chiedersi, per
affermare se esiste, che cosa esiste? qual è il mondo?
 mondo considerato come ente, che nessuno negherebbe mai, è compito
dell’ontologia
 mondo considerato come ente distinto dall’atto conoscitivo, è sempre un'evidenza
immediata ⇒ non deve essere dimostrato
 mondo considerato secondo le scienze fisiche e biologiche, tale dimostrazione può
essere fatta solo da quelle scienze
 mondo considerato come esterno, ovvero stimolo che agisce sugli organi periferici,
viene studiato dalla psicologia
 mondo considerato come l’ambiente in cui vivo, è appunto sentito, non è da
dimostrare ma da vivere(?)
dunque l’esistenza delle cose può essere data solo nel particolare

IL PROBLEMA DEL REALISMO


nonostante per alcuni sia un problema gnoseologico, per noi è un problema metafisico; non pone
come domanda “se esiste la realtà” ma “che cos'è la realtà”. Esso afferma non solo che c’è
qualcosa, ma che c’è qualcosa oltre al pensiero; opponendosi così all’idealismo.

L’idealismo, in particolare quello metafisico (Hegel), pone l’Assoluto come pensiero, tutto ciò che
esiste è solo una manifestazione dell’Assoluto

IDENTITÀ DI GNOSEOLOGIA E LOGICA


Il compito della gnoseologia è di studiare cosa sia la verità, intesa come quella del pensiero poiché
è il pensiero che conosce la realtà. Studiare il pensato è però compito della logica (maior)

CAP 4
GLI UNIVERSALI
per studiare il pensato occorre partire dal concetto base di esso per non rischiare di attribuirgli
caratteri che non lo competono (es: se voglio parlare dei viventi non posso parlare solo di un cane)

la forma base del pensato è il concetto, e il carattere che lo distingue dalla realtà e dunque
l’universalità (esso compete solo ad enti ideali in quanto tutto nella realtà è finito) (intendiamo
universale l’oggetto pensato che può esser predicato per più individui)

IL PROBLEMA DEGLI UNIVERSALI


il problema di cui tratteremo sarà quello logico, ovvero quello del valore del valore degli universali

ESISTENZA DI CONCETTI UNIVERSALI


che abbiamo nozioni universali è un dato di fatto, basta pensare al rosso o al due, concetti che
possiamo pensare a prescindere dall’oggetto in cui si realizzano.
Abbiamo dunque due tipi di nozioni diversi: quella individuale (questa palla qui ed ora) e quella
universale (una palla)

Quando si fa scienza si ricorre sempre agli universali (es: in chimica se parlo dell’acido solforico,
non ne parlo riferendomi a  quello di uno scienziato ma in generale), così come anche nella musica
quando parlo dell’altezza di un suono o della sua intensità

TEORIA EMPIRISTICA E SUA CONFUTAZIONE


Gli empiristi vedono l’universale come qualcosa di sbagliato. Esso non è nient’altro un carattere,
o gruppo di caratteri di una cosa, staccata dagli altri caratteri con cui sono uniti (quelli più
particolari della cosa).

Risposta: bisogna definire se quel carattere è 1) identico nei vari individui, o 2) come tanti caratteri
uguali (es: la figura triangolare è identica nei vari triangoli o quando si pensa ad un triangolo ci si
presentano tanti triangoli uguali?)
1. se è identico nei vari individui non potremmo più dire che si tratta di un carattere
particolare, esso infatti dovrebbe essere proprio di uno e non di molti
2. se è concepito come uguale, bisogna capire in che cosa sono uguali, dunque vi è
comunque un rimando all’universalizzazione

UNIVERSALE E COMUNE
Gli empiristi inoltre confondono l’universale al comune, ponendo il grigio come universale e una
tale sfumatura di grigio come particolare. Tuttavia anche la particolare sfumatura è universale,
basta solo che non sia necessariamente legata ad un posto ed un tempo

