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GIUSEPPE PARINI

Vita
Parini nacque nel 1729 in Brianza, da una famiglia di modeste condizioni (il padre
era un commerciante di seta). Dopo i primi studi venne inviato a Milano presso la
prozia, che gli lasciò una piccola rendita annuale a condizione che diventasse
sacerdote. Intraprese quindi la carriera ecclesiastica, ma nel frattempo si dedicò
alla scrittura di una raccolta di liriche, Alcune poesie di Ripano Eupilino, che lo
resero noto agli ambienti letterari. Parini entrò così a far parte dell’Accademia dei
Trasformati, uno dei centri più importanti della cultura illuministica.

Nello stesso periodo entrò al servizio del duca Serbelloni, come precettore dei figli
e successivamente come precettore di Carlo Imbonati. Attraverso queste
esperienze di precettore entrò a contatto diretto con il mondo aristocratico
milanese, verso il quale nutriva un senso di fastidio e di risentimento.

L’autore assunse diversi incarichi ufficiali; la sua figura andava a coincidere con la
tipica figura dell’intellettuale illuminista milanese, a servizio dello Stato e che
assumeva incarichi ufficiali nell’amministrazione.

Attraverso la pubblicazione di due poemetti satirici contro la nobiltà oziosa


improduttiva, Il Mattino ed Il Mezzogiorno, ottenne molto prestigio, tanto che gli
venne affidata la direzione della Gazzetta di Milano e successivamente gli venne
affidata la cattedra di Belle Lettere presso le scuole Palatine. Quest’ultimo incarico
fu molto importante, in quanto lo avvicinò al nuovo orientamento neoclassico,
ispirato ai criteri di armonia, perfetta proporzione, nobile semplicità e calma
grandezza. Infine ricordiamo l’incarico come sovrintendente nelle scuole di Brera.

Parini, però come tutti gli intellettuali del secolo, subì il trauma delle riforme di
Giuseppe II, che impose una serie di direttive autoritarie sull’organizzazione della
cultura.

Nel 1789 inoltre, si verificò lo scoppio della Rivoluzione Francese. Inizialmente


Parini si approcciò con favore e speranza alla rivoluzione, in quanto riprendeva i
principi illuministici di libertà ed eguaglianza, ma successivamente se ne distaccò
a causa della violenza con cui era sfociata.

Il poeta allora, ormai vecchio e di malferma salute, si ritirò in isolamento e morì


dopo pochi mesi dal ritorno degli austriaci a Milano nel 1799.

Il pensiero
Le posizioni verso la nobiltà
Parini critica duramente la classe aristocratica in quanto egli la ritiene oziosa ed
improduttiva.
Sul piano economico essa non contribuisce alla produzione o all’accrescimento
della ricchezza comune, ma si limita a sperperare le ricchezze che derivano dal
lavoro altrui; sul piano intellettuale, i nobili non si apprestano a favorire
l’avanzamento della cultura; sul piano civile non si curano di ricoprire cariche e
magistrature che siano utili al bene pubblico.

Questo generale ozio è poi aggravato dall’immoralità dei costumi: Parini infatti si
scaglia contro il concetto di “cavalier servente”, cioè una figura che consiste nella
legalizzazione dell’adulterio e che quindi danneggia la famiglia, considerata
dall’autore il valore più sacro.

Inizialmente Parini si dimostra più determinato in questa sua condanna


all’aristocrazia: un esempio di ciò è il Dialogo sopra la nobiltà, dove l’autore
presenta questa classe sociale come nata dalla violenza e dalla rapina. Egli
tuttavia non si pone contro il ceto in quanto tale, ma contro la degenerazione
alla quale la classe aristocratica stava andando incontro; se in epoche passate la
nobiltà aveva importanti funzioni sociali (quali quella amministrativa, militare e
culturale), nell’età contemporanea aveva completamente abbandonato quelle
attività utili e si era ridotta a vivere di rendita.

A riprova del fatto che l’oggetto della discussione di Parini fosse la decadenza
della classe, egli non auspica ad un’eliminazione di essa, bensì ad una sorta di
rieducazione al lavoro ed alla produttività, con l’intento di farle riassumere il
ruolo sociale di cui godeva in passato. E’ per questo motivo che il suo intento
riformista si definisce moderato.

➔ E’ sostanzialmente uguale al pensiero di Goldoni.

I dissensi dall’Illuminismo lombardo


Rispetto al gruppo di illuministi lombardi che facevano capo alla rivista Il Caffè ed
all’Accademia dei Pugni, Parini ebbe numerosi punti di dissenso.

