Con l’arte la Chiesa del 600 si propone l’ambizioso traguardo di persuadere eretici e
dubbiosi riconducendoli alla dottrina cattolica. Ma affinché ciò avvenga occorre che
quest’arte sia abbastanza grande da imporsi, che non significa solamente imponenza e
spettacolarità, ma soprattutto capacità di penetrare a fondo nelle coscienze. Ecco
allora che l’arte seicentesca deve saper sedurre e commuovere grazie alla capacità di
suscitare emozioni e sentimenti.
Caravaggio (1571-1610)
Michelangelo Merisi da Caravaggio nasce a Milano, da una famiglia originaria
appunto di Caravaggio. La sua prima formazione è legata soprattutto all’ambiente
lombardo ma potrebbe essere venuto in contatto anche con il colorismo veneto, alla
quale è debitore della sua particolare sensibilità per le luci e le ombre. Si trasferisce
poi a Roma dove entra in contatto con il Cavalier d’Arpino, presso cui lavora nella
sua bottega distinguendosi subito per la sua bravura nel dipingere nature morte e
scene di genere. Sarà poi costretto a fuggire da Roma verso Napoli, Malta, Sicilia e
infine a Porto Ercole.
I personaggi di Caravaggio sono sempre così crudamente realistici e fuori dagli
schemi tradizionali da essere spesso ritenuti indegni di una rappresentazione sacra.
Testa di Medusa, 1596-1598 Bacco, 1596-1597
Lo Spagnoletto (1591-1652)
Nasce in Catalogna. Jusepe de Ribera, detto lo Spagnoletto per via della corporatura
minuta e dell’origine spagnola, della quale l’artista andava orgogliosissimo. Si forma
inizialmente in ambienti lombardi ed emiliani, poi a Roma e infine si stabilisce
definitivamente a Napoli, che diventerà ben presto la sua seconda patria.
Pur partendo dal naturalismo caravaggesco, Ribera inserisce nei suoi dipinti una vena
narrativa minuta e quotidiana, adottando accordi cromatici più luminosi, sicuramente
derivatigli dalla conoscenza di Raffaello, dei pittori veneti e dell’ambiente emiliano
sviluppatosi intorno a Guido Reni.
Lo storpio, 1642
Il Guercino (1591-1666)
Giovanni Francesco Barbieri nasce a Cento. Tra questa e Bologna trascorre la sua
vita. Il soprannome viene da uno strabismo all’occhio destro. Era affascinato dalla
pittura di Tiziano e poi da quella dei Carracci, Ludovico in particolare. Alla morte di
Guido Reni si trasferì a Bologna per occupare il ruolo che ormai gli spettava di
caposcuola dei pittori bolognesi.
Tra i meriti del Guercino c’è quello di aver invertito i pesi tra la parte inferiore e
quella superiore di alcune pale a soggetto sacro. Mentre la tradizione proponeva un
moto ascensionale che vede molte figure in basso e una in alto, per suggerire la
differenza tra mondo terreno agitato da pene e passioni e tra mondo celeste calmo.
Lui invece isola le figure nella parte bassa distribuendone più di una nella parte alta,
avvicinando così le dimensioni terrena e divina, rendendo la prima più spirituale e la
seconda più umana.
Il ritorno del figliol prodigo, 1619 L’Angelo appare ad Agar e Ismaele, 1652
Annunciazione, 1648
Oltre le Alpi
L’esperienza barocca fa emergere alcune fra le più alte personalità artistiche dei vari
Paesi. Alle suggestioni caravaggesche e alle riprese classiciste si vanno
progressivamente aggiungendo la minuzia dei particolari di tradizione fiamminga e
olandese, la luminosità francese e l’espressività spagnola. Il risultato è quello di una
pittura dalla forte personalità, nella quale gli accesi contrasti di luci e di ombre e una
più attenta osservazione della natura giocano un ruolo sempre più decisivo ed
emotivamente coinvolgente.
