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ADONE CANTO 1 OTTAVE 1-10

L INVOCAZIONE a Venere, anticipata rispetto alla proposizione della materia (che arriverà all’ottava 3) e la
ripresa dell’esordio dal De rerum natura di Lucrezio («Aeneadum genetrix, hominum divumque voluptas, /
alma Venus») presenta un consapevole tasso di infrazione rispetto alla tradizione dell’epica. «Invocazione
né Pagana né Cristiana. Non Pagana perché la deità della poesia non era Venere, ma le Muse ed Apollo.
Non Cristiana perché il Poeta pio non dee oggidì implorare altri che il nostro verace Iddio, overo i suoi santi.
Sconvenevolezza di costume» (così Stigliani, Occhiale, p. 138). Da questo passaggio avrebbe preso origine
una diffusa trattazione da parte dei difensori del Marino (vd. anche G.F. Busenello, nella celebre lettera a
Giacomo Scaglia: Epistolario, II, p. 109) sulle caratteristiche sia dell’invocazione mariniana, sia di quelle degli
altri epici antichi e moderni: Aleandro, Difesa, I, pp. 121- 126. Villani, Uccellatura, pp. 205-206;
D’Alessandro, pp. 229-233; Aprosio, Occhiale stritolato, pp. 165 sgg., ove sono ricordate numerose
“invocazioni” pagane. Per la definizione di Venere come santa madre d’Amore per rimandi alla tradizione
cinquecentesca vd. i luoghi richiamati da Pozzi (Commento, p. 176), in particolare l’Alamanni della
Coltivazione (I 268 sgg.: «Alma Ciprigna dea, lucente stella / de’ mortai, de gli dei vita e diletto; / tu fai l’aer
seren, tu queti il mare …»), il Dolce della Favola di Adone, 72 (Martini, Oltre l’idillio, in Lectura Marini, pp.
13-23, a p. 15), il Bernardo Tasso della Favola di Leandro ed Ero, in Amori, III 355 (vd. l’ed. a cura di D.
Chiodo, Torino, Res, 1995, p. 390: «Santa madre d’Amore, primo e maggiore / diletto degli dei, che col tuo
lume / rendi l’aere seren, lieta la terra; che col caldo gentil del tuo bel foco / ardendo dolce il cor d’ogni
mortale, / in eterna union conservi il mondo: / […] il tuo santo favor largo mi presta, / e solleva i pensieri e
l’intelletto»), mentre l’indicazione forse più puntuale, quella relativa all’avvio dell’Amadigi di Bernardo
Tasso («Santa madre d’Amore, il cui bel raggio / serena l’aria e ’l mar turbato acqueta / senza cui fora il
mondo ermo e selvaggio / sterile e privo d’ogni cosa lieta»), si deve ad Aprosio, Il veratro, p. 19 (vd. anche
Russo, Marino, pp. 278-280); infine gli Inni naturali di Marullo (ed. 1582, cc. 70r-71v), certamente noti al
Marino. Tra le prove mariniane: il sonetto Bella madre d’Amor nelle Rime del 1602 (Rime marittime, 34);
l’epitalamio Venere pronuba; lo stesso testo d’apertura della Galeria è dedicato a Venere, ma ha altro tono,
raffigurandola nell’atto di svelarsi a Marte (da un dipinto di Palma); vd. A. Martini, Oltre l’idillio, in Lectura
Marini, p. 22. 4. Amatunta: città meridionale dell’isola di Cipro (vd. Sampogna, Prosepina, 446). 2. 2. di
pacifico stato ozio sereno: in una prima redazione il v. 2 era tra riposi tranquilli ozio sereno, e la variante
mariniana produce un passaggio pregnante di senso, all’interno del «poema di pace» licenziato nel 1623, e
una focalizzazione in chiave puntualmente politica. 3-6. Per te … seno: riferimento all’unione di Venere e
Marte, oggetto di una digressione in chiave comica nel corso del canto VII (vd. infra). Il v. 3 allude alla
chiusura del tempio di Giano in tempo di pace. 7-8. e con armi … letto: sugli ultimi due versi puntuale
Stigliani (Occhiale, p. 138): «Belle azzioni d’una dea nominata qui dall’Autor santa, ed invocata per suo
favore. Malvagità di costume»; un appunto su cui sono abbondanti le opposizioni di Aleandro, Difesa, I, pp.
127-129, mentre in Villani, Uccellatura, p. 208 si legge: «Percioché simili atti vergognosi benché sappiamo
che si fanno, con tutto ciò non amiamo che ci sieno rammentati e rappresentati». Il tema del «duello
amoroso», collocato volutamente nelle ottave di apertura, è con larghezza presente nei testi mariniani, ove
vi prende peso e rilievo a sé, a prescindere dai precedenti (Pozzi, Commento, pp. 176-177 cita Rvf, 226 8, il
Tasso di Liberata, XV 64). Alla radice, tra l’altro, il precedente degli Amores ovidiani (I 9) che era stato
puntualmente riscritto nelle ottave intitolate Duello amoroso, a stampa nella Lira del 1614 ma oggetto di
successive censure: vd. Russo, Studi su Tasso e Marino, pp. 105 sgg. Da segnalare come l’aspetto di Eros
quale forza positiva che rasserena e innamora ceda il passo nel corso dell’ottava al quadretto sensuale del
letto come teatro di guerra amorosa; del resto il Marino non ignorava certo che con il verso Ah duro campo
di battaglia il letto si apriva uno dei testi cruciali delle rime sacre del Tasso (Rime, 1633): la ripresa e il
rovesciamento, l’uno e l’altra sotto il segno dell’irriverenza, vanno investiti di valore tanto programmatico
quanto, ex post, simbolico. 3. 1-2. Dettami tu … superbe: macroscopica la traslazione di piani per cui
l’invocazione epica («Dettami tu») si assume come oggetto le venture e le glorie di Adone, dallo scarso
spessore marziale. Non casuale, dunque, che nel resto dell’ottava emergano vezzi da poeta lirico (estinse –
tinse), una serie di memorie di Petrarca per gli ossimori dei vv. 6-7 (ad. es. Rvf, 270 64: «de la sua vista
dolcemente acerba»), riprese segnalate da Pozzi, Commento, p. 177. 7. querele: ‘lamenti’. 8. de’ cigni tuoi:
per il cigno come animale sacro a Venere e immagine del poeta vd. infra, VII 30, e soprattutto IX 165-169;
m’impetra vale ‘guadagnami’, in riferimento alla dolcezza del canto dei cigni. 4. 2. testura … anni: ‘una
trama capace di resistere al tempo’, secondo il topos della poesia eternatrice, qui applicato agli amori di
Venere e Adone e al loro esito tragico (vv. 3-4). 4. 6. vanni: ‘ali’. 7-8. e con la … ingegno: ‘e con la sua
fiamma, se io ne risulto degno, conceda luce al mio intelletto pari alla passione che mi arde il cuore’.

