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LUCILIO, "SAT." XX: IPOTESI PER UNA RICOSTRUZIONE DELLA "CENA" DI GRANIO
Author(s): Andrea Aragosti
Source: Studi Classici e Orientali, Vol. 35 (Febbraio 1986), pp. 99-130
Published by: Pisa University Press S.R.L.
Stable URL: https://www.jstor.org/stable/24182908
Accessed: 20-11-2022 18:30 UTC
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Andrea Aragosti
polemico del Tafelluxus che ritorna più volte nelle Satire etc.).
2. C. Lucilii Carminum Reliquiae, ree. enarr. Frìdericus Marx, vol. I, Lipsiae 1904 e
vol. II (comm.), Lipsiae 1905.
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IOO ANDREA ARAGOSTI
captus catillo
569 ittipraeciso atque epulis capiunturopimis
570-572 tempestate sua atque eodem uno tempore et horae/dimidio et
tribus confectis dumtaxat - eandem/ad
quartam
573-574 Calpurni saeva lege in Pisonis reprendi/eduxique
animam in
primorì.<s fauc> ibus naris
575-576 iam disrumpetur, medius iam, ut Marsus colubras/disrumpit
cantu, venas cum extenderit omnis
inc.w.l 181- Granius autem/non contemnere se et reges odisse superbos
1182?
577 nugator, cui dem, ac nebulo sii maximus multo
578 proras despoliate et detundete gubema
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LUCILIO, SAT. XX: LA CENA DI GRANIO IOI
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102 ANDREA ARAGOSTI
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LUCILIO, SA T. xx: LA CENA DI GRANIO IO3
casa. Anche per Shero, art. cit. p. 129, la ridicolizzzione dell'ospite è motivo
luciliano (e da Lucilio si riverbera in Orazio e Petronio), ma non ha a che
vedere con Granio, caratterizzato dalle fonti come uomo indipendente ed
audace anche coi potenti.
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104 ANDREA ARAGOSTI
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LUCILIO, SAT. XX: LA CENA DI GRANIO IO5
15. Per il termine, si vd. Varr. de l.L. V 108: edebant cum pulte, ab eo
pulmentum...hincpulmentarium dictum, che stabilisce l'etimologia da puis (secondo
alcuni falsa: vd. però la posizione, più duttile, di Ernout e Meillet nel DE); si
dovrebbe dunque trattare di un companatico a base prevalentemente
vegetale, composto di indivia ed erbe consimili.
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I o6 ANDREA ARAGOSTI
18. Cfr. e.g. Lucilio 181M quo me habeampacto..., Cic. Att. II 8.1 bene habemus
nos, Petr. 38.11 quid ille qui libertini loco iacet, quam bene se habuit (nel senso, però,
più lato di «condurre una bella vita») e Tac. ann. XIV 51 ego me bene habeo.
19. bene habet nel senso di «va bene» in Ov. Trist. IV 1.82, Livio VI 35,8, Sen.
Oed. 998, Stazio Theb. XI 557, Giov. X 72. È forse possibile che anche il nesso
bene habet senza la specificazione del pronome personale
possa significare
«(qualcuno) sta bene»: l'esempio più antico, citato da Shackleton Bailey,
sarebbe [Quint.] deci. 377 (Ritter p. 420,18): 'Scipio' inquit 'bene habet'. Il Th.
l.L. non ha esempi con bene in questo significato, ma alcuni con belle e uno con
male.
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LUCILIO, SAT. XX: LA CENA DI GRANIO IO7
dapsilius se.
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I o8 ANDREA ARAGOSTI
23. h'intibus è assimilato da Col. XII 9.3 alla lactuca e ne diventa il sostituto
invernale, secondo Apicio III 18.1: la lactuca ed altre herbae consimili erano
considerati cibi da servire nella
(cfr. Hor. serm. II 8.8 rapula, lactucae,
gustatio
radices guaita lassum /pervellunt stomachum...); anche le maenae (sorta di sardelle)
erano cibo presumibilmente atto a stimolare l'appetito, così come il mitulus e le
conchae di Hor. II 4.28, le squillai e le cocleae di 57-58.