Innanzitutto l’autore non condivideva il cosmopolitismo sul piano filosofico e


culturale, in quanto egli ritiene che le teorie libertine degli illuministi siano
pericolose non solo per la convivenza sociale degli uomini, ma anche per la salute
della loro anima.

Egli inoltre temeva che l’influenza subita dalla cultura francese modificasse
anche la lingua, inserendo dei massicci francesismi e dunque snaturando la
purezza dell’italiano.

Sul piano letterario, Parini si dimostrava fedele ad un’idea classicheggiante della


letteratura, assumendo i caratteri di un vero e proprio culto della forma e dei
modelli antichi; le ideologie illuministiche erano invece di tipo più evasivo e non si
curavano in modo particolare di rimanere conformi alla tradizione, bensì di
attuare un’impresa di diffusione dell’utile che aveva come mezzo le opere
letterarie.

La critica alla letteratura utilitaristica


Un tratto tipico della cultura settecentesca era l’entusiasmo per la scienza. Anche
Parini apprezzava le scoperte scientifiche e le considerava fonti di benessere
per la società e per l’umanità in generale; egli era ostile tuttavia al fatto che la
scienza fosse diventata una vera e propria moda e che la letteratura fosse
puramente ridotta ad un veicolo di cognizioni inutili.

Egli sosteneva infatti che la letteratura dovesse essere utile a ristabilire il buon
senso e la ragione all’interno delle cosiddette “tenebre dei pregiudizi”.

Parini riprese dunque il precetto del poeta latino Orazio, per il quale bisognava
unire l’utile al dolce, e lo rivisitò nell’ottica illuminista, intendendo l’utile come lo
strumento di una battaglia finalizzata a risolvere problemi concreti della realtà
contemporanea.

L’utile deve sempre essere accompagnato dalla poesia concepita secondo


l’elevato senso di dignità formale tipica dei classici. Parini resta in generale
fedele alla tradizionale concezione umanistica che vede nelle lettere il valore
supremo, per cui il bello deve conservare la propria autonomia.

L’interesse per le teorie fisiocratiche


Altro terreno di scontro tra Parini e gli illuministi lombardi è quello economico.
Questi ultimi consideravano il commercio e l’industria gli unici elementi il cui
progresso poteva favorire la ricchezza comune.

A questa visione si oppongono le teorie della scuola fisiocratica alle quali


aderisce Parini, secondo le quali l’agricoltura è l’origine della ricchezza delle
nazioni e della moralità.

Egli infatti nell’ode intitolata La vita rustica mette in atto una celebrazione del
lavoro dei contadini. L’agricoltura viene presentata come l’attività produttiva più
utile tanto socialmente quanto moralmente.

LE ODI
Cos’è un’ode? E’ un componimento poetico ripreso dalla poesia greca e latina,
che gode dunque di una forte impronta classicista; è volta alla celebrazione
elevata e all’uso di uno stile ed un tono solenne.

Parini utilizza questa forma poetica per condurre la sua battaglia illuminista,
affrontando temi ed argomenti di questo movimento e diffondere i nuovi principi.
Il fine di Parini era dunque quello di migliorare la società e la convivenza civile.
Sono suddivisibili cronologicamente in tre gruppi, che si distinguono per i temi e
le modalità di espressione adottate dall’autore:

- il primo è quello delle Odi illuministiche, il più consistente di tutti, scritte tra
il 1756 ed il 1769

- il secondo è composto da due Odi scritte nel 1777 e nelle quali si percepisce
un minore impegno da parte dell’autore, in quanto esse sono meno
elaborate dal punto di vista stilistico; queste sono La laurea e Le nozze

- il terzo contiene le Odi composte dal 1783 al 1795 e di cui fanno parte La
caduta, A Silvia, Alla Musa, nelle quali si percepisce una sorta di “ritorno”
dell’autore; esse sono ormai lontane dalle battaglie illuministiche e si
ispirano infatti ad un modello di classicismo armonioso e composto

E’ a questo punto della propria carriera che Parini si allontana progressivamente


dai temi illuministici, in quanto deluso dalla politica austriaca di Giuseppe II che
lui non riesce più a capire. A volte tuttavia li riprende e li rielabora, riproponendoli
seppur in modo fiacco.

