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Una breve sintesi della ricezione delle opere

Nel considerare la ricezione dei testi di Orazio, torna subito


alla mente il solenne Exegi monumentum aere perennius
(Carmina, III, 30 v.1), al quale fa da contraltare la timorosa
esternazione che le sue opere possano diventare strumentale
oggetto di apprendimento da parte degli scolari: Hoc quoque te
manet, ut pueros elementa docentem / occupet extremis in vicis
balba senectus (Epistulae, I, 20, vv.17-18). Il poeta paventava
infatti la pratica, in uso tra gli anziani maestri, d’impartire sulla
strada i rudimenti delle prime letture, servendosi di qualche antico
e consunto libro come abbecedario.
Questo accadde veramente, come attesta Giovenale, usando la
similitudine tra i cardatori in piedi, al lavoro, come gli scolari,
quando l’opera di Orazio aveva cambiato colore e quella di
Virgilio era annerita di fuliggine: “quot stabant pueri, cum totus
decolor esset / Flaccus et haereret nigro fuligo Maroni” (Saturae,
III, 7, vv.226-227).
Fortunatamente non mancò l’auspicata fama, in virtù di molti
eminenti scrittori. Infatti un famoso retore come Quintiliano
annoverò Orazio come il solo poeta lirico degno d’essere letto:
“lyricorum idem Horatius fere solus legi dignus” (Institutio
oratoriae, X, 1, 96).
L’Ars poetica fu dunque studiata e commentata dal
grammatico Giulio Modesto, da Valerio Probo, in età neroniana, e
da Terenzio Scauro, al tempo di Adriano.
Importanti riferimenti si riscontrano nei testi di Seneca, ad
esempio, la menzione di un Bucillus (Epistulae, LXXXVI,13)
ossia il Rufillus che olezza di pastiglie (Sermones, I, 2, v.27);
l’invito a moderare le pretese alimentari e l’uso di stoviglie

2
preziose, dal momento che la natura richiede soltanto cibo
(Epistulae, CXIX, 13), con la citazione di tre versi oraziani
(Sermones, I, 2, vv.114–116); la riprova di un animo corrotto,
desumibile dalla continua simulazione (Epistulae, CXX, 20),
mediante il riferimento al cantante Tigellio delle satire (Sermones,
I, 3, vv.11–17), indicando nomen e cognomen del poeta “Homines
multi tales sunt qualem hunc describit Horatius Flaccus”
(Epistulae, CXX, 21).
Persino Eumolpo, il personaggio di Petronio, nella sua
rassegna di poeti imitati dai giovinastri, allude alla sorprendente
capacità descrittiva di Orazio, “Horatii curiosa felicitas”
(Satyricon, 118, 5), difficilmente eguagliabile.
Anche Plinio il Vecchio, parlando delle uova e dei nidi degli
uccelli (Naturalis historia, X, 145), parafrasa i versi di una satira,
nella quale Orazio disquisisce di gastronomia con un certo Cazio
(Sermones, II, 4, vv.12–14).
Al III sec. d. C., risale il più antico commentario di Porfirione
relativo a tutte le opere di Orazio, a noi giunto in una versione
posteriore, mentre l’opera dello Pseudo-Acrone (V sec.), ad
opinione dei critici, non rispecchia l’originale di Acrone (III sec.).
Mario Servio Onorato redige il trattato De metris Horatii ad
Fortunatianum (IV sec.): alla sua scuola veniva infatti studiato
non solo Virgilio, ma anche il venosino.1
Successivamente i riferimenti ad Orazio sono sempre meno
frequenti, fino a quando ricompare nei manoscritti del IX sec.
In un palinsesto della seconda metà del IX sec., conservato a
Parigi (BnF Lat. 7900A), Orazio è annoverato insieme a Lucano,
Giovenale, Terenzio e Marziano Capella, tutti dotati di copiose
annotazioni.
Come rileva Richard Tarrant, “questo manoscritto illustra
un'altra pratica medievale, con un possibile intento pedagogico,
1
Per un utile confronto, relativo alla ricezione nel mondo classico, si ricorda il
saggio di GIACOMO LEOPARDI, Della fama avuta da Orazio presso gli
antichi. Discorso, in "Lo Spettatore italiano e straniero", n. 66, 15 dicembre
1816.

