CASINI
'//
^ii>nj
STUDI
DI
POESIA ANTICA
CITT DI CASTELLO
CASA EDITRICE
S.
LAPI
PROPRIET LETTERARIA
4094
C37
LIBRARY
I
722923
UNIVERSITY OF TOR OHToJ
Casa Editrice
S.
Lapi.
SALOMONE MORPURGO
PER TENUE SEGNO
DI AMICIZIA
ORMAI ANTICA
MA IMMUTATA
PROEMIO
Il
presente volume
il
prodotto di indagini e di
la sollecitudine mia di seguire, mezzo alle occupazioni di altri uffici, ci che si venuto facendo e studiando nel campo della nostra pi antica poesia, dal tempo ormai lontano e
che pu rappresentare
anche
rimpianto in cui
maestri, quali
il
Carducci,
cona
il
Bartoli, ce lo additarono
veramente, oltre
contrasto
e
didattici,
svolgimento
e
di
l'interpretazione
di
testi
pieni
di
difficolt
oscurit.
al
come
vili
non mi sentir scoraggiato dal ripercorrere ancora cotesto campo per recare a compimento altri lavori, dei quali sar ntessuto un volume di Nuovi studi di poesia antica, cui gi ho posto mano. Nuovi saranno
tale,
lavori
iniziati
gi e
conalla
la
dotti
buon
di
scuola
Giosu
una
monografia
su
Morfologia e le vicende della ballata dal secolo XIII al XV, della quale le linee generali furono tracciate in uno scritto presentato per la scuola di magistero della facolt filologica bolognese nel 1878;
un'altra sopra la
Coltura
poesia in Bologna
la
sino al secolo
XIV,
che fu
1881
mia
tesi
di
laurea
nell'Istituto
fiorentino
sempre
fu
inedita,
alle
salvo
il
capitolo
d'introduzione che
dato
stampe
es-
sendomi stato chiesto come primo articolo pel Giornale e una terza storico della letteratura italiana nel 1883 sopra la Formazione e i rapporti degli anti;
1884.
guro
di trovare
traendomi a logo-
mia operosit in uffici mal rispondenti alle, aspirazioni di uno studioso, non mi hanno consentito; questi tre lavori saranno la materia del nuovo volume, col quale chiuder la serie non del tutto infeconda delle mie indagini in un campo, che mi fu sempre caro, perch segnato a me e ai miei coetanei da
maestri indimenticabili.
I
giugno 1913.
T. Casini
I.
DI
E
ALCUNI RITMI
POEMETTI VOLGARI
i.
II
italiana, se
pu
tro di s qualche
luoghi e
non trascurabile dubbiezza sopra alcuni il tempo e i anche sulle forme poetiche primitive. Siamo ormai
tutti d'accordo nel ritenere che lo svolgimento della poesia veramente letteraria non si ha se non con la lirica cortigiana, la prima et della quale corrisponde alla signoria della im-
periai
maest
di
Federico
sia
cosi leggo in
lo
un
libro
tura generale
stato
delle
nostre
conoscenze pi sicure
1
la
poee
compare
in
veste
italiana
solo
nel
dugento,
muove
cia e di
Provenza e la corte
fu
il
siciliana
di
Federico
II,
naturai
e
ricetto di questa
prima nostra
fioritura
poetica
antica
eulta
necessaria-
mente
cui
s'ispirava. Cosi
matori
riconducono,
come
Pietro della
Rinaldo da
11^
'
leti,
il.,
ediz.
gli .studi
4
Aquino,
sia coi toscani al servizio dell'imperatore quali
Ar-
rigo Testa e Iacopo Mostacci, agli anni che corsero tra l'in-
coronazione cesarea e
di Soave.
la
Se non che la lirica d' imitaziane provenzale, della quale termini del suo prisi pu con sicura precisione fermare mo fiorire tra noi, non fu la sola forma di arte, che facesse
i
la
sua apparizione in
stare
Italia sui
la
let-
teratura. Lascio
poesia morale
didascalica,
che
Ugo
II,
ma
ha poi
il
tardi, dalla
met
la
poesia sto-
rica e la religiosa,
sebbene
1'
una
due
frammenti
vanti
il
fatti risalire
il
ritmo per
santo
l'altra si
dal
d' Assisi
due anni
fatti
piazze delle citt italiane dai suoi seguaci nel 1233, possono
considerarsi anteriori alla lirica
cortigiana, e anch'esse co-
minciarono a
gioini.-
fiorire
il
lamente durante
con qualche larghezza e consistenza soconflitto tra gli ultimi Svevi e gli Anorigini,
di
Ma
al
problema delle
parola, ci richiama
un gruppo
le
quali per
il
distinguono da tutto
in lingua volgare,
e sebbene
come
a pr-
hanno quasi un complesso di sembianze cosi arcaiche nell' invenzione e nel metro da farci rimanere molto incerti sulle condello Scandone, del Cesareo, del Zenatti, del Bertoni e di
nella
altri
mia Letteratura
italiana, storia
I,
Segati e
C,
1909, voi.
cit.,
I,
I,
\ 57.
Lett.
it.,
64.
Cfr. ivi,
?g 65,
66.
clusioni pi plausibili intorno alla loro genesi, alla loro patria e all'epoca cui
possono
riportarsi.
Un esame
comples-
non
sebbene
non siano mancate osservazioni avvedute e acuti raffronti, di mezzo ai quali pur balzato qualche dato positivo sopra i rapporti che tra esse intercedono; ma non tutti questi rapporti sono stati messi in luce sufficiente n da questo materiale,
si
forse
le
ombre,
non
si
che vuole
Provandomi a
far
la
presunzione
di gravisfine
di esaurire,
come oggi
dice,
;
sime e complesse
diosi sopra
difficolt
assai
stu-
l'attenzione degli
una materia degnissima delle loro cure indagatrici, raccogliendola e ripresentandola tutta insieme da pubblicazioni per lo pi poco accessibili e accompagnandola con quelle osservazioni, spiegazioni e ipotesi altrui e mie, che possono in qualche modo giovare alla piena intelligenza
di essa
:
far
raggiungere
la
meta,
mal
certe o disputabili,
non
si-
si
che
altri,
pi fortunato e pi
al
ter-
mine vagheggiato.
II.
Francesco D'Ovidio, nel quale col passare degli anni sembra crescere pi vivace e pi feconda l'alacrit dello spirito
indagatore, ha test consacrate molte e
belle pagine
della
Ritmo cassinese.
ti-
in
Gi
;
dopo lo ebbe a rimettere in luce, in miglior forma, Gennaro Grossi, in un libro dimenticato i sulla badia
trent'anni
di
campo
Montecassino (1820), dalla quale irradi poi in pi largo la conoscenza di codesto primo vagito della poesia
codice dantesco casisui
nense (1865)
sulle
arti
Andrea Caravita
nell'opera
(1870).
codici
e
la
del celeberrimo
di filologia
cenobio
Ma
intanto
si
nuova scuola
ve-
la sicura
monumento
e
il
due discepoli
cri-
un'illustrazione
paleografica
di secolo fu
un'edizione
fondamento saldo
al
quale
cominci allora
il
lavorio industre
degli
si
interpreti,
poich
ritmo
si
del linguaggio,
logo che
vi si svolge,
non avevano spaventato Carlo Bandi di V^esme,5 che con molta libert, per non dir peggio, tradusse
Tali difficolt
in prosa
il
testo e raffazzon a
modo
suo
la
partizione delle
e l nel
parti dialogate,
segno
di
come
riusci
La
scuola e la bibliografia di
p.
264.
*
Comm.
Monte Cassino,
1S65,
p.
XVI. 3 /
voi. II,
il
voi.
il
II e
III
Il
di-
retta
Roma
1875,
il
pp. 91-110:
filologia ,
\ I,
Paleografia e storia di
;
Giorgi;
2,
con facsimile litografico. 5 La litigua italiana e il volgare toscano, nel Propugnatore, diretto da F. Zambrini, voi. VII, parte II; Bologna, Romagnoli,
di
G. Navone
Luigi Gaiter, che animato dal filologo piemontese tent una nuova parafrasi commentata dell'arduo testo l e non ispaven:
tarono n pure Antonio Rocchi, 2 che, riproducendo quasi la interpretazione letterale del Baudi, volle scorgere nel ritmo
l'eco di
un contrasto
e dei Basiliani e risospingerne l'antichit a un'epoca inveroPoco di poi (1878), simile, nientemeno che al decimo secolo
!
osservabili con-
aveva gi
riprese in
esame
il
testo
emendandolo qua e
ma
poco utilmente
reazione dei
composizione
come
Celestino V.3
ricondurre
Nevati (1886), con uno dei suoi migliori lavori giovenili * egli, sgombrato il campo da alcune difficolt di lezione, affront la questione della partizione del dialogo e della sua
fermando come saldo fondamento che gli sono un orientale, che reca notizie del paradiso terrestre, e un occidentale, che le accoglie con un senso misto di ammirazione e di dubbio. Tale interpretazione ebbe
interpretazione,
interlocutori
sentire
una larga e favorevole accoglienza, dalla quale parve disalquanto Vincenzo Crescini (1887) in una buona dissertazione, che non senza utilit ;5 e alquanto ne dissenti anche Francesco Torraca (1903) in una arguta e dotta mono-
'
Baudi di
Vesine,
uel
PropugnaMontecas-
italiano di
sec.
X;
sino, 1875,
3
con facsimile.
Stidien ; Strassburg 1878, voi. X, pp. 143 e sgg.
Romanische
Nella Miscellanea Caix-Canello, Firenze 1886, pp. 375-391, poi in Studi critici e letterari; Torino, Loescher, 1889, pp. 99-132.
fu
460, dal
Per-
della
leti,
il,,
cassinese in Atti e
memorie
della r.
Acca-
demia di scienze,
lettere
edarti di Padova,
8
grafia,'
nella quale
sebbene non
attribuisce
il
sia molto consistente la congettura ond'egli poemetto a un cavaliere d'nagni fiorito tra il cadere del secolo XIII e il cominciare del XIV. Poco dopo senza conoscere il suo lavoro che era stato il Torraca, ma distribuito a pochissime persone, mi occupai anch'io, inci-
dovendo riprodurlo
quanto
in
le
mosse,
all' inter-
accompagnare
al
testo
fine di
agevolarne l'intelligenza
vani studiosi. 2
il
Meno
mio
dopo la pubblicazione del mio libro mi fu cortese l'amico Erasmo Percopo si che gi avevo, per una nuova edizione, ritoccato testo e dichiarazione, quando usci in luce il pi lungo e compiuto studio che intorno al Ritmo siasi fatto sinora, quello che ho gi accenraca, della quale subito
;
poich
l'insi-
gne uomo, che della mia recensione e versione ebbe notizia solamente quando era molto avanzata la stampa del suo lavoro, pur ha voluto fermarvisi intorno per segnalare, come egli dice amabilmente, quel che v' di buono o d'ingegnoso o di nuovo,* mi sono rimesso durante un breve e angustiato ozio
autunnale a ristudiare con una pi lunga e connon avessi fatto per l'innanzi il
altri
meno
1
noti ai pi,
ma
affini
Su/ Ritmo cassinese, nuove osservazioni e congetture nel Nozze Percopo- Luciani ; Napoli 1903,
I,
a cura di N. Zingarelli, pp. i43-i732 Nella cit. Leti, ital., storia ed esempi, voi.
3
pp. 330-334-
//
;
Ritmo
p.
romanzi
editi a
cura di E.
Mo-
naci
^
Roma
Ivi,
topografiche e storiche, nella speranza che qualche luce ulteriore potesse diffondersi intorno alla oscura materia.
Il
teplici edizioni,
ancora discutibile, o
definitivo quello
fermato in
modo
D'Ovidio?
;
ma
quale
il
filologo napoletano
fermare
le
significazione
sfumature dei suoni e delle forme e coglierne la pi certa o almeno la pi probabile, si do-
vrebbe senz'altro accettare come esauriente la fatica dell'illustre maestro, e invocare anche per il ritmo casinense il claudite iam rivos, pueri. Se non che anche a chi abbia
disposizione ad accogliere le conclusioni del un dubbio deve affacciarsi subito, anzi parecchi dubbi non possono a meno di presentarsi spontanei ma per
la
migliore
D'Ovido,
il
pi grave di
tutti.
antico di
poesia
si
sa,
essere stru-
mento assai efficace, o meglio una guida sicura, in molti casi matematicamente o geometricamente certa, la forma metrica. Quando il canzoniere vaticano 3793, che il gran
tesoro della nostra
le lirica d'arte
pi antica,
ci
d a decine
noi,
se
riusciamo a fermare lo schema metrico della stanza, siamo gi sulla buona via, se non per sanare, almeno per riconoscere le piaghe aperte
in
quelle
venerabili
membrane.' Se
Un
trica fu
da
saggio di emendazioni del testo col sussidio della meme dato in appendice all'edizione del Canzoniere va-
A. D'Ancona e D. Comparetti,
voi.
V,
PP- 309-493- Avendo io stesso, per incarico dei due illustri maestri, curata l'edizione del Canzoniere vaticano a cominciare
dal terzo volume, ebbi agio di esperimentare sino da quei pri-
mi miei
antica
criterio metrico
pi giusta lezione,
o almeno riconoscerne
guasti.
IO
fermiamo
che
i
la
le
canzoni e ballate
scrivendo negli
pi
che per
altri
loro memoriali,
non
trapassi,
non
te-
ricopiavano,
ma
ritraevano dalla
si
memoria pi o meno
avvia sul
invece, nella
per
ci
cammino
il
della
buona emendazione o
strofico
tipo
che
ci
meno
incorrotte
altri
esempi
alla rico-
attraverso a pi stadi di trasmissione orale e scritta, conferisca quella saldezza e osservanza degli
di quella poesia
uno
Di questo strumento critico si sono valsi gli studiosi del Ritmo casinense, e con pi fiducia di tutti il Torraca il quale a questo proposito osservava Prima di tutto e pi di tutto ha fermato l'attenzione mia la costituzione, l'organi; :
smo
della stanza.
altri
componimenti didattici antichi, come il Calo di Catenaccio, il Reghnen sanitatis, Bagni di Pozzuoli, ma non si rilevato, credo, quanto sia pi varia, pi messa e pi ricca di rime. Nel Ritmo primi tre versi e il quarto compongono una serie di ben sette ottonari con la stessa rima viene
\ i
;
manca
il
verso breve
di
risulta dall'unione
Il
due
settenari,
non rimano
al
mezzo.
d'un numero di rime pi che doppio, indicano a chiare note che l'autore non schivava
maggiore
artifizio, la ricerca
fatiche, anzi
si
non
facile
se
compiaceva di alTrontare e superare una prova non invent egli questo tipo di stanza, del
* Sto preparando una edizione compiuta di tutte le rime dei Memoriali bolognesi, rivedute sugli originali e anche qui apparir quanto spesso la determinazione dello schema metrico
;
consenta
altri
al
suo
era
al
un dappoco, insomma; probabilmente, non primo tentativo. Se non invent egli il sistema delle
Non
era
perch
st.
facile ridurre a
rime esatte
versi
le
due conso-
nanze delle
non avr
li
fatto traballare e
il
colpa di chi
aveva imparati a mente con poca attenzione o da troppo lungo tempo, se, su la pagina versi ballino il ballo di san Vito. Per del codice, par che ci non mi sono soltanto permesso, ma ho creduto fosse
trascrisse,
quale, forse,
dover mio procurar di restituirli tutti alla loro giusta misura, aggiungendo o mutando il minor numero possibile di parole, per lo pi con tagli opportuni di superfluit e di escrescenze.^ Cosi il Torraca, che, secondo il proposito e
il
criterio
enunciato con
tanta
perspicuit,
procedette alla
si
avveduta franchezza,
l
che
il
questo
pu dire che ne sia la prima vera ricostituzione. Lo schema strofico apparve tale al Torraca da presupporre una lunga elaborazione, si da lasciargli credere probabile che gli si dovesse assegnare una data meno remota che non si fosse prima creduto; ma il D'Ovidio giustamente ha osservato Due sono le caratteristiche di esso schema
testo,
: :
la
la
la
chiusa ende-
sappiamo che gi in Cielo d'Alcamo, e il Monaci adunque era gi stal'addit pure in una poesia di Federico bilita per lo meno nella prima met del sec. XIII, e, se guardiamo al Sant'Alessio, dove per l'endecasillabo vacilla, anche anteriormente. Ma di solito una tale chiusa si accodava
:
Torraca,
157.
12
giambico
all'altra caratteristica,
nel Ritmo,
come
in
gli
nel Sant'Alessio,
versi lunghi
sono
otto-
narli doppii,
tico.
Ma non
combinazione
degli
endecasillabi
piuttosto con
il
raffinamento che
Tutto
dop-
pio non
il
meno
carme abecedario
L'ottonario, doppio o
Ritmo.
al-
tragga
Dante piuttosto che alla fine del sec. XII .2 Dunque arcaico quanto il ritmo ha un suo proprio schema strofico, fissatosi ormai in una fronte di doppii ottosi voglia, ma nari e in una chiusa di endecasillabi intramezzati da un ottonario semplice. Se non che al D' Ovidio sembrato possibile ammettere che l'autore del Ritmo non siasi attenuto sempre fedelmente allo schema fisso e che sia inaccettabile la persuasione fallace del Torraca e mia, e credo di molti altri che tutte le strofi debbano essere state d'un conio affatto identico, quello che potremmo formulare cosi aA, aA, aA, a, ^p, distinguendo col greco gli endecasillabi 3 e altrove aveva ragionato questo suo concetto cosi : Lo schema della prima strofe ci d fra il tristico di otto-
in fine e in mezzo,
il
distico
di en-
un ottonario semplice echeggiante per la settima volta le rime dei versi lunghi e un tale schema si riproduce esattamente nella strofe III, nella IV e neir Vili. Ma, a prescinder dalle altre ancor pi lacunose, quali la V, la VII e la X, e dalla XII che non sappiamo
decasillabi
rima baciata,
monca
trascrizione, noi
abbiamo
corruttela,
Cfr.
D'Ovidio,
Ivi,
195.
p.
177.
13
senso, se Dio vuole, cammina, parecchie indubitabili divariazioni nello
schema
il
ter-
due ultimi
e
i
quattro,
quattro fan
rio
scempio, e
come due distici, intramezzati da un ottonala medesima rima, in tutta questa massa, ri-
si
ha un verso di
finali.
e che
aderisce e
rima
coi
due zoppi
endecasillabi
gruenze
testo vi
il
ha tanto
l'aria
me sembra
si abbandon a non erano fuor d'uso nella tecnica d'allora. manifesto che due sole norme costanti ebbe il poeta cominciar la strofe con degli ottonarli terminandola con degli endecasillabi, e cominciarla con una rima terminandola con un'altra.! Gravi veramente le osservazioni del D' Ovidio, se non ne restasse attenuata la gravit dalla formola del dubbio ond'egli le viene accompagnando
ma
gravissima
la
saremmo innanzi
uno schema generico e potenziale, direi quasi, rimatore come un avviamento che gli consente di piegare a destra o a sinistra a suo capriccio, secondo che la materia o la rima gli abbonda o gli manca, mentre tutta la poesia del tempo suo si svolge in forme fisse, secondo tipi che, una volta adottati, sono osservati dall' un capo all'altro dei singoli componimenti, quasi in obbedienza a un principio assoluto. Non negher io che parecchie indubitabili divariazioni nello schema possano rintracciarsi nella
e' e
il
non
e' ,
quale serve
al
Ivi,
p.
122-123.
u
ritmica volgare e nella ritmica latina
;
ma
rebbe da vedere se e in
vute agli autori
siano
stati
quanto
le
ai trascrittori,
specialmente se
testi ci
non dagli autografi, ma da anteriori trascrizioni fatte a memoria come, anche a giudizio del D' Ovidio, sembra esser il caso del Ritmo casinense, e come poi sembra indubitato essere avvenuto per
conservati in apografi derivati
;
per ora il ritmo di Sant'Alessio. Ma di ci a suo luogo parmi opportuno chiamare a rapida rassegna i testi, nei quali stata riconosciuta una conformit fondamentale con lo
;
schema
con
la
del
Ritmo casinense,
di
la fronte di
pi versi doppii
chiusa
di tali
pi
endecasillabi,
esempio
III.
si
possa poi
il
criterio
o variabile
e anzitutto sarebbero
da considerare le poesie di versi compositi a tetrastici monorimi, forma prevalente nella letteratura didascalica e religiosa dell' Italia superiore, perch il metro pi complesso, prevalente nella centrale e nella meridionale, potrebbe ben essere ritenuto un ulteriore svolgimento di quello, se la priorit cronologica bene accertata di alcune almeno delle composizioni
del centro e del
concetto.
Ad
ogni
modo non
c'
bisogno di
inutili analisi
la strofa tetrastica,
dove preanzi,
di
una
fissit
sembrerebbe interporsi una forma toscana, da considerarsi quasi anello di congiunzione tra quelle, perch alcuna volta il tetrastico si allarga a cinque o sei versi, assume cio una
15
specie di coda formata da un verso o due pi brevi. Questa forma intermedia rappresentata da uni. poesia religiosa, ch'io trassi gi da un codice toscano del 1274; la quale a pi indizi si pu senza scrupoli n dubbiezze far risalire ad epoca anteriore, sia pure di non molto tempo. Rileggiamola
come
mutamenti.
I. A voi vengno, messere, o padre onnipotente, che de' tuoi benefici mi faccie conoscente,
e di perfetto
e
5
amore
eh' io
ti
sia
servente
de
la
II. Eir pi lucente che nonn il sole o luna ed pi purissima che nulla creatura a voi mi racomando, o vergine pura, che stai nel cielo inperio in quella grande altura.
;
III.
Che
ne
la
IO
senpre
io
gli se'
lo
tuo conforto,
rotto
;
se tu m'abandonassi io sono
15
chome nave
madonna, dirizzami
dinanzi
al
20
V. Messere, rinfiamami lo core con tutta la mia mente ed acendi la mia anima d'uno foco molto ardente e da me non si diparta in tutto il mio vivente, quando verrabbo a la mia fine di me ti sia a mente.
VI.
e se
di
me
lo
ti
sia a niente^
o glorioso padre,
che mandasti
priegoti,
medesimo diede prezzo per la nostra necessitade messer, che nel numero de gli aletti mi deggie
[choUogare.
il
codice magliabechiano
trattato
II,
prossimo
altre
Dell'amore e della dilezione di Dio e del Albertano da Brescia, i Fiori e vite di filosofi e molte prose del primo secolo. La poesia, che vi sta alle e. 1041il
di
me
;
i6
25
VII. Messer, per la mia pocha fede neente prendimi ad atare e dami lo tuo conforto,
e dirizzaci a la via, conducici al
ti
congnosco
buono
porto,
posto.
30
anzi sia
e che distrugha
e
mio aiutorio quello sangue colorito, il mio peccato e da me parta ongne facciami aprire le porte e metami in paradiso.
IX. Messer, sette sono
i
vizio
cieli
ove sono
si
tuoi abitanti,
;
li
angieli e
li
35
X. Messer, a
e r
te
ubidiscono
i
tuoi
uomo, chu
lui
ti
40
per
desti a
morte
si
tt'
disubidente.
mi riconperasti
perdonasti.
ed a Maria Madalena tu
45
le
quando
e
si
li
giuderi
ti
ti
neg[]
:
perdonami, messer, da
XIII.
non
sia lontano.
Da
te
non
sia
50
techo sia congiunto di perfetto amore e la morte che patisti senpre la porti in chuore
e da
me non
si
mondo
s[ono].
afritto
55
Infino eh' io sono nel mondo sia il mio chore dura morte che per noi patisti. Cristo, guardando ne la croce chome fosti confitto ne le mani e ne' piedi e aperto il lato ritto.
XIV.
la
per
XV.
che mi faccie perfetto in fede e largo in charitade, e dami disiderio chom' io ti possa amare
6c
e
perfetta discrezione
17
XVI. Anche ne voglo pregare la niaestade divina che l'ordine de gh angeli si cre in prima, poi form Adamo, di lui si trasse ad Eva
65
e
mand
lo
priegoti, messer,
suo figluolo a la vergine Maria, che inn anima ed [i'] corpo mi tengne in
[tua balia.
70
XVII. E tengnami in balia accio k' io ti possa amare, con core dilettoso te senpre dilettare e fami l'anima ioconda con techo iubilare e tanto sia il diletto che mi faccia innebriare.
;
XVIII. E fanmi innebriare con tanta dolcezza che '1 core si lievi a ballo, con dio faccia gran festa e fae l'anima ioconda con tanto disiderio che per fede e per isperanza senpre veggia idio.
75
e e
XIX. Ancor
ed abondimi
ti
la grazia
d'uno righame
di
che ne lo stato de
Amen
Sono diciannove
la
-
rima perfetta
(I
e V,
ente
are),
ma nelle altre strofe facili e abbondanti che abbia la lingua predomina l'assonanza. L'assonanza pura, con la sola diversit della consonante semplice postonica, si ha in un unico caso in altri (st. III, VI, X, XIX) la consonanza (II, - oia, - uva)
;
;
conseguita per
mezzo
di sillabe
il
complesse corrispondenti
: -
tipo
(st.
;
adre
-
art,
ade,
ale)
si
IV,
-
osco,
:
osto
X,
- e7iti,
ente
XIV,
itto,
isto
XVIII,
ezza,
est) pi singolare e primordiale l'assonanza della strofa VIII la quale per si lascia ricondurre (- icio, - izio, - ito, - iso),
-
al tipo
(-
dell'assonanza pura,
-
come anche
(-
quelle delle
-
st.
XIII
;
one,
ono,
ore) e della
tutto la
XVI
ina,
- ivia,
Eva,
io)
ma
anomala del
(a
dove a tuo vichario meno di leggere invertendo vichario tuo') mal risponserie
della XII
2.
i8
dono
gli
ossitoni
neg e lagrima,
peggio poi
;
la
finale
lontaio (se
non
si
corregga non
il
si alontano)
tanto che
ho
ri-
per un
momento avuto
i
facimento toscano
fallace indizio,
di testo campano-laziale,
ove a un vicaro
troppo tenue e
ma
specialmente se
si
interruzione
o tra-
coda della strofe. Questa prevalenza assoluta dell'assonanza sulla rima pura ci risospinge verso origini pi antiche, perch nella seconda met del s. XIII, in Toscana
se qui
da riconoscere
di
la
culla di questo
componimento.
ma
era
or-
La compagine metrica
di que-
di strofe tetrastiche
:
assonanzate di
composito, perch
il
cun legame
di
collegamento
il secondo comincia per vocale primo emistichio adunque per Io pi un settenario piano e regolare, e le deviazioni che appariscono sono di quelle pi ovvie nei manoscritti e faci che pu ripecilmente riducibili sul diritto cammino
quando
:
frequente
la sinalefe
il
''
* Non alieno dalle consuetudini letterarie del tempo, se si pensa al rifacimento toscano, scoperto e illustrato dal Bertoni, del Libro di Uguccione da Lodi. ^ Versi ove potrebbe per emendarsi, v. 6, ed 6, 15, 17, 34 ne ; 15, o madonna ; 17, o messere, o mediante ima dialefe come
;
nel V. 34.
^
manca
la
nei vv.
1,
7,
8,
58,
65
=
si
ha invece nei
1.
vv. 31, 32, 33, 34, 36, 40, e forse 45, 67.
la
V.
;
4,
5,
de
congiunzione cotolgasi
(id.)
pulativa)
ellla]
;
Degiemi
lid.)
;
(id.)
15,
glossema
inutile
iS,
acendi
cfr.
19,
da
me
madonna, da oppure
me non
si parta,
ma
v.
52
20,
tno
^9
forma il secondo emisempre piano anche in queir unica strofe, la XII, ove non certezza dei due ossitoni ieg e lagrima, ma sar da integrare per l'uno e per l'altro con la forma non ignota all'antico toscano del perfetto indicativo in- ao^ ben inteso che anche per la parte seconda del verso, bisognano qua e l facili emendamenti per contersi senz'altro
per
il
settenario, che
durla alla giusta misura delle sette sillabe. 2 Osservabile ancora, per ci che concerne la metrica, che questo ritmo pre-
al
collegamento delle
:
strofe,
meI
cosi si spiega
la reite-
razione della
(le st.
II
-
parola
iniziale
IV includono una speciale invocazione alla Vergine) V^ VII - XII, XV, XIX, (nella VI in fine, ma non credo che si abbia a trasportare nel i verso, 1. Messer di
me
ti
sia a mente)
il
col-
legamento mediante
delle parole finali,
ogni stanza
o almeno della
idea,
della
precedente
JgL
cfr. V. 65 23, s medesuio diede ; 25, per poca fede; 26, prendimi ad a[H]tare oppure p. [tu] ad alare ; 27, e drizzaci; 29, togliere Messere; o anche 1. Messer, lo prezzo che desti ; 31, Distruga, ecc. ; 32, /acciaiai ; 33, so' i cieli : 35, 41, 48 e 57, messerlel ; 43, e 'l ladro ; 44, e a Maria ; 45, Messer Petro allegiesti ; 46, giudei ; 50, fare una dieresi, sia? o meglio 1. [e] teco ; 51, la morte (togliere e); 52, cfr. v. 19 53, /njin eh' io son ; 54, il compenso nel che del 2'^ emistichio; 58, Fami perfetto ; 62, togliere il ne, superfluo 64, /"/ poi oppure Poi [che] 65, 7 suo cfr. v, 22 69, Fami ecc.; 72, cor; 73, Fe ; 76, per fede e isperanza ; 75, Ancor priego. Messere ; 77, D'un rig. ; 78, Fe 'l cor ; 79, Che in lo st. oppure Ne lo st.
; ; ;
Monaci, Crestomazia, prospetto grammaticale 527. <7 vergine [alta e] pura ovvero o [JMaria] vergin pura; 9, a la destra; 14, son come ; 15, buon; 16, che per noi fue morto ; 18, d'un; 27, buon ; 35, fan si ; 37, / cieli e gli alimenti; 43. so ke [tu] lo; 44, tu [a] le' ; 45, Petro non si sa se appartenga al i^^ o al 20 emistichio, ma forse una glossa 49, cha*
Cfr.
V.
8,
gone o casgione', 52, infin ; 60, togliere con ; 62, maest ; 70, toghere il che; 71, [eo] tanta: 76, d'amor o de P autor eternale ;
79, beri.
20
(ripresa di parola,
st.
II,
III,
IV,
VI,
XIII,
XIV,
XVII,
dal
XVIII
IX
pa-
XII, il perdono a Maddalena e a Pietro), perch la mancanza del collegamento nella V dipende dal distacco di senso generale, precedendo una preghiera speciale, e cosi pure
XVI, mentre il collegamento manca del XI e XIX. Queste incongruenze dipendono da guasti e da lacune o furono effetto di una libert che il poeta si concedesse ? Quanto al venir meno, in alcune poche strofe, l'invocazione iniziale Messere, mi pare pi naturale che il rimatore l'abbia fatto pensatamente anche dove non c'era la special e ragione che ho accennata per le strofe II - IV c'era invece nella VI e nella XVI la presenza dello stesso vocativo nel
nelle stanze e
tutto nelle st.
XV
VII, X,
verso
tenere
finale,
il
nella XIII e
XIV
gli
pen-
tivi sufficienti,
;
Dio.' Se questi non siano tenuti per monon saprei altrimenti spiegare l'apparente incongruenza ma per quella che nasce dalla mancata rispondenza di parole e di pensieri (fuori di questione rimane la st. V) il caso appare diverso e sembra proprio che sia dovuto
Infatti, se allast.
VII
fini:
manca
la ripresa iniziale,
la
VI
numero de
e
gli aletti
mi deggie coUogare.
il
Sono almeno
pre troppe
ci
21
sillabe,
anche togliendo
messer sem;
si
;
che parp.
es.
mi deggie collogare
fedeltate].
con dio 72 dove la frase che '1 cor che l'autore aveva il pensiero conferma faccia gran non parlava pi direttamente a Dio alla maestade divina E tengnami ), ma alla maest , alla potenza di lui. (cfr. v. 66
Si avverta
il
v.
festa
21
Anche
la st.
possibile, pur di
Per lo prezioso sangue che spandesti quando nella croce fosti posto,
la risoluzione in
due endecasillabi
quando
croce
fosti
posto.
La
st.
si
apre con
universale
mentre
la
la
e perch
accennasse
Cosi tra
la
e l'XI
sembra mancar
genere disub-
dell'
uomo
in
avesse accennato
ri-
egli
dopo averlo invocati per s. La formola della preghiera scuser la mancanza della ripresa iniziale di pensiero nelle st. XV e XVI, le quali entrambe ci presentano altre anormalit in tutt'e due abbiamo un verso in pi e, oltre a ci, nell' una il quarto verso del tetrastico non consuona per rima o per assonanza coi precedenti, sebben sia facile restituire il testo con una invercordo
e di Pietro,
: ;
Maddalena
sione^
che ha
il
il
misura leggendo
e
perfetta umiltade
quanto
altro
al
verso in pi nella
XV
leggendo
non disgiunta
il
nella
XVI
poich, dopo
:
tetrastico regolare,
seguono almeno 19
anima ed
i'
sillabe
corpo mi tengne
il
in tua balia,
non
basta,
come
vocativo
ma
si
mi tengne
inn
anima ed
i'
corpo
in tua balia.
Perch manchi
XIX
potrebbe una
ra-
la
come
la sintesi di
tutte
le
preghiere ed aspirazioni
;
enun-
ma
qui
piuttosto
da notare
di rime, per
quale
si
viene ad avere
distica
con
Riassumendo adunque, in questa poesia toscana della met circa del secolo XIII il tetrastico d'alessandrini monorimi non mantiene salda la sua rigidit schematica, ma sembra ampliarsi d tanto in tanto in una forma pi complessa, per cui esso costituisce la fronte di una strofe chiusa una da uno o pi versi, della stessa misura o pi brevi forma, che rappresenterebbe appunto il trapasso da quella prevalente nella poesia settentrionale all'altra, che abbiamo
:
IV.
Or riprendo
il
cammino,
dal quale
ci
una necessaria o
ha
fatto
al-
digressione
alquanto de-
tipo che si riconosce anzitutto in cinque contrao poesie a dialogo di argomento amoroso, o almeno tra
;
un uomo e una donna per casi d'amore. Primo e pi famoso di tutti il contrasto Rosa fresca mdcntissima, del quale ora non sarebbe pi erroneo, come
avremmo
d'Alcamo
sino a
;
ieri
creduto,
il
citarlo
il
come opera
di Cielo
dico
ora,
da poi che
il
D' Ovidio,
oltre
che
restituire o
almeno riavvicinare
contrasto alle
sembianze
solito, in
ci che egli ha fatto, al che pot avere originariamente modo magistrale, aggiungendo un commentario esegetico che non lascia ormai quasi pi nulla da dire ad al-
tri,
lui
riconosciuto
;
la possibilit
che
di
un siciliano
studente di medi-
cina in Salerno,
parlare di Sicilia,
ma sempre
come
nell'
dovette leggerlo
Sono trentadue
tre
strofe,
ciascuna delle
alessandrini
quali
composta
di
doppi
settenari
e
ossia
a cesura sdrucciola
monorimi
alessandrini e
due endecasillabi, con due rime 1' una per gli secondo lo sche'altra per gli endecasillabi
l
;
;
+ 7-4 + 7 ^
+
B.
7 .4
II l
II
A
di
si
metro e
contenuto,
il
come
acutamente Setitolo di
verino Ferrari,
can-
zone lombarda
fu
conservato
il
frammento
Il
iniziale di
due
strofe
dottissimo
bibliotela
cario,
nel
can-
zone in dua mia manoscritti, uno cento anni con che si risale alla
;
XIV
come
al
principio del
XV. Ma
tempo pi remoto
farebbe penfor-
sare
il
metro, se invece di
considerare la strofa
mata
tosto
di otto settenari e
i
settenari
mi stringie Amor eh' Donna, la mia disgrazzia ched Amor mai si sazzia per altri nuovi amanti. Gagliarda, fresca e morbida ti stai ad un balcone
e fami ciera torbida
e afl'occhi di falcone
:
i'
canti,
D' Ovidio, Versificazione italiana, pp. 589-746. Nel codice autografo Magliabechiano li, II, 109; donde
il
Io trasse in luce
critica della
leti,
ital.,
traditor malvagio,
che n'i tu a
far,
che cianzi,
n palagio?
lvamiti d'innanzi!
di me a torto cantasti, che sanza colpa o biasimo quando ma' lo pensasti possa spasimo, si non mora, che del fin cor t'amava, pi t'ameria, se ci non fosse, ancora .
pigliarti
;
Il
metro pi complesso
di
rime
di quello
:
che abbiamo
in questo,
il
come
primo emistichio del verso doppio sdrucciolo, ci che rendeva forse difficile mantenere la stessa rima per tutto il tetrastico e per l'autore introdusse la maggior variet innovando le rime da coppia a coppia. Un altro frammento di contrasto fra uomo e donna, anch'esso di due sole strofe, ci stato conservato da un codice napoletano, che del tempo, presso a poco, del perduto magliabechiano. Conformit esterne accidentali ma ben pi osservabili sono le conformit interne, poich lo schema metrico identico e anche lo svolgimento concettuale e l'into;
;
tanto
che
io sarei
tentato a considerarli
del
il
come avanzi
di
un unico
ci
componimento,
avrebbe serbato
quale
^
l'apografo
il
magliabechiano
la
principio e
:
codice napoletano
fine.
Ecco
le
due
strofe
Pubb. da E. Monaci, nella Riv. difil. romanza, II (1875), MiOLA nel Propugnatore, tomo XI, parte II (1878), p. 312 dal cod. della Bibl. Nazionale di Napoli V. C. 20 del principio del sec. XV (e. 410 a) alle due strofe che sembrano essere le ultime del contrasto, precede un verso
1
115 e poi A.
strofe, nella
quale manifestamente
di servit
amorosa
2,5
ben ragion d'ucciderti corno servo fallace; e a te tornar mi face piet m'induce a riderti, come caro suggecto ti perdono, e tua donna m'appello dove sono.
"~"
^
:
del
mio cor
sole e luna,
:
desio e
bramo vivere
benedica
gli
se'
degna
in terra e
el
che
fa
come
il
piace
caldo e
gelo. Anieti.
Se
suoi caratteri
di
poesia
direi impossi-
falcone,
il
con espressioni dotte e latineggianti, quali piet m' induce a riderti , tua donna m'appello , alta chiarezza e previa,
almeno proprie del formulario della si riportano le frasi mi stringie Amor, del fin cor t'amava, come servo fallace, a te tornar mi face, per te servir benigna, che d'ogni onor sei degna. Tutto ci farebbe pensare che il contrasto, quando sulla fine del Trecento o sui primi del Quattrocento
m'ardisco a scrivere , o
lirica
cortigiana, al quale
fu
non fosse molto antico e certo una elaborazione, che non pu essere stata breve, sembrerebbe attestata dal metro, dove non pure abbiamo il maggior artifizio delle rime sdrucciole
si
ohe
si
II
la
lezione
del
Mo-
petito sensuale,
In/.,
XXII,
15.
^6
lel
ma
anche
il
variar
delle rime,
pia
interne e
si
delle finali,
-|-
] b
%a
8 e
II
II
-f
T b
rf
E
E.
^
Del resto
la toscanit
manifesta
un elemento da tener presente, chi voglia ricercarne l'et almeno approssimativa mostr'a ciascun da pie e da cavallo , lvamiti d' innanzi, si non mora , tu mi scongiuri adosso, ben ragion, alta chiarezza sono locuzioni che hanno un certo carattere di arcaismo, non remotissimo, ma pur sempre tale che non ci impedisce di risalire a tempo anteriore a Dante, forse all'et
questi contrasti
:
guittoniana,
l'
sebbene
la
del-
V.
Non un
frammezzato
^
vero contrasto,
di
la
ma un
dialogo
a
animato e
in-
parti
narrative,
quasi
di
dichiarazione
del
Contro
toscanit
del primo
danzi: innanzi, che pu esser stata grafa tardiva e analogica invece di cianci : innanci ; non sufficiente ad ogni modo per giustificare il battesimo di canzone lombarda . Quanto all'altro frammento, il conio del v. 3 contradetto dai due come dei vv. 5 e 12 e quanto alle rime benigna: degna, basti ricordare che la stessa coppia di rime abbiamo in una canzone di Paganino da Serezano, secondo il vaticano 3793 (ed. D'Ancona e Com;
paretti,
voi.
I,
p.
104
(cfr.
Monaci,
33).
27
dialogo, si ha in un frammento bergamasco conservatoci il quale riprodurr secondo un atto notarile del 1340 testo datone da Vincenzo De Bartholomaeis.
^
;
in
il
fino,
meo padrino
!
Oy De
lass'a
me
dolento
confessarte al preyto
Lo
losengasse,
!
elle
soe compnie se a
la
messi anasse
padrino
meo
zentile,
Eco
la
cappa
te reco
davante
tostament
al'
indossava
;
mansueto se n'andava
:
donna siilo vide a l'andar lo figurava Ben zurave qu'ello '1 meo marito anco ye donar lo zorno mal compito! .
Lo
ch'el
zeloso a
la
fanestra
stretament incapuzato,
no tenia
ol volto
ad essa,
domandando
:
'1
so pecato.
20 Ella
donna
te
si
Anco
dar
Fu
bergamasco,
pubbl. dapprima da E. Zerbini, Note storiche sul dialetto in Atti dell'Ateneo di Bergamo, a. 1886, p. 25 e sgg.