24. h'intibus è cibo rustico: cfr. Pomp. Atell. 127 rustici edunt libenter tristis atros
intibos, il fr. 193M intubus praeterea pedibus praetensus equinis, nonché, in uno
stesso ambito di cibi frugali, Moret. 84. Lo stesso dicasi per le maenae: Mart.
XII 32.15 le definisce inutiles e Pomp. com. 81 sostiene ironicamente che qui...
voluptatem ipsam contemnunt, iis licet dicere se acupenserem maenae non anteponere.
25. Cichorius ritiene, secondo me a ragione, si tratti di una sorta di insalata
condita con garum di sardelle (lo ius maenarum), portando a riprova la ricetta di
Apicio III 18.1 (intubate ex liquamine).
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LUCILIO, SAT. XX: LA CENA DI GRANIO IO9
ad quartam
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I IO ANDREA ARAGOSTI
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LUCILIO, S AT. xx: LA CENA DI GRANIO I 11
30. Per i rapporti tra i due poeti si veda il Fiske, cit., e in particolare per la
ripresa in Hor. serm. II 8.11 del fr. 568M la p. 410; il Fiske sostiene inoltre (p.
408) che il modello principale per la satira del Nasidieno oraziano fosse il XX
libro di Lucilio, integrato con motivi desunti da altre satire luciliane. Tale
ipotesi è indimostrabile e non vale la pena di discuterla (niente ο quasi
provano i numerosi esempi che Fiske adduce, tutti poco convincenti se non
proprio inopportuni).
31. Cfr.
34.1 gustatorìa...a choro cantante rapiuntur e 34.5 insecutus est lecticarius
argentumque inter reliqua purgamento scopis coepit everrere (cioè i resti della gustatio
calde lauta che era stata precedentemente servita: cfr. 34.1).
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I 12 ANDREA ARAGOSTI
Saint-Denis, Le vocabulaire des animaux marins en latin classique, Paris 1947, p. 59;
si tratta di un pesce assai vorace e di carne prelibata. La qualità migliore era
considerata quella del lupus fluviatilis che però risalisse dal mare, attraverso la
foce, il fiume. Lucilio lo chiama catillo (letteralmente «leccapiatti»: cfr. Paul.
Fest. p. 39,IL: Catillones appellabant antiquigulosos) in ovvio riferimento alla sua
voracità (Col. Vili 17 lo definisce rapax), ma, aggiungendo il particolare della
sua cattura inter duo pontes, dà ultiori informazioni sulla golosità del lupus. Uno
di questi pontes è sicuramente il Sublicio che, rispetto allo sbocco della Cloaca
Maxima, si trovava più in basso, in direzione del mare (l'altro è forse l'Emilio ο
il Fabricio ο il Cestio): dunque il lupus pescato da quelle parti doveva nutrirsi
dei rifiuti stercorosi della Cloaca·, quest'abitudine è testimoniata anche dal
passo citato da Giov. V 104, il quale definisce il lupuspinguis torrente cloaca, e in
greco da Filodemo CAF II p. 500, 18 Κ (parallelo suggerito da Marx).
34. Essi sono rispettivamente: unde datum sentis, lupus hic Tiberinus an alto/captus
hiet; pontesne inter iactatus an amnis/ostia sub Tusci e aut glacie aspersus maculis
Tiberinus et ipse/vemula riparum, pinguis torrente cloaca/et solitus mediae cryptam
penetrare Suburae.
35. Terzaghi contestualizza fingere, premettendo nella traduzione, in
parentesi, «pronto (se. il cuoco) a...»; similmente Krenkel che traduce fingere
con zuzubereiten{dove il secondo zu implica uno stesso tipo di collegamento
sintattico ipotizzato fuori dal testo del frammento); egli collega, in più, fingere
con adferri (und herbeizubringen) che è invece in realtà collegato con volebat. In
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LUCILIO, S AT. XX : LA CENA DI GRANIO I 13
36. Cfr. il ν. 1175M Ulum sumina ducebant atque altilium lanx\ vd. anche Varr. de
r.r. II 9.8 James... hos (se. canes) ad quaerendum cibum ducei e ibid. II 9.10 ...canes
ducti sapore..., ma soprattutto Hor. ep. I 6.57 ...eamus/quo ducit gula....
