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Giovanni Pascoli

Vita

Giovanni Pascoli nasce il 31 dicembre 1855 a San Mauro di Romagna, da una famiglia di condizione
piuttosto agiata: il padre, Ruggiero, è fattore di una tenuta di proprietà dei principi Torlonia. La sua famiglia
è molto numerosa: Giovanni è il quarto di ben dieci figli.

La vita familiare viene presto sconvolta da una tragedia: il 10 agosto 1867, mentre torna a casa dal mercato
di Cesena, Ruggiero Pascoli viene ucciso a fucilate. La morte del padre crea difficoltà economiche alla
famiglia, che deve lasciare la tenuta, trasferirsi a San Mauro e in seguito a Rimini, dove il figlio maggiore
Giacomo ha trovato lavoro, assumendo il ruolo paterno (viene chiamato infatti “piccolo padre”).

Al primo lutto in un breve giro di anni, ne seguono altri: nel 1868 muoiono la madre e la sorella maggiore,
nel ’71 il fratello Luigi, nel ’76 Giacomo.

Giovanni frequenta il collegio degli Scolopi ad Urbino, dove riceve una rigorosa formazione classica. Nel ’71,
per le ristrettezze della famiglia, deve lasciare il collegio, ma può proseguire gli studi a Firenze. Nel ’73,
grazie al brillante esito di un esame (della commissione fa parte Carducci), ottiene una borsa di studio
presso l’Università di Bologna, dove frequenta Lettere.

Negli anni universitari Pascoli subisce il fascino dell’ideologia socialista di Andrea Costa. Partecipa a
manifestazioni contro il governo, viene arrestato nel ’79 e si trova a dover trascorrere alcuni mesi in
carcere, per venire alla fine assolto. L’esperienza è però per lui traumatica e determina il suo definitivo
distacco dalla politica militante.

Si laureò nel 1882 e inizia subito dopo la carriera di insegnante liceale, prima a Matera, poi dal 1884 a
Massa. Qui chiama a vivere con sé le due sorelle, Ida e Mariù, ricostituendo così idealmente quel nido
familiare che i lutti hanno distrutto. Nel 1887, sempre con le sorelle, va ad insegnare a Livorno, dove rimane
fino al ’95.

Nel 1895 Pascoli prende in affitto una casa a Castelvecchio di Barga, nella campagna lucchese, dove va a
vivere con la sorella Mariù, dopo le nozze di Ida. Sempre nel ’95 ottiene la cattedra di grammatica greca e
latina all’Università di Bologna, poi di letteratura latina all’Università di Messina, dove insegna fino al 1903.

Passa quindi a Pisa e dal 1905 subentra al suo maestro Carducci sulla cattedra di letteratura italiana a
Bologna.

Poetica

 Fra umanitarismo e nazionalismo

L’esperienza del carcere segnò profondamente Pascoli, e in particolare gli fece capire quanto fossero
importanti i valori della concordia tra gli uomini e la solidarietà.

Per questo, quando parliamo della sua ideologia, parliamo di umanitarismo.

A partire invece dal fenomeno dell’emigrazione vediamo nascere in Pascoli l’ideale nazionalistico, tanto che
si schiera a favore dell’intervento coloniale in Africa.

Ciò che portò Pascoli a considerare l’emigrazione come un fattore del tutto negativo, è che essa aveva
come effetto la devastante distruzione del “nido” familiare.

 Una nuova poetica


La poetica di Pascoli si basa principalmente su quanto esposto dal poeta stesso nel saggio “Il fanciullino”, in
cui Pascoli sostiene che dentro ogni uomo è nascosto un fanciullino in grado di provare meraviglia e
stupore e di scoprire, pertanto, i misteri che si nascondono in ogni cosa.

Di questo però è capace solo il poeta. Ed è così che nasce la poetica della meraviglia e dello stupore,
attraverso la quale si può conoscere la realtà vera, quella inaccessibile per via razionale.

Ed è proprio perché solo la poesia (secondo Pascoli) può essere usata come strumento di conoscenza del
mondo, che egli matura una forte sfiducia nella scienza.

Entrambi gli aspetti appena citati, ci portano a collocare Pascoli all’interno di una prospettiva decadente.

Infatti, ad esempio, il ritorno all’infanzia può essere considerato una sorta di tentativo di evasione dalla
realtà presente.

Ma la sua sensibilità decadente la si nota soprattutto da ciò che egli ha in comune con il Simbolismo
francese, ovvero:

la ricerca dei significati nascosti delle cose

l’uso di un linguaggio simbolico e musicale (soprattutto di analogie) per esprimere suddetti significati.

Il suo stile può essere definito impressionistico, perché vuole dare delle impressioni sensoriali immediate
attraverso l’uso di legami di suono tra le parole (il significato grammaticale, quindi, è messo in secondo
piano).

 I temi della poesia di Pascoli

I temi ricorrenti nella sua poesia sono:

- Il ricordo dei cari defunti e l’assassinio del padre, quindi in generale il pensiero della morte.

- L’esaltazione del “nido”, visto come SIMBOLO del mondo chiuso, accogliente e protettivo degli affetti
familiari.

- la celebrazione della natura (che il poeta riesce a vedere in profondità grazie alla sua sensibilità da
fanciullino).