DEDICA A LUIGI XIII E A MARIA DE’ MEDICI I

5. 1. o gran Luigi: si tratta di Luigi XIII di Borbone (1601-1643), re di Francia, figlio di Enrico IV (il
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v. 4, assassinato nel 1610 per mano del Ravaillac) e di Maria de’ Medici. Dopo una prima scelta di indirizzo
del poema a Concino Concini, favorito di Maria e protagonista del partito degli italiani a corte (vd. Pozzi,
Appendice, pp. 732-733; Russo, Marino, pp. 256-257), il Marino scelse di rivolgere a Luigi la dedica
dell’Adone, individuando appunto nella stampa parigina una sorta di saldo per l’ospitalità ricevuta a partire
dal 1615. A Maria de’ Medici sarebbe andata simmetricamente l’apertura della seconda parte del poema
(vd. canto XI). 2. di beltà vinci: «Il tema della beltà del regnante sarà svolto al canto XVI 7» (Pozzi,
Commento, p. 177), ma era tema usuale negli elogi di Luigi: al riguardo, oltre al commento appunto al canto
XVI, vd. F. Bardon, Le portrait mythologique à la cour de France sous Henri IV et Louis XIII, Paris, Picard,
1974. 5. per cui suda Vulcano: si allude all’essere la fucina di Vulcano luogo in cui venivano forgiate le armi
degli eroi. 8. intrecci … mio: il lauro/alloro del Marino, simbolo della gloria poetica, dovrà dunque
intrecciarsi con i gigli, tradizionali simboli dei reali di Francia.

6. 1-2. Se movo … sale: ‘se mi spingo ad uguagliare la tua grandezza con la penna, incapace da sé di tanta
gloria’ (e vd. Petrarca, Rvf, 362 1: Volo con l’ali de’ pensieri al cielo). In modo topico Marino dichiara la
propria poesia come debole specchio della gloria del sovrano, e ne invoca l’aiuto (aure ed ale v. 4) per
innalzarsi in modo conveniente, allo stesso tempo schivando il rischio di una eccessiva altezza (nei vv. 7-8
implicito il rinvio al precedente di Icaro). 8. stemprar: ‘sciogliere’; vd. Pozzi, Commento, p. 178, e i richiami lì
attivati.

