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Poesie di D’Annunzio

O FELCE DI LUNA CALANTE :


La luna, l’astro più caro ai poeti, moglie o sorella del sole, personificazione di
Iside, notturna lampada.  A proposito di poesie, quante volte l’abbiamo incontrata
nelle poesie di Leopardi .
Metro: tre strofe di quattro versi, costituite ciascuna da due novenari e da due
dodecasillabi, l'ultimo dei quali è sempre tronco.

O falce di luna calanteche brilli su l’acque deserte,o falce d’argento, qual mèsse
di sogniondeggia al tuo mite chiarore qua giù! 
Aneliti brevi di foglie,sospiri di fiori dal bosco 
esalano al mare: non canto non gridonon suono pe ’l vasto silenzio va. 
Oppresso d’amor, di piacere,il popol de’ vivi s’addorme... 
O falce calante, qual mèsse di sogniondeggia al tuo mite chiarore qua giù! 

La luna si trova in fase decrescente (v. 1, O falce di luna calante). Tutto intorno
è silenzioso (vv. 7-8, non canto non grido / non suono pe ’l vasto silenzio va),
quasi impercettibile è il fruscio delle foglie; nell’aria si avverte il profumo dei
fiori (vv. 5-6, Aneliti brevi di foglie, / sospiri di fiori dal bosco).
La luna, nel suo ultimo quarto, è simile a una falce, pronta a “mietere” i tanti
sogni (la messe) degli uomini che stanno dormendo profondamente, stanchi delle
fatiche dell’amore e del piacere (vv. 9-10, Oppresso d’amor, di piacere, / il popol
de’ vivi s’addorme…). 
Il componimento è breve, ma ben tornito e raffinato. È una cartolina, potremmo
dire, niente di più: ma una bella cartolina.
D’Annunzio procede all’umanizzazione della natura, esaltandone la sensualità
sfoggiando il lato languido e decadente della sua poesia. 

Le figure retoriche principali in questo breve componimento sono: 


• l’anafora dei vv. 1, 3 e 11 (O falce…);
• la metafora al v. 1, cioè la luna che si trova nella fase dell’ultimo
quarto, che ha la forma di una falce, anche se si tratta però di una catacresi,
ossia di una metafora non più percepita come tale;
• il “mite chiarore” del v. 4 è una sinestesia, figura retorica tipica
della poesia simbolista;
• nei vv. 4-5 è rintracciabile la figura retorica della personificazione
«Aneliti brevi di foglie, / sospiri di fiori dal bosco», dato che aneliti e sospiri
sono tipici degli esseri umani;
• si notano poi diverse allitterazioni al v. 1 e ai v. 5-9;
• immancabili gli enjambement (vv. 3-4, 7-8, 11-12).

PASTORI D’ABRUZZO
Settembre. Andiamo è tempo di migrare.
Ora in terra d’Abruzzo i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare,
vanno verso l’Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.
Han bevuto profondamente ai fonti alpestri
ché sapor d’acqua natia
rimanga nei cuori esuli a conforto,
che lungo illuda la lor sete in via.
Rinnovato hanno verga d’avellano.
E vanno pel tratturo antico al piano
quasi per un erbal fiume silente,
su le vestigia degli antichi padri.
Oh voce di colui che primamente
conobbe il tremolar della marina!
Ora lungh’esso il litoral
cammina la greggia.
Senza mutamento è l’aria
e il sole imbionda sì la viva lana
che quasi dalla sabbia non divaria.
Isciacquìo, calpestìo, dolci rumori,
ah perché non son io coi miei pastori?

I pastori è una notissima poesia di Gabriele d'Annunzio, che in questo compinimento


esprime tutto il suo amore per la terra d'origine. Il poeta ammira l'esistenza
semplice dei pastori, che vivono in una natura incontaminata, legati alle antiche
tradizioni. La lirica costruisce una contemplazione ampia e silenziosa, fatta di
gesti assorti e di una musica lenta e suggestiva. Nella poesia si descrive la vita
semplice degli umili, uomini e animali. La migrazione autunnale delle greggi dai
monti all’Adriatico selvaggio diventa, in modo naturale, un simbolo di continuità:
la vita della natura si ripete immutabile, di stagione in stagione. Il poeta è
consapevole di doversi inserire in questo ciclo, per disperdere il rischio della
decadenza.Il primo verso è scandito su due tempi, mentre successivamente si aprono
due periodi di 4 versi ciascuna; dopo una nuova pausa enunciativa, si riprende con
periodi via via più brevi, fino al finale. Quanto alla metrica, abbiamo quattro
strofe di cinque endecasillabi ciascuna. Il primo di ogni strofa rima con l’ultimo
della precedente, e altri due rimano tra loro (il primo e il terzo nella prima
strofa, il secondo e il quarto nelle altre). Un endecasillabo isolato, in rima con
l’ultima strofa, chiude il componimento.

