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ANALISI DEL TESTO “ ALLA LUNA “ DI GIACOMO LEOPARDI :

INTRODUZIONE: " Alla luna" è stata composta a Recanati, probabilmente, come possiamo
dedurre dall'indicazione temporale "or volge l'anno" nel secondo verso, nel mese di giugno
del 1819, corrispondente al compleanno del poeta.

La pubblicazione avvenne nel gennaio del 1826: comparve con altri idilli nel "Nuovo
Ricoglitore" col titolo "La ricordanza" (il quale sarà sostituito con l'attuale titolo nell'edizione
del 1831, pubblicata a Firenze da Guglielmo Piatti).

Gli versi 13 e 14 non erano presenti nelle edizioni del 1825 e del 1831: furono aggiunti solo
nell'edizione postuma curata da Ranieri, probabilmente negli ultimi anni di vita del poeta.

"Alla luna" fa parte dei "Piccoli idilli", un gruppo di cinque componimenti che include anche
"L'Infinito", "La sera del dì di festa", "Il sogno" e "La vita solitaria". Questi segnano un
passaggio da opere a carattere civile a quelle di natura più soggettiva e focalizzate su
questioni esistenziali. Leopardi si trova in una fase conosciuta come "pessimismo storico",
caratterizzata da un costante desiderio verso qualcosa percepito a tratti come vicino e a tratti
come lontano, senza la possibilità di raggiungerlo completamente, portando piuttosto a uno
stato di noia e insoddisfazione.

Per comprendere meglio l'origine del componimento, due passaggi dello "Zibaldone" sono
rilevanti: il primo è il numero sessanta, datato da Levi tra il 21 maggio e il 21 giugno 1819. Si
fa riferimento a un anniversario legato a un'esperienza passata e al suo ricordo, che funge da
"ponte" tra passato e presente. Il secondo frammento significativo risale al 25 ottobre 1821,
parlando delle "ricordanze", cioè dei ricordi dell'infanzia, descritti come immagini vivide e
luminose più di qualsiasi altro periodo della vita, nonostante spesso siano associati al dolore.
Anche il ricordo di eventi tristi può talvolta essere piacevole, ma a volte il ricordo stesso
amplifica il dolore.

La poesia affronta il tipico tema romantico del dolore dell'umanità personificato nel
paesaggio serale: il poeta vede nella natura un "paesaggio interiore" che diventa offuscato e
tremante a causa delle lacrime che gli coprono gli occhi.

Questo è probabilmente uno dei componimenti in cui emerge una maggiore "poeticità",
intesa da Leopardi come una serie di immagini che inseguono l'ineffabile. Infatti, sappiamo
dalle annotazioni nello "Zibaldone" e da appunti marginali che i termini preferiti da Leopardi
erano quelli che non definivano completamente ciò a cui si riferivano, lasciando spazio
all'immaginazione. Nel testo, oltre a parole vaghe come menzionate in precedenza, viene
utilizzata un'immagine altrettanto efficace: quella del volto della luna, che, pur illuminando il
paesaggio su cui si posa, lascia i contorni delle cose incerti e "tremolanti", evocando il ricordo
del passato, simile al paesaggio altrettanto "vasto" e "limitato" dell'infinito.

Leopardi riprende, come accennato nell'introduzione dei due frammenti dello "Zibaldone", il
tema del dolore o del piacere evocato dal ricordo. Il potere evocativo del ricordo in relazione
alla visione o meno di un paesaggio è un tema presente anche nel componimento "L'Infinito"
(dello stesso anno).

TESTO :
O graziosa luna , io mi rammento
Che, or volge l’anno, sovra questo colle
Io venia pien d’angoscia a rimirarti:
e tu pendevi allor su quella selva
siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo nel pianto
Che mi sorgea dalle ciglia, alle mie luci
Il tuo volto apparia, che travagliosa
Era mi vita: ed è, né cangia stile,
O mia diletta luna. E pur mi giova
La ricordanza, e il noverar l’etate
Del mio dolore. Oh come grato occorre
Nel tempo giovanil, quando ancor lungo
La speme e breve ha la memoria il corso,
Il rimembrar delle passate cose,
Ancor che triste, e che l’affanno duri!