3
riportando il testo delle Odi con notazioni musicali. Quasi
cinquanta manoscritti di Orazio che contengono tale notazione
sono stati registrati, datati dal IX al XII secolo; uno scopo
probabile era quello di aiutare a memorizzare e spiegare i metri
lirici di Orazio”2. L’uso di cantare una poesia costituisce infatti
una delle mnemotecniche più antiche.
“L’altro è Orazio satiro che vene” (Inferno, IV, v. 89), così
Dante, segna l’incontro nel Limbo con il poeta, annoverandolo
principalmente per i Sermones, mentre Petrarca ne apprezza i
Carmina: “Regem te Lyrici carminis Italus” (Epistulae familiares,
XIV, 10).
Nel 1347, Petrarca acquistò a Genova un manoscritto del X
sec. (Biblioteca Medicea-Laurenziana, Plut. 34.1) con le opere di
Orazio e lo annotò in diverse carte.
Il prestigio del poeta crebbe ancora durante il rinascimento;
dal 1464 al ’65, Cristoforo Landino tenne un corso sull’Ars
poetica, come comprovano gli appunti delle lezioni redatte da
Bartolomeo Della Fonte e conservate in un manoscritto
(Biblioteca Riccardiana, ms.646).
Durante il XV sec., in Spagna, Orazio fu considerato uno dei
poeti canonici dell'antichità, insieme a Omero, Virgilio e Pindaro
e la sua rappresentazione pittorica fu effigiata nella Casa Pilatos di
Siviglia e nella Biblioteca Reale di San Lorenzo dell’Escorial a
Madrid. La traduzione completa delle sue opere fu ultimata nel
1599 da J. Villén de Biedma.3
L’influenza oraziana è ben ravvisabile nelle Satire di Ariosto
composte tra il 1517 e il ’25, con l’elogio della vita tranquilla e le
piacevolezze della campagna opponibili agli affanni cittadini.
2
Horace's "Odes". Oxford approaches to classical literature, Oxford
University Press, New York, 2020, p. 213.
3
Cfr. CLARA MARÍAS MARTÍNEZ, La recepción de Horacio en el
Siglo de Oro: Traducciones en prosa y verso, y estudio del caso de Nil
admirari (Ep. I, 6), Camenae n° 18 – 2016, consultabile online all’indirizzo
https://www.saprat.fr/media/f1c763399b5aba87d4c73053f157d0cb/camenae-
18-13-martinez.pdf .

4
Nell’epigramma proemiale in latino della sua raccolta Les
regrets (1558), Joachim Du Bellay identifica, sul modello
oraziano, le componenti della sua poetica: il fiele, il sale ed il
miele, preannunciando pertanto di rinunciare all’esclusività del
tema amoroso.
Il tema del carpe diem aleggia nella raccolta Les Amours
(1560) di Pierre De Ronsard e compare come invito alla donna
amata a cogliere il fiore della giovinezza, prima che appassisca:
“cueillez, cueillez, vostre jeunesse / comme à cette fleur, la
vieillesse / fera ternir vostre beauté” (Ode à Cassandre, Odes, I,
17, vv. 16-18).
A Jean-Jacques Rousseau si deve l’imitazione di un’ode
(Carmina, III, 9) che è compresa nell’intermezzo pastorale, Le
devin du village (1752), rappresentato con successo alla corte di
Luigi XV, nella residenza di Fontainebleau.
E Voltaire scrisse addirittura un’epistola (1772) ad Orazio,
dalla quale traiamo questi versi emblematici.

Tout passe, tout périt, hors ta gloire et ton nom.


