Sei sulla pagina 1di 5

MODULO 4

Lingua e letteratura italiana

LA SCUOLA POETICA SICILIANA

Elaborato di: Marta ARCODIA

a.a. 2018/2019
La Scuola Poetica Siciliana
La Scuola Siciliana (anche denominata Scuola poetica siciliana) fu una corrente filosofico-
letteraria che si sviluppò in Sicilia dal 1166. Ebbe il suo fulgore nella prima metà del XIII secolo e
il suo impianto non fu accademico, nel senso che non si trattò di una Scuola in senso istituzionale,
assumendo piuttosto i contorni di un movimento culturale.
La poesia lirica della scuola, in volgare siciliano aulico, ebbe anche il merito di introdurre il sonetto.
La scuola poetica siciliana, sorta attorno al 1230 negli ambienti che gravitavano attorno
all'imperatore e re di Sicilia Federico II di Svevia, produsse la prima lirica in volgare italiano. La
sua attività durò circa un trentennio e si concluse con la fine, nella battaglia di Benevento (1266), di
Manfredi, figlio di Federico e quindi con lo sgretolamento dell'ambiente di raffinata cultura che era
stato tanto propizio al sorgere della scuola stessa.
Durante la prima metà del sec. XIII il regno di Sicilia comprendeva tutta l'Italia meridionale e
godeva di un periodo di particolare equilibrio politico-amministrativo e prosperità economica per
merito di Federico II. Iniziative politiche e culturali significative furono la fondazione
dell'università di Napoli (1224) e le Costituzioni Melfitane (1231), in cui veniva ribadita l'autorità
del sovrano rispetto ai potentati feudali. Nella sua corte a Palermo si raccolsero le figure più
rappresentative dell'epoca e si svilupparono numerosi interessi culturali: venne dato un notevole
impulso alle conoscenze tecnico-scientifiche e agli studi di magia (per opera principalmente di
Michele Scoto), alla letteratura filosofica araba, alla letteratura greco-bizantina, alla poesia tedesca
(soprattutto alla lirica cortese d'amore del Minnesang) e alla poesia provenzale in lingua d'oc.
Proprio da questa tradizione ebbe origine la "scuola siciliana", come fu definita da Dante nel De
vulgari eloquentia.
Lo stesso re Federico II fu un uomo molto colto: parlava infatti, il tedesco, il francese (poiché
aveva madre normanna e padre svevo), conosceva il greco, il latino, l'arabo, il volgare siciliano che
egli stesso volle valorizzare, e l'ebraico. La sua inestinguibile curiosità intellettuale gli fece
guadagnare l'appellativo di "Stupor Mundi", ovvero meraviglia del mondo. Federico fu autore di un
trattato di falconeria De arte venandi cum avibus, che è anche un libro simbolico e filosofico, oltre
che di alcuni componimenti poetici, ritrovabili nelle raccolte della Scuola siciliana.
Pur non potendosi paragonare al padre Federico nel mecenatismo delle arti, il figlio Manfredi ha
lasciato segni e documenti della sua liberale predisposizione nei confronti delle arti e della cultura.
Della sua corte fece parte anche Percivalle Doria.
La "Bibbia latina 36" custodita nella Biblioteca apostolica vaticana, conosciuta come Bibbia di
Manfredi, è un codice miniato duecentesco, scritto dall'amanuense Johensis: questa preziosa Bibbia
- che presenta notevoli influssi dell'arte gotica francese e inglese - fu realizzata a Napoli per lo
stesso Manfredi tra il 1250 e il 1258, come attesta la dedica al principe: essa fu di prototipo per altri
codici, che si pensa siano usciti da una bottega miniatoria di Napoli attiva per la corte e per
l'ambiente universitario. Manfredi inoltre rielaborò l'opera di Federico De arte venandi cum avibus,
aggiungendo integrazioni personali.
Anche un altro figlio di Federico, Enzo di Svevia, si dilettò a scrivere poesie secondo i canoni della
scuola poetica siciliana. Di lui i codici ci hanno conservato però solo due canzoni e un sonetto.
In Sicilia, Federico II, aveva creato uno Stato ordinato e pacifico. La sua corte a Palermo fu operosa
tra il 1230 e il 1250, anni in cui si sviluppò la Scuola Siciliana. I poeti siciliani presero i provenzali
come modello e si ispirarono a loro per comporre poesie d'amore. Non si occuparono, invece, di
temi legati alla guerra, poiché Federico II garantiva la pace e la serenità all'interno del suo regno. I
poeti di questa corrente poetica narravano la completa sottomissione che si rende alla donna,
proprio come un vassallo verso il suo padrone.
Dominante in assoluto nei poeti siciliani la tematica d'amore sia dal punto di vista teorico (cos'è
amore, come si manifesta, quali sono i suoi effetti), sia come omaggio "feudale" verso la donna
amata, con la quale il poeta cerca di stabilire una comunicazione attraverso immagini e segnali che
essa sola sa cogliere. Le forme tipiche di questa poesia sono la canzone, modellata
sulla canso provenzale: essa è l'espressione "alta" della poesia siciliana ed è utilizzata soprattutto
per composizioni di carattere teorico e dottrinale; la canzonetta, costituita da strofe di versi brevi,
viene impiegata per testi più narrativi, come invocazioni d'amore, lamenti per l'amata lontana,
manifestazioni della propria gioia e del proprio dolore; il sonetto è creazione autonoma e specifica
della scuola ed è diventato il componimento lirico breve per eccellenza della poesia italiana.
La produzione poetica della scuola siciliana è pervenuta attraverso codici del Quattrocento e del
Cinquecento, i cui estensori diedero ai testi un'impronta toscaneggiante che ha alterato l'originaria