;
LoRCK, Altbergamaskische Sprachdenkmler Halle, Niemeyer 1893 p. 89 e sgg. (cfr. A. Mussafia in Literaturblattf. german. und roman. Philologie, a. XV, p. 56, e P. E. GuarNERio in Giorn. st. lett. it., voi. XXXIII, 432-433) e finalmente con migliori cure da V. De Bartholomaeis nel voi. di Scritti vari di filologia {a Ernesto Monaci per l'a. XXV del suo insegnamento gli scolari), Roma, Forzani 1901, pp. 204-205.
poi da G. S.
,
;
28
zazi'
meo
Ma
dirte
voye tute
li
me
peche,
e'
son zazuta
el
un
!
lenzolo,
;
amante
pi ca la niatre lo fiolo
meo
marito lo savese,
E' tello digo, preyto, ella gran credenza ' 30 de', tenime zellata la mia penitenza
!
il
ma
le
Non
il
singolare
?
terzo verso
il
terzo verso
senso continui spesso, legato abbastanza salinvero chi rilegga la prima strofe, tutta di se:
damente
andarmene voy al Santo Doman, a Pasqua rosata, done apresiate tanto con dona Anesa [e] dona Blonda, lasme andare [meo] marito fino, a confesarme in poco al meo padrino
;
logica,
si
piuttosto
un
si
diri-
il
bisogno
po tempo (De B. emenda un poco) ; 8, soe, che pur si pu difendere (De B. /oi?) 11, e favelar, dove non alcuna assurdit
;
come parve
al
De
si
B.,
che corresse
in
favelava
dirsi
nella quale
doveva
il
che
moglie anri-
accorse che
15) e
il
cosa e
do-
ud
il
prete dire
al
marito di
che
gli
prestava
la
propria ve;
dunque /avelare
col inercadante
;
19,
nia7idando (De
amante,
si
domand^ ma perch mai ?) 27, v. e ll' spiega benissimo (De B. accetta qui l'emendazione
B.
:
del Mussafia
e ll' amalo).
29
eia tre circostanze essenziali
come preludio
alla novella
an-
data alla chiesa in compagnia di due savie donne (particolare atto a dissipare
i
sospetti coniugali),
(cfr.
il
permesso chie-
stone
al
marito geloso
v.
21),
il
fine
fessione pasquale.
Seguono
le
ma
sono
moglie o non piuttosto una specie di soliloquio? o 1' una cosa e l'altra insieme ? A me non par dubbio che il marito
parla alla moglie,
tra s e s
^
:
ma
me
.
Oy de
(forse,
lass'a
dolente
per aventura,
.
a confesarte al preyto
Ma qui il senso non corre pi e il trapasso al resto un piccolo mistero, che si chiarisce ammettendo che il marito riprendesse a parlar tra s, press 'a poco cosi
; :
(Se eo lo losengasse
e se le soe
cio se io adescassi
il
suo po-
per sentir
compagne andando invece presso messa non si accorgessero della sostituaccorda col prete che gli
si
zione di persona.^
Corre dunque
cede
la
alla chiesa, si
;
sua cappa
e l'aneddoto
decimo verso)
1 se inte g laso andare a confesarte discorso diretto vece starava troppo a tornare equivale a starebbe (cfr. gli esempi della i^ e 3^ pers. in ave nel Mnaci 540 e 542, nessuno di 2* nel ma non escludo ve ne possano essere), non pu \ 541
;
Anche
il
cepire
30
prestame una cappa un poco, O padrino meo zentile, e favellar [con lei per gioco ?] che vorria star zelato e [lo preyto dicea] col mercadante Eco la cappa te reco davante .
:
il
travestifi-
nestretta dell'audizione
e la
confessione
incomincia
due
in
entrambe
e poi un'altra di
ci
compie. N
bisogno
supporre
simo e
i
le
di
qualche sillaba
versi
son
riducibili.^
Il
'favolello
'
bergamasco
strofe:
il
non
frammentario,
il
non manca
gli
di esso
nessuna
^
racconto ha
che anzi ne forse una derivazione.* Al pi mancherebbe qualche verso, secondo il De Bartholomaeis di modo che lo schema un solo emistichio, secondo me
;
fu
l'abitudine
pi
costante
Basta
. . .
1.
nel
v.
17
zorjio
v.
1.
La
dona el cor (= nel e); 21, 1. el zorno ; 24, 1. el p. non te ascondo; 26, \, volt' ? ; 2-/ ca inatre; 28, toglier meo; 30, toglier la mia. Nel v. 16 si restituisca zura[ra'lve, i^ pres. del condizionale. Nel V. 29 ella gran credenza vuol dire nel pi gran se,
greto
2
Tableau fu
si.
leti, it.,
VII, 458
me
titolo.
tale
Decanter?!, giorn. VII, nov. 5. L'aneddoto fondamenappare gi nella Mensa philosophica di Michele Scoto e di Teobaldo Anguilberto (s. XII-XIIIj, in una delle Novelle antiche,
nel fableau
Du
chevalier quifist la
cfr.G. Rua,
Le piacevoli
^
notti di
M.
F. Straparola,
Roma
1898, p. 47.
io gli
Notevole il riscontro tra il v. 21 e le parole del Boccaccio: dar quello che egli va cercando .
31
della poesia volgare antica,
il
medesimo
ma due
(la
IV e
la
+
-f-
8 8
^ ^
^
B
B\
8
II
II
+ +
E
B.
8 .4
8
A
tata,
1'
attenzione
degli
studiosi sopra
un
bene accer1'
almeno entro limiti discreti, il quale ci presenta coppiamento del doppio ottonario con l'endecasillabo
ac-
Nonn
si
strano linguaggio
;
k'om studioso
sia
et
ben saggio
i
sia grecesco,
barbaresco
ma
5
il
'I
II
ma
il
et fa
ciascun
uom
te;
[nebroso
volere da la mostra discorda.
Pessima compagnia
di
/ sermoni
In fine
ai
cit.
versi scritto
dicendo
Domine
libera
animam meam
32
Questi versi sono di Remigio Girolanii fiorentino, vissuto
dal
1235
al
1285,
in patria
verso
:
il
1290
c' rimaai
di
scritti
prologi o prolusioni
che Dante
fre-
sequentiae e rithimi,
tutti
la-
un
altro
suo ritmo di
Il
gruppo dei ritmi nel codice autografo degli scritti di fra Remigio * dopo un estratto degli atti del capitolo generale oxoniense del 1280; ma un elemento cronologico d'incerto valore, poich a quell'estratto precedono i discorsi d'occasione, che cadono tra il 1279 e il 1305 pi utile l'osservare che il ritmo sulla menzogna con la sua parafrasi volgare sta fra un ritmo composto fuor di patria
giardo."
:
come giustamente
rilev
il il
Salvadori,
cosi
che
versi volgari,
che
danno un esempio
della pi sem-
plice
rientrerebbero
terarie,
let-
ma
or questo essendo
un versetto
a
del
Salmo CXIX,
v.
2,
dichiarazione del
io (che
lega per
il
senso
al v. 11,
ove
ra vale prega).
i
Salvadori,
1.
cit.,
p. 503
satis intelligere
possum
me
scio grossum.
Dat natura, potest homo sensum sumere lingue omnis nomquam potest mendacis summere lingue.
;
homo
fictus
homo
pictus.
4)
Le poese ritmiche
con
la
33
si
Questa combinazione, nel breve ritmo del Girolami, non deve considerare come il semplice alternarsi del doppio
in
una
serie
indefinitamente
continuativa
compagine
sillabi si
strofica,
compagni,
gli
endeca-
modo da
costituire
con
i.
(4
strofe tetrasti-
8 che, collegate a due a due dalla rima finale 8 8 y^H 8c 8c yb Se nelle altre due strofe il verso 4" ottonario
due prime di sette sillabe, ma sdrucciolo sequenza distinta in antifone, versi (ritornelli) e responsorio (mescolanza di settenarii e senarii) 3, 4, 5, versi isolati (un verso leonino sarebbe allusivo, secondo il Salvador!, all'impresa 6. tetrastico di Carlo di Valois in Firenze, ma io ne dubito) di leonini per il sepolcro di Manente; 7. ternario di leonini per 8." distico il sepolcro di lacobo Alfei, costrutto da Bonaguida
piano, mentre nelle
2.
;
; ; ;
leonino
(le
occupazioni dell'autore)
;
9.
io."
sequenza
in
morte
di Luigi
IX
;
re
di Francia
(t
legate
e.
come
;
b. b. b. e.
e.
e.
ritmo sulle proprie avversit (14 strofe tetrastiche, tre ottonari e un quarto verso variabile le prime io strofe
d. ecc.
; : ;
sono collegate e rimate a due a due cosi a. a. a. x., a. a. a. x le ultime quattro hanno ciascuna una propria rima nei primi tre versi, ma sono collegate a due a due per la rima del quarto
verso cosi
:
a.
a.
a.
x.,
b. b. b. x.)
2,
12."
dace
(riferito nella
nota
AA, BB,
CC)
tesi,
chiamato
in corte di
Roma
come
nei
serven-
a. a. b., b, b. b. e, e. e. e. d., ecc., ma dopo la 6.^ che finisce con nocere seguono distinti in due gruppi dei brevi versetti, quinari o quadernari, con la medesima rima piana in -ere, eccetto il verso finale che in entrambi i gruppi sdrucciolo, terminando essi rispettivamente con facere e deficere v'
strofe
un amen che segnerebbe la chiusa del componimento, se l'autore non vi avesse aggiunto un'altra strofe di tre ottonari e un senario a. a. a. b. a cui si collega per la rima e un'altra
infine
:
di quattro senarii
b.
b. e. e.
f.
13.0 14.0
su
fra
Pasquale, 2 per
Vincenzo e
per
f.
Francesco)
16."
3.
34
versi doppii
un vero
tetrastico,
8 a
II
-{-
8 e
II
8 e
B.
logico del
Di che troviamo una duplice conferma nello svolgimento componimento primieramente ciascuno dei distici
:
un tetrastico della redazione in volgare e poi in questa abbiamo alla fine di ogni tetrastico una forte paura del senso, mentre invece nel passaggio dalla prima alla seconda coppia
in
;
di versi
grammaticale:
sco ecc. l'esemplificazione di non si strano linguaggio nella II non c' distacco, ma continuit d' antitesi
; :
Il
muto
s'intende...
ma
'1
III
il
legame anche pi rigido David d' essere liberato ra da lingua d'inganno, cio Davide prega di essere liberato da lingua d'inganno.
ri;
17."
preghiera a Cristo
(7
esametri leonini)
in
2,
19. 20."
4 e
4 esametri leonini)
consulto
di
(4
esametri di cui
aA. aA. B.
B.)
;
22. lodi
23." amdottore (4 esametri leonini monorimi) maestramento (4 esametri ritmici) 24. lodi di Tommaso d' A-
Compagno
25." sopra
una
ferita
in
due gruppi
in
la
di 7 e 6,
ma
forma di epitafio sepolsan Firmino (5 28. sul paternostro di san Giuliano (2 esaesametri leonini) metri leonini) 29. ammaestramenti (7 esametri leonini) 30. iscrizione sepolcrale di frate Lorenzo da Tours (tetrastico di esa26.^ lodi di
festa di
metri leonini)
tra
31.0
ammaestramenti
30
(5 versi)
; ;
(6
al-
redazione del
il
n.
(mu-
tato
34. la
barba e
il
capro
(3
esametri
leonini).
35
VI.
Pi arcaico dall'una parte, per ci che appare dall'into-
moglie infedele e
il
marito,
in cui si svolge
potrebbe
tratte-
Anche
di
que*
dobbiamo
il
testo
alle
cure del
De
Bartholo-
Perdona b
a l'incolpata,
el te plasir
!
[e]
prenden[e] venglanca
meser me', s'el te piasi veco ch'ai te desplasi tego ne voy far pas[i], fo' i[n]g[annat]a odo me', s' el te plas intregamente fedel[e]mente a te voyo servir .
Perdon' a l'incolpata,
f'
;
falanca,
12
Dona, perch ^amay pensas ai falimente ? amata a tutt'el me' vivente, n in altra donna mai non mis intendiment[e] perdonanca da mi non av[e]ra[i] co a che fi t'ay tu non me pot'avir .
Meser, umelamenti
ve q[uer]i perdonanca
se v' fato falanca
s'
;
me
'n
creco moriri,
el
m[e'] volire
Madona, [non
te nego,]
me
conven obbedire
:
me
falre,
perdonan[ca]
da mi non pot'avire.
di altre
Gi per
la
compagnia
cfr.
XX,
317-325.
un
36
al
quale
ne dobbiamo
di canzoni e
la
conservazione,
;
si
pensa subito a
appartiene a un
ri-
perch esso,
gruppo
ballate
Ugo
di
zone
di Aulivier
ch una di
la met del anche pi su, poicodeste poesie, che risentono molto 1' influsso della
ecc.
potrebbe
lirica francese e
di
un solo rimala
tore,^ contiene
il
partenza delal-
molti
parteci-
parono
strofe
dall'alta Italia.
mista di versi
doppii
;
endecasillabi
alla
forma
da
fatta
la ripresa
che
alla volta
;
21-22)
ma
la
prima parte d'ogni stanza che dovrebbe svolgersi in due periodi costituenti le cosi dette mutazioni di un periodo
solo,
una specie
di
farci
pensare
a un periodo di elaborazione iniziale della ballata, non ancora il tipo strofico della canzone di danza
quando
si
fosse
Gonzaga
(cfr.
Romania, IX,
509,
XIX,
del sec. XIII. Nelle ultime quattro carte erano state scritte delle
le
pergamene
tor-
componimenti.
e
Dominus lohannes IV e Vili sarebbero degli autori, a quanto mostra di credere il De B., che per un d'essi fa l'opportuno richiamo al nome Dominus Petrus ond' accompagnata nel cod. Ambrosiano R. 71 sup. una pastorella itaI
nomi
di
Dominus Petrus
scritti
Bertoni, nell'ediz. del Cattz. R., Dresda 1912, prof. G. Bertoni mi assicura che nel codice parigino codesti due nomi sono scritti in modo da non potersi ritrarre con certezza l'idea che siasi voluto indicare gli autori.
lo-francese
p.
(v.
XXII).
Ma
il
37
definitivamente fermato nello sviluppo di due mutazioni.^
Lo
schema metrico
della stanza,
1'
ha gi notato
di
il
dotto editore,
;
monorimi e
due endecasillabi
senonch, egli continua, il secondo periodo [s'intende la volta] non monorimo ( tale solo nella terza stanza) l'ultimo verso rima sempre con la ripresa e il penultimo rimato variamente. Si avrebbe dunque questo schema
: :
per
la
ripresa
38
lezione del codice n mai in altra domia a n in altra donna
mai;
'n
nella 3^
il
mutar
:
13
Meser, umelame?iti ;
v. 15
be'
me
te
e nella 4^
iniziale la ristabilirebbe
18:
non
Venendo
riodo
alla volta, se
la
mancanza
il
di collegamento per
pe-
precedente,
primo verso restasse senza corrispondenza col resto, cosi campato a mezz'aria prima del verso finale, che, come noto, deve in ogni stanza ripetere la rima di chiusa della ripresa. A evitare questa stranezza occorre opportunamente la rima
interna dell' ultimo verso, nella quale riecheggiano
finali del
i
suoni
verso antecedente
:
nella i^
st.
ci dato senz'al-
(w. 6, 7 intregamente: fedel\e\mente), e cosi anche nella 2^ (vv. 11, 12 avr av[e]ra[i]: ay) ma nell'altre due stanze la cosa pi oscura. L'editore d il v. 16 cosi: certo non m' increto morire^ mancante almeno di una sillaba; ma avverte, con diligenza che ci riesce preziosa, che sopra increto si scorge come un /. ora, pur senza la
tro dal codice
:
me
sia le-
che vi
si
scorga
la
come un
ci
:
ut
che ricollocato
parola
dar
incre([zit]o, e
con
ynoi'ire certo
la
se no' v'abrago a
facili
;
el m[e']
:
Quanto
all'
ultima strofa,
il
mi
71071
dove
in-
gi
fatta
condo verso:
corrispondere
pe7'do7ian\Q\
da
7ni 7io?i
pot'avire;
ma
nel pre-
al
maschile
inte7id7nent,
39
anche essere un fosse (perch 1' intenzione o si ha, ma non avrebbbe a riconsi che tutto considerato il verso si si fa) oppure fos\se toa\ j\ag\es se e falca forma questa a durre intendanQa; perch 1' uomo che nell'atto di perdonare raccomanda alla donna di non tradirlo pi, (ja' mai no' me
:
falire! ,
pur nel
mente il dubbio che ella abbia chieder perdono una fal^a intendan(;a, la nuova
e gli passa per la
schema
di questo
contrasto
per la ripresa
stanze
II
II
X
a
-{-
per
le
7 7 7
j b
+ 7 + 7b
r
yX.
II II
Resterebbe a osservare la lieve divergenza tra la volta e interna, non mi pare la ripresa, ma, consistendo in una rima sia senza esempi;^ non anche credo che abbia gran peso, e dialogo dell' incol analogia certa una e a ricordare che
colpata
presenta
anche
una
famosa
poesia
dialogico-narnella
bevitrici,
quale
per del bodi una simile forma di 2^ pers. non ho esempi lognese odierno e in generale dei dialetti emiliani, ma nelle partipo il late urbane: nella campagna, ove meglio mantenuto
;
arcaico,
si
(cfr.
il
Riva, fecesse di
p.
pers.
in
Guido Fava,
Monaci,
Cresi.,
Potremmo anche
del v. i oppure cui venglanga del v. 3 rispondesse a incolpata parole ripetute a le con integrarsi a una lezione incompleta, da
principio della
st.
I
;
due
il
pi
[e] prendeti[e]
venglanca
al to plasire
40
gi
il
Carducci
d'alessandrini
allo
schema
della
ballata:
analogia che
la
si
estende anche ad
di
come
rispondenza
emistichi
rima o
di assonanza,
i*'
sebbene saltuaria,
tra gli
liniziali
del
VII.
Alle composizioni
lirico-dialogiche, nelle
quali
abbiamo
XIII, e particoII
armente
la
peratore, 3
im-
Poi che
piace, amore,
vegna a compimento, Dato aggio lo mio core su voi, madonna, amare e tutta mia speranca in vostro piacimento. E non mi partiraggio da voi, donna valente, ch'eo v'amo dolcemente,
eh' io
fina,
s'
inchina.
il
Tutto induce a credere che siffatta testura di versi, nota Monaci, lungi dall'essere una particolarit del contrasto
[la
Rosa fresca],
anche
fosse
invece una
moltiplicano, e l'ar-
la
s.
XIII
115.
XIV ;
Imola, Galeati,
II,
4
drino ed anche dell'endecasillabo colla rima pertanto sotto ai nuovi artifizi cortigianeschi
al
il
mezzo.
Non
vecchio tipo
La stanza della canzone frederisi ravvisa chiaramente . ciana sarebbe dunque da rappresentare schematicamente cosi
:
-\-
-]
7 e -^ 7 d
7
-i-
7 b
7C
7
+ 7d
7e
+
F
7 e
II II II
fG
G.
se pur qui si volesse dubitare, continua il Monaci, prima parte della strofa sia di settenari e non di alessandrini, si ponga mente al v. 5. Diviso questo in due settenari, il primo di essi in tutte le strofe sarebbe senza rima
Che
che
la
che non di leggieri ammissibile in un componimento di questa specie. Del resto questi raffronti potrebbero essere
il
ma
ci cadr pi
il
opportuno
in
altro
mo-
l'occasione di
il
ma
Biadene, che
se ne occupato studiando
principali della stanza per
italiana dei secoli XIII e
mezzo
XIV ,^ ha
quale non pu
che
casi in cui
di scarsa efficacia.
il
La prima
i
infatti
stringere
numero
degli esempi,
non a
Nel
cit.
voi. di
42
sero
tali
il
ed esterne.
Vili.
tipo che
Il
veniamo studiando
latini
che
tutti
meridionale.
Anzitutto ricorder la parafrasi
moribits,
i
prosa, assunsero
titolo di libro di
Calo}
corpo del poemetto, se ne dichiara autore del quale il Monaci, identificandolo con Catenaccio Catenacci cavaliere di Anagni,
ha rintracciate sicure
"
;
gono il fiorire nel tempo di Dante noi la conosciamo specialmente nel testo gi pubblicato da un codice napoletano del secolo XIV, ^ ma ve ne sono altri, quello del codice Trivul^
Per
le
redazioni in prosa
cfr.
E.
Monaci, Crestomazia,
p.
r.
5* serie, voi. VIII (1899) p. 245 e segg. Catenaccio de Catenacci anagnino fu vicario del podest in Todi nel 1283, podest di Foligno per re Roberto nel 13 io e podest di Orvieto
nel
1314 suo fratello Gua rnaccione, cui indirizzato il poemetto del Calo, viveva ancora nel 1325. 3 il cod. V. C. 27 della Bibl. nazionale, in cui il poemetto, scritto da due mani, occupa le e. 154^-185^, cfr. Miola, nel Pro:
pugnatore, voi.
codice
si
cit.,
p. 318 e segg.
il
e.
386^ del
ha, di
:
mano
155
ivi,
43
ziano 795, pur esso del secolo XIV/ e quelli di due stampe rarissime del s. XV, l'una di Napoli per Arnaldo de Bruxella- e l'altra di Roma ritenuta del tipografo Schurener de
Bopardia.'^
Le
tutti
forma attribuiscono
il
poemetto
al
non sono ancora state per con variazioni Catenacci,* tutti sono
:
due endecasillabi ma n in tutti la formazione del verso doppio segue la stessa legge n la parafrasi identica, che anzi vi sono delle divergenze assai sensibili. La i^ stanza suona nel codice napoletano
:
cosi
perch
io
venuto m'
allu
in talentu,
;
n'agia doctrinamintu
non cha de
Lu
A. T. Villa, Addizioni
e correzioni' a\V
Arg-elati, Biblio-
Porro,
Trivulziana; Torino 1884, p. 65. 2 Sulla fede del De Licteriis, Bibl. Neapol., voi. I, p. 169 registrata dal Brunet, Manuel, I, 1673 e dal Graesse, Trsor, II, 83; l'ha descritta E. Percopo, / bagni di Pozzuoli,
Calai, dei codd. mss. della
p. 36, nota, suir vmico
7, 8)
e. i,
3 descritta dall' Hayn, Rep. bibl., I, 75 n. 4750 e dal Brunet, I, 1673 sino a qualche tempo fa non se ne conosceva alcun esemplare ma il Monaci, che sopra questa edizione richiam
: ;
cit.
voi.
dei
Rendiconti,
p.
248,
st.
154:
le-
Caio
io
Catenacu
vulgare trovate;
Cod. trivulziano Incipit liber Catonis in vulgaristas rismas translati a domino Catenacio de Campania milite; e nella st. 154:
ediz.
napoletana
Ca-
44
e nel trivulziano cosi
:
De
et
fare
la
una operecta
ruzca gente
perch
non
fo
grande prohemio
a lo
cowmenchamewtu
me no' in placime?itu. cha dire parole inutile Lu Cato, ch' de gran doctrina plino, translateraiu per vulgare' latino.
Nella stampa romana
^
:
[D]e fare una operetta per che la grossa gente et non fo gran principio
comenzamento
non m' in piacimento. ca dir parole senza utile Lo Catho, ch' grande doctrina pino,
tranlateragio per vulgare latino.
poemetto
vi
come
st.
145 del
codice napoletano
che tou amicu scia, Se tu con alcunu intnnite ma lu ama tuctavia ma' per non splacereli, poi lo mecta in oblivia, anche issu, per tempora, la a[n]tiqua compag[n]ia tu stessu recorda[te]
;
:
ponamo che
illu falla
al
sou devere.
La
i^
l'
Hayn
2
Monaci, 1. cit. La stampa napoletana, mancante non reca la i^ stanza. Alcune ha notate il Percopo, loc. cit. p. es. la stampa
e dal
;
napoletana manca delle strofe 154 e 155 del codice napoletano e ha in pi una strofa dopo quella che corrisponde all'S^ del
fronto test fatto da
codice stesso. Pi altre cospicue difterenze ho notate in un rafme tra il testo edito dal Miola e quello
del codice trivulziano, che ho potuto consultare per cortesia squisita del bibliotecario
E, Motta.
45
Invece nel codice trivulziano suona
:
lo to
amicu servata,
;
no'
li
dar^ comeatu
costume mutatu, lo antiq?<o amor^ eh ' ma tucte bore te recordi porta a lo to amicu firmo ben volere,
se
statu
ponamo
nella
stampa napoletana
lo to amico servato, non li dare comeato se costume ha mutato, l'antico amore che stato ma tutte hore ti recorde porta a to amico firmo ben volere,
ponamo
c'hagia falluto
al
suo devere.
Non
oso di affrontare
la difficile
tutti
diosi, me ne asterrei in omaggio al dotto uomo, dal quale ne aspettiamo con desiderio l'edizione critica. ^ Ma debbo per la necessit dell'argomento accennare che la compagine metrica oscilla dall' un testo all'altro quanto all' uso dello sdrucciolo nel primo emistichio dell'alessandrino, avendo per altro, comune in tutti, la mancanza della rima interna. Noi dunque abbiamo nella fronte
il
tipo
-\-
8 -^ 7 8 -^ 7 8
+
+
-r-
oppure
il
tipo
7 7 7 7
-^ 7
7
- 7
7
A A A A A A A
A;
1 Ernesto Monaci, dal quale, ora ch'egli ha trovato un esemplare dell'edizione romana, gli studiosi aspettano con pi vivo desiderio il vagheggiato testo critico del Catone rimato.
46
e anche quello che direi intermedio
1 7
9>
:
-\-
1
7
S
la
+ + +
7
7
A A A
A;
BB.
Questa variet nulla detrae al carattere generale del ritmo, perch si resta pur sempre nell'ambito della fronte tetrastica
di alessandrini
monorimi
ma
induce
il
facile sospetto
che
per
io starei
prima
sarebbe insinuato
testi delle
nome
ma
specialmente per-
due stampe, che ormeggiano entrambe il trivulziano, hanno un aspetto di maggior correttezza linguistica, pi quello della napoletana che della romana, e appariscono come il risultato di un lavoro di ripulitura della
i
ch
lingua e dello
tali,
stile,
l'una e l'altro
meno
rozzi,
meno
dialetl
lati-
anzi a
da esser qua e
neggianti.
IX.
sdrucciolo,
Al primo tipo della fronte, quello dal primo emistichia si conformano i due poemetti medicali, che, sebci
bene
siano
stati
s.
conservati esclusivamente da
esservi
un codice
dubbio che
napoletano del
il
membranaceo (m. o, 31 0,16), di e. 69, ma scritto di due mani, l'una di amanuense napoletano nelle e. 1^-49^ contenenti il poemetto Balneorum Putheoli, e l'altra di amanuense frannitatis.
e. 51^-69^ contenenti il Regitnen saDel primo poemetto si citano altri codici uno della Biblioteca Angelica (P. Paciaudi, De sacris chrst. balneis, p. 51 : codex Angelicus habet versionem italicam a viro neapolitana
:
47
debbano appartenere
al secolo
precedente.
Entrambi questi
due
schema
^
n-
7 7 7 7
^ -^
S
8 -^
II
A A A A
B
B.
Piitheoli, a
II
Il
conto
lacune dell'unico
strofe,
apografo,
doveva,
comprendere iii
exaratam
),
2.
11
epigrammi
(cfr.
Bethmann
in
e forse uno, pure irreperibile, gi della biblioteca XII, 379) del can. Rossi, poi passato alla biblioteca di Propaganda fide,
che sarebbe stato del s. XIII, e oltre il testo latino avrebbe contenuto anche la redazione volgare ( altitalienischer Bearbeitung desselben Gedichts , dice il Bethmann, ivi), che non detto se fosse in rima o in prosa. Del secondo poemetto si ha un secondo testo, mancante
dei vv. 505-672, nel codice
XIV. G.
s.
11.
importanza per
XV
rimaneggiato o rammodernato dal copista. ^ Potrei dire sempre sdrucciolo , perch quando
ci
il
codice
d una parola piana in fine del primo emistichio, la restituzione della forma sdrucciola assai ovvia. 2 Cfr. A. Huillard-Brholles in Mmoires de la Socit des antiquaires de France voi. XXI, Parigi 1852, che identific l'autore con quello del Liber ad honorem Augusti (vedasi ora la ediz. di E. Rota, in Muratori, RR. IL SS. tom. XXXI, parte I, Citt
,
di Castello, Lapi,
1906).
La
xella,
i^ ediz. del
1475,
48
del carme De balneis puteolanis composto da Pietro Ansolino da Eboli, descriventi altrettanti bagni ^ dei dintorni di Na-
una edizione di ove si avrebbero 35 epigrammi sotto il nome di Eustasio mentre gli stessi furono poi dati come di Alcalino siculo in De Balneis omMatera
;
pi vicina
all'
cit.
Un
testo
ri-
G. C. Capaccio, Balneormn quae Neapolis, Puteolis, Baiis, Pithecusis extant virtutes ; Napoli 1604 (traduz. ital., G. C. Capaccio, Vera antiquit di Fazzuolo ; Roma 1652, p. 327esgg.), e in Grevio, Thesaurus tom. IX, parte IV. Fu annunziata anni sono una edizione critica a cura di di A. Goldmann di Vienna, ma non so che sia uscita. * L'ordine dei bagni descritti non il medesimo nel carme
in
di Pietro
come
si
da Eboli, nel poemetto volgare e nel trattato vede dalla seguente tavola comparativa:
in
prosa
49
poli,
e 109-111 di conclusione:
19-21,
10-12,
po' di
buon volere
il
contenuto,
V
Il
riduzione in
da Eboli. ^
:
mente constava di 666 versi ~ dell'autore nulla ci dice il proemio (vv. 1-18), salvo che egli si attiene alla scriptura cio al testo latino, nel quale ha piena fede, eo credo lo so' dire nulla ce ne dicono le strofe in cui il nostro rimatore venne parafrasando e diluendo, spesso con ripetizioni e con zeppe, i brevi epigrammi di Pietro da Eboli, sebbene, come not
;
23.
23.
De
Ferris
(lat.
'
18)
23.
Arco
Luna
dicilur
24.
Arculus
19)
24.
Palumbara
(po'
dicto de
Sancta Lucia)
25. 26.
27. 28. 29.
Gimborosus
San lorgio
Oglio
Bracola
Sole et
Culma
Petroleum
Pugillo
(lai.
21)
27.
28. 29.
Culma
(lat.
26)
(lat.
Spelunca Succellarium
Palumhara
Sole et
28.
29.
Luna
Sancto Georgi
(lat. 22)
(lat. 23)
30.
Luna
30.
31.
Fons Episcopi
31.
Fontana Episcopi
3i.i''5S.
to del n.
32.
33.
Orthodonicum
Sanctae Luciae
32.
Braccula
(lat. 30)
(lat. 25)
32.
Scrofa
Gimboroso
Spelunca
Petroleo
33. S.
34. 35.
Scrupha
Sanctae Crucis
(lat.
(lat.
28)
34.
Lucia Croce
27)
35. Soccellaro
36. 37.
Ortodonico
Fontana
Peczulo
tariello).
i
II
poemetto volgare
fu
n^W Archivio
pp. 596-750
s.
:
per
il
le
prov. napole-
XI
(1887),
da pi codd. del
XV.
s.
Io cito
Furchheim, 1887,
vv. 37-72,
in-8", di
pp. 163.
Ora
612,
mancando
109-126.
50
gi
il
padronanza dei termini scientifici ch'egli usa, ed alle non poche n inutili n errate aggiunzioni che fa al suo testo latino,
si
il
pu
dirlo,
senza
ti-
more
un medico, come
forse
gimen sanitatis^. Un po' pi di luce, circa l'autore del volgarizzamento, sembrerebbe uscire dall'epilogo (vv. 649-666),
che
egli sostitu
all'epigramma
II
finale di Pietro
:
contenente
la
dedica a Federico
imperatore
il
volgarizzatore invece,
che non aveva, a quanto pare, a cui dedicare la propria fatica, la concluse con una specie di congedo encomiastico alla citt di Napoli, patria mirifica, protestandosi di avere
voluto, allo onor vostro, Napole, descrivere le virt dei
trentacinque bagni,
com
suoi concit-
che
Quello
che scrisse
si
pu intendere tanto
di
Pietro
da
;
volgarizzatore
le
ma
si
me
idee del
tempo
cetti.^
abbia da intendere
riferito
la
Di s insomma l'autore del poemetto non ci dice nulla l dove egli sembra ridiscorso
:
volgere
ai
come queste
Ora te voglio dicere (v. 22) Ancora te significo (v. 31) fussi, no' Se dubite che tisico
Per, frate, consigliote (v. 175) Secundo che me siti caro amico
(v.
204)
Et tu, misero idropico (v. 279) Per bono amore te consiglio et dico (v. 449) se vuo' che ben t'agiute Consglio, spisso culilo,
1
(v, 645),
Ivi,
p.
34-
2 Si cfr.
..
51
nelle quali parrebbe far capolino la figura del
medico amodi
revolmente consulente,
le stesse espressioni
discorso
ma
viceversa
frasi
prendono
lo
spunto da
del maestro
da Eboli
come
(v.
Adunque
tucte pregove
147).
Vos
,
igitur
quibus ecc.
Uno
Dunqua
incurras ecc. consiglio donote corno a caro amico (v. 391). Con.
.
Ne tamen
[sulo
ne dubites ecc.
consulimus.
.
tucti.
do per consiglio
(v.
349).
Ists
Adunqua
Ancor
Vos
igitur sterles...
.
Rem
Una
cosa dirragote.
se
me
la
[mihi.
siti (v.
571).
Pon.
[tifices,
fontem perquirite.
il
rima-
di chi ab-
bia fatto osservazioni dirette sulla pratica dei bagni di Pozzuoli, tanto
vi fosse vissuto
quelle salutifere
:
Et eo medesmo
Proprio
.
quam lumine
.
.
vidi.
301)..
Vidi quamplures.
Et vidi quendam.
369).
. . .
(v.
Hoc lavacrum
Res miranda
.
vidi...
. .
(v.
455),
satis.
[horrendaque visu.
Quod
535).
.
.
proprio
[vidi
Uno grande
(v.
Hoc
Anzi
si
va anche pi in
si
Pietro da Eboli
Quamplures
in
52
il
rimatore
si
contenta di enunciare
:
la virt
dell'acqua senza
Chi beve de quest'acqua con gran voglia multe pretelle pissan senca doglia (vv. 155-156).
Rilevare questo carattere di opera
tiva,
assolutamente obbiet-
del volgarizzatore,
mi
non
trascurabile che
la versificazione
da portare ad epoca molto pi bassa di quella in cui il poemetto latino ebbe la sua maggiore divulgazione. Durante la vita di Federico II non credo che siasi mai pensato a tradurre ci che era stato dedicato nell'originale alla imperiale maest dello Svevo: il saluto del proemio e la dedica finale non sarebbero, assai probabilmente, state omesse dal traduttore ma tra il 1250, quando
Pietro da Eboli
sia
;
non
Federico
II
era morto, e
il
al
trono del
Regno l'angioino Carlo I, pot bene il volgarizzatore intralasciare qualsiasi omaggio ai successori dell' imperatore, lontani dalla capitale, di
discussa, e sostituirvi
in quel
munilo
dinastia
sveva.
Il
Percopo, che a
si
diligenti,
vorrebbe
far
discendere
al
su per
di
regno
Roberto d'Angi
si
ci
appare nelle
allegra,
tranquilla ed
che
al
gode
al sole,
mare,
ma
un pare grecamente
sotto
cielo
sempre
di zaffiro, in riva
florida d'arti e di
commerci
.i
di Federico
una Napoli, parrebbe quasi, quale sorrise allo spirito fantastico Amiel Ma, se il mio buon amico me lo consenta, trovo nulla di tutto ci nell'epilogo del poemetto medinon
!
cale.
Si piuttosto vi
indi-
Loc.
cit.,
p.
34.
53
lungi cosi dalla ferrea austerit dell' imperialismo fredericiano
come
So bene che
l'et cui
casi
come
questi,
mancando
si
quelle prove
pu asseverare
ma
gli indizi di
for-
mule
gerlo
e persino
titoli
latini
:
del
si
ru-
briche,
al
non sono
trascurabili
risospin-
secolo XIII.
X.
Adolfo Mussafia pubblic nel 1884,1 magistralmente
strato
illu-
di molta importanza,
forma popolare
le
no-
Dopo
aver invo-
non sanno
il
la lor
al
ma
attingendo
che a
lui
sono
testi e
buon defendituri
potu
Espone
:
sei parti
del-
de
cibarli et
de sonno
de vigilie;
;
de reposare e movere
coitu e bagnare
;
de
36).
e rinnovata l'invocazione a
la grazia
de ben volgarigare, entra nell'argomento (vv. 25Lo svolgimento della materia conforme alla proposta:
infatti l'autore
comincia
i^ parte
von A. Mus-
safia,
in Sitzimgsbe-
Akademie der
Wissenschaften,
(fase,
^
Wien
pubbl.
Il
il
17 luglio).
titolo
x\iV incipit, e
si
ripete w^Wexplicit.
54
intorno all'aria considerata
vita,
come l'elemento
;
essenziale
alla
in rapporto al
corpo umano,
alle condizioni
la
meteoriche,
2^,
pi lunga, consacrata
bevande,
gli uni
che la enuvolatili
Magno (vv. 511-588) e una breve ammaestramenti per evitare i mali cronici (vv. 589-624) delle rimanenti parti quella intorno al sonno e alla veglia si compenetra con le norme del riposo e del moto in una rapidis;
sima trattazione
(vv. 625-654),
che
si
che
il
tratta solo
omettendo
promesso. La sproporzione
la digres-
il
quaderno
si
che
di proposito
finire.^
siasi afifrettato a
una conclu-
Questa sproporzione
zio
come
indi-
che
il
non
si
abbia a inten-
dere alla lettera, nel senso cio che T ignoto rimatore venisse traducendo e versificando un testo latino, un'opera organica
nella quale la materia igienica fosse svolta in
una trattazione
il
un compilatore,
il
quale servendosi di
dottrinali
mediche e per
mani
dei
non
:
intendevano
il
latino, dei
17-1S)
585-588:
quale comencai ca lo disio assai done gracia con vigore poca compi ire a lo so ouore.
elomeodictucomplulo
e dio
ma
lo stilo
tornome
lo
me
lo
ch'eo
55
Questo compilatore, per altro, come si servi liberamente dei suoi autori, cosi non trascur le pratiche d'igiene che erano il risultato dell'esperienza e del pregiudizio popolare egli protestava, vero, che
;
.
che
me
so' testi e
buon defendituri
(vv. 23-24),
ma non trov certamente nei libri tutti mirabili segreti che con scioltezza facilissima venne esponendo in rima n alle sue fonti sentiva di dover tanto che non potesse insistere sopra la personalit sua di scrittore, la quale ad ogni passo fa capolino. Ci naturalissimo nella protasi, dove l'autore doi
;
vendo enunciare
cosi
anche
dove
fa distinzioni
de cascaduno
lo so
spacio dico.
la
Ma
personalit del-
l'autore
riaffaccia (a parte
forme pi sva-
per consiglio a chi lo pot fare (v. 107), una regola donote ben buona e salutare (v.
146),
de
li
cibari!
donote
utile
documento
(v.
(v.
151),
161),
propono no' cessare (v. 212), multo laudare pocote la carne de vitelli (v. 271), ed eo da modo dicolo e protesto (v. 312),
amore pi de
scrivere
che
modo me modo
(v.
337),
(v.
345),
;
n infrequente
per
il
la
muove
lettore
lo
Per per
bene che
volliote
dico che
si'
soUicito (v.
(v.
121),
lo to
159),
56
la
lo to amore se me fai clamare ecc. (v. 305), mia doctrina membrete e no' te parr dura (v. 625), de usar con femena in onne modo te veto (v. 662).
per
come
la trat-
bisogno di
rie-
De legume pi ma eo pertanto
scrivere
eo so
e
modo
sbrigato
dicote
fare breve tractato, de carne voglio dicere, che natura m' dato: secundo poco ingenio devotamente chimonde l'aginto de quillo che parlare fa Io muto
;
(vv. 259-264)
anche
pareme
dove il richiamo alla distinzione trovata nelle sue fonti (secundo che divisano li saggi), tra domestici e selvaggi,
manifesto indizio di compilazione pi che di versione
;
ci
ai versi coi
quali l'autore
De
li
pisci
com
N minore
indizio di ci porge
un luogo dove
si
si
accennano
intorno all'acqua;
il
rimatore
disinteressa affermando la
propria opinione:
Alcuni aucture trovasi.
e
.
(vv. 469-474);
un
acque,
dice
per(le
ch
egli si
minerali e termali
ma
perc no'
fa
mistiere
ma
eu
lo
torno arriere
(vv. 505-506).
57
il
ad Alessandro
Magno
sii)-
Di
tali
precetti infatti
il
suo
fine
il
riportarli inte-
eo tende dico alcuni mucti, cha multo fora longo dirille tucti
et
(vv. 521-522).