C'est là le sort heureux des vrais fils d'Apollon:
Tes vers en tout pays sont cités d'âge en âge.4

Con la fondazione a Roma dell’Arcadia (1690), fioriscono le


traduzioni dell’Ars poetica, celebre, fra tutte, quella in versi di
Pietro Metastasio (1746). Nelle sue lezioni presso l’università di
Napoli, anche Giambattista Vico ne raccomandava i precetti ai
suoi studenti.
In qualità di Arcade, Giacomo Casanova, con il nome di
Aupolemo Pantareno, “recitò un elegante, ed eruditissimo
Discorso, dando la più vera dilucidazione a quel passo di Orazio,
Scribendi recte sapere est principium et fons [De arte poetica
4
Epître CXIV, in Œuvres complètes de Voltaire, Garnier, Parigi 1877, tomo
10, p. 444. “Tutto passa, tutto perisce, tranne la tua gloria e il tuo nome. /
Questo è il felice destino dei veri figli di Apollo: / i tuoi versi sono citati in ogni
terra di epoca in epoca”.

5
liber, v.309]: mostrando in seguito, che i più celebri Poeti, ed in
particolare Omero, furono veri Filosofi. Il suo Discorso fu
sommamente, e replicatamente applaudito”5.
In Germania, fiorì un’ampia rassegna di studi oraziani; nel
1724 Caspar Gottschling curò un’edizione latina corredata da note
in tedesco, Q. Horatii Flacci Poemata, mentre nel 1754 Gotthold
Ephraim Lessing scrisse Rettungen des Horaz, motivando il
proprio approccio con l’autore con una singolare similitudine,
riecheggiante il concetto ut pictura poesis (Ars poetica, 361).

“Ich selbst kann mir keine angenehmere Beschäftigung


machen, als die Namen berühmter Männer zu mustern, ihr
Recht auf die Ewigkeit zu untersuchen, unverdiente Flecken
ihnen abzuwischen, die falschen Verkleisterungen ihrer
Schwächen aufzulösen, kurz alles das im moralischen
Verstande zu tun, was derjenige, dem die Aufsicht über einen
Bildersaal anvertrauet ist, physisch verrichtet”.6

Il poeta Karl Wilhelm Ramler fu addirittura soprannominato


deutscher Horaz, data la sua ammirazione per Orazio che tradusse
ed imitò nella sua opera Oden aus dem Horaz (1769).
La ricezione del nostro ha lasciato tracce importanti anche in
Inghilterra, in età elisabettiana, nelle opere di Robert Herrick, Ben
Jonson, John Dryden e John Milton, del quale vogliamo almeno

5
ANTONIO VALERI, Casanova a Roma, Enrico Voghera, Roma 1899, p.51.
6
Rettungen des Horaz (1754), in G.E. LESSING, Werke und Briefe, 12 vols.,
W. Barner et al, ed. (Frankfurt a.M.: Deutscher Klassiker Verlag, 1987 – 98), 3,
159.
“Io stesso non riesco a pensare a un'occupazione più piacevole che scrutare i
nomi di uomini famosi, indagare sul loro diritto all'eternità, cancellare le
macchie immeritate, eliminare le false toppe che coprono i loro punti deboli, in
breve, fare in senso morale quanto fa fisicamente chi è incaricato di sorvegliare
una pinacoteca”.

6
ricordare la famosa traduzione dell’ode a Pirra (cfr. Carmina, I, 5,
p.96).
Alexander Pope scrisse Imitation of Horace (1733-1735), una
raccolta di undici componimenti, e la sua grande ammirazione per
il poeta latino era stata dichiarata anche in An Essay on Criticism
(1711), affermando che Orazio incanta con graziosa negligenza,
trasmettendo familiarmente, con semplicità, la nozione più vera.7

Horace still charms with graceful Negligence,


And without Method talks us into Sense,
Will like a Friend familiarly convey 655
The truest Notions in the easiest way.

Pure Lord Byron fu un ammiratore di Orazio, del quale


tradusse l’Ars poetica, come egli stesso dichiara a John Cam
Hobhouse in una lettera (Atene, 18 marzo 1811).