impostazione linguistica siciliana; essa comunque non riproduceva la lingua popolare, ma si basava
su un lessico che si ispira ai modelli latini e provenzali. La lingua in cui i documenti della Scuola
Siciliana sono espressi è il Siciliano Illustre, una lingua nobilitata dal continuo raffronto con le
lingue auliche del tempo: il latino ed il provenzale (lingua d'oc, diversa dalla lingua utilizzata nel
nord della Francia che si chiama invece lingua d'oïl). Alcuni tratti linguistici del siciliano "illustre"
(perché arricchito da francesismi, provenzalismi e latinismi) vennero adottati anche dagli scrittori
toscani delle generazioni successive e si sono mantenuti per secoli o fino ad ora nella lingua poetica
(e non) italiana. I poeti della Scuola sono riconducibili al numero di venticinque, i cui
componimenti trovarono realizzazione nel ventennio compreso tra il 1230 ed il 1250, con un chiaro
influsso sulla produzione culturale delle città ghibelline dell'Italia centrale (come per
esempio Bologna, città dove visse Guido Guinizzelli, padre del Dolce stil novo, influenzato dalla
scuola Siciliana).
Il poeta sicuramente più significativo fu Iacopo da Lentini (circa 1210 - circa 1260), riconosciuto da
Dante (Purgatorio, canto XXIV) come fondatore della scuola siciliana e al quale è probabilmente
attribuita l'invenzione del sonetto. Scrisse uno dei più cospicui canzonieri dell'epoca, composto da
circa 30 poesie, in cui una consumata perizia retorica è al servizio di una fervida originalità
inventiva. A lui si deve la prima definizione dell'amore nella letteratura italiana: "Amor è uno desio
che ven da core / per abondanza di gran piacimento". I temi più frequenti della sua lirica sono la
contemplazione della bellezza, la creazione nel cuore di un'immagine della donna, verso la quale si
indirizza il suo amore, il dono di sé fatto dall'innamorato all'amata.
Più scarna, ma notevolmente raffinata sul piano stilistico per la ricchezza di figure retoriche e per il
sottile gioco analogico, è la produzione poetica di Guido delle Colonne (Messina, circa 1210 - circa
1280), del quale sono pervenute cinque canzoni.
Eternato da Dante nell'Inferno (canto XIII) fu Pier della Vigna (circa 1190-1249), di Capua,
strettissimo collaboratore di Federico II, caduto poi in disgrazia e morto suicida. Per lui l'attività
poetica fu senza dubbio di importanza relativa, ma è interessante ricordare che egli fu tra gli
interlocutori di Iacopo da Lentini nella disputa sull'amore che probabilmente diede inizio alla scuola
siciliana e che era stata iniziata da Iacopo Mostacci, rimatore aulico, imitatore piuttosto passivo di
correnti provenzali.
Della scuola fecero anche parte Rinaldo d'Aquino, Giacomino Pugliese (che ha lasciato alcuni testi
di tono popolareggiante), Stefano Protonotaro da Messina, a cui si deve l'unica composizione
conservata nella lingua siciliana originale.
Tradizionalmente compreso nella scuola siciliana è anche Cielo d'Alcamo (probabile
toscanizzazione del nome "Celi", diminutivo siciliano di Michele), autore del
contrasto (dialogo) Rosa fresca aulentissima tra la donna, almeno inizialmente ritrosa, e
l'innamorato, in cui sono presenti, sul piano stilistico, riferimenti a generi propri della letteratura
provenzale, come la pastorella e il contrasto. Si alternano nella lingua termini e immagini della
tradizione aulica e cortese con analoghi della tradizione popolare e dialettale.
La Scuola Siciliana fu travolta dal sistema di congiure e di complotti che fu ordita contro il sistema
di governo di Federico II, eccessivamente illuminato per il suo tempo e forse, soprattutto, per la
paura che lo Stato Pontificio aveva della possibilità che Federico II riunificasse la corona di Sicilia
con quella di Germania, circostanza che avrebbe costretto il papato nella morsa del regno
di Hohenstaufen. Della congiura di cui fu accusato Pier delle Vigne nei confronti di Federico II dà
monumentale testimonianza Dante Alighieri (D.C., Inferno XIII), peraltro asserendo l'estraneità di
Pier delle Vigne alle accuse. Dopo la morte di Federico, la Scuola ebbe un rapido tramonto.
Alla morte di Manfredi di Sicilia nel 1266, infatti, la scuola siciliana si scioglie. Grazie alla fama
che aveva già ricevuto in tutta Italia e all'interesse dei poeti toscani, tale tradizione venne per così
dire ripresa, ma con risultati minori, da Guittone d'Arezzo e i suoi discepoli, con cui fondò la
cosiddetta scuola neo-siciliana. I poeti toscani lavoravano già su manoscritti toscani e non più su
quelli siciliani: furono infatti i copisti locali a consegnare alla tradizione il corpus della Scuola
Siciliana, ma per rendere i testi più "leggibili" essi apportarono modifiche destinate a pesare sulla
tradizione successiva e quindi sul modo in cui venne percepita la tradizione "isolana".
Non solo vennero toscanizzate certe parole più aderenti al latino nel testo originale, ma per
esigenze fonetiche il vocalismo siciliano fu adattato a quello del volgare toscano. Pochi sono i
manoscritti siciliani originali rimastici: quelli di cui disponiamo sono solo copie toscane.
Il sonetto avrà nei secoli una fortuna costante, mantenendo inalterata la forma classicamente
composta da due quartine e due terzine di endecasillabi (variando invece a livello di schema
rimico).

Potrebbero piacerti anche