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Metro: sonetto; schema delle rime: ABBA, ABAB; CDE, CDE. Versi endecasillabi.
gennaio 1802) , pubblicava le Ultime lettere di Jacopo Ortis, raccoglieva gli otto
sotto l’impulso di una nuova volontà pratica che si era convertita, sul piano lirico,
nell’intimo che ben si avverte nei grandi sonetti e nell’ode milanese: processo
momento di altezza poetica e insieme di una nuova espressione personale del Foscolo
che ha superato il gusto del tumultuoso drammatico, in direzione romanzesca, le
personale e aperta alle direzioni più profonde del tempo. Il sonetto Alla Musa si
incontra con le frasi iniziali dei Frammenti su Lucrezio: «Mi abbandonò prima degli
anni giovanili il dolce spirito delle muse, che prima mi iniziò alle lettere. Io era
appena tinto della lingua latina, e ignaro al tutto della toscana, quando venni di
Grecia in Italia...» e poi «Quei primi anni della mia gioventù sebbene circondati da
molte miserie furono come illuminati dalle Muse, e fu il mio ingegno come inaffiato
dalla poesia alla quale tutta l’anima mia si abbandonava... Ora... me ne distorna non
solo il sentirmi in cuore poche faville di quel primo fuoco... Ma poiché mi abbandonò
lo spirito delle Muse, non volli del tutto abbandonarle, e per la gratitudine ch’io devo
ai lor benefici, e per la soavità che hanno lasciato dentro di me» (Prose). Alla base
del sonetto, una situazione più immaginata che vera (l’inaridirsi della vena poetica in
inopportuno di una mossa arcadica («e mel ridice Amore») e con una conclusione
misurato ed ampio, di una musica serena e malinconica, una direzione poco sicura
bisogno di uno “sfogo” del dolore. Nella parte più interessante del sonetto (le due
di altri più malinconici e cupi (lontani dalle forme ortisiane più estreme) tutti su di un
tu pur...», che lega saldamente la comparazione nella sua parte vitale. Questa parte
essenziale è legata dalla figura ormai foscoliana della Musa intimamente mitica – non
l’Italia del sonetto del 1798 – men bisognosa di elementi decorativi della prima ode,
romantico ormai così nuovo rispetto all’ornamentale più comune del tempo, come
nuovo ormai si presenta il “dramma” dei sonetti, persino troppo ridotto di fronte alla
sua funzione più intensa nei sonetti contemporanei, in un’invocazione che ha bisogno
anni») e quello di un’ansiosa contemplazione del presente e del futuro (il «timor
legata ai tre tempi della contemplazione interiore) si alternano con una fusione
del senso del presente che colora anche lo stesso passato della sua condizione
superiore dominio dei sentimenti e della tecnica che funziona in pieno impiego
poetico pur facendoci sentire echi di cultura letteraria, tracce del processo formativo
Galeazzo di Tarsia. Echi dellacasiani sono evidenti in questo sonetto ai versi 10-11:
tu pur mi lasci alle pensose membranze, e del futuro al timor cieco. Si tratta di
musica a cui tanto il Foscolo guardava. Fra questi l’uso frequente degli enjambement
che, in questo sonetto, compare con maggiore originalità personale, in una funzione
generale di espressione complessa ed intima. Degna di nota è l’alternanza dei tempi
verbali: l’imperfetto nella prima quartina, con ripetizione della desinenza verbale –iva
in rima (Diva:fuggiva, vv. 2-3), con eco in versavi(v. 1, -avi è palindromo di -iva); il
presente nella seconda quartina, in cui campeggia il pronome questa (parte di vita) (v.
5) che si oppone alla stagion prima (v. 4), a sottolineare la divisione dell’esistenza di
che indica azione reiterata nel passato (versavi, fuggiva), segue il tempo presente
tu fuggisti, v. 9): il risultato è l’abbandono del poeta in un presente (lasci, v. 10) nel
quale egli appare stretto fra il pensieroso ricordo del passato e la paura del futuro.
L’espressione muta riva (v. 6) allude alla morte, ma anche al silenzio e quindi alla
morte della poesia. Il silenzio (muta riva) è l’antitesi dell’abbondanza della parola
(copia […] di canto). Il sostantivo Diva (v.2) è un sinonimo di dea ispiratrice, Musa.
digressione sulla “ rima semantica” tra i sostantivi canto(v.1) e pianto (v. 5) … Nel
primo verso, Foscolo sottolinea l’importanza della Musa, fonte ispiratrice per la
nostalgia. Da un’attenta lettura del quinto verso, emerge il senso di angoscia e dolore
che regna nell’animo del povero Ugo: la Musa lo sta abbandonando. Siamo di fronte
umano.
Nel corso della propria vita, istintivamente o razionalmente, l’uomo è proteso verso
l’infinito. Non si rassegna alla prospettiva di una breve parabola su questa terra e
tratto peculiare nella poetica foscoliana. Il poeta vuole sottrarsi allo scorrere
inesorabile del tempo e al suo potere distruttivo. Superare le barriere anguste della
solo attraverso un’arte che abbia, come canone distintivo, la “bellezza ideale” delle
statue greche che hanno sfidato il tempo, rendendo eterno il messaggio di cui sono
portatrici. Foscolo si fa portavoce di questa eco che viene dal passato: la nascita in
Orazio, che pronunciò una celebre frase: “ Ho compiuto un’opera memorabile, più
durevole del bronzo, più elevata della regale mole delle piramidi”. La consapevolezza
di aver creato qualcosa di grande lo portò ad affermare con sicurezza “Non tutto di
me morrà, la mia più grande parte non scenderà a Libitinia e crescerò di gloria
sempre nuova” (Carmina, III). Il verso «Non omnis moriar» rimane eterno. Nessuna
presente e consegnato alla dimensione eterna. Foscolo celebra nelle Odi la “bellezza
muliebre che (…) viene eternata dal canto dei poeti, che a quelle creature danno
corrosione del tempo i personaggi che la ispirano: i vincitori e i vinti restano vivi nel
ricordo, testimoni del loro ruolo nella storia. Nel Carme dei Sepolcri, possiamo
sezione (vv. 213-295) è dedicata al potere della poesia e alle Muse che, ispirandola e
divenendo custodi dei sepolcri, li animano di un canto che vince di mille secoli il
silenzio (v. 234). Il Foscolo si serve del mito classico per introdurre la sua riflessione
sulla poesia eternatrice. Si riferisce prima alle vicende di Aiace, poi a quelle della
testimone di una forma di memoria ancor più elevata e duratura. Negli ultimi versi
Dei Sepolcri, possiamo cogliere il richiamo all’origine stessa del tema della poesia
eternatrice: le sventure dei mortali, le sofferenze della guerra ma, sopra a tutto ciò, il
canto di un vate sacro. “ L’originalità di Foscolo sta dunque nella funzione e nel
messaggio che la poesia invoca per sé: la missione civilizzatrice rende operativa la
lezione dei Sepolcri, rimettendola in vita in una società sorda al richiamo delle urne
dei forti. E’ proprio nel periodo di decadenza nel quale Foscolo si trova costretto a
vivere che la poesia assume un valore irrinunciabile, unico esempio possibile di