I have just finished an imitation in English verse (rhyme of


course) of Horace’s “Art of Poetry” which I intend as a
sequel to my “E[nglish] Bards,” as I have adapted it entirely
to our new school of Poetry, though always keeping pretty
close to the original. – This poem I have addressed, & shall
dedicate to you, in it you fill the same part that the “Pisones”
do in Horace, & if published it must be with the Latin
subjoined.8
7
Per approfondire il tema della ricezione dell’autore, si rimanda allo
studio di ANTONIO IURILLI, Quinto Orazio Flacco. Annali delle edizioni a
stampa secoli XV-XVIII, tomi I-II, Droz, Genève 2017.
8
Famous in my Time. Byron’s letter and journals, Leslie A. Marchand, The
Belknap of Harvard press University press Cambridge, Massachusetts 1973,
vol. 2, p.43. “Ho appena terminato un'imitazione in versi inglesi (naturalmente
in rima) dell'Ars poetica di Orazio, che intendo come seguito del mio English
Bards, poiché l'ho adattato interamente alla nostra nuova scuola di poesia, pur
mantenendomi sempre abbastanza vicino all'originale. Questo componimento
l’ho indirizzato e lo dedicherò a te: in esso tu occupi la stessa parte dei "Pisoni"
nel testo d’Orazio, e, se pubblicato, deve essere corredato dall’originale latino”.

7
Ammiratore dei “fulgidi d’Orazio carmi”9, Giosuè Carducci
ne difese apertamente la grandezza stilistica contro la critica dei
romantici, intitolando anche una raccolta di trenta poesie,
composte tra il 1867 e il 1879, Giambi ed epodi, omaggiando
altresì la grandezza di Archiloco e acquisendo l’impronta
sferzante della vis latina, nelle proprie accese controversie civili.
La poetica dell’angulus diviene un luogo sicuro, al riparo
dalle minacce del mondo, nei versi di Giovanni Pascoli.

Al mio cantuccio, donde non sento


se non le reste brusir del grano,
il suon dell’ore viene col vento
dal non veduto borgo montano:
suono che uguale, che blando cade, 5
come una voce che persuade.10

Peraltro con il poeta Pascoli intreccia un dialogo che si colora


di note biografiche, rivissute alla luce della personale sensibilità,
in Ultima linea (1906), un poemetto latino ove è narrata una
passeggiata lungo l’abituale percorso descritto in Sermones, I, 9
(cfr. pp.74-81): Orazio è malinconico, perché ha perduto
Mecenate, e dunque, assorto in pensieri immortali, si prepara al
suo incontro con la morte, percorrendo la via Sacra, come un
tempo, finché non s’imbatte in Aristio Fusco.

Nil mortale putans secum moriturus abibat,


atque via sacra se nunc deprendit, ut olim
cum cuidam fronti prope frontem impegit. «Horati!»11 110

9
Cfr. Una rama d’alloro, in Rime nuove, libro IV, Zanichelli, Bologna 1889,
pp.120-122.
10
L’ora di Barga, in Canti di Castelvecchio, Zanichelli, Bologna 1907, p.121.
11
Poesie latine, a cura di Manara Valgimigli, A. Mondadori, Milano 1951,
p.162.

8
Innegabilmente, nel discorso poetico del novecento, è
possibile cogliere ancora la presenza di Orazio, nella trasparenza
delle massime carpite dai suoi testi, benché non sempre la
ricezione dia luogo ad una pacifica acquisizione ed anzi divenga
spunto per un atteggiamento analitico che, il più delle volte, pone
in risalto ciò che il critico ricusa di sé. Così Ezra Pound che,
invitato dall’amico T. S. Eliot, scrive un ritratto in controluce.

Neither simple nor passionate, sensuous only in so far as he is


a gourmet of food and of language, aere perennius, Quintus
Horatius Flaccus, bald-headed, pot-bellied, underbred,
sycophantic, less poetic than any other great master of
literature, occupies one complete volume of the British
Museum Catalogue and about half the bad poetry in English
might seem to have been written under his influence.12

