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BOIARDO

Nasce vicino Ferrara, e vi si trasferisce nel 1476. Non era esente da una cultura classica, è un poeta lirico di
grandissimo spessore, al punto che i suoi libri di poesie amorose hanno una fortuna enorme nel secolo
successivo; di fatto si pone come uno dei più raffinati letterati del suo tempo. Riesce a combinare le gesta
epiche francesi con quelle inglesi; questo tipo di unione permette la creazione di nuove avventure. Con la
fine della Pace Laurenziana nel 1494 si segna l’inizio delle guerre di indipendenza, a causa della morte di
Lorenzo il Magnifico dato che mancherà un mediatore.
ORLANDO INNAMORATO di Boiardo
Canto I
I canti proemiali hanno sempre la funzione di spiegare ciò che succederà.
I ottava: inizia similmente all’Orlando Furioso di Ariosto “Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori, / le
cortesie, l'audaci imprese io canto”: Ariosto parla ad un pubblico che ha già a mente il testo del Boiardo,
svolgendo anche un tributo. La forma allocutiva di questo primo verso ci fa capire che Boiardo è
consapevole che la trasmissione dell’opera è orale, e quindi usa una formula che fa sembrare di star parlando
ad una folla (signori e cavallier che ve adunati…). Invita ad ascoltare la bella istoria e a vedere i fatti
smisurati (eccezionali, che vi muoveranno a meraviglia), l’alta fatica (quella di Ercole) e le mirabil prove
(riferimento dantesco).
II ottava: Boiardo giustifica la scelta della materia (non vi par meraviglioso), la fusione dei cicli viene
giustificata. La liricità si vede nel verso “è da amor vinto, al tutto subiugato”, sembra quasi preso dal
canzoniere di Petrarca. Anafora ripetuta in ogni mezzo verso fino all’inizio del distico (né, né).
III ottava: ottava di giustificazione. Dice che questa storia non è conosciuta da molti, e dà un’ipotetica fonte
a questo racconto: Turpino (biografo di Carlo Magno e di Rolando) forse l’ha nascosta, credendo di poter
fare arrabbiare (essere in dispetto) al conte valente (ovvero Orlando stesso). Con un artificio magnifico quasi
da teatro invita il pubblico a cambiare la scena nel distico finale (non più parole, veniamo al fatto). Il fatto è
storiografico: stiamo entrando nella narrazione.
IV ottava: Turpino racconta dell’esistenza di un re in un oriente oltre l’India, quindi molto remoto, che aveva
una nobiltà antica, tanto potente da insuperbirsi e non stimare niente. Invenzione boiardesca per colorare di
elementi storiografici la materia che si intende narrare. Raffinatezza poetica (amirante è un arabismo, Amir
Al, comandante da cui viene la parola italiana ammiraglio) e il cuore di drago e membra di giganti,
gradasso, ci fanno capire di che tipo di personaggio stiamo parlando (grande cattivo e superbo).
V ottava: con un tono grave e moraleggiante Boiardo comincia ad affermare che come succede ai grandi
uomini e potenti che vogliono avere quello che non possono, e per ottenere ciò che desiderano finiscono per
mettere il regno in pericolo, così anche Orlando, voleva ottenere i tesori quali la spada e il cavallo.
VI ottava: apertura con un forte latinismo “unde”; fa radunare nel suo territorio la gente d’arme, perché
sapeva che non poteva ottenere col denaro i tesori che voleva, ovvero la spada e il cavallo.
VII ottava: non voleva usare direttamente tutti i cavalieri radunati, perché essendo gradasso voleva vincere
da solo con la sua superbia.
VIII ottava: tra la settima e l’ottava strofa abbiamo uno stacco narrativo fortissimo. Una volta costruita
l’immagine dell’esercito che vuole conquistare spada e cavallo, il Boiardo ferma questo filo narrativo, e
sposta l’azione su ciò che sta avvenendo nella corte di Francia con Carlo Magno e i suoi magni baroni, che
arma e conta (numera), perché si stava allestendo una giostra (duello) ordinato durante la pentecoste.