Le Odi illuministiche - I gruppo


Queste Odi sono ricche di elementi del pensiero illuminista, contro i quali Parini
scaglia la sua battaglia e dai quali parte per mettere in luce il proprio impegno
civile. L’autore utilizza in queste odi un lessico ricavato dalla scienza moderna,
parole in grado di creare una sorta di immagine visiva di ciò che il poeta descrive.

La vita rustica > Egli si basa sulle teorie fisiocratiche per le quali l’agricoltura si
identifica nell’origine della ricchezza delle nazioni e della moralità e mette dunque
in atto una celebrazione del lavoro dei contadini. L’agricoltura viene presentata
come l’attività produttiva più utile tanto socialmente quanto moralmente.

Parini si scontra con gli illuministi lombardi, che invece sostengono il progresso
dell’industria e del commercio come principali fonti di ricchezza.

La salubrità dell’aria
Salubrità dell’aria > Parini tratta il tema ecologico, denunciando come l’aria di
Milano fosse infestata da cattivi odori provenienti dalle risaie e dalla presenza di
fogne a cielo aperto, oltre che dalle carogne degli animali morti e dei liquami.

A questo ambiente malsano contrappone l’aria pura e fresca della campagna,


che rende i contadini sani, forti e vivaci. Al tema ecologico si affiancano dunque
quello della salute pubblica e del contrasto tra campagna e città.

Impostura > Parini si scaglia contro gli impostori, che ingannano con …
L’educazione > L’autore tratta il tema dell’istruzione, ritenuta fondamentale per
l’evoluzione della società. In particolare viene posto il problema dell’istruzione da
impartire alla nobiltà, che deve essere rieducata al lavoro ed alla produttività, con
l’intento di farle riassumere il ruolo sociale di cui godeva in passato.

L’innesto del vaiuolo > Tratta dell’invenzione del primo vaccino, accompagnata
da una celebrazione della scienza moderna contro ogni forma di pregiudizo e
oscurantismo. Parini esprime la sua ideologia secondo la quale l’uomo deve
affidarsi al progresso per migliorare le proprie condizioni di vita.

Il bisogno > Parini tratta il tema della povertà, individuata come causa del
crimine e della violenza. Alla base del componimento si ha il motivo illuministico
della filantropia, un sentimento di solidarietà per gli uomini e le loro sofferenze, e
l’affermazione dei diritti naturali che ogni uomo possiede.

La musica o L’evirazione> Parini in questo componimento si scaglia contro il


costume di evirare i giovani cantori, pratica molto diffusa all’epoca e finalizzata
al mantenimento di quella giovane voce intatta per il diletto di un pubblico
aristocratico.

Nuovi temi
In seguito all’abbandono dei temi civili e politici, Parini si avvicina a temi più
universali ma strettamente legati all’importanza della poesia e della figura del
poeta.

Egli arriva a dare una vera e propria autocelebrazione, proponendosi come


un’anima superiore e depositaria di tutti i valori più alti. Egli si trova tuttavia a
confrontarsi con un'umanità vile, che non comprende il valore dell’arte e del bello.

Sul piano linguistico abbiamo un vero e proprio ritorno al classicismo (...)

Le novità formali di ispirazione sensistica


Nelle Odi del primo gruppo, data la matrice di innovazione apportata alla materia
trattata, l’autore utilizza un lessico ricavato dalla scienza moderna, parole in
grado di creare una sorta di immagine visiva di ciò che il poeta descrive.

Questa tendenza dell’autore nella ricerca della parola precisa da usare deriva
dalla sua adesione alla poetica del sensismo, introdotta dall’ inglese John Locke e
diffusa in Italia dagli scritti di Etienne de Condillac.

Secondo il filosofo, dai sensi l’uomo ricava la conoscenza del mondo e la


propria vita spirituale. Anche l’arte può stimolare questi sensi; è per questo
motivo che ogni parola deve essere abbastanza realistica da suscitare nella mente
del lettore l’immagine dell’oggetto materiale, con tutte le sensazioni che questa
visione comporta.
Parini dunque usa spesso espressioni vivacemente realistiche e mirate a
suscitare immagini e sensazioni vive per l’intera sfera sensistica dell’uomo.

IL GIORNO
E’ un poemetto nel quale il poeta mira a rappresentare in chiave satirica la
società del suo tempo. E’ organizzato in endecasillabi sciolti non raggruppati in
strofe e non presenta uno schema di rime fisso.

Secondo quanto progettato dall’autore, l’opera doveva essere costituita da tre


parti:

- il Mattino (1763)
- il Mezzogiorno (1765)
- la Sera

In una revisione del progetto la Sera viene divisa nel Vespro e nella Notte, che non
furono mai terminate.