Tuttavia Pound deve ammettere le reali difficoltà che il


traduttore incontra nella resa dei componimenti, perché “Horace is
the devil to translate”13.
Una difficoltà che affronterà negli anni seguenti,
interpretando alcuni carmi con evidenti libertà strutturali, nonché
interpolazioni: Ask not ungainly askings of the end (cfr. Carmina,
I, 11, pp.112-115), dove Leuconoe diviene Leucothoë, la bianca
dea; This monument will outlast metal and I made it (cfr.
Carmina, III, 30, p.136-139), dove Libitina si associa all’identità
di Persefone; infine By the flat cup and the splash of new vintage
(Carmina, I, 31): i tre carmi costituiscono un vero banco di prova,
12
EZRA POUND, Horace, in Criterion 9 (gennaio 1930), p.217, ripubblicato in
The Criterion: 1922-1939, vol. IX, Faber and Faber, Londra 1967. "Né
semplice né appassionato, sensuale solo quanto lo è un buongustaio del cibo e
del linguaggio, aere perennius, Quinto Horazio Flacco, calvo, panciuto,
maleducato, sicofante, meno poetico di qualsiasi altro grande maestro della
letteratura, occupa un volume completo del catalogo del British Museum e
quasi metà della cattiva poesia inglese sembra essere stata scritta sotto la sua
influenza”.
13
Ibid. p.224.

9
per chi voglia emulare la loro intrinseca musicalità ed anche
l’oraziana arte di evocare concetti profondi, in una velata elegante
veste di ironico distacco, e di ciò Pound diviene perfettamente
consapevole.
Con Orazio la traduzione diventa dunque una sorta di
avventura per l’assoluta imprevedibilità dello svolgersi del testo,
come Josif Brodskij spiega chiaramente.

Ma io sospetto che anche nella tua madrelingua latina i tuoi


lettori indovinassero raramente quale sarebbe stata la
prossima parola.14

Consapevole delle tante prove che la gara traduttiva di Orazio


comporta, Cesare Pavese adotta una cifra del tutto diversa, rispetto
alla tradizionale emulazione, come G. Barberi Squarotti
magistralmente spiega: “E quando il tema è la riflessione
esistenziale, come nella celebre ode a Leuconoe (1.11)
l’understatement stilistico la cala in una realtà quotidiana che
chiunque può sperimentare, non leggendo i poeti o i traduttori
laureati (almeno non quelli degli anni intorno alle versione
pavesiana), ma ascoltando un amico un po’ disincantato che la sa
lunga sulla vita”.15

O Leuconoe, tu non ti darai d’attorno per sapere, ciò che


non è lecito, qual fine gli dei abbiano destinato a te, a me; e
neppure almanaccherai calcoli Babilonesi. Come è meglio,
invece, prendersela in santa pace, qualunque cosa avvenga, o
che Giove ci conceda ancora molti inverni o che sia l’ultimo
questo che spinge ora il mar Tirreno a infrangersi sulle

14
JOSIF BRODSKIJ, Lettera ad Orazio, in Dolore e ragione, Traduzione di
Gilberto Forti, Adelphi, Milano 1995, p.59.
15
GIOVANNI BARBERI SQUAROTTI, Le Odi di Orazio nella traduzione di
Cesare Pavese, in Scrittori che traducono scrittori. Traduzioni ‘d’autore’ da
classici latini e greci nella letteratura italiana del Novecento, a cura di E.
Cavallini, Edizioni Dell’Orsa, Alessandria 2017, p.29.

10
scogliere tutte ròse. Fa’ senno, mesciti vino e, poiché la vita è
breve, tarpa le ali a ogni lunga speranza. Anche mentre stiam
qui a parlare, sarà fuggito il tempo avaro: goditi l’istante e
non creder per nulla al futuro.16

16
Le Odi di Quinto Orazio Flacco tradotte da Cesare Pavese, a
cura di Giovanni Bàrberi Squarotti, Olschki, Firenze 2013, p.19.

11
Carmina, I, 11

Il carme è rivolto a Leuconoe 17, la fanciulla il cui nome


denota caratteristiche di una personalità ingenua e forse
facilmente influenzabile, vista la propensione ad affidare le
proprie aspettative di vita all’interpretazione degli astri da parte
degli indovini, una pratica assai diffusa nel tempo, benché spesso
fortemente criticata, secondo le attestazioni di molti autori, quali
Catone18 e Aulo Gellio19.
Occorre a questo punto riportare, grazie alla testimonianza
di Svetonio20, la particolare fiducia che Augusto nutriva invece nei
confronti della simbologia zodiacale: nonostante egli fosse nato il
23 settembre, fece coniare una moneta con l’effigie del

