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Il Barocco

Con l’arte la Chiesa del 600 si propone l’ambizioso traguardo di persuadere eretici e
dubbiosi riconducendoli alla dottrina cattolica. Ma affinché ciò avvenga occorre che
quest’arte sia abbastanza grande da imporsi, che non significa solamente imponenza e
spettacolarità, ma soprattutto capacità di penetrare a fondo nelle coscienze. Ecco
allora che l’arte seicentesca deve saper sedurre e commuovere grazie alla capacità di
suscitare emozioni e sentimenti.

L’Accademia degli Incamminati


Il pittore bolognese Ludovico Carracci e i cugini Agostino e Annibale si riuniscono
per fondare la prima scuola privata di pittura dell’età moderna, inizialmente chiamata
Accademia del Naturale, per la sua finalità di promuovere negli allievi la
riproduzione dal vero. Venne poi chiamata Accademia degli Incamminati, a
sottolineare l’impegnativo percorso di maturazione artistica al quale ogni allievo era
chiamato.
I tre Carracci nascono a Bologna ma la loro formazione è abbastanza variegata, in
quanto si riallaccia sia alla tradizione classicista di Raffaello e Michelangelo sia a
quella veneziana del colore sia a quella di molti altri pittori emiliani e lombardi del
periodo.
Secondo i Carracci la formazione di un artista deve svilupparsi non solo a livello
pratico, acquisendo solo le necessarie abilità tecniche, ma anche a livello teorico,
maturando conoscenze culturali il più possibile ampie, eterogenee e approfondite.
L’Accademia degli Incamminati costituirà il prototipo di numerosissime altre
accademia simili che, nel corso del 600, fioriranno un po' in tutt’Italia.
Agostino Carracci (1557-1602)
È il più colto dei tre e il suo contributo all’Accademia è, pertanto, di tipo soprattutto
teorico. Tramite la storia dell’arte e la filosofia insegna il valore della classicità e
della storia quali fonti primarie d’ispirazione. Allo stesso tempo fa loro comprendere,
attraverso un uso quasi scientifico del disegno, che ogni realizzazione pittorica deve
essere preceduta da una rigorosa fase di studio, durante la quale prendere in esame
anche tutti i problemi connessi al significato che l’opera vuole assumere e al
messaggio che deve lanciare.
Ultima Comunione di San Girolamo, 1591-1592

Ludovico Carracci (1555-1619)


Il suo contributo all’Accademia è soprattutto di tipo tecnico-pratico. I suoi personaggi
sacri sono sempre rappresentati in modo da ispirare pietà, modestia, santità e
devozione.
Annibale Carracci (1560-1609)
È il più importante e famoso dei tre. Quando però l’ambiente emiliano si fa troppo
angusto per lui si trasferisce a Roma. La sua forte personalità e le sue grandi capacità
pittoriche lo collocano da subito al vertice dell’Accademia, alla quale si dedica con
l’esempio di un disegno di perfezione raffaellesca e di una tecnica pittorica
estremamente colta e raffinata, maturata sui grandi modelli del Rinascimento
fiorentino-romano, del colore veneto e della grazia correggesca.
Ritiene importante l’atto pittorico e rivendica ai pennelli e ai colori una capacità di
comunicazione simile, se non superiore, a quella della parola stessa.
Dall’armoniosa fusione fra il vigore delle forme michelangiolesche e la serena
classicità di quelle raffaellesche egli matura in breve uno stile così nuovo e personale
da costituire un punto di riferimento anche per molti artisti della generazione
successiva, tra cui Guido Reni.
Realizza una delle prime scene di genere dell’arte italiana.
Nel ciclo di affreschi di Palazzo Farnese riesce a far convivere sia l’equilibrata
compostezza di una raffigurazione classica sia il gusto tutto barocco per le
prospettive fantastiche, evocatrici di suggestioni ottiche e di spazi illusori. Sta proprio
in questo supremo equilibrio che sta la grandezza di Annibale, ultimo grande
testimone della pittura classicista e primo fondamentale punto di riferimento per
quella barocca.
Il mangiafagioli, 1983-1984 Volta della Galleria di Palazzo Farnese, 1598-1600, Affresco

Trionfo di Bacco e Arianna

Caravaggio (1571-1610)
Michelangelo Merisi da Caravaggio nasce a Milano, da una famiglia originaria
appunto di Caravaggio. La sua prima formazione è legata soprattutto all’ambiente
lombardo ma potrebbe essere venuto in contatto anche con il colorismo veneto, alla
quale è debitore della sua particolare sensibilità per le luci e le ombre. Si trasferisce
poi a Roma dove entra in contatto con il Cavalier d’Arpino, presso cui lavora nella
sua bottega distinguendosi subito per la sua bravura nel dipingere nature morte e
scene di genere. Sarà poi costretto a fuggire da Roma verso Napoli, Malta, Sicilia e
infine a Porto Ercole.
I personaggi di Caravaggio sono sempre così crudamente realistici e fuori dagli
schemi tradizionali da essere spesso ritenuti indegni di una rappresentazione sacra.
Testa di Medusa, 1596-1598 Bacco, 1596-1597

Vocazione di San Matteo, 1599-1600 Crocifissione di San Pietro, 1600-1601

Morte della Vergine, 1605-1606

Lo Spagnoletto (1591-1652)
Nasce in Catalogna. Jusepe de Ribera, detto lo Spagnoletto per via della corporatura
minuta e dell’origine spagnola, della quale l’artista andava orgogliosissimo. Si forma
inizialmente in ambienti lombardi ed emiliani, poi a Roma e infine si stabilisce
definitivamente a Napoli, che diventerà ben presto la sua seconda patria.
Pur partendo dal naturalismo caravaggesco, Ribera inserisce nei suoi dipinti una vena
narrativa minuta e quotidiana, adottando accordi cromatici più luminosi, sicuramente
derivatigli dalla conoscenza di Raffaello, dei pittori veneti e dell’ambiente emiliano
sviluppatosi intorno a Guido Reni.
Lo storpio, 1642