Il Giorno si presenta come un’opera didascalica, nella quale il poeta finge di voler
porsi nei confronti di un giovane aristocratico come il precettore che lo
accompagnerà durante la sua giornata alla ricerca di attività interessanti.

Il poeta, fingendo di fornire precetti, apporta invece delle critiche ad un mondo


vacuo, insulso e banale, la cui vita non è mai arricchita da eventi importanti. Il
concetto del precettore costituisce dunque un semplice escamotage per
rappresentare l’oziosità e l’inutilità della vita condotta dalla classe
aristocratica.

La critica dunque presentata su questi costumi è tuttavia trasmessa in modo


ironico, mediante l’uso di antifrasi.

Vita dei giovani


Ci si svegliava tardi, si faceva colazione e ci si preparava, poi si andava a pranzo
dagli amici o dalla donna di cui si era innamorati; il banchetto si prolungava fino al
pomeriggio.

Vigeva la moda del cicisbeismo, fenomeno per il quale ogni donna sposata
potesse avere un cavalier servente, cioè una figura che consiste nella
legalizzazione dell’adulterio e che quindi danneggia la famiglia, considerata
dall’autore il valore più sacro.

Il pomeriggio si usciva in carrozza per far visita alla casa di qualche amico. La sera
ci si recava a teatro o al tavolo da gioco.

Parini mantiene il principio aristotelico dell’unità di tempo e spazio per


sottolineare …
I dettagli futili descritti dall’autore rallentano notevolmente il tempo,
sottolineando l’inutilità di quella vita. Mentre il tempo della storia è concentrato in
una giornata, quello del racconto è estremamente allungato dalle descrizioni e
dalle digressioni sul passato.

Per quanto riguarda lo spazio, Parini preferisce gli spazi chiusi, che appunto
rimandano al mondo chiuso della classe nobiliare. I luoghi principalmente usati
sono quelli cittadini frequentati dall’aristocrazia, che vengono talvolta
contrapposti a quelli popolari.

Nell’opera infatti si inserisce anche il piano di rappresentazione strettamente


dedicato alle classi popolari, che si dedicavano ad attività utili e si ispiravano ai
valori fondamentali del culto della famiglia conducendo una vita operosa e sana.

Nonostante le consistenti critiche apposte dall’autore, nell’opera emerge una


sorta di attrazione verso quel mondo; lo si capisce ad esempio dalle descrizioni
che egli dà degli elementi caratterizzanti quella sfera della vita della società. Egli si
dimostra attratto da quel fascino, dall’eleganza, dalla grazia e dalla raffinatezza del
ceto aristocratico.

Lo stile
Parini utilizza un linguaggio elevato ed aulico, una sintassi complessa arricchita
dall’uso di figure retoriche e richiami alla mitologia ed alla storia antica. Adopera
un consistente uso dell’antifrasi e adotta un linguaggio tipico della tradizione
classicista.

L’opera non è conclusa. Se infatti la stesura delle prime due parti fu veloce e priva
di difficoltà, nella Sera viene a mancare l'ispirazione. Ciò è dovuto al sentimento di
delusione che Parini prova nei confronti di Giuseppe II. Questi introduce infatti
delle riforme amministrative senza il coinvolgimento di intellettuali e funzionari;
egli si sente dunque escluso ed entra in forte conflitto con la politica del
regnante.

C’è da dire inoltre che queste stesse riforme miravano ad incentivare il progresso
scientifico e tecnologico, cosa che non piacque all’autore e a causa della quale
perse definitivamente il proprio entusiasmo.

LIBRO--L’obiettivo di Parini era quello di trasferire in poesia una materia


contemporanea e realistica, conservando la dignità letteraria.il poeta quindi pur
parlando di argomenti mediocri, utilizza un linguaggio prezioso, aulico, che deriva
dalla tradizione più illustre. Una particolare caratteristica dello stile di Parini è
l’utilizzo dell’aggettivo in funzione esornativa, che è utilizzato ai fini
dell’ironia.L’uso di questo linguaggio aulico però non è del tutto parodico, per
questo motivo anche a livello formale si apre un’ambiguità tra edonismo e
moralismo.
La delusione storica
Negli anni 70 le riforme di Giuseppe II provocarono nel poeta e negli illuministi un
senso di delusione verso l’impegno militante. Ciò che provocava questa reazione
negativa da parte degli intellettuali milanesi era atteggiamento autoritario del
sovrano, che soffocava la vita amministrativa civile e culturale. In secondo
luogo, la delusione era data anche dal forte impulso dato alle scienze rispetto
alle discipline umanistiche.