17
“Il convivio è presso Leuconoe il cui animo non è sereno, come serena la
bellezza. Così mi giova interpretare il nome della fanciulla, da λευκός e νοῦς,
come valesse: se fosse anche nell’animo, candida sarebbe in tutto”. (Giovanni
Pascoli, Lyra romana, R. Giusti, Livorno 1895, p.209). Pascoli suppone che la
ragazza abbia con sé delle tavolette (pinakes), per trarre pronostici.
18
Chiare le prescrizioni di Catone al fattore, affinché si astenga dal consultare
aruspice, augure, indovino o caldeo: con il termine Chaldaeus si faceva
riferimento all’astrologo. “Haruspicem, augurem, hariolum, Chaldaeum ne
quem consuluisse velit”. (De agri cultura, V, 6).
19
Oltre a biasimare la disonestà degli indovini, Aulo Gellio sottolinea la
pericolosità dei pronostici, sia negativi sia positivi, per i condizionamenti che
comportano a livello psicologico. «Aut adversa – inquit – eventura dicunt aut
prospera. Si dicunt prospera et fallunt, miser fies frustra exspectando; si
adversa dicunt et mentiuntur, miser fies frustra timendo; sin vera respondent
eaque sunt non prospera, iam inde ex animo miser fies antequam e fato fias; si
felicia promittunt eaque eventura sunt, tum plane duo erunt incommoda: et
exspectatio te spei suspensum fatigabit et futurum gaudii fructum spes tibi iam
praefloraverit. Nullo igitur pacto utendum est istiusmodi hominibus res futuras
praesagientibus». (Noctes Atticae, XIV, 1, 36).
20
Un intero capitolo della vita di Augusto è dedicato ai prodigi che si
verificarono alla sua nascita (De vita caesarum, Vita Augusti, XCIV). In
particolare egli ebbe tanta fiducia nel proprio destino da divulgare il proprio
tema natale in una moneta d’argento: “Tantam mox fiduciam fati Augustus
habuit, ut thema suum vulgaverit nummumque argenteum nota sideris
Capricorni, quo natus est, percusserit”. (Vita Augusti, XCIV, 12).

12
Capricorno, segno del suo concepimento, come emblema della
propria fortuna.
La sensibilità d’Orazio sembra invece rifuggire da questo
universo magico che costituisce una sorta di superamento della
condizione umana ancorata all’hic et nunc, egli preferisce infatti
delimitare la prospettiva esistenziale alla concretezza del presente,
senza differire le occasioni che la vita offre ad un ipotetico futuro.
Nella sua poetica si circoscrive pertanto il tema del carpe
diem, con l’invito a calarsi integralmente in un piacere in atto, non
contaminato dalla tensione del divenire. Il tema è rilevabile anche
nelle odi a Lucio Sestio (I, 4, pp.93-95), a Postumo (II, 14,
pp.152-155) e a Torquato (IV, 7, pp.194-197).

Denario proveniente da una zecca spagnola (18-16 a.C.).


Sul recto il profilo dell’imperatore; sul verso il Capricorno,
sormontato dalla cornucopia e con il globo terrestre tra le zampe.
L’emblema del Capricorno sarebbe stato assegnato ad Ottaviano
dall’astrologo Teogene.

Carmina, I, 11

13
Tu ne quaesieris (scire nefas) quem mihi, quem tibi
finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios
temptaris numeros. Ut melius quicquid erit pati!
Seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam,
quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare                5
Tyrrhenum, sapias, vina liques et spatio brevi
spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida
aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.

A Leuconoe

Non domandare, Leuconoe - non è dato sapere - quale termine

14
abbiano posto gli dei alla tua, alla mia vita, e non tentare
le cabale caldaiche. È meglio, credi, accettare tutto ciò che verrà.
Siano tanti gl’inverni che il cielo ci assegna, o sia l’ultimo questo,
che ora batte il Tirreno e le sue fragili coste, sii saggia, Leuconoe:
filtra il vino e dal nostro breve spazio escludi la lunga speranza.
Sarà fuggita, mentre parliamo, l’invidia del tempo:
prendi ciò che oggi ti è dato e nel domani confida meno che puoi.

