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Pisanello (1395-1455)

Nasce a Pisa. La sua prima formazione è veneta e legata al Gotico Internazionale.


Allievo di Gentile da Fabriano. Napoli è la sua ultima patria.
La sua pittura è estremamente colta. Ogni tavola e affresco da lui realizzati sono
preceduti infatti da decine di precisi disegni preparatori nei quali studia ogni singolo
dettaglio. Il soggetto principale è animale.

San Giorgio e la principessa, 1433-1438, affresco

Il Rinascimento
Fiorito in Italia tra 400 e 500. È il ritorno in vita del mondo classico e la
riproposizione di molti suoi modelli. Il senso positivo del termine Rinascimento può
essere applicato solo in ambito culturale poiché gli eventi storici di quei secoli furono
decisamente negativi.
I caratteri distintivi del Rinascimento furono l’amore e l’interesse per ogni
manifestazione culturale del mondo antico e la consapevolezza della centralità
dell’uomo, capace, con la propria intelligenza, di creare e promuovere il proprio
destino.
Per le arti figurative guardare al mondo classico non fu semplice imitazione, ma un
modo per creare qualcosa di assolutamente nuovo e diverso. Gli artisti rinascimentali
si sentirono, addirittura, di dover competere con gli antichi, di raggiungerli nella
grandezza e perfino superarli.
Dallo studio della civiltà classica si deduce che l’arte dei Greci e dei Romani è
naturalistica e da qui consegue che lo scopo dell’arte è l’imitazione della natura,
mimesi. Una natura che verrà indagata scientificamente dagli uomini del
Rinascimento e il cui principale strumento sarà la prospettiva. A Firenze si
manifesterà inizialmente questa nuova arte rinascimentale e i suoi artisti ne sono i
primi fondatori.
Masaccio (1401-1428)
Nasce ad Arezzo. La sua formazione artistica e culturale avviene a Firenze. Arriva a
porsi, insieme a Brunelleschi e Donatello, come il terzo e fondamentale punto di
riferimento della rivoluzione artistica del primo 400. Collabora con Masolino.
Tutti i personaggi masacceschi sono dotati di un volume proprio e occupano uno
spazio reale, non più quello simbolico del tardo-gotico.
Nutriva un forte interesse nei riguardi dell’architettura e dell’Antico.
Con Masaccio possiamo considerare definitivamente conclusa la tradizione pittorica
del Medioevo. Le intuizioni di Giotto vengono sviluppate e potenziate originando
personaggi efficacemente realistici, modellati dal chiaroscuri e resi credibili dalle loro
espressioni. Tutte le figure sono poi inserite entro paesaggi prospetticamente esatti,
dimostrando il raggiungimento di una totale padronanza delle tecniche scientifiche di
rappresentazione della realtà.

Sant’anna Metterza, 1425 Madonna in trono con il bambino e quattro angeli, 1426, Polittico di Pisa
Trinità,1426-1428, Affresco

Crocifissione, 1426, Polittico di Pisa Cacciata dal Paradiso Terrestre, 1424-1428, Cappella Brancacci

Il tributo, 1424-1428 & Distribuzione dei beni e morte di Anania, 1424-1428, Cappella Brancacci

Beato Angelico (1400-1455)


Nasce a Firenze. Entra in convento. Entrambi i soprannomi fanno riferimento sia alla
sua condotta morale sia alla straordinaria abilità con la quale ha sempre fatto
coesistere la tecnica rinascimentale con la tradizione del Gotico Internazionale, dando
origine a una pittura originale e personale.
Un tema a lui molto caro, per la ricchezza dei suoi valori simbolici, è quello
dell’annunciazione.
L’Angelico, pur organizzando lo spazio secondo le regole della prospettiva, quando
tratta le figure rifiuta di accettare fino in fondo il realismo di Masaccio. I suoi
personaggi, infatti, seppur solidi e ben disegnati, risultano sempre sospesi in
un’atmosfera astratta e di dolce spiritualità.
L’irripetibilità dell’Angelico sta quindi in questa sua consapevole volontà di
prolungare fino a 400 inoltrati alcuni temi simbolici della tradizione medioevale,
riuscendo a far sopravvivere, in una realtà già prospetticamente definita, ideali e
insegnamenti di pura spiritualità.

Annunciazione, 1426 Deposizione di Cristo, 1430-1432

Incoronazione della Vergine, 1430-1432 Cristo deriso, 1437-1447, Affresco

Paolo Uccello (1397-1475)


Nasce a Firenze. Lui non sembrò aver compreso il clima pieno di fervore innovativo
della Firenze dei suoi tempi. Inizialmente era ancora affascinato dalla pittura del
Gotico Internazionale e per questo si reca a Venezia. Una volta tornato si accorge di
Masaccio, Brunelleschi e Donatello e inizia allora ad applicarsi a questa nuova
scienza. La sua ricerca era tesa a sperimentare le estreme conseguenze delle
costruzioni prospettiche, quasi volendo mettere alla prova le leggi stesse e che lo
estraniano dalla realtà.
Dipingeva molti animali, prediligendo gli uccelli, da cui il soprannome.

Monumento a Giovanni Acuto, 1436 Niccolò da Tolentino alla testa dei Fiorentini, 1438,

Battaglia di San Romano

Il disarcionamento di Bernardino Ubaldini della Carda, Intervento di Micheletto Attendolo da Cotignola in

condottiero della parte senese, 1438, soccorso del Tolentino, 1438, Battaglia di San

Battaglia di San Romano Romano

Filippo Lippi (1406-1469)


Nasce a Firenze. Prese poi i voti in un convento fiorentino ed ebbe modo di ammirare
gli affreschi che Masaccio stava eseguendo nella Cappella Brancacci. Fu
probabilmente questo incontro a far maturare in lui la scelta di dedicarsi interamente
alla pittura. A Padova conobbe la pittura fiamminga, che comunque non mancava
anche a Firenze. Venne poi sciolto dai voti.
Il suo disegno è ancora fortemente influenzato dalle solide volumetrie masaccesche.
Come tutti i pittori del tempo, si dedicò ad uno studio ed esercizio del panneggio che
lo resero estremamente abile nel definire, nel modo più realistico, le pieghe di una
stoffa, il materiale e il modo in cui si adattava al corpo. Grazie al panneggio costruiva
veri e propri corpo.
Alla sapienza volumetrica derivante dalle monumentali figure di Masaccio Filippo è
tra i primi ad aggiungere la descrizione degli interni e a modificare la tipologia stessa
della Maestà. Infatti le sue Madonne sono circondate da angeli e santi raffigurati
mentre compiono delle azioni in un ambiente circoscritto.
Le figure di Filippo Lippi si presentano alquanto schiacciate, come se non derivassero
dall’osservazione diretta della realtà. Le mani paiono sempre troppo piccole se
commisurate alle dimensioni delle figure che, inoltre, sembrano quasi imprigionate in
uno spazio che non è mai abbastanza profondo. I volti risultano tondeggianti, con
menti ancora morbidi, ma che più tardi si sarebbero precisati come a punta e protesi
in avanti, talvolta innaturalmente.
In diverse opere si è autoritratto.
Conferiva una tenerezza e una grazia toccanti a tutte le sue figure femminili.

Madonna col Bambino, angeli e i Santi Frediano e Agostino, Incoronazione della Vergine, 1441-1447

1437-1439, Pala Barbadori

Annunciazione, 1443 I funerali di Santo Stefano, 1460-1466, Affresco


Piero della Francesca (1413-1492)
Nasce a Sansepolcro, ad Arezzo. La sua eredità teorica è davvero consistente. Mai
nessuno prima di lui aveva mai studiato ne rappresentato i poliedri regolari e
semiregolari e solo subito di lui tanti artisti incominciarono a rappresentarli. A
Firenze conobbe le opere di Masaccio, del Beato Angelico e di Paolo Uccello. Fu poi
a Ferrara, Rimini e Urbino.
Il disegno di Piero si caratterizza per il tocco leggerissimo e sapiente e per l’estrema
sottigliezza del segno.
Nei dipinti di Piero le persone sono immobili e fermate in una specie di vitalità
sospesa.

