Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Il Rinascimento
Fiorito in Italia tra 400 e 500. È il ritorno in vita del mondo classico e la
riproposizione di molti suoi modelli. Il senso positivo del termine Rinascimento può
essere applicato solo in ambito culturale poiché gli eventi storici di quei secoli furono
decisamente negativi.
I caratteri distintivi del Rinascimento furono l’amore e l’interesse per ogni
manifestazione culturale del mondo antico e la consapevolezza della centralità
dell’uomo, capace, con la propria intelligenza, di creare e promuovere il proprio
destino.
Per le arti figurative guardare al mondo classico non fu semplice imitazione, ma un
modo per creare qualcosa di assolutamente nuovo e diverso. Gli artisti rinascimentali
si sentirono, addirittura, di dover competere con gli antichi, di raggiungerli nella
grandezza e perfino superarli.
Dallo studio della civiltà classica si deduce che l’arte dei Greci e dei Romani è
naturalistica e da qui consegue che lo scopo dell’arte è l’imitazione della natura,
mimesi. Una natura che verrà indagata scientificamente dagli uomini del
Rinascimento e il cui principale strumento sarà la prospettiva. A Firenze si
manifesterà inizialmente questa nuova arte rinascimentale e i suoi artisti ne sono i
primi fondatori.
Masaccio (1401-1428)
Nasce ad Arezzo. La sua formazione artistica e culturale avviene a Firenze. Arriva a
porsi, insieme a Brunelleschi e Donatello, come il terzo e fondamentale punto di
riferimento della rivoluzione artistica del primo 400. Collabora con Masolino.
Tutti i personaggi masacceschi sono dotati di un volume proprio e occupano uno
spazio reale, non più quello simbolico del tardo-gotico.
Nutriva un forte interesse nei riguardi dell’architettura e dell’Antico.
Con Masaccio possiamo considerare definitivamente conclusa la tradizione pittorica
del Medioevo. Le intuizioni di Giotto vengono sviluppate e potenziate originando
personaggi efficacemente realistici, modellati dal chiaroscuri e resi credibili dalle loro
espressioni. Tutte le figure sono poi inserite entro paesaggi prospetticamente esatti,
dimostrando il raggiungimento di una totale padronanza delle tecniche scientifiche di
rappresentazione della realtà.
Sant’anna Metterza, 1425 Madonna in trono con il bambino e quattro angeli, 1426, Polittico di Pisa
Trinità,1426-1428, Affresco
Crocifissione, 1426, Polittico di Pisa Cacciata dal Paradiso Terrestre, 1424-1428, Cappella Brancacci
Il tributo, 1424-1428 & Distribuzione dei beni e morte di Anania, 1424-1428, Cappella Brancacci
Monumento a Giovanni Acuto, 1436 Niccolò da Tolentino alla testa dei Fiorentini, 1438,
condottiero della parte senese, 1438, soccorso del Tolentino, 1438, Battaglia di San
Madonna col Bambino, angeli e i Santi Frediano e Agostino, Incoronazione della Vergine, 1441-1447
Il trionfo di Federico da Montefeltro, Verso della tavola Il trionfo di Battista Sforza, Verso della tavola
Andrea del Verrocchio (1435-1488)
Nasce a Firenze. Ebbe inizi da orafo. Andò diverse volte a Venezia. Dalla sua bottega
usciranno artisti come il Botticelli, il Perugino e Leonardo da Vinci.
Visione di San Bernardo, 1485-1486 Vergine con il Bambino e i Santi Giovanni Battista, Vittore,
Camera degli sposi, 1465-1474, Particolare con l’oculo della volta & La corte dei Gonzaga
San Sebastiano, 1480 Giuditta e la serva Abra, 1475
Madonna col bambino e i Santi Nicola di Bari, Pietro, Ritratto del doge Leonardo Loredan, 1501
La pittura Fiamminga
In alcuni centri nordici di cultura e tradizione tardo-gotiche alcuni pittori sviluppano
una stretta adesione al realismo. Si tratta dei Fiamminghi, artisti originari delle
Fiandre. Nelle loro opere, però, non si riscontrano mai riferimenti all’antico o riprese
dei temi classici, se non dopo i contatti con la pittura italiana che, viceversa, sono alla
base della ricerca realistica degli Italiani. L’indagine della realtà che i pittori
fiamminghi e fiorentini compiono negli stessi anni di inizio Quattrocento approda, di
conseguenza, a risultati opposti.