Carmina, III, 30

15
La conclusione del III libro dei Carmina ci presenta un
elogio da parte del poeta della propria arte e una consapevolezza
della personale grandezza che, in altri contesti, Orazio sembra
voler sminuire, forse per sottrarsi alle richieste, avanzate da
eminenti personaggi, di trattare tematiche non congeniali alla sua
vena poetica. Così si evince ad esempio nell’ode rivolta ad
Agrippa (Carmina, I, 6, pp.100-103) e anche in quella riferita a
Mecenate (Carmina, II, 12), ove espressamente vien detto che le
tematiche eroiche della guerra non trovano ispirazione nel
sostegno della Musa. Peraltro lo stesso Apollo aveva ammonito il
poeta allorché era desideroso di celebrare battaglie e città vinte
(Carmina, IV, 15).
A proposito dell’ode conclusiva del III libro, Giulio
Scaligero rileva la capacità artistica di mescolare orgoglio e
grandezza: “Ultima eiusdem libri miscuit etiam fastum cum
maiestate”21. E ancora lo Scaligero sottolinea la nobiltà dei
carmina, elogiandone lo stile: “Carminum igitur libri vel iucunda
inventione, vel puritate sermonis, vel figurarum tum novitate tum
varietate, maiores sunt omni non solum vituperatione, sed etiam
laude: neque solo dicendi genere humili quemadmodum scripsit
Quintilianus, contenti: verum etiam sublimi maxime
commendandi. Quid enim altius aut praeclarius illis?”22
Il fastus si esprime nella convinzione d’aver creato
un’opera imperitura che la furia degli elementi non potrà
estinguere (vv.3-5); l’immagine potente emula i versi dell’ode di
Pindaro per Senocrate d’Agrigento, per il quale il poeta ha
realizzato un tesoro d’inni, custodito nel bosco d’Apollo, che la
foga degli elementi non distruggerà.
21
JULIUS CAESAR SCALIGERUS, Poetices libri septem, apud Antonium
Vicentinum, Lione 1561, p.338.
22
Ibidem “I libri dei Carmi sono sempre i più importanti, non solo al di là di
ogni critica, ma anche di ogni lode, grazie alla felice invenzione, alla purezza
del linguaggio, alla novità o alla varietà delle figure: secondo Quintiliano, non
si limitano allo stile basso, ma sono da lodare per il loro stile sublime. C'è,
infatti, qualcosa di più nobile e illustre di questi?”

16
τὸν οὔτε χειμέριος ὄμβρος, ἐπακτὸς ἐλθών 10
ἐριβρόμου νεφέλας
στρατὸς ἀμείλιχος, οὔτ’ ἄνεμος ἐς μυχούς
ἁλὸς ἄξοισι παμφόρῳ χεράδει
τυπτόμενον. φάει δὲ πρόσωπον ἐν καθαρῷ
πατρὶ τεῷ, Θρασύβουλε, κοινάν τε γενεᾷ. 15
λόγοισι θνατῶν εὔδοξον ἅρματι νίκαν
Κρισαίαις ἐνὶ πτυχαῖς ἀπαγγελεῖ.23
(Pitica, VI, vv.10-17)

