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La vita

Gabriele d'Annunzio nasce a Pescara nel 1863. Egli, appena undicenne, viene mandato
dal padre al Collegio Cicognini di Prato. Qui il ragazzo si distingue presto per indisciplina e
allo stesso tempo per il profitto eccellente: legge, ama la poesia e gli piace scrivere.
Nel 1881 il giovane d'Annunzio si trasferisce a Roma.

Nel 1883 sposa la giovane duchessa Maria Hardouin di Gallese.


D'Annunzio non perde occasione per far parlare di sé: i contenuti e la copertina
"scandalosa"
(tre ninfe nude) della nuova raccolta di racconti, pubblicata nel 1884 con il titolo Il libro
delle vergini, creano polemiche sul carattere scandaloso della sua arte.
Nonostante il successo delle sue opere, il suo stile di vita espone però d'Annunzio
all'assedio dei creditori. Egli quindi fugge in Abruzzo e poi nel 1891 si trasferisce a Napoli.
Sono gli anni che d'Annunzio definirà di «splendida miseria».
Intreccia una nuova relazione con la principessa siciliana Maria Gravina Cruyllas di
Ramacca, da cui nasce la figlia Renata; poi lascia Napoli e torna in Abruzzo.
Nel 1895 d'Annunzio si innamora della più famosa attrice dell'epoca, Eleonora Duse.
Nel 1897, inoltre, d'Annunzio dà avvio a una breve carriera parlamentare: eletto deputato
della Destra, nel 1900 passa nelle file della Sinistra.
Nello stesso periodo il poeta si trasferisce con Eleonora Duse in Toscana, a Settignano,
nella villa La Capponcina.
In questi anni compone i capolavori poetici, cioè i primi tre libri delle Laudi: Maia, Elettra e
Alcyone, editi nel 1903. In precedenza, era uscito il romanzo Il fuoco (1900), in cui
d'Annunzio aveva descritto pubblicamente il suo rapporto con Eleonora: anche per questo
motivo entra in crisi la relazione con l'attrice.
Seguito dai creditori, il poeta va in Francia e passa il suo tempo nei salotti della Parigi
della Belle Epoque.
Nel 1915, con lo scoppio della guerra il poeta rientra in patria. Egli si pone a capo della
schiera di intellettuali favorevoli all'entrata dell'Italia nel conflitto.
Quando l'Italia entra in guerra, d'Annunzio si arruola volontario e nel 1916 resta ferito
gravemente all'occhio destro in un incidente aereo.
Nel 1918, si rende protagonista di celebri imprese, come la «beffa di Buccari» e il volo su
Vienna: nella prima occasione fu l’ideatore di un raid di tre motoscafi antisommergibili al
porto di Buccari, dove c’era la flotta austriaca; nella seconda lancia da un aeroplano
centinaia di volantini contenenti un provocatorio invito alla resa rivolto al nemico.
A guerra conclusa, insoddisfatto per l'esito delle trattative di pace e convinto che quella
italiana sia una «vittoria mutilata», occupa la città di Fiume. L'occupazione dura fino al
dicembre successivo, quando l'esercito italiano, con un'azione militare, costringe
d'Annunzio e i suoi uomini ad abbandonare la città.
Dopo questa impresa, stanco e sfiduciato, il “poeta soldato" si ritira a Venezia e sul lago
di Garda (villa chiamata Vittoriale). Qui, lontano dalla vita pubblica, trascorre gli ultimi anni,
curando, in solitudine, le ultime opere. D'Annunzio muore il 1° marzo 1938.
Le opere
Primo vere (1879, a 16 anni)
Nella raccolta è evidente l’ispirazione a Carducci, sia per i temi sia per l'adozione della
metrica barbara.
Canto novo (1882)
La raccolta, ambientata tra i boschi d'Abruzzo e il mare, è il diario di una vacanza estiva,
vissuta con gioia vitalistica. Il poeta si distacca dal modello carducciano.
Intermezzo di rime, Isaotta Guttadàuro ed altre poesie, L'Isottèo e La Chimera, Elegie
romane

Si tratta di quattro raccolte scritte durante gli anni romani e che esprimono gli ideali
aristocratici e raffinati tipici della capitale. Sono testi in cui d'Annunzio sviluppa un gusto
prezioso ed estetizzante. Molti critici credono che sia stato influenzato dall’arte
preraffaellita. In tutte queste raccolte è inoltre rilevante la componente sensuale.

