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Liceo Teorico Jean-Louis Calderon

- Attestato di Lingua Italiana -

Timisoara
2008

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INDICE

* Introduzione 3
* Capitolo 1 ~ Il Rinascimento
1.1. Generalità 5
1.2. Famiglia di Mèdici 6
* Capitolo 2 ~ Donatello
2.1. Formazione 7
2.2. Grandi commissioni nella Firenze medicea (1428-1443) 8
2.3. A Padova (1443-1453) 9
2.4. Gli ultimi anni 10
2.5. Galleria 11
* Capitolo 3 ~ Sandro Boticelli
3.1. Gli esordi 14
3.2. Gli affreschi della Cappella Sistina 16
3.3. La Primavera 16
3.4. Nascita di Venere 17
3.5. Pallade e il Centauro 17
3.6. Venere e Marte 18
3.7. La Madonna del Magnificat 18
3.8. Una crisi irreversibile 19
3.9. Galleria 21
* Capitolo 4 ~ Sebastiano del Piombo( Sebastiano Luciani )
4.1. A Venezia 25
4.2. A Roma 26
4.3. L'amicizia di Michelangelo 27
4.4. Gli ultimi anni 28
4.5. Galleria 29
* Conclusione 32
* Bibliografia 33

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INTRODUZIONE

Ho scelto di presentare un attestato sull’arte perché oggì sono pochi uomini che
vanon a visitare un museo o leggono un libro d’arte e qusto e un dominio molto
interessante e tutti dovrebbero sapere qualcosa dei meravigliosi dipinti, delle belle
cattedrali o dei monumenti architetturali che rendono le cittá piú belle.
Un periodo molto importante che ha contribuito allo sviluppo dell’arte e in
Rinascimento che fu iniziato in Italia, precisamente a Firenze a partire dai primi anni
del Quattrocento e da qui si diffonde nel resto d'Italia e poi in Europa
convenzionalmente fino ai primi decenni del XVI secolo. Caratteristica peculiare del
Rinascimento fu l'interesse per tutte le manifestazioni culturali del mondo antico, gli
artisti rinascimentali si sentivano legati alla civiltà classica e consideravano il medioevo
un'età di decadenza. L'arte rivolse il proprio sguardo al mondo classico non
semplicemente per imitarlo, ma partendo da esso per creare qualcosa di nuovo.
Molti artisti si recavano a Roma per studiare le opere classiche, mentre Firenze fu un
centro molto fiorente grazie alla presenza di molte famiglie che commissionavano opere
d'arte, in particolare la famiglia Medici. Partendo dal presupposti che l'arte classica è
un'arte naturalistica, lo scopo dell'arte era imitare la natura, perciò, in questo periodo, si
intensificano gli studi sulla natura. Da questi studi ne consegue un diverso modo di
indagare la realtà che circondava gli artisti, ne sono il frutto la scoperta della prospettiva
e dei colori sfumati, la ricerca di proporzioni perfette, lo studio approfondito della
figura umana, applicato anche come regola di bellezza e perfezione, la concezione
dell’individuo come misura e centro dell’universo.
Pittori, scultori e architetti si avvalsero per la prima volta di ricerche di
anatomia, ottica, matematica e geometria, trasponendone i risultati nella loro arte. Loro,
come i navigatori e gli esploratori loro contemporanei, furono mossi da spirito
d’avventura e desiderio di conoscenza.

Donatello esercitò una grande influenza sui contemporanei per la carica


espressiva delle sue sculture, inedita a quel tempo, e per i modelli e canoni stilistici
attinti all’arte antica, che egli studiò approfonditamente recandosi in prima persona a
Roma. La celebre statua bronzea del David (1430-1435 ca., Museo del Bargello,
Firenze) fu la prima, dopo l’epoca classica, realizzata a grandezza quasi naturale e a
tutto tondo. Le sue statue (in marmo, legno, terracotta) e i suoi bassorilievi, nei quali
aveva introdotto l’uso della prospettiva, divennero punto di riferimento fondamentale
per la scultura di tutto il Quattrocento e di buona parte del secolo successivo.

Sandro Boticelli fu autore di dipinti ricchi di riferimenti mitologici e allegorici,


come ad esempio la celebre Nascita di Venere (realizzata dopo il 1482 e conservata agli
Uffizi di Firenze). Le sue scelte iconografiche evocano “il ritorno degli antichi dei”,ma
un giorno cambia suo stile e all'abbandono dei soggetti mitologici corrisponde

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un'indurimento delle forme, l'uso di un cromatismo più cupo, una mimica dei
personaggi più patetica e un maggiore dinamismo nelle composizioni, anche se il
carattere astratto delle sua produzione precedente è ancora presente.

Sebastano del Piombo ci ha lasciato ottanta opere: ritratti a grandezza naturale,


piccoli dipinti su lavagna, disegni preparatori e opere di confronto a testimonianza di un
percorso che si presenta al pubblico come un vero e proprio viaggio iniziatico: dal
calore cromatico degli inizi, all’astrazione geometrica e ai toni cupi dell’ultima parte
della sua carriera. La monografica su Sebastiano Dal Piombo nasce da un progetto
internazionale che ha coinvolto i maggiori esperti mondiali del Rinascimento. Il
Comitato Scientifico include persone importante che l’hanno aiutato a fare posibile
questo progetto : Miguel Falomir del Prado, Mauro Lucco dell’Università di Bologna e
altri. Alla luce della rivalutazione avvenuta nel corso dei secoli, l’obiettivo è rendere
merito ad uno dei più grandi artisti del ‘500 europeo, ancora poco noto al grande
pubblico.

1. IL RINASCIMENTO

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1. 1. Generalitá

Il Rinascimento è un periodo artistico e culturale della storia


dell’Europa, che si sviluppò tra la fine del Medioevo e l'inizio dell'età moderna. In quel
periodo si instaurò un nuovo ideale di vita e il rifiorire degli studi umanistici e delle
Belle Arti. Il rinnovamento culturale e scientifico iniziò negli ultimi decenni XIV secolo
e nei primi del XV secolo in Italia, dove uno dei centri principali fu Firenze, per poi
diffondersi nel resto d'Italia (soprattutto a Venezia e Roma), e, nel corso del XVI secolo,
in tutta Europa. Nella scienza, teologia, letteratura nell'arte, il Rinascimento iniziò con
la riscoperta di classici latini, conservati nei monasteri e nelle biblioteche degli eruditi, e
di quelli greci diffusi nell'Impero Bizantino.
Il termine "Rinascita" viene coniato da Giorgio Vasari nel suo tratto "Vite
de' più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino à tempi
nostri" per indicare un ciclo, da lui individuato, che partendo da Giotto e affermandosi
con Masaccio, Donatello e Brunelleschi si libera dalle forme greco-bizantine per tornare
a quelle latine, culminando nella figura di Michelangelo, capace di superare gli antichi
stessi.

Il Rinascimento ha alla base una nuova visione dell'uomo non più legato solo
alla divinità, ma visto come essere del tutto naturale, che spazia liberamente e senza
pregiudizi sull'ambiente umano in cui vive ed agisce. La natura, campo d'azione
privilegiato dell'uomo, non è più corrotta dal peccato: si può quindi ben operare nel
mondo e trasformarlo con la propria volontà.