Battesimo di Cristo, 1440 Il sogno di Costantino, 1452-1466, Storie della Croce

L’incontro di Salomone con la regina di Saba, 1452-1466, Storie della Croce


Flagellazione di Cristo, 1459 Sacra conversazione, 1472-1474

Ritratto di Battista Sforza, 1472-1474 Ritratto di Federico da Montefeltro, 1472-1474

Il trionfo di Federico da Montefeltro, Verso della tavola Il trionfo di Battista Sforza, Verso della tavola
Andrea del Verrocchio (1435-1488)
Nasce a Firenze. Ebbe inizi da orafo. Andò diverse volte a Venezia. Dalla sua bottega
usciranno artisti come il Botticelli, il Perugino e Leonardo da Vinci.

Vergine con il Bambino e due angeli, 1476,1478

Sandro Botticelli (1445-1510)


Nato a Firenze. Frequentò la bottega di Filippo Lippi e di Andrea del Verrocchio e
poi ebbe la sua. Lavorò per i Medici e poi risiedette a Roma. In seguito aderì al
movimento religioso di un frate domenicano e questo suo sentimento religioso ispirò
le sue opere seguenti.
È interessato a quanto è in primo piano e alla figura, trascurando così l’indagine del
paesaggio.
Si afferma poi in lui la convinzione che l’idea sia superiore alla realtà e quindi il
disegno, inteso come materializzazione dell’idea, per la sua immediatezza è più
vicino al pensiero e all’invenzione artistica di quanto non lo sia l’opera finita.
Nei suoi disegni si notano quelli che sono i caratteri del tipo umano da lui prediletto:
un volto regolare dal morbido modellato, i capelli resi da ciocche consistenti e
ondulate, uno sguardo pensoso ed un’espressione dolce.
A lui si deve anche l’aver riportato in vita l’interesse per i soggetti mitologici ad un
pubblico abituato a vedere in prevalenza soggetti sacri. Inoltre, dietro queste
rappresentazioni mitologiche, nascondeva messaggi e significati chiari solo ad una
ristretta cerchia di dotti e al destinatario dell’opera.
La Primavera, 1478 Madonna del Magnificat, 1483

Nascita di Venere, 1484-1485 Annunciazione di Cestello, 1489

Allegoria di Venere e Marte, 1483-1484

Compianto sul Cristo morto, 1495


Filippino Lippi (1457-1504)
Nasce a Prato, da Filippo Lippi. Visse con il padre dal quale apprese i rudimenti della
pittura e del disegno fino alla sua morte. Poi andò nella bottega di Botticelli. Fu poi
chiamato a concludere gli affreschi della Cappella Brancacci, molto importanti nella
formazione del padre.
Era innamorato del mondo classico e antico.
La sua fama come disegnatore fu profonda e duratura. La sua penna scorreva con
velocità e sicurezza sul foglio, senza sbavature ne errori.
Si serviva, inoltre, con maestria della nuova tecnica della pittura a olio e rispondeva
con originalità alle suggestioni della pittura fiamminga.

Visione di San Bernardo, 1485-1486 Vergine con il Bambino e i Santi Giovanni Battista, Vittore,

Bernardo e Zanobi, 1486

San Filippo sottomette il drago, 1495-1496 Adorazione dei Magi, 1496


Cosmè Tura (1430-1495)
Nasce a Ferrara. Lavora a lungo per gli Estensi. Formatosi sul Gotico Internazionale
risentì anche degli stimoli del Rinascimento e della pittura fiamminga. Fu caposcuola
della pittura ferrarese.
Le caratteristiche del suo modo di dipingere sono: la combinazione del magico
mondo gotico con le ricerche prospettiche, la ricerca di effetti fantastici e un colore
smagliante.

Vergine con il Bambino in trono, 1470-1474

Antonello da Messina (1430-1479)


Nasce a Messina. Fu a Venezia e poi a Napoli, dove venne a contatto con le opere
fiamminghe e la pittura ad olio, ma lavorò perlopiù a Messina. A lui si deve l’avvio
del rinnovamento artistico del Meridione d’Italia, sperimentando la combinazione
delle tecniche prospetttiche con la cura meticolosa dei particolari fiamminga.

San Gerolamo nello studio, 1475 Ritratto di giovane uomo, 1473


San Sebastiano, 1478-1479

Andrea Mantegna (1431-1506)


Nasce a Padova. Fu anche a Mantova, Roma e in Toscana. A Padova ebbe una ricca
formazione, poiché un centro della cultura antiquaria. Nel disegno tende ad un effetto
scultoreo influenzato anche dal segno duro, secco e spigoloso tipico degli artisti
tedeschi. Mantegna si pone, inoltre, in una posizione di attualità e avanguardia nei
confronti della cultura del tempo.
Con Andrea Mantegna chi guarda è anche guardato dai soggetti dipinti e diviene
parte attiva della rappresentazione.

Orazione nell’orto, 1453-1454 Orazione nell’orto, 1456-1459

Camera degli sposi, 1465-1474, Particolare con l’oculo della volta & La corte dei Gonzaga
San Sebastiano, 1480 Giuditta e la serva Abra, 1475

Giovanni Bellini (1435-1516)


Nasce a Venezia. Fu l’innovatore della pittura veneziana che per molti anni si era
tenuta lontana dalle novità rinascimentali. Fu però l’incontro con Andrea Mantegna,
suo cognato, a guidare l’artista nelle sue scelte definitive. Scelte rafforzate anche
rafforzate dal rigore prospettico e dalla luminosità di Piero della Francesca e dalle
morbide tinte delle tavole ad olio di Antonello da Messina.
La sua fama lo portò ad essere nominato pittore ufficiale della Repubblica veneziana.
La sua linea appare fluida e l’effetto cercato è chiaroscurale, propriamente pittorico.
Il tratto è rapido. Il segno è a volte leggero, altre insistito e largo. Alla tecnica si
somma la ricerca di un effetto fortemente emotivo.
Per Bellini l’uomo è solo una parte del mondo naturale.
Bellini impiega una prospettiva cromatica, cioè perseguita con i soli mezzi del colore,
ponendo in primo piano i colori caldi, nell’ultimo quelli freddi e nelle posizioni
intermedie colori che gradualmente li uniscono. Tale innovazione sarà alla base della
pittura tonale veneta.
Orazione nell’orto, 1465-1470 Pala dell’Incoronazione, 1470-1475

Madonna col bambino e i Santi Nicola di Bari, Pietro, Ritratto del doge Leonardo Loredan, 1501

Marco e Benedetto, 1488

Pietro Perugino (1445-1523)


Nasce a Perugia. Iniziò la sua attività in Umbria ma si recò a Firenze nella bottega del
Verrocchio. Aprì poi una bottega sua a Firenze e una a Perugia. Celebrato
inizialmente come il più grande pittore d’Italia vide poi la sua fama oscurarsi dai
naascenti Raffaello e Michelangelo e da Leonardo. Non era più capace di
rinnovamento. I caratteri della sua pittura furono gli stessi degli artisti fiorentini del
400, la linea di contorno e la prospettiva. La calma pensosa è uno dei caratteri
specifici e ricorrenti di tante figure dei dipinti del Perugino.
Anche lui fu influenzato dalla pittura fiamminga.
Piena di freschezza è anche la sua invenzione di dolcissime Madonne con il
Bambino.
Consegna delle chiavi a San Pietro, 1481-1483, Affresco Ritratto di Francesco delle Opere, 1494