Terra vergine, Il libro delle vergini, San Pantaleone

Le 3 novelle presentano soprattutto storie paesane, personaggi, costumi e tradizioni


popolari d'Abruzzo. L'ambientazione e la natura rozza dei protagonisti sottolineano
l'influenza verista, ma l'autore si allontana dall'impersonalità verghiana. D'Annunzio infatti
esalta la vitalità di quel mondo primitivo, con un'umanità violenta e primordiale, ma non
ancora "corrotta" dal progresso e dalla civiltà.

Il piacere

Pubblicato nel 1889, il primo romanzo dannunziano può essere considerato uno dei
manifesti del Decadentismo europeo. Diviso in 4 libri, presenta una trama piuttosto
semplice e povera di fatti, ma costruita in modo non lineare, con una tecnica fatta di flash
back.
Il protagonista, Andrea Sperelli, alter ego dell'autore, ama due donne, la bellissima Elena
Muti, che lo ha abbandonato per sposare un ricco lord inglese, e Maria Ferres moglie di un
ambasciatore. Andrea non dimentica però l'antico amore e, mentre si trova con Maria,
invoca il nome di Elena. Maria, disgustata dall'«orribile sacrilegio», fugge via, lasciando
l'uomo al proprio destino di solitudine.

Nelle intenzioni di d'Annunzio, il romanzo doveva illustrare, «la miseria del piacere», cioè il
caso psicologico e umano di un uomo immorale e corrotto, ossessionato dalla ricerca della
bellezza.
Nel protagonista, d'Annunzio delinea la figura di un tipico esteta decadente, dotato di
gusti raffinati, desideroso di vivere ogni esperienza dei sensi, amante dell'arte. Sperelli

finisce dunque per essere l'incarnazione dell'artista, che contrasta la massificazione tipica
della civiltà industriale rendendo esclusiva ogni sua passione: la musica, la pittura, lo
sport, la seduzione femminile, soprattutto la poesia.
Al tempo stesso, la sua esistenza di esteta fallito (nell'amore come in ogni altra
aspirazione) mostra il senso di nullità che pervade il suo carattere e la sua stessa vita.
A fare da sfondo alla vicenda è una Roma frivola e monumentale, luogo di una
mondanità aristocratica vuota e pretenziosa, come lo è anche la psiche del protagonista.
Non si tratta della Roma classica né di quella rinascimentale, ma della Roma barocca dei
palazzi nobiliari e dei salotti altolocati, che lo scrittore conosceva profondamente.
Sperelli, coglie dagli ambienti e dalle bellezze della città lo spunto per vivificare le proprie
pulsioni estetizzanti.
Questa estatica contemplazione si riflette nello stile del romanzo, che presenta più
descrizioni che fatti.
Giovanni Episcopo e L'innocente
Pubblicati nel 1892, entrambi i romanzi sono incentrati sul tema della colpa e del castigo.
La svolta rispetto alle atmosfere estetizzanti del Piacere è introdotta dall'autore nella
dedica
del Giovanni Episcopo alla scrittrice e giornalista Matilde Serao, in cui sottolinea
l'esigenza di una maggiore aderenza alla realtà. Il protagonista è succube di Giulio
Wanzer, un collega che gli infligge le peggiori crudeltà, arrivando anche a sedurre sua
moglie. Quando però l'uomo si spinge fino a picchiare il figlio di Giovanni, questi lo
pugnala a morte.
Anche L'innocente è la storia di un delitto, che il protagonista, Tullio Hermil, confessa un
anno dopo il suo compimento. L'uomo è un intellettuale, sposato con Giuliana. Quando la
moglie però sta per dare alla luce un bambino Tullio si riavvicina a lei. Dopo il parto, egli
uccide il bambino insieme alla moglie, esponendolo al gelo nella notte di Natale.
Poema paradisiaco
La raccolta, edita nel 1893, è divisa in 3 sezioni; Hortus conclusus (Giardino chiuso),
Hortus larvarum (Giardino delle larve) e Hortulus animae (Piccolo giardino dell'anima). Il
tema del giardino allude al ritorno alla natura e alla purezza degli affetti semplici, ricercati
in questa fase dal poeta.