Ad opporsi a questi cambiamenti, non furono solamente intellettuali


politicamente moderati, come Parini, ma anche intellettuali come Pietro Verri,
più aperti alle riforme; questi in particolare non accettavano in alcun modo il
primato concesso alle scienze e l’asservimento della letteratura a fini
utilitaristici.

Per questi motivi Parini si allontanò sempre di più dal perseguimento di finalità
civili attraverso la scrittura letteraria.

Parini ed il neoclassicismo
L’attrazione verso il classicismo di origine arcadica si evolse in Parini attraverso il
neoclassicismo, gusto che si andava diffondendo nel secondo Settecento grazie
alle scoperte archeologiche di Ercolano e Pompei.

Alla ripresa dei modelli classici si affiancavano le teorie di Winckelmann, che


ricercava il bello ideale ed il ritorno alle proporzioni e all’armonia.

Parini si avvicinò a queste nuove idee grazie alla vicinanza all’Accademia di Belle
Arti di Brera, dove insegnava letteratura.

Sono state proposte diverse interpretazioni per spiegare le cause della svolta
neoclassica in Parini. Secondo Petronio, ciò avvenne a causa della delusione per
la politica di Giuseppe II; l’avvicinamento al neoclassicismo era dunque una forma
di fuga dalla storia, per rifugiarsi in un mondo di forme ideali. Secondo Binni
invece questo cambiamento nasce semplicemente da una maturazione interiore
del poeta.

ALFIERI
Legame con Lucrezio
Lucrezio nel De rerum natura si fa portatore della filosofia di Epicuro ma nel
poema è evidente la tensione di Lucrezio verso una dimensione soprannaturale,
verso l’infinito, che lo rende un animo religioso (credere, sentire la presenza di
qualcosa di trascendente). Alfieri è mosso dallo stesso spirito di Lucrezio. Il suo
spirito sente il mistero, nel senso di un bisogno di assoluto e tensione verso
l’infinito, il non concreto.
La vita
Vittorio Alfieri, uomo irrequieto e tenace, vive la crisi della cultura illuministica: ne
prende le distanze e schierandosi contro la cultura francesizzante (antigallicismo),
tanto più singolare in lui nato in Piemonte, regione tradizionalmente legata alla
nazione transalpina.

Alfieri nacque ad Asti nel 1749 da nobile e ricca famiglia. Fu educato con severità
dalla madre rimasta vedova poco dopo la sua nascita e convolata a nuove nozze.
Nel 1758 il ragazzo fu mandato alla Reale Accademia di Torino per seguirne il corso
di studi, ma lo fece con scarso profitto,da quest’esperienza scaturisce
l'insofferenza per le regole e l’isolamento.

Alfieri, dunque, ripudiò con disprezzo l'educazione ricevuta. Si mise così a


viaggiare attraverso l'Italia e l'Europa, per sfogare l'irrequietezza del suo carattere.
Dalla smania per i viaggi trasse profitto,in particolare dagli incontri e dalle amicizie
con intellettuali, che conobbe nel suo vagabondare.

Elaborò un programma di studio, al quale si dedicò senza concedersi distrazioni,


per costruirsi una cultura letteraria, e in particolare rivolse attenzione e interessi
alla tragedia, cominciò a comporre testi e procedette con un'intensità tale che
l'intera opera drammaturgica sì concentrò nel giro di 10 anni

La svolta nel suo modo di vivere fu completata con la rinuncia ai beni di famiglia,
di cui fece dono alla sorella in cambio di un cospicuo vitalizio. Il poeta decise di
abbandonare la terra dove era nato, perché non sopportava, in quanto nobile, di
essere sottomesso ai doveri nei confronti del sovrano. Allora, in un primo
momento, decise di soggiornare in Toscana, per «disfrancesarsi» e
«spiemontizzare la propria lingua, e si recò a Pisa, dove scrisse il trattato Della
tirannide; poi consumò il distacco definitivo e totale dal Piemonte trasferendosi,
temporaneamente, a Siena e infine trattenendosi, tra il 1777 e il 1780, a Firenze,
dove concepì un altro trattato, Del principe e delle lettere, pubbli cato soltanto
un decennio più tardi.