Tale natura, pur se libera da considerazioni religiose troppo anguste, libera dal
peccato, spesso viene vissuta con un senso di tristezza e di rimpianto che contrasta con
quello, squisitamente naturalistico, del mondo classico.

La vita concepita solo naturalisticamente porta con sé lo spettro della fine del
piacere della vita. La morte appare ora come fine naturale di una vita tutta naturale.
Questo senso della morte così inteso lo ritroviamo nelle raffigurazioni pittoriche delle
danze macabre. Qui vengono rappresentate tutte le classi sociali in ordine gerarchico e
ciascuno dei ballerini dà la mano a uno scheletro e tutti insieme intrecciano una danza.
Questo non vuol dire semplicemente che la morte eguaglia tutti gli uomini senza tener
conto della loro condizione sociale, ma vuole far intendere soprattutto che la vita è sullo
stesso piano della morte.

Ogni uomo del Rinascimento tenderà a fare della sua vita un capolavoro, un
pezzo unico, dalle proporzioni gigantesche come farà Michelangelo nella scultura e
pittura , il Principe di Machiavelli nella politica, Leonardo con il suo genio incompiuto.

1.2. La Famigia di Mèdici

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A Firenze, all’inizio del 15esimo secolo un padre e figlio uniscono una
straordinaria ricchezza con la riscoperta della sapienza. Nasce una rivoluzione
intellettuale e creativa: il Rinascimento. Nella vivace città commerciale di Firenze si
costruiscono meraviglie architettoniche lungo il fiume Arno. Statue di marmo emergono
di nuovo e l’arte e la scienza fiorisce. Questa è la fonte della rinascita – il Rinascimento
umanista, uno dei periodi più creativi della storia. Al centro di questa rivoluzione vi è
una sola famiglia: gli incomparabili Medici.

Dalle loro origini di un vasto impero bancario, i Medici divennero la dinastia più
potente d’Europa. Fu una famiglia ben capace all’uso delle buone maniere e
patronaggio, e della destrezza, duplicità e crudeltà pur di ammassare ricchezze
inestimabili e potere senza precedenti. Per oltre 300 anni furono Papi, Duchi, Regine e
Cardinali - principi di altissimo livello culturale, politici di grande capacità, libertini di
massima decadenza e tiranni di estrema crudeltà. I Medici hanno ispirato alcuni dei
momenti più significativi della nascita dell’Europa moderna. Contro un retroscena
Rinascimentale della Riformazione, della rivoluzione politica e dell’illuminazione
scientifica, le fortune di questa famiglia aumentavano e diminuivano. Burattini e
burattinai, causa e conseguenza.

La storia dei Medici è nello stesso tempo il racconto delle persone da loro ispirate.
Brunelleschi, Ghiberti, Michelangelo e Leonardo, Botticelli e Raffaello, Macchiavelli e
Lutero, Copernico e Galileo. Gli artisti, scienziati e grandi pensatori i quali hanno
trasformato un intera storia culturale.

Ma questa esplosione di genio creativo e di sapienza trascinò nella sua scia grossi
problemi – attentati, fondamentalismo religioso, la Riformazione Protestante e la
brutalità della Controriformazione Cattolica. Incapaci di stare a passo con le
conseguenze di quello che avevano scatenato, gli ultimi Medici furono eclissati dalla
storia e di conseguenza finì la dinastia.

La storia dei Medici è un filmato per televisione di proporzioni epici. Brutali rivalità di
famiglia si intrecciano con momenti chiavi della storia europea. Il tutto si svolge nelle
corti, cattedrali e nei palazzi dell’Europa rinascimentale. E’ una storia assetata di sangue
ed ambizione, di trionfo, assassinio e rivendicazione.

Ma è anche un racconto d’ispirazione, successo e rivoluzione culturale, della ricerca da


parte dell’uomo della bellezza, perfezione, libertà e della ricerca intellettuale.

Attraverso gli occhi dei Medici - i Padrini del Rinascimento - scopriamo la


storia dell’inizio dell’epoca moderna.

2. DONATELLO

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2. 1. Formazione (1386-1428)

Donato di Niccolò di Betto Bardi è stato uno scultore italiano famoso che ha
lavorato a Firenze, Prato, Siena e Padova ricorrendo a varie tecniche (tutto tondo,
bassorilievo, stiacciato), con varie materie (marmo, bronzo, legno). Si staccò
definitivamente dal gotico riallacciandosi e superando l'arte greca e romana sia
formalmente sia stilisticamente; particolare fu la sua capacità di infondere umanità e
introspezione alle opere.

Nacque a Firenze nel 1386, figlio di Niccolò di Betto Bardi, cardatore di lana.
La sua era una famiglia modesta: il padre, irrequieto, condusse una vita tumultuosa
avendo partecipato prima alla rivolta dei Ciompi del 1378, poi ad altre azioni contro
Firenze che lo portarono ad essere condannato a morte e poi perdonato con il condono
della pena; un carattere molto diverso da quel suo figliolo così minuto, signorile,
elegante e delicato tanto da essere vezzeggiato con il nome di Donatello, che, secondo il
Vasari, venne educato nella casa di Roberto Martelli. Dal 1402 al 1404 fu a Roma
assieme al Brunelleschi, a studiare l'"antico".

Dal 1408 lavorò per l'Opera del Duomo di Firenze, per cui realizzò, nello stesso
anno, il David marmoreo per uno dei contrafforti esterni: il volto inespressivo, con
corona di amaranto (simbolo profano, qui usato da Donatello su un patriarca biblico) e
le membra allungate sono di origine tardo gotica ma la posa di contrapposto, con il
punto di appoggio su una sola gamba, a cui corrisponde un'opposta torsione del busto, e
le mani, realisticamente atteggiate, indicano un attento studio dal vero dell'anatomia
umana. Nel 1416 venne trasportato a Palazzo Vecchio e assunto come emblema della
città (ora è conservato al Bargello).

Nel 1417 completò il San Giorgio commissionata dall'Arte dei Corazzai. La


scelta iconografica dipese dal fatto che i committenti volessero una figura in cui fossero
presenti le armi e la corazza. La figura, leggermente ruotata intorno all'asse centrale, che
fa perno sulle gambe a compasso, è costruita su tre ovali sovrapposti: il volto con le
sopracciglia aggrottate, il busto e lo scudo, lo scatto della testa in direzione opposto al
corpo serve all'artista ad animare maggiormente la statua.

Il bassorilievo in pietra della base, forse di due anni posteriore, venne scolpito
con la tecnica dello stiacciato; è uno dei primi esempi di prospettiva centrale a punto
unico di fuga, con le orizzontali che convergono verso il gruppo centrale con la
rappresentazione di san Giorgio che lotta con il drago con a destra la grotta e la
principessa, desunta dai sarcofagi romani, e a sinistra il porticato costruito in
prospettiva; se le linee del mantello, l'armatura preziosa del santo e il profilo delle ali
aperte del drago, che tendono a focalizzare lo sguardo dello spettatore, sono particolari
di gusto tardo-gotico, nuova è la concezione dello spazio, che sembra espandersi oltre la
cornice del bassorilievo, pur tuttavia perfettamente definito da sicuri punti di
riferimento, nuova è anche la funzione della luce che sbalza il punto focale dell'azione.