Se, infatti, i Fiorentini rendono con essenzialità e certezza matematica lo spazio per
mezzo della prospettiva lineare, i Fiamminghi si rivolgono allo studio di ogni
elemento, in modo che tutto venga analizzato fin nei particolari più minuti, che nella
realtà sfuggirebbero anche all’occhio più attento.
Se, ad esempio, nelle tavole dei Fiorentini c’è un solo punto di fuga, in quelle dei
Fiamminghi ce n’è più d’uno, in tal modo gli oggetti, le architetture e le figure
possono essere mostrati secondo il loro lato più comunicativo e rappresentativo.
Se per i Fiorentini l’uomo occupa sempre la posizione centrale in una composizione,
essendone il protagonista, per i Fiamminghi egli non ne è che una delle infinite
presenze.
Se a Firenze, infine, la luce, solitamente originata da un’unica sorgente, è sempre
funzionale alla ricerca prospettica per i Fiamminghi proviene da più fonti e illumina
con precisione ogni oggetto.
Jan van Eyck firma la tavola che raffigura i coniugi Arnolfini, Giovanni e Giovanna
Cenami, nella loro camera matrimoniale.
La firma dell’artista è vistosamente scritta sul muro di fondo della stanza con la
formula latina Jan van Eyck fu qui. L’ambiente che accoglie i due benestanti
mercanti lucchesi è molto accogliente: notiamo un vistoso letto a baldacchino, in
fondo un mobile di legno intarsiato e una panca rivestita di tessuto rosso, sovrastati
da uno specchio circolare convesso, a sinistra un mobile basso su cui sono appoggiati
dei frutti, giusto al di sotto di una grande finestra vetrata che rischiara la stanza. Un
tappeto è steso di fronte al letto, mentre un grande lampadario pende dal soffitto a
travi di legno. Anche il pavimento è a listoni di legno. I due giovani sposi si sono tolti
le calzature: vediamo, infatti, delle ciabatte rosse ai piedi della panca e degli zoccoli
di legno in primo piano. L’Arnolfini indossa un enorme cappello scuro di pelliccia, lo
stesso materiale di cui è composto anche il suo pesante vestito. La moglie, che lo
guarda con tenerezza, ha sull’abito azzurro di velluto una lunga sopravveste verde.
Un velo bianco dal bordo di pizzo le copre il volto ancora un po’ infantile. Giovanni
tiene il palmo della propria mano contro il dorso di quella della giovane consorte. Un
cagnolino, simbolo della fedeltà coniugale, sta fra i due. La presenza divina nella casa
di due buoni credenti è simboleggiata dall’unica candela accesa del lampadario.
D’altra parte la fede e la pietà dei coniugi sono rivelate dal rosario appeso al muro e
dalle scene della Passione di Cristo raffigurate nei tondi che ornano la cornice dello
specchio.
La stanza è molto più grande di quanto il dipinto non mostri. Un gioco virtuosistico ci
mostra la parte mancante, quella che immaginiamo al di qua della tavola: nello
specchio concavo si riflettono, con la porzione di camera non in vista, anche due
personaggi che stanno entrando, uno dei due potrebbe essere lo stesso pittore ai quali
Giovanni Arnolfini rivolge un gesto di saluto. La luce modella le forme e illumina,
più d’ogni altra cosa, la figura di Giovanna Cenami.
Si tratta di uno dei più celebri ritratti fiamminghi del Quattrocento. La cornice,
preziosissima perché tra i pochi esemplari di cornice originale dell’epoca, reca due
iscrizioni: quella in basso rivela l’autografia dell’artista e la datazione dell’opera;
quella in alto recita “come io posso” e si intende come un’affermazione di falsa
modestia da parte dell’artista, che dichiara i suoi limiti intendendo celebrare la
grandezza della propria arte che deve, necessariamente, limitarsi a imitare la natura.
È probabile che il dipinto sia un autoritratto. lo sguardo di due penetranti occhi celesti
si volge a destra, in direzione opposta alla rotazione della testa, fissando l’osservatore
in modo enigmatico.
Straordinaria è la resa naturalistica del turbante rosso carminio le cui pieghe
scomposte rivelano le elevate capacità rappresentative dell’artista. Grazie alla piena
padronanza della tecnica a olio e all’assoluto dominio del chiaroscuro, infatti, Van
Eyck riesce qui a conseguire un effetto di piena tridimensionalità. L’insolito
copricapo, che pare studiato indipendentemente dall’uomo che lo indossa, è
l’elemento dotato di maggiori qualità tridimensionali dell’intera opera che, per il
resto, è totalmente dominata dall’intensità dell’espressione del personaggio ritratto.
