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“La quiete dopo la tempesta” –

Giacomo Leopardi
Questo testo, composto pochi giorni prima de Il sabato del villaggio, proprio come quest’ultimo, il
testo è caratterizzato da una prima parte descrittiva, viene descritto il paesaggio con i suoi
personaggi con scene di vita quotidiana. Poi una parte riflessiva che contiene la riflessione di
Leopardi sulla condizione esistenziale dell'uomo. Il tema è il piacere come "pericolo scampato",
dunque il piacere e la felicità sono delle illusioni, e possono derivare soltanto dalla momentanea
cessazione del dolore. La prima strofa, la più lunga, è dedicata alla descrizione della vita che
riprende nel natio borgo, dopo la tempesta. L'attenzione del poeta viene richiamata da dei
messaggi sonori: il verso della gallina e degli uccelli. La seconda strofa è dedicata a delle
riflessioni sul fervore collettivo, infatti i vari personaggi, scampato il pericolo, riprendono le loro
attività. L'attaccamento alla vita è determinato dal terrore della morte, suscitato dalla tempesta.
Nella seconda strofa c'è un severo richiamo alla realtà da parte del poeta, che nota tutta questa
gente festosa, che si rallegra del fatto che era stato evitato un pericolo. Allora lui dirà nei vv. 32 e
34: «Piacer figlio d'affanno; gioia vana, ch'è frutto del passato timore»  il piacere è frutto
dell'affanno, qualcosa che viene dopo un pericolo, un timore superato, dunque non è un vero
piacere. Nell’ultima strofa c'è una caustica e sferzante ironia, contro l'idea di una natura benevola.
Infatti, rivolgendosi alla natura usa l'aggettivo cortese in maniera ironica: «O natura cortese, son
questi i doni tuoi»  i doni sono un pericolo scampato.
«Uscir di pena è diletto fra noi».  Il piacere “fra noi” non è altro che una sofferenza evitata. Nella
strofa finale (verso 51), lui utilizza l'aggettivo felice e poi l'aggettivo beata, che non sono
propriamente sinonimi. C'è la stessa differenza che in latino passa tra il termine fortunatus che
indica una felicità transitoria, perchè legata alla fortuna, intesa in latino come sorte; la sorte è
mutevole, per cui felice indica una felicità casuale e che fugge via velocemente. Beato e beatus, in
latino, indicano la vera felicità, una condizione quasi divina di beatitudine. Dunque lui definisce
felice, coloro che riescono a prendere respiro da un dolore, rallegrandosi per avere scampato un
pericolo, quindi una felicità passeggera. Definisce beato, chi prova una condizione sublime, quasi
divina di beatitudine colui che la morte libera (risana) da ogni dolore.

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