37. Cfr. Cichorius, cit., p. 264 ss.: egli assegna il frammento al 1. IV (come
già F. Dousa), dove veniva trattato, secondo una notizia dello scoliaste a
Persio III 1, il tema polemico contro il Tafelluxus.
38. Per la lex Fannia vd. infra nel testo. L'incongruenza tra la data
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I 14 ANDREA ARAGOSTI
39. Cfr. Plin. Nat. Hist. Vili 223 e Petr. 55.6 (nei primi otto versi un elenco
di uccelli esotici).
40. Con il termine catillo Lucilio sferra dunque una pointe che colpirebbe
due volte: da una parte l'eccessivo rigore della lex Famia, dall'altra la modestia
del pesce servito da Granio, che peraltro si dà arie da signore.
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LUCILIO, SAT. XX: LA CENA DI GRANIO 115
passaggio della Magna Mater dalla Frigia a Roma, cfr. CIL I, p. 235) a 120 assi
praeter olus et far et vinum, il quale ultimo doveva essere di produzione
autoctona, nonché a 100 libbre il peso dell'argenteria usata per l'apparecchia
tura. Imprecisa l'annotazione di Marx (comm. ad v. 193) che identifica tale
senatoconsulto con la lex stessa.
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I 16 ANDREA ARAGOSTI
42. Si ricordi
che il grande oratore doveva essere stato vicino al circolo
scipionico ed in particolare a Lelio (sia Scipione Emiliano che Lelio erano, tra
l'altro, buoni oratori); tale familiarità tra Crasso, lui stesso e il circolo
scipionico può darsi che Lucilio abbia voluto sottolineare, nella sua satira,
riflettendo il buon gusto dell'ospite di riguardo e prendendo bonariamente le
distanze dalla boria di Granio. La situazione riflette un'altra analogia, forse
da non trascurare, con la satira oraziana di Nasidieno, in cui ugualmente
l'ospite di riguardo è Mecenate, amico di Orazio. Come si vede sia Lucilio che
Orazio descrivono due situazioni conviviali in cui l'ospite importante è loro
amico (nel caso di Orazio il rapporto è stretto, nel caso di Lucilio è
presumibile, per il tramite di Scipione e Lelio) ed è alle prese con un Gastgeber
arricchito.
43. Marx ritiene probabile che vada assegnato al XX anche il 1200M legem
vitemus Licini anche Warmington = emistichio citato da Gelilo II
(così 599W),
24.7, subito dopo quello relativo alla lex Fannia,
il quale, narrando l'aneddoto
riportato negli Erotopaegnia di Levio, secondo cui in ossequio alla lex Licinia fu
respinto dai commensali un haedus, dice: Lucilius quoque legis istius meminit in his
verbis: legem/Licini. Tale legge suntuaria era congegnata con lo stesso rigore
della Fannia e fu promulgata da P. Licinio Crasso Dives in un periodo che
oscilla verisimilmente tra il 129 e il 105 (vd. la dotta e per molti aspetti
convincente discussione cronologica in Marx, comm. ad υ. 193). Non ritengo
probabile la pertinenza di questo frammento al XX, perché bisognerebbe, in
tal caso, presupporre un'ampia digressione polemica sulle leges sumptuariae alla
quale la cena di Granio, inelegante ma decorosa e comunque non lauta, mal si
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LUCILIO, SAT. XX: LA CENA DI GRANIO I IJ
prestava. È del tutto diverso, mi pare, il rapido excursus polemico che può
implicare l'accettazione, nel testo del libro XX, dell'emistichio Fanni centussis
misellus, in stretto rapporto col. ν. 1176 M che, abbiamo visto, è una ripresa
indiretta di un testo dell'oratore G. Tizio, famoso per aver sostenuto la lex
Fannia. Lo stesso dicasi per il 1353 M (inserito giustamente da Marx nei dubia)
che Warmington assegna inopinatamente al libro XX (= 600 W)
estrapolando da un lemma di Paul. Fest. p. 47, 5 L centenariae cenae dicebantur in
quas lege Licinia non plus centussis praeter terra enata impendebantur, id est...,
l'ipotetico emistichio luciliano centenariae cenae-, la proposta di attribuzione a
Lucilio risale a Marx, sulla base del fr. 776 M quidfit? ballistas iactas centenarias?
in cui, però, mi sembra che centenarias sia detto in relazione al peso delle
ballistae e non possa in alcun modo essere assimilabile al valore che ha
centenarias nel lemma di Festo.