IX ottava: erano in corte tutti i paladini (i dodici conti del palazzo). C’erano persone venute da ogni parte,
persone tutte d’onore (saraceni che non siano traditori né rinnegati).
X ottava: rima magni filipagni compagni (divina commedia canto IV inferno). Nel distico finale Boiardo
interviene ancora e interrompe la narrazione.
XI ottava: fortemente descrittiva, con suoni e immagini. Tutti si sforzavano per accontentare il volere
dell’imperatore (gioielli e oro).
XII ottava: ormai prima della giostra, si mette insieme un pranzo dove partecipavano circa 22mila persone:
ciascun signore e baron naturale (legittimo): naturale contro madornale, che sarebbe illegittimo (lo
troveremo nel II libro dell’Orlando).
XIII ottava: mentre Carlo siede con la faccia gioconda sopra un trono d’oro in una mensa rotonda. Di fronte a
lui siedono i saraceni, che preferiscono giacere per terra come cani su dei tappeti secondo le loro usanze,
sprezzando i costumi francesi.
XIV e XV ottava: la mensa si dispone da più nobile a meno nobile, Boiardo fa riferimento ai cavalieri
maganzesi come traditori, e mostra come il nobile Rinaldo li avesse in odio perché se ne erano fatti beffe
perché era addobbato in maniera meno ricca rispetto loro.
XVI ottava: aveva occhi di fuoco (guardare male), ma nascondeva dentro di sé ciò che pensava: se lo incontra
al duello, li fa fuori tutti.
XVII ottava: re Balugante, un re saraceno, guardava Rinaldo e quasi lo leggeva nel pensiero, e domandava se
nella corte di Carlo Magno si facesse più onore alla roba o la virtù, ovvero alle cose materiali o al modo di
comportarsi. Balugante essendo straniero è digiuno al costume dei cristiani.
XVIII ottava: Rinaldo spiega a Balugante che tra i cristiani si dà importanza a personaggi infelici, ma alla
fine si vedrà concretamente dove si colloca realmente ciascuno.
XIX ottava: l’imperatore Carlo Magno attraverso il lusso della mensa dove si indicano le suppellettili
(tovaglie, bicchieri, coppe) in una evocazione lussuosa non popolare ma aristocratica, usa superlativi
(grandissimi, finissimi). Fanno vedere che si tratta di qualcuno che sa gestire la propria tavola in maniera
ospitale.
XX ottava: il torneo è aperto tanto ai pagani quanto ai cristiani; “parlar basso e bei ragionamenti”:
espressione di galateo cortese, si parla piano per mantenere un certo contegno, in parallelo con inferno IV
dantesco, nella terzina “parlavan rado e con voci soavi”, mantenevano un contegno degno di onore. Il re
disprezza la gente pagana, ma la virtù ci accomuna tutti, quindi usa una similitudine “come arena del mar
denanti i venti” la sabbia del mare viene soffiata via attraverso i venti, e Carlo così disprezza i pagani
(immagine non propriamente felice, possibilmente Carlo dà ai pagani la stessa importanza della sabbia che
facilmente vola via). Poi succede qualcosa di inaudito e tutti rimangono senza parole (sbigottire).
XXI ottava: arriva Angelica. Siamo di fronte ad uno straordinario ingresso in scena, la bella scortata da
quattro cavalieri giganti, e acquisisce tutti gli elementi tipici della poesia stil novistica (matutina stella e
giglio d’orto e rosa di verzieri: il verziere è una serra).
XXII ottava: le altre donne presenti a corte, che erano tutte di bella presenza (bella ciascuna-bella parea:
integrazione anaforica con inserto patico del dico) e di “virtù fontana”: petrarchesco, quando nel canzoniere
parla di “fontana di dolore” rivolgendosi ad Avignone. Con l’ingresso di Angelica tutte le donne vengono
messe in discussione, perché è assai più bella.