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Tra il 1415 e il 1426 scolpì cinque statue per il campanile del duomo: il Profeta
imberbe, il Profeta barbuto (entrambi del 1415), il Sacrificio di Isacco (1421), il
Profeta Abacuc (detto per il cranio calvo lo "Zuccone", 1423-1425) e il Profeta
Geremia (detto "Francesco Soderini", 1423-1426). Donatello caratterizzò i profeti del
campanile secondo il modello classico dell'oratore. In queste statue, veri ritratti non
idealizzati con i lineamenti contratti e disarmonici, l'imponenza e la dignità sono date
dai gesti pacati e dal forte effetto chiaroscurale dei mantelli.

Nel 1425 circa realizzò il Crocifisso ligneo di Santa Croce a Firenze. In questo il
Cristo era colto nel momento dell'agonia: occhi semiaperti, bocca dischiusa, corpo
sgraziato.

Nel 1427 fu a Pisa dove con eseguì i pannelli marmorei del monumento funebre
per il cardinale Rainaldo Brancacci della chiesa di Sant'Angelo a Nilo a Napoli.

Per il fonte battesimale del Battistero di Siena, tra il 1425 e il 1427, fornì il
rilievo con il Banchetto di Erode e le statue della Fede e della Speranza. Il rilievo era
costruito con la tecnica dello stiacciato eccetto le figure del proscenio, fuse a
bassorilievo, in modo da creare un più forte stacco rispetto ai piani arretrati, la scena
venne costruita su una serie di arcate a cannocchiale, in primo piano il moto di orrore
che si propaga tra gli astanti alla vista della testa recisa del Battista, presentata a Erode,
le arcate aperte servono ad introdurre ad altri ambienti che, a loro volta, si aprono su
altri ambienti ancora più arretrati, allo stesso modo non serrando ai lati la scena e
coprendo dai bordi del rilievo alcuni personaggi del proscenio fa in modo che il tutto
sembra espandersi indefinitamente ai lati e verso il fondo, aggiungendo un tipo di
spazio diverso da quello rinascimentale, finito e misurabile, che qui è presente grazie al
pavimento regolare, uno spazio indefinito, tipico della pittura fiamminga.

2. 2. Grandi commissioni nella Firenze medicea (1428-1443)

Del 1430 circa è il David bronzeo del Bargello. Questa opera fu realizzata per il
cortile di palazzo Medici su commissione di Cosimo de' Medici, e rappresentava
rappresentare sia l'eroe biblico simbolo delle virtù civiche, sia il dio Mercurio che
contempla la testa recisa di Argo. Donatello qui diede un'interpretazione
intellettualistica e raffinata della figura umana, il fregio con putti dell'elmo di Golia
deriva forse da un cammeo delle raccolte medicee. La statua del David fu progettata per
poter essere vista da più punti; si ispira all'arte ellenistica: corpo nudo (per la prima
volta raffigurato a tutto tondo dopo l'età classica), con sbandamento dell'asse, daga
come terzo appoggio, piede sulla testa di Golia; volto molto pensoso, corpo morbido e
vivace, come ritratto dal vivo; allegoricamente rappresenta la ragione che trionfa sulla
forza bruta e sull'irrazionalità

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Tra il 1421 e il 1428 lavorò nella Sagrestia Vecchia in San Lorenzo realizzando
le porte bronzee con rilievi raffiguranti Profeti e Padri della Chiesa, Santi e Martiri, le
quali sono sormontate rispettivamente da lunettoni con i santi Cosma e Damiano,
patroni dei Medici e i santi-protomartiri Stefano e Lorenzo, infine otto tondi in stucco a
rilevo policromo sotto la cupola, quattro con scene della Vita di san Giovanni: san
Giovanni evangelista immerso nell'olio bollente, san Giovanni evangelista a Patmos,
san Giovanni evangelista resuscita Drusiana, morte e ascensione di san Giovanni
evangelista e altri quattro con gli Evangelisti: Giovanni, Matteo, Luca e Marco.

Nel 1438 realizzò la statua lignea di San Giovanni Battista per la chiesa di Santa
Maria Gloriosa dei Frari a Venezia.

2. 3. A Padova (1443-1453)

Nel 1443 fu a Padova chiamato dagli eredi del capitano di ventura Erasmo da
Narni, detto il Gattamelata, morto nel 1443, per realizzare il monumento equestre del
condottiero, morto in quell'anno, nella piazza antistante la Basilica del Santo, in bronzo
e completato nel 1450; l'opera, prima di essere iniziata necessitò di un beneplacito
concesso dal Senato veneto, poiché l'opera venne concepita come un cenotafio, cioè un
monumento funebre per qualcuno sepolto altrove, volto a celebrare la fama del morto.

Per la Basilica del Santo realizzò la recinzione del coro e un Crocifisso bronzeo.
Tra il 1446 e il 1450 realizzò l'altare maggiore della Basilica del Santo con sette statue a
tuttotondo: Madonna col Bambino, i santi Francesco, Antonio, Giustina, Daniele,
Ludovico e Posdocimo, e quattro rilievi con Episodi della vita di sant'Antonio.

Nel rilievo con la Presentazione dell'ostia alla mula, lo spazio venne spartito da
tre archi in scorcio non proporzionati con le dimensioni dei gruppi delle figure, in modo
da sottolineare la solennità del momento. Nel rilievo con la Guarigione del giovane
posseduto dall'ira, la scena è inserita davanti a un grandioso proscenio paesistico-
architettonico. Gli altri due rilievi sono la Guarigione del cuore dell'avaro e il Miracolo
del figlio pentito. Nella Deposizione in pietra, sempre per l'altare del Santo, rielaborò il
modello antico della morte di Meleagro; lo spazio viene annullato della composizione
rimangono solo il sarcofago e le figure in modo da accentuare la drammaticità
dell'episodio, anche grazie alla mimica facciale e alla gestualità esasperate, che
stravolgono i personaggi rendendoli singolarmente irriconoscibili, tanto da creare uno
schermo unitario di figure dolenti sconvolte nei lineamenti che riduce i volti a maschere
di dolore e costruisce i corpi e le vesti con angoli acuti.

2. 4. Ultimi anni (1453-1466)

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Tra il 1453 e il 1455 realizzò la Maddalena lignea del Museo dell'Opera del
Duomo, in cui la bellezza fisica è negata, privilegiando i valori espressionistici; il corpo
scheletrico è reso informe dalla massa di capelli; traspare dal volto inciso la fatica, il
dolore, l'animo stanco. Soprattutto in età avanzata, egli lasciò ogni modello precostituito
per rappresentare i sentimenti più profondi dell'animo umano.