Nella raccolta è presente un’atmosfera di raccoglimento e nostalgia.

I romanzi del superuomo

Individui eccezionali, volontà di potenza, amori turbolenti, fallimenti esistenziali: questi


i temi che accomunano i romanzi dannunziani scritti dopo il piacere. Le trame si
assottigliano sempre di più, lasciando maggiore spazio a descrizioni, riflessioni,
ossessioni.
Trionfo della morte
Protagonista di questo romanzo, uscito nel 1894, è Giorgio Aurispa, un esteta abruzzese.
Debole, malato, Aurispa sente a poco a poco che la schiavitù dei sensi si sta trasformando
in una volontà di morte. La conclusione della vicenda non può che essere tragica: Aurispa
si uccide insieme alla moglie gettandosi dall'alto di una scogliera mentre la tiene tra le
braccia.
Il Trionfo della morte presenta alcuni degli stereotipi della volontà di potenza celebrata
dall'autore: il desiderio di autoaffermazione, l'estraneità alla morale comune, l'insofferenza
per ogni norma, l'omicidio-suicidio come espressione di un estremo atto di vitalismo.
Le vergini delle rocce
In quest'opera, uscita nel 1895, d'Annunzio narra la vicenda di un nobile abruzzese,
Claudio Cantelmo, che cerca una donna con cui concepire un figlio. Il protagonista rimane
a lungo incerto fra tre sorelle. Cantelmo però non sa decidersi e il romanzo rimane
incompiuto, come a sottolineare implicitamente il fallimento del superuomo.
Il fuoco
Stelio Effrena, il protagonista di questo romanzo pubblicato nel 1900, è un poeta e
musicista Stelio intravede in una splendida attrice, la Foscarina, la musa per realizzare le
proprie ambizioni. Tra i due amanti (sotto i cui nomi si celano le figure di d'Annunzio e di
Eleonora Duse) l'intesa è destinata presto a finire quando una giovane cantante diventa la
nuova fonte di ispirazione per Stelio. La Foscarina allora si sacrifica rinunciando a lui e
lasciandolo libero di sperimentare altri sentieri artistici. Ma i progetti ambiziosi di Stelio
sono destinati a non
realizzarsi.
Forse che si forse che no
In questo romanzo del 1910, legato ai nuovi miti del progresso tecnologico (la velocità,
l'automobile, l'aeroplano) celebrati dal nascente Futurismo, si parla di Paolo Tarsis, che,
dopo aver saputo che la donna amata, Isabella, è impazzita, forse in seguito a una
relazione incestuosa con il fratello, tenta l'audace impresa di raggiungere in volo dal Lazio
le coste della Sardegna. Paolo è convinto di perdere la vita, ma non sarà così: vinta la
sfida
eroica, saprà riconquistare la voglia di vivere.
Maia
Con il titolo Laudi d'Annunzio concepisce un ciclo di 7 libri. In realtà ne compone solo 5.
Il primo libro delle Laudi è ispirato a un viaggio compiuto da d'Annunzio nel 1895: una
crociera lungo le coste della Grecia.
Il libro è occupato interamente da Laus vitae (Inno alla vita), un poema autobiografico in
cui d'Annunzio riprende il mito di Ulisse, incarnazione del superuomo che si slancia oltre i
limiti umani alla ricerca della pienezza dell'essere e della felicità.