STRINGITI A ME

Stringiti a me,abbandonati a me,sicura.Io non ti mancheròe tu non mi mancherai.


Troveremo,troveremo la verità segretasu cui il nostro amorepotrà riposare per
sempre,immutabile.
Non ti chiudere a me,non soffrire sola,non nascondermi il tuo tormento!
Parlami,quando il cuoreti si gonfia di pena.
Lasciami sperareche io potrei consolarti.Nulla sia taciuto fra noie nulla sia
celato.
Oso ricordarti un pattoche tu medesima hai posto.
Parlamie ti risponderòsempre senza mentire.
Lascia che io ti aiuti,poiché da temi viene tanto bene!

L’essenza dell’amore è il contatto fisico che avviene tra due persone che si amano.
A ben interpretare questo valore è Gabriele D’Annunzio nella poesia intitolata
“Stringiti a me“. Una lirica piena di intensità, che celebra l’abbraccio, la
ricerca di protezione e di abbandonarsi al partner per allontanare problemi e
tormenti. In questa poesia, contenuta nel libro “Il fuoco“, D’Annunzio invita la
sua amata ad abbandonarsi, sicura, perché in questo modo “io non ti mancherò e tu
non mi mancherai”. Gabriele D’Annunzio attraverso il contatto fisico vuole evitare
qualsiasi tipo di atteggiamento di chiusura nell’amata. Quest’ultima è invitata a
“non soffrire sola, non nascondermi il tuo tormento!”. L’autore D’annunzio invita
la donna a parlargli “quando il cuore ti si gonfia di pena”, nella speranza che lui
possa consolarla. “Lascia che io ti aiuti, poiché da te mi viene tanto bene!”

UN RICORDO

Io non sapea qual fosse il mio malore


né dove andassi. Era uno strano giorno.
Oh, il giorno tanto pallido era in torno,
pallido tanto che facea stupore.
Non mi sovviene che di uno stupore
immenso che quella pianura in torno
mi facea, cosí pallida in quel giorno,
e muta, e ignota come il mio malore.

Non mi sovviene che d'un infinito


silenzio, dove un palpitare solo,
debole, oh tanto debole, si udiva.

Poi, veramente, nulla piú si udiva.


D'altro non mi sovviene. Eravi un solo
essere, un solo; e il resto era infinito.

Avere un ricordo  vuol dire richiamare col cuore. Ed ecco allora il ricordo


accorato di D’Annunzio che incontra una donna, non ancora del tutto divenuta
fantasma del passato.Inizialmente c'è uno stato di sospensione, destato dalla
timidezza di lei, che tiene gli occhi abbassati. Sembra il silenzio degli
innamorati, quel rossore dell'anima che non ha bisogno di parole, quel minuto che
resta per sempre immerso nella mente e che pare durare un'eternità. Si apre un
mondo dentro questo mutismo, un mondo fatto di immaginazione infinita e di mistero:
abissi imperscrutabili, retti sull'invisibilità, la fuggevolezza dello sguardo.Poi,
tutto ha termine: per far finire  l'incantesimo basta uno sguardo. La chiarezza, la
verità degli occhi spezzano il mistero. Il moto è lento, ma il gioco degli occhi è
decisivo: la trama è rotta, il mondo cambia colore, lo spirito ridiventa carne: ed
ecco le parole, come sangue dalle ferite, la negazione dell'amore, ciò che era
sospeso si delinea come un rifiuto.Poesia ricca di immagini: due personaggi, faccia
a faccia. Lei, bellissima, lascia lui in sospeso, lui, innamorato preferirebbe la
morte, un improvviso colpo, ad una negazione. Ma bastano già gli occhi di lei a
dire tutto, e poi primo piano sulla bocca, che ancora deve cominciare a parlare, ma
nonostante questo è rivestita di una certa freddezza che la fa apparire convulsa ed
esangue. Dal vedere al sentire, la situazione precipita: le parole al rallentatore,
cadono una ad una, ogni sillaba diviene per il poeta goccia di sangue, brucia
come una ferita ancora aperta che ancora non si sutura e si perpetua nel ricordo.

IL VENTO SCRIVE

Su la docile sabbia il vento scrivecon le penne dell'ala; e in sua favellaparlano i


segni per le bianche rive.Ma, quando il sol declina, d'ogni notaombra lene si crea,
d'ogni ondicella,quasi di ciglia su soave gota.E par che nell'immenso arido viso
della pioggia s'immilli il tuo sorriso.