MOTIVI DELL’EMPIRISMO NOMINALISTICO: 1. LA CONFUSIONE FRA L’ORIGINE E IL


CONTENUTO OGGETTIVO DI UNA NOZIONE
il primo errore dell’empirismo nominalistico sostiene che poiché ogni concetto sorge da una
intuizione sensibile, proveniente da un oggetto ⇒ ogni concetto non è altro che una intuizione
sensibile

Hume dice che poiché ogni idea deriva da un’impressione, la differenza tra impressione e idea è
praticamente nulla, differiscono solo sul grado (di definitezza?). Tuttavia io posso avere idea di
3276, un poligono da cento lati o due rette parallele, senza mai aver fatto esperienza di essi

2. LA MANCANZA DEL CONCETTO DI ENTE IDEALE. ERRORE COMUNE ANCHE AL


REALISMO ESAGERATO
poiché gli enti reali sono tutti individui, mentre nella realtà non ne esistono universali, non
potranno neppure esistere come concetti. Effettivamente ciò è giusto, ma solo se non si tiene
conto dell’esistenza di un ente ideale oltre a quello reale; cioè l’universale ha la sua realtà solo
nell’intelletto. Perfino le idee platoniche suppongono l'essere individui, poiché esse comunque
esistono nella realtà.

Platone stesso ammette che l’oggetto conosciuto sia diverso nella mente rispetto a come è nella
realtà, ovvero non ammette il mondo ideale; è da qui che nasce questo errore di non tener conto
della dimensione ideale.

VALORE OGGETTIVO NEI CONCETTI UNIVERSALI


ESISTONO CONCETTI UNIVERSALI CON VALORE OGGETTIVO
per escludere anche la teoria concettualistica bisogna dimostrare che le nozioni universali
hanno una corrispondenza nella realtà. Basta accennare ad alcune nozioni; come “piacere”,
“dolore” o “ente”. Esse sono indubitabili perché quando provo piacere o dolore, questi due sono
qualcosa, sono degli enti. Basta provare ciò per dimostrare che almeno alcuni concetti universali
hanno valore oggettivo ed escludere il concettualismo.

UNIVERSALE DIRETTO E RIFLESSO


in ogni concetto universale possiamo distinguere l’essenza di tale concetto e il carattere
dell'universalità. 

L’essenza di un concetto prescinde dal singolare o dal molteplice (es: se dico uomo gli associo
razionale; ma senza dover pensare ad un uomo preciso). Essa è chiamata universale diretto o
metafisico, o intentio prima

Il carattere invece universale, ovvero predicabile per più individui, è detta anche universale
riflesso, o intentio secunda (es: l’uomo è bianco perché è bianco Socrate, nonostante bianco non
competa all’uomo in quanto uomo)

l’universale diretto si forma nella nostra mente per il prescindere dal singolare dell’essenza da
noi considerata (immagino un uomo → concetto di uomo puro); questo prescindere si chiama
astrazione universalizzatrice. L’universale riflesso si forma tramite la riflessione dell’universale
diretto applicata al singolo (essenza uomo + singolo uomo = umanità applicata a tanti).
L'universalità dunque consiste nella relazione tra l’essenza astratta e gli individui dalla quale è
astratta

L’ASTRAZIONE
L’universale diretto abbiamo detto usa l’astrazione, ma che cos’è? Essa significa separare, cosa
che può essere fatta dal pensiero o realmente, non esprime giudizio ma semplicemente non
considera certi aspetti della realtà

poi si può anche distinguere un aspetto individuale da un altro individuale (es: il colore di una mela
dal sapore) e tale astrazione è chiamata impropria o distinguente

ASTRAZIONE E A PRIORI
nelle cose non ci sono delle nozioni universali; l’astrazione non è che trova l’universale ma lo fa
lei stessa a priori

SPONTANEITÀ DELL’ASTRAZIONE UNIVERSALIZZATRICE


L’astrazione la si potrebbe persino definire intuizione astrattiva, in quanto essa non è un
processo che decidiamo noi quando attuare, ma è avviene necessariamente.

