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Prima per il Molina e poi per Ierondeo me è stato fatto intendere che
vostra extia haveria piacere de vedere un mio libro, al quale già molti dì
(continuando la inventione del conte Matheo Maria Boiardo) io dedi
principio1.
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Ludovico Ariosto, Lettere, a cura di Angelo Stella, in Tutte le opere, iii,
Milano, Mondadori, 1984, p. 151.
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Alcune osservazioni già in Gioacchino Paparelli, Tra Boiardo e Ariosto: le
giunte all’«Innamorato» di Niccolò degli Agostini e Raffaele da Verona, Salerno, Edi-
zioni Beta, 1971; e si veda il mio “Ventura” e “inchiesta” tra Boiardo e Ariosto, in Sta-
gioni della civiltà estense, cit., pp. 87-126.
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Una diversa interpretazione del termine, e di tutt’intero l’atteggiamento di
Ariosto “continuatore” del Boiardo, è proposta da Marco Dorigatti, Il boiardi-
smo del primo «Furioso» in Tipografie e romanzi in Val Padana, cit., pp. 161-174. In
particolare, secondo Dorigatti «invenzione» si riferirebbe al “ritrovamento”, da par-
te del Boiardo, del personaggio (e della storia relativa) di Ruggiero: cfr. pp. 169-170.
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Si veda Neil Harris, Bibliografia dell’«Orlando innamorato», cit.; un suc-
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Un buon mannello se ne può leggere nello studio di Marco Dorigatti, Il
boiardismo del primo «Furioso», cit. Manca però, per quanto possa parere singola-
re, uno studio sistematico e ragionato dei punti di sutura e di frizione tra Furioso
e Innamorato ; il lavoro di Giuseppe Sangirardi, Boiardismo ariostesco. Presenza e
trattamento dell’«Orlando innamorato» nel «Furioso», Lucca, Maria Pacini Fazzi
Editore, 1993, pur nella sua strenua puntualità, ha carattere diverso, mirando a una
recognizione degli imprestiti linguistico-stilistici, non narrativi, fra i due poemi. E
si veda l’ampia discussione del volume di Sangirardi (sia nei suoi presupposti teo-
rici che nei suoi risultati operativi) in Maria Cristina Cabani, Considerazioni sul
boiardismo del «Furioso» e alcune riflessioni sull’uso degli strumenti informatici nelle
indagini intertestuali, in «Rivista di Letteratura Italiana», xii, 1994, pp. 157-248.
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Questo è l’annel ch’ella portò già in Francia
La prima volta che fe’ quel camino
Col fratel suo, che v’arrecò la lancia,
La qual fu poi d’Astolfo paladino.
Con questo fe’ gli incanti uscire in ciancia
Di Malagigi al petron di Merlino;
Con questo Orlando et altri una matina
Tolse di servitù di Dragontina;
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L’Ariosto si riferisce qui alla lunga sequenza della ventura di Orlando nel re-
gno infero di Morgana: cfr. Orlando innamorato, II vii-xiii.
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Vedi a questo proposito Riccardo Bruscagli, “Ventura” e “inchiesta” fra
Boiardo e Ariosto, in Stagioni della civiltà estense, cit., pp. 97-98.
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OF I 14
Su la riviera Ferraù trovosse
Di sudor pieno e tutto polveroso.
Da la battaglia dianzi lo rimosse
Un gran disio di bere e di riposo;
E poi mal grado suo, quivi fermosse,
Perché, de l’acqua ingordo e frettoloso,
L’elmo nel fiume si lasciò cadere,
Né l’avea potuto anco rïavere.