Lo sguardo del poeta si concentra su dati concreti della realtà esterna che si
trasfigura subito in chiave analogica.Il vento, paragonato ad un Dio con le ali,
scrive sulla sabbia e i segni lasciati dal vento sulla sabbia sono come le parole
da lui scritte in una sua lingua particolare. Quando il Sole scende verso
l'orizzonte da ognuno dei segni, da ogni piccola ondulazione lasciata dal vento
sulla spiaggia, par di vedere un'ombra lieve, ed il movimento delle ombre ricorda
quello delle ciglia su un viso soave di donna.E sembra che ovunque si  riproduca
infinite volte (quante le gocce della pioggia) il  sorriso della donna amata.
FIGURE RETORICHE E DI SUONO:
- Sono la personificazione "il vento scrive con le penne dell'ala"-la similitudine
"quasi di ciglia su soave gota" e infinene "s'immilli il to sorriso"
- giochi di rime e assonanze

CANTA LA GIOIA

Canta la gioia! Io voglio cingertidi tutti i fiori perché tu celebrila gioia la


gioia la gioia,questa magnifica donatrice!Canta l’immensa gioia di vivere,d’esser
forte, d’essere giovine,di mordere i frutti terrestricon saldi e bianchi denti
voraci,di por le mani audaci e cupidesu ogni dolce cosa tangibile,di tendere l’arco
su ognipreda novella che il desìo miri,e di ascoltare tutte le musiche,e di
guardare con occhi fiammeiil volto divino del mondocome l’amante guarda l’amata,e
di adorare ogni fuggevoleforma, ogni segno vago, ogni immaginevanente, ogni grazia
caduca,ogni apparenza ne l’ora breve.Canta la gioia! Lungi da l’animanostro il
dolore, veste cinerea.

D’Annunzio parla alla propria amante e le invita ad unirsi a lui in questa


celebrazione della vita.ogni cosa, per il poeta, deve essere goduta, tralasciando
il dolore abbandonandosi ai piaceri. Chi si abbandona al dolore infatti, è
considerato schiavo.La donna a cui si riferisce il poeta è considerata come un
ospite privilegiata, cinta di fiori e avvolta in una veste porpora rossa, come il
sangue che richiama la vita. Un approccio dionisiaco, che testimonia i primi passi
del sommo poeta verso la concezione del superuomo, in grado di ascoltare tutte le
musiche e guardare ogni cosa, adorare ogni fuggevole forma fuggendo dal dolore.

LA SERA FIESOLANA

Fresche le mie parole ne la serati sien come il fruscìo che fan le fogliedel gelso
ne la man di chi le cogliesilenzioso e ancor s’attarda a l’opra lentasu l’alta
scala che s’anneracontro il fusto che s’inargentacon le sue rame spogliementre la
Luna è prossima a le sogliecerule e par che innanzi a sé distenda un veloove il
nostro sogno si giacee par che la campagna già si sentada lei sommersa nel notturno
geloe da lei beva la sperata pacesenza vederla.
Laudata sii pel tuo viso di perla,o Sera, e pe’ tuoi grandi umidi occhi ove si tace
l’acqua del cielo!
Dolci le mie parole ne la serati sien come la pioggia che bruivatepida e fuggitiva,
commiato lacrimoso de la primavera,su i gelsi e su gli olmi e su le vitie su i pini
dai novelli rosei ditiche giocano con l’aura che si perde,e su ’l grano che non è
biondo ancórae non è verde,e su ’l fieno che già patì la falcee trascolora,e su gli
olivi, su i fratelli oliviche fan di santità pallidi i clivie sorridenti.
Laudata sii per le tue vesti aulenti,o Sera, e pel cinto che ti cinge come il salce
il fien che odora!
Io ti dirò verso quali reamid’amor ci chiami il fiume, le cui fontieterne a l’ombra
de gli antichi ramiparlano nel mistero sacro dei monti;e ti dirò per qual segretole
colline su i limpidi orizzontis’incùrvino come labbra che un divietochiuda, e
perché la volontà di direle faccia belleoltre ogni uman desiree nel silenzio lor
sempre novelleconsolatrici, sì che pareche ogni sera l’anima le possa amared’amor
più forte.
Laudata sii per la tua pura morte,o Sera, e per l’attesa che in te fa palpitarele
prime stelle!

I versi che compongono “La sera fiesolana” sono pervasi da una strana atmosfera
mistica dovuta allo stretto legame tra la natura e l’uomo, che finisce con
l’intrecciarsi inevitabilmente in più punti sia tramite antropomorfizzazione e sia
tramite naturalizzazione.
Queste trasformazioni sono presenti sia nelle strofe principali e sia nelle
terzine: la personificazione della Luna, la personificazione della Sera ricorrente
per tre volte, la personificazione del fieno e infine la personificazione delle
colline.
Non c’è da stupirsi se D’Annunzio fa un uso cosi cospicuo di tali figure dato che
ciò è perfettamente in linea con il tema centrale della raccolta Alcyone, dove
perdono valore le critiche e le discussioni politiche a vantaggio del panteismo
naturalistico, la totale immersione e fusione del poeta protagonista delle liriche
con tutto ciò che lo circonda, alla ricerca di emozioni, sensazioni e passioni che
la natura cela al suo interno.