Del 1455-1460 circa è il gruppo con Giuditta e Oloferne. Il gruppo bronzeo


rappresenta Giuditta velata, che dopo aver fatto ubriacare Oloferne, si appresta a
decapitarlo, nel basamento vi sono tre bassorilievi con putti vendemmianti e scene di
ebbrezza. Forse il gruppo statuario era impiegato come fonte da vino: infatti agli angoli
del cuscino si trovano quattro fori. La statua, iniziata per la Cattedrale di Siena, venne
posta nel giardino del palazzo Medici in via Larga, infine sistemata a palazzo Vecchio,
dopo il sacco del palazzo in seguito alla seconda cacciata dei Medici. Forse venne
realizzato su commissione di Piero de' Medici detto il Gottoso, in memoria di Cosimo il
Vecchio. L'opera è firmata OPUS DONATELLI FLO sul cuscino, ruotato rispetto al
basamento in modo che i loro angoli non coincidono, creando un effetto di movimento.
La struttura dell'opera è piramidale, con al vertice il volto della ieratica Giuditta e la
lama della spada retta dal braccio destro dell'eroina piegato a novanta gradi, altro punto
focale del gruppo è la testa di Oloferne in cui convergono le diagonali del gruppo.
L'opera è attraversata da diversi valori simbolici: come simbolo religioso (la continenza
che abbatte la lussuria), come celebrazione della potenza dei Medicea e infine come
emblema comunale (la repubblica che abbatte i tiranni).

Visse a Siena fino al 1461, dove realizzò il San Giovanni Battista per il Duomo
e i modelli (perduti) per le non eseguite porte.

Ultima commessa fiorentina furono i due pulpiti bronzei per la chiesa di San
Lorenzo, opera realizzata con la partecipazione di aiuti (Bartolomeo Bellano e Bertoldo
di Giovanni), ma da lui progettata in tutte le sue parti. In quest'opera si accentuata la
carica religiosa che spinge le figure verso un'estrema drammaticità, realizzata attraverso
la tecnica del non-finito, in cui alcune parti delle figure sono appena sbozzate. Nel
cosiddetto Pulpito della Resurrezione, con episodi della vita di Cristo e santi, tra un
fregio rilievo con motivi decorativi vegetali e eroti vi sono cinque formelle a rilievo:
quella col Martirio di san Lorenzo , di mano di Donatello e situato al centro, è costruita
con un punto di vista ribassato, per drammatizzare maggiormente l'evento; mentre le
restanti scene, a cui collaborarono sia il Bellano che Bertoldo di Giovanni sono: Pie
donne al sepolcro, Discesa di Cristo al Limbo, Resurrezione di Cristo e Ascensione di
Cristo. Il Pulpito della Passione, con episodi della passione di Cristo entro un fregio a
rilievo con motivi decorativi, presenta le scene della Crocifissione, realizzato in
collaborazione col Bellano, la scena della Deposizione dalla croce, sicuramente
autografa, dove la Maria dolente è un richiamo alle pleurant francesi, la Deposizione di
Cristo nel sepolcro, eseguita da Bertoldo di Giovanni su progetto di Donatello, l'
Orazione di Cristo nell'orto eseguita da Bartolomeo Bellano su progetto di Donatello e
il rilievo con Cristo davanti a Pilato e Cristo davanti a Caifa, aiutato qui da Bartolomeo
Bellano.

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Morì a Firenze nel 1466. Venne sepolto nei sotterranei della basilica di San
Lorenzo, vicino a Cosimo il Vecchio, nella singolare e prestigiosa collocazione al di
sotto dell'altare.

2. 5. GALLERIA

Madonna col Bambino Marzocco

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Madonna Pazzi Crocifisso

Banchetto di Erode

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San Giovanni Evangelista David bronzeo

Maria Magdalena

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3. SANDRO BOTTICELLI

3.1. Gli esordi

Sandro Botticelli nacque in Borgo Ognissanti, ultimo di quattro figli maschi e crebbe in
una famiglia modesta ma non povera, mantenuta dal padre, Mariano Filipepi, che
faceva il conciatore di pelli ed aveva una sua bottega nel vicino quartiere di Santo
Spirito.

Il fratello Antonio era un orefice di professione, per cui è molto probabile che l'artista
abbia ricevuto una prima educazione presso la sua bottega, mentre sarebbe da scartare
l'ipotesi di un suoi tirocinio avvenuto nella bottega di un amico del padre, un certo
maestro Botticello, come riferisce il Vasari nelle Vite, dal momento che ancora oggi non
esiste alcuna prova documentaria che confermi l'esistenza di questo artigiano attivo in
città in quegli anni.

Il nomignolo pare invece che fosse stato inizialmente attribuito al fratello Giovanni, che
di mestiere faceva il sensale e che nella portata al catasto del 1458 (la dichiarazione dei
redditi dell'epoca), veniva chiamato vochato Botticello, poi esteso a tutti i membri
maschi della famiglia e dunque adottato anche dal pittore.

Il suo vero e proprio apprendistato si svolse comunque nella bottega di Filippo Lippi dal
1464 al 1467 circa; risalgono infatti a questo periodo tutta una serie di Madonne che
rivelano la diretta influenza del maestro sul giovane allievo. Sandro doveva essere
rimasto molto impressionato dagli affreschi da lui eseguiti nel Duomo di Prato (1452-
64), ma il suo vero punto di partenza fu la Madonna con il Bambino e due angeli (1465)
conservata agli Uffizi, perché queste sue prime composizioni riprendono quasi
fedelmente il modello proposto da Filippo.

La primissima opera attribuita a Botticelli è la Madonna col Bambino e un angelo (1465


ca.) dell'Ospedale degli Innocenti, in cui le somiglianze con la contemporanea tavola del
Lippi sono davvero molto forti, anzi sembra una copia o un omaggio; la stessa cosa vale
per la Madonna col Bambino e due angeli (1465 circa) oggi a Washington, con la sola
variante dell'angelo aggiunto alle spalle del Bambino.

La componente verrocchiesca infatti appare chiaramente in un secondo gruppo di


Madonne realizzate tra il 1468 e il 1469, come la Madonna col Bambino e angeli (1468
circa) al Museo Nazionale di Capodimonte di Napoli; i personaggi sono disposti
prospetticamente davanti al limite frontale del dipinto, inteso come "finestra", mentre
l'architettura sullo sfondo definisce la volumetria dello spazio ideale entro cui è inserita

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l'immagine. La composizione si sviluppa quindi per piani scalari, svolgendo una
mediazione tra lo spazio teorico reso dal piano prospettico e quello reale costituito dai
personaggi in primo piano.

L'accentuato linearismo, inteso come espressione di movimento risulta altrettanto


evidente, così come le meditazioni sulla concezione matematica della pittura, di grande
attualità in quegli anni, con gli studi di Piero della Francesca; la stessa soluzione venne
riproposta in altre opere dello stesso periodo, con la sola variazione dei termini
architettonici in naturalistici.

Tutte queste componenti confluirono nella sua prima commissione pubblica, che gli
venne affidata nel 1470, anno in cui decise finalmente di aprire una sua bottega; si tratta
di una spalliera allegorica, realizzata per il Tribunale della Mercanzia di Firenze
raffigurante la Fortezza. Il pannello doveva inserirsi all'interno di un ciclo ordinato a
Piero Pollaiolo che infatti eseguì sei delle sette Virtù previste nel 1469, ma a causa del
mancato rispetto dei termini di consegna gli venne revocato l'incarico consentendo a
Botticelli di subentrare al collega. Egli accolse lo schema presentato dal Pollaiolo nelle
sue linee generali, ma impostò l'immagine in modo del tutto diverso; al posto
dell'austero scranno marmoreo usato da Piero, dipinse un trono riccamente decorato e
dalle forme fantastiche che costituiscono un preciso richiamo alle qualità morali inerenti
all'esercizio della magistratura, in pratica un'allusione simbolica al "tesoro" che
accompagnava il possesso di questa virtù.

