La miseria della condizione umana della ginestra e il rapporto tra vedere, sentire e
pensare. Lo spazio desolato della ginestra attesta la condizione esistenziale di nullità
dell’uomo e sostiene, insieme, la polemica contro l’antropocentrismo. Individua a partirer da questo testo il collegamento tipico di tutta la lirica leopardiana tra vedere, sentire e pensare.
La “Ginestra” fu composta a Torre del Greco nella primavera del 1836 ed è
contenuta nell’edizione definitiva dei Canti. Dal punto di vista strutturale, Leopardi decide di impostare l’opera a partire da un’anticipazione del contenuto stesso, citando un versetto del Vangelo di Giovanni, per alludere al fatto che spesso gli uomini preferiscono affidarsi a cose oscure, false e consolatorie piuttosto che alla dolorosa ma lucente verità. Nelle sette strofe che seguono e nelle quali vengono suddivise e trattate le diverse tematiche dell’opera, egli si occupa di affrontare 3 degli aspetti più importanti della ricerca poetica ed è proprio per questo che, spesso e volentieri, la “Ginestra” è stata definita il compimento di una riflessione non solo etico-filosofica ma anche la finale realizzazione di quella particolare responsabilità intellettuale, narrativa e dimostrativa: infatti, le sovracitate strofe sono, quasi tutte, caratterizzate da un forte realismo visivo che, in momenti alterni, mette il lettore di fronte ad esempi altrettanto realistici ma che però non appartengono all’ambito principale nel quale si muove l’osservazione filosofica e che vengono piuttosto evocati con pura funzione argomentativo-descrittiva. Il risultato della summa tra l’aspetto morale ed estetico è una grandiosa immagine della fragilità dell’uomo in ogni tempo , condizione che è condannata ad essere ignorata, nella sua totalità, da una natura indifferente e cattiva, che da un lato promette e dall’altro sottrae. È esattamente in questo che risiede il paradosso estetico della Ginestra: la rovina del vesuvio smentisce la concezione ottimistica e la fiducia nel progresso, rispettivamente rappresentati proprio da quella pianta che osa e che ha il coraggio di crescere in un ambiente così ostile. Nel confronto tra passato e presente che si stabilisce nella prima strofa, Il paesaggio verde e ridente, che era possibile trovare al tempo dell’impero romano, si trasforma improvvisamente in un deserto, in seguito all’eruzione del 79 d.C. e cioè dopo un cataclisma naturale. In questo contesto, l’autore sottolinea il fatto che la ginestra sia stata l’unico fiore che, col suo profumo, è riuscito ad addolcire a tutti gli effetti non solo le rovine di un’antica città, ma anche lo stato d’animo di un osservatore inquieto che, abituato a tanta bellezza, si è improvvisamente trovato catapultato in una dimensione distruttiva, distrutta e irrequieta, riflesso della precarietà della condizione umana dinanzi alla devastante forza della natura. Ma l’ illusione consolatoria fornita dalla bellezza della ginestra dura solo un istante e viene bruscamente interrotta dall’inserimento di un’efficace metafora all’interno della terza strofa : un uomo malato si comporta con dignità solamente se accetta la sua condizione, allontandandosi e allontandano qualsiasi accenno di speranza illusoria e senza spacciarsi per ricco e prestante. Allo stesso modo, come consiglia Leopardi, di fronte alla meraviglia della ginestra, va accettata con realismo l’ infelicita, la fragilità e la caducità di un fiore sorretto da uno stelo così fragile e piegato dal vento. La sfumatura filosofica dell’opera comincia proprio dall’osservazione di questo quadretto malinconico in cui la ginestra man mano diventa la protagonista a tutti gli effetti. Dalla terza strofa in poi, il piano estetico-descrittivo comincia a fare spazio alla sfera emotiva del poeta: la ricerca della suggestione è evidente, ma non si tratta di una ricerca di melodia (secondo la lezione di Petrarca e del petrarchismo), bensì della cosiddetta musicalità "sinfonica". Sono presenti diverse linee musicali che si succedono e contrappongono con vari "temi" e ritmi che conferiscono alla lettura dell’opera un tono non tanto elevato quanto sincero, emozionato ed emozionante. Dalla quinta strofa in poi inizia ad emergere il vero insegnamento della Ginestra volto a criticare e condannare in ogni sua forma l’antropocentrismo: l’uomo tende a non rendersi conto della crudeltà della natura nel mettere a sua disposizione una serie di illusioni che non fanno altro che arrecargli uno sciocco entusiasmo e una felicità irrealizzabile. L’unica via di salvezza in un destino così maledetto è rappresentata da filantropia, altruismo, gioco di squadra: dalla misera, solitaria, storica e cosmica condizione dell’uomo, ci si può emancipare solo se si è disposti ad aiutarsi reciprocamente e a combattere per i propri ideali, ma senza desiderare di prevalere l’un sull’altro. È la cosidetta “social catena”, l’unica forma di governo e di autogoverno della vita , che vede necessarie la collaborazione e l’unione, che rendono l’uomo tanto (ma nemmeno) diverso dall’animale e lo spingono a fondare un nuovo tipo di società da contrapporre all’individualismo egoistico del branco- borghesia.