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Alla sera di Ugo Foscolo: testo e

parafrasi
Alla sera di Ugo Foscolo: testo, parafrasi, commento e figure
retoriche di uno dei più celebri sonetti del poeta, composto nel 1803

1Alla sera: introduzione


Il sole declina, le ombre si allungano, la luce è
inghiottita dalle tenebre; le anime inquiete
contemplano questo spettacolo e la notte,
materna, le accoglie. «Sto aspettando che
scenda la notte, quando ogni cosa è
sopportabile, e lì nella pace, tutto quel che
puoi sentire è la tranquillità», canta la voce
cupa del leader dei Depeche Mode, Dave
Gahan, appoggiandosi a un ostinato, ma
dolce, basso elettronico, nella canzone
Waiting for the night, «aspettando la notte».
Fonte: ansa
Le tematiche notturne sono molto care alla
musica dark, ma passando ad altri esempi musicali più vicini a
Foscolo, si potrebbe citare il secondo tempo della Sinfonia n. 7 di
Beethoven, l’Allegretto, con le sue sonorità dolenti e il ritmo intenso.
Dopotutto la notte è uno scenario ideale per le riflessioni
esistenziali e l’uomo vi ha sempre trovato forse un riflesso del
proprio essere. La notte tradisce il desiderio di essere nuovamente
accolti dalle braccia materne, di dormire e sognare, di tranquillizzarsi,
di credere e sperare in un nuovo giorno. Ma la notte è anche figura
della morte, annullamento e oblio delle sofferenze.

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Foscolo, quasi il principe degli inquieti, Approfondisci

amava particolarmente non solo la notte ma L'Inferno di Dante Alighieri


anche il passaggio attraverso il
crepuscolo, attraverso la sera, che gli dava la tranquillità, la stessa
descritta nella canzone dei Depeche Mode, e a ben vedere usa
parole molto simili: «E mentre io guardo la tua pace, dorme / Quello
spirto guerrier ch’entro mi rugge» (vv. 13-14). La notte gli ricorda la
morte, la quiete finale della non-esistenza, il buio senza fine di chi
ha chiuso per sempre gli occhi. «I giorni possono tramontare e
risorgere; / noi, non appena tramonta la breve luce, / dobbiamo
dormire una notte senza fine»: questi sono versi di Gaio Valerio
Catullo (84-54 a.C.), che Foscolo ammirava molto, e contengono la
sempiterna metafora della notte-morte, contenuta anche nel
sonetto Alla sera; è la quiete fatale, come dice il poeta, poiché
stabilita in sorte dal Fato a tutto il genere umano. Per l’anima
segretamente tormentata, logorata dalle sue passioni, la morte
tuttavia può essere l’agognato porto in cui arrivare dopo la
traversata nel tempestoso mare della vita: questa è l’altra metafora
che anima il sonetto foscoliano, e anch’essa è molto presente in
poesia.

La notte, intesa come tale, fuori dalla Approfondisci

metafora della morte, è un momento di Salvatore Quasimodo: vita e


opere
quiete; è una morte momentanea, una
sospensione della vita e del suo travaglio. Dal crepuscolo alla notte:
«Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno / toglieva li animai che sono in
terra / da le fatiche loro…», scrive Dante nel II canto dell’Inferno, a
sua volta usando un luogo virgiliano, nell’Eneide: «Nox erat, et terris
animalia somnus habebat» (Aen. III, v. 147), «Era notte e in terra il
sonno avvolgeva i viventi». I poeti amano parlare di questo
passaggio dal crepuscolo alla notte, non resistendo al suo fascino.
Ad esempio, ecco nel Novecento una poesia fulminante di uno dei
nostri premi Nobel per la letteratura: «Ognuno sta solo sul cuor della
terra / trafitto da un raggio di Sole: / ed è subito sera» (Salvatore
Quasimodo, Ed è subito sera).