San Sebastiano, 1490 Madonna con il Bambino, 1498-1500

La pittura Fiamminga
In alcuni centri nordici di cultura e tradizione tardo-gotiche alcuni pittori sviluppano
una stretta adesione al realismo. Si tratta dei Fiamminghi, artisti originari delle
Fiandre. Nelle loro opere, però, non si riscontrano mai riferimenti all’antico o riprese
dei temi classici, se non dopo i contatti con la pittura italiana che, viceversa, sono alla
base della ricerca realistica degli Italiani. L’indagine della realtà che i pittori
fiamminghi e fiorentini compiono negli stessi anni di inizio Quattrocento approda, di
conseguenza, a risultati opposti.
Se, infatti, i Fiorentini rendono con essenzialità e certezza matematica lo spazio per
mezzo della prospettiva lineare, i Fiamminghi si rivolgono allo studio di ogni
elemento, in modo che tutto venga analizzato fin nei particolari più minuti, che nella
realtà sfuggirebbero anche all’occhio più attento.
Se, ad esempio, nelle tavole dei Fiorentini c’è un solo punto di fuga, in quelle dei
Fiamminghi ce n’è più d’uno, in tal modo gli oggetti, le architetture e le figure
possono essere mostrati secondo il loro lato più comunicativo e rappresentativo.
Se per i Fiorentini l’uomo occupa sempre la posizione centrale in una composizione,
essendone il protagonista, per i Fiamminghi egli non ne è che una delle infinite
presenze.
Se a Firenze, infine, la luce, solitamente originata da un’unica sorgente, è sempre
funzionale alla ricerca prospettica per i Fiamminghi proviene da più fonti e illumina
con precisione ogni oggetto.

Hubert (1366-1426) e Jan van Eyck (1390-1441)


Pressoché nulle sono le notizie relative alla vita di Hubert van Eyck e poche quelle
riferite al fratello minore Jan, il massimo pittore fiammingo del XV secolo. A parte
un breve soggiorno in Portogallo Jan non si muove mai dalle Fiandre e ciò rende
ancora più stupefacente il suo nuovo modo di dipingere. Jan van Eyck rivoluziona la
pittura fiamminga. I colori che egli impiega nei suoi dipinti, infatti, sono tratti
dall’esperienza quotidiana e dall’attenta osservazione della natura e nulla hanno più a
che fare con quelli, simbolici e scarsamente realistici, fino ad allora usati. Questa
rivoluzione non si limita solo al colore, anche il disegno assume nuova e straordinaria
importanza come strumento di analisi e di comprensione della realtà. Di conseguenza
i personaggi di Van Eyck possiedono una solidità e un volume che li colloca
all’interno di uno spazio sempre preciso e ben definito.

Polittico dell’Adorazione dell’Agnello mistico, 1432

Iniziato da Hubert fu concluso da Jan dopo la morte del fratello.


Risulta oggi difficile distinguere i diversi apporti dei due Van Eyck perché non vi
sono dipinti noti di Hubert ai quali fare riferimento. È probabile, inoltre, che lo stesso
Jan abbia colorito delle figure già disegnate in precedenza dal fratello, al quale si
deve comunque la concezione complessiva del polittico. Il grandioso polittico si
compone di ventiquattro scomparti dipinti, forse in origine non pensati per stare
assieme. Alle cinque tavole inferiori che riguardano il mistero del sacrificio di Cristo
e della Salvezza e alle tre superiori al centro, con l’Eterno affiancato dalla Vergine e
da San Giovanni furono inoltre aggiunte le due tavole laterali con angeli musicanti e
le due con Adamo ed Eva.
Le tavole del registro inferiore sono occupate da un unico grande episodio che si
svolge all’aperto, in uno spazio dominato da una radura paradisiaca vista a volo
d’uccello. Non si ha una grande profondità spaziale pertanto lo spazio appare
angusto, tanto che le figure vi sembrano quasi costrette. L’artista, Hubert, è poco
interessato all’organizzazione spaziale della scena, ma si concentra sulla resa
tridimensionale di ciascuno dei personaggi, sul farli apparire realistici e sulla
ricchezza del colore e delle gemme.
L’Eterno in trono, in atto di benedire, indossa un abito rosso fuoco ed è avvolto in un
mantello dello stesso colore orlato d’oro, di perle e di pietre preziose. La testa è
coperta da una tiara ornata da tre corone risplendenti e tiene nella sinistra uno scettro
di cristallo, d’oro e di gemme. Nella sua figura si fondono le caratteristiche del Padre,
del Figlio e dello Spirito Santo, interpretando così l’immagine della Trinità. Il suo
volto, è quello giovanile di Gesù. La sua stessa posizione, in asse con la colomba
dello Spirito Santo della tavola inferiore e con l’Agnello sacrificale sull’altare
rafforza l’interpretazione trinitaria. Il pittore è attento al drappeggio, alla luce che
accende il rosso delle vesti e definisce i volumi.

I coniugi Arnolfini, 1434

Jan van Eyck firma la tavola che raffigura i coniugi Arnolfini, Giovanni e Giovanna
Cenami, nella loro camera matrimoniale.
La firma dell’artista è vistosamente scritta sul muro di fondo della stanza con la
formula latina Jan van Eyck fu qui. L’ambiente che accoglie i due benestanti
mercanti lucchesi è molto accogliente: notiamo un vistoso letto a baldacchino, in
fondo un mobile di legno intarsiato e una panca rivestita di tessuto rosso, sovrastati
da uno specchio circolare convesso, a sinistra un mobile basso su cui sono appoggiati
dei frutti, giusto al di sotto di una grande finestra vetrata che rischiara la stanza. Un
tappeto è steso di fronte al letto, mentre un grande lampadario pende dal soffitto a
travi di legno. Anche il pavimento è a listoni di legno. I due giovani sposi si sono tolti
le calzature: vediamo, infatti, delle ciabatte rosse ai piedi della panca e degli zoccoli
di legno in primo piano. L’Arnolfini indossa un enorme cappello scuro di pelliccia, lo
stesso materiale di cui è composto anche il suo pesante vestito. La moglie, che lo
guarda con tenerezza, ha sull’abito azzurro di velluto una lunga sopravveste verde.
Un velo bianco dal bordo di pizzo le copre il volto ancora un po’ infantile. Giovanni
tiene il palmo della propria mano contro il dorso di quella della giovane consorte. Un
cagnolino, simbolo della fedeltà coniugale, sta fra i due. La presenza divina nella casa
di due buoni credenti è simboleggiata dall’unica candela accesa del lampadario.
D’altra parte la fede e la pietà dei coniugi sono rivelate dal rosario appeso al muro e
dalle scene della Passione di Cristo raffigurate nei tondi che ornano la cornice dello
specchio.
La stanza è molto più grande di quanto il dipinto non mostri. Un gioco virtuosistico ci
mostra la parte mancante, quella che immaginiamo al di qua della tavola: nello
specchio concavo si riflettono, con la porzione di camera non in vista, anche due
personaggi che stanno entrando, uno dei due potrebbe essere lo stesso pittore ai quali
Giovanni Arnolfini rivolge un gesto di saluto. La luce modella le forme e illumina,
più d’ogni altra cosa, la figura di Giovanna Cenami.