PARAFRASI : Oh graziosa ( notiamo già a partire dall’incipit la predilezione leopardiana


delle parole polisense : significa al tempo stesso “ leggiadra” e “benigna “. Notiamo una
vicinanza con Ossian i canti di Selma, 13 “ Oh graziosa stella “ ) luna ,mi ricordo che ora si
compie ( Nell’edizione del Nuovo ricoglitore nel 1826 e in quella di Bologna dello stesso
anno troviamo la variante “ or volge un anno , sopra questo poggio” . Da confrontarsi con le
Rime di Petrarca il componimento numero 62 al verso nove “ Or volge , signor mio ,
l’undicesimo anno ) un anno da quando io , pieno di angoscia venivo ( nell’edizione del 31
( Firenze) usa la variante “ venia carco” in quella del 35 (Napoli ) “ venia pieno “ ) su
questo colle ( si riferisce al monte Tabor : lo stesso dell’ Infininito ) a contemplarti : e tu
sovrastavi quel bosco come fai ora,che lo rischiari completamente. Ma a causa delle
lacrime che mi sgorgano dagli occhi a questi il tuo profilo mi appariva annebbiato e
tremolante , poiché la mia vita era piena di dolori e così è ancora , né cambia oh mia cara
luna . Eppure mi è gradito (per il “ mi giova “ si confronti l’ultimo canto di Saffo , verso
14) , il ricordo ,e il richiamare alla mente il tempo del mio dolore .Oh come si presenta
gradito nell’età della giovinezza , il ricordo delle cose passate (nelle edizioni del Nuovo
ricoglitore del 1826 , Bologna 1826 , Firenze 1831 e Napoli 1835 , utilizza la variante “ il
sovvenir ) ,quando la speranza ha ancora un percorso lungo e la memora dietro di sé un
percorso breve , benché il ricordo sia triste e l’affanno duri ( dall’edizione del Nuovo
ricognitore fino a quella napoletana del 1835 usa la variante “ e ancor che ‘l pianto duri )
tuttavia.

STRUTTURA METRICA :
La poesia è composta da sedici endecasillabi sciolti che si trovano distribuiti in quattro
periodi sintattici .
Nell’andamento ritmico notiamo una variante nel 3 periodo ( che va dal verso 10 al 12 ) :
questo inizia e metà verso e a metà del verso si conclude.

FIGURE RETORICHE DEL SUONO E DELLA RIPETIZIONE :


A primo impatto notiamo che all’interno del testo prevale il suono della consonante “ l”
come è evidente in alcune allitterazioni : al verso 4 ad esempio ne troviamo una “ e tu
pendevi aLLor su queLLa seLva” . Nell’ultimo verso troviamo l’allitterazione della lettera
“r “ : “ ancor che triste , e che l’affanno duri “ ( suono che suscita nella lettura un suono di “
sofferenza che continua nel tempo ) .
Sempre nell’ambito delle figure retoriche della ripetizione distinguiamo un chiasmo al
verso 13 -14 “lungo /la speme e breve ha la memoria il corso” .
Troviamo anche la presenza di alcune parole che vengono ripetute dando un certo
contributo fonico ( anafore ) : la prima si rintraccia al verso 1-10 . I versi di apertura “ Oh
graziosa luna vengono ripresi al verso dieci “ o mia diletta luna ( tale ripetizione
contribuisce a dare un senso di circolarità nella prima parte.
La seconda anafora si trova alla fine del componimento , nel sedicesimo verso “ ancor che
triste , e che l’affanno duri ! “.