Qui
essere
il
la
fonte diretta citata espressamente; e dovrebbe Secretum sea^etormn, del quale accertata la diffu-
Nazionale,
Vili,
D.
l,
lo
contiene sotto
il
titolo di liber
regimi vel
summorum
il
se
non che
al
il
confronto tra
il
poevi
metto volgare e
che non
porge
pi
il
si
preferibili nelle
varie stagioni
il
dell'anno
ma
la
poemetto
II
De
in
esso
testo del
Secr.
si
sua ediz. di Napoli, Cancer, 1555. Sopra le redazioni volgari del Secr. secret, basti rimandare a G. Cecioni, nel Propugnatore, N. S., voi. II, parte II (1S89), pp. 72-102, e
servi lo Storcila, nella
a N. ZiNGARELLi, nel
cit.
pp.
185-204.
2
ms. Campori H.
37
del
titolo di
(il
trattatello distinto
in 81
compresi
tre proemiali).
58
nei singoli mesi dell'anno, tenendosi anche qui, sebbene
li-
beramente,
ai
precetti salernitani.*
Nessun'altra
fonte
rimatore
anonimo
il
richiama ge-
nericamente
aucture (vv.
23,
saggi
(vv.
come
375 e probabilmente 552), la stronomica sentenza (v. 80). Quasi isolate sono due citazioni, quella del mastro fino
(v.
1'
270) e quella
si
del
nostro
summo
e
doctore
l'altra
(v.
320):
una dove
il
di miele?)
il
dopo
carne di capretto,
riferendone
carne di gallina.
non saprei indicare l'origine, anche perch non trova riscontro nei trattati medioevali da me esaminati e sembra essere piuttosto l'eco di una consuetudine da ghiottoni; dell'altro invece singolare che manchi proprio la qualifica di temperata alla gallina l dove un chiosatore antico, Arnaldo da Villanova, dichiarando uno dei preil
Ma
precetto
cetti tradizionali
di
quell'ani-
male domestico
tore.
latili
Il
che ne
fa
il
precetto salernitano
ne ricorda
il
gare
anche
*
comuni all'enumerazione
4 sgg.
v.
il
latina
Cfr.
in
De
Renzi, V,
il
capitolo de niensibus
97 aptos
:
sume
liquores con
de Reg. vv. 554-556 per febbraio, v. loS si comedis betam con de R. v. 558 per marzo, v. 122 Dulcia tum prosunt con
; :
de R. de R.,
v.
v.
559
per settembre,
;
v.
168
:
cum
;
lacte caprino
con
per novembre v. 188 balnea cum Venere tane 575 nullum constat habere con de R. v. 579 per dicembre, v. 197 caulis vitetur con de R. v. 580. L'astensione dal coito con:
sto
~ De Renzi, Coli, salern., V, 17, vv. 652-653. Medicina salernitana, Salerno, Campi, 1789, tom.
II,
M. Politi,
p.
67.
59
cosi che nessuna (starna, fagiano, pernice, palombo, tortora) dipendenza si pu indurre dell'un testo dall'altro. Ma mentre il precetto salernitano si limita a una enumerazione dei volatili, senza nulla aggiungere della loro qualit, il rima:
bene e
il
sommo
corpo
doctore, ne mette in
tutti
i
mostra
;
le
la
migliore di
e
volatici domestici
;
conforta e core
nel commento di Arnaldo da Villanova noi leggiamo che, pur buonissime essendo le carni dei gallinacei,
autem gallinarum
altre virt,
est melior
quam gallorum
e anche
,
soggiungendo
che
tale
Cosi
secondo
e
il
Villanova
si
caro
autem gallinarum est melior quam gallorum nisi sint castrati; i galli hanno il merito quando sono vecchi di offrire in s ottimi medicamenti, secondo il verseggiatore, appunto come dice Arnaldo che decrepitorum gallorum caro nitrosa et salsa cibo inepta, medicamentosa est, potissimum vero gallorum rufforum, qui magis sunt medicamentosi.^
. . .
Da
commento di Arnaldo
bisogna andare adale
da Villanova
ai
precetti salernitani
ma
rispondenze fra
due
testi
zione; e d'altro canto Arnaldo, almeno per alcune parti dell'opera non altro avr fatto che mettere in iscritto dottrine correnti nelle scuole del suo tempo, le quali potevano risalire ad et molto anteriori. Molto istruttivi a questo riguardo ri-
sultano
confronti che
i
si
possono
istituire
per
altri
argomenti,
:
nei pre-
II,
6S-69.
6o
cetti salernitani si
enumerano
tutt'e quattro,
senza rispettare
riferiscono
la
dominantur
anno),
ma
di sole
due stagioni
si
si
dell'uomo;
invece nel
poemetto volgare
la serie delle
quattro stagioni
svolge dalla
primavera in avanti, attribuendo a ciascuna ci che le conviene. Dai precetti della scuola di Salerno apprendiamo che
nella primavera
si
nel poesi
metto
la
e se in
quelli
legge
nullumtempus melius est phlebotomiae e si consiglia purgentur tum corpora per medicinas, in questo parimenti si ammaestra chi necessu d' aperire vene, chisto lo tempo quando pi convene e si ricorda esser la primavera apta et convenebele ... de medicina prendere che lo so corpo
:
lave
ma
al
volgare
fer
Veneris consul
moderatus, nulla
che
vi si
soggiunge
^
:
moto
precetti salernitani
mense confert vomitus, quia purgat humores nocuos stomachus quos continet intus
e
il
poemetto volgare
lo
vomico
est utile
ca purgando lo stomaco da
la
si
humore nocivo
ecc.
humida,
e nell'altro
li
:
cibi fridi et
la friscura
ma
il
lasso,
del bere
moderato e
il
consiglio
non camminare.^
3,
Il
De
Renzi, V,
w.
6i a questi versi delle stagioni non porge alcun indizio di derivazioni che n'abbia fatte l'anonimo verseggiatore il quale
;
ai cibi
da
preferirsi,
*
:
salernitana
iuberis,
dicevano
dice,
precetti,
e
la
il
quando
appunto per
primavera,
se
di
suo che
in tale stagione
vitelli.
bene manContinuano
precetti
Sed
ma
il
rimatore
limita a
raccomandare
<'
la
temperancia
li
la
magiore copia de
frutti
fructi
ma-
tura, quasi per mettere in guardia chi ne fosse goloso. Inprecetti fanno
:
menzione dei
per
la
stagione se-
guente
Autumni
mentre
si
il
li
fructi
estivi.
non
eccessivo
vis
tempore brumae.
la
come
dice
il
carne porcina
e l'uso degli
lo
aromi e delle
fa
tiempo frido
paidare bene
Anche
in-
De
Renzi, V,
io,
w,
359-362
cfr.
Politi,
15.
62
le citazioni di Ippocrate, di Galeno, di Celso, di Avicenna dimostrano che codeste idee erano ormai patrimonio comune.
questo e da altri raffronti, che sarebbe agevole instisembra adunque potersi dedurre che l'autore del poemetto de Regimine sanitatis lo compil su dottrine e scritture correnti nel medioevo, pi probabilmente prendendo lo spunto
tuire,
Da
anche il titolo per la sua operetta. i Che egli fosse un medico facile il supporlo ma un accenno esplicito si
;
potrebbe
della
comandalo
:
224)
la
quale arte
e in
di cui riferisce
un predi
titolo
anche
in questo
personale.
perch
suo poemetto,
dietro l'analisi comparativa fattane dal Mussafia, appariscono, generalmente parlando, propri del dialetto napoletano o cam-
pano.^ Quanto
al
* Non ignoro che questo titolo fu dato anche ad altre opere medicina pratica p. es. nel codice della Bibl. nazionale di Napoli, Vili. D. 39, del sec. XIII (cit. dal De Renzi, IV, 580), ai Pantechni di Costantino Afro (m. 1087 circa). Via. Regimen sanitatis salernitanum fu il titolo pi usuale, oltre quello di Flos ntedicinae, che nei codici e nelle edizioni del sec. XV, fu dato alla nota scelta di precetti in versi latini accompagnati dal com-
di
mento di Arnaldo da Villanova finch poi nel XVI cominciarono ad adottare altri titoli. Il De Renzis,
;
le
stampe
sai.,
Coli,
nel voi.
I,
vv. 3420.
diede un testo di 2130 vv. nel V, uno pi ricco di Il commento di Arnaldo apparve primamente neli'ediz.
;
di Montpellier,
2
1480.
Non
questione linguistica,
perch
sar necessario
un esame com-
non
ci
far notare che alcune poemetto de Balneis puteosono presentate nel de Regimine sanitatis, e altre
ma debbo
vi
63
golar
monumento,
filo
gli
elementi
mancano per
il
precisarlo
unico
tenue
fatto
che
lo scrittore
non
dimostra di conoscere
cetti salernitani
;
commento
il
^
e poich
deve aver
pi
scritto quella
sua
verisimilmente insi
momento
posteriore,
il
avrebbe cosi un
quale non
sanitatis
;
si
oppongono
de Regimine
perch,
quanto
linguaggio,
si
seb-
bene non
vi
pu
crederere che
cambiamenti dall'et di Carlo I a quella di Roberto: anzi nel poemetto mancando qualsiasi traccia di azione esercitata
dalla lingua francese, sarebbe questa un'altra ragione per
ri-
sospingerne
la
remoto. Resta
testi
metro, per
il
quale
;
il
nostro
si
ricollega a
uno spiccato arcaismo perch il tipo della stanza formata d'un tetrastico di versi doppii, al quale si aggiunge la chiusa di un distico endecasillato se anche ebbe una vita pi lunga di un secolo, fu senza dubbio abbandonato pi predi
^
Yedansi
le fonti indicate
da U. Chevalier, Repertoire,
I,
167.
Sickel,
Se anche fosse accertato ci che al Mussafia comunic il vogHo dire che in quella parte del cod. napoletano XIII, G. 37, che contiene il de Reg. sanit. sia da riconoscere la mano di un copista francese, a nessuna conclusione potrebbe venirsi che fosse contraria alla mia ipotesi. La copia sarebbe tardiva rispetto all'originale potrebbe anche essere del tempo in cui Riccardo di Eudes, medico normanno, vivendo in Napoli nel 1392. traslatava de mot a mot in versi francesi il poemetto latino di Pietro da Eboli De balneis puteolanis {cix. De Renzi, IV, 591). Ma le tracce di francese non appariscono affatto nel codice napoletano XIII. G. 37: nell'altro apografo incompleto (vi mancano
2
,
gua
parlata.
64
sto di altri metri e rientra nella famiglia
fici,
di
quei
tipi
stro-
Concludendo il poemetto de Regimhie sanitaiis importante documento della poesia didascalica popolareggiante nel mezzogiorno d' Italia esso attinge la materia ai precetti divulgati nel medioevo dalla scuola salernitana, collegandola
:
liberamente svolgen-
facilit
ma
di
quale intendeva fare un'operetta di divulgazione, un piccolo manualetto di igiene pratica, si seppe valere per dare a quei
precetti
le
un atteggiamento che
al
li
il
quale
poemetto
i
si
pu assegnare,
allargati
la
non abbiamo
quanto
si
certezza,
;
potendo
la
termini
essere
ma
seI
durante
il
regno
di
Carlo
XI.
Molte
affinit
un poemetto agiografico, // transito della Madonna,'^ che sebbene ci sia stato conservato da un unico codice di et tardiva, 2 sembra essere andato soggetto a ripetute trascrizioni prima di fissarsi nel testo sopravissuto di guisa che, indi;
Pubblicato da E. Percopo,
Bologna, Romagnoli, 1S65, pp. 1-45 parla di questo testo, a pp. xi-xxii.
*
il
XV;
nella prefazione di
di
Napoli
Percopo,
XV
pur nodata
tando che a
194
apposta a un lunario,
ivi trascritto, la
si
trova questa
.
65
pendentemente dall'arcaismo del linguaggio e del metro, potrebbe risalire anch'esso ad epoca molto anteriore. Ma conviene andare, in questo caso, molto pi a rilento nel fare delle ipotesi perch un dato interno di molta importanza,
potrebbe rovesciarle d' un tratto se qualche documento si scoprisse, per il quale fossimo messi in grado di identificare la
(v.
707).
Il
verseg-
il suo poemetto fosse recitato o letto pi letto in conversazioni auliche che recitato in radunanze di popolo, alle quali ultime sarebbe forse mal convenuto per la sua lunghezza. Nel 1'
;
intendimento che
prologo
infatti
leggiamo
m'entendate
;^
Signuri, [ora]
304),
quandu
lu lectu
(V.
prese
555).
commiato da-
uditori
692),
Signuri, de quella
donna
Ma
fa
il
per i suoi parenti, per chiunqua quisto scripto scrive ode e sopratutto per quella che quistu dictatu fece fare, cui augura la sede dei beati, in paraviso degiala alper
s,
et
La contessa Mobilia
de multi profundi
libri
f'
far quisto
dictatu,
essa lu sfiorato
(vv. 709-710).
La formula
:
Madonna
nel
V.
332
Signuri,
bene sacciatello
ecc.
5.
66
nome
che
Giustamente hanno notato il Monaci e il Percopo che il della contessa deve essere stato Amabilia, o come ansi
trova scritto
di
Mabilia
ma
nessuna identificazione di
tempo e
luogo stata possibile sinora. Il manoscritto del Transito della Madonna essendo di provenienza abruzzese, n sconvenendo a quel territorio le caratteristiche fondamentali
del linguaggio, sarebbe da cercare nei
documenti della
:
re-
gione
il
casato e
il
ho indagato
troppo poco che da qual-
ma
invano; forse
1'
si
potrebbe pensare
Marsica o di Teramo,
ma
ipotesi,
che nuovo documento potrebbe essere facilmente smentita.^ gli indizi non mancano per far risalire il poemetto
secolo XIII,
sia
pure alla
;
fine
di
esso
l'arcaismo del
linguaggio manifesto
nato
;
il
metro conviene
al
tempo accen-
ha conservato.-
Poich
la
stende dall'Abruzzo
alla
Campania comprende o almeno investe una parte del Lazio e non sempre agevole precisare la patria dialettale delle composizioni antiche, nessuna seria ragione linguistica potrebbe opporsi
carsi
all'
ipotesi che
la
1'
ispiratrice del
diclatu
possa
identifi-
con
moglie
di
di
Manupe Ilo,
il
della
quale raccolsero
(cfr.
fatti
Petrarca
E. Re,
Una
novella
nel Bullettino
Se non che qui e prima s' intrecciano parecchie questioni non facili a sciogliere di XIII le donne secolo ne! fossero due una sola, se o di tutte e in caso se l' ispiracasa Savelli, che ebbero nome Mabilia trice del poemetto fosse una Mabilia sorella di Onorio IV e vedova sino dal 1279 di Giovanni d'Alberto o la moglie del Colonna, che visse sino al 1315. Chi vogha studiare tali questioni non dimentichi la rara pubblicazione del De gente Sabella di Onofrio Panvinio, curata da E. Celani, Roma, tip. Vaticana, n di precisare l'origine e l'uso del titolo comitale nelle 1892
;
Gi
il
Monaci
nella Riv. di
Il
filol.
rom.
II,
114, aveva,
con
XV, ma ben pi
67
Singolare
l'oscillazione
costante
nel
settenario e la
in
modo
;
tale
708 +
7 7
7
7
fl!
o 8 o 8
-f-
a;
6 73:
708 +
II II
B
B.
antica deve essere la leggenda, siccome ne persuade lo scadimento del testo, corrotto spessissimo e nel senso e nella misura dei versi e nella forma delle strofe . Il Percopo, p. xxi
:
di
questo poemetto,
la fo risalire
certa-
mente, pi antico dell'et del ms ... e per la rozzezza del diaprovenienti, probaletto e per i moltissimi difetti della lezione
;
bilmente, dall'essere
stanza antica
il
. ormai un canone di critica, comunemente accetche i guasti molteplici di un testo sieno la risultante di una lunga trasmissione orale o di una serie di trascrizioni che presuppongono un lungo periodo di tempo si veda ci che, a questo proposito, scrisse gi il D'Ancona nella Riv. di filol. romanza, II, 7, e pi recentemente il Novati nella Raccolta di studi critici dedicati ad A. D' Ancona ; Firenze 1901^ pp. 741 e sgg., ove, parlando di una redazione lombarda della leggenda di sant'Antonio di Vienna, osservava Troppi vizi, troppe alterazioni, non imputabili per fermo al menante del codice macchiano il tsto della storia, perch non si debba riconoscere che
tato,
quando questa
fu trascritta.
le
boc-
penne
di
68
XII.
versificazione
della
Leggenda
di san
Giuliano
lo spedaliere
Madonna, non mi avesse fatto sospettare che sotto le sembianze di un rifacimento o travestimento posteriore* si abbiano a riconoscere qua e l i caratteri metrici di una forma primitiva, in strofe composite che sarebbero l'inverso di quelle considerate sinora, in quanto ci presenterebbero la fronte di endecasillabi e la coda di alessandrini insomma con
;
questo schema
II
A
B
II II
II
7 1
Il
A
B
-4-
C
metro, da notarsi che
sei,
-\-
1 C.
al
Percopo scrive
in sestine.
Quanto
e ter-
mina
il
copista del
una in ottave e l'altra in sestine, e che cominci a copiare la prima e poi pass alla seconda, o credendola migliore o per altra qualsiasi cagione. Oppure si deve pensare che questa imperfezione risalga
sino all'autore,
il
composizione trov
con
la
quale egli
le
Ambedue
la
prima
la
perch codesta
dai
quali
l'amanuense
nell'
uno
la
pp. 135-144.
9
tudine dei copisti, o almeno anormale e insolita, in quanto essi seguivano anche troppo ciecamente (massime quando
il
mani,
1'
idea di un atto
poteva
e l'altra
ma
di quello
iiere,
non
ragionevole
si
volgesse ad
un
tratto
si
te-
il
rifaci-
non concomil quale poemetto posite di endecasillabi e di alessandrini per questo suo stesso carattere metrico doveva essere di pi remota composizione, assai guasto gi per ripetuti trapassi d' uno in altro apografo, tale quindi che fosse naturale l' idea
in ottava rima,
mento
XV
uditori
da
quelli
mani in qualun cantastorie del XIV, la bella san Giuliano in sembianze arcaiche e sgualcite,
cui fosse venuto alle
di
XV,
ottave
ma
poi arrestatosi a
mezzo
il
'
Un
altro
rifacimento
in
ottava
di
dallo stesso
Percopo,
xliii,
come
pubblicato per
linari,
la
prima volta
in Firenze,
dirimpetto a S. Pu-
Due
1565 e ristampato pi volte di poi (cfr. A. D'Ancona in prose del s. XVI ; Bologna, Romagnoli, 1882, pp. 97-99).
il
i*^
Al nome
verso del
Dio
testo napoletano, se
non
si
trattasse,
com' evidente,
di
una
for-
mola
tradizionale.
70
lavoro, per uno di quei tanti motivi clie possono determinare una simile interruzione, abbia lasciato il suo scartabello, che capitato sotto gli occhi di un appassionato raccoglitore di leggende e canti religiosi fu ancora una volta trascritto nella
sei ottave
abbastanza regolari,
almeno per il numero e la misura dei versi, e due di esse (2*, 5*) anche per le rime, ma nelle altre abbiamo delle assonanze
(i* polsella
:
eterna: novella;
3^ giovio
entorno
mondo
6* atini
piangili: panni:),
alla
che
Poi una di
primo indizio di un subnon seppe nascondere in queste stanze (la 4"') ci d due serie di pa:
XV
il
rifacitore
role,
viro
patarino
:
braccio: abraccia
hnpaczito.
Qui
cile
il
guasto manifesto
si
ma non
vollero
forse per ia
mano
del
copista,
invece perch
si
conservare o fu
diffi-
prime ottave succedono delle strofe pi brevi (st. 7^-26), che a primo aspetto sembrano sestine regolari di endecasillabi con
lo
la
regolarit, sia
per la mi-
ha appena
in
una
strofa (l'ii*),
che
tali
l'attribuirle
un certo numero
del-
l'endecasillabo, la rima
finale
(st.
12^: contado:
luliano
(st.
19^ sconiyitando
:
fortare: vane)
sia
nelle
coppie alternate
7*
danno; \'^ gito : gimo ; intando : inmantenente). Tre strofe invece crescono di un verso, e sono anch'esse di endecasil1*8^ parrebbe essere mancante di un verso dopo il labi quinto,^ si che si riaffaccerebbe l'ottava del rifacimento ma
: ;
Ad
la lezione sci se
71
le altre
ipotesi
la
ri-
mata, sobrana, mortale, piano, sobratio, nelle coppie alternate, e via, villania, albergaria nei versi finali e la 25* trenmlando.
;
guar-
due
che non
ci
lascia speranza
di restituzione
congetturale
rimo,
osservava
Percopo
;i
ma
il
senso
non
si
per che
:
si
la-
cune
di intieri versi
ab-
biano gli avanzi di due ottave primitive. Invece da osservare che in entrambe le strofe si potrebbero riconoscere le
tracce di una fronte tetrastica
monorima (ben
mutazioni
:
sonanze) e di
ci
solo
che
consentissimo alcune
Una
stascion che no' stascion sobrana tragea una strina con mortale jacciu
;
'
ad luliano disse umile et piano Albergarne ad onor de deo sobrano'. O pellegrino, vanne alla tua via
:
'
l'altro
[sci]
[una] gran villania, jurno recpi [eo] no* te albergarla'. ca per nullo modo
li)
Lu
'
pellegrin(o
Quisto bordone
in cortescia
su nelle mani se
[et] no'
li
vede romero
n [vede] pellegrino,
dio divino.
a[ilo]
d senso, ed ovvio lo scambio di / con s. Con questo verso senso par che resti incompiuto, o almeno che sia troppo rapido lecito il passaggio all'altra idea. Loco prese mogliera : si che Giuche detto fosse quale nel verso lacuna, un supporre una' liano, giunto a San Iacopo di Galizia vi ferm la sua dimora.
il
,
Loc.
cit.,
p.
143.
li
*
"*
Lu me
pellegrino
rispuse tremulando
il
il
ms.
repuni in cortescia,
ms.
72
Rientreremmo
degli
alessandrini
degli
endecasillabi,
rebbe riservata
la fronte e
schema
A A A A
B
+
+
1 7
B
B.
ardita
Ma
la
ricostruzione
:
mi
sembra troppo
e quindi
la serie
volentieri vi rinuncio
tetrastica
vi rinuncio
per ci
monorima, invece della quale pi ovvio seguire, che ci dato dal complesso delle altre strofe, il tipo dei
due distici a rima alternata, senza l'endecasillabo di collegamento * mantenendo per altro gli alessandrini nella coppia
;
di chiusa,
perch attraverso
le
riscono in
modo
la caratteristica del
Tu
mani
farrai un[o]
gran danno
(st.
7*);
mai non so' pusati de piangere et de suspirare mai non so[no] pusati) (1. de suspirare et piangere no' avea[n] n chivelle pi figlio n figliola
(st.
9*);
sei
verso che
Percopo sembr
il
un'ag-
giunta posteriore e pu
infatti
che
si
legher
come vedremo.
73
tucta gente
figlici
un sou
ademando' se Il'o veduto vando e' hanno perduto et no' n'o novella
(st.
IO)
Appresso
alla
santa ecchiesia
bero trovata
(st.
Il**);
Cercando gimo
un
figliolo
12)
A
la
quisto lulian
domna
13);
Li pellegrini snno
e
Ilo
14'*)
Tu
vai
ad cacciare
et
moglieta
se jace con
un tou
;
famigli,
prisu
uno omo
et tolto
osello per
amico
(st.
Et uno
homo
et
una donna
in
vede
in
presente
(st.
i6a);
sou compagnia
(st.
17*);
et hospital!
veramente
(st.
20*)
et poveri vi fece
ad onore de Cristo
Dell'altri
21)
panni fecea
Chiama
luliano et fal
levare et poy
li
mustra
(st.
22)
albergar per lu sou amore. Che omne povero volea Infra quisto tempo fo multo convertuto.
Li angeli et
li
arcangeli
poi lu portro
26*^).
Tanta abbondanza di veri e propri alessandrini, o di versi che facilmente si riconducono alla misura del settenario doppio, farebbe pensare che appunto di alessandrini a rima
alternata fosse nel testo primitivo la fronte di ciascuna stanza
;
74
e
fronte,
sono stato tentato anche a provare se tra i versi della che ora ci appariscono come endecasillabi, o almeno pi vicini a questa misura che ad un'altra, ve ne fossero
che potessero senza gravi mutazioni allungarsi ad
alessandrini. Cosi
sto senso
si si
di quelli
in que-
dir d pi,
di
che
a tentarla
portanza, ci sono
i'^
casillabi crescono di
la
qualche
misura dell'alessandrino
st.
(p.
sou patre
12^
tio
ne
sappe novella,
st.
<f.
Una dompna
11^
Un om
cesura
ge7itile corno
2^
che
la
principale, o per
ritmo o per
il
modo
verso
primo o
al
un
semmulto dolente, st. 18*, Et poveri vi fece fo allora pre abbergare, st. 21^ nel secondo emistichio Quando nacquinon e Ih sou patre sti figliai siate ad mente, st. 9^
;
:
ne seppe novella,
nente,
st.
st.
9^
alla
la
soa casa
tornare inmantest.
16^; Eccole
17*;
lu liana fece
se refisse,
st.
subitu la ho spitale,
21^
luliano
allora
23*).
Se non che, ove una cotale restituzione poesercitazione di critica del testo,
s
tesse passare
come innocua
;
come
risultato
me
:
ma
si
pre-
finali di
non pu seriamente
forse
endecasillabi
perch a
tale
misura gi
75
del testo
pi
antico, intento a
preparare
la
foggia definiil
poemetto.
Ad
ogni
modo
riproduco qui
distici
di
gole strofe, con i facili emendamenti necessari, dove gnino, per ricondurre i versi alla giusta misura
:
Mi
[toa
madre]
et tou
padre
8*);
Lu padre
co'
Ha madre
mondo
randa[re]mo cercando
(st.
9)
[lacobu] gloriuso
all'aitar
sou pretiuso,
(st.
IO)
[disseli:]
'
Donne
sete
II*)
12*)
[Ella]
li
pellegrini
[se]
[a
13 );
Re[se]meglise
[in tucto]
a luliano ne and[e]
14*);
morti et trangosciati.
fo forti corrocciato
(st.
15*);
la
spada
et sci-Ili
luhano intando
'
se volse [de]partire
(st.
;
Agioli a mi'
[la
'
venuti ad
(st.
mano ad mano'
17*);
forse meglio
//
cfr.
strofe 17'.
76
che con un fameglio mio patre et mia matre
[et
ella]
jacea in lectu
<st.
Disse a luliano
[piuttosto] a penetire
iga);
[cosi] Cristo
de celo
ce aver ad perdonare,
[e noi] in quisto
mundo
capu
poveri
ne verremo a salvare
(st.
20);
[aveva] collu
[e] co'
ll[i]
[et]
altri
dentro fo abbergatu
(st.
21)
che
lui
[l'
uscio]
li
apresse
c volea caminare,
22);
c lu jurno chiaro
Salvatore intanto
(st.
23);
vanne
alla
tua via
24)
no' te albergarla
(st.
;
luliano de fore
[et]
ad guardar
fo uscito
n [vede] pellegrino.
(st.
25)
[In]nanti stava
l
ad Cristo e a [tucti] l'altri sancti [lu signor] tucti quanti dove ce conduca
(st.
26a).
Se
che
il
si
esser
lecito,
di strofe esastiche,
con la fronte di quattro endecasillabi a coda di due alessandrini a rima baciata, anch'esso questo testo rientrerebbe nel gruppo di composizioni che per l'arcaismo del metro possono, come abbiamo veduto, essere risospinti al secolo XIII e di questa maggiore
rime alternate, e
la
;
che idea ed espressione del verseggiatore meglio conveniente a quel secolo che al seguente: per esempio l'epiteto di paterino (stanza 4*), con senso ingiurioso generico,
dovette
77
essere pi frequente allorch
quell'eresia
presente
celebre san-
Galizia o di Compostella,
richiama
al
tempo
in
cui
il
poi
nel Trecento
'
;
pi caratteristico ancora
il
farrmo fare
punti
et
hos pial-
tali, ove
il
XIV, che
in questo
sarebbe
trettanto agevole
il
ammalati quanto
nel Trecento, e
sarebbe
difficile
il
il
rintracciarne pur
ai
uno
di erezione di ponti
:
per agevolare
cammino
pii
viandanti
anche prima, gi i ponti sui torrenti e sui fiumi si costruivano in muratura e si mantenevano e guardavano a spese pubbliche, da Comuni e da Signori, cessata del tutto l'usanza
pi remota che per iniziativa privata aveva
ponti di legno e
passarelle
fatto
sorgere
per dare
pi facile accesso ai
luoghi sacri.
Dall' insieme delle osservazioni
fatte
sinora risulta,
per
raddurre
per tutto
del
la
il
per
primi decenni
XIV
fu in
uso in
Italia,
posizioni
strofe
di natura
didascalica
o narrativa,
comuna forma di
decasillabi,
il
composita di alessandrini o altri versi doppi e di enla quale vari nel numero dei versi, ma ebbe
una fronte
una coda formata dai versi brevi, con una rima per la prima parte e un'altra per la seconda. Negli esempi pi cospicui di questa forma indubcostituita dei versi lunghi e in
1
la
ovvio ricordare
stratto
il
passo di Dante,
l^iia
nuova, cap.
XL
in
modo
verso
casa di sa'
ma
gi nella ulteriore
si
intro-
duce
il
Galizia,
per che
st.
2<>
la
sepultura di sa'
ha nella
78
biamente praticato
il il
tutto
vi
componimento
si
non ci consentono di affermare ci che pure molto probabile, e certo poi prevalente, vale a dire che l'ossservanza dello schema
del testo, alteratosi nella tradizione orale e scritta,
fosse
XIII.
Ritornando ora
rare che
il
al
stato
conservato dal-
dodici
strofe:
solamente
la
tre versi
endecasillabi
1'
rimato con
ficio di
gli
uf-
collegare
Nell'altra
met della
di
strofe ci si presentano,
sempre stando
lasciando stare
al manoscritto, la st.
II
delle differenze
assai
forti
mancante
si
lacune
duti in
ci
entrambe
X e tre nella VII e forse anche IX c' una sovrabbondanza di prima parte si succedono nove ottoe
in
con
la stessa
il
rima
luogo dei
sei
che basterebbero
potrebbe pensare
a formare
Si
d'aver qui,
logico,
come il D' Ovidio, per ragione dello svolgimento ha pensato della st. V, sebbene sia mancante di due
le st.
'
Sono
Il
due ennelle
decasillabi
st. st.
non
II,
IX, X, XI,
ma
cresce di pi sillabe.
solo
i
manca
nelle
V
*
nelle
III,
IV, VIII,
II,
IX
degH ende-
VI, X, XI.
79
versi,
una contaminazione
di
due
strofe
originarie
in
una
sola
ma contro questa ipotesi si affaccerebbe una difficolt mio avviso insormontabile, che si sarebbero susseguite due strofe con la medesima rima {-aia) nella fronte ci che contro la norma osservata in tutto il ritmo, ove la rima della fronte svaria sempre da strofe a strofe. Pi im:
quali
si
accavallano nella
:
per quanto
sottili
si sforzi
codice,
per
quante remote e
significazioni
Ei parabola dissensata
obebelli n'ai nucata
tia
eppure de bedere
ni satiamo.
l'occidentale
si
era rivolto
al-
spiegazioni
dai suoi
sulla
condizione della
in
vita praticata
stesse
da
lui
compagni,
che consisi
insomma
la loro felicit,
e in particolare se
cibas-
queste nostre
sdegna a
tale
domanda, poich
la
ma
dal
solo
cibo spirituale,
pan
degli angeli, quello delle sante ispirazioni che venIn sostanza egli vuol dire che parlandosi della
gono da Dio.
non senso
il
concetto
la
riduca
:
la strofe
qaesta
pi
semplice e re-
golare
8o
Ei,
paraola dissensata!
l'ai
obe
de
assimilata!
La eliminazione
zioni che
si
dal codice
si
sono riconosciute necessarie nei testi antichi mezzo anzitutto un emistichio mistepoich, pur riconosciuta in obebelli una delle fortoglie di
mazioni avverbiali proprie della pi antica lingua volgare,* non si sa poi qual senso attribuirle qui, dove non conviene
e rimane impenetrabile
letto
n quello di da per tutto n quello di in nessun luogo , il significato di quel nodo che segue,
nai micata, ma ove potrebbe anche vedersi scritto nai nu cala o forse meglio nai ini caia. Intanto notisi che gli ultimi due gruppi potrebbero essere stati scritti invece di mi lata e il nai invece di lai e che un copista, non certo
diligentissimo, quale ci appare quello del codice casinense,
obebelli,
parola gi in uso
obebelli ?iai
abbia da elimi-
con la tia bidanda scelerata, l'aspetto di una glossa, scritta in margine terlineare dell'esempio donde fu riportata sto a noi pervenuto, per una svista, come
in altri codici, del distratto
abbiamo
copista.
Ad
il
Cosi giustamente
il
(cfr.
v.
pronomi-
nali covette,
8i
a restituire la regolarit dello schema strofico in un passo, che altrimenti resterebbe incomprensibile come incompren;
sibile
il
verso endecasillabo
tutta quella binia lo trobaio
si
viene a intromettere
ai
due della
il
chiusa,
cidit
vivande dei miseri mortali, esprimendo con molta lur idea della perfetta sodisfazione d'ogni desiderio nella purit della contemplazione
:
La convenienza di questa emendazione raffermata dal convincimento che nel ritmo casinense, se pur vogliamo ammettere col D'Ovidio che vi siano
delle
il
deviazioni
dallo
schema
strofe
I,
anche
codice lo d nelle
lacunose
estendersi al
numero
dei versi
coda
di
bene
la
nei
quali
tale
corrispondenza
III,
cinque
(st. I,
rima
ai tre
La funzione di codesto verso intermedio essendo quella di un collegamento ritmico tra le due parti della strofe, pot ben parere indifferente al rimatore il farlo
versi della fronte.
il
III,
ms., deman-
C ASINI,
6.
82
daruse
il
D' Ovidio)
II,
meno agevole
pare
il
restringerlo a tale
per fegura, anzi il D'Ovidio ne ha fatto un endecasillabo, ao-iidf nova dieta per fegura,^ come il corrispbndente della st. X, hotno ki nimm beb ni manduca
misura nella
aio nova dieta
il
D'Ovidio
piuttosto
ca homo ki nni
mentre forse potrebbe parere pi ov\o il farne un ottonario mediante una lieve amputazione, che non altera minimamente il senso,"- leggendo ki nni beb ni mansente non
st. XI, homo ki fame unqna non dove per la sua stessa lunghezza eccessiva anche rispetto alla misura endecasillaba necessario ammettere delle interpolazioni il D' Ovidio lo trasformerebbe in un doppio ottonario homo ki fame non sente, tinqua 71071 siziente, sebbene quanto alla qualit della rima e alla duplicit dell'ottonario nel rimettersi che fa a ci che aveva detto per altri versi ^ non nasconda, almeno a me cosi
Il
:
D'Ovidio,
p.
supporre che azo sia un rimasuglio del superiore emistichio mancante, ed il io [cio questo v.], riducendosi, ottonaquesta
rio,
come un'apposizione a
quella
la pi accettabile di tutte
lacuna del
v.
9;
si
la
ca a scriptura be'
mme
piaccio
Ki
ki (che).
D'Ovidio, p. 172 mi rimetto a quel che dissi pel io e a quel che si vede nel 42 . Ora, parlando del v. io (a p. 123) il D'O. aveva notato Nell'undecima [strofe] il terzultimo verso probabilmente un quarto ottonario doppio, bench storpio, e ci d due rime uguali a quelle dei due versi di chiusa . E una constatazione di fatto del fatto cio che il ms. ci d il quarto verso in-forma anormale: e d occasione a ripetere che l'autore del ritmo si lasci andare a deviazioni dallo schema adottato. Quanto al v. 42, poich il D'O. d questo numero a una linea di puntini, che segnano un verso mancante (p. 147, cfr. p. 215), io non intendo a qual luogo del suo commento egli abbia in3
;
teso di riportarsi.
83
pare, una qualche incertezza
:
per,
questo verso
si
ha a metter
la
mano
modo
fame
e sete
il
parallelismo con
genere da seguire un criterio intermedio tra l'osservanza rigida e assoluta dello schema metrico quale ci si presenta
nella
prima
pienamente quanto
ritmo
i
alla lingua,
risultati delle
e quindi anche
quanto
indagini
spiegazioni
dovr pure
servir
di
norma
nella
restituzione
critica
Io
componimento.
un
dialogo
(st.
V-XII) preceduto da un
I-IVj
;
(st.
nella
agli
parte introuditori
ri-
quale rivolgendosi
chiama
si
propongono dubbi
si
si
derivano insegnamenti da
sente animato di
il
poeta
buon
zelo
i
ha
attinto
la
si
scriptura
traendone
una
nova dieta per fegura, ke da materia no se transfegura [ma k]e coll'altra bene s'aflfegura.
Primo
cilmente
il
Novati tent
:
la
randoli cosi
;
Il
che ha da esporre nuovi detti i quali, sebbene siano da intendere figuratamente, pure non s'alegli afferma
84
lontanano dalla materia presa a
si
trattare,
ma
confanno .^ Il Torraca,* modificando il testo secondo che a lui parve pi conforme alla grafia del codice,
ke da materia no s'entra
se coU'altra
'n
fegura,
no bene
s'affegura,
spieg invece
se
ria
non si coglie esattamente il senso riposto non paragonando diligentemente la lettera con 1' allegobisogna che la figura si confronti bene con la mate:
ria, e gli
dalle parole di
Dante con ci
Il
sia
che
la litterale
sentenza
sempre
sia soggetto e
.*'
l'allegorica
troppo dal
codice, accettando
interpret
:
un complemento introdotto
;
del
Boehmer,
che non
si
mi domando dove mai 1' allegoria il dialogo ? dove quella serie continuata di traslati intessuti in modo da enunciare e svolgere tutto un complesso di concetti morali ? dove insomma la fisionomia essenziale di un genere cosi caratteristico, la fisionomia che cosi ben determinata, per esempio, nel RuscelSta bene
;
ma
io
letto
Io leggo
due personaggi descritto con tratti realistici falsa l'ocdopo le prime parole di saluto e le
1.
NOVATI,
cit.,
p.
125.
TORRACA, 1. cit., p. 150. ' Dante, Conv., II, i. * D'Ovidio, 1. cit., p. 180: cfr. il commento analitico a una parabola che consiste nel narrare un incontro tra p. 125 due personaggi che dopo scambiatesi notizie e cortesie s'infor*
:
mano
col
modo
di vi-
suo senso
letterale, dal
ben poco
.
allontana,
il
5
prime domande generiche su la provenienza e lo stato dell'uno, si svolgono in primissimo linguaggio letterale delle domande e risposte, in modo che l'occidentale, in sostanza,
vivande
suoi
lo tro-
vano nella vigna del Signore, nella contemplazione della divinit. In tutto questo di allegorico non vi che questa povera vigna la quale fin da quando l'evangelista Giovanni, richiamando le terribili invenzioni di Isaia e di Geremia,^ ne aveva esaltati i tralci fecondi,- si prest assai bene a rap;
si
dis-
Il
concetto simbotutti
cristiani dell'evo
di
dichiara-
e avrebbe fatto
ridere chi
di
dieta
rico,
Vero che nova per fegura potrebbe intendersi in un senso pi genecome sembra che faccia il D'Ovidio; cio un nuovo
in linguaggio figurato, con abbondanza o frequenza almeno di traslati e di figure in genere non sarebbe stata certo una grande novit, perch di cotali colori retorici era piena la poesia insegnativa del medio evo si che il nova dieta dovrebbe assumere un significato speciale, quasi l'elaborazione di un argomento qualsiasi in lingua volgare, in antitesi alla scriptura che sarebbe stata la fonte latina. Ma allora a che fine tutto quel giro e rigiro di pen-
poemetto
Isaia, V,
Cfr.
il
e segg.
Geremia,
II,
21.
1-6.
2
^
vangelo di Giovanni,
XV,
tirica
Basterebbe a provarlo, se bisognasse, la trarnutazione sache l'idea della vigna sub nella leggenda riferita a Pier
della Vigna.
86
siero
e
di
?
parole
imperniato
direbbe
suli'
il
fegura
La
fa
figura,
poeta,
non
si
dissomiglia
ma
bene
si
la raffigura,
la rappresenta,
esprime
il
secondo
quale quando
la
braccio di Dio
si
ha
da intendere
il
senso
letterale,
ma
ci che figurato .
il
'^
Ma
ci
dovrem-
mo
incontrare, leggendo
traslati
;
nuata di
senso
letterale.
Nel
'ncasi-
lummaria
;
faccio) e
nel
una
militudine
poi
dialogo, che
si
le
abelle
le
si
intendono per
ma non
se,
crederei lecito
non
c' qui
il
ma
dice
come
dei vini
strofe
si
diceva allora e
si
IX
gno
una figura
studiato,
retorica, n.a
meno
ne pu far
senza
cosi
si
pensando
tanto
ai
contemplativi, che
nel linguaggio
ma
comune
in s
non avere
nessuna singopar-
sagmato
si
di cui
avrebbe adornato
il
questo
ma
piuttosto con
una
so-
stanza di linguaggio proprio, che ben conviene al fine didascalico e morale. Per
me
'
Summa
theologica. Parte
I,
qu.
i,
art.
io.
87
clamata dei ritmo
uditorio.