- il significato simbolico e misterioso attribuito ad alcuni elementi del paesaggio

- il senso di angoscia e smarrimento di fronte all’immensità del cosmo

- l’affrontare temi esistenziali riprendendo i miti del mondo classico

 L’innovazione stilistica

Linguaggio analogico e allusivo

il linguaggio analogico in Pascoli si basa analogie tra le cose che creano legami tra realtà anche
profondamente diverse e lontane. in questo modo è possibile scoprire legami nascosti, e quindi parliamo di
potenza allusiva del linguaggio.

o I simboli

le parole spesso assumono un significato simbolico, cioè creano un nesso tra il simbolo e la realtà
simboleggiata.

ad esempio, il “nido” simboleggia la realtà del legame familiare.


o la struttura sintattica

la struttura sintattica è prevalentemente PARATATTICA, cioè costituita solo da frasi principali

o la metrica

pascoli usa versi, strofe e rime propri della tradizione, ma li rende nuovi grazie al variare degli accenti
ritmici, che creano effetti musicali particolari.

questo grazie all’inserimento nei versi di:

- puntini di sospensione

- incisi

- punti fermi

- punti esclamativi e interrogativi

Le pause a volte riescono a conferire alla poesia una certa drammaticità

o Aspetti fonici

fa uso dell’ONOMATOPEA, ovvero il riprodurre il suono di un oggetto o di un’azione tramite una parola che
dal punto di vista semantico non ha significato, ma che descrive il modo in cui il nostro orecchio sente quel
suono (es. “gre gre di ranelle")

importante è anche il FONOSIMBOLISMO, cioè quel procedimento basato sulle suggestioni provenienti dai
suoni delle parole (scelte più per il loro valore fonico che semantico).

o il plurilinguismo

si parla di “Plurilinguismo Pascoliano” perché egli usa

sia termini aulici che colloquiali o dialettali;

o anche termini tecnici e scientifici;

o ancora, espressioni straniere.

Opere

Myricae (raccolta)

È una raccolta dei primi componimenti scritti dal 1890. Sono 156 liriche ispirate alla cultura classica.
Mirycae è il nome latino di un arbusto: le tamerici. Nella quarta ecloga di Virgilio (bucoliche) c’è una frase
importante che Virgilio rivolge alle muse «Non omnis arbusta iuvant humilsque mirycae» nella prefazione
dell’Eneide (trad.: Non a tutti giovano gli arbusti e le umili tamerici). Il senso risiede nella volontà di Virgilio
di discorrere dei grandi temi ed argomenti senza affidarsi alle quotidiane sottigliezze.

Pascoli, invece, ribalta il significato poiché l’obbiettivo è parlare di cose semplici e umili, che facciano parte
dell’uomo ordinario.

I Temi:

 Rapporto con i Classici; mentre il mondo classico tendeva a comunicare grandi contenuti con
l’apologia e l’esaltazione degli eroi, Pascoli esalta l’importanza delle piccole cose
 La Natura; è intesa sia come paesaggio che come simbolo. Essa non è solo sfondo della vita del
poeta ma per la prima volta viene colta nella sua accezione lavorativa.

 Il nido familiare; inaugura tale tema nella lirica X Agosto. Nucleo tematico della produzione
Pascoliana è il tema del «nido» familiare, che si eleva a vero contrassegno della sua poetica.

 Lutto e morte; L’autore non riesce a elaborare e superare il lutto e il grande dolore per la perdita
del padre e dei suoi familiari.

 Tema della fratellanza; La solidarietà intesa come comunanza con gli altri uomini, la condivisione
delle tendenze comuni.

Lavandare (da Myricae)


Testo Parafrasi
Nel campo mezzo grigio e mezzo nero In mezzo al (Nel) campo per metà grigio e per metà nero
resta un aratro senza buoi, che pare (mezzo grigio e mezzo nero: mezzo arato e mezzo no - la
dimenticato, tra il vapor leggero. metà grigia è quella non ancora arata, mentre la metà
nera è quella in cui la terra è stata rivoltata dall’aratro e
seminata) giace (resta) un aratro abbandonato (aratro
senza buoi) che sembra (che pare) abbandonato
(dimenticato), in una nebbia leggera (vapor).

E cadenzato dalla gora viene Dal fossato (gora – termine tecnico) giunge (viene)
lo sciabordare delle lavandare ritmato (cadenzato) lo sciabordio (lo sciabordare -
con tonfi spessi e lunghe cantilene: onomatopea) delle lavandaie (lavandare) con frequenti
(spessi) colpi (tonfi - onomatopea) e lenti (lunghe) canti
monotoni (lunghe cantilene – spessi-tonfi/lunghe-
cantilene: chiasmo):

il vento soffia e nevica la frasca, il vento soffia e fa cadere come neve (nevica – il verbo
e tu non torni ancora al tuo paese! nevicare è usato transitivamente) le foglie (la frasca –
quando partisti, come son rimasta! vento-soffia/nevica- frasca: chiasmo) e tu [la persona
come l'aratro in mezzo al maggese. amata] non torni ancora al tuo paese! Quando sei
partito come sono rimasta (sola)! [abbandonata] come
l’aratro (come l'aratro - similitudine) in mezzo al campo
incolto (maggese - campo lavorato in maggio e lasciato
poi a riposo perché possa tornare ad essere fertile).

Riassunto

Il poeta passeggia in campagna in una giornata d’autunno. Il paesaggio è avvolto in una nebbiolina che sale
leggera dal terreno e Pascoli scorge nel mezzo di un campo, arato a metà, un aratro abbandonato. Da un
fosso arriva il canto triste e lento delle lavandaie al lavoro. Il canto racconta di un’innamorata rimasta sola,
in attesa che l’amato ritorni, ella si sente triste e malinconica come l’aratro abbandonato in mezzo al
campo.

