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2 RACCOLTA-> 1928-39

Dimensione espressiva anche per stile e linguaggio. Realtà partecipata-> cifra distintiva.

Il protagonista: tempo, memoria, ricordo di una donna come fantasma salvifico-> rara felicità (rel.
Ungaretti-> qui c’è il poeta di fede), non c’è una visione trascendente ma metafisica laica. Momenti
transitari-> stati di grazia, OCCASIONI, poesia di conforto. Concezione del tempo-> continuo divenire. Le
analogie rendono indecifrabile il significato delle cose, non accessibile oltre il muro (ricordiamo la siepe di
Leopardi). Nel 1927 è a Firenze, licenziato poi nel 1938 per motivi politici (era antifascita). A Firenze
collabora con Solaria, Pegoso; letteratura rapporto con Salvatore Quasimodo. Successivamente si imbatte
nelle traduzioni.

Amori-> Irma Braideis ‘Clizia’ ( a cui è dedicato la raccolta poetica). Spanzoni ‘volpe’ Dazi ‘mosca’ La
Toscana subentra alla Liguria. Paesaggio che diventa interiore-> ambito spaziale e Temporale. Vi è anche il
presentimento della guerra, ma è una guerra solo personale ma cosmica. La donna-angelo (ricorda Beatrice
dantesca). Montale si avvicina all’ermetismo ma lontanamente, perché non accoglie il frammentismo ma
abbiamo un lessico raffinato (modello leopardiano).

Elementi costitutivi nella poesia:

IL CARNEVALE DI GERTI

5 strofe che hanno una connotazione narrativa, il componimento si narrativizza e consegna una particolare
visione, non paesaggistica, ma il paesaggio diviene espressione poetica del suo stato d’animo. La memoria,
il tempo, che si inserisce in questo contesto, spaziale, ma anche temporale. Spazio e tempo-elementi
fondamentali.

Lirica dedicata a Frankly Gertrude, ebrea austriaca, che nel 1902 si trasferì dopo il matrimonio a Trieste
dove vi rimase fino alla morte nel 1989. A Trieste conobbe Bobi Bazlen, amico di Montale, che conosce e
con cui stabilisce un’amicizia. Il personaggio di Gertrude è sovrapponibile a Dora Marcus, che sarà presente
nelle Occasioni.

Struttura poesia: la prima strofa si incentra su un unico periodo di 15 versi. Gertrude attraversa Firenze,
una città deformata dalla memoria, dal ricordo, come già era accaduto per la Tempesta di Arsenio, nella
raccolta Gli ossi di seppia. La attraversa in carrozza e assiste a diversi momenti del Carnevale che si sta
festeggiando in città in quel momento. Il percorso della carrozza è ostacolato dalla folla che determina delle
soste nel viaggio, e di qui l’impigliarsi della ruota e l’impennarsi del cavallo: momenti che identificano quegli
intoppi, privilegiati perché permettono di rompere il filo ingarbugliato e dare salvezza.

Una metafisica non cristiana ma laica.

L’interruzione e la successiva ripresa permettono alla donna di entrare in un mondo che non è reale ma
immaginario, fiabesco; non però onirico, non vi è una dimensione magica, ma una nuova orbita che
permette il passaggio a una nuova dimensione. È un momento di grazia, un’epifania, un’opportunità
favorevole che permette a Gerty di entrare in un mondo immaginario.

Il componimento ricrea il mondo fiabesco di Gerty attraverso le stelle filanti (v.2), i bimbi (v.5), i quadri di
zucchero (v.21), il paese che si dilata (v.43/44), le bambole (v.46)-elementi che inserisce nella struttura lirica
che sono parole immagini, funzioni per ricreare questo mondo fiabesco.

(L’impennarsi del cavallo e l’impigliassi delle ruote)>Nei v.48 la presa di coscienza, la piena consapevolezza
lucida di cosa sia la concretezza della realtà, che inizia a corrompere la favola di Gerty.

È complessa la realtà che si fa espressione attraverso anche questa aridità di significato, della negatività del
reale.
Elementi funzionali alle evasioni, alla fuga, all’uscita del personaggio dal groviglio della sua esistenza
(L’interruzione del movimento (1˗3), la dissolvenza del mondo fisico (3˗5) e l’attutimento dei suoni (7˗8))

L’alternanza che introduce nel componimento (rombo e silenzio) viene intesa con un’accezione positiva che
permettono la fuga e la salvezza.

Poesia che ci restituisce la complessità della vita. Poesia di contrasti. In questa prima strofa le
accumulazioni di occasioni propiziatorie (introdotte dai se), dell’interruzione privilegiata, creano una
possibile strada per l’evasione (12˗15), seguono per il resto della lirica altri elementi che verranno articolati
nella loro contrarietà nell’ultima strofa, insieme all’accumulazione di negazioni, ad indicare il fallimento di
tale evasione e il ritorno alla prigionia della quotidianità.