XXIII ottava: effetti dell’ingresso di Angelica a corte. “In quella parte ha rivoltato il viso”: tutti si girano a
guardare (gesto icastico, molto realistico); perfino i pagani che erano seduti a terra si alzano e le vanno
incontro. “Cuor di sasso”: immagine boiardesca; usa l’immaginario lirico per combinarlo con quello epico.
XXIV ottava: parla Angelica. Discorso carico di menzogne: i due pellegrini non sono pellegrini, ma sono
venuti come emissari dall’estremo oriente. La fine del mondo non è intesa in senso letterale, la vaghezza con
cui è menzionata è indice di finzione, e non sono venuti per onorare lo stato giocondo del re;
XXV ottava: Uberto da Leone è pseudonimo per il fratello di Angelica, Argalia. Il fatto che è stata cacciata
dal suo regno è un’invenzione boiardesca; per altro il termine angelica è un termine chiaramente boiardesco;
questo tipo di aggettivo utilizzato si concretizza in una figura reale nell’Orlando innamorato.
XXVI ottava: “sopra alla Tana”: la tana sarebbe il fiume Don, quindi oltre il Don indica l’estremo oriente,
duecento giornate di cammino oltre il Don: lessico già incontrato nel Milione di Marco Polo. Gli sono giunte
notizie del torneo e del concistoro: il raduno che stavano tenendo. Il premio è solo una corona di rose,
simbolico rosario.
XXVII ottava: Argalia vuole cimentarsi in questo torneo, e finisce per invitare a svolgere queste prime battute
di scontri presso la fonte del pino al Petron di Merlino, tipico luogo della tradizione bretone dei poemi
cavallereschi. C’è un riferimento di questo nel Dittamondo nel libro IV capitolo 23.
XXVIII ottava: se Argalia riesce a vincere, nessuno di essi avrebbe diritto di continuare a combattere. Se
Argalia viene sconfitto, il vincitore avrebbe preso in premio Angelica stessa. “Vuol provare”: mettersi alla
prova.
XXIX ottava: Angelica aspetta risposta in ginocchio di fronte a Carlo, Orlando le si accosta con tutta la
casistica della fenomenologia amorosa in poesia: “cor tremante, cangiata vista” (impallidì: riferimento ai
trionfi del Petrarca, in particolare il trionfo d’amore, capitolo I verso 38; cangiata vista è di fatto una sorta di
trasfigurazione. Successivamente “e talor gli occhi alla terra bassava” altro riferimento petrarchesco, e
soprattutto “che di sé stesso assai si vergognava” si trova anche nel verso proemiale del Canzoniere.
XXX ottava: Orlando parlava dentro di sé, chiamandosi un pazzo per essersi troppo lasciato trasportare da
questo errore che lo fa peccare contro Dio (era pure sposato); “non vedi tu…”: sempre canzoniere di Petrarca,
dove Petrarca ha ardore e Boiardo ha amore. “Vedome preso e non mi posso aitare”: sonetto terzo del
Canzoniere di Petrarca “Io che stimavo tutto il mondo nulla, senza arme vinto son da una fanciulla”:
medesima espressione all’ottava quarta, verso 6: “tutto il mondo stimava niente”; considerava tutto al di sotto
di sé. Orlando anche se armato perché cavaliere, non ha come difendersi dall’amore, e quindi è disarmato.
XXXI ottava: “io” anafora tra fine dell’ottava 30 e inizio dell’ottava 31; gesto per aiutare l’oralità ma che poi
è rimasto come formula di recupero nella letteratura. “La dolce vista del viso sereno”: citazione diretta da
Cino da Pistoia, “la dolce vista e il bel guardo soave”. “Or non mi va la forza né lo ardire”: altra memoria
dei trionfi di Petrarca, capitolo III: “che a mie difese non ho ardir né forza”. Queste due ottave sono una
lamentazione di Orlando, consapevole di ciò che gli sta succedendo.

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