Rubens (1577-1640)
Nasce in Westfalia. Pieter Paul Rubens è senza dubbio il più grande dei pittori
fiamminghi del 600. La sua formazione avviene principalmente in Italia ed è
estremamente varia e complessa. A Venezia si appassiona alla pittura tonale e si
esercita copiando le opere di Tiziano, Tintoretto e Veronese. In seguito si trasferisce a
Mantova, a Genova e, infine, a Roma. Qui, oltre a conoscere la grande pittura
rinascimentale, resta particolarmente colpito dal classicismo dei Carracci e,
soprattutto, dal realismo caravaggesco. È anche un grande conoscitore e collezionista
di sculture classiche. Ritornato nelle Fiandre mette subito a frutto le esperienze
maturate in Italia riuscendo a conciliare l’analisi dei particolari, tipicamente
fiamminga, con il colore e il disegno italiani.
Rubens predilige le grandi composizioni, animate da un convulso agitarsi di
personaggi e caratterizzate da colori intensi e pastosi, che plasmano le figure con
drammatica teatralità.
La morte di Ippolito, 1611-1613
Il re d’Inghilterra è ritratto durante una pausa della battuta di caccia, mentre uno
scudiero fa riposare il cavallo alla frescura di un albero frondoso. Il sovrano,
nonostante l’ambientazione campestre, è vestito con grande ricercatezza. La mano
destra impugna con atteggiamento teatrale un bastone e la testa ci mostra
un’espressione altera e quasi sprezzante. Al fianco porta una spada dall’impugnatura
dorata e con la mano sinistra all’altezza della vita tiene con noncuranza un guanto di
pelle, mentre un paggio che appena si intravede gli regge il mantello. La ricchezza
dei colori, la resa attenta dei particolari e la studiata composizione delle figure fanno
di questo dipinto uno dei punti di riferimento della ritrattistica del 600.
Rembrandt (1606-1669)
Nasce a Leida. Si forma negli ambienti umanistici della città natale, una fra le
culturalmente più vivaci e ricche di contatti artistici internazionali. Si stabilisce poi
ad Amsterdam, dove si dedica soprattutto al ritratto, ponendo in secondo piano sia la
pittura di paesaggio sia quella di genere, soggetti preferiti della pittura olandese
barocca.
La fanciulla ritratta, forse l’ultima nata del maestro, è colta in un moto spontaneo e
improvviso che le fa volgere il capo di tre quarti verso l’osservatore, quasi fosse stata
chiamata proprio in quel momento. La luce poi accende il turbante di tocchi
sgargianti di giallo e di celeste, mentre l’opalescenza della perla trova riscontro nel
vivace e naturalissimo scintillio degli occhi. La bocca, dalle labbra sottili ma carnose,
si dischiude in un abbozzo stupefatto di sorriso. È uno dei ritratti più intensi e
intimamente veri di tutta la pittura olandese del 600.
Le sue tematiche sono orientate fin dall’inizio verso i soggetti mitologici o storici. In
questo dipinto l’organizzazione delle masse risente di Raffaello, mentre il colore
attinge agli esempi di Tiziano. Sotto lo sguardo severo di Romolo, in piedi sull’alto
podio di sinistra, i soldati romani rapiscono le giovani donne sabine. La
composizione appare misurata e serena. Infatti lui amava le cose ordinate, evitando la
confusione.
Claude Lorrain (1600-1682)
Nasce a Chamagne, in Lorena, regione da cui ha poi preso il soprannome di Lorrain.
Si trasferisce in Italia da giovanissimo e trascorre quasi tutta la vita a Roma. Si
dedicò soprattutto alla pittura di paesaggio, abbinandola spesso a fantasiose
ambientazioni di soggetto biblico e mitologico, con le quali riusciva a creare
atmosfere di struggente naturalismo e di grande suggestione.