La significativa scelta del soggetto di un bambino mendicante affetto da una grave


malformazione al piede e alla mano destri è da ricondurre a una precisa volontà
dell’artista di indagare il mondo dei poveri e degli emarginati. Questa particolare
sensibilità trova qui uno dei momenti più sinceri e toccanti.
Il piccolo mendicante regge con la mano sinistra un foglietto sul quale qualcuno gli
ha scritto: “Dammi un’elemosina per amore di Dio”. Questo ci fa pensare a un
orfanello, costretto a vivere mendicando per le strade di una Napoli povera e ostile. Il
volto tenero che ci regala un sorriso innocente e sincero però riscatta in parte il
dramma della situazione. Anche la stampella, portata con leggerezza sulla spalla
sinistra, perde il senso della sua funzione e diventa quasi un oggetto con cui giocare,
contribuendo a imitare scherzosamente una posa militare. La prospettiva dal basso
inoltre dà dignità e risalto alla piccola figura, così come lo sfondo chiaro.

Guido Reni (1575-1642)


Nasce a Bologna. Dopo le prime esperienze presso il maestro fiammingo Denijs
Calvaert si avvicina all’Accademia degli Incamminati e segue gli insegnamenti dei
Carracci. Poi fu a Roma dove studia le opere di Annibale Carracci e del Caravaggio,
ma si dedica anche allo studio dell’Antico e di Raffaello. Infine torna definitivamente
nella città natale.
Reni crede fermamente che l’artista debba imitare la realtà, non quella quotidiana
però, ma una ideale creata selezionando quanto di più bello offriva la natura stessa.
Egli ricerca quindi la bellezza ideale e non quella che ha solitamente sotto gli occhi.

Strage degli innocenti, 1611 Nesso e Deianira, 1621


Atalanta e Ippomene, 1618-1619

Il Guercino (1591-1666)
Giovanni Francesco Barbieri nasce a Cento. Tra questa e Bologna trascorre la sua
vita. Il soprannome viene da uno strabismo all’occhio destro. Era affascinato dalla
pittura di Tiziano e poi da quella dei Carracci, Ludovico in particolare. Alla morte di
Guido Reni si trasferì a Bologna per occupare il ruolo che ormai gli spettava di
caposcuola dei pittori bolognesi.
Tra i meriti del Guercino c’è quello di aver invertito i pesi tra la parte inferiore e
quella superiore di alcune pale a soggetto sacro. Mentre la tradizione proponeva un
moto ascensionale che vede molte figure in basso e una in alto, per suggerire la
differenza tra mondo terreno agitato da pene e passioni e tra mondo celeste calmo.
Lui invece isola le figure nella parte bassa distribuendone più di una nella parte alta,
avvicinando così le dimensioni terrena e divina, rendendo la prima più spirituale e la
seconda più umana.

Il ritorno del figliol prodigo, 1619 L’Angelo appare ad Agar e Ismaele, 1652
Annunciazione, 1648

Oltre le Alpi
L’esperienza barocca fa emergere alcune fra le più alte personalità artistiche dei vari
Paesi. Alle suggestioni caravaggesche e alle riprese classiciste si vanno
progressivamente aggiungendo la minuzia dei particolari di tradizione fiamminga e
olandese, la luminosità francese e l’espressività spagnola. Il risultato è quello di una
pittura dalla forte personalità, nella quale gli accesi contrasti di luci e di ombre e una
più attenta osservazione della natura giocano un ruolo sempre più decisivo ed
emotivamente coinvolgente.
Rubens (1577-1640)
Nasce in Westfalia. Pieter Paul Rubens è senza dubbio il più grande dei pittori
fiamminghi del 600. La sua formazione avviene principalmente in Italia ed è
estremamente varia e complessa. A Venezia si appassiona alla pittura tonale e si
esercita copiando le opere di Tiziano, Tintoretto e Veronese. In seguito si trasferisce a
Mantova, a Genova e, infine, a Roma. Qui, oltre a conoscere la grande pittura
rinascimentale, resta particolarmente colpito dal classicismo dei Carracci e,
soprattutto, dal realismo caravaggesco. È anche un grande conoscitore e collezionista
di sculture classiche. Ritornato nelle Fiandre mette subito a frutto le esperienze
maturate in Italia riuscendo a conciliare l’analisi dei particolari, tipicamente
fiamminga, con il colore e il disegno italiani.
Rubens predilige le grandi composizioni, animate da un convulso agitarsi di
personaggi e caratterizzate da colori intensi e pastosi, che plasmano le figure con
drammatica teatralità.
La morte di Ippolito, 1611-1613

La scena rappresenta la tragica morte di Ippolito, figlio di Teseo e di un’Amazzone,


che, accusato ingiustamente di aver usato violenza alla seconda moglie del padre,
viene assalito da alcuni mostri marini che il padre stesso aveva fatto evocare per
mezzo di Poseidone. I mostri marini, che emergono con furia dalle acque, fanno
spaventare e imbizzarrire i cavalli che si impennano facendo rovesciare il cocchio
d’oro di Ippolito e facendo cadere l’eroe sugli scogli. La possente muscolatura del
personaggio allude a certi esempi michelangioleschi che l’artista aveva conosciuto a
Roma.
L’uso violento del colore sottolinea la drammaticità dell’evento. In riva al mare, però,
la natura torna a essere mite e serena, con granchi e conchiglie variopinte, quasi a
voler controbilanciare con la quiete di una natura morta il caos generato dell’azione
dei mostri.
Antonie van Dyck (1599-1641)
Nasce ad Anversa. Collabora con il già famoso Rubens, del quale diverrà in seguito
uno dei massimi antagonisti a livello europeo. Dopo un primo soggiorno a Londra
visse e lavorò a lungo in Italia, stabilendosi a Genova, Venezia, Bologna, Firenze,
Roma e Palermo. La permanenza in Italia gli diede modo di studiare dal vivo la
pittura rinascimentale, subendo in particolar modo l’influenza di Tiziano. Infine, si
trasferì definitivamente in Inghilterra. Van Dyck si caratterizza come un insuperabile
ritrattista.
Carlo I a caccia, 1635