Essa è ciò che gli scolastici chiamavano abstractio totalis e che contrapponevano alla abstractio
formalis. La prima ci porta dal piano sensibile a quello intellegibile, considerando l’oggetto  in
modo generale; la seconda invece distingue nel tutto universalizzato un aspetto, permettendoci di
perfezionare i nostri concetti (la scienza)
L’ASTRAZIONE E LA COMPOSIZIONE DI MATERIA E FORMA
non bisogna confondere la forma con l’universale, come se quando si astraesse si tenesse conto
solo della forma separandola dalla materia.

innanzitutto l’universale rappresenta anche la materia, e poi anche la forma è individua nella
realtà

TUTTI I NOSTRI CONCETTI SONO UNIVERSALI


ogni volta che ci esprimiamo, nel tentativo di identificare qualcosa; usiamo sempre caratteri
universali (es: Tizio è uomo, poeta, maschio).

conoscere significa proprio conoscere ciò che una cosa è, se noi sapessimo conoscere ogni
carattere individuale di una cosa non ci sarebbe difficile distinguerla da un’altra; tuttavia succede
costantemente (es: una penna da un’altra identica). Se inoltre conoscessimo tutto allora non
avremmo più nulla da conoscere di quella cosa, tuttavia la conoscenza umana è in costante
progredire

LA CONOSCENZA DEL SINGOLARE


quando conosciamo il singolare ci riferiamo i nostri concetti ad un’esperienza (se è qualcosa di
corporeo l’esperienza è solo sensibile); dunque l’intelletto conosce solo in modo indiretto il
singolare corporeo (es: per dire quest'uomo, devo essere cosciente che ciò che io penso come
uomo  è lo stesso di cui ho esperienza sensibile ora; devo capire che è da questa esperienza che
mi deriva il concetto di uomo)

MISERIA E GRANDEZZA DELL’INTELLETTO


Qual’è l’utilità dei concetti astratti se ai concetti universali sfugge il concreto, ovvero la realtà?
Alcuni si illudono che l’uomo abbia la capacità conoscitiva così grande da cogliere la realtà nella
sua concretezza, tuttavia anche loro basano le loro teorie su concetti astratti.

L’intelletto astratto invece risulta essere l’unico mezzo con cui l’uomo riesce a passare dal
significato che le cose hanno per lui (particolare) al significato delle cose in sé (universale),
riuscendo così a stabilire un sapere universale.
Ed è vero però che è tramite i sensi che noi conosciamo il singolo concreto. tuttavia senza
l’intelletto astratto non li potremmo definire

DAL PIÙ UNIVERSALE AL MENO UNIVERSALE


L’intelletto conosce dal più universale al meno, in quanto esso è più generale, e noi partiamo
sempre da ciò che è indeterminato.

se mettiamo a confronto la conoscenza sensitiva con quella intellettiva, sarà quella sensitiva a
venire prima nonostante essa sia più nel particolare. Ma se consideriamo ciò che avviene dentro la
conoscenza intellettiva allora avremo prima il più universale, in quanto universale imperfetto
(ovvero che non si riesce a distinguere bene a chi applicarlo), e poi il meno universale, che invece
è universale perfetto (si distinguono le pluralità che contiene, specificandolo e determinandolo)

Nella conoscenza intellettiva si va dunque dal determinato all’indeterminato, dal generico allo
specifico (ciò accade anche nell’esperienza sensitiva, prima ci sono noti gli aspetti generici delle
cose)

DOVE L’INTELLETTO SCOPRE L’ESSERE


il concetto primo che conosciamo è l’essere. L’intelletto infatti si estende a tutto l’essere e lo coglie
per la prima volta nelle cose materiali. L’oggetto primo dunque che comprendiamo è l’ente delle
cose materiali

RIFERIBILITÀ DEL CONCETTO ALL’IMMAGINE


l’intelletto umano dunque non può pensare a nessun oggetto senza aver avuto prima esperienza di
esso, è necessaria un'immagine sensibile affinché si manifesti l’ente (es: non posso conoscere
una pietra se non si conosce così com’è nel particolare)