L'architettura viva e reale si unisce alla figura di donna che vi è seduta sopra, solida,
plastica, ma soprattutto di estrema bellezza; sarà proprio la continua ricerca della
bellezza assoluta, al di là del tempo e dello spazio, che porterà Botticelli a staccarsi
progressivamente dai modelli iniziali e ad elaborare uno stile sostanzialmente diverso
da quello dei suoi contemporanei, che lo rende un caso praticamente unico nel
panorama artistico fiorentino dell'epoca.

Botticelli scelse la grazia, cioè l'eleganza intellettuale e la squisita rappresentazione dei


sentimenti ed è per questo che le sue opere più celebri saranno caratterizzate da un
marcato linearismo ed un intenso lirismo, ma soprattutto l'ideale equilibrio tra il
naturalismo e l'artificiosità delle forme.

Prima di produrre quegli autentici capolavori della storia delle arti egli ebbe però modo
di ampliare la sua esperienza con altri dipinti, che costituiscono il necessario passaggio
intermedio tra le opere degli esordi e quelle della maturità.

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3. 2. Gli affreschi della Cappella Sistina

Tra il 1481 e il 1482 Botticelli partecipò alla decorazione della Cappella Sistina;
il ciclo prevedeva la realizzazione di 10 scene raffiguranti le Storie della vita di Cristo e
di Mosè ed i pittori si attennero a comuni convenzioni rappresentative in modo da far
risultare il lavoro omogeneo,come l'uso di una comune scala dimensionale, una comune
struttura ritmica e una comune rappresentazione paesaggistica; inoltre utilizzarono
accanto ad un'unica gamma cromatica le rifiniture in oro in modo da far risplendere le
pitture con i bagliori delle torce e delle candele. Secondo il programma iconografico
voluto da Sisto IV, i vari episodi vennero disposti in modo simmetrico per consentire il
confronto concettuale tra la vita di Cristo e quella di Mosè, in un continuo parallelismo
tendente ad affermare la superiorità del Nuovo Testamento sul Vecchio e a dimostrare il
materialismo e il dispotismo della religione ebraica rispetto allo spiritualismo
ecumenico che invece caratterizzava il cristianesimo. Botticelli si vide assegnati proprio
gli episodi più significativi a questo riguardo, perché erano quelli che meglio si
prestavano a ribadire certe contrapposizioni e analogie tra le figure cardine delle due
religioni.

Botticelli realizzò in tutto tre scene: Le prove di Mosè, Le Tentazioni di Cristo e


La Punizione di Qorah, Dathan e Abiram.

3. 3. La Primavera

Le fonti hanno ormai largamente confermato che il dipinto venne eseguito per
Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici (1463-1503), cugino del Magnifico; gli inventari di
famiglia del 1498, 1503 e 1516 hanno anche chiarito la sua collocazione originaria, dal
momento che l'opera viene menzionata tra quelle presenti nel Palazzo di Via Larga
prima di essere trasferita nella Villa di Castello, dove il Vasari rifersice di averla vista
nel 1550.

Questa scoperta è stata molto importante anche ai fini della datazione, fino ad
allora fissata al 1478, permettendo di avanzare nuove ipotesi che posticiperebbero la sua
esecuzione di alcuni anni e fornirebbero altre possibili interpretazioni sul significato
della scena rappresentata da Botticelli. Qui di seguito vengono sommariamente
riassunte quelle che hanno riscosso maggior credito tra gli storici dell'arte.

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3. 4. Nascita di Venere

Contrariamente alla Primavera, questo dipinto non è citato negli inventari


medicei del 1498, 1503 e 1516 (relativi appunto al solo palazzo di Via Larga), ma
sempre grazie alla testimonianza del Vasari nelle Vite, sappiamo che si trovava nella
Villa di Castello nel 1550 quando egli vide le due opere esposte insieme nella residenza
di campagna del ramo cadetto della famiglia.

Restando dunque incerta la sua collocazione originaria, si tende generalmente ad


escludere che essa sia stata eseguita per Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici e che lui o
i suoi discendenti l'abbiano acquistata in seguito per trasferirla nella villa in un periodo
compreso tra il 1498 e il 1540. Stando alla teoria che vorrebbe la Primavera eseguita
intorno al 1478, la datazione delle due opere non coinciderebbe, mentre aderendo a
quelle proposte più di recente, il divario si assottiglierebbe notevolmente, rendendole
praticamente contemporanee; difficilmente comunque si può sostenere che Botticelli
abbia concepito i due dipinti entro il medesimo programma figurativo.

L'opera si ritiene essere stata realizzata in un periodo compreso tra il 1482 ed il


1484, mentre per quanto riguarda l'interpretazione, molti storici sembrano concordare
sul legame strettissimo tra il dipinto ed un passo delle Stanze del Poliziano, in cui viene
descritto un rilievo figurato posto sulla porta d'ingresso del "palazzo di Venere":

La nascita di Venere sarebbe pertanto la nascita dell'Humanitas, l'allegoria


dell'amore inteso come forza motrice della Natura e la figura della dea, rappresentata
nella posa di Venus pudica (ossia mentre copre la sua nudità con le mani ed i lunghi
capelli biondi), la personificazione della Venere celeste, simbolo di purezza, semplicità e
bellezza disadorna dell'anima.

3. 5. Pallade e il Centauro

Il primo è Pallade che doma il centauro (1482-84), anch'essa citata tra le opere
presenti nel palazzo di Via Larga negli inventari medicei insieme alla Primavera; in
base al pensiero neoplatonico, supportato da alcuni scritti di Marsilio Ficino, la scena
potrebbe essere considerata come l'Allegoria della Ragione, di cui è simbolo la dea che
vince sull'istintualità raffigurata dal centauro, creatura mitologica per metà uomo e per
metà bestia.

È stata però proposta anche un'altra lettura in chiave politica del dipinto, che
rappresenterebbe sempre in modo simbolico l'azione diplomatica svolta da Lorenzo il
Magnifico in quegli anni, impegnato a negoziare una pace separata con il Regno di
Napoli per scongiurare la sua adesione alla lega antifiorentina promossa da Sisto IV; in

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questo caso, il centauro sarebbe Roma e la dea la personificazione di Firenze (va notato
infatti che essa porta l'alabarda ed ha la veste decorata con l'insegna personale di
Lorenzo), mentre sullo sfondo si dovrebbe riconoscere il Golfo di Napoli.

3. 6. Venere e Marte

È una lettura essenzialmente in chiave filosofica quella invece proposta per


un'altra allegoria raffigurante Venere e Marte, distesi su un prato e circondati da un
gruppetto di satiri giocherelloni; la fonte d'ispirazione di Botticelli sembra
ragionevolemente essere il Symposium di Ficino, in cui si sosteneva la superiorità della
dea Venere, simbolo di amore e di concordia, sul dio Marte, simbolo di odio e discordia
(era infatti il dio della guerra per gli antichi).