Nel sonetto di Foscolo, la sera ha i segni che


conducono all’immagine del Nulla eterno. Il
sole che declina ricorda che un altro giorno è
trascorso: «e intanto fugge / Questo reo
tempo», ci dice Foscolo; e ricorda a sé stesso
e a noi la lezione del poeta Orazio: «Dum
loquimur fugerit invida / aetas», (Odi, I, 11, vv.
7-8): «mentre parliamo, sarà fuggito il tempo
malvagio». Il Nulla: quel continuo avvolgersi
del tempo su sé stesso, che tutto trasforma,
che distrugge e ricrea meccanicamente, che
Fonte: getty-images
conduce ogni cosa all’oblio. E il pensiero vaga
verso quel nulla, distendendosi nell’oscurità, e abbraccia le stelle, e
le nubi cupe che portano la tempesta, o gli zefiri sereni dell’estate. Si
creano sogni e fantasmi. La sera si trasforma nella notte e, di notte,
si chiudono gli occhi, senza la certezza di riaprirli l’indomani.

2Testo e parafrasi
Testo

Parafrasi

Forse perché tu sei l’immagine della quiete


voluta dal fato, a me giungi così gradita,
Sera! Sia quando le nubi estive e gli zefiri
sereni ti accarezzano con dolcezza, sia quando nel cielo nevoso
rechi
con te all’universo tenebre lunghe e inquiete,
sempre scendi invocata, e le vie nascoste
del mio cuore governi soavemente. Mi fa vagare di pensiero in
pensiero sulle orme
che conducono al nulla eterno; e intanto fugge
questo tempo malvagio, e con lui se ne vanno tutte le ansie, nelle
quali esso si distrugge con me;
e mentre contemplo la tua pace, si placa
quello spirito guerriero che in me ruggisce.

3Analisi retorico-stilistica
Rispetto al sonetto «A Zacinto», «Alla sera» Approfondisci
di Foscolo è un sonetto più calmo e posato, All'amica risanata di Ugo
Foscolo: significato,
che risponde all’esigenza del poeta di
parafrasi e figure retoriche
profonda meditazione. L’incipit è quasi
silenzioso e vago con quel «Forse» che ben esprime il dubbio tipico
delle meditazioni. Subito l’anastrofe ai vv. 1-2: «Forse perché della
fatal quïete / Tu sei l’immago a me sí cara vieni, / O Sera!». «O Sera!»
è un’apostrofe, collocata al terzo verso, come pure nei sonetti «A
Zacinto» e «In morte del fratello Giovanni»; l’apostrofe indica che il
poeta si rivolge direttamente alla sera, personificandola. A dare il
senso di quiete notturna abbiamo le anafore ai vv. 3 e 5: «e
quando… e quando»; gli enjambements ai vv. 5-6, «inquïete /
tenebre», ai vv. 7-8, «secrete / vie», ai vv. 10-11, «fugge / questo reo
tempo», ai vv. 13-14, «dorme / quello spirto guerrier», conferiscono
al sonetto un’andatura nobile e inquieta.

Certamente le prime due quartine incedono più placidamente


rispetto alle terzine, che sono più incalzanti in quanto presentano il
tema del tempo che fugge. Fondamentale è la metafora «fatal
quïete» (v. 1), che sta a significare la morte, appunto quiete voluta
dal fato, destino di tutti gli uomini. La costruzione delle due quartine
vede posposto il verbo principale al v. 7 per enfatizzare le due
immagini della sera (quella estiva-primaverile e quella autunnale-
invernale) per far sì che precedano con la loro bellezza la seguente
riflessione poetico-filosofica presente nelle due terzine. Inoltre la
sera viene prima goduta nella sua bellezza cangiante e mutevole, e
poi considerata scaturigine di riflessione. Al v. 4 abbiamo il
parallelismo «nubi estive… zeffiri sereni» (ossia: soggetto +
attributo / soggetto + attributo). Ai vv. 5-6 «inquïete / Tenebre e
lunghe», oltre a presentare un enjambement, come già detto, è
anche un iperbato poiché l’ordine lineare sarebbe dovuto essere
«inquiete e lunghe tenebre».