FIGURE RETORICHE DELL’ORDINE : Le inarcarcature che troviamo contribuiscono alla


rottura dell’andamento ritmico della poesia : si trovano tra i versi 1-2 “…mi rammento /che
or volge l’anno “ ;6-7 “ dal pianto / che mi sorgea” ; 8-9 travagliosa / era la mia vita ; versi
10-11“mi giova / la ricordanza”; versi 11-12 l’etate /del mio dolore . Infine ne troviamo uno
al verso 13 / 14 dalla forte valenza espressiva : “ lungo / la speme “. Gli enjembements
che troviamo sono fondamentali in quanto contribuiscono a creare una certa “ liquidità nel
ritmo poetico per cui questo scorre piuttosto velocemente . Allo stesso tempo puntano
l’attenzione su delle parole chiave che hanno in loro il succo del pensiero che Leopardi
vuole esprimere (rammento , pianto, luci, travaglio, giova,etate).
Oltre alle inarcature troviamo anche la figura retorica dell’iperbato ( verso 6-8 ) : “ Ma
nebuloso e tremulo dal pianto che mi sorge sul ciglio , alle mie luci / il tuo volto apparia.”
Ai versi 13 / 14 incontriamo una anastrofe “ lungo / la speme e breve ha la memoria il
corso “ .

FIGURE RETORICHE DEL SIGNIFICATO :


Procedendo con ordine dall’inizio del componimento le figure retoriche che troviamo sono :
un’apostrofe alla luna ( “ Oh graziosa luna “ ) che è al tempo stesso una personificazione o
prosopopea in quanto l’aggettivo graziosa si addice più a una donna piuttosto che alla luna
( la personificazione proseguirà anche nei versi successivi , in particolare nel verso 8 “ il
tuo volto apparia…” in cui si parla del volto della luna proprio come se questa fosse una
persona ).
Tra il terzo e quarto verso troviamo due termini posti in antitesi tra loro : entrambi posti a
inizio del verso “ io venia pieno d’angoscia a rimirarti :/ e tu pendevi allor su quella selva “
Nel verso sei incontriamo una metonimia “ Ma nebuloso e tremulo dal pianto” .
Nel verso sette abbiamo una sineddoche in cui troviamo sostituita la parte per il tutto “ che
mi sorgea sul ciglio …” in questo caso per “ ciglio “ si vogliono intendere gli occhi .
Potrebbe essere interpretato allo stesso tempo come metonimia in cui si esprime il
singolare per il plurale in quanto le lacrime non sgorgherebbero da un solo occhio bensì
da entrambi .
Sempre nello stesso verso incontriamo una metafora “ alle mie luci “ : il poeta paragona i
suoi occhi alle luci sottintendendo come termine mediano l’aggettivo di luminosità ( i suoi
occhi brillano , luccicano a causa delle lacrime che vi scendono ) .

STILE :
Il tono del componimento è di tipo colloquiale in quanto rivolto a una sfera intima .
Il poeta fa uso di arcaismi allo scopo di nobilitare il componimento ( pendevi, giova ,
noverar l’state ).
La sintassi appare piana e semplice .
Il lessico pullula di termini legati al tempo nella sfera della percezione personale dell’uomo
( “ rammento”,” or volge l’anno “, “ tempo giovanil “ , “ lungo ….e breve…” , “ memoria” , “
passate cose “ , “ ricordanza” ).
Decisivo per la sensazione di pacatezza in cui si raccoglie Leopardi è il fonosimbolismo
che grazie a precise parole dal suono dolce sembra cullare il lettore in un ritmo fluido e
piacevolmente “ soporifero”.
Numerosi sono gli aggettivi possessivi utilizzati che rendono intimo il rapporto tra il poeta e
la Luna ( non le dice semplicemente “ diletta “ ma “ mia diletta “ . Utilizza più volte i
pronomi riflessivi ( “mi rammento”, “mi sorgea”, “mi giova” ) al fine di evidenziare la
chiusura del poeta in se stesso di fronte alla condizione di dolore . Tale atteggiamento
viene marcato dall’uso del pronome possessivo “ mie luci “ e nella ripetizione del pronome
personale “ io “ : demarcativo del confine tra esterno e interno .
La ripetizione del nesso “ che” viene ripetuta più volte al fine di distensione del tempo di
lettura ( fonosimbolismo ).
La vaghezza tanto auspicata da Leopardi viene raggiunta grazie agli articoli indeterminati “
un colle” , “una selva”.