7. 1-8. Ma quando … Apollo: ‘ma quando il coraggio che ora anticipa gli anni, dispiegando l’insegna del
padre, maturerà e supererà con il proprio valore anche le speranze più fervide, per vincere l’ingiusto potere
che regna in Asia, allora tu sarai Marte armato di spada, io Apollo munito di cetra’. Il rimando alle future
imprese di Luigi XIII, magari contro gli infedeli, e la promessa del canto epico che il Marino vi avrebbe
consacrato, è ancora elemento tradizionale (ad es. Stazio, Theb., I 25-40; inoltre Tempio, 172), e vale a
chiarire la materia non epica, ma appunto amorosa e “divina” del poema mariniano; sembrano versi
pertinenti alla virata del 1617, con la sostituzione del dedicatario, e non al 1623 quando il valor di Luigi XIII
aveva già offerto diverse prove (ricordate nei canti X e XX). Rimane la dissonanza tra la materia assunta dal
Marino (vd. anche ottava 9) e l’adozione in questa zona iniziale di movenze da «magnifico dicitore» di
marca epica che occorreranno di rado nel resto del poema. 6. fia … vegna: ‘accada che venga infine a
maturare’, con riferimento all’ardir del v. 1.

8. Questa ottava risulta aggiunta rispetto alla redazione testimoniata in Adone 1616: inserisce sul tracciato
originario la speranza che Minerva (dea del sempreverde alloro) conceda all’opera vita immortale (vv. 3-4),
ed è inserto puramente esornativo. 2. Parca: Minerva viene paragonata a una delle Parche, impegnata a
filare e troncare la durata della gloria e delle opere degli uomini.

9. 1. La donna … tolto: sulla presunta etimologia mare/Maria prende avvio l’elogio di Maria de’ Medici, che
riprendeva le lodi pronunciate nel Tempio da un Marino appena giunto a Parigi: il novo Amor qui alluso è
Luigi XIII, mentre il novo Marte è Enrico IV, al cui omicidio Marino avrebbe dedicato sia un sonetto (La
valorosa man, quella che tanto; vd. Russo, Marino, pp. 155-156), sia alcuni degli attacchi più violenti della
Sferza. Probabilmente proprio per questo specchiarsi nella famiglia reale francese il Marino rende qui
Amore figlio di Marte e non figlio di Vulcano (come invece farà poco appresso, all’ottava 67 di questo stesso
canto; al riguardo vd. Pozzi, Commento, p. 178). 7-8. né sdegnerà … lasciva: si avvia qui, nel distico finale
dell’ottava sulla regina, il passaggio entro il quale Marino pare raccogliere la materia, lo statuto e gli indirizzi
del poema: le tenerezze d’amor come argomento e la penna lasciva come opzione stilistica presentano
l’Adone come pertinente da subito ad un registro non epico, abbandonando quella materia bellica appena
allusa nel riferimento alle imprese di Enrico IV.

VENERE PUNISCE AMORE, REO DI AVER FATTO INNAMORARE GIOVE

10. 1-4. Ombreggia … arcani: puntuale, ed evidente, il richiamo ai versi con cui il Tasso della Liberata (I 3:
«Sai che là corre il mondo ove più versi / di sue dolcezze il lusinghier Parnaso, / e che ’l vero, condito in
molli versi, / i più schivi allettando ha persuaso») invitava a leggere in filigrana significati ulteriori rispetto a
quelli forniti dalla lettera del poema; più importa la metafora del sileno che ricorreva già in Dicerie sacre, p.
212 («Che perciò furono ritrovate le statue de’ sileni, le cui concave viscere erano gravide de’ simulacri
degli’Iddii, acciocché i divini arcani si tenessero alla gente vulgare appannati ed occulti»); il passaggio è
stato investito di dichiarazione rivelatrice per un poema a marca filosofica in M.-F. Tristan, La scène de
l’écriture. Essai sur la poésie philosophique du Cavalier Marin, Paris, Honoré Champion, 2002; in chiave
diversa, di recente Lazzarini, Ritratti. 3. scorza: ‘aspetto esterno’. 5-8. Però dal vel … doglia: mentre sul vel
tessuto dalla tela del Marino avrebbe ironizzato Stigliani (Occhiale, p. 139; con risposta difensiva in
Aleandro, Difesa, I, p. 127), importa la definizione ulteriore che Marino fornisce dello stile assunto nel
poema, i molli versi e favolosi e vani indicano la morbidezza lirica del dettato, la pertinenza mitologica della
materia, e soprattutto la vanità lo statuto di finzione della favola, in contrapposizione alla serietà del senso
riposto. In questo passaggio i celesti arcani annunciati al v. 4 si riducono per l’Adone al senso verace del v.
7, ad un insegnamento cioè di stretto ordine morale, quello dichiarato in fine di ottava, del resto non
riferibile in via diretta e senza dubbi alla complessa vicenda amorosa che lega Adone e Venere. Al riguardo
cfr. Pozzi, Commento, p. 179, con rinvio a Orazio, Carm., II 16 27-28 e in Ovidio, Met., VII 453-454; meno
convincente a mio avviso il rinvio a Ronsard, e all’avvio di un suo poemetto su Adone, che Pozzi aggiunge
subito di seguito. Di recente la proposta di un antecedente boiardesco («se il soverchio diletto l’omo
occide», Amorum libri, 13 14).

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