«… e le secrete / Vie del mio cor soavemente tieni» (vv. 7-8) è una
metafora che Foscolo riprende probabilmente da Dante: «Io son
colui che tenni ambo le chiavi / del cor di Federigo, e che le volsi, /
serrando e diserrando, sì soavi / che dal secreto suo quasi ogn’uom
tolsi» (Inf. XIII, vv. 58-61); si nota, infatti, la presenza del verbo
«tenere» (tenni; tieni), il sostantivo «cor», l’aggettivo in funzione
avverbiale «soavi» in Dante, avverbio vero e proprio, «soavemente»,
in Foscolo, oltre che la parola «secreto»/«secrete», presente in
entrambi i passi. Pier delle Vigne, protagonista del passo dantesco,
fu consigliere dell’imperatore Federico II di Svevia; forse Foscolo
intende alludere che la sera è la sua più fidata e intima consigliera?
In effetti essa è il momento delle meditazioni più profonde e intime.
Ai vv. 9-10 i pensieri seguono metaforicamente le orme (le tracce,
quindi) che portano al nulla eterno, come se fossero segugi.
Importante la deissi «questo reo tempo», in cui il poeta sembra
rendere tangibile il passaggio non solo delle epoche, ma anche della
sua vita, oggettivando l’idea filosofica.

Elegante e terribile al tempo stesso è l’immagine «torme / Delle


cure», il cumulo di tutti i tormenti e delle sofferenze degli uomini,
comprese quelle del poeta, che si dissolvono insieme al tempo. C’è
poi, nel passo conclusivo, l’antitesi ai vv. 13-14: «E mentre io guardo
la tua pace, dorme / Quello spirto guerrier ch’entro mi rugge», che
combinano insieme una sorta di doppio chiasmo: «io guardo» /
«dorme quello spirto» (soggetto + verbo / verbo + soggetto),
ulteriormente combinato con l’opposizione «dorme» / «rugge» nel
finale dei vv. 13 e 14. Da un punto di vista fonico, troviamo ai vv. 14, 7,
2, 6 e 9-10 un’allitterazione della /r/ («spiRto, gueRRieR, entRo,
Rugge»); della /s/ «Sempre, Scendi, Secrete»; delle nasali /m/ e /n/
«iMMago, Me, vieNi»; «teNebre e luNghe all’uNiverso MeNi»; «orMe
/ che vaNNo al Nulla eterNo e iNtaNto». Interessante è l’utilizzo
vocalico, che alterna suoni lievi e dolci nelle quartine (vocali “i” ed
“e”, ad esempio in “quiete; vieni, liete…”) e suoni più cupi nelle
terzine.

4Commento
Questo sonetto fu pubblicato nell’aprile del Approfondisci
1803 e composto con ogni probabilità nei sei Giacomo Leopardi: vita,
mesi che lo precedono, poiché non compare opere e pensiero
nell’edizione delle poesie del 1802. Per Foscolo è un periodo pieno
di angoscia e di amarezza, di gravi impegni militari e di disillusioni
amorose, che lo rendono desideroso di equilibrio e di pace: è
necessaria la quiete per poter meditare, riflettere, scrivere. La sera
doveva essere davvero uno di quei momenti eletti in cui fermare i
pensieri e penetrare il mistero dell’esistenza attraverso gli occhi
disincantati di un ateo materialista. Alla sera è una sorta di
itinerarium mentis ad nihil, ossia un «viaggio dell’intelletto verso il
nulla», viaggio intellettuale non diverso da quello di un poeta
posteriore, quel Giacomo Leopardi che nel pessimismo cosmico
parlava di contemplare «l’arido vero».