Elettra

Nel secondo libro delle Laudi, pubblicato nel 1903, a conquistare la scena sono l'oratoria e
la propaganda politica. D’Annunzio celebra il passato popolato da eroi (Dante, Garibaldi)
in contrapposizione al tempo presente.
Merope e Asterope

Merope raccoglie i versi scritti in terzine dantesche in occasione dell'impresa coloniale in


Libia; Asterope raduna invece le poesie composte durante la Prima guerra mondiale.
La Leda senza cigno
Si tratta di un racconto lungo edito nel 1916, su una figura femminile bella e misteriosa la
quale vive una difficile esistenza, dalla rovina economica del padre all’incontro con un
uomo che la ricatta fino a costringerla al suicidio.

Notturno

Un incidente aereo, nel gennaio 1916, costringe per tre mesi d'Annunzio a stare immobile
e con gli occhi bendati per salvare l'occhio sinistro. In questa situazione il poeta scrive una
serie di pensieri, ricordi, descrizioni e visioni su migliaia di strisce di carta (i cosiddetti
«cartigli»). L'opera, composta a Venezia dal febbraio al maggio del 1916, viene pubblicata
nel 1921 e pubblicizzata come il «commentario della tenebra».

In effetti, abbiamo la descrizione sofferente di ferite, incidenti, traumi e morti. Vi domina un


sentimento di angoscia. La sensualità è sempre presente in sottofondo ma ora spesso
diventa allusione morbosa e sofferta, a causa della vecchiaia che priva il poeta di energia
e vitalità.
Il teatro

La volontà di raggiungere più direttamente il pubblico e Eleonora Duse spingono


d'Annunzio a dedicarsi anche a una produzione destinata al teatro.
Con il proposito di realizzare un teatro in versi (un «teatro di poesia»), lontano dal
dramma borghese realistico che in quegli anni metteva in scena vicende della normale

vita quotidiana, lo scrittore aspira a fondere recitazione, musica e danza, rinnovando la


tradizione della tragedia greca.
Amore, morte, pulsioni e passioni vengono rappresentati in ambientazioni diverse: nel
mondo medievale o in quello del selvaggio, ad esempio.

Nella Figlia di Iorio l'autore mette in scena la tragica vicenda di Mila di Codra, destinata a
morire sul rogo poiché si autoaccusa di essere una strega.
La scrittura per il teatro occupa d'Annunzio anche dopo la fine della sua relazione con
Eleonora Duse. Significativa è soprattutto una tragedia composta durante l'esilio" fran-

cese, nell'antica lingua d'oil: Le martyre de Saint Sébastien, pubblicata nel 1911.

I grandi temi
Il divo narcisista e il pubblico di massa

Gabriele d'Annunzio è il primo intellettuale a intuire le potenzialità dei mezzi di


comunicazione di massa. Egli è un profondo conoscitore dei gusti e delle tendenze del
mercato, ed è un abile persuasore. D'Annunzio mostra il suo sfrenato esibizionismo con
uno spirito che oggi diremmo pubblicitario e imprenditoriale: egli promuove l'immagine del
genio che aspira a una «vita inimitabile», superiore a quella del «gregge» plebeo e piccolo
borghese.

D'Annunzio ripropone una concezione tradizionale della poesia come strumento di libertà
e di conoscenza del mondo.
Al tempo stesso, tuttavia, mentre denuncia la massificazione dell'arte e disprezza
l'uguaglianza, la democrazia ei valori materialistici della società borghese, egli
non si sottrae alle leggi e alle esigenze del mercato: la società "volgare" che tanto
disprezza è, in fondo, il suo pubblico, quello da cui vuole essere riconosciuto, amato.
Nell'opera dannunziana non viene mai meno la ricerca del sublime non solo come scelta
artistico- letteraria, ma anche quale strategia di seduzione dei lettori, ovviamente
ammaliati dal suo stile e

dal suo modello umano e culturale, aristocratico e insieme populista.