La seconda strofa, bipartita fra 16: «Ed ora vuoi...» e 20: «ora chiedi», dall’anafora di ora, delinea un paese
dai connotati magico˗miracolosi, attraverso un filtro magico, appunto, che ricorda la deformazione del
paesaggio di Firenze nella prima strofa.

Nella terza strofa si è di fronte ad un’unica parentetica, un inciso, con cui interviene la voce dell’io lirico
entrando in collegamento con la donna e introducendo, «insieme con il richiamo alla greve realtà del
vivere, il tema dell’irreversibilità del tempo»134. Gerti viene bruscamente sbalzata dal carnevale presente a
un paese miracoloso in una stanza chiusa, in cui l’elencazione degli oggetti che la circondano (i doni mai
spediti agli «amici assenti») rievocano il capodanno passato. Si crea una confusione dei piani temporali135
(32˗33: «È Carnevale / o il Dicembre s’indugia ancora?»), che costringe Gerti a desiderare che il tempo si
fermi, o che torni indietro, attraverso lo spostamento delle lancette dell’orologio.

Tema che introduce la quarta strofa, ovvero la strofa del recupero del passato: «si precisa definitivamente
la tensione tra due punti di vista. Da una parte, il poeta sottolinea che le ricorrenze possono ripetersi solo
nella ciclica successione dei giorni, come date vuote, mentre gli attimi imprevedibili e pieni di significato
non possono ritornare (vv. 38˗41). Dall’altra, la donna reagisce cercando nuovamente di negare la realtà
mediante la rievocazione dell’immaginario paese degli onagri nel quale il tempo si è fermato (vv. 42˗52)».

Questa volontà della donna è stata definita da BLASUCCI 1998, 30, come «volontà di regressione infantile»,
effettivamente sottolineata da plurimi elementi nel componimento: dal collegamento di Gerti con i bambini
(5, «bimbi»), al paesaggio miracoloso dal carattere infantile della seconda strofa137. Tale volontà di
regressione va messa in rapporto con il mito dei fanciulli già presente negli Ossi, «dotato di senso di
armonia con la natura attraverso metafore vegetali [...], armonia da cui l’adulto è escluso»138.

La quinta ed ultima strofa è di nuovo improntata su un tono riflessivo, in cui da una parte la donna questa
volta è costretta ad ammettere l’impossibilità di un miracolo e il fallimento dell’evasione, mentre dall’altra il
poeta la esorta ad accettare la comune legge dell’esistenza, per cui il tempo irreversibile può essere
fermato solo da alcuni «disguidi del possibile» (58).

La lirica è composta da cinque lasse, per un totale di 67 endecasillabi, «ancora a norma rimica degli ultimi
Ossi»139, in larga parte sdruccioli (3, 4, 6, 7, 10, 20, 34, 46, 48, 53, 55, 62, 67), eccezionalmente intervallati
da tre versi lunghi (21, con una sdrucciola iniziale, 20, 67), due settenari (8, 66) e un quinario (17). Si
osservano varie rime facili: 17 suoni : 23 pavoni : 25 doni; 47 mulini : 51 mattini; 49 campane : 52 lontane;
63 affaticato : 65 raggelato; alcune rime al mezzo: 9 conduce : 11 luce; 30 ora : 33 ancora; 36 arretrerà : 38
verrà : 42 già; 38 Natale : 40 Carnevale; intristisco : 67 fiorisco; 66 sere : 67 primavere; rime interne: 9 sfolla
: 11 bolla; 54 impossibile : 58 possibile; e in fine la rima ipermetra 53 difficile : 54 dici. Vi sono poi numerose
assonanze, tra cui: 1 groviglio : 15 tranquillo; 4 brivido : 5 iridi; 20 onagri : 21 quadri.

DORA MARCUS
Testo inserito nella prima sezione delle Occasioni, Dora Markus è poesia che conosce una particolare
gestazione: se la prima elaborazione risale all’incirca al 1928 (quando il letterato Bobi Bazlen segnala
all’amico Montale la bellezza di una ragazza moldava, Dora Markus, che ispira la prima parte del testo), il
poeta completa la poesia aggiungendovi la seconda parte solo nel 1939. La parentesi non è solo
cronologica, in quanto collega due stagioni ben distinte della poetica di Montale: dalla ricognizione del
proprio “male di vivere” negli Ossi di seppia si passa all’allargamento di prospettiva de Le occasioni.

La parentesi non è solo cronologica, in quanto collega due stagioni ben distinte della poetica di Montale:
dalla ricerca del proprio male di vivere negli Ossi di seppia si passa alla..

Vi è una profonda riflessione sul senso, sul valore della memoria, e delle azioni umani.

Alla evocazione di Dora segue la proiezione del ricordo di lei, e della sua irrequietudine, che la fa
assomigliare a un uccello migratore (correlativo-analogia) in perenne lotta alla sopravvivenza assicurata
solo da un amuleto, che Dora ha con sè e che ricorda il valore del correlativo oggettivo negli Ossi di Seppia,
cui è vicino la prima parte.