TEMI: Una caratteristica curiosa della poesia è il richiamo continuo alla sfera
tematica sacro-religiosa, tramite l’utilizzo di riprese esplicite al componimento
“Cantico delle creature” di San Francesco scritto diversi secoli prima, come le tre
terzine che ne condividono la struttura della lode oppure come il richiamo
contenutistico dell’espressione “fratelli olivi” del verso 29.
Il motivo per cui D’Annunzio arricchisce la sua lirica con questo valore spirituale
è il medesimo che lo spinse nel momento in cui stese “Il Piacere” e i suoi
personaggi femminili, cioè unire sacro e profano mescolandosi tra loro in modo
quasi sacrilego provocando il pubblico lettore, in particolare quello credente, e
anche per soddisfare la sua particolare fantasia di rendere una visione della
religione cattolica sotto una luce esteta.

FERRARA

O deserta bellezza di Ferrara,


ti loderò come si loda il volto
di colei che sul nostro cuor s'inclina
per aver pace di sue felicità lontane;
e loderò la chiara
sfera d'aere ed'acque
ove si chiude la mia malinconia divina
musicalmente
E loderò quella che più mi piacque
più delle altre
delle donne morte
e il tenue riso ond'ella mi delude
e l'alta immagine ond'io mi consolo
nella mia mente.
Loderò i tuoi chiostri ove tacque
l'uman dolore avvolto nelle lane
placide e cantò l'usignolo
ebro furente.

Loderò le tue vie piane,


grandi come fiumane,
che conducono all'infinito, chi va solo
col suo pensiero ardente,
e quel loro silenzio ove stanno in ascolto
e quel loro silenzio con le porte hce sembrano voler ascoltare
tutte le porte
se il fabro occulo batte su l'incude,
e il sogno di voluttà che sta sepolto
sotto le pietre nude con la tua sorte.

Ferrara possedeva: in primo luogo paragonandola ad una donna che rimpiange la


felicità e trova conforto nell'amato; e successivamente, elogia il cielo e le acque
del fiume Po dove si specchia la malinconica città. Ricorda la donna, forse
simbolo, di una Ferrara sede di umanisti e poeti: Lucrezia Borgia, la quale è
ricordata dal poeta come nobile figura dal lieve sorriso; rievoca i conventi, di
cui è ricca Ferrara, dove scrisse i suoi versi il poeta Torquato Tasso e, infine,
elogia le strade della città che si perdono all'orizzonte e i ricordi della vita
spensierata di un tempo che oramai e sepolta.

L'espressione "La chiara sfera d'aere e d'acque", sta ad indicare che la città di
Ferrara è racchiusa in una sfera dove, al proprio interno, la città è illuminata da
un cielo limpido che si specchia nelle acque del fiume Po; mentre l'altra
espressione "le tue vie piane grandi come fiumane che conducono all'infinito",
indica che le vie presenti a Ferrara sono larghe come i letti dei fiumi e che
queste si perdono all'orizzonte, cioè non sembrano avere fine.La parola presente
alla fine della prima strofa, "musicalmente", sta a significare quello che il poeta
vuole attribuire alla poesia, cioè cerca di dare vita a tutti i paesaggi con l'uso
di parole tenere, e dando alla città un'atmosfera più armonica.

Le parole che hanno un significato pacato sono "consolo" (v.13), "placide" (v.17) e
"silenzio" (v.23) perché danno un senso di calma all'interno della poesia e una
serenità interiore nel poeta; le parole con ritmo ascendente sono "felicità" (v.4),
"malinconia" (v.8), "tenue" (v.12), "dolore" (v.16) e "furente" (v.18); mentre le
parole il cui suono delle vocali da un ardore cupo "ascolto" (v.23) e "occulto"
(v.25).
Il punto della poesia dove è presente l'anima del poeta, è: "E loderò quella che
più mi piacque delle tue donne morte e il tenue riso ond'ella mi delude e l'alta
imagine ond'io mi consolo nella mia mente". Ho scelto questi versi poiché il poeta,
interviene nella poesia, rievocando un fatto che non potrà mai dimenticare per la
sua importanza e quindi lo elogia.
All'espressione "sogno di voluttà", possiamo dare l'interpretazione del ricordo di
una vita spensierata e allegra che c'era ai tempi della corte dei duchi d'Este.

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