Analisi del testo della poesia:

La poesia “Lavandare” è un esempio di impressionismo pascoliano in quanto il poeta come in un quadro


rappresenta, accostandoli, gli elementi che compongono la descrizione: Il campo arato a metà con un
aratro abbandonato nel mezzo, il canto triste delle lavandaie ed il malinconico e spoglio paesaggio della
campagna autunnale.
Si distinguono diverse aree sensoriali:

La prima strofa è tutta giocata sui colori e prevalgono le sensazioni visive: l’aratro abbandonato, il campo
mezzo nero e mezzo grigio, la nebbiolina creano un’immagine pittorica a impressionismo visivo;

nella seconda strofa prevalgono invece le sensazioni uditive, parte onomatopeica: rumore sordo dei panni
battuti nell’acqua e il canto triste delle donne à impressionismo uditivo

nella quartina conclusiva, contenente le parole della canzone cantata dalle lavandaie, entrambi i sensi
partecipano: le sensazioni uditive del soffiare del vento (il vento soffia) e visive del cadere delle foglie
(nevica la frasca) e dell’aratro abbandonato (l'aratro in mezzo al maggese) fanno da contorno all’emergere,
nei due versi centrali, della verità esistenziale della dolorosa solitudine dell’uomo à componente
simbolistica.

Tematica

I temi principali sviluppati da questo breve componimento poetico sono quelli dell’abbandono e della
solitudine. Pascoli si serve degli aspetti della natura e delle cose in maniera emblematica, simbolista, per
creare corrispondenze che conducono ad un’immagine desolata che trova il suo corrispettivo nello stato
d’animo del poeta colmo di malinconia e di smarrimento.

Campo arato a metà con un aratro

L’immagine dell’aratro in mezzo al campo apre e chiude il componimento, dandogli una struttura circolare.
Il campo arato solo a metà suggerisce un senso di incompletezza e l’aratro anticipa la sensazione di
abbandono. Questi aspetti oggettivi della vita contadina diventano simbolo della solitudine dell’uomo.

Canto delle lavandaie

Il canto delle lavandaie, riportato nella quartina finale (vv.7-10), è la trascrizione quasi alla lettera di due
canti popolari marchigiani. Nonostante ciò, possa indurre, unitamente alla rappresentazione oggettiva della
realtà delle prime due strofe, a dare una connotazione di tipo impressionistico-verista alla poesia in quanto
rappresenta il tipico “documento umano”, caro ai veristi, in realtà l’interpretazione conclusiva è di tipo
simbolista: emerge il destino di solitudine e di abbandono proprio della condizione umana.

Figure retoriche

Enjambement:

vv.2/3 pare /dimenticato;

vv.4/5 viene / lo sciabordare.

Chiasmi:

v.6 con tonfi spessi e lunghe cantilene - sostantivo-aggettivo/aggettivo-sostantivo;

v. 7 vento soffia e nevica la frasca - sostantivo-verbo/verbo-sostantivo.

Sinestesia v.6 tonfi spessi.

Allitterazioni

in r - nero, aratro, pare, vapor leggero, gora, sciabordare, lavandare, torni ancora, rimasta, aratro;

in f, tonfi, soffia, frasca;

in s e sc, spessi, soffia, sciabordare;


in t, tu non torni, al tuo, partisti, rimasta;

in m, in mezzo alla maggese.

Onomatopee contribuiscono fonicamente a produrre la sensazione della nebbia, del suono dell’acqua (es.:
sciabordare, tonfi) e del rumore del vento (es.: soffia).

Similitudine vv.9/10 son rimasta! / come l'aratro in mezzo al maggese

Metafora v. 7 nevica la frasca immagine che evoca il cadere delle foglie come fiocchi di neve.2

X Agosto (da Myricae)


Testo Parafrasi
San Lorenzo, Io lo so perché tanto San Lorenzo, io so il motivo per cui così tante stele
di stelle per l’aria tranquilla brillano e cadono nell’aria tranquilla, il motivo per cui
arde e cade, perché sì gran pianto nel cielo concavo risplende un pianto così grande.
nel concavo cielo sfavilla.

Ritornava una rondine al tetto: Una rondine stava ritornando al tetto, quando la
l’uccisero: cadde tra spini: uccisero e cadde tra le spine dei rovi. Nel becco aveva
ella aveva nel becco un insetto: un insetto, che era la cena dei suoi rondinini.
la cena dei suoi rondinini.

Ora è là come in croce, che tende Ora è lì come in croce, che porge quel verme al cielo
quel verme a quel cielo lontano; lontano e i suoi piccoli sono nell’ombra, che la
e il suo nido è nell’ombra, che attende, aspettano e pigolano sempre più piano.
che pigola sempre più piano.

Anche un uomo tornava al suo nido: Anche un uomo stava tornando al suo nido, quando lo
l’uccisero: disse: Perdono; uccisero. Prima di morire disse: «Perdono». Negli occhi
e restò negli aperti occhi un grido aperti restò un grido. Portava in dono due bambole.
portava due bambole in dono…

Ora là, nella casa romita, Ora là, nella casa solitaria, la sua famiglia lo aspetta
lo aspettano, aspettano in vano: inutilmente. Egli immobile e stupito mostra le bambole
egli immobile, attonito, addita a Dio.
le bambole al cielo lontano.