Questo autore non rinuncia mai, in nessun ambito, al proprio egocentrismo, alla
celebrazione narcisistica delle proprie esperienze, all'entusiasmo delle proprie azioni, alla
ricerca continua del piacere.
L'estetismo dannunziano
Possiamo trovare l’'Estetismo dannunziano nella prima fase della sua ricerca artistica,
che culmina con la stesura del Piacere.
Immergersi nella letteratura è per d'Annunzio una delle attività che permettono di
conservare, come fa dire al protagonista del Piacere, Andrea Sperelli, la libertà. La vita,
assegna dunque all'arte un valore supremo e assoluto, sottraendosi a ogni
condizionamento o vincolo etico. La “Bellezza” deve essere raggiunta, non importa come.
L'esteta per l’autore è colui che si tiene lontano dalla “massa volgare” e da ogni impegno
attivo, sociale e politico, per vivere in un mondo aristocratico, circondato dal lusso e dal
superfluo e per «costruire la propria vita come un'opera d'arte». La raffinatezza del suo
mondo «tutto impregnato d'arte» non può, alla lunga, coprirne le debolezze e la sterilità.
Svuotato di energia morale, privo di una robusta forza vitale, egli è destinato alla
solitudine, alla sconfitta nel rapporto affettivo con le donne, alla paralisi dell'azione. Il suo
bisogno di sensazioni intense ma fugaci rivela un’incapacità di adattamento al mondo.
La maschera dell'innocenza
Una di pensieri più celebri di d'Annunzio è «rinnovarsi o morire». Si può dire che, nell'arte
non meno che nella vita, egli sia sempre stato fedele a questa frase. Egli ha cercato di
rielaborare di continuo la propria personalità letteraria, sperimentando generi diversi: dalla
lirica al romanzo, dal teatro alla prosa autobiografica, dal giornalismo all'oratoria.
Questa varietà non si riflette solo nelle forme letterarie, ma anche nei toni e negli
atteggiamenti: il poeta sa muoversi con disinvoltura dalla sensualità e gioiosa vitalità a un
senso di debolezza e di vuoto.
Il trasformismo di d'Annunzio si traduce a un certo punto (la cosiddetta «stagione della
bontà») nell'abbandono delle pose estetizzanti messe in mostra nel Piacere e
nell'emergere di uno stato d'animo diverso, affaticato e dolente. Il sentimento malinconico
matura durante il soggiorno napoletano (1892-1893), quando il poeta percepisce un senso
«di scontento, di sconforto, di solitudine, di vacuità e di nostalgia». Il poeta decide di
cercare la salvezza dello spirito nella rigenerazione e nel ritorno alle buone cose del
passato: l'infanzia, la nutrice, la madre.
Nei romanzi di questo periodo (Giovanni Episcopo e L'innocente) troviamo un intimismo
esasperato e un malessere che presente nell'animo dei personaggi.
Occorre però fare attenzione a questa ricerca di purezza e di pace, in contrasto con lo
stile di vita della sua giovinezza: d'Annunzio in realtà è ben lontano dal rinunciare al
proprio estetismo e alla propria abilità di sperimentatore di stili ed emozioni.
L'estetismo dannunziano, cioè, non entra davvero in crisi, ma introduce un'ulteriore
aggiunta all'esplorazione dell'esistenza. Il tono malinconico che si coglie in queste pagine
è falso: il poeta è pronto di nuovo a cambiare maschera e, mentre recita un inno alla
fratellanza e ai buoni sentimenti, sta già preparando il campo a una nuova versione di sé
stesso, quella del superuomo. Il superomismo
Il tema del superuomo è visibile a partire dalla stesura dei romanzi pubblicati dopo il
piacere, negli anni Novanta. Tuttavia estetismo e superomismo sono strettamente
connessi tra loro.
Per d'Annunzio il superuomo è infatti un individuo eccezionale al quale spettano il diritto e
il dovere di opporsi all'insulsa realtà borghese, per realizzare il proprio dominio sulla realtà.
I pochi, i liberi, coloro che pensano e sentono rappresentano una nuova aristocrazia dello
spirito che, attraverso il culto del bello e un'anima coraggiosa, potrà (e dovrà) imporsi sulla
massa.
Questa concezione nasce dalla lettura delle opere del filosofo tedesco Friedrich
Nietzsche. L'interpretazione dannunziana del pensiero di Nietzsche è del tutto parziale e
personale: il poeta accoglie la volontà di potenza, il disprezzo per le masse, il culto della
civiltà classica e l’importanza della componente "dionisiaca" e irrazionale dell'uomo (quella
libera) a scapito di quella “apollinea" e ordinata (cioè razionale). Il pensiero di Nietzsche
da "critico" diventa, nella lettura di d'Annunzio, "pratico", ossia una sorta di morale
dell'azione, che non comporta la distruzione di tutti i valori borghesi ma diventa una sorta
di ideologia fatta di bei gesti, azioni eroiche. Ecco perché, a differenza del superuomo
nietzschiano, quello dannunziano si impegna anche nella battaglia politica: è il caso
soprattutto di Claudio Cantelmo, il protagonista delle Vergini delle rocce, il quale non si
limita al culto del bello e dell'arte (come faceva Andrea Sperelli nel Piacere), ma aspira a
combattere la corruzione, le masse.