Nella seconda parte complica il proprio sguardo perché avverte la frattura temporale tra i due momenti del
ricordo, si aggiunge così la dislocazione geografica. Da Ravenna si passa alla Carinzia, terra d’origine di Dora
e probabile meta del suo vagare da esule. Montale ricostruisce l’ambiente di provenienza della donna, e ne
sottolinea la vicenda (quella di un’ebrea su cui sta per abbattersi la “fede feroce” della persecuzione
nazista) per alludere tra le righe ad un più generale fallimento esistenziale e storico. Dora, in cui per
ammissione dello stesso Montale si sommano le figure di altre donne (tra cui Gerti Frankl Tolazzi, ebrea di
origine austriaca e destinataria della poesia Il carnevale di Gerti, e Clizia, e cioè quella Irma Brandeis
costretta alla fuga negli Stati Uniti per sfuggire alle leggi razziali), diventa allora simbolo di una vera e
propria condizione umana, sradicata e senza certezze, in cui il flusso perverso della Storia (la “voce,
leggenda o destino...” del v. 60) pare trascinare senza sosta e senza ragione gli esseri umani. La figura
femminile, recuperata dalla memoria, diventa così una ‘occasione’, una possibilità per estrarre una verità
(pur di sapore negativo) dalla apparente insensatezza del mondo.

Stilisticamente elaborata e caratterizzata dal frequente ricorso ad espressioni letterarie marcate e


neologismi di spiccato valore metaforico ("lucida di fuliggine", "le tue parole iridavano come le scaglie |
della triglia moribonda", "quel lago | d'indifferenza che è il tuo cuore", tra le altre), Dora Markus è
composta da versi liberi, tra cui prevalgono endecasillabi e settenari per quanto riguarda la prima parte (vv.
1-28), novenari ed ottonari per la seconda (vv. 29-61)

Nelle Occasioni hanno un grande rilievo poesie con al centro una figura femminile. Il testo che segue, uno
dei più noti e importanti delle Occasioni, è dedicato a Dora Markus; già il nome, che coincide anche in
questo caso con il titolo della poesia, è in grado di sollecitare l’immaginazione montaliana per quel tanto di
esotico e prezioso che sembra richiamare. In effetti sappiamo che Dora è realmente esistita, ma che
Montale non la conobbe direttamente: un amico, lo scrittore Bobi Bazlen, gli aveva inviato una fotografia
che ne ritraeva le gambe, accompagnandola con questa esortazione: «A Trieste, loro ospite, un’amica di
Gerti, con delle gambe meravigliose. Falle una poesia. Si chiama Dora Markus». Montale compose così una
poesia dedicata alla donna nella quale recuperava anche materiali precedenti; nell’immaginazione
dell’autore Dora (o meglio, il suo semplice nome) si sovrappone a un personaggio femminile che ha in
realtà i tratti di una o più ispiratrici diverse (tra le quali, per ammissione dello stesso poeta, quella Gerti di
cui Dora era amica e a cui Montale ha dedicato un’altra celebre poesia delle Occasioni: Carnevale di Gerti).
Il testo è diviso in due parti in certa misura indipendenti: si riporta qui la prima, composta forse nel 1926.
RICORDO E RIFLESSIONE Il testo è nettamente bipartito. La prima parte è il ricordo di una passeggiata fatta
insieme a Dora nel porto di Ravenna: di quella passeggiata il poeta ritiene soprattutto due cose: il gesto che
Dora aveva fatto indicando la sua patria lontana, al di là del mare, e l’impressione di luminosità, di
brillantezza che gli avevano trasmesso le sue parole. La seconda parte non è più racconto ma riflessione: il
poeta tenta di disegnare un ritratto della donna, ma le qualità, i sentimenti che affiorano non sembrano
comporsi in un quadro coerente: irrequietudine (che risalta per contrasto rispetto ai marinai immoti e alla
primavera inerte), dolcezza tempestosa, indifferenza.

DORA, UNA DONNA IN CARNE E OSSA Gli oggetti su cui si chiude la poesia (il piumino per la cipria, la lima
per le unghie, un topolino d’avorio), componenti di una sfera intima e quotidiana, sono forse ciò che
permette alla donna di esistere, ciò che la rende capace, cioè, di ancorarsi a una realtà umile ma certa,
senza perdersi nella tempesta dell’irrequietudine. Ma, grazie a quegli oggetti, Dora esiste anche in un altro
senso: associare a un contesto vero, tangibile, la figura femminile significa farle acquistare realtà e verità;
Dora non è, così, una generica ispiratrice, bensì una donna in carne e ossa. I luoghi, le cose, i nomi danno
cioè consistenza alla “storia”, al filo narrativo che percorre Le occasioni.

Metro: tre strofe, per un totale di ventotto versi di varia misura (dalle cinque alle quattordici sillabe), con
prevalenza di endecasillabi e altri versi lunghi. Rare le rime nella prima e nella seconda strofa, più frequenti
nella terza. La rima sponda / moribonda e quella resisti / esisti scandiscono il finale delle due ultime strofe.

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