E tu, Cielo, dall’alto dei mondi E tu, Cielo infinito e immortale, dall’alto dei mondi
sereni, infinito, immortale, sereni, inondi di un pianto di stelle questo atomo opaco
oh! d’un pianto di stelle lo inondi del Male!
quest’atomo opaco del Male!

Tematica

Rappresenta la principale poesia in cui rievoca la tragedia familiare scoppiata in seguito all’uccisione del
padre avvenuta proprio il 10 agosto del 1867, nella notte di San Lorenzo

Siamo a un anno dall’uccisione del padre e Pascoli contempla il cielo nel suo luccichio di stelle cadenti le
quali a parere dello stesso corrispondono a un pianto del cielo per l’uccisione del padre. Al centro della
poesia vi è l’accostamento della famiglia di Pascoli con una famiglia di rondini. Pascoli descrive così un
parallelismo fra una rondine uccisa mentre porta il cibo al nido e il padre del poeta assassinato mentre
tornava a casa. La rondine rimane tra gli spini senza vita come in croce accostando così le vittime (rondine e
padre) al sacrificio di Cristo. Nel frattempo, il nido con i rondinini si avvia alla fine data la mancanza della
rondine unica fonte di sostentamento. Analogamente anche un uomo sta tornando a casa ma viene ucciso
rimanendo con gli occhi sbarrati con in mano due bambole da portare in dono ai suoi figlioletti. Nella casa
ormai desolata tutti lo aspettano invano mentre l’uomo come la rondine rimane esposto al cielo il quale
ignora di quanto male pervada la terra.

Figure Retoriche

Apostrofe: San Lorenzo (v. 1) = il poeta si rivolge al santo celebrato il 10 agosto, anniversario dell'assassinio
del padre.

Enjambement: - tanto/di stelle (v. 1-2) - tende/quel verme (vv. 9-10) - addita/le bambole (vv. 19-20) -
mondi/sereni (vv. 21-22) - inondi/quest'atomo (vv. 23-24)

Sineddoche: al tetto (v. 5) = invece di dire al suo nido.

Allitterazioni: - vv. 1-2, v. 5, v. 12, v. 19, v. 24

Personificazioni: - Cielo e Male (vv. 21; 24)

Anastrofe: ritornava una rondine al tetto = il soggetto inserito dopo il verbo (v. 5)

Similitudini: - come in croce

Metonimia - il suo nido che pigola (v. 11) - al suo nido (v. 13)

Metafore: - perché si gran pianto = le stelle che cadono diventano il simbolo del pianto (v. 3) - d'un pianto
di stelle (v. 23) - quest'atomo opaco del Male (v.24) = indica la Terra.

Sinestesie: - restò negli aperti occhi un grido (v. 15)

Anafora: - Ora è là (vv. 9 e 17) = evidenziano il parallelo tra le due morti, quella della rondine e quella del
padre.

Temporale (da Myricae)


Testo Parafrasi
Un bubbolìo lontano… Si sente in lontananza un brontolio. In direzione del
mare l’orizzonte si colora di rosso, come se fosse
Rosseggia l’orizzonte, infuocato. Verso il monte il cielo è nero come la pece. Ci
come affocato, a mare: sono degli stralci di nuvole chiare. In mezzo al nero si
nero di pece, a monte, vede un casolare, che sembra l’ala di un gabbiano.
stracci di nubi chiare:
tra il nero un casolare:
un’ala di gabbiano.
Riassunto

La poesia descrive un paesaggio su cui incombe un imminente temporale. All'orizzonte il cielo sta
tramontando, quindi è tutto rosso, ma di spalle, sul monte, tutto appare nero e cupo. In mezzo al nero del
cielo e del monte, si intravede un casolare. Con una metafora piuttosto ardita, il poeta ci dice anche che
l'immagine del casolare in mezzo al nero gli fa pensare a quella dell'ala di un gabbiano, presumibilmente
mentre vola (altrimenti l'ala, in sé, non è così visibile e importante perché appiattita sul corpo).

Figure retoriche

Bubbulìo: onomatopea. Comunica una sensazione di tristezza.

Alliterazione: segnata dal colore rosso. Comunica la sensazione di prolungamento del temporale.

Similitudine: “Rosseggia l’orizzonte come affocato, a mare”. Comunica sensazione di un paesaggio caldo.
Metafora: “nero di pece” e “stracci di nubi”. La prima comunica una sensazione di buio e la seconda di
tristezza.

Analogia: casolare/ala di gabbiano. Vi è il linguaggio analogico: "tra il nero un casolare: un'ala di gabbiano".
In pratica, sono accostate tra loro in modo impensato e sorprendente due realtà tra loro remote,
eliminando tutti i passaggi logici intermedi. Tra il casolare e l'ala di gabbiano vi è un rapporto di somiglianza
dovuto al colore bianco, e al fatto che entrambi si stagliano sul cielo.

Linguaggio analogico (analogia e simbolismo)

Il lampo (da Myricae)


Testo Parafrasi
E cielo e terra si mostrò qual era: E il cielo e la terra apparvero come erano:
la terra ansante, livida, in sussulto; la terra affannata, buia, in agitazione;
il cielo ingombro, tragico, disfatto: il cielo occupato dalle nuvole, cupo, a pezzi:
bianca bianca nel tacito tumulto nel silenzioso tumulto una casa bianchissima
una casa apparì sparì d’un tratto; apparve all’improvviso e subito scomparve;
come un occhio, che, largo, esterrefatto, come un occhio che, grande, stupito,
s’aprì si chiuse, nella notte nera. si aprì e si chiuse, nella notte buia.
Analisi

Il titolo è parte integrante del testo poetico, poiché ne esplicita l’oggetto.