I MODELLI :
( si vedano anche i modelli posti tra parentesi durante la parafrasi )
Oltre al modello classico di Virgilio abbiamo quello del poeta greco Mosco di Siracusa
( metà del secondo secolo a.C ) che prese come modello di ispirazione quello della poesia
Bucolica di Teocrito.Leopardi ne fece una traduzione nel suo Discorso sopra Mosco
( pochi anni prima dell’idillio alla luna ) : riporto qui l’incipit :
“O caro amabil Espero,
[...] Tu della luna argentea
sol cedi al chiaro splendere;
ascolta, astro carissimo,
ascolta i miei sospir.”
Oltre a questo modello è utile anche un confronto con Petrarca : l’espressione “ or volge
l’anno viene utilizzata dal poeta nel Canzoniere per indicare la distanza temporale rispetto
all’anno dell’innamoramento per Laura o dalla sua morte .Anche il termine “ alle mie luci “
è ripreso dalla tradizione petrarchesca.

COMMENTO :
Una lettura rapida rivela immediatamente la suddivisione del testo in due sezioni tematiche.
La prima sezione si concentra sulla descrizione del paesaggio lunare dalla cima del monte
Tabor, che viene paragonato al suo aspetto passato. Tuttavia, la somiglianza non riguarda il
paesaggio in sé, ma il sentimento evocato dall'osservazione. Nella seconda parte, si verifica
un cambiamento dal contesto spaziale a quello temporale. A metà del verso dieci, emerge il
tema del ricordo, introdotto precedentemente dal termine "rammento". Qui, passato e
presente si mescolano, dissolvendosi l'uno nell'altro e portando l'autore in uno stato di
sospensione spazio-temporale in cui il dolore del ricordo si risveglia.

La Luna diviene subito il focus principale, alla quale l'autore rivolge le sue attenzioni e da cui
cerca conforto. Si evidenzia che la Luna sembra poter ascoltare le sue parole, personificata
come un essere benevolo sin dal primo verso. Questa personificazione è significativa,
rappresentando la Luna come una figura femminile. Il critico Amoretti svolge un'analisi
psicanalitica, individuando nella Luna la figura materna protettrice, capace di scolpire le
durezze inflitte dalla vita. Si suggerisce che Leopardi avesse bisogno di una madre protettiva,
un bisogno "intimo".

Lo sfondo del dialogo interiore silenzioso è la selva con il monte Tabor in primo piano.
Nonostante la luce lunare illumini completamente la scena, le lacrime causate dai ricordi
offuscano la vista dell'autore, rendendo il panorama annebbiato e tremolante. Ciò riflette
come il dolore e i ricordi possano spesso impedire di guardare avanti. Il poeta paragona la
sofferenza passata a quella presente, suggerendo una continuità di tormento. Questa parte si
conclude con il termine "diletta luna", che chiude circolarmente il ciclo.

Nella seconda sezione, emerge un contrasto con il "piacevole" ricordo dell'età giovanile.
Questo periodo è considerato promettente perché l'autore ha ancora speranza in un futuro
migliore e ha pochi ricordi, consentendo la possibilità di riempirli di felici ricordi. Questo
passaggio, aggiunto negli ultimi anni di vita del poeta, anticipa una concezione chiave delle
"operette morali", in cui la fanciullezza è considerata il periodo migliore della vita, poiché
l'ignoranza del mondo consente di immaginarlo liberamente. Con l'età adulta, arriva la noia
e il mondo, ormai conosciuto, diventa restrittivo.

I tempi verbali diventano cruciali nel passaggio temporale, con un contrasto tra il presente
del primo verso e l'imperfetto utilizzato successivamente, esprimendo rimpianto e nostalgia
per l'evento passato. La conclusione è drastica, rinnovando il dolore che solo brevemente è
illuminato dal ricordo dell'infanzia, per poi rituffarsi nell'oblio della sofferenza.

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