;
ed
di
la
rappresentazione figurata,
della
la recitazione al
suo
pergamena da dispiegare via via, o in tanti quadretti disposti sopra un tabellone per additarli mano mano che la recitazione procedeva, egli doveva essersi fatto dipingere delle scene allusive ai vari momenti dell'azione e del dialogo per esempio i due viandanti, che si avvicinavano da parte opposta il loro incontro e le sa:
;
un rotolo
lutazioni
il
la
una corona
eterna.
Anche oggi
fa,
che
1'
usanza venuta un
ma non
i
le
nelle citt e
campagne
con
la
cantastorie
accompagnano
loro recita-
una rappresentazione figurata dei momenti salienti del fatto descritto io ne ho visti in tutte le regioni d' Italia, e cotesto uso, anche per il persistere dei motivi icastici arcaici e grotteschi, deve risalire ad et molto remote. Certo doveva essere molto frequente nel medioevo, poich fu applicato anche ad opere di carattere letterario basti citare il poema storico di Pietro da Eboli, nel quale ad ogni capitoletto corrisponde una grande miniatura illustrativa, che in uno e pi quadri rappresenta le diverse fasi dell'azione descritta nei versi latini:^ persino quel capo ameno di Boncompagno da Signa quando volle spiegare al
zioni
esibizione di
lettore della
dell' in-
membrane
i
del
i
suo libro in
contemporanei
primi anelli di quella catena di figurazioni allegoriche corrispondenti a un testo poetico, di cui abbiamo tra
il
secolo
^ Si veda l'edizione procurata da E. Rota del poema De rebus siculis nella nuova pubblicazione dei RR. II. SS. del Mu-
ratori,
*
I,
1904.
Proemio
al Boticoinpagnics in
,
L. Rockinger, Briefsteller
128 e segg.
und
Fornielbiicher
Monaco
1863, pp.
XIII e
il
XIV un esempio
di
insigne nel
Trionfo
d'Amore
di
Francesco
Barberino.
XIV.
L' illustrazione figurata, che a
sersi
me sembra
manifesto
e.s-
dovuta accompagnare
e specialmente
alla
casi-
rapidi trapassi da
N
il
pot
essere un
come ne
attesta
persistere secolare
una simile usanza anzi a me pare che in un altro documento poetico dei pi antichi della nostra letteratura volgare sia anche pi chiaramente accennata tale costumanza. Trattasi del Ritmo di sant'Alessio, la scoperta del
quale dovuta alle
felici
indagini di
ma
filo-
un codice ascolano dei primi decenni del secolo XIII, pu entrare in gara di antichit col casinense, col quale ha parecchie conformit, tra l'altre questa di esserci stato conservato da un manoscritto gi appartenuto a una casa benedettina, il monastero di Santa Vittoria in Montenano, nella diocesi di Fermo, una propaggine e dipendenza della celebre abazia di Farfa.^ Il
logica e critica.^ Questo ritmo,
1
Cfr.
d' Italia,
a.
1901,
voi.
II,
XVI
11
Alcune emendazioni
critiche
di
A. Thomas,
nella
Romania,
ricca
XL,
3
157-
Sopra
la
leggenda di
sant' Alessio
letteratura
(cfr.
H.
F.
Masmann,
89
ritmo fu trascritto da due diverse mani contemporanee con
caratteri di tipo notarile identici a quelli di alcune note
che
ri-
vanno dal 12 17
al
:
1225
ma
sale pi addietro
La mancanza
nota
il
Monaci
di
ogni giusta divisione nei versi e nelle stanze, frequenti erlacune inavvertite, ripetizioni non giustificasempre pi confermano che il testo non originale, sibbene copia tratta forse da altra copia di gi deteriorata, e che l'originale dovrebbe essere stato abbastanza pi antico .^_ Se adunque dobbiamo ammettere una tradizione orale e scritta di una certa durata, saremmo risospinti almeno alla fine del secolo XII ma, pi che per la questione cronologica, da
rori di senso,
bili
;
bisogno di
scenti.
testo, che una forma tanto alterata ha essere risanato almeno delle piaghe pi appari-
Anche
ci
schema
e gi
il
metrico, se
riesca di determinarlo
con sicurezza
Monaci rilev la sua conformit con il ritmo casinense, poich anche qui abbiamo delle serie di ottonarli monorimi chiuse da endecasillabi." La trascrizione del codice ascolano non ci porge alcun elemento per distinguere il principio di
burg, 1843
A. Amiaud, La legende syriaqite de saint-Ale.vis, DucHESNE, Les lgendes chrtiennes de l'Aventinn Mlanges d'archeol. etd' histoire, Parigi-Roma, 1890, tom.X, R. Renier, Qualche nota sulla diffusiune della legpp. 225-250
;
Parigi, 1889; L.
Italia,
1-12.
Ho
il
latina
(in
Ada
(ivi,
Marbodo
254-256),
poemetto
Bonvesin da Riva,
(nel
ediz.
Bekker, e
la
ad
altre
data nella Bibliotheca hagographica latina dei Bollandisti, Bruxelles 1898, pp.
alla
nuova
I,
^
ediz. del
48 e segg. e nelle note dei monaci di Solesme Sanctuarium di B. Mombrizio, Parigi, 1910,
voi.
P- 621.
Ivi, Ivi,
p.
105. 106.
p.
90
una
strofe dalla fine di un'altra
1'
:
solamente dopo
la strofe
proemiale
della stanza
segnato
da una
^o
che pi non
riappare
ma
;
manca
e XXVII) cominciano con lettera maggior parte questo tenue indizio gramanca anzi pi volte anche il punto fermo in
nella
precedente
e la
principio di versi
di
un verso
cosi che
(p.
es., v.
pani
1 1 1
120 mai
La
:
molg)
non da
ci./ Pi utile
sporadico
qua e
fu
mediante
la ripresa,
una
stanza, di
lasciarsi sfuggire di
mano,
un primo punto si pu fermare come indubitabile, anche dietro un semplice esame sommario del ritmo la fronte
:
un
che
due ottonari, in modo susseguono non meno di otto ottonari monorimi se non che, nello stato attuale del testo, la fronte non semsi
;
il
numero
Dove non
la
intiera
la
dove
gli ottonari
sovrabbondano,
la direi irre-
solubile o quasi
XIII, XVIII,
ma
coda
'
BiADENE,
// collegamento delle
ital.,
Firenze, 1885.
; ; ; ; ;
* Cfr. vv. 48 e 50 69 e 71 105 e 106 118 e 120 56 e 57 126 e 127; 147 e 148: 154 e 155; 175 e 176; 180 e 183. Nelle st. IX, XI e XXI la ripresa sarebbe delle rime.
91
due endecasillabi, pi o meno cosi almeno nella maggior parte delle stanze (st. I-III, V, VII, IX, X, XIII-XV, XVII-XIX, XXI-XXVII mancano nelle st. IV, VI, XI, XVI) e dove la chiusa ci d versi d'altra misura, appare sempre necessario e quasi sempre riesce anche agevole il restituire l'endecasillabo (st. VIII, XII, XV, XX). Ma fra il tetrastico
della stanza costituita di
oscillanti,
i
quali
rimano
fra loro
iniziale e
il
anche qui, come nel ritmo casinense, ci intermedio, quasi legamento tra le due
presenta un verso
parti.
Questo verso
scomparso per lacuna in parecchie strofe (st. II, III, IV, VIII, XV, XVI, XVII, XX, XXII e XXV) e in altre appare trasfigurato si presenta infatti in sembianza di doppio ot:
quella di I, XIII, XIX, XXI e XXIV) o sotto un solo verso breve (st. X, XIV, XXIII, XXVII) ma negli altri casi un vero endecasillabo (st. V, VI, VII, IX, XI, XII, XVIII, XXVI) ci che si pu dire costante la
tonario
(st.
; :
sua consonanza per rima coi versi della fronte, perch nei
pochissimi casi ove tale risponderfza viene a mancare manifesto
il
la restituzione
il
complesua imil
mento
si
Questo punto ha
e per
la
ritmo
casinense
mi
ci
fermer sopra
un momento/Il primo caso in cui il verso di legamento non rima con quelli della fronte nella st. VI infatti al tetrastico, che si svolge con otto rime in -ava,^ segue questo
;
verso
cui
Gi
il
il
Veramente
:
i'
2"
emistichio del
.
4'^
in-
compiuto
visionava]
e la molte visi.
il
dove da
30
;
restituire visi[tava],
come
suggerisce
confronto col
v.
ma
92
nel testo a cui attingeva.* Forse qui fu la singolarit
del
nome
zarlo
grecizzante che
latino; a ogni
li
modo
al
volgariz-
per
li
suo uditorio,
come
veniva
si
vocava.
al-
meno cinque
la
il
te-
quali
il
se
non che
il
domi
attendet,
non risponderebbe per la rima ai versi della fronte se non si rettificasse, con lievissimo mutamento atto a restituirgli anche la giusta misura
:
e ir
unu
e ll'antru
donu attende[ndo].
guaio grosso
sotto la penna dell'amanuense un sembra che egli (o scrivesse a memoria o fortemente distratto), dopo aver omesso quattro degli ottonari della fronte, che rimavano in -atu, e il verso di collegamento, e scritti che ebbe i due endecasillabi della coda in
Nella
st.
IX avvenne
:
-ente,
si
verso di collegamento
^
;
di codesta stanza
^
Ivi p.
no.
nella
st.
palem; V,
2
et iudicis
necessitate;
XXIII, in
i
ttto
domo XXIV-,
,
natie t
sua
iustitia.
Dopo
la st.
IX
scrisse
e lu patre co' la
ka bonum
foe lu 'nditiu
due
st.
cosi
fo lo enditiu
fece
la?tda
generatore dell'imbroglio;
ma
an-
93
e
il
st.
IX diede
in questa
forma
mamma
lauda Dee,
:
da
restituire,
lu
mamm' Deu
laudatu.
Nella
st.
XXVI abbiamo
appartenenti
al
rimano in -atu;
vedremo a suo tempo se e come si possa reintegrare il senso che resta dopo codesti tre versi alquanto sconnesso, per non dire interrotto, e notiamo che dietro ad essi vengono questi
altri,
la
coda:
ma certe de quantunqua ipsu mendicava multu pocu manicava, tuttu quanta si lo dava.
due endecasillabi finali sono facili a ricondurre alla giuspostando il soggetto ipsu e con una piccola aggiunta che precisa il senso ma il verso di collegamento dovr lasciarsi in corrispondenza di rima con questi di chiusa o
I
sta misura,
riportarsi
come
Io
non ho dubbi su ci
tipo
bile,
un unico caso di deviazione dal strofico costantemente osservato non mi pare ammissiqui dove era tanto facile l'errore, in cui l'amanuense
collegamento della
st.
IX,
di
una forma
ma
[ket] ipsu
che un po' lu patre che soggetto del vb. lauda tanto nella IX che nella X sebbene nella IX il lauda debba ritenersi l'avanzo
;
94
Resta il caso della st. XXVII dove alla fronte, regolarmente formata di versi che finiscono -and, -anno, succede la coda in questa forma
:
puru et munnu et bellu senza vilio ket multu pl[acque] a ddeu lu so servitiu.
Qui, poich non pu esser dubbio che
il
al
penultimo, andiamo
bene per
la
coppia finale
ma
nel
verso
collegamento
la
alla giusta
rima
due parole, dato che il verso originario fosse cosi che mediante la forma assimilata communisi sarebbe ottenuta la consonanza di rima (tannu canno : orando); se non che mancherebbe sempre un paio di sillabe alla giustezza dell'endecasillabo, e d' una sillaba
finito in Servio tantu
;
:
sovrabbonderebbe il verso se si considerasse come ottonario: ma pu darsi anche un caso diverso, cio che manchi alla
fine del verso
un gerundio, come
es.
tutti
precedenti
di guisa
p.
il
laudando,
pregando,
meglio amando
che
si
Siamo adunque
col ritmo casinense
un caso
la
di analogia,
il
ma non
;
di identit
in questo pure
verso di legamento
continua per lo pi
ma
ottonario,
le
sem-
di
che vediamo,
;
gi
st.
XXVII,
ma
ve n'ha degli
altri.
Nella
si
st.
si
parla dell'educazione
tre soggetti diversi.
succedono
un certo punto
il
soggetto pi lontano
si
95
ripeta,
perch
gli
il
uditori
inte-
griamo adunque
verso di collegamento
[lu
flliu]
corno et qua!
conuscutu,
a hi fante preferendo lu
al
flliu, sia
ormai divenuto uomo, avendo anni vintidui complutu. Nella st. XIV manca certo qualche cosa al tetrastico iniziale
ce ne avverte la sconnessione del senso
;
d'altra parte
il
ri-
matore ha una spiccata tendenza ad amplificare i particolari latine, non ne omette nessuno vedremo se e come si pu integrare il tetrastico, ma intanto possiamo ricavare l'endecasillabo di collegamento giovandoci delle due
delle fonti
:
il
riamo che altrimenti mancherebbe una circostanza assai importante cio che la coronazione degli sposi
avvenne per
mano
dei sacerdoti,
forunu adprestaii : ma apprestati a far che cosa? Leggo adunque, come suggerisce il confronto con altri testi della leggenda
^
:
[per lor
mano] adberoli
coronati.
Anche
stituire,
nella
il
st.
certamente
se
almeno quanto alle circostanze di fatto che a questo punto non potevano mancare ma dopo il tetrastico, che ha le rime in -ura, abbiamo
;
non
nel manoscritto
et era
ia
per
mano de homo.
chiusa,
prima vista parrebbe aversi qui i due endecasillabi di mancando cio quello di collegamento
:
* Leggenda latina A: permanus honoratissimorum sacerdotum Bonvesin da Riva: per man di sancti previdhi, de previdhi honorai .
;
96
et era
una
figura in
ia
ilio
per
ma
anzitutto
singolare
endecasillabo di
chiusa
riapparisca la rima
;
che doveva
avere
il
verso di collegamento
che manchino qui due circostanze non trascurabili per un amplificatore cosi diligente e copioso quale si mostra sempre l'autore del ritmo: le circostanze cio che la figura
era impressa nella sindone e che essa era l'imagine di Cristo.
le
parole
una
in ilio
i
figura
figura
Meno
il
verso di collegamento
presenta sotto
le
sembianze di
facile
;
un doppio
tetrastico
:
che vi
si
nosconda un endecasillabo
il
ima-
ginarlo,
ma
ricostruirlo
tanto pi
il
che in
'
distico
Bonvesino ha solamente uno dei due particolari in quella l'imagine del Segnor; ma la leggenda A: ubi sine umano opere imago domini nostri lesu Christi in sindone habetur. Dato il carattere popolare del ritmo la greca sindone doveva esser resa con una parola di pi facile intelligenza per gli
:
citae era
uditori.
Il
done, ma
volgare in
sto in
i
Marbodo ha infulgens pura sind'intonazione dotta; invece la leggenda prosa d la imagine del nostro Singniore lesu Chriritmo latino di
tutto
fatto
uno panno
senza
man d'uomo
ecc. e
n'ho tratto
miei complementi.
97
due rime conformi a quelle del tetrastico. Ci farebbe pensare a un procedimento sistematico da parte di uno dei trascrittori del ritmo, anteriormente, s'intende, all'apografo sopravissuto: per una delle tante illusioni analogiche, di cui ci danno esempio i codici di poesie antiche, potrebbe essere accaduto che un esemplatore del ritmo, trovando dopo il tetrastico un verso pi breve che sulla fine rimava con quello, credesse di esser davanti a un verso incompleto rispetto ai precedenti ottonari rimati anche
di chiusa
ha non una,
ma
internamente e
la
vi supplisse
ristabilire
ipotesi
che sono
ovvie {-anza
-are
ea
-aie),
e an-
che di parole o
frasi
allo
svolgist.
I
mento
mi riservo
di dare dal
proemio
per
Nella
st.
sono ottonari
sillabe
;
sovrabbondano
di
una o pi
primo
alle
copie.
si
riducono a formare
tetrastico
regolare
il
quale anzi
far celebrare le
nozze del
si
figlio
festa
tri
con una fanciulla della casa imperiale, ordin che non si potrebbe imaginare. Poi seguono
:
gran
al-
gli
versi cosi
doe thalomi fecenu adprestare anmerdura sulevare. ove unqua eranu iullare
tutti
Per es.
Ma
Ma
ke
lu
voleva exorare
ecc.
7.
98
cytari
tutti
cun tinpani
et
sanbuci
La menzione
dei
o pal-
uno dei due sposi prima di congiungerli in matrimonio, sembra un po' prematura, e mal collegata all' idea dei giulmentre lari accorrenti da ogni parte a festeggiare le nozze quest'ultima particolarit ben si connette con ci che precede e ne anzi compimento quasi necessario, per far intendere
:
il
sposi
nella
chiesa
si
la quale ap detto sul principio della seguente st. XIV punto nel tetrastico manca di almeno un verso, che ben po-
non doveva seguire. Se noi leggessimo, per esempio, con vissimi mutamenti
:
anmerdura su
st.
levati,
:
XIV
sponso
gi
et
sponsa
a
f adunati,
in
talamo
fr levati ecc.,
emendazione di un tetraXIV) e di un altro sovrabstico lacunoso (quello della st. bondante (nella st. XIII). Resterebbero solamente da ridurre
saremmo
buon
punto nella
talami,
prof. Augusto Gaudenzi, da me interrogato su questi mi ha espresso l' idea che all'antica forma germanica e quindi anche longobarda di celebrazione delle nozze, secondo
1
II
la
sposi erano posti sul letto nuziale e ricoperti della benedizione ecclesiastica veniva impartita dopo la consumazione del matrimonio, la Chiesa in un dato momento
quale
gli
coltre, e la
il trasporto dei due sposi nel tempio sopra due letti separati, che si accostassero poi durante la benedizione, mentre gli sposi erano posti sotto un unico velo. Lo stesso prof. Gaudenzi mi fa notare, a questo proposito, che in Roma molti instituti e forme giuridiche longobarde debbono essersi in-
99
a endecasillabi
verso di
due versetti che precedono la chiusa e il legamento si potrebbe ottenere leggendo press'a
i
:
poco cosi
oveunqua eran
tutti
Nella
st.
XIX
si
l'emendazione abbastanza
facile, chi
con-
sideri che,
glie,
dopo che
dare
e stu
balzu
adcon mandare
una
che
pr deu inutile,
leggiamo
stu sudariu falume servare, emfra me et te Deu ne sia mesu emfra tanto Ke te sia erkesu.*
I,
Gravissime
XXI
regolare
;
vi
la
inrie-
ma
le
vanno
cheggia sempre
pre,
la stessa
volte.
Dico sem-
sebbene
si
si
poich
tratta
sempre
primo dei
sei
versi
'
Non
, le
si
le
parole
tutti
cur-
runu
*
;
quali
di diverso dal
conservato
tutti
gianu
tiva
.
Il
si intenda come una parentesi esclamameglio forse sarebbe invertire gli ultimi due versi. Ognuno sente quanto di vivacit acquisterebbe l'espressione del segreto pensiero di Alessio.
verso penultimo
ma
-*^
lOO
terpretativa del Monaci,
pia di ottonari,
ma
qualche cosa di pi
se quella remanea,
Ma mo
XX, possiamo,
di essa,
che restano
ritrarre
certo
commo se mo audite
far se quella
ci
biezza che
remo
al
il
modo
st.
XX
per ora
XXI
il il
senso ha uno
verso di colle-
gamento, col quale dal discorrere del marito che fugge si passa a discorrere della moglie che resta, si ha a ricavare
da queste parole
mai
la
sola
remanea
il
tetrastico finisce
si
dicendo che
viagl'
offre
spontanea
idea
una
:
antitesi sentimentale,
realt
mai
ia
molge
quant'
la
mente desperata
!
quano
siamo
all'
meno
em
espungendo em proprietate che nulla aggiunge e nulla toha l'aspetto di un glossema ^iVadbe
lOI
[-.=^
habet,
:
possiede), otteniamo
il
bisogna
zo ke adbe
tiittu
dede em
caratate.
le
Ho
fatto
;
quali
non ho
diri-
menticate
ottonari
monorimi
si
si
e la sua
coda
in
di
ci
mano
:
il
Monaci ha
risoluto cosi
poi
derisi per
usanza
da notare che
il
proemio cosa
tutta propria
preambolo
in materia pari
lui.
Ma
rimatore
doveva
) \
de qual
mo
' La voce mastranza, in luogo di maestranza ( maestria , Monaci, p. 130), non finisce di piacermi si che preferisco di leggere mustranza, che sembra anche corrispondere meglio alla
;
mostre e
al
P'orse
anche
odit'e[n'J certanza.
I02
per memori'a retenanza
se
lu decitor se
non canza
mo
'n vo'
inostra[r] la claranza.'
Ho
lui,
strazione
imagine
poich
si
la ritiene
nella
memoria,
ne mostro
tigurata.
dicitore
non
;
si
cambia, non
la
allontana
dalla
e se
ora ve
spiegazione,
precisa
rappresentazione
il
Costantino
Nigra
intui
felicemente
senso
tutto
Monaci comunic la geniale osservazione che l'autore del ritmo qui forse allude al costume antichissimo dei cantori ambulanti, di mostrare agli uditori, in una specie di dittico, la effige del santo prima di
speciale di questi versi, e al
recitarne la storia.^
stica
Ma
io
credo che
la
dimostrazione ica;
non
non un
si
dittico
dunque,
ma
suc-
erano
momenti pi
com' per esempio, a voler ciprimo che mi viene a mente, il polittico a sei quadretti scolpiti in bassorilievo sopra lo stipite di una delle porte del Duomo di Modena, nei quali sono raffigurati gli trasporepisodi della vita leggendaria di san Geminiano
interessanti della leggenda
:
tate dal
marmo
e avrete
un' idea
esatta
Lezione ha laclaraqa
'
.
restituita dal
.
.
Preferisco vo'
tnostra (vobis
monstrat), per la
io
trovo nel
v.
seguente.
conoscerci
versi di
II
Monaci,
p.
129,
esempio
composizione poetica
ritmo di Odilone da
,
un
St.
Emmeran,
I, X e segg. dove parla dell' uso delle rime Porro quod interdum subiungo consona verba Quae nunc multorum nimius desiderat usus si che consonanza verr a dir proprio poesia ri;
mata.
^
Presso
il
Monaci,
p.
113.
I03
della <i<claranza con la quale l'autore del ritmo intendeva
ribadire nella
memoria
dei suoi
;
verso che segue, e dovrebbe esser l'endecasillabo di collegamento, e un po' anche due
il
i
ma
coda costituiscono un enigma forte. Abbiamo visto come sono scritti nel codice e come sono stati trascritti e il Monaci ^ spiega per privanza nel senso di amichevolmente,
della
;
un buon riscontro a un passo lacopone da Todi), il tansi per toccai (che anche nella canzone del Ca.stra fiorentino, v. 23) ma, sebbene tutte queli
di
non
se
ne trae costrutto
1' incertezza in trov l'amanuense nel riprodurre questo verso dal suo esemplare pi antico, dove gi doveva essere guasto o interpolato quel pri soprascritto nell' interlinea ha tutta l'aria
che
cui
sodisfi la nostra
curiosit.
Manifesta
si
p tagliata inferiormente, quale invece pu benissimo intendersi come abbreviatura di pr- (cfr. nei vv. 26, 28, prosperitate, propizio), si da
la
seguono sembra appunto nascondersi una voce del vb. dare, credo che l'ultima parola non sia che una ripetizione male scritta di provanza, e che tutto il verso si abbia a rabberciare (dico cosi pensatamente perch sembrer a moki un conciero all'antica)
in questo
modo
si
provanza.
Mi
:
riferisco al glossario, s. v.
tinua
.Se chi
.
che deridere
verbale di
*
dopo una feMonaci conne dubiti, spera di convincere anche chi non sa Bisognerebbe, ad ogni modo, trar fuori una voce
a p. 108,
strofe,
Ma
il
modo
finito.
darisi.
I04
stata con
molta
felicit
spiegata
dal
Monaci, secondo
il
compimento
.l
il
ma
resta
il
desiderio di avere
labe
nel
dove mancano almeno quattro silmi sento incoraggiato da ci che s' intravvede
parole finivi e coiplev,
proprie della
altra cosa
:
facsimile e dalle
formula della
notarile,
completi o,
in
a sospettare qualche
ben inteso
dubbi
e
mia
con-
sonanza,
bitanti
la ridussi
t
radi ti
rappresentazione
figurata."'
NoVi so
mie innocenti
ovvio
,
il
en altu
m'encastello
*
di E.
Brunner, Zur Rechtsgeschichte der rmischen und gerI, pp. 66 e sgg. La foret dedi, nel
in
Roma
un documento romano
p.
(Brunner,
85):
Concius
fa-
Per
la traditio la
;
ma nei documenti romani al semplice tulam] compievi ecc. tradere preferito contradere (nelle forme contradidi, contradedi^
contradidimus
didernut,
risalga
il
,
sibi
invicem tra-
Brunner,
p. 93), e a
nostro contradessi.
Che
un notaio romano
e qui nel
non
lo
affermer
ma
questo ritmo
retenanza
105
industrie, le quali del resto
giori di
non
si
quelli che
altri
in casi analoghi
i
sieno concessi
la critica congetturale
ha anch'essa
suoi diritti, e
quando
li
pu anche pretendere
carattere materiale,
di prevalere
gioni di
critica
bene e non fidarsi meglio, dichiaro che le mie congetture non hanno alcuna pretesa d' impeccabilit e sar ben lieto scaltri me ne mostrer la fallacia, quando per sappia sostituire
poich
fidarsi
puramente paleografica.
Ma
qualche cosa
di pi
positivo e sicuro.
la
i
rassegna del
guasti e le
per avvertire
le altre
lacune e
il
tentativo di restaunella
st.
Una
forte lacuna
abbiamo
II,
ove l'autore entra in argomento conia presentazione di Eufemiano, il padre di Alessio: mancano gli ultimi due versi
doppii del tetrastico e l'endecasillabo di collegamento
versi
;
e nei
mancanti dovevano essere amplificate le lodi di lui, forse con particolari ignoti alle altre redazioni della leggenda. Le qualit essenziali che la leggenda attribuisce ad Eufemiano,
la nobilt,
la ricchezza e la potenza,
come
qui
appunto
Eufemiano,
foi
rispetto
alla
Roma
il
il
multu potentissimu
come
Monaci,
fu
conservato in
Roma
sino alla soppressione decretata di tale ufficio da Eugeera circonfuso d'una aureola di sovranit esercidella maest imperiale.
nome
Non
di
Eufemiano
svolgessero
il
versi
mancanti
si
della
st.
II
pensare che
celebrassero altre
'
Monaci,
ivi
p.
no.
io6
condizioni di
deg^li
lui.
come
^
la
'^
e la ricchezza
il
suo
ufficio di patrizio
sviluppato
enumerazione di
illustrato,
le
funzioni
nella
st.
illustra, e
ne
alla
sua volta
chiusa
notarili
si
gi
notate
nella
sedendo molto si
occupava
di
dirimere
conflitti
fra
cittadini
romani, io
leggerei et iniistitia \coi\ponia cio stabiliva le pene pecuniarie dovute per ogni atto iniquo, per ogni reato contrario
accenno all'istituto della compositio, che sarebbe un altro indizio dell'inclinazione del rimatore a vaalla giustizia:
lersi
del
linguaggio giuridico
non arrivo a
il
dire
indizio
st.
La
Ili
piana
salvo
che vi manca
verso di collegail
i
mento
ziieri
;,
imaginare smarrito
leggenda, che
;
particolare,
comune
tremila bat-
dei quali
si
erano costantemente
ai servigi di
Della
la fine
st.
coda
dalle
altre
redazioni
risulta
namente
dove
patrizio
tre
mense,
le
di-
stinte e successive,
pellegrini,
per
poveri e per
ve-
dopo averli serviti in persona sino nona andava poi a prendere il suo pasto frugale in compagnia di santi ecclesiastici. Ho supplito la lacuna per esercizio d' invenzione non presumo di aver indovinato le parole, ma che quello fosse il senso non pu esser messo in
coi loro orfani, e che all'ora di
;
dubbio, per
la
concordanza delle
altre redazioni.
Nulla manca
^ Cfr. Marbodo, V. I Summae vir nobilitatis stemmate romanus afiflilserat Eufemianus . Marbodo, v. 4 regibus aequalis, aulae dux imperialis. 3 BoNVESiNO A suadomandason trea milia fangi haveva; leggenda in prosa: continuamente aveva al suo servigio tremila donzelli*.
: ; :
107
all'integrit della
st.
;l
sono perduti
che
si
di chiusa, nei quali, pi che qualche elogio generico della consorte Aglac. presumibile
i
due endecasillabi
alla
accennasse
sua
sterilit.-
La lacuna
narrazione
al
particolare che
figliuolo,
:
desiderato
nella
IX
si
pu supplire
con accenni
alla chiesa
ove
fu battezzato e
alla gratitudine
la st.
XI
si
tra due momenti della leggenda che negli altri testi si succedono immediatamente Alessio ha raggiunto la maggiore et, Eufemiano pensa di dargli moglie lo raccomanda perci a Dio con una preghiera, che poteva essere accennata, quasi
:
;
chiusa di questa XI
st.
ed
Ma
rXI
di
si
parla di un
vasu
si
dell'aur''
ubritiu,
cio di
al
un vaso
si
oro purissimo,^ n
i'
pu affermare che
che
il
vaso stesso
riferisca
'il
altro particolare
for.se
sacrijiliu: vi
ii
un'allusione a
il
intermedi tra
'
battesimo e
matrimonio, forse
:
cerimo-
nel v. 25 so-
senso
ma
come sembra
potersi
ri-
un abbaglio grafico del copista. Cfr. nell'epitafio di papa Benedetto IV, in DuCHESNE, Liber pontificalis, II, 233 Despectas viduas nec non inopesque pupillos Ut natos proprios assidue refovens. * In Marbodo, vv. Bonve16-19, c' un elogio di Aglae siNO invece, che ha tanti punti di contatto col ritmo volgare, dice Aglaes sua muier sterla era per natura d'eia nasce no' poeva
trarre dal facsimile, ci risparmia di pensare a
: ; : ;
alcuna creatura.
^
Per
il
complemento
di materia dell'auro,
sarebbe ovvio
il
donare per
la
pi vera
nell'oro
io8
nia della cresima o della prima
nella quale
comunione
offerisse
di Alessio, nella
occasione
la
il
padre
l'aureo
si
vaso
alla
era localizzata,
come sappiamo,
V.
leggenda
comunque
sia,
anche qui da
(cfr.
nelle
membrane
anteriormente
ma non
Quasi nulla
tato dei possibili
ci
offre
da rilevare
nelle
la st.
st.
XII e gi
;
si
trat-
emendamenti
si
XIII e
XIV ma
nella
:
XV
il
tetrastico ci
Lu eoe d'Alesiu santu. lonrecepia netantu. d'questohone keaueatamantau Lupatre colomatre et tutta roma cogtauanucket fosse adfrantu. Ma d' cuantu ued' scu A. ecc.
Premetto
stretti
che
di
gli
altri
testi
della
leggenda
si
tengono
ai
dati
fatto,
senza entrare
i""^
come
tratto
fa l'autore del
personale,
un
il
che
difficile l'interpretare
:
pensiero dell'autore. Io
Suo patre
e la
avea tamantu
e tutta
Roma
cogita[ndu]
ma
* Oltre il DucANGE, s. v. obryzum, opportunamente richiamato dal MoN.vci, p. 129, da vedere ci che scrive A. Gau-
DENZi
2
suir uso
di
in.
parantur
Marbodo, vv. 38 sgg. Ergo coronantur festivaque cuncta Postquam completa fuerant convivia laeta, Castis ar:
descens animi flammis adolescens, Ingrediens, apto secreti tempore capto, Sacra dedit monita sponsae pr celibe vita e BonVESINO, vv. 41 sgg. Entrambi per soa grandeza si fon incoro;
:
nai
fo
Grangi godhii, grangi solazi in quel di fon menai. Quando vena la sira e lo tempo de reposar. La soa sposa Alexio si prend a visitar ecc
.
Della
st.
XVI non
:
ci
restano che
in sostanza
per
plificazioni
il
sio di consacrare a
Dio
la virginit della
La quale
st.
non so quanto
altrui
l'avr gradito:
ma
XVII,
nutrita di
particolari realiil
la
messa cantata e
le
passaggio dalla
camera,
altra la;
non senza
avvertimenti di rito
il
fatti
testo
non presenta
st.
XVII
ma
:
d una sovrabbondanza assai forte nella st. XVIII invece e che i versi sovrabboninvece del tetrastico un esastico danti rappresentino una rifioritura,! dovuta a un recitatore
;
non
(v.
fosse
il
par-
collegamento
si
124)
r usso dereto
'mserrao,
si
entro
em kammora
il
se 'nn entrao,
123)
et a la
molge
l'avviao.
ci
lascia
invece
sulla
XX.
manoscritto d
cita
La sponsa
stordita
Sarebbero
bis
vv.
;
123
bis e ter si
si
il
potrebbero eliminare
e cosi
riavrebbe
IO
laove A.
. .
vita
lam.
cto et n sapia
sic
que facea
ecc.
tro
Qui abbiamo anzitutto due versi doppii con le lor quatrime in -ita; ma non sono formati di emistichi ottonari, c' gran sovrabbondanza di sillabe invece si hanno delle
;
serie di parole
O poi ke questu audia. cande em terra et foe stordita. mae non se adcorgeva.
. .
dai quali
rima imperfetta
lesi
una consonanza a guisa di Oltre a ci sono paalcune sconnessioni del senso, che non si lascia coritrarsi
sembrerebbe
[-va).
intorno
quando
il
le
aveva consegnato
134-140)
l'anello,
il
balteo e
il
susi
dario.
pu,
0[ra] poi ke questu audia la [tapina] sponsa cita, cande en terra et foe stordita, mae non se adcorgia [ke dicea] de quella gita, net [nulla cosa] emtendia de quella [sua nova] vita l ove Alessio [dicia], [ke] la m[eschina] certo non sapia
conmo
se
far,
se quella
si
remanea
ma
ore audite
cqu'e[lli] facea.
la
st.
Restaurata cosi
XX,
riprende
;
la
regolarit
alla
dello
la
XXI
passando sopra
man-
st. XXII, noteremo XXIII manca di un verso, il secondo, nel quale senza dubbio alcuno doveva essere nominata la
(p. 100),
Santu Alesiu
il
que facea
ipotesi
che
p.
si
nome
Moeque
naci nella
si
1 1
citt
e richiamata
:
la
chiusa
intorno alle
XXIV
XXV,
di
salvo che
il
un verso, probabilmente il quarto del tetrastico, e la XXVII e ultima non ha bisogno d'altre cure. Ma finita qui veramente la consonanza dell'antico rimatore ? Certo qui finisce la prima parte della leggenda di
sant'Alessio, dalla sua nascita alla sua vita di penitenza
in
XXVI manca
Edessa
sola,
la
il
mondo anche da
come
da Riva
il
ma come
del poe-
si
conda
il
pi
il
Mo-
proemio
il
[finivi
si
e.
conpievi), e
si
ritmo
cuna parola
commiato
dall' uditorio.)
XV.
Altrove il Monaci stesso ha osservato, parlando delle leggende agiografiche abruzzesi, come dal loro contenuto si possa argomentare che alcune di esse furono dettate da
chierici,
le
une non
linguaggio spesso pi
48 segg.
:
latineggiante,
petivit
ma
.
Marbodo,
V.
Laodicenamque
Syriae,
:
Urbem.
i
nec
ibi
remoratus Navigat
Edessam
mox
ntra
et
Bonvesino, vv. 62 e segg. In terra de Laudocia et E da ilio per terra so edro el ha apiliao La terra ha nome Edessa o' el arrivao; leggenda in prosa: capit al porto di Laudocia, e poi and in una citt che si
el fo
ipsam
navigao,
chiamava Edesa,
*
la
Da
XIV
il
da augurare sia presto dato in luce nella sua integrit metto di Bonvesino da Riva, che di 130 strofette.
poe-
(2
anche dalla maggiore fedelt alla tradizione scritta e consale altre, crata nelle leggende riconosciute come autentiche di forma anche linguisticamente pi popolare, con una pi
;
Secondo questo
rici
criterio,
stico a quello di
sarebbero
Transito della
Madonna
si
mentre invece pi
La
diversit del
tre
procedimento
e per
vede bene,
del resto,
nelle
redazioni
Monaci medesimo
di
dentemente
resca, perch alla leggenda tradizionale di sant'Antonio agquali si giungono e intrecciano casi meravigliosi e strani, svolgono da motivi assai divulgati nel medioevo la leggenda in tetrastici monorimi sembra pi che altro un raffazzonai
:
mento
di quella in strofe di
cinque versi,
e
ma
per
il
conte-
E.
una storia
versificate nell'an-
tica letteratura
cei,
V
lo
(1896) p. 488.
:
Monaci,
loc. cit.,
la
pp. 496-506,
ha pubbHcato
fine),
i* dal
Leggenda de
degli
beatissimo egregio
aderente
voi.
II,
latino
Ada
SS., Januarii,
pp.
Ada
stessi, voi.
I,
27
un
altro
della
medesima
Hist.,
ma
monorimi. Il Nov^ati, nella gi cit. Raccolta di studi crii, dedic. ad A. d' Ancona, pp. 741-762, ha studiato e pubblicato un testo pi completo della 3* redazione, da un codice della biblioteca Visconti di Modrone, ove la Istoria sancii Anthonii fu copiata alla fine del secolo XIV secondo il Novati, sarebbe opera di un settentrionale, forse un giullare o un frate.
:
113
mito
si
corrispondono perfettamente.
tutto indipendente la
Ma
dall'una e dall'al-
Leggenda de santo Antonio, delia quale m'intratterr brevemente perch si ricollega per ragioni formali ai documenti che sono venuto studiando. Essa molto frammentaria, come gi il Monaci rilev dalla versificazione: infatti, egli nota.i versi qui sono ordinati, non a coppie come parrebbe a prima vista, ma a stanze composte di quattro ottonari e due endecasillabi, rimati aaaabbff e quanto alla struttura della stanza osservava che qui abbiamo uno schema cui finora due soli riscontri si trovano, quelli dell'antichissimo Ritmo cassinese e del Detra del
i
;
vi si ag-
giungerebbero
derare
alla
il
altri
termini di riscontro, se
si
potesse consi-
metro della Leggenda de santo Antonio solo rispetto quale l'abbiamo nel Decalogo
;
componimenti ^ ma ci che pi importa il rilevare come anche qui si abbia invece un esempio di strofe composita, costituita da una fronte di doppii ottonari e da una coda di due endecasillabi, secondo questo schema
bergamasco
:
tf
r
-\-
8
9>
II
Il di
B; B;
nel tipo a versi doppii con rima
interna, quale
Monaci,
Ivi,
2
3
p. 495.
al
Intendo riferirmi
lo
se-
condo
schema A. A. A. A. B. B. ; quale nel Decalogo, ora riconosciuto di Cola da Perosa (ediz. di V. De Bartholo-
MAEis in Studi di fil. roni., \\\\, 125 segg.), in parecchie leggende agiografiche rimate (cfr. Quadrio, Storia e ragiotie, IV,
209;
De Bartholomaeis
p.
di filologia per E.
Monaci,
per
le
204, e negli
Scritti di storia,
di filologia e d'arte,
;
nozze Fedele-De Fabritiis, pp. 347 e segg. dove da il tetrastico o la fronte sia di doppi
,
mentre
di veri e
propri
endecasillabi).
S.
114
sant'Alessio, nell'uno
nell'altro
con
la
fronte
di
tre versi
doppii e
con
la fronte di
quattro.
La riduzione
della fronte
come
d'Alcamo (cfr. a p. 25) ma certo una semplificazione nel meccanismo di codesto tipo strofico rappresentata dalla mancanza del verso di collegamento, per la quale si riavvicina alla forma dei tre poemetti didascalici. 1 Ne conseguirebbe pertanto che la Leggenda de santo Antonio, la quale anche per ragioni linguistiche ha una certa impronta d'arcaismo, 2 avesse a riportarsi press'a poco alla stessa et del Transito della Madonna. N a ci contrasta un particolare meritevole di essere rilevato, per il quale
del contrasto analogo a quello di Cielo
questa leggenda
glio dire
il
si
riavvicina al ritmo di
sant'Alessio
vo-
collegamento
di
concetti o medesime, dall' una stanza all'altra:^ un carattere metrico che per tutto il secolo XIII frequente anche nella poesia cortigiana, cosi che
la ripresa di
mediante
non potrebbe essere invocato come un elemento sicuro per una determinazione cronologica pi ristretta.
'
Il
strofe
c'
il
secondo
otto-
Monaci,
i
Per
la
servare che
-ao,
riflettono
sempre
in
come
nella Leggcida
di Santa Caterina,
^
.
i
Si confrontino specialmente
vv. 4 e 5,
19 e 21, 24 e 25,
28 e 29, 32 e 33, 36 e 37, 44 e 49 (tra i quali si inframmette un discorso riportato), 80 e 81, 84 e 85, 132 e 133, 152 e 153,
164 e 165, 175 e 177, 184 e 185, 219 e 221, 235 e 282, 284 e 285, 292 e 293, 312 e 313.
237, 236
238, 240 e 241, 244 e 245, 251 e 253, 260 e 261, 263 e 265, aSr
115
XVI.