è dunque essenziale che i concetti debbano avere un immagine di riferimento

CAP 5
LA VERITÀ
Gli universali riguardano il concetto, mentre la verità le proposizioni; finché si rimane nel
concetto non si esprime un giudizio, mentre quando passiamo alla proposizione entra in gioco la
verità

CONOSCIAMO DELLE VERITÀ


ci sono verità che conosciamo, e il porsi il problema se ne conosciamo significa già possederle ed
essere sicuri di possederle, es: la proposizione “qualcosa esiste” è una verità

VERITÀ DI FATTO E VERITÀ NECESSARIE


vi sono due tipi di verità
 di fatto: affermano l’esistenza di qualcosa o determinano la natura di qualcosa che esiste
(es: l’albero esiste; l'albero è verde)
 necessarie: affermano un rapporto fra concetti, senza definire se questo rapporto sia poi
definito nella realtà o meno (es: il triangolo ha tre lati; anche se non esiste un triangolo nella
realtà, se dovesse esistere dovrebbe aver tali caratteristiche, come se anche dico l’uomo è
animale razionale)

CHE COS'È LA VERITÀ


Verità: affermare che le cose stanno così come dico io, è l’adeguazione della nostra conoscenza
alla realtà (vediamo che le cose stanno così); non ci può essere altro criterio di verità e evidenza
al quale chiunque si esprima faccia riferimento, sono realtà che anche negandole si finisce per
affermarle
VERITÀ LOGICA E VERITÀ ONTOLOGICA
la verità si suddivide poi anche in
 verità logica (o della conoscenza): rapporto fra l’intelletto e ciò che esso scopre
 verità ontologica (o delle cose): rapporto fra una cosa e l’intelletto che presiede alla
creazione di quella cosa (es: tra un dipinto e l’intelletto dell’artista)
in entrambi i casi la verità si dice in rapporto ad una conoscenza, ma quella logica è verità della
conoscenza
LA VERITÀ LOGICA È ESPRESSA SOLO DALL’ENUNCIAZIONE
ogni volta che si conosce si apprende, ci si adegua alla realtà. Ma quando si apprende qualcosa
sensibile senza enunciare nulla intorno ad essa, si è nella verità ma non la si conosce. Solo
nell’enunciazione può trovarsi la verità come conosciuta

LA CONOSCENZA DELLA VERITÀ  SI HA SOLO NELLA RIFLESSIONE?


per conoscere la verità bisogna conoscere la conformità tra realtà e intelletto ⇒ per constatare la
verità di una proposizione bisognerà prima riflettere sull’atto conoscitivo per capire se è conforme
alla realtà, arrivando così al realismo mediato.

Ma è possibile che la conoscenza della verità presupponga una riflessione sulla nostra facoltà
conoscitiva? No, l’intelletto sta difatti davanti al giudicare; bisognerebbe dunque riflettere sull’atto
del giudicare l’intelletto, e poi riflettere su questa riflessione all’infinito

Conoscendo la verità di un'enunciazione avviene la nostra capacità di conoscere il vero. L’intelletto


vede che la sua natura è quella di conformarsi alle cose mentre vede che si conforma (conosce la
verità proprio mentre esprime essa)

VERITÀ DI FATTO
LE VERITÀ DI FATTO SONO ENUNCIAZIONI SINTETICHE A POSTERIORI
Le verità di fatto presuppongono l’esistenza del soggetto e il nesso tra predicato e soggetto è dato
dall’esperienza (es: questo libro è grigio = esiste di fatto e mi è dato dall’esperienza che c’è un
nesso tra certe caratteristiche (questo libro) e altre (grigio))

Kant li definisce giudizi sintetici a posteriori. Sintetici perché il predicato aggiunge qualcosa al
soggetto, a posteriori perché tale aggiunta è fatta a seguito di un esperienza.