Osservando la sera, Foscolo, figlio dell’Illuminismo, comprende


razionalmente la morte e il disfacimento del tutto; e quel tempo,
così fuggevole da rendere tutto effimero,
mette in discussione l’importanza stessa
dell’azione umana, quel desiderio di
affermazione e cambiamento: «Quello spirto
guerrier ch’entro mi rugge» (v. 14), il cui grido
potrebbe restare sepolto e inespresso.
Questo è il tormento più grande per Foscolo,
che in tutta la sua opera ha cercato, in modo
laico, di salvare l’operato umano al cospetto
dell’eternità. La contemplazione filosofica di
Ugo Foscolo necessita di segni e di esempi:
Fonte: ansa
pare quasi che il poeta voglia porsi in un
osservatorio cosmico ove vede la distruzione meccanica di tutto
quel che esiste; e, in particolare, le ansie, le preoccupazioni, i sogni, i
dolori degli uomini, che Foscolo incarna nell’intraducibile parola
latina «cura»; a torme, a nugoli, a mucchi vengono spazzati via
nell’oblio: e possiamo immaginare un cielo stellato, limpido e lontano,
invisibile a sé stesso: l’uomo trascinato via nel non essere, in una
notte senza fine.

Eppure la sera, pur essendo immagine della Approfondisci


morte, si offre come rifugio necessario, Ultime lettere di Jacopo
Ortis
come quella terra da cui si nasce e a cui si
torna. Indubbiamente il rapporto con la Natura è qui ambivalente,
come già lo era stato nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis. Una Natura
bella e sgargiante, potremmo dire, nella prima parte del romanzo
(così come la prima immagine della sera, nel sonetto, è positiva); una
Natura aspra e selvaggia, lugubre, che campeggia nella seconda
parte del romanzo, preludendo alla morte del protagonista (come,
appunto, la seconda immagine della sera nel sonetto). Una natura in
parte lontana e in parte sentimentale, cioè aderente agli stati d’animo
del poeta. Foscolo nelle sue ambientazioni notturne ha preparato il
terreno a Leopardi, che proprio dell’ambientazione notturna fece il
momento meditativo per eccellenza, come nel Canto notturno di un
pastore errante dell’Asia che, in fondo, non fa che estendere e
universalizzare il ragionamento qui concentrato in poche immagini.

E quindi occorre concludere in questo modo:


la quiete della sera scende, ma scende anche
il tormento della meditazione: il vagare dei
pensieri sopiti nel proprio dovere giornaliero,
quando bisogna agire, anche senza riflettere.
Dunque, si calma l’azione furibonda del
giorno, si libera il pensiero che vaga di
riflessione in riflessione verso l’idea del Nulla;
è un riflettere inquieto, ma la vera pace è lì,
in quel niente che si staglia davanti a noi, che
libera dall’azione stessa sebbene potrebbe
Fonte: ansa
farci sembrare tutto inutile. Eppure ci si calma
nell’indomita speranza che spunterà un nuovo giorno, che apriremo
gli occhi e ricominceremo la vita, tra gioia e sofferenza, per come
sappiamo viverla, almeno finché ci è data da Dio o, per dirla con
Foscolo, dal Fato.

6Guarda il video su Alla sera


Alla sera di Ugo Foscolo: analisi e spiegazione

7Consigli per approfondire l'opera e il


pensiero di Ugo Foscolo
La poesia di Ugo Foscolo affronta temi universali e profondi
attraverso uno stile elegante e raffinato. La sua poesia spazia
dall'amore alla patria, dalla morte alla solitudine, dalla riflessione
sull'esistenza alla critica sociale, e si distingue per la sua capacità di
rappresentare le emozioni umane in modo autentico e intenso. Se
vuoi approfondire il pensiero e le opere di questo poeta ti
suggeriamo alcuni libri:

Concetti chiave

Questo sonetto fu pubblicato nell’aprile del 1803 e composto con


ogni probabilità nei sei mesi che lo precedono, poiché non compare
nell’edizione delle poesie del 1802. Si tratta di un periodo
particolarmente tormentato per Foscolo.

Il metro: il sonetto
Alla sera è un sonetto: si compone di quattordici versi endecasillabi
suddivisi in due quartine e due terzine, con schema rimico ABAB
ABAB CDC DCD.

Le tematiche del sonetto di Foscolo


Siamo di fronte a uno dei sonetti più significativi di Foscolo, che
riprende tematiche già presenti nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis.
Come ad esempio quella del parallelo tra la sera e la morte, che però
non spaventa l'autore ma si configura come momento di
raccoglimento e di pace.

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