Ritratto di uomo con turbante, 1433

Si tratta di uno dei più celebri ritratti fiamminghi del Quattrocento. La cornice,
preziosissima perché tra i pochi esemplari di cornice originale dell’epoca, reca due
iscrizioni: quella in basso rivela l’autografia dell’artista e la datazione dell’opera;
quella in alto recita “come io posso” e si intende come un’affermazione di falsa
modestia da parte dell’artista, che dichiara i suoi limiti intendendo celebrare la
grandezza della propria arte che deve, necessariamente, limitarsi a imitare la natura.  
È probabile che il dipinto sia un autoritratto. lo sguardo di due penetranti occhi celesti
si volge a destra, in direzione opposta alla rotazione della testa, fissando l’osservatore
in modo enigmatico.
Straordinaria è la resa naturalistica del turbante rosso carminio le cui pieghe
scomposte rivelano le elevate capacità rappresentative dell’artista. Grazie alla piena
padronanza della tecnica a olio e all’assoluto dominio del chiaroscuro, infatti, Van
Eyck riesce qui a conseguire un effetto di piena tridimensionalità. L’insolito
copricapo, che pare studiato indipendentemente dall’uomo che lo indossa, è
l’elemento dotato di maggiori qualità tridimensionali dell’intera opera che, per il
resto, è totalmente dominata dall’intensità dell’espressione del personaggio ritratto.

Rogier van der Weyden (1399-1464)


Nasce a Tournai e lì inizia l’attività di pittore. Fu allievo di Robert Campin. Si
trasferisce poi a Bruxelles dove conosce Jan van Eyck, il cui modo di dipingere lo
influenzò molto. Noto pure in Italia, si reca a Roma, Genova, Napoli, Firenze e
Ferrara.

Deposizione, 1435

L’opera raffigura Gesù deposto dalla croce, circondato da nove personaggi.


L’intera composizione è pensata come collocata all’interno di una grande scatola
sagomata a T rovesciata. Un giovane vestito di damasco azzurro pallido, salito su una
scala, ha liberato dai chiodi Gesù che, adagiato, viene sostenuto da Nicodemo e da
Giuseppe d’Arimatea. A destra un vecchio servitore tiene in mano un vasetto di
profumi, simbolo della Maddalena, la donna a destra, incurvata verso sinistra e
congiunge le mani portando in alto il braccio destro. A sinistra la Vergine svenuta per
il grande dolore. La sostengono San Giovanni e Maria di Sàlome. In disparte Maria di
Clèofa, con il capo chinato, piange coprendosi gli occhi con un lembo del velo
bianco.
Il corpo esangue di Cristo, abbandonato nella morte, spicca contro il bianco del
perizoma e del lenzuolo funebre che lo sostiene e un po’ lo copre. La sua postura,
come pure la posizione delle sue braccia, sono riproposte da quelle quasi identiche
della Vergine Maria.
C’è un’ambiguità nei rapporti di scala: la croce è troppo poco alta e il suo braccio
trasversale è troppo corto per poter ospitare il Cristo crocifisso, la scala a pioli è in
una posizione precaria e il giovane che vi si è arrampicato è in una posa complessa,
oppresso tra la croce e il fondale. Anche il corpo della Vergine è esageratamente
allungato. È un misto di verità e di finzione, di “vera carne” e di scultura.

Crocifissione, 1455

Un altro episodio trasformato in finzione scultorea.


I personaggi sono ridotti all’essenziale: Gesù crocifisso, la Vergine Maria e San
Giovanni disposti come fossero tre statue sull’altare contro un drappo rosso ripiegato
in alto. Le figure sono a grandezza naturale. Del tutto inconsueti sono gli abiti bianchi
della Vergine e di Giovanni, forse per rendere ancora più credibile il loro fingersi
sculture di marmo. Mentre il Santo evangelista piega entrambe le braccia
sollevandole in un gesto di stupore e di cordoglio, la seconda guarda in basso. La sua
angoscia e il suo dolore sono così forti che, mentre inclina in avanti la testa
portandola contro le mani, le ginocchia le si piegano e lei vacilla. Il drappo rosso è
stato appena dispiegato, appeso e lasciato calare. Le linee orizzontali delle pieghe,
inoltre, definiscono e sottolineano alcuni particolari significativi della composizione:
la scritta INRI in alto; l’allineamento delle spalle del Cristo; il perizoma; la testa della
Vergine, le ginocchia di Gesù, gli occhi di Giovanni; le braccia di Maria e di
Giovanni; il bacino abbassato della Vergine, i piedi di Gesù inchiodati al legno della
croce; le ginocchia di Maria e di Giovanni; i piedi di quest’ultimo.

Donato Bramante (1444-1514)


Nasce a Urbino. Si forma alla significativa scuola del cantiere urbinate. Fu a Mantova
e poi a Milano, alla corte di Ludovico Sforza, infine a Roma.
La pittura prospettica di Piero della Francesca e la classicità dell’Alberti e del
Mantegna saranno una costante nella sua arte.
Cristo alla colonna, 1490

Leonardo da Vinci (1452-1519)


Nasce a Firenze. Si forma nella bottega del Verrocchio, poi diviene pittore
indipendente e si trasferisce a Milano. Da qui poi a Mantova, Venezia, di nuovo a
Firenze e a Roma. Infine lascia l’Italia per la Francia.
Era profondamente insoddisfatto di quel che faceva perché riteneva che neppure con
la grande maestria delle proprie mani avrebbe mai potuto raggiungere la perfezione
dell’arte.
Si fidò sempre poco delle verità tradizionalmente accolte come tali e infatti fu tra i
primi a riconoscere il valore dell’esperienza intesa come sperimentazione e studio
scientifico della realtà in tutte le sue forme. Fu il primo a studiare l’anatomia
direttamente sui cadaveri e così fece anche con la botanica, l’astronomia, la zoologia,
la meccanica e tutto il resto.
Due i caratteri fondamentali della poetica figurativa di Leonardo: il contrapposto e lo
sfumato. Per contrapposto si intende un bilanciamento delle masse corporee che
hanno subito una torsione attorno a un asse. Lo sfumato consiste nel passaggio
graduale e impercettibile dall’ombra alla luce e nella perdita graduale della precisione
dei contorni, non più netti e continui.
Due delle concezioni dell’artista sono: quella seconodo cui un dipinto deve dare
soprattutto la sensazione di rilievo; quella che vuole che la perfetta esecuzione e
investigazione del paesaggio sia pari alla conoscenza della figura umana perché solo
così l’imitazione della natura risulterebbe perfetta e l’artista potrebbe dirsi veramente
universale, completo.
Annunciazione, 1472-1475 Adorazione dei Magi, 1481-1482

La Vergine delle rocce, 1483-1486 Dama con l’ermellino, 1489-1490

Il Cenacolo, 1495-1497 Monna Lisa, 1503-1515

Raffaello Sanzio (1483-1520)


Nasce a Urbino. Si educa nella bottega paterna e grazie anche alle opere d’arte della
corte dei Montefeltro. Va poi a Firenze attratto dalla presenza di Leonardo e
Michelangelo. Si trasferisce poi a Roma dove si compie definitivamente la sua
maturazione artistica.
La sua grafica evolve con rapidità, ma dimostra sempre un’elevata capacità tecnica.
Le sue figure sono precisate da una linea di contorno inizialmente non continua.
Lo stile del primo Raffaello si avvicina a quello di Pietro Perugino.