Cio messo in pratica dallo stesso d'Annunzio, che si impegna nella politica.
Non a caso il poeta è sempre alla ricerca di un un palcoscenico da cui mostrare alla
collettività, le mete, ambizioni e battaglie. Un tentativo che riesce certamente al
d'Annunzio intellettuale, non altrettanto a quello politico: l'isolamento nella casa del
Vittoriale, esprime, in fondo, proprio il suo fallimento quale uomo d'azione, costretto a
vivere in solitudine.
Dolore e sentimento della morte nella fase "notturna"
D'Annunzio ha manifestato nell'opera letteraria anche una più segreta e dolorosa
interiorità. Questa componente della sua personalità emerge soprattutto durante la
vecchiaia e negli scritti autobiografici, in cui vengono mostrati aspetti tipici della cultura
decadente: l'ossessione per la vecchiaia, la contemplazione della morte, l'esplorazione
dell'ignoto.
Questa personalità dannunziana è presente nel Notturno, scritta durante il periodo di
convalescenza dopo l'incidente aereo. Qui d'Annunzio sembra rinunciare all’eroismo. La
sua voce acquista un tono naturale, sfumato, con cui esprime il rimpianto della giovinezza
perduta. Proprio perché privato del rapporto sensoriale con la realtà a causa della
temporanea cecità, il poeta cerca di esplorare la propria interiorità, esplorando le inedite
sensazioni di chi scopre la nuova fisicità di una «creatura terrestre» insonne e sofferente,
che vive - e sente - il proprio corpo costretto in una sorta di letto-bara.

