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COMMENTO A “PIANTO ANTICO” di G.

CARDUCCI

La lirica, tratta dalla raccolta “RIME NUOVE” trae ispirazione dalla morte del figlioletto del poeta, Dante, di
appena tre anni, avvenuta nel novembre del 1870. In questi versi, ispirati da un forte ma dignitoso dolore,
l’immagine del bambino rivive attraverso il simbolico riferimento ad un albero di melograno.

Sentiamo come il poeta comunica la notizia di questo lutto all’amico Giuseppe Chiarini: “ Mi morì a tre anni
e quattro mesi; ed era bello e grande e grosso, che pareva per l’età sua un miracolo: ed era buono e forte e
amoroso, come pochi. Come amava la sua mamma! […] e io avevo avviticchiate (strette9 intorno a quel
bambino tutte le mie gioie, tutte le mie speranze, tutto il mio avvenire: tutto quel che mi era rimasto di
buono nell’anima lo aveva deposto su quella testina…”

A ribadire il dolore del poeta inizialmente il componimento recava come epigrafe due versi del lirico greco
Mosco: “Gli alberi ancora in un’altra stagione germoglieranno/ ma tu sepolto dentro la terra starai
silenzioso”. La lirica, dunque, attraverso il confronto fra il rinnovarsi della vita nella natura e l’inesorabile
perire di quella umana, ripropone uno dei temi più cari all’autore : il contrasto tra la vita e la morte,
rappresentato dalle immagini suggestive del melograno rifiorito contrapposto al figlio, fiore caduto che non
rinascerà.

Il titolo “PIANTO ANTICO” fa riferimento al dolore universale per la perdita del proprio figlio; questo
pianto rappresenta quello degli uomini di tutti i tempi, quando sono colpiti da una così grave sventura.

METRICA: odicina anacreontica costituita da quattro quartine di settenari, di cui l’ultimo tronco, con
schema : abbc

“la pargoletta mano”: nella prima stesura compariva “piccoletta” che poi fu cambiato con il termine più
classico e delicato per sottolineare il carattere infantile della manina; la figura retorica usata è la
“sineddoche” perché viene indicata la parte per il tutto (la manina rappresenta il bambino, è ciò che
vediamo di lui).

La lirica si caratterizza per essere chiaramente divisa in strofe contrapposte che fanno riferimento a
campi semantici (= di significato) diversi: la vita e la morte. Infatti nelle prime due strofe prevalgono i
suoni aperti e predominano elementi lessicali che esprimono sensazioni visive (i colori) e tattili (il calore )
che richiamano la vita e assumono nel contesto un forte valore connotativo:

-verde melograno… rinverdì= ritorno della vita

- vermigli fior: il colore rosso dei fiori, simbolo di vitalità

- luce…calor: immagini luminose e piacevoli

Da notare l’allitterazione dei gruppi “ver” e “or” che fanno riferimento al “verde” colore della primavera
e al calore /colore della stessa; anche la ripetizione della “r” e delle “o” conferisce ai versi particolare
intensità.

Ma nelle strofe successive tutto cambia: il “muto orto solingo (solitario) parla di silenzio e solitudine, la
“terra fredda” indica la privazione del calore, la “terra negra” la mancanza di luce. Il bambino non c’è più
e ogni cosa perde vita. A cominciare dal cuore del poeta: quel bambino rappresentava ogni sua speranza
ed ora la sua vita è come spenta, inaridita. Carducci rende evidente questa sua dolorosa condizione
attraverso la metafora del fiore e della pianta che instaura un parallelismo con il melograno rifiorito (il
padre è una “pianta”, ma “percossa e inaridita” ; il figlio è “l’estremo, unico fiore” di una vita resa
“inutile” dalla sua perdita. E a sottolineare la drammaticità di tale consapevolezza la disposizione è a
chiasmo che mette fortemente in evidenza la parola “fior” contrapposta ad inizio e fine strofa. La
ripetizione di questo termine concorre ad accentuare il sentimento di dolore dell’io lirico, insieme alla
anafora (= ripetizione ravvicinata delle stesse parole per rimarcare qualcosa) del pronome “tu” con il
quale il poeta sembra volersi rivolgere direttamente al figlio, coltivando forse l’illusione di un muto
dialogo con lui.

Infine l’ultima strofa che possiamo definire di consapevole accettazione del dolore: attraverso le
anafore” sei ne la terra” e “né” ripetute due volte il poeta sottolinea ulteriormente l’ineluttabilità della
morte (= che la morte è inevitabile) e il dolore angoscioso della perdita; anche qui l’allitterazione degli
stessi suoni e della “r” sono come la conferma di un inesorabile destino di morte e della gelida fissità
della terra che è “negra” e non “nera” con un suono molto più lugubre ed aggressivo come se il poeta
volesse accentuare l’orrore del buio della tomba.

Infine nell’ultimo verso l’inversione del soggetto “amor” posto alla fine crea un altro chiasmo con “sol”
del verso precedente, sottolineando la corrispondenza tra due elementi che sono entrambi alla base
della vita, ma che sembrano non avere più valore per il poeta.

Anche il ritmo della lirica segue i contrapposti campi semantici: nella prima parte il ritmo è piano e
pacato, nella seconda si fa incalzante, quasi martellante attraverso le anafore a simboleggiare il senso di
un destino inesorabile e crudele. La morte è per l’uomo privazione definitiva di ogni bene e di ogni
consolazione come simboleggia la terra fredda e nera. Ma il contrasto infine si placa in una saggezza
accorata, in un lamento dolce e malinconico, ricco di grazia poetica e stemperato da quell’amore per la
poesia che solo potrà aiutare l’uomo Carducci a superare il proprio grande dolore.

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