PROPRIETÀ DELLE VERITÀ DI FATTO


Il valore delle verità necessarie può essere dato solo alla luce di quello delle verità di fatto: per
dire quanto vale un rapporto tra essenze devo prima dire quanto valgono tali essenze,e per capirlo
devo enunciare una verità di fatto. (es:questa foglia è colorata → ci sono enti colorati; non posso
dire prima la seconda senza la prima)

Finché non mi sono assicurato il valore di delle essenze nel mondo reale, non posso nemmeno
direle supponendole in un mondo possibile

VERITÀ DI FATTO E PERCEZIONE DELL’ESISTENTE


Abbiamo bisogno di giudicare poiché i nostri concetti sono troppo astratti, partiamo conoscendo gli
enti esistenti, ma poiché non li conosciamo adeguatamente abbiamo bisogno di ricomporre
quell’unità. Il nostro primo giudizio è “c’è qualcosa” poi diciamo “quel qualcosa è tale”, formandoci
così un concetto sempre più determinato di quello che percepiamo inizialmente

Il giudizio si divide in due momenti:

  La sintesi dei termini (es: qualcuno ci dice che Tizio è bravo a cucinare, noi comprendiamo
la frase ma non ne siamo convinti)
  L’assenso dato a tale sintesi (es: riflettendo sulla frase enunciata e ci ricordiamo di quella
volta che aveva cucinato un dolce e diciamo “sì è vero”)
Il giudizio, dunque, esige una riflessione della sintesi per accertarsi che sia effettivamente vera,
dobbiamo confrontare la sintesi con la percezione iniziale

IL GIUDIZIO DI ESISTENZA

Quando devo esporre un giudizio, lo faccio sempre su qualcosa di cui esistenza non ho
esperienza. Infatti ciò che esiste realmente è sperimentato da noi subito, e ad esso astraiamo il
concetto di esistenza da applicare poi a quello di cui invece non abbiamo esperienza

Noi possediamo la capacità di cogliere l’essere delle cose (es: vedo una cosa rossa, l’occhio lo
vede rosso ma io lo percepisco come ente; quel qualcosa è)

Dunque, noi percepiamo l’esistente, per capire cosa sia dobbiamo esprimerci con concetti astratti
e dobbiamo poi vedere se tali concetti corrispondono alla verità esperita, questo è il giudizio

Per le verità necessarie basta solo sapere che al posto dell’essere percepito vi è la sua essenza

VERITÀ NECESSARIE

PASSAGGIO DALLE VERITÀ DI FATTO ALLE VERITÀ NECESSARIE

Come facciamo a passare dai due tipi di verità? Quando noi cogliamo, astraendo, significati che
prescindono dal loro modo di attuarsi, cogliamo la loro essenza. Dunque tutto ciò che attribuiamo
ad un’essenza deve essere universale e necessaria. Universale perché il soggetto è universale e
ovunque si attuerà quel soggetto si attuerà anche un predicato universale, necessario poiché, se il
predicato compete al soggetto dell’essenza, non ci potrà essere soggetto senza quel predicato (es:
il triangolo ha tre lati, non posso dire triangolo senza dire che ha tre lati)

L’A PRIORI ASTRATTIVO A BASE DELLA NECESSITÀ E DELL'UNIVERSALITÀ

Questa necessità nasce dal fatto che io prescindo da cosa che il soggetto può essere o meno
(come l’universalità che nasce dal fatto che prescindo da quello per cui il soggetto è questo cui o
quest’altro)

Ciò che un soggetto ha in quanto ha una certa essenza competerà anche a tutti gli altri individui
con la stessa essenza.

Se si pensa che alla necessità e all’universalità è stato riconosciuto l'a priori della conoscenza, si
vedrà che all’origine dell’a priori c’è l’astrazione

LE VERITÀ NECESSARIE SONO PROPOSIZIONI ANALITICHE

Dal punto di vista logico il nesso fra le essenza si manifesta come essenziale: quando la
negazione del predicato porta la negazione del soggetto si va contro ad una verità necessaria

Kant definisce tali giudizi analitici, anche se ritiene che, poiché il predicato è identico al soggetto
(triangolo=tre lati) essi non arricchiscono la nostra conoscenza. Tuttavia ad essere differenti sono
le due nozioni (la nozione di triangolo è differente da quella di tre lati, anche se ciò che poi
concepisco sì)