La poesia si apre con l’immagine di sofferenza, agitazione, oscurità che riguarda cielo e terra. Nello
sconvolgimento dovuto all’arrivo del temporale, improvvisamente appare agli occhi dell’io poetico una casa
bianca, che contrasta con il nero d’intorno e scompare subito dopo, con la rapidità di un occhio che si apre,
si dilata e si chiude.

Come in molti altri testi di Pascoli anche in Il lampo, la rappresentazione del reale nasconde un significato
simbolico, poiché filtrata dalle impressioni soggettive.

Il lampo può rappresentare la ragione che, per un attimo, mostra il male connaturato al mondo.

La casa bianca che appare all’improvviso può rappresentare il “nido”, il rifugio protettivo, che si oppone alla
sofferenza che sta fuori.

L’occhio dei versi finali può legarsi al lampo, da cui scaturisce l’immagine del paesaggio: se il lampo è
l’illuminazione della ragione, l’occhio è ciò che osserva, «stupito», il male del mondo e poi si richiude per
non vederlo più.

Figure Retoriche

La figura del climax è presente al v. 2 (ansante, livida, in sussulto), al v. 3 (ingombro, tragico, disfatto) e al v.
6 (largo, esterrefatto).

Al v. 4 bianca bianca è una ripetizione del termine che ne rafforza il significato, mentre tacito tumulto è un
ossimoro con allitterazione del suono /t/.

Al v. 5 si ha una antitesi apparì sparì (che è anche una paronomasia), figura che ritroviamo anche al v. 7 con
s’aprì si chiuse.

Ai vv. 6-7 è presente un enjambement (come un occhio, che, largo, esterrefatto / s’apri); i due versi sono al
tempo stesso una similitudine.

Nel verso finale troviamo l’allitterazione dei suoni /n/ ed /e/ (nella notte nera).
Il tuono (da Myricae)
Testo Parafrasi
E nella notte nera come il nulla, E nella notte nera come il nulla,
a un tratto, col fragor d’arduo dirupo all’improvviso, con il fragore di una rupe
che frana, il tuono rimbombò di schianto: scoscesa che frana, il tuono rimbombò di colpo:
rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo, rimbombò, riecheggiò a tratti, rotolò cupamente,
e tacque, e poi rimareggiò rinfranto, e tacque, e poi risuonò come fa l’onda che rifluisce dopo
e poi vanì. Soave allora un canto essersi infranta sugli scogli,
s’udì di madre, e il moto di una culla. e poi svanì. Allora si udì il canto
di una madre, e il movimento di una culla.

Analisi

Il tuono e Il lampo, poste una dopo l’altra nella raccolta, descrivono due momenti contigui: all’apparizione
del lampo, segue il fragore improvviso del tuono. Il legame tra i due testi è esplicitato anche dalla ripresa, a
incipit de Il tuono, del sintagma «nella notte nera» presente nel verso di chiusura de Il lampo.

A differenza della poesia che la precede, però, Il tuono ha una conclusione consolatoria e protettiva, poiché
gli ultimi due versi presentano l’immagine della madre che canta una ninna nanna al bambino in culla. Se la
«casa» (v. 5) de Il lampo rappresentava il “nido”, il rifugio protettivo, che però appariva e spariva subito
dopo, qui l’immagine della madre e del bambino suggerisce una quiete più duratura.

Un’altra differenza che si rintraccia tra le due poesie è che Il lampo è costruita su una serie di impressioni
visive, mentre ne Il tuono prevalgono quelle uditive, come dimostrano i termini onomatopeici utilizzati:
«fragor» (v. 2), «rimbombò» (vv. 2-3), «rimbalzò», «rotolò cupo» (v. 3), «rimareggiò rinfranto» (v. 4).

Figure Retoriche

Per quanto riguarda le figure retoriche, frequente è l’allitterazione: quella della /n/ al v. 1 («nella notte nera
come il nulla»), della /r/ al v. 2 («a un tratto, col fragor d’arduo dirupo») e al v. 4 («rimbombò, rimbalzò,
rotolò»).

Al v. 1 troviamo anche una similitudine: il colore nero, riferito alla notte, viene paragonato al vuoto
assoluto. Il «nulla» del primo verso rima con la «culla» del verso finale, a simboleggiare che l’angoscia del
vuoto ha lasciato spazio alla serenità del nido.

Al v. 4 troviamo la figura dell’enumerazione per asindeto, che raggruppa una serie di parole come un elenco
(«rimbombò, rimbalzò, rotolò») e, in questo caso, velocizza il ritmo della poesia.

Sempre al v. 4 possiamo notare la presenza della figura dell’onomatopea (rimbombò) e di quella della
sinestesia («rimbombò, rimbalzò, rotolò»; sono associate infatti la sensazione uditiva e quella visiva).

L’enumerazione, stavolta per polisindeto, la troviamo anche ai vv. 5-6 («e tacque, e poi rimareggiò
rinfranto, / e poi vanì»), dove si rintraccia anche un anticlimax, come dimostrano i termini posti dal poeta in
ordine decrescente di intensità: questo non solo segna lo svanire del tuono, ma anche il passaggio
dall’atmosfera negativa e angosciosa a quella positiva e rassicurante del finale.