Il re d’Inghilterra è ritratto durante una pausa della battuta di caccia, mentre uno
scudiero fa riposare il cavallo alla frescura di un albero frondoso. Il sovrano,
nonostante l’ambientazione campestre, è vestito con grande ricercatezza. La mano
destra impugna con atteggiamento teatrale un bastone e la testa ci mostra
un’espressione altera e quasi sprezzante. Al fianco porta una spada dall’impugnatura
dorata e con la mano sinistra all’altezza della vita tiene con noncuranza un guanto di
pelle, mentre un paggio che appena si intravede gli regge il mantello. La ricchezza
dei colori, la resa attenta dei particolari e la studiata composizione delle figure fanno
di questo dipinto uno dei punti di riferimento della ritrattistica del 600.
Rembrandt (1606-1669)
Nasce a Leida. Si forma negli ambienti umanistici della città natale, una fra le
culturalmente più vivaci e ricche di contatti artistici internazionali. Si stabilisce poi
ad Amsterdam, dove si dedica soprattutto al ritratto, ponendo in secondo piano sia la
pittura di paesaggio sia quella di genere, soggetti preferiti della pittura olandese
barocca.

Lezione di anatomia del dottor Tulp, 1632

L’opera venne commissionata dalla Gilda dei Chirurghi di Amsterdam. La scena è


ambientata nel chiuso di una stanza assolutamente spoglia e rappresenta il dottor Tulp
mentre, durante una lezione di anatomia, sta mostrando a un gruppo di sette allievi
l’avambraccio sinistro di un cadavere. Gli studenti sono variamente atteggiati, a
seconda dei propri interessi e delle rispettive personalità. C’è chi si protende verso il
professore, chi fissa lo sguardo sul trattato e chi si distrae volgendo l’attenzione
all’osservatore. L’atmosfera complessiva appare cupa e come sospesa, in quanto
l’unica fonte di illuminazione sembra provenire dal cadavere disteso sul tavolo di
dissezione. Tutto questo anticipa una sensibilità quasi romantica verso la
rappresentazione degli stati d’animo e delle inclinazioni psicologiche.
Johannes Vermeer (1632-1675)
Nasce a Delft. Poche e frammentarie sono le notizie biografiche su di lui. Si iscrive
alla Gilda di San Luca, la corporazione dei pittori della cittadina natale, diventandone
il decano dieci anni dopo. È probabile che sia entrato in contatto con Rembrandt.
Vermeer attinge dalla tradizione olandese il gusto per una pittura nitida e
particolareggiata. I suoi temi prediletti sono gli interni di abitazioni popolari o piccolo
borghesi, che restituisce creando atmosfere rarefatte. I suoi personaggi risentono di
uno studio straordinario della luce, spesso filtrata attraverso vetrate e tendaggi.

Ragazza con turbante o Ragazza con l’orecchino di perla, 1665

La fanciulla ritratta, forse l’ultima nata del maestro, è colta in un moto spontaneo e
improvviso che le fa volgere il capo di tre quarti verso l’osservatore, quasi fosse stata
chiamata proprio in quel momento. La luce poi accende il turbante di tocchi
sgargianti di giallo e di celeste, mentre l’opalescenza della perla trova riscontro nel
vivace e naturalissimo scintillio degli occhi. La bocca, dalle labbra sottili ma carnose,
si dischiude in un abbozzo stupefatto di sorriso. È uno dei ritratti più intensi e
intimamente veri di tutta la pittura olandese del 600.

Allegoria della Fede, 1670-1672


Il personaggio femminile seduto che rappresenta la Fede, leva gli occhi al cielo con
aria ispirata, poggiando il piede destro su un globo e portando la mano destra al
cuore, simbolo della forza della fede stessa. Il braccio sinistro, invece, è appoggiato
su un tavolino che, fungendo da altare, sorregge un libro sacro, un calice e un
crocifisso, mentre appeso al muro si intravede una grande crocifissione ripresa da un
pittore fiammingo contemporaneo. Per terra una pietra, simbolo di Pietro e quindi
della Chiesa cattolica, schiaccia la testa al serpente che simboleggia il demonio,
mentre più a destra la mela sbocconcellata allude al peccato originale di Adamo ed
Eva. Un enorme arazzo pende sulla sinistra e introduce all’intimità della scena.
Mentre un globo di vetro trasparente è appeso alle travi del soffitto e riflette tutta la
stanza simboleggiando la grandezza del Creatore.
Georges de La Tour (1593-1652)
Nasce nella Lorena francese. Si stabilisce poi a Lunéville, città natale della moglie,
dove apre una bottega destinata a divenire assai fiorente. La sua formazione è
sicuramente influenzata dai caravaggeschi, conosciuti forse in un viaggio in Italia o
attraverso le stampe.

Maddalena penitente, 1640

Emerge con suggestiva evidenza la tipica atmosfera notturna cara a de La Tour. La


crudezza delle luci e la drammaticità delle ombre lasciano il posto a un’intimità
morbida e pacata, all’interno della quale i personaggi, anche se umili, assumono una
loro monumentalità. La Maddalena è qui rappresentata davanti allo specchio, simbolo
della vanità, con in grembo un teschio, a sua volta emblema della limitatezza della
vita terrena, e ai piedi alcuni gioielli, simbolo della rinuncia alle ricchezze materiali.
La candela dalla lunga fiamma fa riferimento all’anima infiammata dall’amore
divino.
Nicolas Poussin (1594-1665)
Nasce in Normandia. Si educa alla pittura in Francia, dove si era formato sulle
stampe raffaellesche e sui marmi antichi delle collezioni reali. Fu poi a Roma.
Richiamato in seguito in patria dove è nominato pittore reale, due anni dopo torna a
Roma, fino alla sua morte.

