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Gabriele d'Annunzio nasce a Pescara nel 1863. Egli, appena undicenne, viene mandato
dal padre al Collegio Cicognini di Prato. Qui il ragazzo si distingue presto per indisciplina e
allo stesso tempo per il profitto eccellente: legge, ama la poesia e gli piace scrivere.
Nel 1881 il giovane d'Annunzio si trasferisce a Roma.
Si tratta di quattro raccolte scritte durante gli anni romani e che esprimono gli ideali
aristocratici e raffinati tipici della capitale. Sono testi in cui d'Annunzio sviluppa un gusto
prezioso ed estetizzante. Molti critici credono che sia stato influenzato dall’arte
preraffaellita. In tutte queste raccolte è inoltre rilevante la componente sensuale.
Il piacere
Pubblicato nel 1889, il primo romanzo dannunziano può essere considerato uno dei
manifesti del Decadentismo europeo. Diviso in 4 libri, presenta una trama piuttosto
semplice e povera di fatti, ma costruita in modo non lineare, con una tecnica fatta di flash
back.
Il protagonista, Andrea Sperelli, alter ego dell'autore, ama due donne, la bellissima Elena
Muti, che lo ha abbandonato per sposare un ricco lord inglese, e Maria Ferres moglie di un
ambasciatore. Andrea non dimentica però l'antico amore e, mentre si trova con Maria,
invoca il nome di Elena. Maria, disgustata dall'«orribile sacrilegio», fugge via, lasciando
l'uomo al proprio destino di solitudine.
Nelle intenzioni di d'Annunzio, il romanzo doveva illustrare, «la miseria del piacere», cioè il
caso psicologico e umano di un uomo immorale e corrotto, ossessionato dalla ricerca della
bellezza.
Nel protagonista, d'Annunzio delinea la figura di un tipico esteta decadente, dotato di
gusti raffinati, desideroso di vivere ogni esperienza dei sensi, amante dell'arte. Sperelli
finisce dunque per essere l'incarnazione dell'artista, che contrasta la massificazione tipica
della civiltà industriale rendendo esclusiva ogni sua passione: la musica, la pittura, lo
sport, la seduzione femminile, soprattutto la poesia.
Al tempo stesso, la sua esistenza di esteta fallito (nell'amore come in ogni altra
aspirazione) mostra il senso di nullità che pervade il suo carattere e la sua stessa vita.
A fare da sfondo alla vicenda è una Roma frivola e monumentale, luogo di una
mondanità aristocratica vuota e pretenziosa, come lo è anche la psiche del protagonista.
Non si tratta della Roma classica né di quella rinascimentale, ma della Roma barocca dei
palazzi nobiliari e dei salotti altolocati, che lo scrittore conosceva profondamente.
Sperelli, coglie dagli ambienti e dalle bellezze della città lo spunto per vivificare le proprie
pulsioni estetizzanti.
Questa estatica contemplazione si riflette nello stile del romanzo, che presenta più
descrizioni che fatti.
Giovanni Episcopo e L'innocente
Pubblicati nel 1892, entrambi i romanzi sono incentrati sul tema della colpa e del castigo.
La svolta rispetto alle atmosfere estetizzanti del Piacere è introdotta dall'autore nella
dedica
del Giovanni Episcopo alla scrittrice e giornalista Matilde Serao, in cui sottolinea
l'esigenza di una maggiore aderenza alla realtà. Il protagonista è succube di Giulio
Wanzer, un collega che gli infligge le peggiori crudeltà, arrivando anche a sedurre sua
moglie. Quando però l'uomo si spinge fino a picchiare il figlio di Giovanni, questi lo
pugnala a morte.
Anche L'innocente è la storia di un delitto, che il protagonista, Tullio Hermil, confessa un
anno dopo il suo compimento. L'uomo è un intellettuale, sposato con Giuliana. Quando la
moglie però sta per dare alla luce un bambino Tullio si riavvicina a lei. Dopo il parto, egli
uccide il bambino insieme alla moglie, esponendolo al gelo nella notte di Natale.