Rappresenta San Serapione dopo il martirio. Il Santo martire venne ucciso durante le
persecuzioni di Settimio Severo. L’artista restituisce con grande pietà la crudezza del
martirio nascondendo il corpo devastato sotto un ampio saio monacale. Le braccia,
tese da due corde, sembrano appartenere a un corpo slogato e disarticolato, che
accresce il senso di pietà e partecipazione. La testa mollemente reclinata e il cartiglio
stropicciato sulla destra rimandano a un’indagine meticolosa e quasi ossessiva della
realtà. Ribalta il significato caravaggesco della luce, isolando il personaggio contro
uno sfondo non in penombra ma compattamente nero. In questo modo l’umile saio
del martire sembra quasi animarsi di vita propria, diventando il simbolo del riscatto
della fede contro il nero assoluto della morte e dell’assenza di divinità.
Diego Rodriguez de Silva y Velazquez (1599-1660)
Nasce a Siviglia. È senza alcun dubbio il maggior pittore spagnolo di età barocca.
Egli si formò tra la città natale e Madrid, dove ricoprirà la carica di pittore ufficiale di
corte. Fin dall’inizio dimostra una spiccata predilezione per una pittura legata alla
riproduzione estremamente realistica dei paesaggi e, soprattutto, della figura umana.
Tale atteggiamento si accentua dopo il primo viaggio in Italia. La conoscenza diretta
del tonalismo veneto e del realismo caravaggesco forniscono all’artista nuovi spunti
che applicherà soprattutto nella ritrattistica. Dai dipinti dell’artista spagnolo emerge
con prepotenza un nuovo senso del vero, quotidiano e disincantato.
Il principino, figlio del re Filippo IV, posa in groppa a un destriero sullo sfondo di un
orizzonte vastissimo. Lo sfarzoso abbigliamento del bambino, che all’epoca aveva
solo cinque o sei anni, allude al suo rango principesco, con nella destra lo scettro del
potere e a tracolla la fascia da generale. L’espressione, estremamente seria, è però
malinconica in quanto gli obblighi della vita di corte finiscono per privare il fanciullo
del suo stesso diritto di essere bambino. Questo tema Velázquez lo ripropone ogni
volta che ritrae un giovane rappresentante della casa reale. Una luce chiara e fredda,
infine, indugia sui particolari impreziosendoli.
Il Settecento
Il gusto predominante è ancora quello barocco, ma il rapido affermarsi delle teorie
illuministe, rivalutanti la razionalità del pensiero e l’importanza dell’indagine
scientifica, finisce in breve per scontrarsi con le esigenze di un’arte che invece
privilegiava l’effetto scenografico, il carattere evasivo e l’invenzione fantastica. Ne
consegue un’inevitabile spaccatura. Da un lato perdura l’arte barocca, che in
quest’ultima fase prende il nome di Rococò e il cui principale centro di sviluppo è la
Francia. Esso esprime al meglio gli ultimi ideali di grazia e di ricercatezza delle corte
settecentesche. Dall’altro inizia a diffondersi anche una forte reazione alle
stravaganze del tardo Barocco, al quale si sente il bisogno di imporre dei correttivi
classicheggianti. Tutto questo darà poi origine all’importante fenomeno del
Neoclassicismo, consistente nello studio e nella riproposizione delle forme e dei
valori propri dell’arte classica. L’illuminismo trionferà anche in campo artistico
decretando la fine definitiva della cultura barocca.
Giambattista Tiepolo (1696-1770)
Nasce a Venezia. Forse il più grande pittore del 700 e l’ultimo esponente della scuola
veneta. Frequenta molte botteghe di artisti senza però avere mai un vero e proprio
maestro. Nella sua arte infatti non si ricollegherà mai tanto ai suoi contemporanei, ma
piuttosto alla tradizione cinquecentesca dei coloristi veneti, soprattutto del Veronese,
da cui riprenderà soprattutto l’accostamento di colori complementari per creare un
effetto di luce brillante. Lavorerà a Milano, Bergamo, Wurzburg, Venezia, Verona,
Vicenza, Padova e Madrid.