Il ratto delle Sabine, 1633-1634

Le sue tematiche sono orientate fin dall’inizio verso i soggetti mitologici o storici. In
questo dipinto l’organizzazione delle masse risente di Raffaello, mentre il colore
attinge agli esempi di Tiziano. Sotto lo sguardo severo di Romolo, in piedi sull’alto
podio di sinistra, i soldati romani rapiscono le giovani donne sabine. La
composizione appare misurata e serena. Infatti lui amava le cose ordinate, evitando la
confusione.
Claude Lorrain (1600-1682)
Nasce a Chamagne, in Lorena, regione da cui ha poi preso il soprannome di Lorrain.
Si trasferisce in Italia da giovanissimo e trascorre quasi tutta la vita a Roma. Si
dedicò soprattutto alla pittura di paesaggio, abbinandola spesso a fantasiose
ambientazioni di soggetto biblico e mitologico, con le quali riusciva a creare
atmosfere di struggente naturalismo e di grande suggestione.

Porto con l’imbarco della regina di Saba, 1648


La descrizione dell’imbarco della regina di Saba verso il regno di Salomone è in
realtà un semplice pretesto per rappresentare una marina al sorgere del sole. Qui
ricorrono e si amalgamano le sue grandi passioni per l’Antico, testimoniata dalle
rovine di un edificio e da un’architettura classicheggiante, e per il paesaggio, data
dalla intensa atmosfera delle prime luci del giorno, suggerita attraverso un sole
ancora debole e velato che spande caldi riflessi dorati. Un fanciullo sulla banchina si
fa schermo con la mano mentre guarda il sole nascente sull’orizzonte lontano. La
pacifica vita del porto, con dei servi che caricano un baule sulla barca attraccata, vari
marinai affaccendati attorno al veliero e il corteo che accompagna la regina
all’imbarco, è descritta con estremo puntiglio. C’è una grande e quasi esasperata
sensibilità per il dato atmosferico.
Francisco de Zurbarán (1598-1664)
Nasce a Fuente de Cantos. Poco o nulla sappiamo della sua prima formazione
avvenuta principalmente a Siviglia, dove conobbe Velázquez, del quale divenne
anche amico e collaboratore. I committenti più assidui di Zurbarán furono i potenti
ordini monastici. Sorretto da un fortissimo sentimento religioso, l’artista lavorò in
modo solitario e personalissimo. Il suo vibrante naturalismo rifugge dalle atmosfere
tenebrose care alla pittura barocca, privilegiando sempre il colore anche nella
realizzazione delle parti in ombra.

San Serapione, 1628

Rappresenta San Serapione dopo il martirio. Il Santo martire venne ucciso durante le
persecuzioni di Settimio Severo. L’artista restituisce con grande pietà la crudezza del
martirio nascondendo il corpo devastato sotto un ampio saio monacale. Le braccia,
tese da due corde, sembrano appartenere a un corpo slogato e disarticolato, che
accresce il senso di pietà e partecipazione. La testa mollemente reclinata e il cartiglio
stropicciato sulla destra rimandano a un’indagine meticolosa e quasi ossessiva della
realtà. Ribalta il significato caravaggesco della luce, isolando il personaggio contro
uno sfondo non in penombra ma compattamente nero. In questo modo l’umile saio
del martire sembra quasi animarsi di vita propria, diventando il simbolo del riscatto
della fede contro il nero assoluto della morte e dell’assenza di divinità.
Diego Rodriguez de Silva y Velazquez (1599-1660)
Nasce a Siviglia. È senza alcun dubbio il maggior pittore spagnolo di età barocca.
Egli si formò tra la città natale e Madrid, dove ricoprirà la carica di pittore ufficiale di
corte. Fin dall’inizio dimostra una spiccata predilezione per una pittura legata alla
riproduzione estremamente realistica dei paesaggi e, soprattutto, della figura umana.
Tale atteggiamento si accentua dopo il primo viaggio in Italia. La conoscenza diretta
del tonalismo veneto e del realismo caravaggesco forniscono all’artista nuovi spunti
che applicherà soprattutto nella ritrattistica. Dai dipinti dell’artista spagnolo emerge
con prepotenza un nuovo senso del vero, quotidiano e disincantato.

Il principe Baltasar Carlos a cavallo, 1634-1635

Il principino, figlio del re Filippo IV, posa in groppa a un destriero sullo sfondo di un
orizzonte vastissimo. Lo sfarzoso abbigliamento del bambino, che all’epoca aveva
solo cinque o sei anni, allude al suo rango principesco, con nella destra lo scettro del
potere e a tracolla la fascia da generale. L’espressione, estremamente seria, è però
malinconica in quanto gli obblighi della vita di corte finiscono per privare il fanciullo
del suo stesso diritto di essere bambino. Questo tema Velázquez lo ripropone ogni
volta che ritrae un giovane rappresentante della casa reale. Una luce chiara e fredda,
infine, indugia sui particolari impreziosendoli.