I satiri sembrano tormentare Marte disturbando il suo sonno, mentre ignorano


del tutto Venere, vigile e cosciente; questa scena sarebbe la figurazione di un altro degli
ideali cardine del pensiero neoplatonico, ossia l'armonia dei contrari, costituita dal
dualismo Marte-Venere, anche se il critico Plunkett ha messo in evidenza come il
dipinto riprenda puntualmente un passo dello scrittore greco Luciano, in cui viene
descritto un altro dipinto raffigurante Le nozze di Alessandro e Rossane. L'opera
potrebbe dunque essere stata realizzata per il matrimonio di un membro della famiglia
Vespucci, protettrice dei Filipepi (come dimostrerebbe l'inconsueto motivo delle api in
alto a destra) e quindi questa iconografia sarebbe stata scelta come augurio nei confronti
della sposa.

3. 7. La Madonna del Magnificat

Lo spirito filosofico che pare avvolgere tutte le opere di Botticelli nella prima
metà degli anni '80, si estese anche a quelle di carattere religioso; ne è un significativo
esempio il tondo con la Madonna del Magnificat, eseguita tra il 1483 e il 1485 e dove
secondo André Chastel egli cercò di coniugare il naturalismo classico con lo
spiritualismo cristiano.

La Vergine è al centro, riccamente abbigliata, con la testa coperta da veli


trasparenti e stoffe preziose ed i suoi capelli biondi si intrecciano con la sciarpa
annodata sul petto; il nome del dipinto deriva dalla parola "Magnificat" che compare su
un libro retto da due angeli, abbigliati come paggi che porgono alla Madonna il

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calamaio, mentre il Bambino osserva la madre e con la mano sinistra afferra una
melagrana, simbolo della resurrezione.

Sullo sfondo si intravede un paesaggio attraverso una finestra di forma circolare;


la cornice di pietra dipinta schiaccia le figure in primo piano, che assecondano il
movimento circolare della tavola in modo da far emergere le figure dalla superficie del
dipinto, come se l'immagine fosse riflessa in uno specchio convesso ed allo stesso
tempo la composizione è resa ariosa grazie alla disposizione dei due angeli reggilibro in
primo piano che conducono attraverso un'ideale diagonale verso il paesaggio sullo
sfondo.

3. 8. Una crisi irreversibile

Ma proprio a partire da questo periodo la produzione del pittore iniziò a rivelare


i primi segni di una crisi interiore che culminerà nell'ultima fase della sua carriera in un
esasperato misticismo, volto a rinnegare lo stile per il quale egli si era contraddistinto
nel panorama artistico fiorentino dell'epoca.

Un ripiegamento verso un più marcato plasticismo delle figure, l'uso del


chiaroscuro e l'accentuata espressività dei personaggi è già ravvisabile nella Madonna
Bardi (1485 ca.), ma è nell'Incronazione della Vergine (1488-90) che la meditazione
religiosa di Botticelli si fa più profonda, arrivando addirittura a riproporre un arcaico
fondo dorato in alto, proprio dietro alla scena dell'incoronazione.

Il vero "spartiacque" tra le due maniere però è la cosiddetta Calunnia eseguita


tra il 1490 e il 1495, un dipinto allegorico tratto da Luciano, e riportato nel trattato
dell'Alberti che alludeva alla falsa accusa rivolta da un rivale al pittore antico Apelle, di
aver cospirato contro Tolomeo Filopatore.

La complessa iconografia riprende anche stavolta fedelmente l'episodio originale


e la scena viene inseritra all'interno di una grandiosa aula, riccamente decorata di marmi
e rilievi e affollata di personaggi; il quadro va letto da destra verso sinistra: il re Mida
(riconoscibile dalle orecchie d'asino), nelle vesti del cattivo giudice, è seduto sul trono,
consigliato da Ignoranza e Sospetto; davanti a lui sta il Livore, l'uomo con il cappuccio
nero e la torcia in mano; dietro a lui è la Calunnia, donna molto bella e che si fa
acconciare i capelli da Perfidia e Frode, mentre trascina a terra il Calunniato impotente;
la vecchia sulla sinistra è la Penitenza e l'ultima figura di donna sempre a sinistra è la
Verità, con lo sguardo rivolto al cielo, come a indicare l'unica vera fonte di giustizia.

Nonostante la perfezione formale del dipinto, la scena si caratterizza


innanzitutto per un forte senso di drammaticità; l'ambientazione fastosa concorre a
creare una sorta di "tribunale" della storia, in cui la vera accusa sembra essere rivolta

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proprio al mondo antico, dal quale pare essere assente la giustizia, uno dei valori
fondamentali della vita civile.

È una constatazione amara, che rivela tutti i limiti della saggezza umana e dei
principi etici del classicismo, non del tutto estranea alla filosofia neoplatonica, ma che
qui viene espressa con toni violenti e patetici, che vanno ben oltre la semplice
espressione di malinconia notata sui volti dei personaggi delle opere giovanili di
Botticelli.

È dunque il segno più evidente dell'infrangersi di certe sicurezze fornite


dall'umanesimo quattrocentesco, a causa del nuovo e turbato clima politico e sociale che
caratterizzerà la situazione fiorentina dopo la morte del Magnifico nel 1492; in città
imperversavano infatti le prediche di Girolamo Savonarola, che attaccò duramente i
costumi e la cultura del tempo, predicendo morte e l'arrivo del giudizio divino e
imponendo penitenza ed espiazione dei propri peccati.

Nel 1497 e 1498 i suoi seguaci organizzarono diversi "roghi delle vanità", che
non solo dovettero impressionare molto il pittore, ma innescarono in lui grossi sensi di
colpa per aver dato volto a quel magistero artistico così aspramente condannato dal
frate.

Savonarola venne giustiziato il 23 maggio 1498, ma la sua esperienza aveva


inferto dei colpi così duri alla vita pubblica e culturale fiorentina, che la città non si
riprese mai del tutto.

Nel 1504 egli venne incluso tra i membri della commissione incaricata di
scegliere la collocazione più idonea per il David di Michelangelo; la sua fama è ormai
in pieno declino anche perché l'ambiente artistico non solamente fiorentino è dominato
dal già affermato Leonardo e dal giovane astro nascente Michelangelo.

Morì solo ed in povertà il 17 maggio 1510 e fu sepolto nella chiesa di Ognissanti


a Firenze.

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3. 9. GALLERIA

Madonna con Bambino e Angeli Ritratto di Giuliano de'Medici, 1478

Venere e Marte

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Nascita di Venere

Nastagio degli Onesti, primo episodio, Madrid, Museo del Prado

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Pallade e il Centauro

La Primavera, Firenze, Uffizi

23
Madonna del Magnificat, 1483-85, Firenze, Uffizi

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4. SEBASTIANO DEL PIOMBO
(SEBASTIANO LUCIANI)

4. 1. A Venezia

Nasce da Luciano Luciani a Venezia nel 1485, secondo la testimonianza di


Vasari, che lo dice morto a sessantadue anni nel 1547. Ancora il Vasari riporta che la sua
prima professione fu quella di musicista «perché oltre al cantare si dilettò molto di sonar
varie sorti di suoni, ma sopra il tutto il liuto, per sonarsi in su quello stromento tutte le
parti senz'altra compagnia [...] Venutagli poi voglia, essendo ancor giovane, d'attendere
alla pittura, apparò i primi principii da Giovan Bellino allora vecchio. E doppo lui,
avendo Giorgione da Castel Franco messi in quella città i modi della maniera moderna,
più uniti e con certo fiammeggiare di colori, Sebastiano si partì da Giovanni e si
acconciò con Giorgione, col quale stette tanto che prese in gran parte quella maniera».