Nella realizzazione dei propri affreschi parte quasi sempre dall’architettura all’interno
della quale andranno ad inserirsi i personaggi. Sfonda prospetticamente le pareti e i
soffitti immaginando al di là spazi luminosi e profondi. Per farlo alcuni artisti si
specializzano nel quadraturismo, una tecnica che consisteva nella rigorosa
rappresentazione pittorica di forme architettoniche. A tal fine Tiepolo nelle sue
grandi opere si avvale spesso della collaborazione di uno dei migliori quadraturisti
italiani del tempo, Gerolamo Mengozzi Colonna.
Il Canal Grande verso Est, dal Campo San Vio, 1727 Eton College, 1754
Il Neoclassicismo
Benché la cultura della seconda metà del 700 e i primi anni dell’800 sia attraversata
da molte sollecitazioni di rinnovamento, e ci siano diversi stimoli per le arti visive, la
componente innovativa più diffusa fu quella classicistica. La passione per l’Antico
diventa, nel secolo dei lumi, la caratteristica più significativa e riconoscibile della
società artistica europea.
Il Neoclassicismo è la logica conseguenza nelle arti del pensiero illuminista. Nel
rifiutare gli eccessi del Barocco e del Rococò, si guardava all’arte dell’antichità
classica, specie a quella della Grecia. Il termine fu coniato con intento dispregiativo
per indicare un’arte non originale, fredda e accademica. Tuttavia comunica
efficacemente il desiderio di ritorno all’antico e la volontà di dar vita a un nuovo
classicismo.
Il suo massimo teorico fu Johann Joachim Wincklemann che con i Pensieri
sull’imitazione dell’arte greca costituisce la prima e completa teorizzazione del
Neoclassicismo, partendo dal presupposto che il buon gusto aveva avuto origine in
Grecia. La grandezza artistica era, infatti, propria dei Greci e l’unica via per divenire
grandi e inimitabili è l’imitazione degli antichi. L’imitazione però è una cosa diversa
dalla copia. Imitare vuol dire ispirarsi a un modello che si cerva di uguagliare,
copiare è invece un’azione fortemente limitativa in quanto prevede la realizzazione di
un’opera identica in ogni parte all’originale.
Sostiene anche che più tranquilla è la posizione del corpo e più è in grado di
esprimere il vero carattere dell’anima. Una scultura neoclassica allora non dovrà mai
mostrare intense passioni o il verificarsi di un evento tragico mentre accade e quindi
l’artista dovrà sempre rappresentare il momento che precede o segue l’azione.
Nelle opere degli antichi, inoltre, riconosce come valore anche il contorno e il
drappeggio. Poiché ancora non si sapeva molto della pittura greca l’esempio a cui
guardare era soprattutto Raffaello, il più classico fra gli artisti del Rinascimento. Il
pittore che volesse trovare il miglior gusto doveva imparare a conoscerlo tramite il
gusto della bellezza degli antichi, il gusto dell’espressione di Raffaello, quello del
piacevole e dell’armonia da Correggio e quello della verità e del colorito da Tiziano.
Ciò nonostante, in realtà, Wincklemann per tutta la sua vita non vide mai un originale
greco, ma solo copie del tardo ellenismo romano e tuttavia fondò su queste i propri
principi interpretativi di tutta l’arte greca.
Antonio Canova (1757-1822)
Nasce a Possagno. Fa il suo apprendistato a Venezia, dove aprirà anche uno studio.
Poi si trasferisce a Roma, dove risiederà per quasi tutta la vita. Viaggiò in Austria e a
Parigi.
Incarna i principi neoclassici di Wincklemann, sia nel disegno sia nella scultura. I
disegni mostrano un’attenzione costante per il nudo maschile e femminile e la
ragione di così tanti disegni di questo tipo sta nella necessità di farsi la mano e
prendere confidenza con i soggetti nell’utilità di costruire una casistica ampia di
possibili posizioni ed espressioni.