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La accentuata diversità del Terzo libro rispetto ai precedenti è ormai dato ac-
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sembra non agire più sul conte di Scandiano negli anni, tra i pri-
mi Ottanta e la morte nel 1494, in cui egli laboriosamente atten-
de al terzo libro, dove di Angelica, appunto, non si fa cenno. Ri-
collocata al centro della trama, la donzella ha il potere di far riaf-
fiorare in questo primo canto anche un pretendente di alto profi-
lo quale Sacripante, che il Boiardo aveva maneggiato un po’ mal-
destramente, tuttavia, verso la fine del suo poema: rammentato
un’ultima volta come prigioniero nella Riviera del Riso insieme a
Orlando (III vii 23), al momento della liberazione di tutti gli al-
tri cavalieri di lui non s’era fatta menzione; né d’altronde, anche
prima, il Boiardo aveva spiegato come Sacripante fosse finito nel-
la Riviera, una volta liberato dal castello della fata per intervento
di Mandricardo. Il commento di Scaglione annotava in proposi-
to: «Come si vede, l’Autore non segue ora più i suoi eroi con la
sollecitudine di una volta». Approfittando di questo sfrangiamen-
to del tessuto narrativo, nelle mani di un Boiardo ormai un po’
distratto, l’Ariosto non ha difficoltà a condurre anche Sacripante
nella selva di Ranaldo e di Ferraù: gli basta asserire che «seppe in
India con suo gran dolore, / Come ella Orlando seguitò in Po-
nente», e presupporre un viaggio analogo dell’eroe, da Oriente a
Occidente, sulle orme della sfuggente donzella: «Appresso ove il
sol cade, per suo Amore, / Venuto era dal capo d’Oriente»; pec-
cato che la riviera del Riso, ultimo luogo abitato dal personaggio
nell’antecedente boiardesco, non sia in India, ma in Francia, pres-
so il luogo dello scontro campale fra cristiani e Saraceni; anche
qui l’Ariosto rappicca il filo narrativo liberamente, alludendo non
all’ultima, ma alla penultima avventura del Sacripante boiardesco,
che prima di capitare nella riviera del Riso era stato effettivamen-
te inviato da Angelica presso Gradasso, cioè in Sericana, in India;
insomma, è come se anche l’Ariosto scuotesse il capo sulle finali
incongruenze e distrazioni della trama boiardesca, preferendo ri-
prenderla più all’indietro, dove ancora essa appariva saldamente
sotto il controllo dell’autore.
Il lungo viaggio, come si sa, ha acuito la gelosia di Sacripante;
e ancora più la notizia di questo assai compromettente compagno-
nage di Angelica e di Orlando lungo un itinerario così protratto,
da un capo all’altro del mondo.
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Cfr. Orlando furioso di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino. Con una
scelta del poema, Torino, Einaudi, 1970, p. 3.
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Verrà ripreso – e risolto, tramite il provvidenziale sdoppiamento di Brada-
mante nel suo gemello, Ricciardetto – al canto XXV dell’Orlando furioso.
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testo del Furioso evita una sutura perfetta col testo antecedente ma
si riconnette, più vagamente e nello stesso tempo più
sostanzialmente, alla situazione narrativa fondamentale impostata
dal Boiardo: in questo caso, all’amore appena divampato fra i due
progenitori esten- si. E in effetti, nel canto successivo ci saranno
spiegate le ragioni del- la sua evidente impazienza nel primo canto:
«…cercando Brada- mante gìa / L’amante suo, ch’avea nome dal
padre, / Così sicura sen- za compagnia, / Come avesse in sua
guardia mille squadre…». È dunque una Bradamante tutta
concentrata e assorbita nella sua pro- pria quête quella che ha
incrociato l’«amoroso assalto» di Sacripante, sovrapponendo alle
labirintiche giravolte di Angelica e dei suoi inse- guitori la direttrice
determinata del suo proprio inseguimento, attra- versando il campo