Poema paradisiaco
La raccolta, edita nel 1893, è divisa in 3 sezioni; Hortus conclusus (Giardino chiuso),
Hortus larvarum (Giardino delle larve) e Hortulus animae (Piccolo giardino dell'anima). Il
tema del giardino allude al ritorno alla natura e alla purezza degli affetti semplici, ricercati
in questa fase dal poeta.
Elettra
Nel secondo libro delle Laudi, pubblicato nel 1903, a conquistare la scena sono l'oratoria e
la propaganda politica. D’Annunzio celebra il passato popolato da eroi (Dante, Garibaldi)
in contrapposizione al tempo presente.
Merope e Asterope
Notturno
Un incidente aereo, nel gennaio 1916, costringe per tre mesi d'Annunzio a stare immobile
e con gli occhi bendati per salvare l'occhio sinistro. In questa situazione il poeta scrive una
serie di pensieri, ricordi, descrizioni e visioni su migliaia di strisce di carta (i cosiddetti
«cartigli»). L'opera, composta a Venezia dal febbraio al maggio del 1916, viene pubblicata
nel 1921 e pubblicizzata come il «commentario della tenebra».
Nella Figlia di Iorio l'autore mette in scena la tragica vicenda di Mila di Codra, destinata a
morire sul rogo poiché si autoaccusa di essere una strega.
La scrittura per il teatro occupa d'Annunzio anche dopo la fine della sua relazione con
Eleonora Duse. Significativa è soprattutto una tragedia composta durante l'esilio" fran-
cese, nell'antica lingua d'oil: Le martyre de Saint Sébastien, pubblicata nel 1911.
I grandi temi
Il divo narcisista e il pubblico di massa
D'Annunzio ripropone una concezione tradizionale della poesia come strumento di libertà
e di conoscenza del mondo.
Al tempo stesso, tuttavia, mentre denuncia la massificazione dell'arte e disprezza
l'uguaglianza, la democrazia ei valori materialistici della società borghese, egli
non si sottrae alle leggi e alle esigenze del mercato: la società "volgare" che tanto
disprezza è, in fondo, il suo pubblico, quello da cui vuole essere riconosciuto, amato.
Nell'opera dannunziana non viene mai meno la ricerca del sublime non solo come scelta
artistico- letteraria, ma anche quale strategia di seduzione dei lettori, ovviamente
ammaliati dal suo stile e
Cio messo in pratica dallo stesso d'Annunzio, che si impegna nella politica.
Non a caso il poeta è sempre alla ricerca di un un palcoscenico da cui mostrare alla
collettività, le mete, ambizioni e battaglie. Un tentativo che riesce certamente al
d'Annunzio intellettuale, non altrettanto a quello politico: l'isolamento nella casa del
Vittoriale, esprime, in fondo, proprio il suo fallimento quale uomo d'azione, costretto a
vivere in solitudine.
Dolore e sentimento della morte nella fase "notturna"
D'Annunzio ha manifestato nell'opera letteraria anche una più segreta e dolorosa
interiorità. Questa componente della sua personalità emerge soprattutto durante la
vecchiaia e negli scritti autobiografici, in cui vengono mostrati aspetti tipici della cultura
decadente: l'ossessione per la vecchiaia, la contemplazione della morte, l'esplorazione
dell'ignoto.
Questa personalità dannunziana è presente nel Notturno, scritta durante il periodo di
convalescenza dopo l'incidente aereo. Qui d'Annunzio sembra rinunciare all’eroismo. La
sua voce acquista un tono naturale, sfumato, con cui esprime il rimpianto della giovinezza
perduta. Proprio perché privato del rapporto sensoriale con la realtà a causa della
temporanea cecità, il poeta cerca di esplorare la propria interiorità, esplorando le inedite
sensazioni di chi scopre la nuova fisicità di una «creatura terrestre» insonne e sofferente,
che vive - e sente - il proprio corpo costretto in una sorta di letto-bara.