Lo sposalizio della Vergine, 1504 Madonna del prato, 1506 Deposizione, 1507

Scuola d’Atene, 1509-1510 Liberazione di San Pietro dal carcere, 1513-1514

Incendio di Borgo, 1514, Affresco Ritratto di Leone X con due cardinali, 1518
Trasfigurazione, 1518-1520

Michelangelo Buonarroti (1475-1564)


Nasce a Caprese. Compì i suoi primi studi a Firenze e poi andò nella bottega di
Domenico Ghirlandaio. La sua formazione però avvenne soprattuto copiando gli
affreschi di Giotto e di Masaccio. Si applicò molto anche nello studio della scultura
degli Antichi. Dopo le prime esperienze fiorentine come scultore, andò a Roma.
Michelangelo riteneva che lo scopo dell’arte fosse l’imitazione della natura e che solo
indagandola si poteva arrivare alla bellezza. Credeva inoltre che della natura
bisognasse scegliere solo i particolari migliori, ma anche che con la fantasia si
potesse dare vita ad una bellezza superiore a quella esistente in natura. C’è quindi un
modello ideale al quale conformare ogni propria creazione. Il perfetto corpo umano
per Michelangelo è la cosa più bella del creato.
Divenne poi più profondamente religioso e cominciò a ritenere secondaria la bellezza
fisica rispetto a quella spirituale. L’artista deve anche essere pio, quanto più lo è tanto
più riusicrà a infondere credibiltà e fede alle proprie figure, che potranno così
commuovere.
Alla fine arriva poi a convincersi che la bellezza esteriore distolga addirittura l’uomo
dalla spiritualità.
Alla base di ogni attività artistica c’è il disegno che consiste nel rendere evidente e
concreta l’idea che l’artista ha nella mente. Per lui il blocco di marmo informe
contiene già potenzialmente quel che poi lo scultore sarà capace di trarne.
Nei dipinti tratta i corpi in maniera scultorea, chiaroscurati e spiccanti dal fondo
tramite una linea di contorno netta e decisa (il contrario che andava facendo
Leonardo).
Pietà, 1498-1499, Marmo Sacra Famiglia (Tondo Doni), 1504

David, 1501-1504, Marmo

Creazione di Adamo, Volta della Cappella Sistina


Volta della Cappella Sistina, 1508-1512, Affresco Giudizio Universale, 1536-1541, Affresco

La pittura tonale veneta


Giorgione e Tiziano Vecellio riallacciandosi alla luminosa tradizione coloristica di
Giovanni Bellini sviluppano un nuovo modo di percepire e riprodurre la realtà.
Questo però non avviene più attraverso lo strumento razionalizzatore del disegno, ma
esclusivamente grazie al colore e allo studio delle sue possibili giustapposizioni e
all’armoniosa graduazione delle sue tonalità.
Giorgione da Castelfranco (1477-1510)
Nasce a Catelfranco Veneto. Si trasferisce poi a Venezia dove frequenta la bottega di
Giovanni Bellini, da cui apprende soprattutto il gusto per il colore e l’attenzione per i
paesaggi. Apre poi la sua bottega che diventerà uno dei principali punti di riferimento
artistico e culturale della città. Preferiva soggetti mitologici o comunque fantastici
rispetto a quelli religiosi. I soggetti giorgioneschi sono infatti spesso ispirati a un
mondo di simboli e di allegorie che finisce per collocarli in una dimensione senza
tempo.
Non considera più i paesaggi uno sfondo accessorio, ma parte integrante del dipinto e
figure e paesaggio appaiono tra loro armoniosamente amalgamati. Non usa una
prospettiva disegnata ma piuttosto una prospettiva dipinta, cioè suggerita attraverso il
colore. Usa tonalità di colore giustapposte le une alle altre, restituendo all’osservatore
l’illusione di una profondità spaziale. Questa tecnica è definita pittura tonale o
tonalismo.
Pala di Castelfranco, 1504-1505 La tempesta, 1502-1503

Venere dormiente, 1508-1510

Tiziano Vecellio (1488-1576)


Nasce a Pieve di Cadore. Venezia è però la sua patria di adozione. Entra nella cerchia
di Giovanni Bellini e in seguito alla bottega di Giorgione, dove approfondisce il
tonalismo. Di Giorigone assimila la sensibiltà artistica e la tecnica del colore, tanto da
realizzare opere similissime alle sue. Poi Tiziano comincia a maturare uno stile molto
personale che prevede un uso dei colori del tutto nuovo, stendendoli in modo rapido e
a volte anche impreciso, senza disegni preparatori e con poco scrupolo nei contorni.
La pittura che ne deriva è di grande immediatezza e di forte espressività. Le forme
sono spesso più accennate che descritte e questo conferisce loro una vivezza e un
realismo fino ad allora sconosciuti.
Impianta poi la sua bottega e contemporaneamente prosegue nella sperimentazione di
tecniche pittoriche sempre nuove e personali, arrivando addirittura a dipingere quasi
senza pennelli e stendendo il colore con le dita.
Amor Sacro e Amor Profano, 1514-1515 Flora, 1515-1520

Pala dell’Assunta, 1516-1518 Pietà, 1576

Venere di Urbino, 1538 Paolo III Farnese con i nipoti, 1546

Lorenzo Lotto (1480-1557)


Nasce a Venezia. Viaggiò moltissimo, soggiornando a varie volte soprattutto a
Venezia, Treviso, Roma e Bergamo, in cerca di un’affermazione che non riuscì mai a
conseguire. I suoi viaggi lo avevano messo in contatto con le principali realtà
artistiche del tempo, la pittura tonale dei veneti, le esperienze romane di Raffaello, e
le suggestioni leonardesche dei lombardi. Quando ritorna a Venezia trova un
panorama artistico già saldamente dominato dalla grande personalità di Tiziano e
stenta non poco a ritagliarsi un proprio spazio espressivo. È per questo che ritorna
nelle Marche, dove aveva soggiornato e lavorato già altre volte, ritirandosi
definitivamente.
La sua formazione è dunque estremamente eclettica, il che costituisce al tempo stesso
il suo massimo pregio e uno dei sui più ingombranti limiti, in quanto determina uno
stile personalissimo e non sempre in linea con gli ideali del tempo. Infatti, accanto a
un uso del colore che, pur non essendo tonale, presuppone la perfetta conoscenza del
tonalismo, si riscontra anche una ricercatezza e grazia toscane e, nel contempo, un
desiderio di definire i particolari che richiama il gusto dei pittori nordici.

Polittico di San Domenico, 1506-1508

Qui esprime già la sua visione artistica, tendente a irrobustire il colore veneziano con
un disegno preciso, una forte caratterizzazione dei personaggi e con un grande amore
per i dettagli.
Nel drammatico Compianto sul Cristo morto al centro della scena giganteggia, nel
suo biancore quasi spettrale, il massiccio cadavere di Gesù. La figura riempie la metà
centrale dell’intero dipinto, mentre gli altri personaggi sono equilibratamente
collocati ai suoi fianchi. Giuseppe d’Arimatèa sostiene il Cristo sotto l’ascella sinistra
e dietro la nuca. All’estrema destra concludono la narrazione una giovane Maddalena
e una misteriosa Maria ammantata, che nasconde il proprio dolore portandosi le mani
sul volto. Tutti i personaggi, inoltre, appaiono come compressi all’interno della
tavola, tanto che il retrostante paesaggio montuoso si intravede appena.
Madonna con il Bambino, un angelo e i Santi Caterina d’Alessandria e Giacomo Maggiore, 1527-1533

Il dipinto, di forte ispirazione veneziana, presenta la scena secondo un’iconografia


poco comune: la Vergine, infatti, non è seduta in trono ma ai piedi di una vecchia e
frondosa quercia. Essa, che sorregge il piccolo Gesù, mostra un atteggiamento molto
dolce e naturale. L’ampio mantello celeste dilaga per tutta la metà sinistra della
composizione, concentrando su di sé l’attenzione dell’osservatore, non venendo però
sottratta importanza agli altri personaggi, concatenati da un espressivo rincorrersi di
gesti e sguardi. L’angelo, in particolare sta posando delicatamente sul capo della
Vergine una corona di fiori bianchi, mentre Santa Caterina ruota la testa rivolgendosi
dolcemente a San Giacomo.