Il Settecento
Il gusto predominante è ancora quello barocco, ma il rapido affermarsi delle teorie
illuministe, rivalutanti la razionalità del pensiero e l’importanza dell’indagine
scientifica, finisce in breve per scontrarsi con le esigenze di un’arte che invece
privilegiava l’effetto scenografico, il carattere evasivo e l’invenzione fantastica. Ne
consegue un’inevitabile spaccatura. Da un lato perdura l’arte barocca, che in
quest’ultima fase prende il nome di Rococò e il cui principale centro di sviluppo è la
Francia. Esso esprime al meglio gli ultimi ideali di grazia e di ricercatezza delle corte
settecentesche. Dall’altro inizia a diffondersi anche una forte reazione alle
stravaganze del tardo Barocco, al quale si sente il bisogno di imporre dei correttivi
classicheggianti. Tutto questo darà poi origine all’importante fenomeno del
Neoclassicismo, consistente nello studio e nella riproposizione delle forme e dei
valori propri dell’arte classica. L’illuminismo trionferà anche in campo artistico
decretando la fine definitiva della cultura barocca.
Giambattista Tiepolo (1696-1770)
Nasce a Venezia. Forse il più grande pittore del 700 e l’ultimo esponente della scuola
veneta. Frequenta molte botteghe di artisti senza però avere mai un vero e proprio
maestro. Nella sua arte infatti non si ricollegherà mai tanto ai suoi contemporanei, ma
piuttosto alla tradizione cinquecentesca dei coloristi veneti, soprattutto del Veronese,
da cui riprenderà soprattutto l’accostamento di colori complementari per creare un
effetto di luce brillante. Lavorerà a Milano, Bergamo, Wurzburg, Venezia, Verona,
Vicenza, Padova e Madrid.
Nella realizzazione dei propri affreschi parte quasi sempre dall’architettura all’interno
della quale andranno ad inserirsi i personaggi. Sfonda prospetticamente le pareti e i
soffitti immaginando al di là spazi luminosi e profondi. Per farlo alcuni artisti si
specializzano nel quadraturismo, una tecnica che consisteva nella rigorosa
rappresentazione pittorica di forme architettoniche. A tal fine Tiepolo nelle sue
grandi opere si avvale spesso della collaborazione di uno dei migliori quadraturisti
italiani del tempo, Gerolamo Mengozzi Colonna.

Banchetto di Antonio e Cleopatra, 1746-1747


Il sacrificio di Ifigenia, 1757 Scalone d’onore della Residenza di Wurzburg, 1751-1753

Pietro Longhi (1702-1785)


Nasce a Venezia. Pietro Falca qui ci trascorre quasi tutta la sua vita, ad eccezione di
un soggiorno bolognese. Apprende le prime nozioni artistiche direttamente dal padre
e, dopo un primo e sfortunato tentativo come pittore di pale d’altare, trova la massima
espressione nella realizzazione di piccole tele con soggetti di maniera, legati
soprattutto alla vita quotidiana del tempo. L’intento del pittore sarà sempre quello di
osservare la gente e i costumi di Venezia, cercando di comprenderli più che
giudicarli. Diventa quindi uno dei più attenti e rigorosi osservatori della realtà
veneziana, della quale ci svela ogni segreto, introducendosi indifferentemente negli
aristocratici salotti patrizi.
In breve però la sua garbata maniera finisce per diventare ripetitiva, sempre meno
fresca e spontanea, riprendendo con stanchezza temi già svolti.

Lezione di danza, 1741 Lo speziale, 1752


Il Vedutismo
È un particolare genere pittorico nel quale si rappresentano vedute prospettiche di
paesaggi o di città riprese dal vero. Concentra pertanto la propria attenzione su
soggetti architettonici cittadini. Si diffonde quindi la camera ottica che tramite un
sistema di lenti mobili proietta al proprio interno l’immagine capovolta del soggetto
sul quale viene puntata da cui poi ricalcare l’immagine su un foglio da disegno. Una
volta realizzato un buon disegno di partenza questo poteva essere riusato più di una
volta, lasciandolo intatto e modificando solo la disposizione delle macchiette e
l’ambientazione atmosferica. Case, strade, chiese, piazze e rovine cessano di essere
semplici sfondi sui quali si svolgono le azioni dei personaggi principali, ma diventano
esse stesse protagoniste autonome.
Antonio Canaletto (1697-1768)
Nasce a Venezia. La sua prima formazione artistica avviene sui modelli di gusto
rococò che aveva fatto dell’illusionismo prospettico uno dei generi più diffusi e
apprezzati. A Roma entra in contatto col vedutismo fiammingo e inizia poi la sua
carriera di vedutista specializzandoli soprattutto in soggetti veneziani. Venezia,
infatti, nonostante la crisi continua ad essere uno dei più importanti crocevia culturali
europei e l’arte di Canaletto si guadagna il favore della ricca colonia inglese che vi
abitava. Infine si trasferisce a Londa, da cui non tornerà.
Mette da parte la fantasia interpretativa e attinge dalla realtà naturale.

Il Canal Grande verso Est, dal Campo San Vio, 1727 Eton College, 1754

Francesco Guardi (1712-1793)


Nasce a Venezia. Qui opera per tutta la vita e ne fornisce alcune delle
rappresentazioni più poetiche ed emozionanti. Si forma in ambiente veneziano,
attingendo all’esperienza illusionistica di Tiepolo piuttosto che a quella di Canaletto.
Infatti lui usa la camera ottica con più moderazione e le sue prospettive sono
interpretate, cioè filtrate attraverso la fantasia, più che descritte. I contorni delle
architetture perdono la nitidezza del disegno canalettiano e le sue macchiette
assumono talvolta caratteri caricaturali. Gli spazi della città, inoltre, non vengono più
descritti con le loro proporzioni reali, frutto di un’osservazione scientifica e razionale,
ma finiscono per essere dilatati o ristretti in base alle sensazioni che l’artista vuole
esprimerci. Anche l’uso dei colori cambia radicalmente e l’atmosfera che ne deriva è
quella di una Venezia idealizzata e pittoresca.
Il suo tocco rapido e suggestivo si ricollega alla grande tradizione del tonalismo
veneto cinquecentesco, in questo modo con poche e ben studiate pennellate di giallo
puro o bianco riesce ad accendere le sue vedute con i mille riflessi del mare e ad
animare le macchiette.