ALCYONE
Alcyone è il terzo libro del ciclo poetico delle Laudi: anche questo prende il nome da una
stella delle Pleiadi. Pubblicato nel dicembre del 1903 (ma datato 1904), il volume raccoglie
88 poesie, ed è un diario che narra un'esperienza realmente vissuta: un'estate trascorsa
lungo il litorale toscano, tra il mare e un paesaggio di pini, boschi e monti.
L'inizio della stesura delle liriche risale al giugno del 1899, quando d'Annunzio, in
compagnia di Eleonora Duse, fa ritorno, dopo un periodo di viaggi, alla villa La
Capponcina. Egli intende celebrare l'estate, dalla fine della primavera all'autunno.
La struttura del libro, diviso in 5 sezioni, segue infatti l’andamento della stagione: l'attesa
dell'estate, corrispondente al mese di giugno (prima sezione); la sua esplosione, nei primi
giorni di luglio (seconda sezione); il pieno rigoglio, alla fine di luglio e ai primi di agosto
(terza sezione); il culmine dell'estate e i presagi autunnali, tra la metà di agosto e l'inizio di
settembre (quarta sezione); infine, il suo lento declinare, sostituita dalla malinconia
autunnale (quinta sezione).
Il libro si apre con un proemio intitolato La tregua, e si chiude con un epilogo, Il commiato,
dedicato a Pascoli; tra una sezione e l'altra, con la funzione di raccordo, sono inseriti
inoltre dei componimenti detti ditirambi, preceduti a loro volta da testi con titoli latini tratti
da Virgilio e dalle Metamorfosi di Ovidio. La presenza costante di tali testi rappresenta, il
momento vitalistico dell'ispirazione, in contrasto con quello più intimo e composto,
prevalente nelle altre poesie.
I temi
In questo poema dell'estate, d'Annunzio sviluppa il motivo del panismo, cioè la comunione
dell'io con la natura già presente nelle poesie giovanili. Mentre le figure femminili si
trasformano in ninfe dei boschi, il poeta si spoglia dei residui della civiltà moderna da cui si
sente contaminato e recupera un'originaria e profonda dimensione interiore. Da tale
metamorfosi, dal suo fondersi con il mare, i fiumi, la pioggia, gli alberi, il poeta ricava
una straordinaria ebbrezza: impadronendosi attraverso i sensi dell’energia naturale, egli
acquista una nuova forza, manifestando così la propria facoltà di oltrepassare i limiti umani
nell'unione perfetta con la natura.
Il poeta però non rinuncia al suo ’"essere superiore": la fusione tra l'elemento umano
coincide nel poeta con il sogno impossibile di recuperare una dimensione immortale e
innocente. Descrivere questo sogno è il compito che d'Annunzio assegna alla propria
poesia. Il poeta ambisce ad assumere il ruolo di interprete di Pan e a esprimere, grazie alla
capacità magica della sua parola, l'armonia misteriosa che vive e palpita nell'universo. In
questo senso, d'Annunzio ripropone la figura del poeta orfico, che sa comprendere e rivelare
il canto segreto della natura. Lo stile
Anche se in alcune liriche è ancora presente un sistema di strofe e non mancano sonetti,
madrigali, forme metriche di ascendenza classica, l'autore predilige l'uso della strofa libera,
lunga, talvolta lunghissima, composta di versi liberi, legati tra loro in modo del tutto irregolare
da rime, ma più spesso da assonanze e consonanze.
Altrettanto ricco è il repertorio lessicale: l'autore presenta frequenti arcaismi, in più di
un caso recuperati dai dizionari (come alcuni nomi di piante: crambe, pancrazio, terebinto
ecc.) e ama il gusto del raro e del desueto: abbiamo così citazioni attinte da semisconosciuti
poeti dei primi secoli della letteratura italiana, forme ortografiche anacronistiche, tecnicismi e
altro ancora. L'intenzione di d'Annunzio di suggerire sensazioni e dissolvere la parola in una
pura evocazione musicale è resa grazie agli effetti fonosimbolici, prodotti da giochi di rime,
allitterazioni e anafore.