Ritratto di gentildonna in veste di Lucrezia, 1530-1532

È comunque soprattutto nei ritratti che Lorenzo Lotto sa infondere caratteristiche


assolutamente personali. Come già Tiziano, infatti, egli scava a fondo nella
psicologia dei personaggi, precisandone con meticolosa esattezza caratteri, miserie e
virtù.
La tela rappresenta la donna in atto di mostrare un disegno di Lucrezia, l’antica
eroina romana che, dopo essere stata violentata, si suicidò per non dover sopravvivere
a quella violenza. Il dipinto potrebbe forse ritrarre la nobildonna Lucrezia Valier,
moglie dell’ammiraglio veneziano Benedetto Pesaro, ed essere stato quindi
commissionato da quest’ultimo in occasione del loro matrimonio. Il cartiglio
appoggiato sul tavolo con la scritta “Nessuna donna vivrà mai più disonorata
prendendo esempio da Lucrezia” ribadisce il dramma di Lucrezia, assumendo
parallelamente la funzione di buon auspicio per la futura vita coniugale del
personaggio ritratto. La postura del personaggio è complessa. Nello sguardo
indagatore che la nobildonna ci rivolge leggiamo una gran consapevolezza morale e
una fortissima aderenza al vero. Anche in questo caso, dunque, il Lotto riesce a
coniugare con insuperabile naturalezza le opposte esigenze del colorismo veneziano
con le ricercatezze della pittura tedesca e fiamminga, attenta a indagare ogni
particolare.

Il Correggio (1489-1534)
Nasce a Correggio. Lo pseudonimo con il quale è noto è l’indice più evidente di
come la sua formazione artistica sia profondamente connessa con il luogo d’origine.
Escluso sia dalle nuove tendenze del Rinascimento fiorentino e romano, sia dal
cromatismo veneziano, egli riesce comunque a maturare una straordinaria tecnica
pittorica che ci fa supporre una sua presenza a Mantova e forse Roma. La sua attività
si svolge quasi esclusivamente in ambiente emiliano.
L’artista continua ad utilizzare il disegno quasi solo in funzione preparatoria dei
dipinti e mai come forma espressiva autonoma.
Dimostra comunque grandi capacità inventive e una non comune sensibilità per il
colore.
Mitologia e classicità sono per lui dei pretesti per poter collocare figure in libertà
all’interno di spazi illusori di grande suggestione prospettica e cromatica.

Volta della Camera della Badessa, 1518-1520 La visione di San Giovanni Evangelista, 1520-1524
Assunzione di Maria, 1526-1530 Danae, 1530-1531

Andrea del Sarto (1486-1530)


Nasce a Firenze. Figlio di un sarto, da cui il soprannome, inizia la sua attività
pittorica come frescante. La sua fama cresce in breve tempo così come la sua bravura,
tanto che viene invitato a Venezia, a Roma e in Francia. Il vuoto lasciato a Firenze da
Leonardo, Raffaello e Michelangelo gli constente di occupare il posto più elevato
nell’ambiente fiorentino del tempo.
Con lui il linguaggio pittorico rinascimentale è ormai definitivamente acquisito e
stabilizzato. L’artista riuscì inoltre a fondere lo sfumato di Leonardo, l’equilibrio e la
grazia di Raffaello, il volume e la monumentalità di Michelangelo in una personale
visione di perfezione, senza che nessuna di queste sopraffacesse mai le altre.
È dal delicato equilibrio delle sue composizioni, dalla lieve malinconia dei suoi
personaggi e dalle loro espressioni che trarranno nutrimento quelle inquietudini che
saranno materia del nascente Manierismo degli allievi Pontormo e Rosso Fiorentino.
È un disegnatore incisivo e potente, ha grande abilità e decisione di segno.

Sposalizio di Santa Caterina, 1512-1513 Madonna delle arpie, 1517


Il Manierismo
Il termine veniva inizialmente impiegato con il significato negativo di imitazione ed
era riferito a tutti quegli artisti che operavano alla maniera di Leonardo, di Raffaello e
di Michelangelo, privandosi della propria fantasia e creatività, al fine di riproporre
cose già viste.
Del resto non bastava imitare la natura usando solo i propri mezzi, che potevano
risultare insufficienti. Bisognava allora prendere a modello anche le opere di coloro
che avevano già raggiunto la perfezione nell’imitazione della natura. Questo tipo di
operazione però, comportava l’apprendimento dello stile, della maniera, di un grande
maestro.
Un opera manierista oertanto ricerca: la grazia (l’eleganza, la dolcezza e la facilità
esecutiva, che dipendeva soprattutto dall’esercizio del disegno, dall’aver copiato a
lungo e quindi essere capaci di disegnare a memoria qualsiasi soggetto), la licenza
della regola (l’allontanarsi dalle regole che è una conseguenza del gusto del singolo
artista, che non deve essere costretto a rispettare regole precostituite e valide per tutti,
ma deve basarsi anche sul giudizio personale), il virtuosismo, la difficoltà e l’inusuale
(o bizzarria, l’eccentrico, il capriccio).
Pontormo (1494-1557)
Jacopo Carucci nasce a Firenze. Fu colui che meglio riuscì a incarnare lo spirito del
primo Manierismo fiorentino. Allievo di Andrea del Sarto. La sua vita fu triste e
povera e lui stesso fu un asociale. Venne inoltre poco compreso dai suoi
contemporanei che spesso lo sottostimarono.
La sua arte si dimostra da subito di altissima qualità e tenta di conciliare la ricerca
volumetrica michelangiolesca con l’effetto luministico dello sfumato leonardiano.

Deposizione, 1526-1528

Rosso Fiorentino (1495-1540)


Giovan Battista di Jacopo nasce a Firenze. Anche lui allievo di Andrea del Sarto.
Lavora nella città natale spostandosi spesso nella Toscana. In seguito va a Roma e poi
a Perugia, Sansepolcro, Venezia e infine in Francia. Qui lavora soprattutto alla
decorazione della reggia di Fontainebleau insieme ad altri artisti italiani, l’attività dei
quali, per concentrazione di ingegni è nota come Scuola di Fontainebleau.
Fu un disegnatore espertissimo e raffinato.

Pietà, 1535-1540

Agnolo Bronzino (1503-1572)


Nasce a Monticelli di Firenze. È apprendista nella bottega del Pontormo, da lui amato
e anche adottato. Lavorò soprattutto per la corte dei Medici. Portò le novità artistiche
del Pontormo alle estreme conseguenze, ma al contrario di lui, ebbe onori e
apprezzamenti. Fu uno dei fondatori dell’Accademia del Disegno.

Allegoria con Venere e Cupito, 1540-1550

Il Parmigianino (1503-1540)
Francesco Mazzola nasce a Parma. Si forma nella bottega degli zii paterni. Si
trasferisce poi a Roma e Bologna e infine di nuovo a Parma. Acquisì già dai primi
anni la grazia correggesca arricchendola della monumentalità e di una certa sensuale
bellezza. La sua pennellata era svelta e concisa.

Madonna dal collo lungo, 1534-1540

Giulio Romano (1499-1546)


Nasce a Roma. Allievo, collaboratore e continuatore dell’attività di Raffaello. Fu
pittore, decoratore e architetto.