Pervenuto ormai
nuto
il
credo ve-
momento
di tirar le
somme
un
quale
si
pu
del
circo-
secolo XII e
principio
XIV,
ma
a preferenza narrativi,
didascalici e
dialogici,
una forma
di strofe
monorimi, non sempre anche interiormente da una coda di due endecasillabi accoppiati che nei documenti primitivi di questa forma, il ritmo casinense e il ritmo di sant'Alessio, 1' unione della fronte con la sirima era fatta mediante un verso di collegamento rimato con uno dei due periodi della strofe che se qualche deviazione accidentale dallo schema metrico da riconoscere come oridi versi doppii
rimati, e
lacunoso dei
testi
quali
ci
lo stato guasto e sono pervenuti dopo una lunga generalmente ci sfuggono, non
meno
come
principio assoluto
affini
,
altre si
generarono
e similari, tra
quali merita
anche perch
scomparvero e
misura
tra
i
cpda
che
final-
mente
amanuensi non
altri
i
si
pu procedere con
pluralit
che proviene in
casi dalla
degli
esemplari manoscritti,
tuttavia
tentativi
fatti
ranno di essere considerati come fatica inutile, perch possono di qualche guisa contribuire all' intelligenza
^
Cfr. la nota 3 a p.
113.
ii6
di questi poemetti, nei quali gli ignoti rimatori parlarono al
popolo, interpretandone
solo la materia,
sentimenti e
la
bisogni,
si
che non
ma anche
e
forma
Sarebbe
utile
ricercare
le
tempo
passato e presente. Intanto mi piace di notare che una forma di strofe composita, sul tipo di quelle che abbiamo studiate, sopravive nell'odierna poesia romanesca
:
il
vivente cantastorie
le
,
ambulante, che si fa chiamare il Sor Capanna, recitava per piazze, or son pochi mesi, tra quelli ch'egli chiama stornelli
il
seguente
er general la Rocca Mannaggia benettanima tempo fa batte ar duello ma proprio de cartello, con un pazzo francese, che sputa fora fiamme e foco dalla bocca ma mo er francese, ch' omo de penna,
se vorse
II.
DA UN REPERTORIO GIULLARESCO
S.,
voi.
si
II,
parte
la
II,
1889,
mancante
d per
prima
volta].
La
mi
ac-
sec.
XV, ma
per
;
come
e di
poi,
forma puramente
costituita
piuttosto
da
Nell'insieme
la raccolta,
mente
fu
il
variet
ri-
la
morte
come
tale riesce
quale fu nel
studiosi dell'antica
1881
la
ribattezzandola
\
come Un
XIV
e tale
veramente
una descrizione
Sotto questo titolo pubblicai, in quattro lettere a un amico, e alcuni estratti della raccolta, nel Preludio di
I20
il
il
337.
un
li-
pieni di poesie, di
si
una
la
quale
eulta,
dimostra a pi
assidua nello
ricever
segni
come
di
ma
scrivere.
Non
manoscritto, prima di
la presente
secolo
fa),
numerazione a carte (la quale , o parmi, d'un non abbia subilo qualche alterazione certo che
;
in qualche parte fu
poich col
carta
incontra
il
trentadue.
scritto,
tati,
si
storia
esterna del
mano-
di
che sul rovescio della carta decimaquarta sono nomano certamente dei sec. XV, i nomi di alcuni che
alla restaurazione di
tutti
;
un certo
oratorio della
Madonna,
sono
di famiglie
'-^
o di luoghi
e che in
tempo non
del
posteriore al Seicento,
una mano
pietosa,
forse quella
Tommaso
che in
ricopri
di
fittissime
certe poesie
potevano suonare
:
gione e alla chiesa non si per altro che il contrasto fra i due sentimenti, quello dell'uomo pio che voleva nascondere e quello dell'erudito che voleva conservare, non ci permetta
di sorprendere,
se
mente,
sottili
le
nero di quelle
lineole.
una pi breve notizia avevo a. V, 1881, nn. 13, 18, 24, 22 data innanzi, nella Rassegna settimanale del 15 maggio 1881
Ancona,
(voi.
*
Sono numerati 1-37, 37is, 38-40. Ecco questi nomi Guillelimis piuchi ; Bartolamio Sturalo; fnadona Philipa ; Pero Zupa ; Gerardo Gazato ; Gerardo da
:
Montechio
quella di
Shar-
La
121
Le poesie contenute
generi metrici differenti
nel repertorio
:
sono moltissime e
di
cialmente ballate
sulle
specialmente mi intratterr,
e
perch sono
le
pi
caratteristiche
tutte
regolari,
conformate cio
XIII troviamo
secondo
le
dal sec.
zione, che
sviluppano
ai
due mutazioni
una
volta,
corrispondenti
del canto
;
proprio
come
tempo
di
o se
e
della
ballata
via
La prima
libretto,
con
di
la
quale
si
apre
il
singolarissimo
documento
una forma
sino a noi
di poesia
:
in ciafinale finale
;
scuna stanza c' un equivoco, per cui se alla sillaba dell' ultima parola del secondo verso si congiunga la
tale
insomma
(salvo
lo
al terzo
* Cfr. la mia Notizia sulle forme metriche italiane ; Firenze, Sansoni, 1884, cap. II, dove le leggi metriche della ballata furono per la prima volta raccolte di sui precetti degli antichi trattatisti.
2 Nel pubblicare queste poesie del repertorio mi atterr costantemente alla grafia del codice (solamente togliendo h quando inutile, sostituendo z a f, s o ss a :v, i a yj\ poich non essendo sempre sicura la patria dei singoli componimenti, sarebbe difficile distinguere ci che nella disformit dalla pi usuale lingua letteraria appartiene all'autore e ci che dovuto al copista. Nelle note raccolte in fondo a ogni poesia dar il testo preciso del ms., ogni volta che per ragioni particolari l'avr mo-
dificato.
122
zonetta
della
Bella Silfide,
dove
la
oscenit
anche pi
un po' guasta,
e a racconciarla
;
non basteranno,
I.
La zota me d mostrandome
e la
briga,
la
fi-
me
e varda
*
Ben aza
ecc.
nuova canzonetta ; Firenze, stamp. Salani, M. Barbi, negli Studi letter. e linguist. dedicali a P. Rajna, Firenze 191 1, p. 102]. * [F. NovATi, negli Scritti varii di erudizione e di critica in onore di R. Renier, Torino 1912, ha rilevato test come alcune strofette della ballata della zotta fossero introdotte dal musicista modenese Ludovico Fogliani, fiorito nella prima met del sec. XVI, in un centone pubblicato nella raccolta di Ottaviano Petrucci tre delle strofette corrispondono alla i*, 2* e 12*
Bella
Silfide,
La
dell'antica
la
quarta non
vi
trova riscontro
la
zotta,
mala
zotta,
che
'1
Lo
mento
che
del
Stesso
NovATi ha riprodotto un
una
tra
barzelletta
il
ulteriore
dell'antica ballata,
rimaneggianova, da un libretto
il
fu pi volte
stampato
:
XVII
la
secolo, e da ultimo
strofetta
in
principio
1610
ec-
cone
prima
La
la
zotta de Zanibriga
.
mi mostra la fig. ura del suo che par proprio un Narciso Malviazo questa zotta, che ogn'hor morir mi fa !]
.
bel viso
123
La zota me d inpazo
e piarne pe' lo ca-
17
capuzo per la piaza, e mi dico che la non el faza Be aza ecc. e pur la '1 fa. La zota me dona una cotta, la voi pur che la fofornisa a conpimento niente de manco e' son contento Ben aza ecc. e varda l.
;
;
Quando
e la
la
zota
trete
si
me
;
vete
me
un pe-
fame
22
e varda
Ben aza
ecc.
La
e
g' in
mezo
la
mer;
[lo]
merlo da cantar
l.
27
e varda
Ben aza
si fila
ecc.
Quando
el
la
zota
maistro
filar.
li
fra
prestanza
ecc.
32
del
Ben aza
instesa
La zota vene
e
mi
g avri la fe-
mi
gi porsi
'1
37
e la
pia.
la
Quando
el
zota
vageza,
par che
la pete;
petena Un e stopa
se tu
i
vardi su la copa
42
la l' bianca.
Quando
la
la
zota
si
47
ecc.
La
zota
me
lusenga,
124
la
me
porze
dise
'.
la len-
letera
de so man,
:
e la
me
si
'
Va
pian pian
ecc.
52
e lezila
Ben aza
se lagna,
La
zota
la voi
pur che
la saca-
sachiera da paternostri,
e la
i
57
e varda
La
ecc.
e la
me
mostra
cu-
cura de amar mi
e de voler gran ben a mi, 72
la
'1
fa e
non
[.
.
el fa.
Ben aza
ecc.
La
zota
tira
-azo]
me
per lo ca;
67
capuzo de mio fradelo el vene fora senza capelo tuto bagna. Ben aza ecc. La zota va sul mulo,
mostrandome
e
'1
el cu;
da maitin
72
che
mei mostra.
Ben aza
ecc.
La
zota
77
me mostrava el cocordon de quelo zenta do co' el' ben contenta che la 1' []. Ben aza ecc.
; !
La
zota
[.
.-ete]
le te;
[la]
me
mostra
82
e varda l.
La
zota
el
m'enpresta
87
unde
posto el
e varda l.
me
tira
125
cordele de
e la 92
li
calzar,
me
se la por.
Ben aza
ecc.'
componimento; e
versi delle stanze,
anzi
tutto
da considerare
il
metro.
di
chiave
:
non
si
trova, eh' io
sappia,
in
ma
sta
bene
in
poich compie
l'ufficio
ie
giro
con un movimento corrispondente a quello iniziale della ripresa. E che questa poesia fosse proprio cantata a regolare
la
vi svolto
alcun determinato
rie di variazioni
tare le grasse
risa delle
da ognuno facilmente intesa, senza poi che fosse bisogno di dir tutte le stanze e in un determinato
l'oscenit
or-
dine, potendosi a
il
ballo
qualunque punto della poesia intralasciare appare anche da un riscontro moderno, perch la
{romantica tramutazione,
sente
del
di Bella
Danzatrice)
si
no-
stra plebe
ama
di
ballare cantando
cantando,
s'
intende,
italiana,
se
lo
pi
Il
ms. ha
V.
13 coltra;
;
18
monete,
la
ma
suU'c' fu
scritta
le
un'^,- 24 el
tmi(;o
63
forse da
compiere ripetendo
pa-
omise qua e
metro che
il
trascrittore
I2
gli
momentaneo goutile
il
dimento. Tornando
sarebbe assai
l'altra
fermarne
l'et e la patria;
ma
l'una e
non mi pare
:
che
si
tra-
scritta nel
veva gi correre da qualche tempo le contrade, e se, come sembra, era nata nella valle del Po poteva esser molto vecdi consimili poesie plebee di chia o esser recente. Infatti
:
forma e
se cosi antica,
non sarebbe agevole intendere come, tanto a lungo da poter esser raccolta in una forma non molto lontana dalla primitiva in un manoscritto del sec. XV. Credo quindi che la composizione della zota sia da porre all' incirca nella seconda met del
d'altra parte,
ma
durasse
richiamano
al
dove
il
metro della ballata pare che fosse recente nel principio del sec. XV, allorch Leonardo Giustiniani incominci a coltivarlo largamente e con intenti di arte tratt in quel metro
gli
Tra
si
e rimase
lungamente
di
poi,
la vita
riferisce la
la
tando
seconda ballata del nostro repertorio, racconvita licenziosa delle monache di un convento
:
II.
monache
un monastiero,
a non mentir
ma
dir el vero,
G. Carducci, Intorno ad alcune rime dei secc. XIII Imola 1876 [ora nelle Opere, voi. XVIII]. 2 [Il NovATi, 1. cit., approva questa congettura; tanto pi probabile per la testimonianza da lui raccolta del cronista ere^
Cfr.
XIV ;
*
ov'eran done sacrate
:
127
la
badesa,
che
8
la tiritera
spesa
Kyrie ecc.
:
Or udirete
lasciando
bel
sermone
dileto
15
22
che si posava in sul lete per rifare la danza ciascuno aspetta l'amanza che die ritornare. Kyrie ecc. Quando matutin sonava in chiesia nesuna andava, [poi] ch'erano acopiate qual con prete e qual con frate [con lui] stava in oracione et ciascuno era garzone Kyrie ecc. che le serviva bene.
;
:
Sendo
et tute
erano inpregnate
avieno
capo di benda usata in capo brache. l'una a l'altra guatando si vengon maravigliando credean che fose celato,
lo
:
Kyrie ecc.
alor fu manifestato
e la badessa incontenente
Kyrie ecc.
Or ne
va a quel monistiero,
monese Domenico
Bordigallo,
il
XV,
matrimonio di una figliuola di Bernab Visconti che tunc temporis cantilena illa amoris cantabatur, videlicet La zopa mi d hnpazo. La zopa fila la lana
scrisse a proposito del
:
cfr.
nella ballata
vv. 8 e 28].
128
che vi si gode in fede mia questo facto vero ciascuna non li par vero, et quale [] l fanziulla ciascuna si trastulla,
et
:
43
col cui
cantano kyrie.
Kyrie ecc.^
le alterazioni,
Di questa poesia da notare anzi tutto come, non ostante si possa riconoscere agevolmente che doveva
:
la
mi-
4, IO-I2,
in altri
si
9,
27,
39) che
facilmente
pu
togliere,'^ e nei
tro
che cosa che senza sforzo si pu supplire.^ Rispetto al meda avvertire che le stanze hanno l'organismo proprio
se
della ballata,
due mutazioni distiche e una volta ternaria, non che mancano della comune rima finale, di cui per altro doveva far 1' ufficio il Kyrie del ritornello e la ri;
le
monache,
tre;
ot-
le quali
sono
forse
Il
ms. ha
v. 7
triter; 11
tiyl ptiero,
;
yl.
;
34
convento,
ma
l'errore
manifesto
41 ciascuna monacha
il
segno dell'abbreviatura
*
44 cantan.
diezi eran, 9 or udrete, 27 ere, 39 Vi si gode. ^ Ci stato fatto nel testo per i vv. 6, 7, 18, 20, 34, 41 quanto agli altri si pu leggere v. 8 /a faceva, 13 e per rifare, 15 che al letto die rit., 38 va a quello, 43 ciascheduna, 44 e col cui. Pi difficile la restituzione della misura nei vv. 22 e 27 nel primo si potrebbe leggere poich le serviva bene, e nel secondo e l'una all'altra guata. * Chi non volesse ammettere queste licenze potrebbe pensare che della ripresa non sia avanzato nella trascrizione altro che un frammento, che primitivamente fosse di 3 versi e terminasse in -, e che ai versi finali delle singole stanze s'abbia da
3
Leggendo
dir vero, 5
i2g da qualche fatto reale, non senza naturalmente esagerazione degli accessori e qualche tinta un po' conventi di religiose potessero nel metroppo viva e che dioevo offrire materia a un canto di scherno com' la nostra ballata, appar manifesto da molli documenti anche letterari del tempo. Chi non ricorda nelle pagine del Decameron^ Masetto da Lamporecchio e la badessa di Lombardia ?
traesse occasione
;
monache
sima poesia
di frate
Poi che
fortuna e
'I
mondo
men
non
me
ne vo' turbare,
il
anzi ringrazio
lezione
del
meno buona
di quella
pubblicata
si
sionato.
IH.
D'amor
che
'1
si
dolze aspeto da
ti
aparse
arse.
me
me
infiama,
leggere 8 la faceva coti un pr ; 15 che al letto ritoviar de; 22 poich le serviva b ; 36 eh' ognun godesse or diz ; 44 e col cui cantan Kyrie: non saprei imaginare, in questo caso, l'ernendazione del v. 29. Ma questi troncamenti accuserebbero un'origine settentrionale, mentre di questa poesia crederei patria la Toscana (cfr. v. 5 infoiate; 26 guata; 34 conve nenie ; 42 si trastulla, che sono parole pi proprie dei dialetti toscani). * Giorn. Ili, nov. i^, e giorn. IX, nov. 2*.
:
XIV,
Cantilene e ballate, strambotti e madrigali nei secc. XIII a cura di G. Carducci; Pisa, Nistri, 1871, n. LXXIV.
9.
I30
tu sei quella che
me
fa
dir
'
Oi mei,'
Amor
8
in
ugni tempo
lui te
lui
per
la
D'Amor
si
dolze ecc.
Roman
con
el to
i
per certo in mi sempre toa luce ochi belli e col dolce bochino,
lizadro volto pi reluce
che non fa el sole ni alcun saratno. Amor per certo t'ama, al to domino, 14 e per ti, dona, par el cuor disfarse. Oi me, che moro per ti, rosa bella,
io
D'Amor
si
dolze ecc
me desfazo per ti, dolce fiore, son liquefato per ti, anzolella. A morte corro per ti, mio splendor[e] secri adonca tosto, dolze amore, 20 se no, ch'i' vego el cuor anichilarse. D'Amor si dolze ecc. Tu pu' donarme vita e ancora morte, farme contento e farme star dolente, non se move el mio cuor se no' le sorte, che '1 tuo dolce viso resplendente, to dolce aspeto sempre sta in mia niente, 26 da pu' che '1 tuo bel fior in mi se sparse. D'Amor ecc. E' m' donatola ti, dolce mia vita, e fin eh' io viva sono al tuo comando,
;
tu se'
32
mio diamant'e calamita, donna voio avere el bando to dolce aspeto senpre vo cercando occhi mei m'aparse. dal primo di ch'a la mia dolce dona umeleniente vane cantando, canzoneta mia
d' ugni altra
i
:
D'Amor
ecc.
digli ch'io
in
38
ugni parte so dove eh' io sia, digando a lei che se vuole esser pia ancor poria el cor altoria[r]se. D'Amor
si
dolze ecc.'
IV.
Adoro
2
te, amor [mio], dolce mia per che nel cuor senpre tu me
'
vita,
sei
fita.
Il
petizione
ma
in
la
lezione
della
ri-
fine
22
dolento.
131
Fitta tu sola nel
sei se
1
viso to',
pieto e la
mano
dona molto da luintano, e tuto l'altro amor reputo vano, a ti me traze corno calamita. Adoro
e ogni altra
te,
ecc.
ti
me
dolcesimo pi cha '1 mel[e] rosato, toi ladri e l'amor sarafmo i ocbi e '1 tuo lizadro cuor ch'a mi s' dato. Amor per certo el fior che m'i donalo 14 fa ra[ni]ma mia con ti sempre unita Adoro Non poria adonca separar za mai l'anima mia dal to dolze amore, per che nel basar vita me dai, e pi quando me strenzi apresso ei cuore.
te,
ecc.
Tu
20
sei
adonca
el
mio dolceto
rosa
fiorita.
fiore,
la
Adoro
te ecc.
essere opera
pensieri
e
dello
stesso
:
dei
della forma
entrambe infatti par che s'alluda al nome della donna neir imagine della rosa fiorita (III 15, IV 20), il dolce fiore (III 16, IV 19), che ben. potrebbe accennare a una Rosa, il
bel fiore donato (III 26,
IV
io,
13)
da
Amore
che
ri
al
poeta; in enil
gli
occhi belli e
ladri e
dolce
hoc-
donna
calamita
(III
IV
IV^
9,
ii),
attira a s
l'ama-
come
(III
29,
8),
con
(III
(III
la forza d'
un amore
e segg., 27;
modo che
egli,
dato tutto a
lei
IV
3),
IV 11), non si
Mi par
;
altre stanze,
il
primo
certo, sia per il senso, sia per il confronto con le che questo verso debba esser messo subito dopo sebbene dalla lezione manifestamente alterata non sia
la primitiva.
agevole ricavare
Propongo
ti
mio cuor
sento
;
tu
prima
sei se
per eh'
con la mano ben n'amassi cento, ogni altra molto da lontano ecc.
Il
ms. ha
v.
3 salta,
30,
IV
6-7)
finalmente ambe-
due
le
ballate
hanno
una
e
una
nell'altra
il
disposti
nello
stesso
modo
non
quanto
alle rime.
S'aggiunga
al
2 ftta
4 iifiama in e
rima con
vita)
che nelle
due
ballate,
due poesie sono trascritte 1' una ballata di tutt'altro genere e di altro autore e innanzi a una serie di componimenti, sui quali importa ch'io mi trattenga un pochino perch con le due ballate appariscono in rapporti strettissimi. I componimenti cui accenno sono sette e si seguono ne! manoscritto in questo ordine
:
non senza per una leggiera e non si trascuri il fatto che una di sguito all'altra, dietro
;
V.
Amor
ti
me
inclino e dico
vita,
recevi de
ben cuor
Dio sia con ti, signor de ungni dilleto. Dio t'aconpagni, e mi con ti nel leto. Dio sia con ti, dolce dolceta mia, Dio sia con ti, e mi in toa conpagnia. Dio sia con ti, dolce perlina bella, Dio sia con ti, e mi in la toa cella. Dio sia con ti, ch'el te varde d'enpazo. Dio sia con ti, e mi te tegna in brazo.
VI.
A A
In
mia dolce
dea e
ciel stellato.
sola
m' dato
[-ato]
e al to voler[e].
ti
sta el
mio
piacer[e],
133
6
In 8
in
ti ti
bel possedere
'1
dolce amore.
de
ti,
stella.
Tu
ic
Non
12
che m'infiami.
14
16
ma so che li toi ami si m' presso. El to amor si m' acesso, nell'amare. e fame star suspesso El to dolce bassare me d vita. insenbre e l'abrazare
O
18
forte calamita,
20
22
de dolzore.
e conforto.
porto,
corno in orto
soi splendori,
pien de
fiori.
Toi ochi e
24
26 28
mi
tien vivo.
Ogni
altra
dona schivo
nel presente.
fa
So
ch'el
m'
servente
e
'1
bel bochino'.
VII.
mia donna
bella
El to dolceto viso
el
cuor si m' infiamato, piacente riso si m' preso e ligato, e son inamorato
el to
ms. ha in fine del v. i una N.. che sta forse in luogo che volta per volta s'aggiungeva cantando 4 la lacuna non nel ms., ma segnata dal metro forse da 1. Col core innamorato ; 24. essoy.
^
Il
del
nome
134
12
Tu me
tu
nfiamasti el core
me
donasti
el fiore
che m'
sommo
dileto
tu vedera' in efeto
eh' io te servo fidele,
dolce dolceta.
bella]
me
oferirai
lei
mia monachella,
la cella,
serata intro
dove
che
28
tien el
me
tra fuor
tanto zolieta.
Vili.
12
te, amor, doize anzolina, suave amor del mio cuor infiamato, tu sola sei, che in ti son transformato, tu sola sei mia sposa e mia regina. Tu sei ancora mia dolze perlina, de la qua! sola son inamorato ancor, el cuor e l'anima t' dato, perch fra tute sei pi dolzolina. Tu sei mio dolze zio e dolce fiore, Venus lizadra e stella matutina in ti consiste tuto el mio amore. a ti mio cuor s'inchina, digando in sancta fede con cuor puro
:
: :
Adoro
Tu
sei
mia dona e
d'altra pi
non curo,
.-
16
*
perch Io '1 sa el nostro gran[de] dio ch'io son tropo pi to che non son mio
Il
ms. ha
V.
6
27
infamato,
8 presso,
nel
v.
17
il
afeto,
18 fidelle,
19 velie, 26 retien,
ftiara:
12
ms. non
segna
la
lacuna.
*
Il
ms. ha
V.
3 son
za Iransf.
135
IX.
mio cuor
dice,,
si
me
me
fa'
l'intendere e
e a sto
sentire
cosi felice.
mondo son
i6
questo fa el tuo viso con i ochi vag e '1 riso: parme un bel paradiso, quando eh' io vedo ti, dolze pernice.
'
X.
Adoro
fuoco atrativo che infiami mia mente, stella diana che me duce a porto. Se tu non fusti, za io seria morto e translatato a la beata zente, mo io vivo e sto per lo fior excelente
che instesso arcolsi fuora del to orto. ti adonca, dolce mia regina, el cuor e mi instesso i' donato, non voio Margarita ni Marina perch in ti sola sono transformato. Amor m'i si ligato
.
Il
ms. nel
v.
12
ha dopo
il
{qi)
sciogliere se
non
P^-
136
15
dentro da ti con toa dolce catena, che fuor de mi scazi ogni dolor e pena.*
XI.
Adoro un dio
2
amo
ti,
mia
vita,
Adoro un
4
6
8
dio,
ch'
ti
ma
sola senpre
Adoro un
ma de
Adoro
Adoro
adoro adoro
il
senpre contenplo
f' f'
i
bel viso.
dio chi
lui chi
'1
cuori lizadri,
toi
ochi ladri.
dio, e
lui
stato serafino,
f'
IO
12
che
ti
el
me
Adoro
14 16
che te
Adoro
che sola
mia
vita e
vede
si
noti che
duca che r innamorato fosse versi sembrando invece pi probabile che il poeta, chiunque fosse, imaginasse una storia intima d'amore tra un frate e una suora, e su questa idea componesse d'amorosi sospiri i suoi versi. I quali hanno comuni, oltre l'ardente e passionato desiderio che traspira da ogni parola, l' idea iniziale
;
suoi sospiri per una monamonaco desideroso d'avere (XI 14), ma non se ne inegli medesimo l'autore dei
dell'adorazione e
usate rispetto alla
le
espressioni carezzevoli
:
vezzeggiative
donna
il
poeta non
i
si
stanca di ripetere
e aspetti
quanto
'
suoi
atti
(V
5,
Il
Il
ms. ha ms. ha
V. v.
15 fuora.
2
essopra.
tu
me
sei,
mia
cela.
^37
dolce dolce ia mia
;
7,
VI
r-2, dolce
N.
dolzore ; VII
dolce bocheta
5,
4,
;
5, el to dolce to riso
;
12, toa
;
dolce
dolce la
Vili
i,
dolze
;
anzolina
dolzolina
9,
dolze zio
;
e dolce fiore
IX
15,
;
dolze pernice;
la
9,
dolce
mia regina
cose
vita
14,
chiama
le
coi
nomi
delle
:
pi
i,
gentili e delicate e
con
pi affettuose parole
5) e perletta
(V
XI
VII
i),
perlina (V
7,
VIII
2)
X
X
4),
lucido spec9),
(X
(VIII
3),
i),
angiolella
(VI
augioe fiot'e
le
(yw
i)
e angiolina
giglio
(Vili
9)
;
9)
ne loda
ma
cfr. cfr.
VII
12),
che accompagna
(VI
lieti
abbracciamenti (VI
piacente (VII
i']
,
16,
IX
14), e
IX
13,
XI Ben
VII
io,
IX
XI
8).
Tre e Quattrocento
ma
il
loro concorso in
un gruppo
comune
ci apparsa per altri indizi, non senza signifiFermato questo punto, cio che componimenti sopra riferiti (V^-XI) sieno opera di un solo poeta, a me pare manifesto che egli sia anche autore delle ballate III e IV, con le quali presentano tanti riscontri di pensieri e di forma
paternit
cato.
basterebbero a provarlo
ballata IV e
il
la
somiglianza tra
l'
il
principio della
imagine ripetuta
occhi ladri,
il
29,
IV
8,
VI
17),
gli
altre
consimili
di poesie.
Il
espressioni
caratteristiche di
Un' ultima osservazione da componimento V una specie di strambotto augurale, formato di cinque coppie monorime Il VI sembra essere una cantilena a distici incatenati, che rientrerebbe nel genere dei serventesi duati, come dicevano
tutto questo
fare rispetto ai metri.
gruppo
138
gli
antichi trattatisti,
ma
si
distico in
sta el
ti
mio piacere,
in
bel possedere
ti
cosi
si
al
tipo
usuale delle
ma
si
avrebbe
de
anche un
quinario
ti stella).
altro inconveniente,
(es.
Il
sede ora un
Vili
un
quadrisillabo (es.
1'
;
una
due
serie di
uno
bal:
15-16).
si
Il
IX parrebbe che
una
b
lata,
ma comunque
si
difficolt
[b b
perch o
X),
e allora la ripresa
dovrebbe essere di due versi [a X), e nelle prima stanza mancherebbe un verso o si considera formata da una stanza sola [b b b X, e e e X, d d d X) preceduta da una
;
ripresa tetrastica
larit
{X y y X),
il
e allora
si
avrebbero irrego-
mutazione
4),
(vv.
il
primo verso della volta (v. 13) non collegato per la rima all' ultimo delia seconda mutazione (v 12), irregolarit impossibili, direi,
perri-
ci ritengo che
abbiamo
qui
ballata a
i
supple:
le
lacune cosi
[te
mio cuor
dice.
[Qual io per te mi
sia]
credo che
in vita
mia
1,39
Il
all'
netto,
mancherebbero
al
ultimi
ternario
di coda,
prima terzina mancherebbero i due primi versi della seconda che la lacuna pu per il senso, esser nell' uno o nell'altro luogo.' L' XI , come il V, uno strambotto a distici monorimi, che s'allunga per otto coppie, quasi una spe-
dopo
la
Dai sospiri del frate l'elice per amore ci trasporta al lamento del monaco doloroso la ballata che tien dietro quasi
subito nel repertorio alle precedenti poesie
:
XII.
De, ben
feci la
gran pacia
mia.*
Or udite
la
gran falanza
del prete che me converti, che mi dise una sua danza tanto ched e' mi vesti.
Et come
fu falso e rio
malano, il che m' messo in tanto afano De, ben che contar non vel potria. Quando vego i mie' conpagni
cossi dio gli dia
feci
ecc.
mondo
a solazare,
'
altri
sonetti caudati
sono
in questa
sia,
prima parte del codice. * Queste ultime parole, come altre qua e l in questa poesono cancellate e si leggono a stento forse qui potrebbesi
:
140
cosi gli
si
schiante
il
cuore
20
m' meso in .questa via. La sera quando mi truovo in cella mia cossi solete, mille volte mi rimuovo
chi
De, ben
feci ecc.
il
peto
io l'avessi al
mio potere
De, ben
feci ecc.
28
volentier lo 'npicaria.
Non
un rio partito ad uno omo innamorato ad giacer senpre vestito, s con una fune legato, senza conpagnia da lato
questo
36
feci ecc.
io vedesi
un bello
invito
44
Quando
et io
il
ministro pasasse
o un altro magiorente
mi
fa
tura,
Questo lamento del monaco ben singolare che dei frati rappresent pi volentieri mentre invece
ms. ha
V. 15
una
vita
lettera-
gode-
reccia,
alle suore,
come vedremo,
lasci quasi
Il
26 a
chi,
28 lanpicharia.
141
il
all'amore
ho cercato
inutilmente qualche
riscontro nella
rare pi tosto
come
l'espressione
d'un pensiero
timento individuale, per opera di un poeta di poca coltura, che s'attenne ai modi e alle formule della poesia del popolo
(cfr.
specialmente
vv. 5, 7,
il
io,
12,
17, 19,
25,
27-28, 36)
verso prediletto,
e di ritmo,
l'ottonario,
un
monotono d'andamento
ma
pur disinvolto e
bene appropriato a un' invenzione pi che altro narrativa. Della patria di cotesta ballata c' pi d' un indizio linguistico
;
il
alla giusta
13,
assai
50),
nome, comune o particolare, della cella di punizione nel monastero. La possiamo quindi tenere per un documento
della letteratura dell' Italia superiore
;
dialetti
della
quale
v. 37 un amico mi propone di correggere il primo, o nei V. 39 leggendo Queste son l'ordinazioni; correggerei pi tosto l'al-
tro in
Ched
e'
risponde meglio
concetto
:
dei
versi
che precedono e di
il
il
pensiero che
sopporti con
frate
deve
sof-
ignoti ai secolari,
quali credono
che egli
li
pazienza, mentre
Con
ciclo
la
ballata
il
abbastanza ricco
:
poesie
satiriche
intorno
alle
donne
XIII.
feste
142
Voi dovete ben pensare che l' pecado mortale de voler[si] scontrafar[e]
la [soa] faza
naturale.
ed ato molto
12 tuto
'1
rio,
f'
dio
di la contrafate.
Done
ecc.
con
lisare
de unguenti,
Vui
portati nigri
denti,
;
Done
ecc.
Quando
per
la via
passate
non ve ne remanete,
28
Done
ecc.
Pi d' un palmo
le
pianele
per
la
quando per
la via
passate.
d'
inverno n d'estate,
36
n perch sia il solleone, n per nesuna casone vui de piedi non le trate, Vui andate [senpre] al domo per parer bene adornate, e credete da omne omo
eser tute vagezate
:
Done
ecc.
Done
ecc.
Le
altrui trece
conperate
143
per
e za
eh'
non
[ve] pensate
52
Done
ecc.'
Contro
come
gi inutilmente
suntuari,^ cosi
si
era
cercato un freno con gli ordinamenti poeti del Trecento, dall'Alighieri, mente alzarono la voce che a tal proposito usci in una invettiva famosa, ^ al Sacchetti, che ne scrisse una particolare canzone * la nostra
i
:
vana-
ballata porta nel coro dei moralisti letterati la voce del po-
polo, e in forma tra schernevole e ammonitrice raccoglie il gli eccessi e le stranezze della
moda generavano
proverando
alle
nei
nostri
trecentisti.
E
(vv.
incomincia riml'alterazione
del-
donne,
genericamente,
l'aspetto naturale,
5-12): dipin-
gonsi e disfanno
gi esclamato nelle
valto,5 e
il
sue prediche
lisci
(vv. 13-28),
II
ms. ha
parete, 17
leone,
li denti,
43^
Si
14 con vostro Usare, 15 layde asay 18 e questa e cossa, 23 tante, 34 et sole hi ingano, 44 pur, 46 far vostri capelli, non penssando
V.
3 vengono,
51 sono.
'
coli,
le
feste ed
XIV Roma
,
1818;
;
Ciampi, Statuti suntuari ricordati da G. Villani; Pisa 1815 G. B. Vermigligli, Opuscoli; Perugia 1825, voi. IV; L. SimoNESCHi, Ordinamenti suntuari pisani per gli 1350, 1386 ; Pisa
S.
1889.
^
"*
Paradiso,
XV,
100 e segg.
G. Carducci, Rime di Gino da Pistoia e d'altri del secolo XIV ; Firenze 1S62, p. 542. Al contrario del Sacchetti un altro novelliere fiorentino, l'autore del Pecorone, metteva in ri-
ma
le lodi delle
donne
I,
seguitatrici delle
nuove fogge
vedi Gan-
tilene e ballate n.
=
CXLIX.
99.
Prediche,
144
che
al
O
:
alchiriu-
vera carne
ai
fai
dibucciare
e
, e
che
specialmente
denti
agli occhi
il
che
fio-
novellatore
rentino, e
denti,
brutta, soggiungeva
poeta popolare
i
al
me
al
pezzette di
ros-
simo costume era poi quello d' innalzare artificialmente la persona mediante 1' uso di zoccoli e di trampoli, lungo
i
la
anche
fio-
me
il
le
donne
rentine usano
pianella e
il
ogni
industria
si
affinch
con
le
vesti
l'alta
calcagnin
cuopra.
i
Finalmente
rf://fl
la satira si
volge
capelli
morie dileggiati
gi dal Cavalca,
ze,
quale contro queste portature e queste usanaltra corruzione del secolo, scrisse gravisin questi riscontri,
che sarebbe
la
e che mostrano ad
ogni
modo come
fatto
molto comuni
che attesta
la balil
cui fu
lata
composta
le
pu dubitare che
contro
XV
al
princi-
pio del
XVI
la trascriveva
tra-
come
ballata fosse
venuta modificandosi
Pu7igilingiia, cap.
XXVII.
f.
cfr.
il
Cod. Palatino 201 della Nazionale di Firenze, Catalogo dei Codd. Palai., voi. I, p. 216.
43 -44 a
145
panze sieno dovute all' imperizia del Ricci, questa non sarebbe sufficiente a spiegarne altre parecchie. Soggiungo in
s
nota la trascrizione pi recente l affinch chi vuole faccia da il confronto con l'antica, e mi limito ad osservare qui
in quella la ballata invece
che
che
alle
donne
in
generale
manca
rimaneggiamento
22,
profondo da
o almeno
^-j
,
mutare del
il
tutto le
28,
32,
35,
39,
42-43).
scherno il compianto questa che segue lamento d' una giovane innamorata per l'allontanamento del suo diletto
allo
:
Accanto
una
ballata di
XIV.
De, torna ch'i' t'aspeto
e non mi las morire,
' Questa cansona ichiste (1 iscrisse) Charlo di Giuliano d'Ardi[n]go di Zanobi d'ArdiinJgo de' Ricci fiorentino
:
feste,
28
tutti
quanti s'apusate.
Pi d' u'
ch'egli chaso monto rio, che tale facca fatto el dio 12 ogni di la contafate. Voi chredete asser pi belle
per esere maggiore e belle, mai ve le cavate n di verno n di state, n per gnuna istagone
e gi
;
36
fissi un solidione mai sans'eze non andate. Voi andate da uno uomo
se vi
ugnuno
:
toccha
44
20
iserchiate.
feste,
48
non andate
si
dicate.
146
se
Longo tempo
so' stata
Tu
sai
ben quanto
lo
sie
benedeto,
;
me
eh' io te disio
imprometo a dio
20
Si per altra
acostandome al to pecto. De, torna mi se' tolto de! non far demo[a]diu dimora. Fa che vega il tuo bel volto, se tu non vi ch'io mora;
ecc.
che se tu ritorni ancora io spero di vita assai. De, per dio, trame di guai,
28
non m'ocidar
Di
cotali lamenti di
di sospeto.
la
la
De, torna.
donne per
fare a
bandono
si
dei loro
amanti abbonda
il
poesia
i
antica,
raf-
questo proposito
soliti
fronti
com-
-Questa
ballata tfascritta
:
seguo
3,
la
con
la
5, 6, 13.
Noto poi
;
le
non teco A 5-6 so sta priva pensane solo A, so stata pur a pensare B 7 esere tieco A 9 Questi AB 15 sei B 16 tornanimi B, eh' io te desidero A 13 quanto dito A 20 acostandomel tuo B 21 Si per altri non mi tasi che mi se tolto A, Si per altri noti mi tasi o mi se tolto B 22 fare demodin A, fare modiu B; 24 l'ol B; 27 ttammi B 28 ncider B.
codice
2 lasciar
147
parazione potrebbero essere puramente casuali e dipendenti dall' identit del soggetto. i Voglio pi tosto avvertire qual-
che cosa circa la patria di questa ballata smi che v' incontriamo sembrano dovuti
certamente
dell' Italia superiore,
(v.
al
si
perch se
2
4 gol-
ecc.),
ma
altri
lombardismi
(v.
e v.
demo-
che non
possono togliersi senza guastare l'organismo metrico della poesia chi volesse sostituire la forma toscana toglierebbe la rispondenza delle rime trai versi 18-19, dovrebbe rifare arbi
trariamente
il
la bal-
anche quest'altra che poco discosto segue nel codice, guasta e manchevole, si che in alcun luogo anche malagevole l'intenderne il senso. una specie di lamento moralizzante del marito perch la moglie vuol mettersi, come oggi si dice, i calzoni, o
forse
come
conta:
chiamano ancora
il
XV.
La dona mia
e perch zo voi eser el misiere,
me
spiace
lei
trigua n pace.
ma
io
ch'io stesse a lei corno [al] lione perch mi toca l'antico proverbio
cervo;
148
Chi della dona soa si fa sozeto vene vilan, ponam cha nula toca devrebbe al mio parer prender la rca, e las[ar] andar lui al suo dileto.
:
-eto
Chi no'
al
servo
i
hom
veraze
17
Il
ma
feminil de
omini falaze
La dona mia
ecc.*
gruppo di
:
menti
il
senti-
mento
sti
politico e
il
religioso
si
italiano
anche
il
riate osservazioni.
XVL
Perch sospecto non sia per altri mi ven lassare e! camin che solea fare
per
ti,
El parlar d'altrui
tanto
che za me met'i[n] gran dogla, perch derete e denanto a noi cercan far vergogna prego dio chi li svergogna
:
questi
falsi
traditori,
i
e mantegna
nostri onori
Lo
lor
morso venenoso
pi fero ca coltello,
e pi che can rabioso
v. 7 chonto lione al 2 yo invece forse di fo senso richiede il contrario; v. 12 clamilatocha, lezione dalla quale non saprei cavar senso, se non forse 1. ch'ami la loca, e intendendo tca per femmina, metaforicamente v. 15 manca nel cod., ma doveva essere press'a poco (cfr. v. ^, perch si dice per antico deto, o qualche cosa di simile, che valesse a collegare la sentenza che segue con le precedenti parole.
1
II
cod. ha v.
il
cervo,
ma
149
mi d pena e fiazello zamai senti' martello chi mi fesse consumare quanto fa el so mormorare pin de tuta vilania. Perch
a
;
ni
20
ecc.
Questi
falsi traditori
Cun
lor
lengue dolorosse
28
prego dio chi li confunda, a nui dea vita ioconda ed a lor malenconia. Perch Dio confunda traditori
i
ecc.
zelosi e
mormoranti,
gli
amanti.
Dio
gli
36
tristeza e
malenconia.
Perch ecc.
le false traditrize
invidiose ribaldesse,
done neigre
Dio
si
menoresse,
badesse,
le priore e le
gli dia lo
malano,
le
mi dn grand 'afano,
Perch ecc.
44
La
spartita che
ti,
mi
fazo
e sera pi inaniorata
52
cun senbianti graciossi al despeto di zilosi, che De' meta in mala Non sera mai despartito
el
via.