Deposizione, 1435
Crocifissione, 1455
Lo sposalizio della Vergine, 1504 Madonna del prato, 1506 Deposizione, 1507
Incendio di Borgo, 1514, Affresco Ritratto di Leone X con due cardinali, 1518
Trasfigurazione, 1518-1520
Qui esprime già la sua visione artistica, tendente a irrobustire il colore veneziano con
un disegno preciso, una forte caratterizzazione dei personaggi e con un grande amore
per i dettagli.
Nel drammatico Compianto sul Cristo morto al centro della scena giganteggia, nel
suo biancore quasi spettrale, il massiccio cadavere di Gesù. La figura riempie la metà
centrale dell’intero dipinto, mentre gli altri personaggi sono equilibratamente
collocati ai suoi fianchi. Giuseppe d’Arimatèa sostiene il Cristo sotto l’ascella sinistra
e dietro la nuca. All’estrema destra concludono la narrazione una giovane Maddalena
e una misteriosa Maria ammantata, che nasconde il proprio dolore portandosi le mani
sul volto. Tutti i personaggi, inoltre, appaiono come compressi all’interno della
tavola, tanto che il retrostante paesaggio montuoso si intravede appena.
Madonna con il Bambino, un angelo e i Santi Caterina d’Alessandria e Giacomo Maggiore, 1527-1533
Il Correggio (1489-1534)
Nasce a Correggio. Lo pseudonimo con il quale è noto è l’indice più evidente di
come la sua formazione artistica sia profondamente connessa con il luogo d’origine.
Escluso sia dalle nuove tendenze del Rinascimento fiorentino e romano, sia dal
cromatismo veneziano, egli riesce comunque a maturare una straordinaria tecnica
pittorica che ci fa supporre una sua presenza a Mantova e forse Roma. La sua attività
si svolge quasi esclusivamente in ambiente emiliano.
L’artista continua ad utilizzare il disegno quasi solo in funzione preparatoria dei
dipinti e mai come forma espressiva autonoma.
Dimostra comunque grandi capacità inventive e una non comune sensibilità per il
colore.
Mitologia e classicità sono per lui dei pretesti per poter collocare figure in libertà
all’interno di spazi illusori di grande suggestione prospettica e cromatica.
Volta della Camera della Badessa, 1518-1520 La visione di San Giovanni Evangelista, 1520-1524
Assunzione di Maria, 1526-1530 Danae, 1530-1531
Deposizione, 1526-1528
Pietà, 1535-1540
Il Parmigianino (1503-1540)
Francesco Mazzola nasce a Parma. Si forma nella bottega degli zii paterni. Si
trasferisce poi a Roma e Bologna e infine di nuovo a Parma. Acquisì già dai primi
anni la grazia correggesca arricchendola della monumentalità e di una certa sensuale
bellezza. La sua pennellata era svelta e concisa.
Oltre le Alpi
Le esperienze del Rinascimento italiano filtrano al di là delle Alpi in modo
relativamente lento e disomogeneo.
La cultura tedesca accetta con cautela le novità rinascimentali, essendo in essa ancora
molto radicati il gusto e la sensibilità gotici.
Nelle Fiandre non mancano le occasioni di contatto con l’arte italiana, sia
direttamente sia attraverso la diffusione delle stampe. Tuttavia alla prospettiva di
Piero della Francesca, pur conosciuta e praticata, si continua a preferire la minuta
pittura d’ambiente nella quale il senso del vero è dato più come somma di tanti
particolari, piuttosto che come visione unitaria della realtà.
In Spagna, infine, dove più che altrove la Controriforma ha inciso sulle coscienze, il
modo di sentire e di operare degli artisti si indirizza verso un nuovo misticismo,
spesso anche enfatico e visionario.
Albrecht Dürer (1471-1528)
Nasce a Norimberga. Qui si forma presso la bottega orafa del padre. In seguito lavora
anche a Colmar, Basilea e Strasburgo e poi soggiorna a Venezia e Bologna, città dove
poté approfondire anche lo studio della prospettiva. La lunga permanenza a Venezia
lo mise in contatto con la cultura artistica rinascimentale italiana, in particolare con
quella di Giovanni Bellini e di Andrea Mantegna. In tal modo la sua maniera pittorica
si addolcì e anche le sue incisioni mostrarono un segno più morbido. Ebbe frequenti
scambi di disegni con Raffaello.
Albrecht Dürer è senza dubbio il più grande degli artisti rinascimentali tedeschi.
Gli interessi artistici di Dürer si orientarono fin dagli inizi verso il disegno, tecnica
che conosceva molto approfonditamente e attraverso la quale indagò la natura con
occhio scientifico e distaccato, senza intenti di idealizzazione. Da questa estrema
capacità di sintesi grafica deriva la straordinaria produzione di incisioni su legno e
rame.