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I 18 ANDREA ARAGOSTI
46. Naris è corretto dall'editio Aldina in narìbus e saeva lege in Pisonis è corretto
da Iunius in saevam legem Pisonis.
47. Cfr. gli esempi di iperbato forniti da Marx nel suo comm. ad
aggiungerei il fr. 390 M fluctibus a ventisque adversis firmiter essent, dove la
preposizione a è in anastrofe con fluctibus e regge άπό κοινού fluctibus e ventisque.
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LUCILIO, SA Γ. XX: LA CENA DI GRANIO 11 g
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120 ANDREA ARAGOSTI
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LUCILIO, SA T. xx: LA CENA DI GRANIO 121
paternità di questa battuta (Suess, art. cit. p. 355 sostiene perfino che
l'omeoteleuto primorìbus oribus, da lui ricostruito nell'emistichio finale del
secondo verso del frammento, si adatta alla personalità retorica di Crasso,
quale si evince da Cic. de orai. II 122), che potrebbe invece essere stata
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122 ANDREA ARAGOSTI
51. Cfr. Pers. V 91 sed ira cadat naso rugosaque sauna e Petr. 62.5 mihi anima in
naso esse (parla Nicerote, descrivendo il suo spavento di fronte alla
metamorfosi dell'uomo-lupo), in cui però la connotazione fondamentale è
quella della paura e non dell'ira; l'espressione anima in naso è in Petronio
accostata all'idea della morte (cfr., subito dopo, stabam tamquam mortuus):
questo perché si credeva che l'anima del morente uscisse dalla bocca ο dal
naso. Discutibile, come al solito, Fiske, cit. p. 414, che connette
quest'espressione con Hor. Serm. II 8.64-5 ...Balatro suspendens omnia naso, che
ha, come noto, significato del tutto diverso.
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LUCILIO, SAT. XX: LA CENA DI GRANIO Ι2β
53. Gli
incantamenti dei Marsi in generale sono ricordati da Hor. epod.
XVII 29, Ovid. Fast. VI 142 e ars am. II 102; in particolare, quelli esercitati
sui serpenti, da Verg. Aen. VII 750, Sii. It. Vili 496, Geli. XVI 11.1 e
soprattutto Ovid. med. fac. 39 (nec mediae Marsis finduntur cantibus angues,
immagine identica a quella luciliana).
54. Cfr. Mueller, comm. p. 243, Suess, art. cit. p. 353 e Terzaghi, cit. p. 329.
Fiske, cit. p. 414, sulla base di un confronto assai improprio con Hor. serm. II
8.93-5 (...quem (se. Nasidienum) sicfugimus ulti/ut nihil omnino gustaremus velut illis/
Canidia adflasset, peior serpentibus Afris), sostiene che il frammento luciliano
allude all'insistenza di Granio nel far rimpinzare di cibo un commensale, che
reagisce fuggendo.
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I 24 ANDREA ARAGOSTI
56. Cfr. Nonio, l.c.: nebulones et tenebrìones dicti sunt, gui mendaciis et astutiis suis
nebulam quandam et tenebras abiciant...; per tubulo cfr. anche il fr. 468 M (oltre che
Ter. Eun. 269 etc.); l'associazione nugator-nebulo ritorna anche in Liv.
XXXVIII 56.6: modo nebulonem, modo nugatorem appellas.