Molo con la Libreria, verso la Salute,1770-1780 Laguna vista da Murano, 1780-1790

Il Neoclassicismo
Benché la cultura della seconda metà del 700 e i primi anni dell’800 sia attraversata
da molte sollecitazioni di rinnovamento, e ci siano diversi stimoli per le arti visive, la
componente innovativa più diffusa fu quella classicistica. La passione per l’Antico
diventa, nel secolo dei lumi, la caratteristica più significativa e riconoscibile della
società artistica europea.
Il Neoclassicismo è la logica conseguenza nelle arti del pensiero illuminista. Nel
rifiutare gli eccessi del Barocco e del Rococò, si guardava all’arte dell’antichità
classica, specie a quella della Grecia. Il termine fu coniato con intento dispregiativo
per indicare un’arte non originale, fredda e accademica. Tuttavia comunica
efficacemente il desiderio di ritorno all’antico e la volontà di dar vita a un nuovo
classicismo.
Il suo massimo teorico fu Johann Joachim Wincklemann che con i Pensieri
sull’imitazione dell’arte greca costituisce la prima e completa teorizzazione del
Neoclassicismo, partendo dal presupposto che il buon gusto aveva avuto origine in
Grecia. La grandezza artistica era, infatti, propria dei Greci e l’unica via per divenire
grandi e inimitabili è l’imitazione degli antichi. L’imitazione però è una cosa diversa
dalla copia. Imitare vuol dire ispirarsi a un modello che si cerva di uguagliare,
copiare è invece un’azione fortemente limitativa in quanto prevede la realizzazione di
un’opera identica in ogni parte all’originale.
Sostiene anche che più tranquilla è la posizione del corpo e più è in grado di
esprimere il vero carattere dell’anima. Una scultura neoclassica allora non dovrà mai
mostrare intense passioni o il verificarsi di un evento tragico mentre accade e quindi
l’artista dovrà sempre rappresentare il momento che precede o segue l’azione.
Nelle opere degli antichi, inoltre, riconosce come valore anche il contorno e il
drappeggio. Poiché ancora non si sapeva molto della pittura greca l’esempio a cui
guardare era soprattutto Raffaello, il più classico fra gli artisti del Rinascimento. Il
pittore che volesse trovare il miglior gusto doveva imparare a conoscerlo tramite il
gusto della bellezza degli antichi, il gusto dell’espressione di Raffaello, quello del
piacevole e dell’armonia da Correggio e quello della verità e del colorito da Tiziano.
Ciò nonostante, in realtà, Wincklemann per tutta la sua vita non vide mai un originale
greco, ma solo copie del tardo ellenismo romano e tuttavia fondò su queste i propri
principi interpretativi di tutta l’arte greca.
Antonio Canova (1757-1822)
Nasce a Possagno. Fa il suo apprendistato a Venezia, dove aprirà anche uno studio.
Poi si trasferisce a Roma, dove risiederà per quasi tutta la vita. Viaggiò in Austria e a
Parigi.
Incarna i principi neoclassici di Wincklemann, sia nel disegno sia nella scultura. I
disegni mostrano un’attenzione costante per il nudo maschile e femminile e la
ragione di così tanti disegni di questo tipo sta nella necessità di farsi la mano e
prendere confidenza con i soggetti nell’utilità di costruire una casistica ampia di
possibili posizioni ed espressioni.
Jacques-Louis David (1748-1825)
Nasce a Parigi. Qui compie i primi studi. Poi soggiorna in Italia dove studia la
scultura e la pittura romane, in particolare quella di Raffaello. Dopo un viaggio a
Napoli apre gli occhi sull’Antico e comprende allora che operare come gli Antichi e
come Raffello è essere veramente artisti.
I suoi disegni si presentano molto austeri e quasi poveri di mezzi. Le finalità che si
propone con esso sono la chiarezza del segno, la purezza dell’immagine e la sua
semplificazione per mezzo del contorno netto. Dipinse diverse accademie di nudo, in
grado di rivelare l’originalità creativa degli artisti.
Il giuramento degli Orazi, 1784 Le Sabine, 1794-1799

La morte di Marat, 1793 Bonaparte valica le Alpi, 1800-1801

Leonida alle Termopili, 1814 Marte disarmato da Venere e dalle Grazie, 1824

Jean-Auguste-Dominique Ingres (1780-1867)


Nasce a Montauban. Dopo i primi studi a Tolosa si trasferisce a Parigi per frequentare
l’atelier di David. Risiede poi a lungo a Roma, dove studia i dipinti di Raffaello. La
sua fama crebbe senza rallentamenti, nonostante la sua arte dovette gareggiare con le
novità di Delacroix, in una Francia dove il neoclassicismo di David andava
spegnendosi lasciando spazio al Romanticismo e poi al Realismo.
Anche lui fece varie accademie di nudo, trattando i corpi con toni dorati, una costante
nella sua pittura. L’amore di Ingres per il disegno deriva dalla sua passione per
Raffaello, Giotto e Masaccio, artisti studiati in patria, ma ammirati poi durante il suo
soggiorno in Italia.
In Ingres la perfezione stilistica di stampo neoclassico si coniuga con le istanze
proprie del Neoclassicismo, con toni però preromantici e romantici.
La grandezza di Ingres si rivela soprattutto nei ritratti, definiti dalla perfezione del
disegno, dall’uso sapiente del colore e da una non comune capacità introspettiva.

Giove e Teti, 1811 L’apoteosi di Omero, 1827

Francisco Goya (1746-1828)


Nasce a Saragozza. Inizia a prendere lezioni private di pittura e decide poi di
intraprendere un viaggio di formazione in Italia, per approfondire le fonti del
classicismo. Torna poi a Madrid. L’artista conobbe sia la fama sia l’esilio.
Conduce anche un’intensa attività grafica che, per l’originalità dei temi e
l’immediatezza del linguaggio espressivo, costituisce una vera e propria novità nel
panorama artistico del tempo.
La sua tecnica pittorica inizia già ad allontanarsi dal rigore del disegno preparatorio
neoclassico e già prelude ad alcuni dei futuri sviluppi della pittura romantica.