Nel periodo fiorentino conobbe Maria Luisa Stolberg-Gedern, giovane moglie del
conte d'Albany, pretendente cattolico al trono inglese: lo scrittore s'innamoro della
nobildonna e ne fu ricambiato. Fra la fine del 1780 e l'inizio del 1781 la Stolberg
d'Albany fuggi a Roma, per sottrarsi alla tirannia del marito spesso fuori di sé per
l'ubriachezza, e Alfieri la raggiunse. Il loro legame, sollevò però pettegolezzi e
scandalo al punto che, per salvaguardare il buon nome della contessa, Alfieri si
allontanò da lei e riprese a viaggiare in Italia e all'estero. L'anno successivo, la
contessa ottenne la separazione dal marito e si stabili in Alsazia, dove Alfieri la
raggiunse e insieme iniziarono a viaggiare,principalmente in francia.

Dal 1788 al 1792 lo scrittore si stabilì a Parigi dove fu testimone delle vicende
rivoluzionarie: all'inizio si entusiasmò tanto da celebrare la presa della Bastiglia in
un componimento poetico (l'ode Parigi sbastigliato del 1789); ma
successivamente rimase deluso e abbandonò la città.Gli ultimi anni a Firenze

Tornò così in Italia ,a Firenze. Qui riservò il tempo allo studio e fra l'altro imparò il
greco, senza alcuna guida, per mettersi in grado di leggere i classici nella lingua
originale; raccolse e ordinò le ultime Rime, scritte dopo la pubblicazione della
prima parte (1789), e le diciassette Satire, compose un'opera parte in prosa, parte
in poesia - polemica contro la cultura francese (Misogallo), che segnò il radicale
distacco dall'ambiente e dalle idee della propria formazione, e infine, fra il 1800 e il
1803, scrisse sei commedie di satira politica e morale. Alfieri morì nel 1803, all'età di
cinquantaquattro anni, e fu sepolto a Firenze, nella chiesa di S. Croce, tempio dei
grandi spiriti italiani.

Idee politiche e stile di vita


C’è in lui una forte avversione verso la tirannide ed un culto della libertà
definita come la possibilità dell’individuo di muoversi verso quell’infinito
senza incontrare ostacoli di alcun tipo.

Sul piano politico egli contesta in modo aperto l’assolutismo monarchico che
viene considerato una tirannide. In realtà però poi non celebra al contrario i
valori della borghesia, anzi è in grado di vedere quanto di piccolo e meschino si
celi dietro questa classe volta puramente all’accumulo di guadagno. Il rifiuto di
questa forma di governo non è in realtà altro che l’esigenza personale
dell’autore di libertà assoluta, quindi una sorta di ansia di un individuo che non
sopporta limiti di alcun tipo, nè imposti da autorità politiche o religiose né da altri
uomini o concezioni.

Alfieri si definisce “aristocratico nel sentire”, nel senso che la percezione che ha
della realtà è quella di un uomo che ha o che crede di avere una capacità
intellettuale e spirituale superiore agli altri. L’aristocrazia non sta dunque nel
rivendicare un titolo o una casata ma sta nel rivendicare una capacità di sentire e
di capire uniche, superiori a quelle dell’uomo comune. Anche da qui deriva il suo
desiderio di infinito e libertà assoluta.

Il rapporto con l'Illuminismo


La sua formazione è di stampo illuminista, in quanto egli eredita dall’lluminismo
la concezione meccanicistica, la negazione del dogmatismo, la funzione
pedagogica della letteratura e dell'arte, ma al tempo stesso soffre per alcuni
aspetti e ne prende le distanze. La ragione e la filosofia infatti, esaltate dalla
corrente illuminista, spengono le passioni e l’immaginazione, che per Alfieri sono
l’essenza dell’uomo.

Altri miti illuministici che egli rifiuta sono l'egualitarismo, l'idea democratica, il
riformismo, che giudica meschino, il cosmopolitismo.
Elementi di Preromanticismo
Alfieri interpreta la realtà come conflitto tra tiranno e uomo libero. Questi
elementi d'individualismo, di ribellismo, di nazionalismo, pongono lo scrittore
fuori dal Settecento e lo proiettano verso l'età successiva.

L'intensità degli impulsi interiori (ira, malinconia) avvicinano Alfieri alle prime
espressioni europee del Romanticismo, specialmente di quello tedesco (Goethe,
Schiller); ma gli stessi fermenti di una nuova sensibilità si trovano nelle sue
continue peregrinazioni per l'Europa alla ricerca di luoghi solitari fuori dalla
mondanità, nel suo accanimento nello studio e nel lavoro.