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LUCILIO, SAT. xx: LA CENA DI GRANIO 125
59. Cfr. il fr. 1065 M ilio quid fiat, Lamia et Bitto oxyodontes/ quod veniunt, illae
gumiae vetulae inprobae ineptae? I nomi delle due donne voraci e golose (oxyodontes
e gumiae) intervenute alla cena militaresca sono restituzioni di Marx che
interviene, col sostegno di paralleli convincenti, sul testo tradito (lamia et pitto
ixiodontes, dove ixiodontes è già corretto dallo Scaligero in oxyodontes). Il fatto che
qui Lucilio esprima la propria risentita meraviglia (ilio quid fiat.../quod
veniunt...) conferma l'eccezionalità della situazione prospettata. L'uso, greco,
di far partecipare scorta ai banchetti perché intrattenessero gli invitati con la
musica non è diffuso nel mondo romano, stando alle testimonianze letterarie,
da cui mi pare vadano esclusi gli esempi comici perché, ivi, gli scorta hanno
funzioni diverse, anche se talora partecipano a banchetti privati. Tracce di
questo costume si trovano però nel famoso carme catulliano dell'invito a cena
(Fabullo, infatti, oltre al cibo, dovrà portare una candida puella: cfr. 13.4), in
Hor. carm. II 11.21 (Lide), nonché Cic. ad fam. IX 26.2. Egli parla della
famosa mima Volumnia, in arte Citeride, cantata col nome di Licoride da
Gallo e intervenuta al banchetto del patronus Volumnio Eutrapelo, con tono di
risentimento quasi scandalizzato (non mehercule suspicatus sum illam ad/ore),
segno che l'opinio communis romana sentiva questa presenza come
trasgressiva rispetto all'antica
norma secondo cui la partecipazione femminile
ai banchetti era limitata alle
mogli degli invitati, le quali stavano sedute, in
basso, accanto ai propri mariti sdraiati sul triclinio (cfr. Val. Max. II 1.2).
Perfino la cena petroniana, connotata da lautitiae di ogni genere, tace
assolutamente sulla presenza di scorta, pur descrivendo donne che partecipano
al banchetto, concedendosi vistose libertà (la parresia di Fortunata e la
disinvoltura erotica di Scintilla).
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I 26 ANDREA ARAGOSTI
60. Cfr. Petr. 56.10 iam etiam philosophes de negotio deieciebat, cum pittacia in
scypho circumferrì coeperunt, puerque super hoc positus officium apophoreta recitavit, ma
anche Suet. Aug. 75 e Elio Lampr., Heliogab. 22.
61. Cfr. Suet. l.c.: Saturnalibus, et si quando alias libuisset, modo munere dividebat...
titulis obscuris et ambiguis; esemplare, in questo senso, anche il luogo citato di
Petronio, in cui si instaura un rapporto etimologico bizzarro tra il dono e la
didascalia di accompagnamento (cfr. e.g. canale et pedale: lepus etsolea est aliata).
62. L'alternanza di un dono ricco e di uno povero significa che nella
distribuzione saranno scelti donidi diverso valore; nel l.c. di Elio Lampridio si
dice che tale alternanza viene trasformata, nella situazione ivi descritta, in
modo che diventi una successione del tutto casuale e non priva di grosse
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LUCILIO, SA Γ. xx: LA CENA DI GRANIO 127
sorprese, per inverare il criterio del sorteggio (ut vere sortes essent et fata
temptarentur).
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128 ANDREA ARAGOSTI
Granio). Se invece
si considera l'immagine della nave nel suo
significato simbolico, sono possibili ulteriori interpretazioni del
tutto diverse da questa. Marx cita un proverbio greco (Filostr.
Her. II p. 140, 2 Kays καί τά έκ πρώρας, φασί, καί τα έκ πρύμνης
άπολείχαι) nel quale si dice «essere perduto da prora a poppa»
65. La forma gubema per gubemacula, usata anche da Lucr. II 553 e IV 439 in
fine di verso, è foggiata sul modello apocopi delle
enniane (del tipo gau da
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LUCILIO, SAT. XX: LA CENA DI GRANIO 129
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130 ANDREA ARAGOSTI
si oppone a II 41 in cui le vele, all'inizio del viaggio poetico, sono issate); ciò
conferma l'ipotesi che il congedo di Lucilio sia solo rispetto al libro e non
all'intera opera ο alla poesia in generale, come vorrebbe Cichorius, perché
allora l'immagine più appropriata sarebbe stata quella di «entrare nel porto»
(cfr. Staz. silv. IV 89 e Theb. XII 809 etc.).
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