Perch ecc.
mio cor
I50
che produse
el
to valore,
donna
per
60
ti
bella e virtuossa:
socori a la
Non
Perch ecc.
non
spietata ferita,
68
quanto sento al mio core per questa amara spartita. Oi me che crudel saita mi conven per voi sofrire, ed ancor forsi morire Perch ecc. e finir la vita mia.
!
E bench da
lonzi sia,
76
che sempre fin che sia morto m'averai in to' bailia ni far la zente ria
;
84
che e' non sia to servidore, fermo e forto inel to amore, Perch ecc per la tua gran cortessia. A dio t'arecomando, prego che non m'abandoni
;
altro
da
ni altro
Oi me! dolorossi soni, o canzon tuta piatossa, ben mi dai vita penossa,
92
Perch in la despartita mia. Vane, balatina mia, umelmenti e cunt amore, e di a la dona mia quanto forte el mio dolore Prega 'I so dolze valore chi mi rendi alcun conforto.
:
ecc.
151
e avanti vivo che morto
mi sostegna
in cortessia.
XVII.
Tolto m'i col to parlare, vaga dona, el mio cuore, si che mi convien stare
per te suzeto all'amore.
Ma
di
degna mia persona ogn' altra dona abandona per te lo mio cuor crudele; a quante voluto bene
sola tu sarai pi
signorizar
dona despietata,
quale m' si robata di tucto l'amor pasato, per suo servo m' legato
co' le
XVIII.
Oi
me
oi
streto fuse io
in le toe braze,
me
si
oi
me
me
Sun
cani, 31 Sian pricaor inutile avvertire che gr., datile 70 mi Si Alolor, 43 monori. 35 e 91), rossa sta per rosa (cfr. vv. 22, 25, 34, 35, 5o, 58, 59, 90
Il
. .
86
ma
2
abandoni.
II
ms. ha
16
V.
6 la tua,
11
quante egli
a,
12 tu ne
le.
13
si voi,
Ad
questa.
152
regina del cor mio, speranza mia,
rendime algun sostegno de non aver desdegno de mi che t'amo pi ca l'ochio mio.
: !
IO
Oi me oi me oi me Perch me si' crudel, dona piacente, con l'amoroso viso, ochi toi lucente, bianca la boca e con lo to vago riso ? Angel de paradiso,
!
! !
17
perch
[sei] si
e'
feroce
?
:
Quando
te
24
31
questo dolor me coce, per crido ad alta voce merz, merz, che non soferis'io. Oi me oi me oi me Abasa le to rechie, audi parole del to servo suieto, si' senpre la dona che '1 mio cor vole con lo lizadro aspeto de rendime dileto in le to braze, non me far morire. Oi me oi me oi me Per ti poso schivar la crudel morte e star in questo mondo, tu sera' de la mia mente fonte
!
[io]
viv' io
38
*
me
di
oi
me
oi
me
*
!
questa ballata abbiamo due trascrizioni nel re36 (B). Nella seconda il ritornello non sempre di tre esclamazioni, ma di due, oyine oyme, nei
pertorio, a vv. 3,
e.
Anche
17 (A) e a e.
IO,
v.
24,
i
e di
una
B,
sola,
2
yme, nel
/e
v.
17.
Le
varianti
5,
sono
minime,
B, 6
fos' io
guasto
mor
AB,
B, 8
no B, 13 lucenti A, 14 uiso
A, 21 ma-
cole
sofareseo A,
SCO oy B, 27 ma vuy si senpre la dona AB, le brace A, 34 tu sera dela mia mente chiave fonte A, de la mia mente chiave B, 37 che vivo A.
153
XIX.
Valeto, per cortesia vane, vane a l'amorosa,
quella ch'
si
lacrimosa,
piena de melenconia. Quando voio spartir da lei, vita mia, scanbiato '1 viso; ma a dio, dolze amor mio, che parto con te deviso ben se non son morto o preso, o de questo o d'altro dano,
:
12
torner con gran guadagno Valeto ecc. per facio questa via.
;
Non me
ch'io vo a
con
la fronte
2o
montagna e la marina: Valeto ecc. per facio questa via. Vita mia, prende conforto;
la
se la
Marca guadagnasi
io seria
com'omo morto,
de
28
posta fata ferma, me lasi ancora serva Valeto ecc.^ tu serai la vita mia.
la
se tu
XX.
Or ve
fazo a sapere,
de
'
ste
male novele.
8
Il
ms. ha
v. 5 vie voio,
me
rimonte, 24 lapso.
154
El nostro bou patrone
niisier lo carlevare
si fato el pasazo con canti e con balari mo' ne convien usare
che vastan
Dov'
Or ve
fazo ecc.
20
Or ve fazo
ecc.
pena gieve
che
al
core
a morte,
me consuma
in sorte
Non
se
'1
carlevar tornse
28
Or ve
fazo ecc.
36
una sol fiata a l'ano ne vole visitare da poi gran mal di mare, ne l'asal per la decima, ve' sta mala quaresema
:
44
eh ' pi amara ca fele. Avanti me fa festa corno fa el fiol a pare, da poi me molesta
Or ve
fazo ecc.
155
fame dezunare. Convien dezunar fava con fasuH e lenti, che fa rabia de denti e mal de niaroele. Or ve fazo Se '1 pasa questa festa de questo ben perdone, chi male de testa e chi mal de magone
e
;
52
ecc.
destruta
e
la
masone
60
Or ve
;
fazo ecc.
non non
far
ormai
me
68
Or ve fazo ecc. per fin a le zervele. Vane, balata amara, ' e di' da mia parte che vita non mi cara e far ne voio carte. Mutar voria questa arte, lasare el pese a l'amo, che '1 corpo pur me afamo
e do! me le budele.
76
Or ve
fazo ecc.'
XXI.
Lassa mi, com farazo ? ch'el me convien star romita, mentre che in corpo la vita, in sto monister salvazo. Monica me convien stare nel salvazo monistero;
* Il ms. ha V. 12 vasiano, 14 solemo, 28 bele feste, 39 Coni una sola fiata, 43 Chel u sta, 49 Conuiene dezunare, 55 mal, 58 par da pa(o, 62 partanga, 69 balata mia ani., 71 71011 e mi cara.
156 vunde non so che me fare, done mie, a dirve el vero, ch'el m' posto un velo nero
e tondi
12
i
biondi capelli.
-elli
-azo.
Lassa mi ecc.
Con
quando
stava a le fenestre
;
20
alguna ora intrava in danza vunde perso ogni speranza d'aver mai nesun diieto, pensa ben s'el me dispeto a sostinir tanto oltrazo. Lassa mi ecc. Soleva vestir camisa
bianca,
morbede
e sotile
28
ogno bel color perde vunde me despererazo. Balata, segui mia voia, va cantando infra le done
e
:
Lassa mi ecc.
e dii
ch'el di el qual io non so' a mesa carne e vino non asazo. Lassa mi ecc.^
XXIL
Do!
3
Il
ms. ha
V. 4
In questo monistero
vunde
che, 9 negro,
<?/
15
humele, 26 e /et (dopo la qual parola segnato il terminar d'una stanza con il ritornello Laxanii, e poi segue come se fosse una stanza
e quando,
17 perduto,
19 pensate, 21 so/euame, 25
157
ani
e vitime spoiar
dolze pani
;
do
dura
IO
greve le mie pene, aler e' fui privata. che d'ogni bene E' porto una camisa de stamegna su le mie carne preciose e bianche, e dormo sora un faso de gramegna
e spese volte sola su le banche
;
Do
lassa ecc.
le
menbre stanche,
17
sona el matutino se non son levata. perdo el vino, Stagando sola sola sul mo leto un dolze sono alora me vignia credando ch'el fose el mio dileto che in le soe braze streta el me tegnia e in quel dolze tenpo che volea
e
:
Do
lassa ecc.
24
conpir nostro desio, alora e' fu' chiamata. oi me dolor mio, Vane balata [mia], vane ora mai
!
Do
lassa ecc.
da
la
a quante
31
e dige e contage questa novela che [eo] son serata in questa zela, perdo el dolze tenpo; e' fu' incarcerata. tropo per tenpo
Do
lassa ecc.'
Questi lamenti sono tutti nella con notevoli variet di versi e di natura dei singoli componimenti: notono, delle ballate XVI, XVII,
forma della
ballata,
ma
mo-
XIX, XXI,
il
settena-
se
nuova) Aspra ecc., 28 che me, 29 sequi, 30 E u, 32 incarcerata meya (lezione erronea che ho corretta dubitosamente in se more, in relazione d'assonanza con dotte o di rima con sore, che reocote de q., 35 ni carne si potrebbe sostituire nel v. 30), 33
ni nino.
1
II
ms. ha
15 e
V.
e 8
Edo
ritornello;
el nostro,
23 conpire
158
rio,
XX,
;
e la stanza
di
otto
versi che
che ef^se insomma non escono dalla meditazione e dalla penna d'uno scrittor letterato, ma furono composte in mezzo al popolo per essere veramente cantate e ballate.* Le altre due, XVIII e XXII,
queste poesie d'una origine popolare
sono composte
di settenari e d'endecasillabi,
mescolanza che
non
sia aliena
antichi
da
fare
quasi in tutte
abbiamo quel sicuro segno della popolarit che l'assonanza (XVI 6, 8 doglia: vergogna; XVII io, ii crudele: bette; 12, 2Q fuore : parole; XVIII 32, 34 rnor le : fonte ; XIX 11,
12 dano
sei'va ;
:
gtiadagno ; 22,
13,
7,
XXI
XXII
forse
more
5,
bruna : dura) : quasi in tutte abbiamo una lombarde (XVI 45, 47; 64, 65; XVII
despiet e
;
7;
6,
16,
17
roba =^ despietata e
64,
di
robato
XX
21,
8; 37,
39; 42, 43
II,
8,
13),
e in
sogner tener conto nel determinare la patria dei singoli componimenti. Finalmente sono da correggere alcuni luoghi manifestamente guasti, nei quali
cosi in
la regolarit
metrica alterata
XX
E tutte
vuimie sore ;
XX
49-50 la rima e
la
misura
si
ristabili-
* Le pi antiche ballate d'ottonari, a ripresa tetrastica e a stanze d'otto versi, le quali si possano francamente asserir popolari, sono le bolognesi pubblicate di sopra un memoriale del1282 dal Carducci, Cant. e ball. n. XXIII e XXIV; del secolo
XIV due
tura letteraria, e
il Carducci, il n. XCI, anonima e di fatCLVIII, di Franco Sacchetti: parecchie schiettamente popolari ha il nostro repertorio, e abbiamo gi veduto che sono di questa forma n. II, XII, XIII, XIV. utile avvertire che questo tipo di ballata fu poi di gran moda nel secolo XV, per l'esempio di A. Poliziano, tra tutti i poeti coril
sole produce
n.
tigiani.
^
Si
veda
p.
es.
il
n.
XV.
159
seono leggendo Convien dezuno fare Con fasuli e con lenti ; in XXI 33-34 il guasto pi profondo e non mi riuscito di escogitare un probabile emendamento. Circa alla provenienza di questi componimenti possiamo
raccogliere, se
non
la certezza,
almeno osservabili
indizi della
appartenga all'Italia superiore dicono abbastanza chiaramente alcune forme conservate dalla rima (7 denanto. 38 ribaldesse. 40 me?wresse, 45 fazo, 47 mazo, 64 salta) e altre che, pur essendo indipenpatria di ciascuno.
il
Che
n.
XVI
hanno
32 85
arecomando)
me sembra
di certo essere
uno
cimtamore cuni amore), che messo in relazione con ci che l'amatore dice nella nona stanza, come egli non cesser di aver nel cuore la donna sua sia in Alba sia in altro luogo, dimostra chiaramente l'origine piemontese di questo lamento di partenza onde s'accresce l'importanza di esso, perch viene ad essere uno dei pi antichi documenti della poesia volgare italiana in quella regione.* Dei n. XVII, XVIII, XXI, XXII non altro credo
:
si
Italia superiore,
possa affermare se non che devono essere stati scritti nella qual cosa, oltre che dalle rime, din.
XIX
un indizio molto eloforma priso s' incontra spesso nei rimatori toscani da Guittone a Dante,' ammesso generalmente che dovuta all' influenza letteraria dei poeti siciliani ma questo indizio avvalorato da un'altra
viso
:
8,
9)
gi
la
Torino,
libro di Canti popolari del Piemonte pvi'obl. da C. Nigra Loescher, 1888, non trovo alcuna poesia che offra riscontri con la nostra ballata si invece dal Repertorio lessicale, che chiude il volume del Nigra, ho tratta la conferma dell'uso piemontese del cunt, e d'altre forme, come darera, tenga e len*
Nel
Gaspary,
pp. 202-203.
i6o
coppia di rime, andata: contrata (vv. 13, 15), dove da riconoscere una forma schiettamente meridionale/ e anche dalle assonanze dafio : guadagtw (vv. io, ir), le quali forse nella
in-
meridionale, non
saprei poi se
pugliese o
questa ballata, sono la menzione dei luoghi che l'amante vuol visitare e alcuni riscontri con altre poesie del-
Italia inferiore: Messina e Palermo, per esempio, sono insieme congiunte anche in una ballata che un codice antico intitola Ciciliana,- e in un'altra poesia del mezzogiorno pur il ricordo della Puglia e della Marca d'Ancona,^ come nel nostro lamento e inoltre il valletto ricorre pi solitamente
l'
;
Il
n.
XX
invece
ci
Venezia; dalla quale, oltre qualche altra particolarit dialetcomune a tutta la valle padana, ce lo mostra uscito l'uso d'una singolarissima parola, tutta speciale dei dialetti veneti.^
tale
Resta da osservare, circa a questo gruppo di lamenti, alcuna cosa intorno alla materia. Il n. XVI l'ultima eco delle canzoni trovadoriche intorno ai malparlieri e ai lusingatori,
i
vani discorsi la
amanti
questo
svolto
largamente,*'
di F. D'Ovidio, Ardi, glottologico ital., proposito della coppia di rime contrata : ingannata: il Gaspary, op. cit., p. 186, riconosce invece in contrata un latinismo, che in una parola di formazione secondaria sarebbe a dir vero assai strano.
II,
Questa l'opinione
93, a
Carducci, Cani,
e ball.,
11.
XXVIII,
v.
19.
E una canzone
f-
C, 35.
2>'22b,
popolare, conservata nel cd. Ambrosiano che comincia: Quando di Puglia e' tnossiini Per
Carducci, Cant.
e ball., n.
XXVIII
XXXIV.
voce maroele (v. 52) nel significato di emorroidi. L'antichit di questa voce non so che sia attestata da documenti del Trecento certo essa era d'uso comune nel secolo XVI, in cui l'adoper il padovano A. Calmo (cfr. V. Rossi, op. cit., glos5
la
sario, s.
^
v.)
Gaspakv,
op.
cit.,
pp. 75 e segg.
i6i
rimatori del lirica d'arte del Dugento, specialmente tra mezzogiorno,^ presso alcuno dei quali assunse un atteggiamento direi quasi popolare, certo pi umile e alla buona che
i
eulta
si
senta,
per
esempio,
Oi bella dolzetta mia, far si gran fallimento di credere a gente ria de lor falso parlamento le lor parole sono viva lanza, li cori van pungendo per mala indivinanza.^ e dicendo
non
di
un motivo gi
scana fece cadere in dimenticanza le rime dei siciliani che rimase, sembra, negli strati pi umili della
letteratura popolare donde ricomparve poi nel nostro lamento, che sebbene anteriore di qualche tempo alla trascrizione sua nel repertorio non direi pi vecchio della seconda met del
;
modo non
forma risponde ad un' ispirazione personale, ed certo l'opera d'uno di quei poeti semiletterati che in quel
tempo abbondarono nell'Italia superiore: curioso poi l'osservare che il motivo dei maldicenti si congiunga in questo lamento con l'altro, esso pure assai frequente nella vecchia poesia, delle dipartite con promessa di fedelt e di ritorno e che fra i traditori mormoranti e le invidiose traditrici che
;
invidiano
dei
e frar
gli
religiosi e le religiose
restringendosi cosi
n.
XVII
la
durezza
D'Ancona
LI,
Ivi,
XLVI,
2
n.
XVIII,
n.
LVI
21 e segg.
ii.
102
rimonie che riempiono il canzoniere di Leonardo Giustiniani ;* con le quali hanno comuni, almeno il secondo, anche alcuni
modi
non
si
deve per
nella
al
tri-
diffuse
poesia
delle
Il
n.
XIX
appartiene
gi
si
ciclo
come
accennato
;
per
il
se
non che
in luogo
del poeta,
come per
sua andata a m nobile conte, non senza pericolo d'esser tuorlo o preso, n senza speranza di un gran guadagno, circostanze che potrebbero ben riferirsi al caso di una
esempio
la
spedizione
n.
lo
militare.
XX, lamento
Pi importante per l'argomento il per la morte del 7ioslro bon patroiie, niisier
dir
cosi,
carnevalesche
ed
sono abbastanza frequenti nei secoli ed abbondano poi nei seguenti sino al nostro,^ scarseggiano, anzi sono rare a dirittura, per i secoli antealtri
simili generi)
XV
XVI
il
riori
secolo
XIV. ^ Curioso
che
il
il
si
si
'
WiESE, Poesie
edite ed inedite di L.
Bologna,
(vv.
(v.
2,
consenti a
mi
amo-
Si
secoli
grafia.
XV e
veda in proposito L. Manzoni, Libro di Carttevale dei ^YF/; Bologna 1881, e specialmente la ricca biblio-
luce dal
Del quale forse anche la Confessio Cartiisprivii tratta in Manzoni, op. cit., pp. 235-236, di sur un codice marciano: un componimento grossolano, forse veneto, e comincia
3
:
Mete ve
e
f'
in oratione
la
:
e dseti
Me
'
ecc.
i63
ricollega coi due che seguono. I n. XXI e XXII infatti sono lamenti di monache, dove poeticamente espresso il senti-
mento
di
compianto per
e
le
lo pi
mura
esempi pi antichi eh' io conosca nella nostra poesia d' un genere che ebbe lunga vita e larga popolarit^ fin proprio ai nostri giorni, che i contadini toscani leggono ancora volentieri la canzonetta della Mona-
sono
gli
chella malcontenta.^
tutti
timo Trecento e del che rifiorissero nelle tenui forme della poesia popolaresca i motivi e i sentimenti ond'erano gi state materiate le canzoni solenni e compassate e i sonetti agili e imaginosi dei
rimatori dello
stil
una ballata donna amata, come tante altre dell'ulprimo Quattrocento, in cui si pu dire
nuovo
XVIII.
Rendime
el
[mio] core,
mia
vita,
me
pi dar conforto
* Citer per es. la ballata Ora inai che fora soft, ricordata dall'ALLEGRETTi, Diario in Muratori, Rer. ital. script., XXII, 772 come cantata a regolare il ballo in una festa senese del 1465 essa notata anche nell' indice di poesie popolari dell'ALVisi, Canzonette antiche, p. 169, e fu pubbl. da A. Ive nel Gior. stor. della leti, it., II, 153. Questo motivo popolare della monaca entr presto nella poesia letteraria, e gi un'eco ne risuona in un madrigale d'Alesso Donati, che coni. La dura corda e 'Ivel bruno e la tonica, in Carducci, Cantil. e ball., n. CCCIII. ^ Comincia Son rinchiusa in quattro mura, e la leggo in una stampa di Firenze, Salani, 187S, insieme con un'altra canzonetta della Monachella innamorata, che com. O monachella, di brun
:
vestita.
104
e
tuorme
sta ferita
che pur
Tu
sei
Rendime
ecc.
sopra
bele
et [tuo] viso
amoroso
sopra le bianche pele, corno lucente stele, [o dona,] m' piato, che moro innamorato per dona de valore. Tu i ogni belezza nel tuo bel guardare,
Rendime
ecc.
ne
28.
la
l'air' si chiarita
Rendime
ecc.
Non
vezo paradiso,
altro dio,
non cerco
De
ne
36.
morto
el
fos[si] io
Rendime
ecc.
44-
Rendime
ecc.^
Il
ms. ha
V.
una
non un'abbreviatura
si
'05
Nel ciclo immenso donne singolarissima
delle poesie medioevali
la ballata italiana,
sulla
la
natura
delle
quale or
segue nel repertorio, e dice della condizione delle donne d'alcuna citt. Due trascrizioni ne abbiamo, l' una nel nostro codice e l'altra nel Laurenziano, SS. Annunziata 122, e sono piene di varie lezioni, sebbene sieno quasi contemporanee;'
la
tesi
che
le trascrizioni
come per
Io
:
lezioni,
ordinamento che le stanze hanno nei codici, nessuno dei quali, per la mancanza d'alcune, ci ha conservato la poesia nella sua interezza.^ Poich la trascrizione del nostro repertorio fu gi data in luce altra volta, ^ mi pare pi utile il presentar qui un tentativo, se anche non riuscito, alla di ricostituzione critica dell' importante componimento quale proceder tenendo a fondamento la lezione del repertorio, riducendo tutti i versi alla misura dell'ottonario o coU'aiuto dell'altro codice o con qualche emendamento congetturale, e ordinando le stanze con un criterio, dir cosi, geografico, quale sembra che fosse seguito nel testo primitivo. Ho preso a fondamento la lezione del repertorio, perdal diverso
;
ch meglio conserva nelle particolarit linguistiche il colorito infatti alcune parole in dialettale, che mi pare originario rima (vv. 16, 26, 47, 59, 71, 78, 96, 97, loi) mostrano che
:
la
poesia fu composta
nel
settentrione
d'Italia,
come
del
alle
resto indicherebbe
II
prima
magna,
Ferrara,
6.
ha una stanza per ciascuna delle se2. Siena, 3. Bologna, 4. RoVenezia, 7. Treviso, 8. Padova, 9. ViMantova, 12. Milano, 13. Trento; nel
si i.
Firenze,
le seguenti: i. Firenze, 2. Siena, 3. BreBologna, 6. Verona, 7. Ferrara, 8. Vicenza, 9. Venezia, io. Padova, 11. Treviso. s Propugnatore, V. S., voi. XV, P. 2*, pp. 346-49, dove fu pubblicata da me con altre rime dei secoli XIII e XIV.
Romagna,
5.
i66
citt di
toscane.
XXIV.
El conven pur che rasone de le done che fan fal,
De
che
le
de baiar e de salire poi se sanno ben scarmire da' mariti quando vole,
e scoltando
le
parole
non
li
El conven ecc.
sopra tute le altre avanza, e questo vero e palese e non fiaba ni zanza ma ben ano per usanza
;
de zugar soto el capelo, de spiegar lo so penelo, quando el tenpo e la stasone. De le done da Bologna, quele son maistre dote e non lasan per vergogna de cercar lo di e la note dove son le mazor grote, dove usa lo groso pese,
;
El conven ecc.
28.
a l fan le volte spese per non perder quel bocone. Veder pi le romagnole, tute quante d'un volere, adornarse quando vole, quelo fano al suo piacere ai mariti danno a intendere che vano adorar el Santo, a pregar per lor cotanto
:
El conven ecc.
36.
che
De
le
El conven ecc.
i67
che le son senpre cortese, questo ven da gran boutade; e poi lasa soa citade
per cercar onne altro loco, a saziarse a poco a poco con chi voi de lor persone.
44-
De
le
done da Veniesia
non apriesia una paia veramente anzi vano arditamente porta loro in mano, e po'
;
52.
Veder puoi
le
padoane
la
e la sera e
domane
lizadria.
mostrando sua
mia che chi voi de lor mercato tosto ven cun lor a pato,
Io ve zuro en fede
60.
senza
far nulla
tenzone.
El conven ecc.
De
le
done da Treviso,
68.
76.
i68
a tirarle al so domino,
84.
El conven ecc.
Le mantovane
zentili
sono de bona natura, che le son si alegre e dolze che trapasa ogne mesura
;
de' mariti
in far
non
fa
cura
di trovare a la stasone.
de
far
bene
la
magia
e de
mane
tute destre
quando
s'el se
lige a
ronpe
oltra el
100.
che che
le
li
faza el stangaione.
S'el
a'
Tornamo
per non perder lor ragione. a quele da Trento, che l' fuor de la contrata
quelle stando su la strada,
El conven ecc.
116.
ogni di facendo mostra, requerendose de zostra, nessuno l'abia in dispeto per usare el suo dileto o a cavalo o sia pedone
El conven ecc.^
'
convien p.
ch'io
;
ragioni B,
raxune
A., e. le
;
A;
2 delle
donne
fallo B, fanno
;
3 che
;
sanno
tn.
4 loro A, ragione B 5 Delle donne B 6 maestre B; S de lor b. e de lor s. A, del trottare e del s. B; g poi A, possa se san b. scermire B; io loro mar. A, da lor vuole B; 11 ascolt. A, e schorcando B; 12 non lor temano un b. A, le non li ^; 13 beltade A, delle B
sa metter in ballo
B
.
voglo B
7 chelle
lC)
Il
pur dopo
il
po' sdrucito, di
rammendi,
se
16 i? 2. B 17 ano ben 14 tutte quante B \$ q. si v. in p. B A, anno p. unsanza B; 18 sottol chapello B 19 ^ di s. suo pen20 q. el t. e la stagione B; 21 Delle donne di B. B; 22 nello B quelle s. maestre docte B 23 lasano A, le non teme p. v. B 24 di cierchar di e la ciocie B 25 sonno A, ove s. le tniglor grotte B 26 dove A, il grosso pesce B 27 /ano A, e gli si fa le v. spesse B 28 queli boconi A, bocchone B; ig A intender p. A, puoi le romangniuole B 30 tutte B, uno A; 31 chatninar quando le vuole B 32 fano apropriate questo falle al suo piacere B 33 ed a loro m. e d. intender A, antender B 34 chelle vuol andare al santo B 35 a p. che loro e santo A 36 che le e. a salvacione A, chelli B 39 che 37 Delle donne ferr. B 38 posso dir con v. B del so s. e chort. B 40 ^ questo A, vien B 41 ^ si lassa la so ciptade B 42 luogo A, va cerchando a luogo a luogo B 43 a solazarse A, saziandosi a p. B 44 vote A, vuol di /. B 45 Delle donne da Viniexia B 46 posso dir certanam. B 47 el so marito B 48 u. p. per niente B 49 manca A, vanno B 50 portando love B 51 con preti e con mondani A 52 va manca A, ragone B 53 Chi vedese le p. A, padovane B 54 despernate A, disfr.
;
; ;
(?
B B
61
56 ^o lezad. B 58 vuol 55 la sera B 57 ma te z. in _/. B 60 longa tenzione ; 59 appaio A, tosto siego chaze al patto B
;
Ma
fif^
torneino
mo
;
a Trevixo
63 alegro
B
;
/^/' piene di gintileze B 65 de b. t. A, di bei balli e belle /. B 66 armo hon. di B, ano bene inde saver ben y. A 67 sanno A, e sapersi s ollazar e B 68 ehon ciascun B 69 Della triv. B 70 Vis. anno B
chavalcaresche
beli b. e
64
6'
m. A, chuore B 73 non g. A, al dixon. B 74 che divengna alor mar. B 75 pur che vegna fornito A 77 De le v. sy te dico A, T6 bello A, Martinetto a butiitone B vi dicho B -.l'ade la lor liga A, quelle son di buona /. B 79 /. un 80 ^/ chi A, se nessun le ademef. A, le non se tene pur d'un B stegha B 81 e poi si g voi A, vuol B 82 a Irate a suo dominio A, declino B 83 ^/ a lor marito A, a capo chino manca A fanno a. chom'un niotitone B, andare A 85-roo mancano in B 85 zentil 86 S071 88 tanto che 89 de lor tn. 90 de far 93 maystre 94 <5(? / magia io i- 108 mancano in A 96 pagia 95 ^/ rfe' /" ;;;.
71 ben trufare
;
A\
^7.
se
mancano
;
in
109
Or tornamose
a q.
114 non
170
quale molto probabilmente c'erano altre stanze per altre citt
italiane,
e alcuni passi
mente che
sonassero
per esempio,
;
che con-
poich
dano per il senso, non convengono per la rima, n io saprei imaginare quale dei due aggettivi rappresenti un'alterazione, n di che cosa. Tutta guasta la stanza decimaseconda, nella quale non s' intende bene di che arte sieno maestre le donne
milanesi (v. 94), n se la destrezza delle mani sia tribuita a quelle o alle vicine di Alessandria della Paglia e n pure chiaro del tutto l'accenno ai loro infelici mariti, quei di Corno;
vaglia
(v. 97 e segg.). Nell'ultima stanza finalmente manca la rispondenza di rima tra il primo e il terzo verso, se non si legga al v. iii quelle sti la strada esse^ido o uscendo, che
potrebbe consonare col nome di Trento, o anche forse quelle ; n appare se nei versi secondo, quarto e quinto la serie delle rime abbia a restituirsi leggendo cantra, mostra, zostr oppure co7ztrata, mostrata, zostrata, o se leggendo col codice mostra e zostra s'abbia a ritenere guasto
il
testo del
la
parola di
rima.
Non
.si
trovi qualche
componimento a una forma meno incompiuta e meno lontana dalla primitiva che non quella dei codici. E come quanto al testo non ho altro da dire, cosi poco posso soggiungere sull'et e sulla patria della ballata: che l'autore fosse un italiano del settentrione e pi specialmente del Veneto parmi accertato, che fosse un trecentista non sar chi dubiti ma entro
tentarsi d'aver ricondotto questo singolare
;
pi
ristretti confini
l'altra
nozione. Sul genere e sull'argomento di questa poesia, la quale ci rende ancora dopo parecchi secoli l'eco delle opinioni e dei giudizi correnti nel Trecento fra
le
genti di To-
scana e di Lombardia rispetto alla virt delle donne maritate, si pu ancora osservare che qualche particolare contenuto in essa pu essere chiarito da altri documenti letterari antichi
:
per esempio, ci che v' detto delle donne trevisane, circa la scioltezza dei loro costumi e l' indole cavalleresco e l'amore
171
da Dante ;i e che l'idea di fare per citt o regioni l'enumerazione delle qualit delle donne c' gi, sebbene con minore determinatezza di svolgimento, in qualche componimento antico, ^ e pi largamente poi nella
di vecchi commentatori di
si
Cinquecento ma di questa materia occupa da molto tempo uno studioso veramente dotto, dal quale aspettiamo su ci un compito lavoro.
letteratura popolare del
;
La
costumi
richiude subito
per
di quelli
loro mali donne per ad altri lamenti che gi abbiamo veduti (cfr.
i
far
luogo
XXV. Amor amar quanto me fai languire, che me dai pene che me fai morire.
Io doglioso pi che gli altri amanti
2.
me
8.
vezo morir senza algun reparo, vezo la morte che m' qui dananti per torme la vita cun pianto amaro unde te priego, o signor mio caro, che non me lasi pi vita tenere.
Amor
ecc.
14.
morte tume de sta [trista] vita, non posso ormai viver se no' noioso d'Amor, po' che feri con soa sagita lo mio cuor amaro et angososo mai non stete ch'el non fosse doglioso, Amor che non desiderase del morire. Balata mia dogliosa, tu n'andrai a quella zentil dona e' ha '1 mio core,
;
ecc.
Si cfr.
I.
nei tempi di
Dante ; Bologna,
Dacia;
Pisa,
Zanichelli,
2
1888, p. 323.
della figlia del re di
Wesselofsky, Novella
1866, p.
Nistri,
XXV.
3 II prof. A. Zenatti, che attende a questo lavoro, mi ha liberalmente comunicato intorno a tale argomento molte notizie, delle quali non ho voluto valermi, per non farmi bello delle fati-
che
altrui.
172
e
da mia parte tu si gli dirai che la mia vita de dolor si more, e sostegnir voglio ben per suo amore de viver senpre in pene et in martire Amor ecc
.
'
.
XXVI.
O
2.
Za
salute,
donna e spechio
mio
core,
14.
o rea, perch tanto dolore si aspro tormento ? O mia ecc. [Tu] ben sai che fedel servo [e suzeto] stato te son e ser fin eh' io viva donca perch si m'i preso a dispeto che sol del guardo l'ochio to me schiva ? O nebia scura d'ogni piet priva, perder me fai del cor l'entendimento. O mia ecc. De, non .star pi, che voria eser morto ma tu non vi che mora pur che peni
falsa,
fai
me
sentire e
20.
gabando al tuo voler me meni. venenosa, questi duri freni me trno fuor d'ogni cognoscimento. Io vo, zudea, corno te piaze e vegno, e com tu comandi io tazo o canto perch te son fidele al tuo disdegno,
cosi
mia
ecc.
me consumi
O
26.
mia
ecc.*
Il
ms. ha
V.
8 la vita, IO
* Il
Or
i amaro, 2 pene si che, 4 morire, 5 Non vego, inay non posso viver, 11 ferrir, 12, si dolglioso,
15 tu te nandaray,
17 et ala mia,
19 e che sostegnire.
ms. ha V. 3 paso, 8 sia aspro, 10 fuora, 22 tacho, 23 dispeto. Questa ballata, con pi altre del nostro repertorio, si legge in un codice trevisano illustrato da V. Gian, Ballate e strambotti del sec.
XV in
lett. ital., a.
173
Coleste due ballate hanno
zioni letterarie
:
tutti
caratteri
di
composiin
gi l'atteggiamento
medesimo che
esse
ben lontano da quel che suole assumere nelle poesie popolari, e non poche locuzioni e scorci di frase rivelano la penna d' un poeta culto, che doprende
il
sentimento d'amore
luoghi
comuni
poi
il
metro alieno
due endeappare sempre nei canzonieri frequentissima, per esempio, in quello di Franco
Sacchetti,
dove
le
pi vaghe ballate
due
quentissima nella poesia toscana dell' ultimo Trecento, spe2 pi rara invece cie per gli argomenti morali e insegnativi
;
dove ne troviamo pochissimi esempi. Questa conformit dello stile e del metro e la somiglianza dell'argomento, poich 1' una ballata potrebbe considerarsi
nel settentrione d' Italia,
i" esso codice, la cui lezione diverge qua e l da pp. 1-55 quella del repertorio, si ha dopo la 2^ stanza, quest'altra che
manca
nel magliabechiano
Io
t'
che no m'abandoni nulla mi valle. Per dolente a pianzer mi dispiego, fermo pur de morir iusto e liale. O spada mia, o dardo mio crudele, che non m'alzidi se tu n'i talento?
1
Carducci, Cantilene
e ballate, nn.
CLXV, CLXVI, CLXXIX-CLXXXIII, CLXXXV, CLXXXVIICLXXXIX, CXCI-CXCIII, CXCVII, CXCIX-CCIII, CCV, CCVI,
CCX, CCXI. 2 Carducci
(Giovanni
op.
cit.,
;
nn.
Fiorentino)
CCLII-CCLVIII,
CCLXV,
XC,
CCCXXVII (Ricciardo da Battifolle) LXXXIX, CVII, CIX-CXII (anonime del secolo XIV). 3 Carducci, op. mi. CCCXXVIII (Taddeo Pepoli) cit., CCCXXXVI (Matteo Correzaro) CCCXLIV, CCCXLV, CCCL, CCCLII (Matteo Griffoni). Di questa forma sono anche le ballate III-VIII, X e XV puhbl. dal Gian, 1. cit., le pi d'origine
;
C,
toscana.
174
come
scritto
la
mi fanno
il
nome.
Lamento
XIV, XIX)
XXVII.
Gi perdi'
i' penso ne la tua partita, dona, comenza '1 pianto, el qual durer tanto ch'el tuo bel viso me far redita.
!
4.
Laso
s'el
14.
ancor che sempre sente pena del tuo partir, che e' fia l'ora, ch'el volto tuo lucente non vederan sovente i ochi che del pensare zascun plora ? Io temo, dona, ch'a quel'ora che fia el tuo partimento, ne sia forte tormento a far partir l'anima si smarita. Gi perch'
i'
ecc.^
che furono
la
una importante poesia narrativa d'un caso pietoso occorso a Rimini una giovane sposa di nome Viola, sorpresa in fallo dal marito, fu da lui uccisa a colpi di coltello, sebbene ella gridasse merc e implorasse il perdono. Il fatto, sebbene ne tacciano le cronache riminesi, dovette correr famoso per le terre di Romagna e allo stesso modo che anche oggi di si:
;
mili casi
si
fantastici, 2 se
^
14. partir dona lanima. esempi chi ne vuole s fermi a qualche canto di strada in una qualunque delle nostre citt e ne chieda agli spacciatori di quei foglietti volanti che escono in luce continuamente dalle tipografie popolari. Recentemente un bel gruppetto di canti sul tema della donna uccisa dal marito stato pubblicato ed illustrato dal Nigra, op. cit., pp. 177-194. Il
ms. ha
'^
fece
175
argomento
di
una ballata
che cerre-
tamente port
pertorio
per
altri
non senza
XXVIII.
Cita d'Arimin bella,
4.
quanta sei fata scura, tu mi meti in paura da poi ch' morta la Viola novella.
che gli fo fata fare, cun un cortei d'armare che la feci morire,
com
12.
al diceti aldire
Cita ecc.
Viola novela
eia
medesma
dise
20.
De, guarda la mia mamela, quanta era vaga e bela or tuta insanguenata No' lo averla pensata tu m'alcidesse ben che ne sia degna.
;
!
Cita ecc.
Inzenochiata innanti
[a] lui si sta cortese,
29.
mio marito, or pregote che me perdone Se mai mi trovi in cutal falimento dami pena e tormento. De, falla, e non guardar in quella.
lo
!
Or dolze
Cita ecc.
Una
soa cagnolina, la qual lei s' ave 'alevata, avea nome Armilina,
176
a par da
le
li
soi ferite,
37.
qual erano zite del bianco peto per infina la mamela. La soa fameia cara tuta vestida biava, e intorno la sbara planzeva zascaduno, non ci ni era nisuno visino in tuta quela terra
:
Cita ecc.
per onorar
la
Viola novela.
La lunga trasmissione orale di questa poesia, indizio certo ch'essa sia ben pi antica del codice, dimostrata dallo stato in cui la trascrizione di questo ci ha conservato il testo, assai malconcio, travisato in pi luoghi, manchevole. Anche
qui a rintracciare le alterazioni valido sussidio
tratta
il
metro. Si
la ripresa di quat-
la ripresa ha tre settenari e due rime incrociate la stanza formata dalle mutazioni di due settenari ciascuna, a rime alternate, e dalla volta identica alla ripresa, salvo che il primo verso di a b b A; essa rima con 1' ultimo delle mutazioni (ripresa stanza e d, e d ; d e e A) si tratta insomma d' una ballata di formazione regolarissima, non rara nella poesia del Trecento. Ci posto, procediamo all'esame della ballata e subito troveremo una grande anormalit nella terza stanza, la quale cresce d' un verso poich dopo le mutazioni (vv. 21-24), seguono cinque in vece dei quattro versi onde dovrebbe essere formata la volta. N questo il solo guaio
un endecasillabo,
la
endecasillabo,
Tutte
queste
irregolarit,
di
mentre che
critica congetturale
potrebbe togliere
mezzo
177
con emendazioni, accusano, a mio giudizio, qualche cosa di pi grave che un semplice guasto della lezione e cercando
;
la
via
d* uscir
versi,
dall' imbroglio,
ammettendo
nato,
la
mancanza
di
parecchi
per
Il
la
confu-
poeta,
accennella
come
si
il
tema suo
ripresa (vv.
1-4),
incomincia toccando
dell'
dell'
fonda che
la notizia
uccisione della
.
momento
si
pi tragico del
fatto,
quando
marito,
la
misera gi
ferita
quale confessa
il
Qui appunto cade la lacuna; e mancano le parole, con le quali la donna dovrebbe accennare alla natura della sua colpa, parole che dovevano formare la volta della
terza stanza
:
doveva incoci
minciare
la
preghiera rivolta
mo
mancanze notevoli
versi
quelli
che nel
della
manoscritto sono
terza stanza, che
gli
si
ultimi cinque
(vv.
25-29)
a questo
modo
mi
trovi
one
:
in cutal falimento,
de,
in quela.
Se ad alcuno questa mia supposizione paresse un volo fantastico, pensi, prima di battezzarla cosi, a quel aitai fallimento, che nei versi precedenti
secondo
non appare qual sia, e che, doveva essere narrato o confessato nei versi mancanti della terza stanza e pensi anche alle parole e non guardar in quela, cio non badar a quella colpa in cui m'hai trovata, colpa che, necessariamente, dovrebbe
la
mia
ipotesi,
12.
178
prima, e non donde la convenienza d'ammettere una lacuna, la quale forse anche pi ampia che non ci mostrino g' indizi palesi del metro. A me pare
essere accennata
:
che
certo
sarebbe stata
le
bene, secondo
tili
criteri dell'estetica
popolare, dopo
inu-
movente ed
come
ci
rimasto, tra-
presso le
si
portunamente
Ristabilito
cor-
modo
:
schema generale
altre
alcune
minori correzioni
(v.
seconda
1'
stanza
20)
manca
la
ultimo
della ripresa,
ma
da credere che
poeta
si
contentasse di
una specie
tonica
si
di assonanza,
pi
sensibile
la
vocale
si
nota una
uno sposta:
mento
di parole,
bruno
terra
^
alterati,
da
ristabilire la
La
Finalmente da
la mia ipotesi sarebbe stata, almeno, di 52 versi, primi 24 sono conservati, mancano i vv. 25-28, restano alterati nei vv. 25-29 del cod. primitivi vv. 29-36, e sono conservati gli ultimi vv. 37-52.