LE VERITÀ NECESSARIE A PRIORI

Il nesso che vi è  tra il soggetto e il predicato è detto a priori nel senso che è indipendente
dall’esperienza (es: ogni colorato è esteso, non ho bisogno di verificarlo ogni volta, anzi so già che
in ogni esperienza deve verificarsi quella cosa)
È necessario che le verità necessarie siano a priori, una semplice ripetizione non può darmi
proposizioni universali e necessarie (es: tutti i gatti hanno una coda, solo perché ne ho solo visti
così non significa che tutti debbano averla)

DIFFERENZA TRA LA SCOLASTICA E L’EMPIRISMO

  Empirismo: le proposizioni universali non sono altro che una generalizzazione


dell’esperienza
 Scolastica: le proposizioni universali derivano dall’esperienza perché da essa derivano le
nozioni; tuttavia, prima di pronunciare una universale dobbiamo avere in noi le nozioni
ottenute tramite l’astrazione

I GIUDIZI SINTETICI A PRIORI KANTIANI

Come sono allora possibili proposizioni che arricchiscono la conoscenza essendo necessarie ed
universali?

Kant definisce i giudizi matematici sintetici, e ammette che i teoremi matematici derivino dagli
assiomi per via analitica, ammettendo così che i giudizi analitici arricchiscono la conoscenza.

È vero che si parte da concetti cui si necessita prima fare esperienza (devo aver avuto esperienza
di 7 e 5 per poi dire che 7+5=12), ma una volta astratta da essa l’essenza posso procedere in base
all’essenza (posso dire, anche senza fare esperienza, che  270+130=400)

CAP 6

LE VERITÀ DIMOSTRATE DEDUTTIVAMENTE

Come posso passare dall’ignoto al noto? (come conosco?)

IL VALORE DEL SILLOGISMO

Esso è la dimostrazione deduttiva migliore, il quale si basa sul principio di convenienza e


discrepanza (due cose uguali ad una terza sono uguali tra loro) che non è stato mai dubitato; si
dubita però della sua utilità

FONDAMENTO EMPIRISTICO DELL’OBIEZIONE DI J. STUART MILL

Mill sostiene che quando formuliamo un sillogismo poniamo nella maggiore qualcosa che
sappiamo dalla conclusione, ovvero, o so già la conclusione è allora è inutile, o non la so e allora il
procedimento è illegittimo.

Tale obiezione è tipica degli empiristi nominalisti, che non tengono conto del concetto di
universale, confondendolo con l’insieme di ciò di cui abbiamo fatto esperienza (es: ho il concetto di
uomo perché conosco tanti uomini). Allora è sensato dire che dalla maggiore io non posso arrivare
ad una conclusione utile, se essa già fa parte della maggiore

Tuttavia la maggiore deve essere un giudizio davvero universale, ovvero devo attribuire il predicato
all’essenza

SILLOGISMO E INTUIZIONE DELL’UNIVERSALE

Tramite il sillogismo dunque possiamo: vedere il predicato come appartenente all’essenza del
soggetto (nella maggiore) e vedere in un individuo un’essenza universale (nella conclusione). Il
sillogismo, come il giudizio analitico, è fondato dunque sulla intuizione astrattiva universale

LA DIMOSTRAZIONE DEDUTTIVA
Se le premesse sono vere lo sarà anche la conclusione, e se la verità delle premesse sarà
evidente, la conclusione sarà mediatamente evidente, ovvero sarà una conoscenza dimostrata e la
si potrà definire scienza.

Dunque le premesse devono essere, nell’argomentazione dimostrativa, vere ed evidenti. Le due


premesse però non possono essere due verità di fatto in quanto sarebbero due proposizioni
particolari e due proposizioni particolari non possono dare una conclusione), quindi almeno una
delle due premesse dovrà essere una verità necessaria.