Jacques-Louis David (1748-1825)
Nasce a Parigi. Qui compie i primi studi. Poi soggiorna in Italia dove studia la
scultura e la pittura romane, in particolare quella di Raffaello. Dopo un viaggio a
Napoli apre gli occhi sull’Antico e comprende allora che operare come gli Antichi e
come Raffello è essere veramente artisti.
I suoi disegni si presentano molto austeri e quasi poveri di mezzi. Le finalità che si
propone con esso sono la chiarezza del segno, la purezza dell’immagine e la sua
semplificazione per mezzo del contorno netto. Dipinse diverse accademie di nudo, in
grado di rivelare l’originalità creativa degli artisti.
Il giuramento degli Orazi, 1784 Le Sabine, 1794-1799
Leonida alle Termopili, 1814 Marte disarmato da Venere e dalle Grazie, 1824
Il Romanticismo
Storicamente il Romanticismo si configura come un complesso movimento politico,
filosofico, artistico e culturale. Esso assume caratteri molto diversi in relazione ai vari
contesti nazionali nei quali si sviluppa, dando origine a orientamenti estremamente
disomogenei. L’ideologia romantica è il prodotto di una società in grave crisi
economica e sociale, fortemente travagliata.
Il Romanticismo si pone come momento di forte e totale contrapposizione con il
Neoclassicismo e con tutta la cultura illuminista. Il movimento romantico ricerca le
proprie radici nel più vicino Medioevo, con i suoi ricchi fermenti nazionalistici.
Negli intellettuali romantici traspare una certa insoddisfazione rispetto a un presente
disorientante e frustrante che finisce per risolversi nel predominio assoluto del
sentimento soggettivo.
La fede, il sentimento e l’irrazionalità che il secolo dei lumi aveva condannato e
bandito riaffiorano ora in mille forme. Si arriva a dare dignità artistica perfino alle
favole. Si ha anche un risveglio del sentimento religioso in tutte le sue componenti,
da quelle più mistiche fino a quelle intrise di superstizione popolare.
Si preferiscono rappresentazioni di più immediata presa sul pubblico, soggetti più
legati alle leggende, alla tradizione favolistica locale e una natura fortemente
personificata che, in relazione ai sentimenti dell’artista, riesce a suscitare grandi
emozioni. Si hanno ambientazioni spesso ricche di riferimenti simbolici, magici e
misteriosi. In questo modo gli artisti cercano di toccare il tasto dell’emozione,
promuovendo il coinvolgimento emotivo e l’adesione più istintiva degli spettatori. La
passione e il turbamento diventano per i Romantici due delle principali motivazioni
artistiche.
Un altro degli importanti caratteri distintivi del Romanticismo è il sentimento del
sublime, ossia quel misterioso e affascinante insieme di sensazioni indescrivibili che
è possibile provare solo di fronte a certi grandiosi spettacoli naturali. È nel contempo
piacere infinito e doloro acutissimo.
Un altro ancora è il genio, colui che grazie alla sua innata sensibilità artistica ci
consente di accedere alla vertigine del sublime. Inoltre geni si nasce non si diventa e
quindi è inutile, ai fini creativi ed espressivi, l’esperienza scolastica e accademica,
che può al massimo servire ad apprendere e affinare alcune tecniche, ma non certo a
sprigionare sentimenti e ispirazioni. Da questa visione fortemente idealizzata nasce
anche una certa propensione tendente a giustificare ogni comportamento del genio
che, in quanto tale, può permettersi qualsiasi intemperanza.
John Constable (1776-1837)
Nasce nel Suffolk. Trascorre i primi anni spensierato nelle fattorie della tranquilla
campagna inglese, che lascerà un segno indelebile in quelli che saranno poi i suoi
soggetti prediletti. Si iscrive poi ai corsi di pittura.