Sala dei Giganti, 1532-1534, Vedute

Giorgio Vasari (1511-1574)


Nasce ad Arezzo. Lavora inizialmente come pittore a Firenze e a Roma. I suoi
interessi poi mutano e si apmliano oltre la pittura, comprendendo anche la scultura,
l’architettura, le arti minori e la trattatistica d’arte.
Per suo merito sorse a Firenze l’Accademia delle Arti del Disegno, una vera epropria
scuola dove gli artisti potevano apprendere tecniche e metodi e fare esercizio.
D’altra parte è nel 500 che il disegno assume un ruolo autonomo e non è più solo
finalizzato alla realizzazione di un dipinto.
Giudizio Universale, 1572-1579

Jacopo Tintoretto (1518-1594)


Nasce a Venezia. Jacopo Robusti, figlio di un modesto tintore, da cui il soprannome,
frequenta la bottega di Tiziano e la sua prima formazione è, appunto, vicina al
tonalismo tizianesco. Per la sua maturazione artistica è stato fondamentale il contatto
con la scuola di disegno fiorentino-romana, avvenuta sempre in ambiente veneziano.
Sarà poi a capo di una sua fiorente bottega.
La compresenza nella tecnica dell’artista del colore di Tiziano e del disegno di
Michelangelo non lo rendono comunque debitoe ad alcuno della propria arte, in
quanto usa il colore soprattutto per accendere di luce il disegno. Infatti la sua nuova e
straordinaria invenzione è proprio la luce. Essa evidenzia i personaggi e gli oggetti
staccandoli da qualsiasi contesto reale.

Il miracolo dello schiavo, 1548 Susanna e i vecchioni, 1557

Crocifissione, 1565 Ultima Cena, 1592-1594


Il Veronese (1528-1588)
Nasce a Verona. Paolo Caliari, il cui soprannome gli viene attribuito una volta
trasferitosi a Venezia, che diventerà la sua nuova patria.
Nei suoi dipinti predilige la giustapposizione di più colori piuttosto che la
graduazione tonale di una stessa tinta, risultando cos’ più luminosi e squillanti, con la
quasi totale abolizione del nero e del bianco. Egli, infatti, intuisce istintivamente ciò
che la scienza avrebbe spiegato solo in seguito, ossia che nero e bianco non sono veri
e propri colori. Dunque poiché la luce naturale ci appare bianca, per dar luce a un
dipinta occorrerà utilizzare vari colori complementari, accostandoli in modo che si
esaltino a vicenda, evitando il chiaroscuro e la scala tonale, che tenderebbero solo ad
incupirli.
La luce della pittura veronesiana è nella pittura stessa, vale a dire nella
contrapposizione dei complementari, nell’armonioso accostamento dei caldi e dei
freddi, nella vivezza dei colori puri.
Fu uno dei maggiori e più produttivi disegnatori. Oltre a molti bozzetti preparatori
per i dipinti, realizza anche soggetti finiti e chiaroscurati, concepiti per essere
espressioni artistiche autonome.

Giunone versa i suoi doni su Venezia, 1553

Affreschi della Villa Barbaro, 1560-1561


Cena in casa di Levi, 1573

Le nozze di Cana, 1562-1563 Adorazione dei Magi, 1573

Oltre le Alpi
Le esperienze del Rinascimento italiano filtrano al di là delle Alpi in modo
relativamente lento e disomogeneo.
La cultura tedesca accetta con cautela le novità rinascimentali, essendo in essa ancora
molto radicati il gusto e la sensibilità gotici.
Nelle Fiandre non mancano le occasioni di contatto con l’arte italiana, sia
direttamente sia attraverso la diffusione delle stampe. Tuttavia alla prospettiva di
Piero della Francesca, pur conosciuta e praticata, si continua a preferire la minuta
pittura d’ambiente nella quale il senso del vero è dato più come somma di tanti
particolari, piuttosto che come visione unitaria della realtà.
In Spagna, infine, dove più che altrove la Controriforma ha inciso sulle coscienze, il
modo di sentire e di operare degli artisti si indirizza verso un nuovo misticismo,
spesso anche enfatico e visionario.
Albrecht Dürer (1471-1528)
Nasce a Norimberga. Qui si forma presso la bottega orafa del padre. In seguito lavora
anche a Colmar, Basilea e Strasburgo e poi soggiorna a Venezia e Bologna, città dove
poté approfondire anche lo studio della prospettiva. La lunga permanenza a Venezia
lo mise in contatto con la cultura artistica rinascimentale italiana, in particolare con
quella di Giovanni Bellini e di Andrea Mantegna. In tal modo la sua maniera pittorica
si addolcì e anche le sue incisioni mostrarono un segno più morbido. Ebbe frequenti
scambi di disegni con Raffaello.
Albrecht Dürer è senza dubbio il più grande degli artisti rinascimentali tedeschi.
Gli interessi artistici di Dürer si orientarono fin dagli inizi verso il disegno, tecnica
che conosceva molto approfonditamente e attraverso la quale indagò la natura con
occhio scientifico e distaccato, senza intenti di idealizzazione. Da questa estrema
capacità di sintesi grafica deriva la straordinaria produzione di incisioni su legno e
rame.
In seguito Dürer abbandona la pittura e si dedica esclusivamente all’arte
dell’incisione, della quale diventa maestro indiscusso a livello europeo. In essa,
infatti, dà prova di una fantasia tumultuosa e visionaria.

Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo, 1513, Incisione

L’incisione rende bene l’idea del virtuosismo tecnico del quale l’artista è capace.
Nell’opera, il cui forte significato simbolico non è ancora chiaro, è rappresentato un
Cavaliere a cavallo di un imponente destriero che riempie quasi per intero lo spazio
verticale disponibile. Egli, ritratto perfettamente di profilo, indossa un’armatura, i cui
minuti particolari sono messi in forte risalto. Al fianco destro sopraggiunge la Morte,
che cavalca un cavallo malato e dal passo incerto. Il ripugnante personaggio, che con
la destra regge la clessidra del tempo, ha un volto barbuto scarnificato, privo di naso,
e indossa una corona, intorno alla quale si attorcigliano alcuni serpenti che scendono
fino al collo. Dietro al Cavaliere, a piedi, segue il Diavolo, un essere mostruoso con
grugno di porco, zampe di caprone e corno uncinato sulla testa.
Mentre per realizzare i due orrendi esseri Dürer si è rifatto alla tradizione dei bestiari
medioevali, il cavallo ci appare come un vero e proprio monumento equestre
rinascimentale, riconducibile anche agli studi condotti da Leonardo sull’anatomia e le
proporzioni dei cavalli.
L’effetto complessivo che se ne ricava è di forte espressività e di grande equilibrio,
come se l’artista volesse mitigare l’ispirazione fantastica e i temi allegorici, legati
ancora alla tradizione del Gotico Internazionale, con la ripresa di elementi di
ispirazione classicheggiante assorbiti durante i soggiorni italiani.

Autoritratto, 1498

L’artista si raffigura all’età di ventisette anni, dando di sé un’interpretazione nobile e


fiera, da giovane e piacente gentiluomo del tempo. Nel dipinto, uno dei molti di
uguale soggetto realizzati nel corso della sua carriera artistica, Dürer si rappresenta a
mezzo busto di tre quarti, con il braccio destro appoggiato su un piano. Questa lieve
rotazione nello spazio conferisce al personaggio un forte rilievo volumetrico,
dimostrando già un’approfondita conoscenza dei modelli rinascimentali italiani.
Matthias Grünewald (1475-1528)
Nasce a Würzburg. Scarse sono le notizie su di lui. Ebbe contatti con Dürer, dal quale
apprese probabilmente le regole della prospettiva. Fu suggestionato dal sentimento di
rinnovamento religioso che fu molto forte in Germania nei primi del 500.
La produzione pittorica di Grünewald è estremamente ricca e sempre percorsa da una
forte drammaticità espressiva.
Altare maggiore della chiesa abbaziale degli Antoniani di Isenheim, 1512-1516