La dimostrazione deduttiva deve quindi avere alla base premesse che esprimono verità
necessarie immediatamente evidenti; chiamate assiomi

Le scienze che partono da proposizioni analitiche o assiomi sono dette deduttive (matematica,
logica, filosofia)

Le scienze che invece si ottengono per induzione sono dette sperimentali o induttive (tutte le altre)

DIMOSTRAZIONE A PRIORI E A POSTERIORI

 A priori quando il medio è ontologicamente (“nato”) precedente al predicato della


conclusione (ovvero è causa del predicato della conclusione)
  A posteriori quando il medio è ontologicamente posteriore al predicato della conclusione
(ovvero è causato dal predicato della conclusione) (es: il mondo esiste se Dio esiste, il
mondo esiste; Dio esiste)

L’INDUZIONE

L’intelletto umano non intuisce le essenze della realtà naturali nei loro aspetti qualitativi più
determinanti (es: non intuisce da una pietra che cade la legge di newton)

INDUZIONE IN SENSO GENERICO E INDUZIONE COME PROCESSO ARGOMENTATIVO

L’induzione è l’argomentazione con cui si passa da proposizioni particolari ad una proposizione


universale

In senso generale sarebbe ogni passaggio all’universale (anche l’astrazione) ma noi la prendiamo
come lo specifico passaggio che parte da proposizioni particolari

DEFINIZIONE ARISTOTELICA DELL’INDUZIONE

Ari. dice che nell’induzione si trova il medio attraverso uno degli estremi, e parla di medio per
analogia al sillogismo (es: uomo, cavallo e mulo sono longevi, sono anche privi di bile; tutti gli
animali privi di bile sono longevi)

Il medio dunque non è il ponte bensì è la conclusione, a fare da vero ponte sono invece i casi
particolari che si prendono

L’induzione è dunque la ricerca di un’essenza alla quale poter connettere un determinato


comportamento osservato in più soggetti

Essa si differenzia dall’astrazione perché non si ricerca un universale qualunque, bensì quello che
possa connettersi con un determinato predicato già dato dall’esperienza

DIFFERENZE FRA INDUZIONE E SILLOGISMO

a, b, c sono P
sono P poiché hanno M

dunque ogni M è P

Se riducessi l’induzione al sillogismo, avrei che il termine medio (a, b, c) sarebbe in entrambe le
proposizioni particolare

Nell’induzione non si vede il nesso tra l’estremo maggiore e il medio, cosa che invece accade nel
sillogismo, ma lo si suppone.

L’induzione è un'ipotesi da verificare ogni volta, quando la verifica riesce sempre tale supposizione
diventa evidente; evidenza diversa dalle proposizioni analitiche

IL FONDAMENTO DELL’INDUZIONE

Il principio necessario è sicuramente il principio del determinismo: ogni causa ha un determinato


effetto ed ogni effetto ha una determinata causa. Tale principio (che mi dice solamente che ci sono
delle leggi in natura) non ci basta però; debbo saper determinare qual è la causa.

Dunque il fondamento dell’induzione è duplice: è il principio del determinismo e l’esperienza (su


essa possiamo verificare la certezza di una legge naturale)

L’EVIDENZA MORALE

Molte informazioni che noi abbiamo non le troviamo dall’esperienza o da altro, bensì le otteniamo
dal ragionamento sui costumi morali degli uomini (es: ogni volta che mangio non penso se ciò sia
avvelenato)

Tali premesse vengono conosciute per induzione, ma qui non si fonda sul determinismo, perché
l’uomo può anche comportarsi differentemente

Alcuni autori chiamano:

 Certezza metafisica, quella che si basa su proposizioni analitiche (sia che siano evidenti
sia dimostrate deduttivamente)
  Certezza fisica, quella ottenuta per induzione e riguardanti il mondo fisico
 Certezza morale, quella che abbiamo tramite le proposizioni universali riguardanti i costumi
degli uomini

L’EVIDENZA STORICA

Di moltissimi fatti dobbiamo ammettere l’esistenza in quanto ci sono testimoniati da altri. Esso può
essere evidente se:

 È un fatto possibile e facilmente conoscibile


 I testimoni abbiano conoscenza del fatto e siano veritieri (per quest’ultima bisogna affidarsi,
soprattutto se non c’è motivo di dubitare)

L’EVIDENZA ESTRINSECA DELLA FEDE

Ci sono casi in cui si afferma una proposizione non perché la si veda ma perché si hanno buoni
motivi per crederla vera, questo si chiama evidenza estrinseca e la conoscenza basata su essa è
la fede

L’evidenza estrinseca è data da un’autorità che mi asserisce l’esistenza di un nesso (tra predicato
e soggetto) che io non vedo. Se a fare ciò è un uomo (es: un maestro con i suoi discepoli) si
chiama fede umana; se invece è Dio o qualcuno che parla in nome suo allora si chiama fede
divina.

DIFFERENZA FRA FEDE E CERTEZZA STORICA

La testimonianza storica si accetta poiché le si può controllare il valore, le si può vedere se è


veritiera in tutte le sue parti; se ciò si facesse anche per i testimoni nella fede, allora non ci
sarebbe più questa fiducia, e diverrebbe anche lei storica. Nella fede non conta l’impersonalità del
testimone sull’argomento (come nelle certezze storiche; es: un monumento è la miglior
testimonianza) bensì si deve riconoscere il valore della persona, e da ciò trae valore la
testimonianza

LA PROBABILITÀ

Ci sono determinati dati di fatto ai quali non si può arrivare tramite una conclusione dimostrata
pienamente; e sono detti probabili

Probabili sono le proposizioni mediatamente conosciute, conclusioni di ragionamenti per analogia


(un oggetto di immediata evidenza sarà sempre vero necessariamente)

L’argomentazione per analogia si sviluppa: un soggetto S ha il predicato P; un altro soggetto S’,


simile ad S, avrà il predicato P (es: il treno che prendo alle 9 fa sempre 5 min di ritardo; li farà
anche oggi)

Quando procediamo per analogia è perché non sappiamo quali sono le leggi che regolano i fatti
da noi osservati e cerchiamo di enunciarne alcune che si approssimano ad esse

TEORIE MODERNE SULLA PROBABILITÀ

Vi sono due teorie fondamentali: aprioristiche e aposterioristiche.

La prima enuncia che la probabilità è espressa da un rapporto matematico tra le possibilità


favorevoli e quelle totali (se: se lancio un dado, che esca due ho 1/6). Tale teoria si basa sul
principio di indifferenza ovvero sul fatto che tutti i casi siano ugualmente possibili

La seconda dice che la probabilità è determinata dall’esperienza, ovvero sulla base della
frequenza con cui un evento si avvera in più casi. La probabilità sarebbe il limite a cui tende la
frequenza di un evento in una serie

In entrambi i casi vi sono delle buone confutazioni; come si può sapere che tutti i casi siano
ugualmente possibili se non tramite l’esperienza? E se invece non lo fossero (es: se il dado fosse
truccato)? Oppure, come posso sapere che la frequenza di un evento constatata fino ad ora
continui così all’infinito?

Anche le conclusioni probabili suppongono che dietro la molteplicità di fatti attestati


dall’esperienza  ci siano leggi necessarie

APPENDICE

L’ERRORE

L’errore è l’assenso dato ad una proposizione falsa.

O si presenta davanti al mio spirito qualcosa che io vedo e affermò così, oppure non vedo nulla e
allora non ci sarà conoscenza e tantomeno errore. Come può accadere allora l’errore?

Vedere quello che non è, è contraddittorio; io vedo comunque sempre


L’errore può esserci nelle conclusioni dei ragionamenti, le volte in cui ci sfugga qualcosa, e
sebbene bisognerebbe sospendere il proprio giudizio, spesso si vuole comunque dire qualcosa e
si finisce per sbagliare. Ma allora l’errore non è teoretico, è un atto di volontà non di intelligenza

Tale atto può essere più o meno motivato, ma la soluzione è unica: purificazione morale, liberarsi
da ogni interesse che non sia la verità

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