Nel Ritratto di giovane donna di Budapest, del 1508 circa, se i riferimenti a


Giovanni Bellini e al Giorgione consistono, rispettivamente, nello scalare i piani della
rappresentazione e nell'osservazione precisa dell'epidermide, si mostra la caratteristica
del Luciani: il contrappuntare gli elementi della composizione, qui mettendo in
relazione gli opposti moti del braccio e della testa.

Tra il 1508 e il 1509 dovrebbe aver realizzato le quattro ante d'organo nella
chiesa di San Bartolomeo di Rialto, commesse da Alvise Ricci, vicario della chiesa dal
1507 al 1509: in esse la critica vede la fusione di colore e spazio del Giorgione e
l'esaltazione delle forme potentemente costruite già in sintonia con le conquiste del
primo classicismo tosco - romano; purtroppo le ridipinture ed i "restauri" in chiave
giorgionesca che si sono susseguiti nel tempo hanno confuso e spento gli squillanti,
"fiammeggianti" colori di Sebastiano.

Al 1510 data la tavola della Salomé della National Gallery di Londra, mentre tra
il 1510 e il 1511 realizza la Pala di san Giovanni Crisostomo, commissionata per
testamento, il 13 aprile 1509, da Caterina Contarini Morosini affinché fosse eseguita
dopo la morte del marito Nicolò, deceduto nel 1510. I santi rappresentati sono, da
sinistra, Caterina, Maddalena, Lucia, Crisostomo, Nicola, Giovanni Battista e Liberale.

Il Vasari l'attribuì in un primo tempo (1550) al Giorgione ma nella redazione


delle vite del 1568, ammettendo lo sbaglio, restituì la paternità a Sebastiano. La critica
successiva si divide, volendo alcuni vedere nel dipinto almeno l'ideazione del
Giorgione.

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Ma già secondo un'esame stilistico, la struttura compositiva dell'opera appare
estranea alle intenzioni del maestro di Castelfranco, non interessato a legare le figure in
composizioni armoniche, in «masse articolate, serrate nella loro complessità, ma
individuate in un movimento potenziale» (Pallucchini 1944) come qui è mostrato nel
rapporto contrappuntato fra i due santi a destra, il Battista e Liberale. Un'altra
sostanziale differenza sta nella creazione di uno spazio unitario e grandioso, tratto che
lo differenzia da Giorgione, impegnato piuttosto nello sviluppo di un nuovo rapporto
con la natura.

Inoltre la datazione del testamenti dei committenti (in particolare quelli di


Nicolò, datati fra 4 e 18 maggio 1510) fugano la presenza di Giorgione, morto
nell'ottobre 1510, al quale sarebbe rimasto ormai pochissimo tempo per prendere parte
all'impresa considerando anche quanto bisognasse attendere per attingere ai crediti di un
lascito testamentario ed allestire il lavoro per una pala di grandi dimensioni (Gentili-
Bertini 1985).

La novità della composizione è nell'esclusione della visione frontale delle pale


tradizionali e, a giudizio del Lucco, nel tono dimesso e sereno delle figure inserite in un
pacato paesaggio crepuscolare: Crisostomo, addirittura, ha deposto mitria e pastorale e
legge tranquillamente.

L'ultima notizia dell'attività artistica veneziana di Sebastiano è documentata da


Marcantonio Michiel che nel suo quaderno del 1525 annota di aver visto in casa del
patrizio Taddeo Contarini la tela dei cosiddetti "Tre Filosofi" di Giorgione "finita" da
Sebastiano.

4. 2. A Roma

Nella primavera del 1511 «spargendosi la fama delle virtù di Sebastiano,


Agostino Chigi sanese, ricchissimo mercante, il quale in Vinegia avea molti negozii,
sentendo in Roma molto lodarlo, cercò di condurlo a Roma, piacendogli oltre la pittura
che sapesse così ben sonare di liuto e fosse dolce e piacevole nel conversare. Né fu gran
fatica condurre Bastiano a Roma, perché, sapendo egli quanto quella patria comune sia
sempre stata aiutatrice de' begl'ingegni, vi andò più che volentieri. Andatosene dunque a
Roma, Agostino lo mise in opera e la prima cosa che gli facesse fare furono gl'archetti
che sono in su la loggia, la quale risponde in sul giardino dove Baldassarre Sanese
aveva, nel palazzo d'Agostino in Trastevere, tutta la volta dipinta; nei quali archetti
Sebastiano fece alcune poesie di quella maniera ch'aveva recato da Vinegia, molto
disforme da quella che usavano in Roma i valenti pittori di que' tempi».

Sono lunette affrescate nel palazzo della Farnesina con soggetti mitologici, tratti
dalle Metamorfosi di Ovidio: Tereo insegue Filomela e Progne, Aglauro ed Erse,
Dedalo e Icaro, Giunone, Scilla taglia i capelli a Niso, La caduta di Fetonte, Borea

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rapisce Orizia, Zefiro e Flora e una Testa gigantesca che sono certamente conclusi nel
gennaio 1512; mesi dopo aggiunge un Polifemo sotto la lunetta del Dedalo e Icaro.

Del 1512 è il ritratto degli Uffizi chiamato Fornarina e il Ritratto del cardinale
Ferry Corondolet e del suo segretario di Madrid; qui, se l'impostazione del personaggio
è raffaellesca, l'atmosfera che promana dal paesaggio dorato e dalle costruzioni nel
fondo è veneta.

4. 3. L'amicizia di Michelangelo

Il Ritratto d'uomo, nel Museo di Budapest dal 1895, allora attribuito a Raffaello
e per questo motivo pagato una somma enorme, se mantiene la sintesi compositiva fra
scuola romana e veneta, mostra la tendenza in atto nella ritrattistica del Luciani alla
semplificazione nei particolari e nella stesura cromatica.

Verso la metà del secondo decennio il suo stile diviene la più valida alternativa a
quello di Raffaello e la competizione con l'Urbinate diviene esplicita: alla fine del 1516
il cardinale Giulio de' Medici commissiona due pale d'altare per la sua sede vescovile di
Narbonne, una a Raffaello, che eseguirà la Trasfigurazione e l'altra a Sebastiano, che
conclude nel 1519 La resurrezione di Lazzaro, ora alla National Gallery di Londra.