In seguito Dürer abbandona la pittura e si dedica esclusivamente all’arte
dell’incisione, della quale diventa maestro indiscusso a livello europeo. In essa,
infatti, dà prova di una fantasia tumultuosa e visionaria.
L’incisione rende bene l’idea del virtuosismo tecnico del quale l’artista è capace.
Nell’opera, il cui forte significato simbolico non è ancora chiaro, è rappresentato un
Cavaliere a cavallo di un imponente destriero che riempie quasi per intero lo spazio
verticale disponibile. Egli, ritratto perfettamente di profilo, indossa un’armatura, i cui
minuti particolari sono messi in forte risalto. Al fianco destro sopraggiunge la Morte,
che cavalca un cavallo malato e dal passo incerto. Il ripugnante personaggio, che con
la destra regge la clessidra del tempo, ha un volto barbuto scarnificato, privo di naso,
e indossa una corona, intorno alla quale si attorcigliano alcuni serpenti che scendono
fino al collo. Dietro al Cavaliere, a piedi, segue il Diavolo, un essere mostruoso con
grugno di porco, zampe di caprone e corno uncinato sulla testa.
Mentre per realizzare i due orrendi esseri Dürer si è rifatto alla tradizione dei bestiari
medioevali, il cavallo ci appare come un vero e proprio monumento equestre
rinascimentale, riconducibile anche agli studi condotti da Leonardo sull’anatomia e le
proporzioni dei cavalli.
L’effetto complessivo che se ne ricava è di forte espressività e di grande equilibrio,
come se l’artista volesse mitigare l’ispirazione fantastica e i temi allegorici, legati
ancora alla tradizione del Gotico Internazionale, con la ripresa di elementi di
ispirazione classicheggiante assorbiti durante i soggiorni italiani.
Autoritratto, 1498
Nel suo capolavoro raggiunge il vertice più alto e maturo della sua arte. Si tratta di
una pala d’altare di dimensioni colossali dotata di un ingegnoso sistema di sportelli
mobili, che si aprono o si chiudono mediante cerniere. In tal modo le immagini
esposte ai fedeli potevano variare semplicemente aprendo, facendo scorrere o
accostando i relativi sportelli.
Quando la facciata anteriore è chiusa, l’altare di Grünewald mostra la tragica scena
della Crocifissione. La figura del Cristo, livido e tumefatto, giganteggia al centro
sullo sfondo di un cielo scuro e premonitore di morte. L’irregolarità del braccio
verticale della Croce impone al povero corpo una dolorosa torsione, che raggiunge il
suo apice nei piedi, che per poter essere inchiodati sono stati orribilmente martoriati.
A sinistra Maria è sostenuta da uno straziato San Giovanni Evangelista. La lunga
sopravveste della Vergine, diversamente dalle tradizioni iconografiche, è di un bianco
candido, che risalta. La Maddalena, inginocchiata ai piedi della Croce, protende le
mani giunte verso il Salvatore e accanto a lei il vaso di unguento con il quale ungerà
il corpo di Cristo, evidente richiamo alla successiva Deposizione. A destra la
presenza di San Giovanni Battista costituisce una novità assoluta. Egli, reggendo il
libro delle Scritture con la sinistra e indicando Gesù crocifisso con la destra,
testimonia la continuità, attraverso il sacrificio della Croce, tra l’Antico e il Nuovo
Testamento. Infine, il fiotto di sangue che sgorga in un calice d’oro dal petto
dell’Agnello, a sua volta attributo del Battista e simbolo di Cristo, rappresenta il
vincolo della nuova alleanza.
L’apertura dei due pannelli centrali del primo livello consente la visione di un
celestiale Concerto di angeli e, sulla destra, di una tenerissima Natività. Il retro delle
ante con la Crocifissione, invece, rappresenta due scene di grande significato
simbolico: a sinistra l’Annunciazione, ambientata in un raffinato ambiente gotico e, a
destra, una sfolgorante Resurrezione di Cristo.
El Greco (1541-1614)
Nasce a Candia, nell’isola di Creta. Dopo un primo apprendistato presso un pittore
greco di icone, si trasferisce a Venezia, entrando subito in contatto con l’ambiente di
Tiziano e di Tintoretto. Fu a Roma, dove la frequentazione dello studio di Raffaello e
Michelangelo lo spinse verso un fantasioso e personalissimo manierismo. Si
trasferisce poi definitivamente in Spagna.