La scrittura come strumento di libertà


La riscoperta dell'individuo contro i valori dell'egualitarismo, gli ideali nazionali
contro il cosmopolitismo, il desiderio di libertà contro il potere tirannico sono i
temi principali della sua produzione.

La lotta fra i rappresentanti della libertà (eroi) e quelli del dispotismo (tiranni)
occupa tutta la produzione drammaturgica.

L'arma che il letterato di forti sentimenti ha nelle mani per combattere la


banalità, l'angustia, la meschinità dell'esistente è la scrittura attraverso la quale
può affermare la propria libertà, purché miri alla dignità e al sublime.

L'ideologia e la poetica di Alfieri convergono, quindi, a delineare il profilo di un


uomo di lettere con una missione civile e educativa, indipendente dal potere,
destinato alla solitudine per affermare la propria individualità, sorretto e ispirato
da un'intima aspirazione alla libertà e alla gloria.

La produzione letteraria
La straordinaria prolificità
La vasta produzione letteraria di Vittorio Alfieri stupisce, se si considera il breve
arco di tempo in cui si concentra l'attività creativa dello scrittore piemontese,
tanto più che comprende testi appartenenti a molti generi: dalla poesia al teatro,
dal trattato al l'autobiografia.

Le Rime
A parte le tragedie, le Rime sono l'opera in poesia più importante della produzione
alfieriana e dell'intero Settecento italiano.

Questa raccolta di liriche, dedicate alla contessa d'Albany, sua compagna di vita, è
essenzialmente ispirata a tre argomenti: amore, questioni politiche, particolari
momenti della vita psicologica del poeta (fra questi componimenti hanno uno
speciale rilievo gli autoritratti).
I trattati politici
Della tirannide
In due libri, sottopone a dura critica i regimi fondati sul dominio assoluto di una
sola persona, di pochi o di un intero popolo, e arriva a giustificare l'uso della
violenza per eliminare la fonte dell'oppressione liberticida.

Del principe e delle lettere


Nei tre libri del secondo trattato Alfieri si occupa del rapporto fra il despota e lo
scrittore, da un lato diffida del principe, che protegge gli artisti solo per farseli
servi; dall'altro, contesta il tradizionale ruolo del letterato come ornamento delle
corti; contrappone a questa tesi l'idea che l'uomo di cultura deve essere libero
perché ha da svolgere una funzione di guida civile, di educatore alla libertà.

Panegirico
Prende titolo e spunto dall'omonimo discorso di ringraziamento che lo scrittore
latino Plinio il Giovane, aveva rivolto all'imperatore Traiano.

Alfieri riscrive il discorso come se Plinio si fosse proposto ben altro scopo, cioè
quello di esortare l'imperatore a lasciare il potere e a restituire a Roma la libertà
dell'età repubblicana; questo invito, in realtà, è indirizzato indirettamente al re di
Francia Luigi XVI, al quale Fopera alfieriana è dedicata, perché conceda di propria
iniziativa la libertà al suo popolo.

Le odi L'America libera e Parigi sbastigliato


Le odi L'America libera (1781), che trae argomento dall'indipendenza americana, e
Parigi sbastigliato (1789), composta in occasione della presa della prigione della
Bastiglia nella prima fase della Rivoluzione francese, sono per certi aspetti da
collocare fra gli scritti dedicati alla riflessione politica, stimolata in questi due casi
da eventi di attualità.

Le Satire e il Misogallo
Sia nelle Satire che nel Misogallo Alfieri esprime un totale rifiuto, carico di sdegno
e di rancore, nei confronti della società e degli avvenimenti del suo tempo.

Le Satire, in terza rima, colpiscono le idee e le istituzioni, i costumi ei


comportamenti, le mode.

Il Misogallo (propriamente “odiatore dei galli”, ossia dei francesi) è un'opera di che
tratta una materia piuttosto varia ma è unificata al proprio interno dal costante
tono di invettiva: lo scrittore si scaglia contro la Francia rivoluzionaria che aveva
fatto sperare nella realizzazione dei valori di libertà e di giustizia, ma aveva tradito
le attese; Alfieri affida quella missione all'Italia futura, lanciando così un messaggio
ai patrioti dell'età risorgimentale.
La produzione drammaturgica
La tragedia per Alfieri
La tragedia per Alfieri deve essere uno scontro tra passioni rappresentate dai vari
personaggi. Da qui ha inizio il meccanismo tragico.