È particolarmente attratto dalla natura e dalla sua riproduzione pittorica e si interessa
soprattutto al paesaggio, che assume per la prima volta la dignità di soggetto artistico
autonomo. Matura ben presto uno stile autonomo e personalissimo, infatti predilige lo
schizzo immediato, l’osservazione naturalistica e lo studio dal vero. I suoi soggetti
preferiti sono appunto i paesaggi dell’infanzia a cui dedica centinaia di bozzetti
preparatori, ripetuti in giorni diversi e in diverse condizioni di luce.
Un altro dei temi principali è il cielo, a cui l’ideologia romantica tende ad attribuire
l’espressione degli stati d’animo della natura che sa essere madre dolcissima o
terribile matrigna. A lui guarderanno come sicuro punto di riferimento tutti i maggiori
pittori dell’800.
Inaugura inoltre la tecnica della pittura en plein air, che caratterizzerà tutta la
produzione impressionista successiva.
Studio di nuvole a cirro, 1822 La cattedrale di Salisbury ì vista dai giardini del vescovo, 1823
Atleta trionfante, 1813 La congiura dei Lampugnani, 1826-1829 Ritratto di Alessandro Manzoni, 1841
Pensiero malinconico, 1842 Il bacio, 1859 L’ultimo addio di Romeo e Giulietta, 1823
Il Realismo
Tutta l’Europa è segnata dalle grandi e sanguinose sommosse popolari e i moti di
Parigi ne sono uno degli esempi più drammatici. È in questo contesto che l’arte
attraversa una sorta di crisi d’identità e l’artista, di fronte al sangue versato e alle
misere condizioni di vita e di lavoro dei ceti più bassi, non sembra più potersi
nascondere fuggendo nel mondo della mitologia o dello storicismo romantico. I
movimenti realisti nascono pertanto proprio in risposta a questa richiesta di vero e di
quotidiano. Non si vuole più ingannare proponendo soggetti falsi o inconsistenti, ma
si cerca di documentare la realtà nel modo più distaccato possibile, quasi analitico.
Il Realismo si sviluppa, quindi, come metodo scientifico per indagare la realtà,
spiegandone le contraddizioni e le miserie senza però esserne coinvolti
emotivamente. Il fine dell’artista, infatti, sarà quello di annotare minuziosamente le
caratteristiche del mondo che lo circonda, astenendosi il più possibile da qualsiasi
giudizio di tipo soggettivo.
Gustave Courbet (1819-1877)
Nasce a Ornans. Qui conduce i suoi primi studi nel piccolo seminario. Si forma quasi
da autodidatta e inizia la propria attività nel pieno della tradizione romantica. Ben
presto però arriva a rifiutare radicalmente ogni tipo di influenza e di compromissione
con tutte le forme d’arti ufficiali e proclama che la pittura può consistere soltanto
nella rappresentazione di oggetti visibili e tangibili. Nonostante la sua costante
contrarietà all’insegnamento dell’arte, apre una propria scuola nella quale insegna
innanzitutto che non ci possono essere scuole, ci sono solo pittori. Courbet è infatti
del parere che l’arte non possa essere appresa meccanicamente, ma che al contrario è
tutta individuale e che per ciascun artista è il risultato della propria ispirazione e dei
propri studi. Infine è costretto a vendere all’asta tutte le sue opere e muore in
dignitosa solitudine.
Courbet è un artista che non conosce le mezze misure e la tecnica che adotta è
straordinariamente innovativa e personale.
Anche nella scelta dei temi si concentra soprattutto sui piccoli fatti quotidiani,
registrati con l’impersonale distacco di un osservatore attento e oggettivo, ribadendo
che il proprio scopo è comunque solo quello di fare dell’arte viva.
Il realismo di Courbet non deve comunque indurci a pensare che l’artista costruisse i
suoi dipinti in modo casuale, al contrario dimostra una grande attenzione ai problemi
compositivi, anche quando sembra che la composizione non esista.
Uomo disperato, 1843-1845 Gli spaccapietre, 1849