La forza del messaggio dichiara che, grazie all’opera


compiuta, l’artista non morirà completamente, poiché l’opera
stessa è parte di lui. Legittimo è l’orgoglio per essere riuscito ad
elevarsi, benché partito da umili origini: un elemento naturale
tratteggia, con l’impetuoso scorrere delle acque dell’Ofanto, la
terra natale. A ciò si accompagna la consapevolezza d’essere stato
il primo a cominciare un nuovo corso poetico, modulando la lirica
eolica in base ai ritmi italici. La missione del poeta,
indissolubilmente legata al destino di Roma, per propugnarne i
valori e la grandezza, è il contenuto di fondo del carme, ben
compreso da Aleksandr Puškin, che, nel personale Я памятник
себе воздвиг нерукотворный… (Exegi monumentum), ha
identificato la funzione dei propri versi in un’invocazione a
recuperare la libertà perduta, rivolta al suo popolo24
23
“Né pioggia d’inverno che piombi con impeto fitto, / esercito crudo / di nube
sonora, né turbine / con furia d’avversi lapilli, / potrà mai scalzarlo, rapirlo / nei
gorghi del mar: la sua fronte fulgente nel sole, / la insigne vittoria che cinse, o
Trasíbulo, / nei grembi di Crisa, tuo padre e tua stirpe, / dirà, che la dicano, agli
uomini”. (PINDARO, Le odi e i frammenti, E. Romagnoli, L. S. Olschki,
Firenze 1921, p.19)
24
Questa invocazione riecheggia forte nella quarta strofa: “E a lungo al mio
popolo io sarò caro, / Che in un tempo crudele ho lodato la Libertà, /
Che ho acceso i buoni sentimenti con la lira / E verso i caduti ho invitato alla
pietà.” (32 Poesie di Aleksandr Sergeevič Puškin, Traduzione e Introduzione di
Paolo Statuti, Edizioni CFR, Piateda 2014; testo online anche nel blog di P.

17
Carmina, III, 30

Exegi monumentum aere perennius


regalique situ pyramidum altius,
quod non imber edax, non Aquilo inpotens
possit diruere aut innumerabilis
annorum series et fuga temporum.                5
Non omnis moriar multaque pars mei
vitabit Libitinam; usque ego postera
crescam laude recens, dum Capitolium
scandet cum tacita virgine pontifex.
Dicar, qua violens obstrepit Aufidus                10
et qua pauper aquae Daunus agrestium
regnavit populorum, ex humili potens
princeps Aeolium carmen ad Italos
deduxisse modos. Sume superbiam
quaesitam meritis et mihi Delphica                15
lauro cinge volens, Melpomene, comam.

La gloria

Ho costruito un monumento più duraturo del bronzo,

Statuti: https://musashop.wordpress.com/2014/05/14/)

18
più alto della regale mole delle Piramidi,
che non potranno distruggere il logorio delle acque,
la furia dei venti, la serie innumerevole degli anni
e la corsa del tempo. Non del tutto io morrò;
molta parte di me sfuggirà Libitina
e per la lode dei posteri sempre avrò vita,
finché solenne salga il Campidoglio
il pontefice con la vergine in preghiera.
Là, dove l’Ofanto strepita violento, dove,
povero d’acqua, regnò Dauno su agresti villaggi,
di me si dirà che, da umile divenuto potente,
per primo il carme Eolio modulai su italici accenti.
Sii superba, Melpomene, per i tuoi benefici e, se tu vuoi,
incorona il mio capo con l’alloro di Delfi.

19
Indice

Introduzione
Una breve sintesi della ricezione delle opere 13
Selezione antologica 21
Epodi 21
Epodon liber, 2 22
Epodon liber, 7 28
Epodon liber, 15 32
Satire 36
Sermones, I, 1 38
Sermones, I, 5 48
Sermones, I, 6 58
Sermones, I, 8 68
Sermones, I, 9 74
Sermones, II, 6 82
Odi 92
Carmina, I, 4 93
Carmina, I, 5 96
Carmina, I, 6 100
Carmina, I, 9 104
Carmina, I, 10 108
Carmina, I, 11 112
Carmina, I, 13 116
Carmina, I, 17 120
Carmina, I, 20 124
Carmina, I, 22 128
Carmina, I, 23 132
Carmina, I, 30 136
Carmina, I, 38 140
Carmina, II, 6 144
Carmina, II, 11 148
Carmina, II, 14 152
Carmina; II, 15 156

20
Carmina, III, 13 160
Carmina, III, 18 164
Carmina, III, 21 168
Carmina, III, 22 172
Carmina, III, 23 176
Carmina, III, 26 180
Carmina, III, 30 184
Carmina, IV, 2 188
Carmina, IV, 7 194
Epistole 198
Epistulae, I, 4 199
Epistulae, I, 5 202
Epistulae, I, 10 206
Svetonius, Vita Horatii 212
Enrico Bindi, La vita di Orazio raccontata da lui stesso 218
232
Indice 233

21

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