ALCYONE
Alcyone è il terzo libro del ciclo poetico delle Laudi: anche questo prende il nome da una
stella delle Pleiadi. Pubblicato nel dicembre del 1903 (ma datato 1904), il volume raccoglie
88 poesie, ed è un diario che narra un'esperienza realmente vissuta: un'estate trascorsa
lungo il litorale toscano, tra il mare e un paesaggio di pini, boschi e monti.
L'inizio della stesura delle liriche risale al giugno del 1899, quando d'Annunzio, in
compagnia di Eleonora Duse, fa ritorno, dopo un periodo di viaggi, alla villa La
Capponcina. Egli intende celebrare l'estate, dalla fine della primavera all'autunno.
La struttura del libro, diviso in 5 sezioni, segue infatti l’andamento della stagione: l'attesa
dell'estate, corrispondente al mese di giugno (prima sezione); la sua esplosione, nei primi
giorni di luglio (seconda sezione); il pieno rigoglio, alla fine di luglio e ai primi di agosto
(terza sezione); il culmine dell'estate e i presagi autunnali, tra la metà di agosto e l'inizio di
settembre (quarta sezione); infine, il suo lento declinare, sostituita dalla malinconia
autunnale (quinta sezione).
Il libro si apre con un proemio intitolato La tregua, e si chiude con un epilogo, Il commiato,
dedicato a Pascoli; tra una sezione e l'altra, con la funzione di raccordo, sono inseriti
inoltre dei componimenti detti ditirambi, preceduti a loro volta da testi con titoli latini tratti
da Virgilio e dalle Metamorfosi di Ovidio. La presenza costante di tali testi rappresenta, il
momento vitalistico dell'ispirazione, in contrasto con quello più intimo e composto,
prevalente nelle altre poesie.
I temi

In questo poema dell'estate, d'Annunzio sviluppa il motivo del panismo, cioè la comunione
dell'io con la natura già presente nelle poesie giovanili. Mentre le figure femminili si
trasformano in ninfe dei boschi, il poeta si spoglia dei residui della civiltà moderna da cui si
sente contaminato e recupera un'originaria e profonda dimensione interiore. Da tale
metamorfosi, dal suo fondersi con il mare, i fiumi, la pioggia, gli alberi, il poeta ricava
una straordinaria ebbrezza: impadronendosi attraverso i sensi dell’energia naturale, egli
acquista una nuova forza, manifestando così la propria facoltà di oltrepassare i limiti umani
nell'unione perfetta con la natura.
Il poeta però non rinuncia al suo ’"essere superiore": la fusione tra l'elemento umano

e l'elemento naturale rappresenta un evento quasi soprannaturale, capace di collocarlo


in una dimensione sovrumana di contatto con la natura, di cui diventa parte integrante.
Questa illusione, tuttavia, non sempre può realizzarsi compiutamente e la comunione
con la natura può trasformarsi in un'utopia. Il tentativo di depurare il proprio mondo
interiore fallisce a causa dell'inevitabile passaggio dall'estate all'autunno. Non a caso, il
declino estivo annunciato alla fine della quarta sezione del libro è suggellato miticamente dal
ricordo della tragica impresa di Icaro: il fallimento della sua ambizione di volare fino al Sole

coincide nel poeta con il sogno impossibile di recuperare una dimensione immortale e
innocente. Descrivere questo sogno è il compito che d'Annunzio assegna alla propria
poesia. Il poeta ambisce ad assumere il ruolo di interprete di Pan e a esprimere, grazie alla
capacità magica della sua parola, l'armonia misteriosa che vive e palpita nell'universo. In
questo senso, d'Annunzio ripropone la figura del poeta orfico, che sa comprendere e rivelare
il canto segreto della natura. Lo stile

Anche se in alcune liriche è ancora presente un sistema di strofe e non mancano sonetti,
madrigali, forme metriche di ascendenza classica, l'autore predilige l'uso della strofa libera,
lunga, talvolta lunghissima, composta di versi liberi, legati tra loro in modo del tutto irregolare
da rime, ma più spesso da assonanze e consonanze.
Altrettanto ricco è il repertorio lessicale: l'autore presenta frequenti arcaismi, in più di
un caso recuperati dai dizionari (come alcuni nomi di piante: crambe, pancrazio, terebinto
ecc.) e ama il gusto del raro e del desueto: abbiamo così citazioni attinte da semisconosciuti
poeti dei primi secoli della letteratura italiana, forme ortografiche anacronistiche, tecnicismi e
altro ancora. L'intenzione di d'Annunzio di suggerire sensazioni e dissolvere la parola in una
pura evocazione musicale è resa grazie agli effetti fonosimbolici, prodotti da giochi di rime,
allitterazioni e anafore.

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