magnetico dei desideri scatenati da Angelica con l’impazienza del
suo proprio desiderio. Evidentemente, l’Ariosto ha voluto
innanzitutto sincronizzare le quêtes fondamentali del suo poe- ma,
ma con un giuoco studiatamente chiastico delle funzioni in campo:
la linea di Angelica e Orlando è qui rappresentata dalla pre- da
inseguita, dalla donna, Angelica appunto; la linea di Bradamante e
Ruggiero è introdotta dall’inseguitore, o cercatore, ovvero da Bra-
damante; con un effetto di simmetria ulteriore, visto che nelle due
coppie le funzioni sono per ora scambiate tra i protagonisti maschi-
li e femminili: giacché nell’inchiesta di Orlando è il cavaliere che in-
segue, mentre in quella di Bradamante è la donna che svolge questa
funzione attiva, dinamica, rispetto a un Ruggiero forse non proprio
fuggente ma comunque oggetto passivo, “preda” amorosa offerta
al- la conquista di Bradamante; e va da sé che quest’ultima può
assu- mersi per ora il ruolo virile grazie alla sua provvidenziale
ambiguità o duplicità di donzella guerriera, di donna-cavaliere. Il
Tasso ebbe a notare, nella sua Apologia della Gerusalemme, sia pure
all’interno di un contesto viziato dall’intenzione apologetica nei
confronti del di- sgraziato Amadigi del padre Bernardo, che questa
inversione di ruo- li nella coppia Bradamante-Ruggiero non poteva
dirsi in tutto legit- tima, e certo sembrava poco onorevole per il
progenitore estense, rappresentato quale amante, anzi, amato,
alquanto neghittoso:
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Torquato Tasso, Apologia della Gerusalemme, in Scritti sull’Arte poetica, a cu-
ra di Ettore Mazzali, Milano-Napoli, Ricciardi, 1959 (Reprint Einaudi 1977), p. 75.
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Il Boiardo sottolinea più volte l’irreprensibilità del suo eroe, quasi giustifi-
cando così, a ritroso, il suo tardo arrivo nella favola: l’ultimo cavaliere a manife-
starsi è anche il più perfetto, quello destinato a eclissare la bravura di tutti gli al-
tri: «Voi odireti la inclita prodezza / e le virtuti de un cor pellegrino, / l’infinita
possanza e la bellezza / che ebbe Rugiero, il terzo paladino» (II i 4).
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infatti, non condurrà mai Ruggiero alla precoce morte che su di lui
incombe nel Boiardo e a cui lo accompagnano invece più o meno
speditamente tutti i continuatori (magari per procedere oltre, ver-
so la vendetta consumata dalla vedova Bradamante o dal figliolet-
to postumo, Rugino). Ma l’Ariosto, pur nelle successive edizioni
del poema, pur rimettendo nel ’32 le mani nella favola e incre-
mentando l’intreccio di sei canti nuovi, e quale che sia il posto, nel
farsi del poema, dei tuttora controversi Cinque canti, si impedirà
sempre di superare la soglia lieta e gloriosa del finale sposalizio del-
l’eroe estense. Se Boiardo pensava evidentemente a una favola in
cui le somme virtù di Ruggiero e Bradamante erano destinate a
una unione tempestiva, cui sarebbe seguita la pagina cupa degl’in-
trighi di Gano e della morte del cavaliere, l’Ariosto punta invece a
una divaricazione di ruoli tra i due innamorati che richiederà tut-
to lo spazio del poema per essere sanata, in un finale lieto davvero
guadagnato a caro prezzo.
Tutt’altro che semplicemente continuare il mondo del Boiardo,
si trattava evidentemente per l’Ariosto di reinventarlo; non di ac-
compagnarlo piamente alla fine prestabilita, ma di richiamarlo a
una rinnovata esistenza. Per questo, egli aveva bisogno, paradossal-
mente, proprio di ignorare il Boiardo, o almeno di non citarlo, di
non costringersi nelle vesti del suo esecutore testamentario. Ma
proprio così facendo, proprio riconoscendo all’Innamorato non lo
statuto di un testo interrotto, ma di una inventio di perenne, ri-
sorgente vitalità, l’Ariosto tributava al suo grande predecessore
fer- rarese il più ammirato, anche se tacito, riconoscimento.