Temporale, Lampo, Tuono


 
Il nido minacciato
Il motivo centrale delle liriche è la contrapposizione tra la natura minacciosa e il nido-casa.
- Temporale: tra le nuvole minacciose si intravede un casolare, un luogo in cui rifugiarsi;
- Lampo: una casa appare bianchissima allo sprigionarsi della luce, per poi scomparire nel buio;
- Tuono: si chiude con il canto di una madre, china a confrontare il bambino spaventato.
 
Il procedimento analogico
La tecnica usata da Pascoli accosta i particolari del paesaggio senza legami logici, anche se la struttura regge
sulle contrapposizioni.
 
- Temporale: al bubbolio del verso iniziale è contrapposta l’ala di gabbiano nell’ultima immagine;
- Lampo: all’immagine della terra e del cielo lividi segue la visione improvvisa della casa bianca, paragonata
a un occhio umano, isolato dal volto, che si apre e chiude impaurito dalla visione del cielo in tempesta;
- Tuono: il rimbombo viene associato all’immagine materna e al movimento di una culla.
 
L’interpretazione simbolica
Nelle tre liriche il poeta proietta nella natura la sua sensibilità e il suo turbamento interiore; i particolari del
paesaggio sono accostati senza legame logico e il significato dei versi è aperto e affidato al lettore.
- Temporale: nel cielo minaccioso il bianco è simbolo positivo di speranza;
- Lampo: fa riferimento alla tragica morde del padre, il richiamo all’occhio è un’allusione agli ultimi
momenti del padre che vede il bagliore della fucilata;
- Tuono: il nero e il nulla della similitudine creano una forte sospensione ed esprimono la mancanza di ogni
certezza; il nero è simbolo dell’ignoto.

La tecnica impressionistica
- Temporale: il poeta antepone l’aggettivo al sostantivo (nero di pece), dando rilievo all’oscurità;
- Lampo: la tecnica impressionistica vuole rendere l’idea di un ordine interrotto dalla violenza della
tempesta;
- Tuono: inizia con il fragore che rimbomba nell’oscurità. All’impressione visiva della notte e quella uditiva
del tuono si contrappone l’impressione affettiva della madre, che veglia il sonno del bambino.
 
La trama sonora
- Temporale: l’unica sensazione acustica è l’onomatopea del bubbolio;
- Lampo: sono molto usate le onomatopee, che mimano l’improvvisa rapidità del lampo;
- Tuono: sono centrali le sensazioni uditive, rese da allitterazioni.

Il Fanciullino (saggio)

Il Fanciullino è il più importante saggio di teoria poetica di Giovanni Pascoli. È composto da venti capitoli ed
è stato pubblicato integralmente nel 1907, dopo un’elaborazione durata circa dieci anni. Il nucleo
fondamentale del saggio è contenuto nel titolo: secondo il poeta, infatti, dentro di noi esiste un fanciullino,
un bambino che rimane così com’è anche quando cresciamo e diventiamo adulti. Il fanciullino continua a
comunicare emozioni e sensazioni con la stessa voce, ma quando cresciamo non lo ascoltiamo, in quanto
siamo impegnati con i problemi che dobbiamo affrontare quotidianamente. Solo il poeta riesce ad ascoltare
la voce del fanciullino, il quale vede tutto come nuovo e meraviglioso e viene affascinato da avventure ed
eroi. Questo bambino che non cresce mai è presente in tutti gli esseri umani e in ognuno di noi ride, sogna,
si meraviglia, prova entusiasmo e curiosità.

Canti di Castelvecchio

Al pari di Myricae, i Canti di Castelvecchio conoscono numerose edizioni. Il legame tra queste due raccolte
non si esaurisce nel carattere di opere in fieri, ma risulta ancora più profondo: lo stesso Pascoli lo pone
idealmente sulla stessa linea, nel momento in cui, nella Prefazione alla prima edizione, definisce i Canti
“myricae”. I canti si chiamano così perché prendono il nome dal luogo dove vengono generati.

Da questa ritrovata serenità, nascono i canti di Castelvecchio che sono ispirati all’ambiente romagnolo. La
natura è la stessa, dal punto di vista paesaggistico è un po’ diversa ma come habitat le caratteristiche sono
le stesse. Il poeta fanciullo è capace di ascoltare, ciò che ritorna nella sua mente è ciò che ha vissuto a San
Mauro durante l’infanzia. Questi componimenti propongono nuovamente al lettore un’immersione tutta
lirica ed emozionale nella campagna. In una misura di versi più ampia e distesa rispetto alle poesie di
Myricae, l’autore si abbandona alla descrizione dei paesaggi di Castelvecchio, che si intreccia e si mescola
continuamente con la rievocazione della realtà romagnola vissuta nell’infanzia.

È la dimensione della memoria, del doloroso passato, dei cari perduti che permea interamente i Canti; la
raffigurazione della natura si carica così delle ansie, delle inquietudini e delle angosce del poeta. Egli ha
tentato di ricostruire un “nido” che potesse sostituirsi a quello della sua infanzia, distrutto tanto
precocemente e atrocemente. Questo bisogno intimamente sentito dall’autore nei versi dei Canti si traduce
in immagini simboliche quali il “nido” o la “siepe”, confine che separa quel mondo chiuso e accogliente, in
cui il poeta si è rifugiato, dalla realtà esterna inquietante e minacciosa; ciò che il poeta ha cercato di creare
intorno a sé è un universo fatto di piccole cose, di affetti sinceri e di emozioni semplici.

