ribelle, tragicamente destinato alla solitudine e all’incomprensione dei contemporanei. Alfieri per tutta la vita ha cercato di essere libero, una libertà non tanto politica quanto personale perché ritiene che non ci sia un vero e proprio governo ideale ma l’individuo è sempre in lotta con qualcuno o con una forza che lo vincola, lo sottomette e quindi qualunque forma di governo rappresenta uno soffocamento della libertà individuale. Questa consapevolezza emerge nell’opera “Vita” scritta dal poeta: costretto dalla famiglia a seguire la carriera militare, si iscrisse all’Accademia e ne conservò dei brutti ricordi proprio perché il suo ideale di libertà si scontrava con situazioni che ne ostacolavano la realizzazione. L’autore, in questa opera, afferma che la conflittualità si manifesta non solo tra l’individuo e il mondo esterno ma anche all’interno del personaggio stesso; Alfieri infatti avverte in sé una parte che vuole fare grandi cose, che aspira a desideri di gloria e affermazione e un’altra che era governata maggiormente dalla ragione. Da queste convinzioni egli sviluppa la tematica del titanismo: il titano è un gigante che si dovette scontrare con una forza superiore. Una lotta impari dalla quale il titano ne esce sconfitto. Allo stesso modo l‘individuo romantico sa che la sua lotta verso la società nella quale non è inserito positivamente è destinata al fallimento ma non rinuncia comunque a ribellarsi. Queste considerazioni sono espresse nel teatro alfieriano. Per esprimere questo concetto egli scelse la tragedia, un genere fino ad allora non molto affermato in Italia, perché gli sembrava una occasione per raggiungere la fama e per appagare il desiderio di gloria. Una scelta congeniale per mettere in scena un individuo sempre costretto a combattere con una forza superior; un atteggiamento che Alfieri notava in se stesso e che rappresentava in scena nei personaggi della sua opera. Questo tema a lui caro infatti è presente anche nelle sue due grandi tragedie: “Mirra” e “Saul”. La prima tratta di una ragazza segretamente innamorata del padre. Scoprirà questo sentimento con molta sofferenza e lo affermerà solo in punto di morte. Sentimento che impedì il suo matrimonio e che provocò sofferenza e sensi di colpa. La tragedia termina con la morte del personaggio e la scoperta della verità. Il conflitto che la donna vive è con se stessa, è un conflitto interiorizzato. La seconda opera ha come protagonista Saul, personaggio biblico che, ormai anziano, non si rassegna all’idea di non poter più governare il suo popolo e vede nel genero Davide un antagonista. Davide è quell’elemento esterno che rappresenta per Saul una minaccia tra quello che lui non più essere e avere. Alfieri non fece di norma mai recitare le sue tragedia nei teatri pubblici e le destinò solo a rappresentazioni private, a gruppi di amici aristocratici. Questa scelta nasceva da un suo rifiuto del teatro contemporaneo ritenuto frivolo e volgare, degli attori del tempo giudicati incapaci di sostenere degnamente le parti e i suoi eroi e, oltre che del suo pubblico comune, considerato insensibile. Al teatro tragico il poeta assegna una funzione civile: gli uomini devono imparare ad essere forti, generosi, liberi e insofferenti ad ogni violenza e conoscitori dei propri diritti. L’autore, in conclusione, nelle sue opere e nella sua vita evidenzia questa lotta nell’uomo, nel suo rapporto con il mondo e con gli altri uomini.