Secondo
i
dei quali
179
fare osservazione
dialettali so-
perch ba:
aldise
comuni a
tutto
il
territorio
padano,
ma
armare {armiere da
e
sopratutto
il
dovette
cfr.
bolognese moderno
dialetti di
al ds),
Romagna
e per
da credere che
la
poco di lungi. Quanto al tempo, non vi sono accenni che ci permettano di determinare con precisione una data qualsiasi siamo per altro dentro ai termini del
stesso del fatto,
:
Trecento, se
secolo. 1
la
nel repertorio,
direi,
Quasi a sollevar
gli
s'accompagnano al compianto riminese alcune liete canzoni amorose sono lodi della donna, gioie del cuore, sospiri caldi e affettuosi, speranze e ricordi, e anche un po' di teorica e moralizzazione, d'amore, quali dal dolce stil nuovo in qua abbondarono nella lirica italiana.
:
XXIX.
E' ser sempre del core fedel servo e d' una dona, la qual de mi corona, poi che l' degna de onore.
quando
[Ora
infatti si
viaggio d' Irlanda per visitare il purgatorio di san Patrizio; l'andata sua fu per ragione di una sua amorosa chiamata la V i o 1 a novella, Antonio e Nicol da cfr. E. Levi, cosi un cronista riminese
nel quale Malatesta
il
;
al
1358,
l'anno
Ferrara poeti
uomini di corte
lO
che
me d
la
tanto piazere.
Se
la
la fosse d'
cum
12.
mia
vita sconsolata
tanto
me
pare graciosa
mo
Mai
vidi
si
bella cosa
;
cigli
ma Ma
che
28.
de
lor
poco se cura.
cotanto bella
ringracio la natura
la f'
;
relucente
com
stella
par che
la
renda splendore.
XXX.
Post' nel tuo volere, mio signore,
2.
zio che ad te piaze e dato t' '1 mio core. Al mondo non fu mai fra gli amanti dona veduta con tanta dolzezza,
credo che
mezo
a tuti sancti
8.
Per te el mio cuore si pien d'alegreza, che a te sozeto servir l'amore. Post' ecc. Vert celeste regna in tua persona,
anzelica belt porti nel viso.
14.
^
Contento fai colui che a te si dona, o cara dona, col tuo vago viso. Tu sola se' colei che '1 paradiso gi fai sentire a l' infiamato core.
Il
Post' ecc.
ms. ha
v.
Quanto che
vidi,
fuore,
15 tene,
17
Mai non
Ma
24 loro.
i8i
tanto graciosa
;
mmi
amar
l'anim' e
se forza
20.
corpo dato a te servire sir per te morire, in cielo i' ne rengracier l'amore. Post' ecc. quella dona, o vaga canzoneta,
me
per cui
se'
fata tu te n'andarai,
che m' ferito con sua saeta. Fra molti amanti tu la troverai [con dolce voce la saluterai]
26.
e poi
me
gli
Post' ecc.i
XXXI.
pu' tu fare, Amore, che mai sia da ti diviso, poich m'i donato il core, che mi tiene in paradiso ? Canto e festa e alegreza donami questa fanzulla, che co' sua piacevoleza nel mondo non par nulla el parlar suo mi trastulla, che passa ogn' inteleto,
a rienpie di dileto
Come
mia mente el vago riso. Mirando soi ochi vaghi che paren due beile stelle, ogni amante tu appaghi
la
Come
ecc.
sopra tute
e
le
pi belle
Come
ecc.
Il
ms. ha 4 tanto,
5 cil,
16
Anmi
constrecta, 20 regracio,
25 manca.
l82
che fugir
la tua saieta
non po'
chi
amar
dileta
sopra ogn'altra,
al
mio
;
aviso.
Come
ecc.
36
canzoneta mia benigna el mio cuor ti donarai a la mia [dona] benigna di vert ella porta ensegna sopra a tute in ogni lato, per suo servo m' legato e da ogni altra diviso. Come ecc.^
:
XXXII.
Si incende la
2
c'ogn'altra
Credo che nobilt e zentileza con gran dileto adorni tua persona
tanto reluce in te ogni beleza che fai contento ognun che a te
14
20
si dona, per che sol per te una corona sopra ogn'amante degno di portare. Si incende ecc. Tisbe, Casandra e ancor Polisena nemiche fuoron d'ogni vilania, Isota e Dido e la reina Elna a' lor amanti feron cortesia ma sopra ogn'altra tu mi par' che sia quella che '1 tuo amante vogli amare. Si incende ecc. Canzon, de' va' cercando ogni paese, poi retorna a Pisa e qui ti posa con quella donna che tanto cortese, alegra e sagia, onesta e graciosa e sopra ogni altra tanto virtuosa che solo in cielo troverebe pare. Si incende ecc.*
;
!
Il
ms. ha 7-8 Cola sua piac. Che nel mondo, 12 col vago,
13 vag, \\
*
Il
pare no, 26
v.
2
la tua. altro,
ms. ha
3 nobilita, 8 ogn'altro
11
am.
(forse la
lez.
Diedo.
i83
XXXIII.
Dolze mio signor, cun pura fede vegno a ti, domandando mercede. Al besogno se conose l'amico, qual e quanto fedele se trova ch'el bono amante senpre te dico de servir chi l'ama fa viva prova per, signor, el prego mio ti mova a far el don che lo to servo chiede.'
; :
XXXIV.
A
3
ti,
perch tu sei quel solo che pi far eh' i' non vada penando. S' i' son e fui sempre tuo seguitore digno son di mercede a la tua alteza,
perch'egli pi presiato di valore
al suo servo graveza donar tuto a pigreza, tu sai ch'io non m'involo di cossa far che ti giunga onorando. La pena ch'adivien altrui non digna pi duol ca quella che vien meritata, e questo quelo che sendo benigno duolmi di mia fortuna sagurata. Die' mai non fusse mia dona spietata che certo com' io volo, cosi dimanderei quel eh' io dimando.*
donca non
ti
IO
17
XXXV.
Mercede
la parola che pi chiama zascun amante prima quando brama.
V.
II
Il
ms. ha ms. ha
8 chel to servo.
9
V.
non
ini volto,
16 volto.
i84
r [r] chiamata za molta con lei, ella non mi risponde, anzi da me come fura s'asconde,
privando i ochi miei di zo la mente pi greve s'enfiama, perch la vede che di amar non ama.
;
Da
mia parte non si coglie colpa, vero non si niega, che l'alma sempre a la pietate piega
la
se
'1
14
zascun osso e la polpa tanto di speranza guardo afama ch'i' spero di suo fior tocar la rama.'
:
ma
XXXVI.
Quanto
a
3
di
forma
di lui
eh' el
me
tolgeva
come
so fedelle
da po' el senti' mutar e star crudele si che inganato da sua leze fui.
Allora dissi a qual non so di cui aver pi debia parte di piacere,
IO
vedendo
:
in
Una speranza possa al cor mi zonze, dicendo Non ti temer questa volta
ingano mi fu tolta per l'alegreza che sperando punse ma ne le fine di graveza 1' unse tanto che morto mi pensai cadere, se de natura non fose l'efecto.^
la
mente da
l'
17
XXXVII.
Amor mi
di cosa che
Il
Il
ms. ha ms. ha
V.
V.
2 gascurn, 3 colley,
di/., 11 po.xa.
12 gasctim.
io
grani
i85
temendo
4
di quel
pi la
zente
14
che ben pensando pi l'onora. Dunca non si dovrebe il signor mio pentir se pur atrova el suo sozeto con fedel desio, l'opra del qual cognose l'alto dio che sol vede la prova, se quel eh' falso si dimostra pio ben vegio che '1 mio core si l'adora ch'ogni suo prego per comando sente, et regna ne la mente come pensier che 'n lei senpre dimora.
:
XXXVIII.
Alma
12
lizadra, del tuo viso pio donna, che pi mi tiene et par che mi die pene, altro non poso sperando '1 disio. Perch te mostrarmi cotanto cruda ? ben sai che io a te servo con fede. Sera' per me sempre de piet nuda, come ancor se' e per zascun se vede ? IM'Amor che me tene questo non crede in tal erore tenuto per me ma chi spenga del tuo fia me al cor per servire in vita.^
XXIX
XXXI
di fare molte osservazioni. sono di versi ottonari e presenmaggiore sveltezza e franchezza, che
;
ormai era connaturato a questo metro non le direi per popolari, poich nell'una e nell'altra, accanto a espressioni
e pensieri frequenti nella poesia di
popolo
(XXIX,
3 de
mi
;
corona, 5
A
mi
mi
tanto
mi
dileta,
XXXI,
*
tiene in paradiso,
Il
ms. ha
i
V.
6 pentirse.
versi
9-12 quali sono nel ms., sebbene non diano senso sodisfacente n ordine giusto di misure e di rime.
2
Riferisco
i86
e tutta la descrizione delle bellezze nei vv.
13-28 e
il
pas-
al
rivelano
poi
sono formule e modi propri della poesia letteraria, che il sentimento e l'inspirazione personale. La XXIX
sembra
in
lode di
figura,
ma
si
diffuse fuor di
Toscana
in-
da che
si
potrebbe trarre un
quando pass
coppia
di
rime
pur a crederla non toscana basta lombarde della ripresa (vv. 2-3, dona:
si
per
il
metro,
si
per l'infor-
tonazione sono
la ballata
XXX, dove
ritornano idee e
mule dello stil nuovo, che ricordano le donne angelicate di Dante e di Gino, e la XXXII scritta per una donna pisana, dove il ricordo di belle donne della leggenda classica congiunto alla menzione d' Isotta, frequente nelle poesie auliche antiche, e dove notevole un bisticcio, certamente intenzionale, foggiato secondo tutte le regole dell'arte del rimare. 3 Le due ballate XXXIII e XXXIV si direbbero sorelle, l'una es'-^
sendo esplicazione dell'altra e sono indirizzate ad Amore, ma appartengono al genere particolare di quelle composi;
^ Brocchi, Vite de' santi fiorentini, voi. I, pp. 309 e segg. MoRONi, Dizion. dierudiz. storico-ecclesiastica, voi. LXIV, pp. 191
;
e segg.
D'Ancona e Comparetti, Ant. rime XXIV, LX ecc. Trucchi, Poesie ital. ined., II, Rime de' poeti bolo-, 358 Renier, Rime di F. liberti, p. 233 gnesi, p. 167 ecc. n meno frequenti sono le menzioni di donne
*
Isotta ricordata in
volg., nn. V,
;
della
^
leggenda
classica.
, ed da paragonare col proverbio in bisticcio Pisa pesa a chi posa del bisticcio d le regole A. Da Tempo, Trattato delle rime volg. : ed. Grion, p. 162. Dei bisticci nei sonetti antichi (nelle ballate e nelle canzoni sono rari) si veda L. Biadene, 3Ior/o-
una
XI
e ball., n.
CCCXXXVI,
'nnamorarmiin
te
ben
187
zioni,
ove
il
ragionamento prevale
il
all'affetto e
il
fare
sen-
tenzioso isterilisce
sentimento
non
mica vera
e propria,
ma
a questo
genere
due
ballate
si
XXXIV
d'
l'ordinamento
lette-
mano
un rimatore
n solo per
la solita
1'
settenario, tazioni e
ma
:
per
anche per
nella
la
mancanza
ultima
effetto d'
nella volta
quale
pi che una
novit,
da vedere un
ignoranza o di trascuranza,
possibile in
assai
una poesia popolare. Del resto cotesta ballatuzza misera cosa, e degna sorella delle tre che le si acnel
compagnano
nella
repertorio,
tutte
gravacciuole
della
per
il
fra:
seggiare ragionativo e
per
lo stento
verseggiatura
XXXVII
si
ripresenta la
mancanza
cor
;
mento
nella volta,
ma
che
forse
il
(v. Il):
Ben vegio
V adora
si il
con
la
quale lezione
s restituisce la
regolarit metrica
lata
XXXVIII,
far congetture,
dov' musicata da
:
cosi
L'alma leggiadra del tuo viso pio, donn', che pur mi tene et perch mi die pene altro non posso, sperando disio.
Poi che
ti
mostri a
me
ben
sai
che
io a te
sar' per
me sempre
di piata gniuda,
come ancor se', e per ciascun si vede. Ma Amor, che mi tien, questo non crede
in tale
dalle tuo'
fiamme
il
Panciatichiano 26 della Bibliot. Nazionale di Firenze, fo/ Cod. Pane, della R. Bibl. Naz. Centrale di Fir. ;
1887, voi.
I,
Roma,
*
p.
46).
Al
v.
IO,
la
'
rompere la monotonia di coleste ballatuzze viene nel lamento della malmaritata, che ci trasporta di nuovo alle imaginazioni e all'arte del popolo e poich nel repertorio sono altri componimenti sullo stesso tema, mi pare opportuno raccoglierli qui, perch sia pi agevole il farne uno studio comparativo. Dei temi prediletti alla Musa popolare fu in ogni tempo il lamento della malmaritata, cio, come ben la definisce una di queste nostre rime, della donna congiunta ad uomo che non sia da ella (XLI, 4), o, in altri termini, della giovine sposata a un vecchio. Non ignoto alle letterature cavalleresche della Francia, ove fu assai per tempo raccolto da
codice un
:
poeti
d'arte,^
questo
motivo piacque
francesi
ai
nostri pi
antichi
mente
dove
il
dagli
esempi
la
provenzali.
Rientrano
II
in
questo ciclo
imperatore,
poeta doloroso
la
d'aver perduto
la
rosa fronzuta,
com'ei
dall'
uomo che
l'ha
fa
in balia,
il
lamento ch'ella ne
e proprio
ciascuna dia
di
e riferisce cosi
un vero
lamento
malmaritata
E pur nel secolo di P'ederico un altro esempio troviamo un poeta popolare toscano Compagnetto da Prato in una sua canzonetta ^ fa parlare una donna, la quale, riprendendo
di
:
il
sta
per
conforti
onde
le
malmaritate s'ingegnavano di
alle-
Dopo
;
il
secolo XIII,
come
Gaspary,
op. cit., p.
153 e segg.
5,
G. Paris, Chansons du
136.
XV^
2
118,
;
122, 131,
Carducci, Cantil. e ball., n. II D'Ancona e Comparetti, Ani. rime volg., n. LII cfr. anche P. Bilancioni, noi Propugnatore, V. S., voi. Vili, P. II, p. 286. ^ D'Ancona e Comparetti, A}it. rime volg., n. LXXXVII.
;
donna
luppo
:
vario
svi-
nel secolo
XIV
e
il
XV,
gi da
e
un pezzo
non ne accogliesse
^
fiorentini
diosamente cercati
stro
e forse aveva in mente quelle del nodue delle quali sono d'ottonari. La ballata XXXIX che prima ci occorre su questo argomento, non compiuta, mancando almeno tutta la volta della seconda parla in essa una giovine, maritata contro sua vostanza glia ad un vecchio, e lamenta con una certa dolcezza gen;
repertorio,
tile
la
interesse
dagli
avari
lieta-
parenti
un
n\axiX.o fiorito
dalia ara
i
bianca.
Non
:
cosa di fattura
volgare,
n secondo
gusti
della plebe
ma
Cantil. e ball., p. 4.
Un
della
nostra
poesia
popolare,
Sev.
sua Bibl. di leti, pepai. Hai., voi. I, pp. 337-339, trasse in luce dal codice marucelliano C. 155, scritto nel 1417, due altre poesie di malmaritate. La prima una ballata metricamente identica alle nostre XL e XLI (onde al v. 9 si deve ridurre ad aita l'aiuta del cod., per ristabilire la rima necessaria col v. precedente) parla la sposa, lamentandosi con la madre d'averla data a un vechierello gottoso. L'altra una canzone a rigoletto, cio un vero e proprio canto di danza, in
nella
:
Ferrari,
III,
ecc.
del
nostro repertorio),
;
madre e la figliuola quelamenta, al solito, d'essere stata data al vechio e quella la consola e l'aiuta ad ammazzare il marito con un frutto avvelenato qui abbiamo una esplicazione, che direi letteraria, del mo:
tivo popolare
il
sono
ci trae,
E gi che l'avvelenamento mi metto qui una cantilena, inedita per quel ch'io so, con-
igo
dato d'un canto popolare e n'ha derivato
timento, che attenua e raggentilisce
il
concetto
nel-
sen-
ai vincoli
popolo rispondono invece le altre due ballate, XL e XLI. La prima pur essa un lamento di donna, ma senz'alcuna idealit gentile, anzi di una crudezza realistica, che potr
importare come rappresentazione di costumi,
ma
artistica-
servataci dal cod. laurenziano XLII, 38, in mezzo a ballate boccaccesche certo d'origine meridionale, e se qua e l frammentaria sia scusa alla pubblicazione la scarsit di documenti della letteratura popolare antica della Puglia e della Sicilia. Ecco
;
intanto quest'altro
frammento
bella, se
la
questo
gli
aporte,
marito
t'
Dio dato,
ti
l'alto Idio lo
levasse!
ch'anegato sia nel Faro chi parola ne trasse Se tu vuo' far ched e' mora,
!
ed or[a] Se tu vuo'
far
morte avara in presente. La morte avara in presente, bella, se questo gli done dagli l'ala d'un serpente, lo fiele d'uno scorzone, e d' un istrice il suo dente, la coda d' uno scorpione [e] d'uno storione pescie.
;
D'uno
che
:
storione pesce
sia
diragg'eo
agna
Se
d'
ti
prendi esto consiglio. per Dio Per Dio prendi esto consiglio,
bella, se
squrano
ti
le
bisce
di lattuga
!
capello non
rimagna
una tortagna
di
che sett'anni agia a volare, e la coda d' un volpigno che sia nato a mezo mare obella non ci adimorare, Non ci adimorare, o bella, s' tu vuo' che mora quel tristo
:
!
D'una tortagna
lattuga
e d'
un ganbero cardato
le
ch'aggia
mascelle torte
il
d'un rizzo
et guai
di caniglia
lui piglia
!
fiato,
che
lyi
dice
codesta fem-
mezzo in gi, perch quanto al resto starei bene ben vestita, ben nutrita, con un marito bello da vedere. ma solo da vedere perch purtroppo tutti i miei guai si raccolgono in questo, d'esser mal fornita de quel che l'amor richiere per se non trovo chi mi contenti sar sempre infelice. Questo lamento un trionfo
mina,
solo per met, da
:
.
ma
della carne
la
sensualit pi
donna traendola dal desiderio d' un fratacchione poderoso agli sfoghi inutili della Venere solitaria n credo
cotesta
;
esempio nei canti popolari antichi o moderni, dove un simile stato morboso sia rappresentato con tinte cosi crude da far arrossire le novellatrici fiorentine messe in iscena dal Boccaccio. L'altra ballata un po' pi contegnosa la
che
vi sia altro
:
tapinella che
cifica
il
si
lamenta
si
padre suo, ch' stato cagione dei suoi tormenti dane dal caso particolare trae un
;
le
donzelle, che
lei,
si
non vogliono poi compagno. Finalmente, l'ultimo e breve componimento che raccolgo in questo piccolo ciclo, una specie di strambotto, a distici monorimi, nel quale abbiamo quasi l'epilogo solito dei lamenti delle malmaritate il tradimento ch'esse fanno al marito invitando, in dispetto di lui, il giovine amante a godere i furtivi abbracciamenti. La vita stata sempre cosi e il tema della moglie che si lamenta del marito cattivo o gefatti
si
specchino in
se
piangere amaramente
la
gran noia di un
d'altro
i
;
uomo
credo
par
motivi
come
tanti
XXXIX.
Piacse a dio che
e'
o lasa dolorosa.
1
NiGRAj
192
fresca son pi che rosa
4.
Oi
un vechio maritata son vaga [e] gioconda e d'Amor sento soa dolze sagita guardando[mi] nel spechio bianca e bionda,
[e]
vegome
in
!
me
dolente
me
me
12.
Piacse ecc.
Piacse ecc.
XL.
Ch'io
ch'i'
me
si
so'
meza
o da
e e
me
la
cintura in zo.
Che giova
et aver
de quel che l'amor richiere ? Non de tal[e] podere questo miser mio marito, che l' in tutto disfornito, Ch'io per le done non vai no.
me
so'
ecc.
bello,
?
Quando d'amor
li
favelo,
ch'io provase
mia ventura Credo ben per mia sciagura che mai vedoa non ser. Ch'
!
io
me
so' ecc.
'
Il
ms. ha
v.
io
13
Mcyo,
14
parz'oh p be
eleta,
16 poso
prima
nota.
193
Non posso
che
celar la doglia
me
fa star
angossiosa
28
quando a Iato me se spoglia che non ha de quella cosa, io ne son[o] si bramosa che ne moro de dolore se non trovo un fratechione, mai contenta non ser. Ch'
;
io
me
so' ecc.
Non me
36
n [darli] ova de galina che lo faza star de vola, ched e' tuta non me doia tanto tenpo star dizuna ch'io non so bianca n bruna che sofrisi el mal eh' i' . Ch'
;
-^
io
me
so' ecc.
Quando
!
l'altre
me
favella,
dicon com' se fa fornire, oi me lasa, meschinella, de dolor voria morire. Io non posso soff[e]rire
44
che non faza de persona l'amor me strenze e sperona, pur el far non me vai no.'
:
Ch'io
me
so' ecc.
XLI.
Dona che
si
sia donzella
se debia reguardare
in
eia.
O me
lasa,
topinella,
che no' l'averia mai dito io era donzela de aver tolto tal marito el me pare forte tristo
quando che
pur da la e, 5 Che me g. d' ess., 8 riChe me g. d'aver mar., 15 yo li f., 16 in ver de mi, 20 giammay, 21 Io non, 23 in luogo di spoglia prima aveva spoya, 28 Giammai, 32 voglia, 37 l'altre donefav., 38 Et
ms. ha
v. 4
MI
chiede, IO misero,
13
d.
corno.
13.
194
ch'el
i'
12
che
me
dete a
lui
si
bela.
Dona
ecc.
No' era donzela ancora molti amadori avia, ben mi parea esser moria
lo di
vedia credia aver per marito un vechio. Ora ve', vrdati in spechio
che no'
e zamai
nun
lo
20
Dona
;
ecc.
Or v[ne, mia
b]alatela,
che no'
sia
mai de quele.
D[one
triste e tapin]ele,
28
a tur mari contra vola e[l sar sempre gran n]oia par ben da ella.' s' el no'
i
Dona
ecc.
XLII.
De, basarne, misere, basarne la boca, azo marito tristo che non me la toca
de, basarne, misiere,
bsame
li
li
lapr
;
rosi,
azo marito
cognosi de, bsame, misere, bsame piano piano, ch'el no' me senta lo mio cristiano. Chi basa bela bocha e non strinze li lapri non sa che cosa sia dolze basare.
[tristo]
che no'
A
una
del
concetto dell'invito
si
al
bacio
si
ricollega a
legge in
altre
un codice
primo Quattrocento,
mezzo ad
rime popolari.
Il
ms. ha
V.
4 omo,
11
vo blastemando 21
,
alatoela, 22
le donz.,
2 II
24 queste, 26 so voya.
ms.
in fine ai versi
ha un Amen.
195
anzi a rime che in parte ricorrono anche nel nostro
torio.^
reper-
asomeglia,
[il
core].
Tu
me
fusti
piatoso
solvimi la catena
che me strenzisti al core, che zorno e note non trovo riposo. Per facisti mia vita angososa tornare in gran dolzeza, che per toa zentileza vene amore.
forse
di
donna
altri
lamenti,
consumandosi
XLIII.
Laso
in
per mia [s]fortuna post' amore dona che pi eh' altr' duro '1 core. r servo lei con tuto '1 mio ingegno, perch m' induce '1 so aspeto piacente
!
ma
par che
come
'
il
dove
cod. trevisano gi accennato (Gian, 1. cit., p. 41), il Gian disperava di ridurla a for-
ma
L.
regolare.
Alcune correzioni,
di cui
BiADENE
1885, p. 154
mancata cor-
rispondenza di rime tra la fine della ripresa e la fine della volta, ho aggiunte le parole ultime del v. 3, con le quali la regolarit metrica ristabilita ma certo e in quel verso e in altri c' ancora da sanare.
;
IQ
n per
viver
altra
fai
me
XLIV.
Guarda una
volta in za verso
'1
tuo servo
cun ato de merzede, lo qual a ti pietosamente chiede. Poi che si' bela, de, non sie crudele,
benigna, chi per te sospira ochi e la mente al tuo fedele, che sente sommo ben quando te mira. Quela vert d'amor, che [in] lui spira
si'
;
ma
volzi
XLV.
Amor,
io
me lamento
'
De
chi
m'
inamorato?
privato
talento.
mio dolze
!
Amor
ecc.
de
donarne
la
morte,
ma
pur
me do
conforto
e sto in gran tormento Al cor che pur me dole de l'aspettar, che vuole
1 nel cod. Panciatichiano 26, in una lezione pi toscana; con la quale (B) ho racconciato qua e l i guasti del magliabechiano (A). Ecco le varianti 2 i dona volta A, volta in eia B, elianto de in. A, coti atto di ni. B, 3 atte B, 4 si bella sei B, 5 sia B, 6 gli occhi B, 7 quanto A, ti B, 8 Quella virt chellui sp. B, che luy respiera A, 9 dassai fi B, io Atende a ti A, Accienda te per la sua B.
:
.
197
13
A=peto
i6
17
non so quando
Amor,
io
me
lamento
Amor
ecc.
XLVI.
Desdegno
in dona non convenevole cor t'amo e tu d'amor sei frigida,
!
De
fin
poi de guardar
ch'io
mi
me
despiero e
viver
m' increscevole.
Talor benigna sei, ma poi de subito deventi cruda, und' io molto me dubito che '1 mio servir non [ti] sia deletevole. Piacente dona, non volermi ucidere, ma sta in vr mi con volto allegro a ridere, che la tua pace en tutto salutevole. ^
XLVII.
Sia maledeta l'ora e
'1
di ch'io vini
Amore,
sostene
le
sparsi
mai.
IO
tanta
si'
bella e
de vert onore.
'^
Nulla di singolare , quanto al concetto e al metro nelle due ballatine che aprono e in quella che chiude questo pic^ Il ms. ha V. 2 de chi ina tu iti., 15 Pero fur desto, ma il bisogno della correzione manifesto. 2 II ms. ha V. 2 core, 4 vivere, 5 Tallor, 9 e ridere. 3 E nel cod. Panciatichiano 26 in forma pi toscana, con l'aiuto della quale (B) ho emendato alcuni errori del repertorio
198
colo ciclo di lamenti
d'amore
(n.
XLIII,
XLIV, XLVII),
quella
culti pasi
poich e
lirica
mezzana
XIV, che
fatta
da rimatori
e
sava facilmente
dolci motivi
:
due
di esse infatti
(XLIV
famoso musicista
fiorentino.^
:
le altre
della qual
forma d
la
Somma-
campagna,"'
ma non
;^
rimatori antichi
e la
XLVI
una
ballata
piccola, ossersdruccioli,
tutta
d'endecasillabi
che nelle ballate sono rarissimi,* e nelle canzoni e socominciarono a venir di moda con Fazio degli Uberti.''
i
Dopo
ch
(A).
lamenti
le
gioie d'amore,
ma
per
si
poco
poi-
possono dire
venni B, 2 sotio giogo 4 nialadetta B, e manca A, 5 sostenni colpo ch'io B, 6 costanza B, le f B, 7 lagrint. B, sospiri B, eh i sp. B, 8 benedetta B, che n leto A, 9 da me h.,
le varianti:
Ecco
nialadetta l'or.
B, ziego
A,
chu
ini attenni B,
del
mio grieve
B, io tanto se
b. e
di virt
B.
Nella ripresa
manifestamente errato, in tutti e due i testi, l'ultimo verso, mancando la necessaria rispondenza di rima e forse da emendare leggendo il v. 3
;
:
e la speranza che
mantenni
in core
R.
Bibl.
Nazion. centrale di
Firenze,
II a).
2
Roma,
1887, voi.
I,
logna, 1870.
3
Non
M.
Griffoni
in
Carducci,
Cantil. e ball. n.
*
CCCXLIII.
in
Carducci,
^
Tutta d'endecasillabi sdruccioli una ballata di A. Donati op. cit., n. CCCXVI, unico esempio che fosse noto
tnora.
BlADENE,
Op. cit., p.
141.
199
espressioni di cuori contenti, tien dietro
mentoso
di canti di separazione,
d'
un altro abbandono o
che
la
ciclo
la-
di
lonta-
ticolarmente notato
intera,
l'
solo dubiterei
XLIX non
la
sia
domanda
del-
innamorato e
la
risposta
;
della
donna,
nelle
due stanze
parla sempre un
uomo
la
;
mo dopo
ripresa,
annunzia un diaal
altri
logo a contrasto
della poesia non
ma
si
se e
quanto manchi
sospetto.
compimento
codici pos-
pu imaginare, e solo
il
sono tramutare
in certezza
XLVIII.
Chi fiso guarda in questa margarita r enmazene d'Amor vedr scolpita. Stassi co' 1' arco atenta e ponderosa per dar nei cuer zentil dolze ferule e questo io provo con tanta vertute che tien la vita mia sempre gioiosa
onde non so qual pietra preciosa tra nui pi de l'anel degna gradita.
XLIX.
-
Donna, sperar poss'io ? Servo mio dolze, si, cor del cor mio. Io vo sperando, bella dona cara, pi d' altr' amante mai per ti porto la mia vita amara,
servo
fa
come
tu
sai.
Donna, quando
porai,
che penar, de, mi tome a desio. Dona d' amar non fu mai pi contenta per so fidel sozeto
;
II
ms. ha
V.
vedera, 3 sfarsi.
200
prima che Amor de mi za non sen penta, dona, piglia el dileto
;
e se in
me
in
ti
'1
difeto
14
fa
che
Amor
per minor
sia
oblio.
De
2
questa donna,
Amore
ne la [mia] mente cum tanto desio che del dolze salute contento provo ['n] 1' intelecto mio
14
""
ferma crede o[g]nor pi nel [suo] valor[e]. L'alta fede ch'io porto con gran piacer in questa dona ognora tanto mi d conforto che nel [c]reder me conven far demora si che pur s' avalora in me la fiama del contento ardore.
la
i'
;
onde
lede eh'
Or vengono lamenti di partenza, in mezzo ai quali si sono intromesse una baliatina di lode alla donna amata (LII) e una, incompiuta, d' ammaestramenti morali, sulla maldicenza (LUI) argomento anche quest'ultimo trito e ritrito, quanto l'altro.
i
:
XLL
Como
2
partir
'1
da
io
ti
me
deb'io mai,
che
ben
me
'1
dai
Non
eh'
so
com
ne conven euntra '1 volere, i' non preso bando e Morte sopra me monta '1 podere. andar
e zia de vita
1.
me
II
ti
Amor
2 II
ms. ha
fa che
in
201
Ai Fortuna
8
!
perch da
tal
piacere
?
fera cosa,
deb' io sperar di riv[e]derla ancora ? che se '1 sperasse, quel dol che 'n mi posa
14
che pi non ve faria dimora perch da lei son si aceso ognora che '1 bello aspeto mi tol ogni guai.i
forsi
:
LII.
L'aspeto vostro, don', mio conforto, mio caro spechio '1 vostro viso acorto. Prima ve tegno nobel posessora, a vui son dato servo non diviso vui sete quela che '1 mio cor adora, fiorita rosa nata in paradiso ven a me dal vostro benigno riso
;
:
en gran
LUI.
La mala lengua
[] d'ogni mal radice, bench '1 mal torni spesso a chi mal dice. Per bel a zascun chiuder la boca, cercando in prima i suoi che gli altru' danni che biasmando altrui quel eh' a lui toca conven che per s steso [se] condanni e tal soto color de boni inganni La mala lengua parla che pi [a] tacer seria felice. Pensa zascun che de invidia se mova l'animo acceso del mal dir d'altrui, vilt porta nel core e zo fa prova
; : ;
ecc.
etc
II
5 i
o,
che pu essere
7 virante.
i'
ne
8 lontamine.
II
2 nobele,
i
Dopo
(in
-
ui,
ice)
compimento
della stanza.
202
LIV.
Ochi, pianzeti, e
tu,
cor tribulato,
da poi che
me convene
dolorose pene dona regale eser privato. Pianzete tanto che venga pietate per l'universo a zascuna persona, poi che la dona de gran nobiltate
cum
da
la
me voi privar de soto soa corona de tanta fama soa che '1 mondo sona me voi pur lontanare
; :
pianzere e lagrimare
[or
convene
a]
mi
tristo e sagurato.
LV.
Coni lagreme sospiro per greve dolia ch'ai cor[e] me sento; morir descontento se '1 vostr' amor non , el qual desiro.
Io
me
che
sento partire
[la]
pena
assai
me
fate sentire,
:
partir
, el
qual desiro.
nobilitate,
Con lagreme
etc.^
II
ms. ha
V. 3 et
cum,
11 piangete
e lagri-
mate.
2 II ms. ha V. 2 pre, 5 sceinto, 6 lanima da laninia dal corpo oper pena say, io lontano : ma questo dovrebbe essere un v. endecasillabo per racconcerei cosi tutta la volta:
;
se
vostro
amor non
, el
qual desiro.
203
LVI.
Cuni doiosi martiri el mio cor[e] tormenta
partire.
me
lassa
eh' io fui
tradita
per che prima vui non me dicesti de vostra se non che la fiorita vostra faza i' no vedi
[e]
partita,
r amorose sedi
LVII.
Piango '1 partire et l'andar mi conforta che '1 tornar tosto fia con gran scorta. Non forza nel falir to zascun guida pur non ho ma per te el mal si che dolia potr morire che tal invidia si gran torto porto
ms. dopo
la ripresa
II
segue cosi
Avemandare
io
ro-
magno sconsolatamente
foy quasi dol^e signor mio tradita ecc., dove manifestamente si sono intramesse parole che non dovevano essere nel testo primitivo della ballata, la quale regolare cosi com' io 1' ho ridotta. Molto probabilmente le parole Avematidare (o meglio A ! ve n'andate, oppure Voi ve n'andate) e io romagno sconsolatamente rappresentano il principio della i^ stanza, che il compilatore del repertorio non sapendone altro lasci, trapassando alla 2.', che sarebbe la sola conservata. L' emendazione del v. 5 mi par necessaria per il
che
lasay chio
me
senso. Inoltre al v. 9 il ms. \\?i ferita, al v. 11 sede e al v. 12 son degerate, dove io non so indovinare altre migliori lezioni da quelle in fuori che ho poste nel testo.
204
et
che r inteleto sempre 1' alma fida ferma pi sar nel servire etc.i
LVIII.
De
el
sospirar sovente
ochi toi vaga ad altro amante. Recever questo ingano la mente mia convien ch'ognior sospiri, non trovando a Tafano remedio algum, tanto son martiri et da s n'un gire che nel pensier me par aver falato, ma pur se so' mertato pizat'omai farmi chiara la mente.
volgier
i
;
LIX.
conduta
partri
in
1'
ultim' ora,
senza speranza mia vita demora. Quanto sera amara et angososa la dispartnza mia Con gli ochi basi e la mente pensosa
!
ria
Non ho
fai ire,
;
pur non ho mai per te alcun conforto si che de dolia mi potr morire che tal invidia a si gran torto porto che 'n r inteleto senpre l'alma fida, e ferma pi sar nel servir scorta.
2
II
sta ballatina
ms. ha V. 7 afa7ino, io /alito, ii ineritalo. Si cfr. quecon quella che com. Donna, l' altrui mirar che fate
cit.,
voi.
I,
p.
361.
205
mi voi dar penitenza non so per che fallenza contanta pena i' porto a ciascun'ora. 12 Io non m'alegro tardi n per tenpo
zamai in vita mia, da poi ch'i' perduto
el
ecc.
20
el dolze tenpo aver solea piango e sospiro la note e la dia tuo viso anzelicato el pensier m' falato, Amor! che m'i ecc. n te n altri posso aver ancora. 1
qual
io
Il
motivo dominante
la
separa-
zione dalla persona amata, avvenga essa per deliberato volere o per
cupa
In queste nostre
non
sono da fare osservazioni di grande importanza, poich la singoli individui posfamiglia troppo numerosa perch
i
nella ballata LI
la
un
uomo che
la
si
For-
donna
nella
LIV
il
poeta
invitanregale,
;
donna
di pregio
LV
la
lontananza dall'in-
namorata
nella
la
aveva detto
dover partire
nella
LVII
la
poi-
che dovrebbero
una stanza, ma non presentano alcun ordine di rime uno schema regolare; la LVIII il lamento d'un uomo, perch la donna lo ha lasciato per un altro amante.
1 II ms. ha V. ii fallmtga, 13 mi nalegro, iS El tuo. Nel codice trevisano (Gian, p. 48) si ha una redazione pi ampia di questa stessa ballata, con due stanze di pi dopo la prima del nostro repertorio, ma senza l' ultima Io non m'alegro ecc.
206
ed frammento d'un pi ampio componimento, un contrasi legge compiuto in altre raccolte,^ ma anche cosi frammentario meritevole d'attenzione, perch le varianti
;
sto che
mostrano che queste poesie erano trascritte a memoria e la LIX, piena delle solite querimonie d'un amante contro la
Fortuna che gli ha dato si forte colpo e lo costringe a partire senza speranza di veder mai pi il viso angelicato della sua donna, anch'essa una nuova prova della trasmissione
orale di questi canti
poich si legge con molte variet in un altro codice del Quattrocento, con due stanze in pi e mancante della seconda del nostro testo; - e anche notevole perch certe rime dell'una e dell'altra redazione par:
rebbero accennare un'origine meridionale ^ dico parrebbero, perch non ignoro, che molte di coteste forme napoletane
;
Dopo
di cui
lamenti di partenza
viene
quest'altra ballatina
ho riscontrata la lezione con un testo toscano, dov' musicata con molte altre consimili poesie
:
LX.
Dona,
la
mente mia
si
'nvaghita
la
non
el
mia
vita.
Io
guardo
e honesti e vag[h]i
;
che contentano
no' cosa
al
mondo che
pi mi appaghi
:
che mirar te, n cheggio altro piacere per e' ha de vert tanto potere la tua somma bontade sempre Amor me 'nvita.-^ ch'a onestade
ball, citato in
Carducci, Cani, e ball., n. CHI. Il primo verso di questa un codice di laudi (cfr. Alvisi, Canz. antiche,
p. 88).
2 3 *
^
Vedasi la nota a p. 205. Per es. partivi: sospiri; mia: solia: dia;
alcidi
vidi.
Gaspary,
185 e segg. nel Panciatichiano 26, che la reca con qualche variante
op. cit., p.
207
Dopo
tro
d'amore un grido
altre,
di
una vecchia,
alla
traen-
Guido
Guinizelli, l'ari-
da parte
g' idea-
Dante ed
per
facile
:
Dal
sto
cielo,
una
una gran
i
festa per
me
ma
che tu
morissi
gli
avoltoi e
nibbi e
corvi
ti
dovrebbero
mover lamento
all'alto dio
si
sovrano che
tra
lor
gli
rendesse;
curano d'averti
le
unghioni tanto
la pigli anch'egli
le
pi
Dovunque
vai
il
ciesso
....
che par che s'apran mille monimenta, quand'apri il ciefFo in corpo credo figlienti le volpe, tal lezzo n'escte fuor, sozza giomenta.^
(B) dal testo del nostro repertorio (A)
2
:
Donna
B, si vagita
A,
gentil aspetto B, 3 diletto Bj 4 atti belgle onesti B, 5 contenmi piaqua A, ne cosai tnondo so che tali ... rfz B, 6 nonn e
, . .
pili
podere B, mapaghi B, 7 remirar te ne domando A, 8 di m'invita B. 9 sonma A, biltade B, io che hon. 1 Ritne dei poeti bolognesi del sec. XIII; Bologna 1881, p. 42. 2 A. D'Ancona e D. Comparetti, Antiche rime volgari,
.
.
voi.
V, p. 227.
2o8
Cecco AngioHeri,
il
rimare burle-
tema
delle vecchie
and innanzi
si
Graziosissimo
primo
per
amico dell'Alighieri
^
;
riletto,
De
e quel che par quand'un poco si rizza e come coralmente viene in puzza
;
e com'a punto sembra una bertuzza del viso e delle spalle e di fattizza, e quando
la
si
forte sentire
d' ira, d'angoscia, d'affanno o d'amore, che non dovessi molto rallegrarti, veggendo lei che fa maravigliarti, si che per poco non ti fa perire gli spiriti amorosi nello core.^
Ma
gli altri
assai
meno
vivaci
gi
si
pu dubitare se sieno proprio dell'Angiolieri, perch costituiscono una tenzone, e uno almeno dovrebbe esser d'altro
le
A, XIX,
2
C. e LuD. Frati, Indice delle carie di Pietro Bilancioni, 41, 99, 174. [Si veda ora l'ediz. dei Sonetti di C. Ang.
a cura di A. F.
P.
Massera
Bologna 1896].
e le sue
A. D'Ancona,
2og
lizia d'
la
quale ha che
fare,
si
duole
che
sia
ch'uovi va
anche
in questo caso la
;
alle figliuole
e in ci
una secchia
tra la
il
sangue
di quella
la
sua donna:
i'
vo guardando
si
lieva la testa:
occhi gittando.
il
alle
*
abbiamo
ragione per
quale anche
trattate
sono
tanto
le
ac-
con gentilezza
ma
le
prosegue di
fastidiosa
le
satire
amare e punla
increscevole,
ragione sempre
la stessa:
che
buone
mamme,
spesso
;
non ignare
e
il
i
sempre pronti a dir corna di chi impedisce loro cammino, se n'adirano e metton mano agli strali. Quando
poeti,
pensasse,
la
storia
non
scarsi avanzi
cicli,
nei
quali
le
nostre
fantasia,
nell'immenso
io credo, suo-
numero
donna poche,
;
neranno lode
d'irriverenza.
veneranda canizie
le
pi
saranno
voci
nn.