Il gelsomino notturno (da Canti di Castelvecchio)


Testo Parafrasi
E s’aprono i fiori notturni, E si aprono, i gelsomini notturni, nell’ora in cui penso ai
nell’ora che penso ai miei cari. miei cari defunti. Le farfalle del crepuscolo sono apparse
Sono apparse in mezzo ai viburni in mezzo ai viburni.
le farfalle crepuscolari.

Da un pezzo si tacquero i gridi: Da un po’ di tempo già è calato il silenzio: solamente là,
là sola una casa bisbiglia. in una casa, si sentono bisbigliare voci umane. Sotto le
Sotto l’ali dormono i nidi, loro ali dormono gli uccellini, così come gli occhi umani
come gli occhi sotto le ciglia. riposano sotto le ciglia.

Dai calici aperti si esala Dai calici aperti dei gelsomini arriva un profumo che
l’odore di fragole rosse. sembra di fragole rosse. Nel salotto si vede la luce
Splende un lume là nella sala. ancora accesa. L’erba cresce sopra le tombe dei morti.
Nasce l’erba sopra le fosse.

Un’ape tardiva sussurra Un’ape, che è arrivata tardi, si aggira ronzando poiché
trovando già prese le celle. tutte le cellette sono già state occupate. In cielo la
La Chioccetta per l’aia azzurra costellazione delle Pleiadi risplende nel cielo azzurro, in
va col suo pigolio di stelle. un tremolio di stelle (come una Chioccia circondata dal
pigolio dei suoi pulcini).

Per tutta la notte s’esala Durante tutta la notte si sente il profumo (di gelsomino)
l’odore che passa col vento. che riempie l’aria portato dal vento. La luce nella casa si
Passa il lume su per la scala; accende su per le scale, poi passa al primo piano,
brilla al primo piano: s’è spento... nella camera nuziale, e infine si spegne…

È l’alba: si chiudono i petali Arriva l’alba: i petali dei fiori si chiudono un poco
un poco gualciti; si cova, appassiti, ma dentro l’ovario molle e profondamente
dentro l’urna molle e segreta, nascosto, cresce una sensazione di felicità che non
non so che felicità nuova. conosco.

Analisi

Tutta la poesia ruota attorno a due tematiche opposte ma da sempre legata indissolubilmente: la vita e la
morte. Non mancano riferimenti alla natura, elemento centrale per i simbolisti per cui la stessa appare
impregnata appunto di simboli riconducibili a molteplici aspetti dell’esperienza umana. Inoltre, nel
componimento sono presenti dei cenni al tema della sessualità vista nell’ottica del concepimento di una
nuova vita.
Ma procediamo con ordine.

Nella prima strofa Pascoli parla di fiori notturni, noti anche come belle di notte o gelsomini notturni che
hanno la caratteristica di schiudersi solo al calar del sole ma anche di farfalle crepuscolari, alludendo
simbolicamente all’uomo ed alla donna. Queste immagini, simbolo di vita, vengono però affiancate ad un
altro elemento. Mente lì fuori, di sera, i fiori si schiudono, per il poeta questo è invece il momento della
giornata in cui ripensa ai suoi cari, ormai defunti.

Ecco il primo accostamento tra vita e morte.

Nella seconda strofa viene descritto un paesaggio silente in cui si sente soltanto un suono simile ad un
bisbiglio proveniente da una casa. Il resto tace, ognuno riposa nel proprio nido. Quello del nido, inteso
come luogo sicuro ed al riparo da ogni difficoltà, è un tema ricorrente nella produzione letteraria di Pascoli.

Nella terza e nella quarta strofa viene descritto l’atto sessuale, sempre per mezzo di similitudini ed
analogie, v. 10 “l’odore di fragole rosse” che avviene v.11 “là nella sala”, come a voler sottolineare
l’estraneità del poeta a questo piacere.

Il concepimento nuovamente contrapposto alla morte v.12 “Nasce l’erba sopra le fosse”.

Il componimento si conclude con un’immagine carica di speranza vv. 22, 23, 24 “si cova, dentro l’urna molle
e segreta, non so che felicità nuova.”.

L’urna molle e segreta indica il grembo della moglie che si prepara ad ospitare una nuova vita, fonte di
felicità.

Figure retoriche

Metonimia: non sono i “nidi” (v. 7) a dormire, ma gli uccelli che vi abitano.

Personificazione: “una casa bisbiglia” (v. 6), “un’ape tardiva sussurra” (v. 13).

Sineddoche: “ciglia” al v. 8 è usato per indicare le palpebre.

Sinestesia: “odore di fragole rosse” (v. 10), “pigolìo di stelle” (v. 16).

Metafora: “aia azzurra” (v. 15); “urna” (v. 23).

Analogia: i vv. 15-16 sono costruiti sull’analogia tra la Chioccia con i suoi pulcini pigolanti e la costellazione
delle Pleiadi (il cui nome nella tradizione popolare è, appunto, Chioccetta).

Similitudine: “come gli occhi sotto le ciglia” (v. 8)

Reticenza: “s’è spento...” (v. 20)

La mia sera (da Canti di Castelvecchio)


Testo Parafrasi
Il giorno fu pieno di lampi; Il giorno è stato pieno di lampi (per un temporale), ma
ma ora verranno le stelle, adesso arriveranno le stelle, le stelle silenziose. Nei
le tacite stelle. Nei campi campi si sente il gracidio delle rane. Le foglie dei pioppi
c’è un breve gre gre di ranelle. tremano, scosse da un vento leggero e sereno. Nel
Le tremule foglie dei pioppi giorno che fulmini, che tuoni! E che pace, la sera!
trascorre una gioia leggiera.
Nel giorno, che lampi! che scoppi!
Che pace, la sera!