La scena deve essere rapida e portare in maniera incalzante alla catastrofe finale.
Anche lo stile deve essere incalzante ma occorre che esso sia regolato da una
disciplina, sia nella struttura sia nella forma.

I temi delle tragedie di Alfieri sono lo scontro tra Titani (o tiranni?) e la libertà. I
protagonisti sono uomini che si ribellano alla tirannia mossi da un’ansia di libertà;
abbiamo quindi solitamente la creazione di situazioni di scontro con il tiranno, che
si risolvono con lo scacco, ovvero la sconfitta (per questo si parla di Titanismo). Gli
eroi delle tragedie sono caratterizzati dal sentimento di ribellione, dal desiderio di
affermazione di sè e dall’aspirazione alla libertà assoluta.

Emerge quindi lo spirito anticonformista di Alfieri, insofferente alle regole ed


irrequieto.

Le ragioni della predilezione alfieriana


La scelta alfieriana del genere tragico dipende diverse ragioni.

- egli rivendica il diritto e la necessità dello sviluppo di un teatro tragico in


Italia che fosse indipendente dai modelli francesi
- la tragedia permette allo scrittore di esprimere sia la sua sfida con il
mondo sia il suo pensiero sulla realtà delle relazioni umane
- la catarsi (purificazione dell’anima) alla quale, secondo Aristotele, la
tragedia conduce, coincide con l'idea alfieriana della letteratura come
suscitatrice di sentimenti nobili e azioni generose.

La raccolta delle tragedie


Nella composizione delle tragedie Alfieri mantiene alcuni elementi della
tradizione (cinque atti, unità di tempo, luogo e azione, versificazione) e ne elimina
altri (coro, confidenti e personaggi secondari, espedienti come riconoscimenti e
apparizioni); segue un preciso programma di lavoro articolato in tre fasi
successive, che corrispondono alle regole della retorica classica (inventio,
dispositio, elocutio), e separate l'una dall'altra da un certo lasso di tempo:

- l'ideazione (inventio) comprende la scelta del soggetto (che avviene entro


un repertorio ben definito di tipo storico, mitologico e biblico) e la
definizione dell'azione con la divisione in atti e scene
- la dispositio o stesura del testo (dialoghi e soliloqui) è in prosa
- l’elocutio, ossia l’elaborazione stilistica
Il tema centrale di ogni tragedia è lo scontro tra l'eroe positivo e l'eroe negativo; il
primo incarna i valori umani della giustizia e della fedeltà, mentre il secondo li
schiaccia per brama di potere.

Entrambi i protagonisti, comunque, escono sconfitti anche se per motivi diversi:


l'eroe positivo perde la voglia di vivere per l'impossibilità di realizzare i suoi
propositi; il tiranno soccombe perché il potere si paga con la totale solitudine.

L'eroicità i personaggi
L'immaginario alfieriano è popolato da figure trascinate ad atti di estrema
gravità da un'energia sovrumana, che fa precipitare le situazioni verso la
catastrofe. Queste figure personificano i sentimenti umani allo stato puro, senza le
sfumature della vita reale o compromessi ai quali l’uomo arriva per debolezza.

Perciò i personaggi si scontrano sulla scena con violenza; la lotta si svolge sul
piano etico in quanto essi sono portatori di ideologie opposte e inconciliabili.

La sconfitta è sempre esercitata da una forza misteriosa, contro la quale non è


possibile combattere; abbiamo per esempio il destino, l’amore, la solitudine e la
vecchiaia.

La linearità alfieriana delle strutture


L’originalità di Alfieri è riscontrabile nel modo in cui egli tratta la materia. La
struttura delle sue tragedie è lineare ed essenziale, con pochi personaggi e
l’eliminazione di tutto ciò che potrebbe distrarre dall’azione centrale.

Il dramma dei personaggi si consuma su un piano psicologico, in quanto la


conclusione è implicita già nella situazione di partenza ma viene suggellata solo
nell’epilogo.

La ricerca di purezza e frugalità stilistica


Lo scontro tra sentimenti forti e contrastanti, sostanza della tragedia di Alfieri,
viene accentuata dalla scelta dell’endecasillabo sciolto e dall’uso di espedienti che
fanno apparire il testo essenziale.

Le tragedie devono diventare strumenti di educazione morale e civile, necessità


dalla quale nasce il bisogno di una lingua che regga un discorso di tale
importanza etica; Alfieri lavora quindi in modo scrupoloso sulla lingua delle sue
tragedie, collocando le parole in un ordine insolito mediante inversioni ed ellissi.

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