Nel suo capolavoro raggiunge il vertice più alto e maturo della sua arte. Si tratta di
una pala d’altare di dimensioni colossali dotata di un ingegnoso sistema di sportelli
mobili, che si aprono o si chiudono mediante cerniere. In tal modo le immagini
esposte ai fedeli potevano variare semplicemente aprendo, facendo scorrere o
accostando i relativi sportelli.
Quando la facciata anteriore è chiusa, l’altare di Grünewald mostra la tragica scena
della Crocifissione. La figura del Cristo, livido e tumefatto, giganteggia al centro
sullo sfondo di un cielo scuro e premonitore di morte. L’irregolarità del braccio
verticale della Croce impone al povero corpo una dolorosa torsione, che raggiunge il
suo apice nei piedi, che per poter essere inchiodati sono stati orribilmente martoriati.
A sinistra Maria è sostenuta da uno straziato San Giovanni Evangelista. La lunga
sopravveste della Vergine, diversamente dalle tradizioni iconografiche, è di un bianco
candido, che risalta. La Maddalena, inginocchiata ai piedi della Croce, protende le
mani giunte verso il Salvatore e accanto a lei il vaso di unguento con il quale ungerà
il corpo di Cristo, evidente richiamo alla successiva Deposizione. A destra la
presenza di San Giovanni Battista costituisce una novità assoluta. Egli, reggendo il
libro delle Scritture con la sinistra e indicando Gesù crocifisso con la destra,
testimonia la continuità, attraverso il sacrificio della Croce, tra l’Antico e il Nuovo
Testamento. Infine, il fiotto di sangue che sgorga in un calice d’oro dal petto
dell’Agnello, a sua volta attributo del Battista e simbolo di Cristo, rappresenta il
vincolo della nuova alleanza.
L’apertura dei due pannelli centrali del primo livello consente la visione di un
celestiale Concerto di angeli e, sulla destra, di una tenerissima Natività. Il retro delle
ante con la Crocifissione, invece, rappresenta due scene di grande significato
simbolico: a sinistra l’Annunciazione, ambientata in un raffinato ambiente gotico e, a
destra, una sfolgorante Resurrezione di Cristo.

Hieronymus Bosch (1450-1516)


Nasce nei Paesi Bassi. Quanto si sa della sua formazione artistica e della sua
complessa personalità è dovuto soprattutto all’analisi stilistica delle sue opere. Incerto
è anche il suo ipotizzato viaggio in Italia. Auspicava un profondo rinnovamento nel
modo di vivere la fede e lottava contro la corruzione del clero. Fu un artista
assolutamente atipico nel panorama pittorico fiammingo e anche nell’ambito di tutta
la pittura europea del tempo.

Il giardino delle delizie, 1500-1505

È senza dubbio l’opera più straordinaria ed emblematica dell’intera produzione di


Bosch, non trova possibili paragoni in nessun’altro dipinto precedente o successivo.
Nello scomparto di sinistra sono rappresentati Adamo ed Eva insieme a Cristo, il che
rappresenta già una incomprensibile forzatura delle Sacre Scritture. Sullo sfondo si
estende un Paradiso Terrestre mai visto prima, con piante, animali e costruzioni dalle
forme e dai colori assolutamente improbabili e fantastici. L’incredibile pannello
centrale, che allude forse a un’allegoria dell’umanità, è popolato da una miriade di
figure nude, nelle posizioni e nei contesti più impensabili: mescolate a pesci e uccelli
giganteschi, racchiuse in sfere trasparenti, alle prese con esseri inquietanti al di là di
ogni immaginazione. Lo scomparto di destra, infine, rappresenta una sorta di
tremenda visione infernale, dove esseri mostruosi si accaniscono contro uomini e
donne nudi sparpagliati in un paesaggio di tenebre.
Scopo dell’artista è quello di illustrare in maniera drammatica e impressionante il
destino dei dannati, in modo da riavvicinare i peccatori alla fede e, di conseguenza,
allontanarli dalle tentazioni.
Le forme e le figure paradossali che egli rappresenta nascono da una fantasia libera e
fortemente immaginativa, slegata da qualsiasi regola e influenzata anche dai
contemporanei racconti popolari nordici.

Pieter Bruegel il Vecchio (1525-1569)


Nasce a Breda. Considerato il maggior pittore fiammingo del Cinquecento, fu il
capostipite di una numerosa famiglia di artisti. Bruegel non si sottrasse all’obbligo
del viaggio in Italia che ogni artista europeo del tempo si sentiva di dover compiere
per attingere dal vivo alle fonti della Classicità e del Rinascimento.
All’inizio esordì soprattutto come disegnatore e i suoi soggetti spaziavano dalle
rappresentazioni di paesaggio a quelle sacre. Come pittore, invece, si concentrò
maggiormente sulla natura, che spesso rappresentava in visioni fantastiche. I suoi
dipinti più riusciti, comunque, hanno quasi sempre per soggetto i contadini delle sue
terre, dei quali non riesce a nascondere l’affetto e la sincera pietà che egli prova nei
confronti della loro vita.

La grande torre di Babele, 1563

Bruegel vuole rappresentare allegoricamente la società del suo tempo. L’enorme


cantiere, pullulante di operai e maestranze, allude alla multiculturalità della laboriosa
città mercantile di Anversa, dove l’artista risiedeva. La collocazione in riva al mare,
presso la foce di un fiume è ulteriore simbolo di vitalità economica e commerciale.
Dal punto di vista costruttivo la torre è realizzata con un succedersi di strati
piramidali sovrapposti, uniti da un percorso di salita a forma di spirale. La gigantesca
struttura, pur essendo frutto della fantasia, si regge realisticamente.
In primo piano il biblico re Nimrod che voleva erigere una torre capace di giungere
fino al cielo riceve gli omaggi dei tagliapietre. Il folle desiderio del re rappresenta la
superbia umana, causa di guerre, dissidi e sciagure. Nel dipinto l’artista delinea la
fantastica architettura in costruzione con un impegno miniaturistico, definendo con
meticolosità una serie infinita di particolari. Il senso che se ne ricava è quello,
solenne ma inquietante, di una grandiosità inconclusa, sulla quale incombe,
preannunciata dalle nuvole che si stanno addensando nel cielo, la terribile
maledizione divina.

El Greco (1541-1614)
Nasce a Candia, nell’isola di Creta. Dopo un primo apprendistato presso un pittore
greco di icone, si trasferisce a Venezia, entrando subito in contatto con l’ambiente di
Tiziano e di Tintoretto. Fu a Roma, dove la frequentazione dello studio di Raffaello e
Michelangelo lo spinse verso un fantasioso e personalissimo manierismo. Si
trasferisce poi definitivamente in Spagna.

Seppellimento del conte di Orgaz, 1586-1588

Rappresenta la sintesi più alta del tormentato manierismo dell’artista. Il soggetto


allude alla tradizione secondo la quale alla morte del conte della cittadina spagnola di
Orgaz i cieli si squarciarono e i Santi Stefano e Agostino ne discesero per occuparsi
di persona della sepoltura del pio cavaliere. La scena del miracolo è divisa nettamente
in due parti, quella inferiore è più terrena, con figure corpose, delineate con cura e
particolareggiate con straordinaria abilità tecnica. La parte superiore della tela, al
contrario, è un trionfo di leggerezza e trasparenza, in cui i santi e i beati del Paradiso,
radunati intorno alla chiara e luminosa figura centrale del Redentore paiono composti
di una materia rarefatta e quasi traslucida.
Le deformazioni prospettiche e dimensionali delle figure rimandano con forza al
Manierismo italiano. Il senso complessivo dell’opera è ricco di suggestivi risvolti
mistici. I volti affilati e severi e la mancanza di uno sfondo naturale creano una
sensazione di tensione crescente, che sfocia nella visione celeste.

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