Si devono aprire le stelle Compariranno le stelle nel cielo così tenero e vitale. Là,
nel cielo sì tenero e vivo. vicino alle allegre ranocchie, un fiume gorgoglia
Là, presso le allegre ranelle, monotono. Di tutto quel tumulto cupo, di tutta quella
singhiozza monotono un rivo. bufera così aspra, non rimane che un dolce singhiozzo in
Di tutto quel cupo tumulto, questa sera umida.
di tutta quell’aspra bufera,
non resta che un dolce singulto
nell’umida sera.

È, quella infinita tempesta, Quella tempesta infinita è finita in un fiume canoro. Dei
finita in un rivo canoro. fulmini fragili non restano che nuvole di porpora e oro.
Dei fulmini fragili restano
cirri di porpora e d’oro.

O stanco dolore, riposa! O stanco dolore, riposa! La nube che nel giorno era più
La nube nel giorno più nera nera è quella che ora vedo più rosa, in questa sera che
fu quella che vedo più rosa finisce.
nell’ultima sera.

Che voli di rondini intorno! E come volano le rondini qui intorno! Che grida per l’aria
che gridi nell’aria serena! serena! La fame accumulata nel corso del giorno
La fame del povero giorno prolunga la cena gioiosa degli uccelli. I pulcini nel nido,
prolunga la garrula cena. nel corso del giorno, non hanno potuto avere intera la
La parte, sì piccola, i nidi propria razione idi cibo. E neppure io... E che voli, che
nel giorno non l’ebbero intera. gridi, mia limpida sera!
Nè io... e che voli, che gridi,
mia limpida sera!

Don... Don... E mi dicono, Dormi! Don... Don... (Rintoccano le campane) E voci di tenebra
mi cantano, Dormi! sussurrano, azzurra mi dicono: dormi! Mi cantano: dormi!
Dormi! bisbigliano, Dormi! Sussurrano: dormi! Bisbigliano: dormi! Mi sembrano
là, voci di tenebra azzurra... canti di culla, che mi fanno tornare com’ero... Sentivo
Mi sembrano canti di culla, mia madre... poi più nulla... sul far della sera.
che fanno ch’io torni com’era...
sentivo mia madre... poi nulla...
sul far della sera.
Analisi

Come già detto, La mia sera è costruita su un’analogia: la serenità del paesaggio di campagna serale, dopo
una giornata di tempesta, è specchio dell’animo del poeta. Questi due nuclei tematici (natura vs poeta)
polarizzano il componimento, che progressivamente si sposta dall’osservazione della natura alla riflessione
personale.

Il paesaggio circostante è caratterizzato da una quiete resa ancor più evidente dal contrasto con il giorno.
Questo contrasto, a livello semantico, è reso dalle continue coppie antitetiche: “scoppi”/"pace", “cupo
tumulto”/"dolce singulto", “fulmini”/ “cirri”, le nubi prima nere e poi rosa...

Non solo: il temporale del giorno è strumento fondamentale perché la quiete stessa possa esistere. Sotto
questo aspetto, la poesia richiama un altro componimento: La quiete dopo la tempesta di Giacomo
Leopardi.

Entrambe le poesie partono dallo stesso evento fisico per spostarsi poi su un piano ragionativo, di
astrazione spirituale, ma se la riflessione di Leopardi culmina in una legge universale (sintetizzabile in
“piacer figlio d’affanno”), l’approdo di Pascoli sfocia in discorso personale.

La quiete della sera, infatti, rievoca le ninne nanne della madre nella culla. La vita del poeta, vissuta come
travaglio fin dall’infanzia (segnata dalla morte del padre, al centro della poesia X agosto), sarà riassorbita
nel nido originario, nel sonno della morte.
Figure retoriche

Onomatopea: l’osservazione della natura da cui prende le mosse il componimento è sottolineata


dall’utilizzo di onomatopee (es. “gre gre” e “Don... Don...”).

Antitesi: come accennato, la quiete della sera appare grazie alla contrapposizione con il tormento del
giorno, realizzata tramite l’accostamento di termini come “scoppi”/"pace", “cupo tumulto”/"dolce
singulto". Un’antitesi evidente è anche quella presente ai vv. 17-18: “infinita tempesta / finita”.

Personificazione: “singhiozza monotono un rivo”.

Climax discendente: “cantano”, “sussurrano”, “bisbigliano”.

Sinestesia: “voci di tenebra”.

Ossimoro: “fulmini fragili”, “tenebra azzurra”.

Apostrofe: “O stanco dolore, riposa”, “mia limpida sera”.

Reticenza: dal penultimo verso della penultima strofa e per tutti i successivi la poesia è caratterizzato da un
sempre crescente uso dei puntini di sospensione, che rafforzano con inquietudine ipnotica l’immagine
finale del sonno (e, in ultimo, del sonno come metafora della morte).

Sineddoche: “nidi”.

Metafora: l’invito al sonno finale è metafora della morte.

Anastrofe: “è quella infinita tempesta / finita in un rivo canoro”, “la parte, sì piccola, i nidi / nel giorno non
l’ebbero intera”

Italy e la grande proletaria si è mossa

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