Maja vestida, 1800-1803 Maja desnuda, 1800-1803


Ritratto della Duchessa d’Alba, 1797 Le fucilazioni del 3 maggio 1808 sulla montagna del Principe Pio, 1814

Il Romanticismo
Storicamente il Romanticismo si configura come un complesso movimento politico,
filosofico, artistico e culturale. Esso assume caratteri molto diversi in relazione ai vari
contesti nazionali nei quali si sviluppa, dando origine a orientamenti estremamente
disomogenei. L’ideologia romantica è il prodotto di una società in grave crisi
economica e sociale, fortemente travagliata.
Il Romanticismo si pone come momento di forte e totale contrapposizione con il
Neoclassicismo e con tutta la cultura illuminista. Il movimento romantico ricerca le
proprie radici nel più vicino Medioevo, con i suoi ricchi fermenti nazionalistici.
Negli intellettuali romantici traspare una certa insoddisfazione rispetto a un presente
disorientante e frustrante che finisce per risolversi nel predominio assoluto del
sentimento soggettivo.
La fede, il sentimento e l’irrazionalità che il secolo dei lumi aveva condannato e
bandito riaffiorano ora in mille forme. Si arriva a dare dignità artistica perfino alle
favole. Si ha anche un risveglio del sentimento religioso in tutte le sue componenti,
da quelle più mistiche fino a quelle intrise di superstizione popolare.
Si preferiscono rappresentazioni di più immediata presa sul pubblico, soggetti più
legati alle leggende, alla tradizione favolistica locale e una natura fortemente
personificata che, in relazione ai sentimenti dell’artista, riesce a suscitare grandi
emozioni. Si hanno ambientazioni spesso ricche di riferimenti simbolici, magici e
misteriosi. In questo modo gli artisti cercano di toccare il tasto dell’emozione,
promuovendo il coinvolgimento emotivo e l’adesione più istintiva degli spettatori. La
passione e il turbamento diventano per i Romantici due delle principali motivazioni
artistiche.
Un altro degli importanti caratteri distintivi del Romanticismo è il sentimento del
sublime, ossia quel misterioso e affascinante insieme di sensazioni indescrivibili che
è possibile provare solo di fronte a certi grandiosi spettacoli naturali. È nel contempo
piacere infinito e doloro acutissimo.
Un altro ancora è il genio, colui che grazie alla sua innata sensibilità artistica ci
consente di accedere alla vertigine del sublime. Inoltre geni si nasce non si diventa e
quindi è inutile, ai fini creativi ed espressivi, l’esperienza scolastica e accademica,
che può al massimo servire ad apprendere e affinare alcune tecniche, ma non certo a
sprigionare sentimenti e ispirazioni. Da questa visione fortemente idealizzata nasce
anche una certa propensione tendente a giustificare ogni comportamento del genio
che, in quanto tale, può permettersi qualsiasi intemperanza.
John Constable (1776-1837)
Nasce nel Suffolk. Trascorre i primi anni spensierato nelle fattorie della tranquilla
campagna inglese, che lascerà un segno indelebile in quelli che saranno poi i suoi
soggetti prediletti. Si iscrive poi ai corsi di pittura.
È particolarmente attratto dalla natura e dalla sua riproduzione pittorica e si interessa
soprattutto al paesaggio, che assume per la prima volta la dignità di soggetto artistico
autonomo. Matura ben presto uno stile autonomo e personalissimo, infatti predilige lo
schizzo immediato, l’osservazione naturalistica e lo studio dal vero. I suoi soggetti
preferiti sono appunto i paesaggi dell’infanzia a cui dedica centinaia di bozzetti
preparatori, ripetuti in giorni diversi e in diverse condizioni di luce.
Un altro dei temi principali è il cielo, a cui l’ideologia romantica tende ad attribuire
l’espressione degli stati d’animo della natura che sa essere madre dolcissima o
terribile matrigna. A lui guarderanno come sicuro punto di riferimento tutti i maggiori
pittori dell’800.
Inaugura inoltre la tecnica della pittura en plein air, che caratterizzerà tutta la
produzione impressionista successiva.

Studio di nuvole a cirro, 1822 La cattedrale di Salisbury ì vista dai giardini del vescovo, 1823

William Turner (1775-1851)


Nasce a Londra. Viene accettato alla scuola d’arte, dove studierà anche la prospettiva.
Viaggia moltissimo.
Fra i pittori romantici inglesi Turner è senza dubbio l’interprete più appassionato e
sensibile alla poetica del sublime. Inizialmente intende produrre nell’osservatore del
dipinto la sensazione del probabile mutamento atmosferico, successivamente si
indirizza invece verso la pura ricerca luministica. L’approdo finale di Turner è
dunque il colore che, quasi svincolato da ogni riferimento naturalistico, si fa pura
modulazione di luce.

Ombre e tenebre. La sera del diluvio, 1843 Tramonto, 1830-1835

Théodore Géricault (1791-1824)


Nasce a Rouen. Si trasferisce a Parigi e studia al Lycée Impérial. Abbandonati gli
studi si fa allievo di Guérin, un pittore neoclassico, presso il quale conosce Eugène
Delacroix. Diviene presto pittore indipendente. Fa anche un viaggio di studio a
Roma. Dopo un periodo in Inghilterra, rientrato in patria, i suoi interessi per la tragica
condizione umana aumentano e il risultato fu un’indagine pittorica del mondo della
follia, tesa a rivelare la dignità di chi è prigioniero di una malattia mentale e del
dolore che ne consegue. Dedicò numerosi studi anche a Michelangelo e Raffaello.
Inoltre, come gli altri suoi contemporanei, si esercita a lungo nelle accademie di nudo
virile.
La sua poetica è sospesa tra Neoclassicismo e Romanticismo, con una maggiore
propensione verso la sensibilità romantica. A ciò lo inclinano la sua indole irrequieta
e la sua vita quasi da bohémien.
Era molto attento ai fatti contemporanei a cui dedicò molti dipinti.
Corazziere ferito che abbandona il campo di battaglia, 1814 La zattera della Medusa, 1819

Alienata con monomania dell’invidia, 1822-1823

Eugène Delacroix (1798-1863)


