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Garzanti, “Storia della Letteratura Italiana, Il Novecento”, Nuova Edizione Accresciuta E Aggiornata Diretta Da
Natalino Sapegno, pag.302
tecnici,né capacità di vita, non ga né “remo” né “ali”, non ha letteralmente niente
da dire”.2
Le “Poesie scritte col lapis” (1910) sono percorse dalle tipiche atmosfere
crepuscolari, atmosfere impreziosite dal tocco lieve e pregiato di Moretti:
immagini di donne appassite dalla carezza inesorabile e grave del tempo; piccoli e
chiusi ambienti di provincia; la quotidiana noia incolore; ansie ed insoddisfazioni
represse, laceranti, mali privi di cure; i melanconici cani randagi che tanto
somigliano all’io errabondo del poeta; il senso disgustoso ed inconfutabile
dell’inutilità della vita, cui corrisponde sul foglio di carta un linguaggio uniforme,
a tratti monotono, fatto di molte ripetizioni ed altrettante riprese; e poi il mondo
infantile, quel mondo magico di banchi e compagni di scuola, di giochi e
scorribande, quando la vita aveva poca importanza e, proprio per questo, era
magnifica.
Le situazioni, i temi, i contenuti sono gli stessi anche nella raccolta poetica
successiva, intitolata “Poesie di tutti i giorni” (1911), dove è ribadito il rapporto
stretto tra l’infanzia e la quotidianità, e dove è tracciata una sorta di mappa dei
luoghi imperdibili della grigia noia cittadina. Con “Il giardino dei frutti” (1916),
Moretti conclude temporaneamente la sua esperienza lirica, accentuando i toni di
una insofferenza cronica che corrode non solo l’anima, ma anche il fisico, tanto è
devastante ed inarrestabile. In questi versi emerge una scarsa propensione del poeta
nei confronti di Leopardi, l’amore per la scrittrice Carolina Invernizio, la lettura
avida e passionale del D’Annunzio proibit. Emergono anche spaventosi momenti
di confessione ferina, psicanaliticamente così lucida e trasparente da causare
orrore. Il mondo domestico e provinciale diventa un’arida ed oscura ed obliosa
prigione, nella quale, dietro l’apparente felicità dei legami affettivi, si celano
ossessioni e frustrazioni senza rimedio. Il mondo borghese è un inferno, in esso
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Giulio Ferroni, “Storia della letteratura italiana, Dall’Ottocento al Novecento”, Ed, “Einaudi”, 1991, pag. 545
tiranneggiano tragedia, dolore, inibizione e repressione, ed alcun tipo di sfogo,
alcun tipo di compensazione possono aiutare.
Nel rotolio monotono di quell’esistenza servile, nel movimento a temi
estremamente scarni, sul quale il Moretti ha condotto il racconto, era facile inserire
di tutto, a titolo d’abbellimento e divagazione, e non sempre la scelta è stata di
gusto. Si ricorderà il famoso colpo di pistola, nei “Due fanciulli”, che lasciò
perplesso più d’un lettore, e a molti, anche oggi, sembra impossibile che Moretti
l’abbia scaricata davvero quella pistolettata. Così, ora, l’ha ripreso l’illusione di
aver tavoolta bisogno di toni e passaggi assai crudi, e basterebbe citar l’episodio
della pandroncina di Clarice, con la quale lo sposo bestiale consuma a violenza la
prima festa delle nozze, in fondo a un palco.
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Garzanti, “Storia della Letteratura Italiana, Il Novecento”, Nuova Edizione Accresciuta E Aggiornata Diretta Da
Natalino Sapegno, pag.303
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Carteggio Moretti-Palazzeschi vol. IV, 1963-1974, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2001, p. 386.
BIBLIOGRAFIA