La corrispondenza di Leonardo Sellajo con Michelangelo riporta alcuni termini


della competizione: nel gennaio del 1517 scrive che Raffaello mette «sottosopra el
mondo perché lui non la faccia per non venire a paraghoni»; a settembre scrive che
Sebastiano «fa miracholi di modo che ora mai si può dire abbia vinto»; Raffaello non ha
neanche cominciato la sua tavola e nel luglio del 1518 Sebastiano scrive a Michelangelo
di aver rallentato il lavoro perché «non voglio che Rafaello veda la mia in sino lui non
ha fornita la sua». Finita nel maggio 1519, l'opera è esposta nel Palazzo vaticano una
prima volta a dicembre «con grande sua laude et di tutti et del Papa» e ancora, il 12
aprile 1520, a confronto con l'incompiuta Trasfigurazione di Raffaello, morto sei giorni
prima.

Il 6 aprile 1520 muore Raffaello: Sebastiano comunica la notizia il 12 aprile a


Michelangelo, raccomandandosi per ottenere la decorazione della Sala dei Pontefici in
Vaticano che tuttavia non otterrà. Accetta la commissione di una tavola e di completare
la decorazione della cappella Chigi in Santa Maria del Popolo, sotto le figure di
Raffaello, ma Sebastiano, temendo il confronto, indugia finché gli eredi di Agostino
Chigi si stancano: «E così allogata a Francesco Salviati la tavola e la cappella, egli la
condusse in poco tempo a quella perfezzione che mai non le poté dare la tardità e
l'irresoluzione di Sebastiano, il quale, per quello che si vede, vi fece poco lavoro, se
bene si trova ch'egli ebbe dalla liberalità d'Agostino e degli eredi molto più che non se
gli sarebbe dovuto quando l'avesse finita del tutto; il che non fece, o come stanco dalle

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fatiche dell'arte, o come troppo involto nelle commodità et in piaceri». In dicembre gli
nasce il figlio Luciano cui Michelangelo fa da padrino.

Nel 1525 completa anche la Flagellazione di Cristo di Viterbo e il Ritratto di


Anton Francesco degli Albizzi di Houston; dell'anno successivo sono i ritratti di Andrea
Doria, di Clemente VII e di Pietro Aretino: «lo fece sì fatto che, oltre al somigliarlo, è
pittura stupendissima per vedervisi la differenza di cinque o sei sorti di neri che egli ha
addosso: velluto, raso, ermisino, damasco e panno, et una barba nerissima sopra quei
neri, sfilata tanto bene che più non può essere il vivo e naturale. Ha in mano questo
ritratto un ramo di lauro et una carta dentrovi scritto il nome di Clemente Settimo e due
maschere inanzi, una bella per Virtù e l'altra brutta per il Vizio. La quale pittura Messer
Pietro donò alla patria sua, et i suoi cittadini l'hanno messa nella sala publica del loro
consiglio, dando così onore alla memoria di quel loro ingegnoso cittadino e ricevendone
da lui non meno».

Durante il Sacco di Roma, nel maggio 1527 Sebastiano si rifugia dapprima in


Castel Sant'Angelo; nel marzo del 1528 è attestato a Orvieto e nel giugno è a Venezia,
dove l'11 agosto procura la dote per la sorella Adriana e poi è testimone alle nozze del
pittore Vincenzo Catena. Fra molte esitazioni torna a Roma alla fine di febbraio 1529:
della fine di quest'anno dovrebbe essere il Cristo portacroce del Prado, visto quasi
frontalmente a tre quarti di figura, in una composizione spoglia e con larghe zone
d'ombra, in sintonia col nuovo clima spirituale venuto a crearsi col Sacco e precorrendo
la pittura sacra dell'epoca del Concilio di Trento.

4. 4. Gli ultimi anni

Al Luciani è prevalentemente attribuito il Ritratto del cardinale Reginald Pole,


ma con le autorevoli eccezioni del Longhi e dello Zeri, che lo danno a Perin del Vaga, in
virtù dell'intellettualistico raffaellismo del dipinto.

Solo nel 1540 finisce la Pietà, ora a Siviglia, commissionata da Ferrante


Gonzaga nel 1533 per farne dono a Francisco de los Cobos, cancelliere dell'imperatore
Carlo V.

Ancora intorno al 1540, secondo la moderna critica, «condusse con gran fatica
[...] al patriarca d'Aquilea un Cristo che porta la croce, dipinto in pietra dal mezzo in su,
che fu cosa molto lodata, e massimamente nella testa e nelle mani, nelle quali parti era
Bastiano veramente eccellentissimo». La citazione del Vasari è stata ricondotta al Cristo
portacroce di Budapest. È una figura rappresentata con la massima essenzialità - manca
anche la corona di spine - come a voler offrire la raffigurazione del dolore in sé stesso,
universale perché colto nella sola espressione della sofferenza; il Cristo, tutt'uno con la
croce, emerge violentemente dallo spazio buio e amplificato, protendendo le dita
nervose davanti agli occhi dello spettatore. Per Federico Zeri, vi è «un senso di gravezza

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asciutta e dolorosa, un concentrarsi sul tema sacro con intenti inequivocabilmente
meditativi, che segnano un distacco ben risoluto dalla libera idealizzazione formale dei
suoi dipinti giovanili».

Il pittore è sepolto a Roma nella chiesa di Santa Maria del Popolo.

4. 5. GALLERIA

Cristo portacroce, Budapest Cardinale Reginald Pole, San Pietroburgo

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Cristoforo Colombo, New York, Metropolitan Martirio di sant'Agata, Firenze

Resurezione di Lazzaro, Londra, National Gallery

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Ritratto d'uomo, Budapest, Szépmuvészeti Museum

Pietà

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CONCLUSIONE

Il Rinascimento fu un secolo che soprattutto attraverso l’arte, ha aperto


all’uomo moderno un orizzonte nuovo, una prospettiva prima inimmaginabile.

Nel Rinascimento tale atteggiamento mentale culminò nel culto del bello e nella
ricerca del nitore della forma. L'uomo del Rinascimento sentiva di poter forgiare la
propria storia, forzando il corso degli eventi, sotto l'impulso delle passioni e degli
interessi umani. L'uomo, infatti, non si era creato un sistema morale avulso da
presupposti religiosi e quindi dovette affrontare il dissidio tra la riscoperta della propria
individualità e libertà, le imprescindibili leggi della natura e la volontà divina.

Rinascimento non è rinascità dopo la morte, non è luce dopo il buio, ma


è sicuramente una fase fondamentale per la storia della cultura italiana, e non
solo, date le lunghe e larghe ripercursioni che i prodotti del pensiero e del
gusto quarto-cinquecenteschi italiani hanno avuto a livello europeo e
mondiale nei secoli successive. Il Rinascimento visto a mezzo millennio di
distanza, può forse apparire una parziale utopia, le cui premesse di armonia
universale e di recupero di una civiltà governata dalla serenità del pensiero
hanno trovato solo in parte realizzazione: tuttavia, con la meravigliosa
testimonianza della pittura ,resta nella storia del mondo una delle epoche più
esaltanti dello spirito e della mente dell’uomo.

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BIBLIOGRAFIA

• ro.wikipedia.org
• http://it.encarta.msn.com/encyclopedia_761554529/Rinascimento_(arte).ht
ml
• http://www.babelearte.it/glossario.asp?id=144
• http://www.info.roma.it/evento_dettaglio.asp?eventi=1008
• http://www.italica.rai.it/index.php?categoria=arte&scheda=sebastianodelpi
ombo_1485_1547

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