Nasce a Charenton-Saint-Maurice. Studia al Lycée Impérial di Parigi e fu allievo di
Guérin, dove conobbe Géricault.
Si staccò molto presto dalla poetica neoclassica e arrivò ad essere il maggiore dei
pittori romantici francesi. Del Romanticismo la sua arte incarna la malinconia, il
desiderio di cambiamento, l’avversione per l’accademismo, l’impetuosità creativa,
l’esotismo e il riferimento ai fatti della storia medioevale.
Un soggiorno in Marocco gli fece scoprire la luminosità dei cieli nordafricani e i
colori accesi. Da qui riportò in patria numerosi bozzetti e impressioni a cui attinse per
tutta la vita. Da pittore che faceva uso di colori terrosi e di pigmenti scuri per
modellare le figure, lentamente con l’osservazione personale dei fenomeni della luce
e del colore divenne un pittore colorista.
I grandi pittori impressionisti proveranno un indiscusso amore e un’immensa
ammirazione nei suoi confronti.
Il suo disegno è immediato, rapido e fortemente espressivo.
La barca di Dante, 1822 La Libertà che guida il popolo, 1830

Il rapimento di Rebecca, 1846 Giacobbe lotta con l’angelo, 1854-1861

Francesco Hayez (1791-1882)


Nasce a Venezia. Qui fa i suoi primi studi e, in seguito alla vincita del Premio Roma,
va a vivere a Roma a contatto con le antichità e con le opere di Raffaello, che studiò
appassionatamente. Si trasferisce poi definitivamente a Milano, dove viene a contatto
con l’alta borghesia, la nobiltà e i circoli patriottici.
Fu il più grande dei pittori di storia e si trovò ad operare proprio quando la pittura
storica divenne un mezzo per diffondere nell’animo degli italiani una comune
coscienza di Nazione, proponendo un glorioso passato a favore della libertà. Rinuncia
ai modelli e alle finzioni mitologiche per dedicarsi alla rappresentazione del vero,
ossia la realtà, la società, i sentimenti propri e degli altri uomini. I suoi dipinti
associano al vero anche il bello, cioè una certa idealità, non rappresenta mai la realtà
in maniera cruda. L’opera d’arte infatti non è più rivolta ad un élite, ma al popolo
intero ed ha una forte funzione educativa.
Ha eseguito un gran numero di disegni che testimoniano quindi la sua prolificità e il
suo studio incessante.
Durante il primo ventennio dell’800 la sua produzione artistica rientra decisamente in
ambito neoclassico, ma poi cambia e la pittura di storia rappresentante fatti accaduti
in epoca medioevale diventa il genere a cui si dedica più frequentemente. Tuttavia dal
Neoclassicismo derivano ancora la perfezione e l’accuratezza esecutiva delle nuove
creazioni, la loro composizione e la gestualità dei personaggi. Se tutto ciò può
apparire freddo è comunque proprio a tale continuità con il vecchio che i nuovi
soggetti trattati sono stati immediatamente accettati dal pubblico, determinando
quindi la diffusione e l’assorbimento dei nuovi contenuti romantici. Inoltre il
successo di questo nuovo genere era favorito anche dal clima politico italiano alla cui
base stavano il desiderio di libertà e l’aspirazione unitaria.
È nei ritratti che Hayez riesce a mostrare tutte le sue qualità di sottile interprete della
personalità dei propri soggetti.

Atleta trionfante, 1813 La congiura dei Lampugnani, 1826-1829 Ritratto di Alessandro Manzoni, 1841

Pensiero malinconico, 1842 Il bacio, 1859 L’ultimo addio di Romeo e Giulietta, 1823

Il Realismo
Tutta l’Europa è segnata dalle grandi e sanguinose sommosse popolari e i moti di
Parigi ne sono uno degli esempi più drammatici. È in questo contesto che l’arte
attraversa una sorta di crisi d’identità e l’artista, di fronte al sangue versato e alle
misere condizioni di vita e di lavoro dei ceti più bassi, non sembra più potersi
nascondere fuggendo nel mondo della mitologia o dello storicismo romantico. I
movimenti realisti nascono pertanto proprio in risposta a questa richiesta di vero e di
quotidiano. Non si vuole più ingannare proponendo soggetti falsi o inconsistenti, ma
si cerca di documentare la realtà nel modo più distaccato possibile, quasi analitico.
Il Realismo si sviluppa, quindi, come metodo scientifico per indagare la realtà,
spiegandone le contraddizioni e le miserie senza però esserne coinvolti
emotivamente. Il fine dell’artista, infatti, sarà quello di annotare minuziosamente le
caratteristiche del mondo che lo circonda, astenendosi il più possibile da qualsiasi
giudizio di tipo soggettivo.
Gustave Courbet (1819-1877)
Nasce a Ornans. Qui conduce i suoi primi studi nel piccolo seminario. Si forma quasi
da autodidatta e inizia la propria attività nel pieno della tradizione romantica. Ben
presto però arriva a rifiutare radicalmente ogni tipo di influenza e di compromissione
con tutte le forme d’arti ufficiali e proclama che la pittura può consistere soltanto
nella rappresentazione di oggetti visibili e tangibili. Nonostante la sua costante
contrarietà all’insegnamento dell’arte, apre una propria scuola nella quale insegna
innanzitutto che non ci possono essere scuole, ci sono solo pittori. Courbet è infatti
del parere che l’arte non possa essere appresa meccanicamente, ma che al contrario è
tutta individuale e che per ciascun artista è il risultato della propria ispirazione e dei
propri studi. Infine è costretto a vendere all’asta tutte le sue opere e muore in
dignitosa solitudine.
Courbet è un artista che non conosce le mezze misure e la tecnica che adotta è
straordinariamente innovativa e personale.
Anche nella scelta dei temi si concentra soprattutto sui piccoli fatti quotidiani,
registrati con l’impersonale distacco di un osservatore attento e oggettivo, ribadendo
che il proprio scopo è comunque solo quello di fare dell’arte viva.
Il realismo di Courbet non deve comunque indurci a pensare che l’artista costruisse i
suoi dipinti in modo casuale, al contrario dimostra una grande attenzione ai problemi
compositivi, anche quando sembra che la composizione non esista.
Uomo disperato, 1843-1845 Gli spaccapietre, 1849

Fanciulle sulla riva della Senna, 1857

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