Si vedano le ballate pubblicate dal Carducci, CLXVIII, CLXXX, CLXXXIII (Franco Sacchetti), e
'
op.
il
cit.,
madri-
gale
CCCVII
(Alesso Donati).
14.
2IO
nostro
fuori,
repertorio, le quali
lasciate
sono docu-
menti assai
La
ballata
il
LXI
ci
stata conservata
II,
ti,
anche da un altro
che appartiene di
di
manoscritto,
magliabechiano
6i,
certo al secolo
sto
XIV
;
que-
celata, in segreto,
nascostamente, riialda
la
volpe),
risalire ai
indizio
non donon
le
fatto
m anoscritti
lungo
simo ordine
dimostra
genti per
il
che
la
poesia doveva
prima di esser fermata sulle carte. Oltre la ripresa, i due codici hanno comuni sette stanze, e ciascuno n'ha una (7* nel repertorio, S'* nel magliabechiano II, II, 61) in pi, che non nell'altro; l'ordine poi delle parti comuni tale che le stanze 1-6 e 8 del repertorio sono I, 4, 2, 3, 7, 5, 6 del magliabechiano II, 11, 61. A ristabilire l'ordine primitivo non pu essere altra guida che il senso ma trattandosi d'una serie d'ingiurie collegate da un tenuissimo filo narrativo e atteggiate spesso in esclamazioni difficile, per non dire impossibile, fermare qual sia lo sviluppo logico del componimento. Ad ogni modo, io lo ridurrei cosi trasmissione orale,
:
:
Il
nome
patavino
fu
ai
seguaci di una setta religiosa poi nel secolo XIV prese un senso generico ingiurioso, sul quale da cfr. G. Garampi, Memorie delta b. Chiara di Riinini; Roma 1755, pp. 33-34 e 170.
* Tengo a fondamento la lezione del repertorio (A), correggendo e compiendo con quella del magliabechiano II, n, 61 (B), dove la ballata a e. 97 (5/ cfr. A. Bartoli, I manoscritti ita-
II,
p.
104.
21
LXI.
la
mia centrata.
scarfalda
;
La vechiarda
rinalda,
m'aguarda quando [tu] m'adochi mal fugarda, rutarda, bifarda, musarda, che volto e che ochi
!
Con
fiammore, sopra [de] mi stride si ch'ognora vanore, temore, dolore, ben par che m'ocide et me tanto lagniata
tremore,
;
14
20
eh' i' son tucta sfigurata. Biastemando, lagnando, saltando, giostrando, d'intorno travasa; [e] butando, minando, runpando, spezando per tuta la casa et dice che m' trovata con uom stare a la celata.
;
S'
i'
t'
apelo,
fratelo
ella
felo,
miselo,
rubelo,
26
Ogni male
sia tale
avale sopra a
la
et [or] vale,
ti
non
vale,
:
che
l'ale
cale
32
malosa,
noiosa,
ti
ogne male
gavosa,
di
vegna
invidiosa,
gri[n]tosa,
noiosa,
mal
38
una vechia
212
stortechia
la bertechia
si
mal trovata.
fatiga
far liga
;
gran briga,
co' striga
e sbirfa indovina
l'antiga
di
no'
miga
mia amiga,
:
ch' ispiga
bona vicina
ma
50
tu,
sannuta,
spaluta,
[o] barbuta,
dentuta,
grahuta,
fai
;
gran noia mi
berruta,
tu
grognuta,
:
gozuta,
mal
ci
starai
io so' si amaistrata
56
1
vecchia
biasim. B, 2 passar
.
con-
trada B, 3 vecchiarda ribalda scalfarda B, 4 mi sguarda chi B, quanto A, 5 sangarda A, notarda bef. B, 6 volta
.
adocB, se
A, 8 vecchia rineg. B, 9 Chon ardor furor fiainor B, comordore fianm. A, io tremor sovra B, II ongnor pavor dolor B, tremore A, 12 timor ancide B, 13 ed am.mi tanto langnata B, 14 tutta isfig. B, 15 Bestemmiando B, 16 per luto trav. A, 17 butt. men. ropando B, 18 ispeta ben guardata B, 20 e sa ben zatido per tutta B, 19 dice che eh i son sviata B, uomo A, 21 Si t'apello frade Ilo mio bello B, nio belo manca A, 22 perch ti faveto A, o feretto per quello ella mi ranp. B, 23 eli a AB, fello misello rivello B, faveto ma fella rubelo A, 24 or ve' lo manca B, pien di mesongna B, 25 et dice A, dicie eh i son sverg. B, 26 io abbi B, 27 Ongni B, avale manca in A, 28 sia tale or vale A, sovra sua t. B, 29 e vale B, 30 ancor se mot. A, 31 tagi chor B, 32 vecchia disperata B, 34 venga A, 36 senpugna A, 39 Comorsichia A, Cho morsecchia lorecchia una vecchia B, 40 tortecchia saliga per gioia B, stortichia A, 41 e sniordecchia e scandecchia rotenchia B, 42 e scannecchia ella par B, tortichia eia par una toxa A, 43-44 lunga curva ed agrifizata contrafatta e divisata B, 45 EU e B, 49 mattu B, 50 erroneamente si 1. patavina nel cit. Catalogo del Bartoli II, 105, 51 O manca in A, sannuda dentuda zonbuda B, 52 ispalluda B, 53 barbuda berruda grongnuda B, grongnota A, 54 gotzuda E, gogota A, 55 eh i son ben si amaestr. B, 56 chettu rienarrai iscorn. B, ne rinnaray A.
volto
A, occhi B,
7 stncolpata
213
Vediamo un
critici elle si
a questo.
la
L' invettiva in
bocca d'una donna, certo giovine, si sfoga con lui per i mal;
non dico
flessibile,
sar probabil-
mente una suocera, o, meglio ancora, una matrigna. Fermato possiamo spiegare press'a poco cosi La vecchia mi biasima, perch io faccio all'amore; dunque, mio caro, non passar pi per la mia contrada (vv. 1-2). La vecchiaccia maliziosa, cattiva mi guarda fieramente allorch tu mi dai
ci,
:
biechi
Crude
tal
modo
petuose, rabbiose,
ho perduto
il
mio
solito aspetto
9-14).
di
Bedi
qua e
robe,
le
rompe
e spezza ci che
dice,
m'ha
Se
troio
ti
uomo
(vv. 15-20).
ella
essa
ha
il
tu lo vedi, pieno
menzogna
che
io
sono una
Ogni male peggiore diventi ora tale per lei e valga o no, mi auguro che ti possan calar le ali, che tu possa morire, tanto sei molesta: stai zitta una volta, che tu possa esser bru;
io
27-32).
gottosa,
venga ogni peggior male invidiosa, scrofolosa, uggiosa, noiosa, sei pregna di maldicenza non sei ancora punita di chiamarmi innamorata ?
piena di mali,
;
fastidiosa,
uggiosa,
ti
(vv. 33-38).
Quando s'adorna
gli orecchi, si
214
un vecchio
tortiglione
:
sguaiatamente, e digrigna
sembra una troia male (vv. 39-44). una gran briga e fatica aver che fare con strega e indovina non mica cosi la mia vecchia amica, che un moma tu, vecchia, sei sempre stata didello di buona vicina sprezzata da tutti in questa contrada, come una patarina (w. 45-50), Tu che hai lunghe zanne e gran denti, e le gambe storte e sei tutta spalle, mi fai gran noia tu che hai la barba e il grugno e il gozzo, non starai molto al mondo.
denti
si
ch'ella
finir
nascosto,
io
ti
51-56).
Cosi
1 Raccolgo qui in nota alcuni appunti lessicali, quasi per dar ragione della mia esegesi ma non pretendo d'aver tutto veduto Aguardare, vb. cui risponde in B n tutto inteso a dovere. sguardare, di pari significato, cio guardare con molta attenzione,
;
ha pochi esempi nella lingua antica ricordo, come testo antichissimo e sicuramente spettante al sec. XIII, il Bestiario moralizzato tratto da un hs. eugubino del sec. XIV dal prof. G. MazZATiNTi (Roma, 18S9), dove del calandro detto (son. 39, vv. 3-4):
:
ambedue
il
codd.,
affine
ha anche
superiore,
per sfacciata,
costumi
giativo
bertechia,
nome,
affine a bertuccia e in
bertuzza nel sonetto gi cit. dell'Angiolieri), o a bercelata, nome, nascontone, che vuol dire adultero, drudo diglio, frequente nelle poesie antiche parlandosi dei convegni
(cf.
;
d'amore
(cfr.
Odo
delle
Colonne
; :
in
D'Ancona
Comparetti,
Ant. rime volg., n. XXVI, 26 quatido in'avia in cielato ; Rinaldo d'Aquino, ivi, n. XXXII, 47 e in cielata tenuta), ed da celare, che in senso di nascondere pur del linguaggio poetico (cfr. Carducci, Cant. e ball., XXIV, 17); fiammore, nome, foggiato su fiamma, come ardore, bruciore, fervore ecc. sui corrigavosa, agg., pu spondenti verbi, qui nel senso traslato; essere dal fr. gave, gozzo, e sarebbe sinonimo di gozzuta; ma mi pare pi tosto da riconnettere con gavo (cfr. dimin. gavc-
215 sempre nel segno, anzi sar lieto che altri pi ingegnoso o pi fortunato veda pi chiaramente dove io ho guardato con poca luce. N altro ho da dire intorno alla ballata LXI se non che merita attenzione anche per talune singolarit metriche: le stanze sono tutte regolarissime, e hanno tutte la
volta formata di due ottonari,
si
che
per
analogia voluta
dolo, e
il
derivato gavigna e gavina), onde sarebbe lo stesso giostrando , il vb. giostrare ha il significato di
Firenzuola, Lucid., IV, 3 Lippi, grabuta, agg., vorrebbe dire uno che resta ingarbugliato, se fosse affine a garbuglio, derivato secondo
di l
:
cfr.
i,
ecc.;
dei
rad.
c'
garb
p.
grab
(cfr. \.&Q.sco
grabeiij
ma
in
uno
di
zembuto traduce il lat. struma), che avrebbe pi veramente il senso di deforme per le gambe grinlunghe e storte, ingiuria solita ad affibbiarsi alle donne grognuta, da grugno, il tosa, agg. da gritita, viso arcigno grifo del porco, e figuratamente il volto dispettoso, imbronciato ingordechia, agg., da ingurdicula, diminutivo dispregiativo ispiga, nome, pu essere per spica o per spicchio, dJingurda; due nomi che possono ben trarsi al senso figurato di esempio^ lagnando, lagniata, voci del vb. laniare nel modello ecc. nmlfugarda, espressenso traslato di straziare coi rimproveri sione che mi sembra significare persona o cosa che induce in altri la repugnanza, corrispondente al nostro incresciosa, fastidiosa ; ma non so che ve n'abbia altri esempi nella lingua ital. malosa, agg., come malotico, in senso fisico, o come maligno misello, agg., dal lat. misellus, ma dal senso in senso morale;
Boezio, ed. Milanesi,
;
carni e
imagine dai
:
cani e dai gatti che cosi soglion fare per grattarsi gli orecchi potrebbe anche essere nome derivato da morsa {mordeccia nei
dialetti dell' Italia superiore lo
si
stringe
il
labbro superiore
al
ma
;
allora sarebbe
da
leggere
morsechia [a] l'orechia, e quest' necessario pel musarda, agg., senso, non ammissibile per ragione metrica il femm. di musardo (frane, ynusart), che i lessici spiegano per
Cam
2l6
dalle leggi costantemente osservate
dai
nostri
i
antichi
della
parri-
tal
misura
versi
un son. di Guelfo TaA, XIX, 38) Cecco Angiolier, tu mi patavina, agg. che insieme con riinegato par un niusardo ; (cfr. vv. 8 e 43) ricorre anche nel Pulci {Morg., XXVII, 8) ma
ozioso, perdigiorno ecc. e che trovo in
viani (Frati, Indice
cit.,
:
non senza l'idea religiosa [cfr. addietro, a p. 210]; rida cfr. col fr, renard: credo correzione di trascrittore, che non capi, il ribalda di B, anche perch la rima ci rirutarda, agg., foggiato chiama piuttosto a una forma rinarda forse per necessit di rima, sul nome rutto, onde venne ruttaforse
nalda, agg.
scostu-
mato, indecente (cfr. Boccaccio, Comni. a Dante, I, 372); sannuta, agg. del nome sanno (cfr. Dante, Ip/., XXI, 122); sbirfa parola da riavvicinare a sbirciare e a sberciare, e pare indicare qualche cosa come losca, di sinistro augurio ma non scannecchia, vb., trovo riscontri che la dichiarino meglio; formato sul nome scanna per sanna (cfr. Dante, Inf., XXXIII, 35, scane per sanne), nel senso di battere o digrignare i denti
:
da scarfare, vb. dei dialetti meridionali, da excalefacere, scaldare (cfr. scalf un novo in Cielo dal Camo,
scarfalda, agg.,
str.
29),
moderna
vec-
come
cibi
che sanno
in un processo modenese del un prete di Camurana che da un ragazzo fece dire a una donna vecchia scanfarda e vecchia cogliona et altre parole ignominiose cfr. G. Spinelli, La fiera di Bruino; Modena 1912, p. 15 e forse qui c' un'eco, non solo della parola,
161
si
parla di
ma
la
di tutta la canzone]; sfigurata: il vb. .y/-?-;-ard? vale perdere cfr. Bernardo da Bologna in propria figura, sciuparsi ecc.
:
che sfigurio di sue belle parute ; smordecchia, vb. composto, da niordecchiare affine a morsecchiare spaluta, agg., che ha spalle difettose e acute, (vedi sopra)
dei poeti boi., p. 141
:
;
Rime
{In/., XXI, 34); - stortechia, nome, travasa, potrebbe estortiglione o gioiello formato a nastro;
come
il
diavolo di Dante
sere alterazione della forma trapasa da trapassare, secondo la ma meglio s' intende da travasare, il cui flessione lombarda
sepso chiaro vanore, nome formato suU'agg. vano, con senso di avvilimento, prostrazione d'animo ecc.
;
il
2 17
Le mutazioni poi sono formate in modo assai singolare, constando ciascuna d'un decasillabo e di un novenario, quello con una cesura dopo la quarta e la settima sillaba, questo
con una cesura dopo la terza: le quali pause si ottengono per mezzo di rime interne (due nell'endecasillabo, una nel novenario) che sono rispondenti alla parola finale del primo verso. Quest'uso delle rime interne, gi in gran voga sino
alla fine del secolo
ma quando
io
interna,
non conosco
altro
altra ragione
per
LXI
ai principi del
Trecento,
quando l'abuso
delle rime
interne,
almeno
in
altre
forme
La seconda
facile intelligenza:
parla in essa
il
un linguaggio pi temperato,
per
il
sotto
ballata,
d'una
di ciascuna
mutazione
non
in-
risponde,
come dovrebbe,
vece quella finale della ripresa: e cosi n' venuta fuori una
serie di versi
vista,
prima
se proprio
tratti
d'una ballata.
LXII.
Do, mala vechia, lo mal fuogo l'arda, lo mal nimigo te possa portare Tu teni la ma dona si celata che a poco a poco me fa' consumare
!
L.
ital.,
p.
90-91.
Per
2l8
fa
bona varda
al to
si
tu la sa' fare,
la vo'
che
fa
8.
dispeto te
si
involare
tu la sa' fare
eia
convien basare.
mente
LXIII.
Laida vecchia stomegosa, maledeta se' tu ogni ora, che in del mondo ni de fora non fo mai si mala cosa.
parte,
d'ogni vicio tu sai l'arte volgendo pur lodarte com posso e tu sei degna, comenzando da la tegna
;
mo
12
De
la copa vien la marza, che te colla zo del capo, la codegna te se squarza si che '1 fa parer un napo e non voglio dir un napo,
ma
2o
el
se inpliria le sechie
che tu spudi quando tosi par[e] che senpri [tu] fosi o pregara o beroldiera,
28
tanto quella to gorziera de fastiedio copiossa.
Il
ms. ha
V.
2 inimigo,
6 te la convien inv.
219
Tu
i
'
la
et te puza pi la bocha che non fa mile carogne una porca quando grogne
;
tu
me
soni a la favela
36
Dio
Tu
pi laida petegaza
;
44
da pietra salda, corno cagna rabiosa. Chi guarda el to bel volto cun le galte adorn' e vage,
tu
me
la
pari
un omo
in volto
barba a quatro page; chi volese aver lumage tu n'' senpre pien lo naso ch'el te posa dar un baso
52
cun
Non
60
un migliaro
68
cum
rasori e forfesete,
220
e la barba che
ne mete
:
conturberia
la
pace
mal vechie
e le svanzude,
84
tu te seria nascosa.
Nel mal
tuti
i
dir tu te nutrichi,
in foco
;
come salamandra
vicii
son to amici,
ti
la virt in
non loco
ti
92
a ti piace ogni custume, par che invidia te consume pi che ogni altra invidiosa. El to volto de naranze, tuto pieno de magagne porti quel de dri da nanze dalle spalle a le calcague mo, s'el vien che tu me incagne,
;
:
io te far
cum
nimico,
100
pezo assai che non dico, grama, trista e dolorosa. Lasa star le done honeste con la to lengua perversa e' non credo al mon[do] peste
;
si
feroze e
si
diversa
108
che Dio te dia tal fersa che tu perdi ogni lenguazo, si che tu non faci oltrazo a nisuna vertuosa.
Ballatina
mia lizadra, vane cun tuo' voce ardita fa che quela vechia ladra de mal dir sia [dis]gradita de cantar non far finita
le malici'
e sue bruteze
221
fin
ii6
Leggiadra,
come
:
certamente
tro difficile
alsi-
curo intorno
tempo
alla
componiri-
mento
dal
il
stato
conservato,
chiama, vero,
regione padana,
il
ma
se di
Po
sia
le
da cercare
(v.
perch
come
legna
(v.
ii)
sponga
(v.
2,-])
49) per
lumache
si
(il
pro-
sono ed
genere,
;
dialetti
dell' Italia
superiore,
nell'
in
quanto
Emilia
se
naranze
(v. ci
93)
ci
fa
pensare
cispadana
richiama invece
la
forma meleranze
fratelli gli
(v. 75)
usata
so-
poco prima, e
nalgi o sonagli
di veneto linguaggio
(v.
sembrerebbero quei
scavcsi
21) di cui
sono
(v. 23)
o scavagli del dialetto emiliano [scavare' = sputacchio, con un suffisso che risale a un lat. aculuni). Il criterio linguistico adunque non sufficiente a chiarire la patria di quella ballata, tanto pi poi che sino al Quattrocento troppo pi grande che oggi non sia era la conformit fra i dialetti delle regioni padane e per la maggior parte dei testi dialettali antichi, quando manchino le prove storiche, sogno di fi;
citt
provincia ap-
documento
1 II ms. ha V. io posso de tu, 13 te vieii, 15 che la col., 19 che n, 21 piasese, 60 hole, 68 possa, 74. a quale, 83 male, 86 saitnandra, 87 li vidi, 90 despiace, 93 de color de nav., 95 tu porti
222
e,
quanto
alla
sua
del se
et, se
non
in
come
quella
diecina d'anni
nel
pi
e
addietro
incirca
tempo
cui
fu
la
scritta
repertorio
alla
all'
ne pu porre
perch
ci
composizione
di
del secolo
XIV.
E come documento
senza importanza,
attesta
accenno specialmente
vecchia che
si
maldicenza, come
;
ognuno che
di questi studi
si
si
diletta,
quanto
trova.^
compiacessero
di quell'
imagine
le
bil
LXIV.
El tuo bel viso dolze l'alma mia mi fa languir d'amore, si eh' i' non so che faza e '1 mio cuor sia per te, lizadro fiore. Pi volte t' veduta
star
si
soleta e bela,
poi che a
me
se'
venuta
con
eh'
i'
si
dolze favela,
creduto cogliar la ramela amoroso, che Amor lo piant nel bosco zoioso
di quel fruto
A me
poco iu[n]tan dal core. non vai cantare, n far soave voce, n tanto predicare.
fatto
ho gi avvertito a proposito
della ball.
2
XVI.
I,
Vita, lib.
come testimonianza
Gaspary.
op. cit., p.
2 2.
n far de le che a me tu
man
sie'
croce
ben aspra
;
e feroce,
non
eh'
i'
vo' pi cantare
mi convien zurare
LXV.
Lasa, eh'
i'
son constreta
d'amare un zoveneto, il qual per mio dispeto fuoco d'amor non cura n saeta. Misera sventurata, quante pene mi fa costui sentire,
1
II
ms. ha
la
V.
lanirna, 21
volio.
cit.,
p. 46),
dopo
prima
me
volte el fianco,
:
nascondi el viso adomo quando credo aver el pi dolze zorno quelo m' luto fele che tu me sei si aspera e crudele che perdo ogni vigore.
;
E oltre questa stanza in pi, il codice trevisano presenta alcune notevoli varianti, che senza alterare il senso dimostrano che queste poesie si scrivevano a memoria, non esemplandole da altre copie noto tra le varianti trevisane al v. 3 si che ?w?t so che pose al mio cor sia, 6 lizadra e bella, 7 eser da mi venuta, II che sta piantato nel bosco, 12 che sta apreso del core, 13 me non vai pregare, l de braze erose, 18 e non sai cortesia, \<^ che non penso se no'' tuta via, 23 el me conven, 27 le piage penose, 28 che son fate d'amore.
:
224
sol per la crudelt
12
che se ritiene per potermi tradire io voglio a ciascun dire de la sua gran beltade, pu' de la crudeltade ch'ognor mia vita fa pi debeleta.
:
con dilicati membra, ziovene vago e de zentil natura, d' un angelo m'asenbra ognora mi rimenbra la sua gracia vermelia
:
20
28
la luce che mi mostra amoroseta. Par un falcon[e] quando va per via tanto par avenente, umil, benigno e pien di cortesia, onesto e riverente contenta tucta gente, quest' pi bel che Addamo, e me che tanto l'amo d' un solo sguardo a pena mi dileta. S' i' lui riguardo per esser contenta subito prende sdengno, da me fuzendo pi crudel doventa che dura pietra o legno e di superbia prengno
: ;
mi dice
36
vilania,
fuzendo cortesia, quanto pi posso a lui senza desdeta. Questo crudele di spietato e belo a
ritruova, ballatina
;
felo,
che a
l'esser
la
si
Poi
44
II
ms. ha
f),
v. 3 di guai,
amore,
7 solo,
17 rilmenbra
fi
rimembra
dise.
225
LXVI.
Contenta sei che mora, do, vaga vista, signora mia crudele
tu perdi
4.
'1
pi fidele
"
Petrarca,
12.
[che]
scrise
vita onora.
Contenta ecc.
Ma
che
dir
20.
Perduto '1 tenpo , dizendo El mio bel tenpo senza cason[e] l'a^o alziso e morto a gran pecato e torto, perch rechiesa fui senpre ognora . Volo finir mio canto, ben che non sia odito, i' ben posso dir tanto che non fu mai odito
: : :
oi
me
qual
m'i
i'
si
['n]vilito
[ti]
che
la
[io] la
morte
domando
in
dono,
te perdo[no],
28.
Si riferisce, credo,
ai
dea passar:
Fa
eh'
i
di tua man, non pur bramando, un bel morir tutta la vita onora.
i'
Il
ms. ha
V.
3 i perdi,
:
8 dicto, 25
Oi me
tu.
Meglio forse
da leggere
Oi
si
me
che
tu
la
m'i morte
'nvilito
ti
domando
in
dono.
15.
220
LXVII. Or
3,
si
ora mi
[Se]
si
pene
vane
via.
IO.
17.
finar de sospirare da poi eh' i' perdo il viso gracioso chi mi solea tanti dileti dare, giammai non finar di sospirare, e ziro tormentando, senpre andar gridando note e dia. Topina me che me [de]struze el core pensando che dirai for di partanza Ben[e] mi ne vo per vostro amore . Star nel foco con gran penitenza, oi me, laso, non per mia falanza, eh' io perdo ogni conforto Fortuna ria. perch mi ' tu morto. Ballata mia, va donde amor ti manda,
! :
giammai non
servo se gli recomanda, per la partanza i' mi moro per lei e contergli tuti martir mei
eh'
i'
^
:
per
i'
lei
24.
fin eh'
non torno
Le quattro
s'accompagnano nel
re-
alcune singolarit meritevoli d'essere rilevate. Gi ho accennato che la LXIV si legge anche in un altro codice, dove ha una stanza in pi e molte varianti, che pur non alterano profondamente il senso si che non si deve credere che nel;
II
ms.
ci
d una lezione
:
in pi
luoghi
corrotta
per es.
nel V. 12 io leggerei
far dispartanza.
22,
ms. ha
V.
20
E digli,
22 martiri,
227
r una o nell'altra lezione
si
tratti di
un rifacimento, potendo
lungarac-
mente
tra
Ho
;
manoscritti
che
ci
hanno conservato cotesta ballata ma prima ancora che sulle rive del Po dovette esser cantata su quelle dell'Arno, se,
come
me
la
soavit dei
me
ne sembra,
letterati,
per-
ch
il
poesia popolare
che
mescolanza dell'en-
fondere
rotta
monotonia dell'ottonario
ma non
La
stessa
LXV
in entrambi i testi la ballata abbia un colorito dovuto ai trascrittori settentrionali, non ci presenta in rima alcuna forma veneta o emiliana vi troviamo, vero, favela e rainela, ma in rima con bella (cosi in tutti e due i codd.), segno di provenienza toscana vose e erose in rima con feroce e solo in un cod., che l'altro ha toscanamente voce e croce. E altri segni di originaria toscanit sono il vb. brancare (v. i della
1
Sebbene
dialettale,
il
nome
ramella
in
(v.
9),
il
nome
delle
parola
(v.
22) nel
la frase
far
man o
che trovo
in
tamente n. CIX,
toscana
9.
del
sec.
XIV
228
i
versi brevi
tutt'e
due
n
d'
una grande
diffusione,
si
nostro repertorio.
La prima
la quale,
sensibile alle sue grazie, ragiona della grari beltade del suo
diletto e della sua crudeltade
:
memla
sua
;
innamorano chi
lo
guarda
avvenente
tutti
come un
:
costumi,
la
come
lo
fu gi
primo uomo
lei,
ma
fugge sdegnoso
si
donna, che
crudele
e dispietato
come
bello. Sono,
come
:
si
vede,
luoghi co-
muni
della poesia
amorosa antica
salvo che a un
i
uomo sono
trasferite
donne n v' calore e impeto di limovimento, ma le stanze si seguitano scolorite e umilmente dimesse, senz'alcuno dei tratti vigorosi della poesia popolare. E pi scolorita e dimessa la seconda, che lamento di uomo per una donna crudele il poeta, se pur gli possiamo dare questo nome, protesta la sua fedelt, sebbene riconosca che a nulla giova, e va col suo concetto agli ammaestramenti del Petrarca, pensando che anche a lui sar
:
mano
un bel morir
onora;
esem^
donna crudele si penun giorno d'averlo ucciso a gran peccato e torto, e perdonandole ad ogni modo, perch non vuol mancare ai suoi particodoveri di fedele amatore. Anche qui la materia e
ranze, dicendo con povere rime che la
tir
i
lari concetti
lirica
rito
all'anonimo rimatore
libri
d'amor
229
l dove scrisse Petrat'-ca,
La
ballata
LXVII
un lamento
di
donna per
la
grande famiglia che nel nostro reperda torio ha parecchi rappresentanti (cfr. nn. XIV, XIX ecc.)
altro individuo della
:
che non
repertorio
gi
cosi
infrequenti
cosi
il
che sa dei
dialetti
anche l'agg. topino, che fu tanto comune nel Dugento, ma presto venne a scadere.^ Non voglio trarre conclusioni circa l'et e la patria della ballata, senz'altro appoggio che di pochi
fatti
linguistici,
ma
una singolarit che non mi par da trascurare. In mezzo a tanto idealismo rimato una voce aspra ci richiama alla realt della vita e la prosopopea satirica del monico zoioso ci consente di dimenticare per un momento le dolcezze e sospiri. Il canto popolare, che alla vita dei conventi ha chiesto tanto spesso dei motivi lamentosi XX-XXII), lascia parlare questa volta, a (cfr. n. II, XII, guisa di confessione, il frate di sollazzevoli e gioconde abi;
tudini,
quale in pi
gli
tipi
sent di su
cio
^
:
esempi vivi
Giovanni
Boccac-
Gaspary, Scuola
poet., p. 253.
taupino,
taipino,
da questo aggettivo registr il Biadene, negli pi sono Studi di filo lascia romanza, voi. I, pp. 225, 449, e della fine del secolo XIII e del principio del XIV.
topino) assunte
i
'
Decanieroi, giorn.
la
:
I,
nov. 4^
IV,
2''
;
VI, 10^.
Anche
confessione della
si
monaca non
ignota al canzoniere
popolare
veda
monegeta
stiniano.
racconta
Gian, p. 55, ove la santa suoi amori con tre frati degli ordini pre-
Monicho son tuto coyoso senca nula fede, biancho bello et amoroso mato chi me crede.
Monicho son dal monastero
et
ho
si
bella chota
in rota
None
furar
inoniester
fida
si
meta
chy sen
si
ne la mia nota del cantar damore conuiene 1 core, a chi non si provede.
Monicho.
Monicho son dal monistero da le tre canpane Non so far altro mistero, se no infornar pane Quando conili mie bianche mane, e con la longa palla E quando inforno el pane, tuta la sala tremolar se vede.
Monicho son dal monistero. da la calcagnolla Son perfeto baratiero. e maystro de scola Quando la mia cariola. si uolta datorno De quanto he dolce quel corno, che damor procede.
Monicho.
Monicho.
Monicho son dal monistero. da ly gicsu sancti Volontieri yo me confeso ben che sia brigante E ho promeso a la miamante. de far la contenta de le brace fargli cento, e chiedegii mercede.
Cosi scritta la poesia nel nostro repertorio
role ch'io
;
Monicho
son e te.
le
pa-
do
in corsivo furono,
fitte
accennai, ricoperte di
sto ai cupidi occhi
;
lineette per
ma
lo
ha
restituite alla
si
lettura,
chi v'adoperi
un po'
la
vista,
le
parole che
altri
vollero eliminare.
facil-
mente ad
errori nuovi.
prima
ci
vista
sembra
;
trattarsi di
una
ma
singolare ap-
tanto
te-
singolare che
sto primitivo,
si
come propria
del
orale.
la
una lunga trasmissione Se non che l'esame comparativo delle stanze induce persuasione che cotale mescolanza si debba realmente ri;
infatti
come sono
no-
231
venari
il
primo e
il
il
cosi
sono
il
primo
tre
viazioni
poi
facili
il
a togliersi
il
secondo e
s enari, fatta
eccezione per
ove
si
versi
pari,
senz'altra
devia-
prima sede
si avrebbe un settenario ma per i versi dispari v' qualche maggior incertezza tuttavia, poich l' identit metrica delle mutazioni legge assoluta e qui abbiamo sempre novenario il primo verso, senza possibilit di ridurlo a misura pi breve, se ne deve dedurre che solo apparentemente sieno
:
ottonari
prime
tre stanze,
ma
che
nove
:
per la ripresa
;
gy, 6 X, q
6
e,
6 x, e per la stanza
g a,
g a, 6 d
g ,
e,
6 X.
Le
irregolarit
sono
facili
a togliersi nelle
8
musi
tazioni,
leggendo rispettivamente
.
al v.
mistiero e al \
non
e
vogliano ammettere
dieresi viistero e
baratter)
resti-
tuendo nel
non
V.
sancio da
me
gi intrave-
duto sotto
che
i
al testo
;
rida
Resterebbero
vole
il
settenari
ma anche
ridurli a senari,
cambiando nel
leggendo nel
et
ho si bella
71071
6 chi
si pro-
vede
V.
(la sintassi
antica
non ha bisogno
perch
si
legamento
ter-
congiuntivo
ha qui
il
caso di tre
tuttavia
che non
zioni,
sia
il
piccole amputal'
in-
e cosi le apparenti
232
sovrabbondanze
di alcuni dei versi brevi,
che
testo
in realt
sono
Conservando adunque
scriverei,
la
giacitura che
la
il
ha nel codice
io
la
:
sua
importanza)
in questa
tra-
forma
mate
et
chi
si
me
crede.
Monico son dal monastiero non moniester si severo chi sen fida ne la mia nota
6
furar
si
ho
bella cota
in rota
!
eh' io
non meta
si
conviene
'1
core
non
provede. Monico.
;
Monico son dal monistiero da le tre canpane non so fare altro mistero se no' infornar pane quando con Ili mie' bianche mane e con la longa
;
palla
IO
inforno
el
pan,
la sala
14
da la Calcagnolla, sono perfeto baratiero e maistro de scola si volta d'atomo quando la mia car'iola de, quanto dolce quel corno che d'amor procede. Monico.
; ;
18
da li Gies sancti ben che sia brigante, de farla contenta, e ho promesso a la mi' amante e chiedergli mercede. Monico. de le brace fargli centa
me
confeso,
Dopo
verili
;
ci ritorniamo a motivi pi
usuali
canti
idillii
di par-
prima-
sono
soliti
argomenti
di poesie
alle quali
doveva
LXIX.
Poi ch'el
me
convien partir[el,
dona
di tanto piacere,
certamente, a
di dolia
mio
parere,
penso morire.
sagurato,
:
Doi
me
lasso,
tanto
me
233
volentier morir voria
che veder me si lontano te, o dolce anima mia. Io voria esser morto, poi che pi non posso stare
de
tanto dolce
'1
mio core
lialmente te servitore
2o
Vane
via,
ballatina
vane
al viso
anzelicato
di cui
son innamorato
lei
paradiso,
partire.
28
da
ti
non posso
Poi ch'el.*
LXX.
Ben me
falsa,
sont'avizuto,
;
del tradimento
cum
ch'altro che
me non
volei per
amante
dagando fede
a'
toi falsi
sembianti.
Non
ti
14
Ben me sont
ecc.
Non me
ms. ha
V.
dir vilania
Il
17 che
non me
debi,
22 avante al viso, 25
cti-
non me posso.
234
che tu non hai rasoni, per che in fede ma non
te falai
mo
tu per zilosia
crede a quele persone che 'nvidia porta del dileto che Ben lo sa Dio che mai
i.
non
24
[ti]
f'
falimento
Ben me sont ecc. mal merito n' abuto. Falsa, non te scusare che l' palese altrui che [per] lu to mal fare ogn'om t'acusa: ben te savria mostrare quando, corno e cum cui tu si m' ' fata la torta fusa. Mai tu ne si' ben usa
di far cutal ingani
:
34
Ben me son
ecc.
ai
maldicenti
Me
trovasti!
zamai
in brazo,
?
con nisun
se no' con
omo
ti,
com
t' za tenuto.
Ben me sont
ecc.
LXXI.
Niente mi zova a [mia] dona servire con cor piatoso che par[e] languire. La mente mia dolzemente brama,
bella
Il li
ms. ha
toy,
me
mostri,
IO a
li e
non
ti,
13 infidato,
d.,
la credi a
mi
corno ali
in.
41 hora te periti.
235
Schivar volgilo e nanti morire,
8
nanti ca femena mi faze perire. Bon'ora de culei no' m'aviti lo mei guardando che vr mi sparzea, n conlenta d'Amor non si fazea sedendo sopra scani infiniti. Io non posso n so [pij eh' i' mi dire, poi che dS lei mi co[n]ven fuzire. Oi [me] zorno plen de onni lamento ch'ancora sopra de mi si mantiene, il sangue mio sgrisola per le vene vedendo ognora pi tradimento
:
14
parlar di
lei
non
volo,
ma
finire
20
LXXII.
Oi [mia] mente obscura, perch non pensi rason e dritura
Tu
fai
[lo]
viso ardito,
tu sei cieca,
secondo
[lo]
mio dicto
mordendo
oltrui
con inganno
considra quel che fano ferit' a cor che non si salda mai, che senpre vive in guai
14
non posendo recuperar figura. quanto poco seno, vedendo alguno senza casone,
facendoli lesione no' a drito, rna [a] torto pi ch'a
tal
meno:
20
1
in pianura.
II
ms. ha
ms. ha
19
galar di
lei,
V.
sidera,
236
l-XXIII.
Canta
2
la
quando
Chi per Amore canta onni sua silva li par[e] zardino, che lo cor quando pieno de quela lieta amorosa pianta non porta pena tanta chi conplito si cessa e refrena.
;
Za per tenpo alguno a provo mi vidi d'una marina, ferito con runa vermiglio color convertir in bruno
14
la
pena.
LXXIV.
Amor me
2
prese in tenpo di verdura vr colei che m' stata senpre dura. Ro sa vermeia nata in un zardino
tuta fiorita de fior et
amor
fino,
oi
me
topino
fazo
morte oscura.
;
tanto risplendi Lucente figura, aurea zoia, che '1 cor mio acendi, com ladra e mia mente prendi
fura.
O
II
crudelle e dura,
tu m'i furata
i
consumata
ingrata
Ma
14
di
gran calura
ardo
in quel fogo,
che
me
un poco
17
provar mia ventura. merc clamo, Anzelica natura, che '1 non perisca quei ch' preso a l'amo, per quela creatura. d'amor bramo
nel beato loco
Balatuza, a quella
dona
di valore
'
Il
ms.
Ila
V.
25 qatido,
chel cor,
14 che dintorno.
237
la
mano
gli
morte oscura.*
Qualche osservazione, specialmente di carattere metrico; onde sar agevolata anche la restaurazione di alcuni passi assai guasti. La ballata di partenza LXIX, di ottonari,
come
senta
popolare; e preil
che
terzo verso
non ha rispondenza
di rima,
come dovrebbe,
col
primo. La
ma
primitivo; al
quale
torner
leggendo
nel
v.
7 taiito
sono
tormentato,
nel
15 tanto dolce
nome
della
donna
si
prima stanza, ove dovrebbe essere ripetuta la rima finale ripresa probabilmente si aveva originariamente un de te, dolce mio desire, o qualche altra espressione simile.'^ Della ballata LXX abbiamo a stampa un altro testo alquanto ma non mette conto fermarsi a diverso e forse pi recente pi minuziose analisi. Nella LXXI sono notevoli alcune for:
"^
me
(v.
9 aviti ^= avvidi,
qua e
il
quali
se non che il temalconcio e altre incertezze presenta, per le senso alcuna volta sembra sfuggire. Della LXXII ebbi
l
dapprima 1' impressione che vi fosse la singoU^rit metrica della mescolanza di versi senari con gli endecasillabi ma un esame pi accurato del componimento sembra escluderla
;
Ilms. ha
V.
nel tenpo,
11
71071
esser ingrata,
13 di regnar,
14 prova7ido,
15 mercede te clamo,
16 choluy che presso, 17 damor yo bra7no, 20 son che per. 2 Meno probabile, perch troppo duro riuscirebbe
strutto,
il
co-
che
Carducci,
Cantil. e ball., n.
il
numero
238
cosi che resteranno giustificati
i
pochi e
lievi
emendamenti
ci
Una LXXIV,
primo verso
di tutte le stanze
una specie
;
di incatenatura,
non conosco
altri
esempi
iniziale e finale
testo,
si
Tra questa
ballata e le precedenti
di carattere
s'
letterario,
lunga
canzone morale
Quando 7 pensiero
alla lor volta
l'atiwio co?iduce e
possente e
due ma-
gnanima;
strambotti
le quali
notabili
questi
LXXV.
polito viso,
de
ti
favela
La
Guardo
lo cielo,
quando
el
sereno
n meno.
Tutto
lo mondo m' tornato in guar Dio voia che la po[ssa] mantenire la boca che io bas[a]i no' me favella,
;
:
o les Cristo, fla repentire. Fla pentire di questo pecato o dio, grazia, che moro inamorato. E' moro inamorato, tu no '1 crede, O dio, o dio, mercede. e vo chiamando
;
239
3-
L'omo, ch' traditore a la soa amanza, per tuto el mondo se voria bandizare
farlo
perch
lui
mora de
mal maridata.i
nel repertorio
Cosi
si
vengono alternando
intonazione
le
;
gruppetti
i
di
poesie di varia
popolarissime
per
motivi e
per lo svolgimento
assai importante
tre
che seguono,
delle quali
una
in
documento
nostre plebi
fisiche e
Le qualit
morali
il
delle nostre
e classificate
secondo
complessione
all'altro della
ebbe,
come abbiamo
visto (cfr.
mancano appunto
si
tutta
dovranno rac-
spiriti
pi materiali del
il
tempo noquale
ci
si
dei secoli
e nazionale.
Ma
la
ha conap-
fors'anche
Non
escludo che
;
tro
componimento
ma
a.
b,
a. b ; b. e. e.
x;
240
LXXVI.
Per amor de belle brune, done, piacave ascoltare, ch[] io ve voio contare la bont de ciascadune. Prima le bianche mirate, che tucte l'altre despreza fazen de lor tal derate che men che luto s'apreca
:
12
2o
che pi fredo non l'Arno ca l'amor de ciaschedune. Poi le negre guardirete, volendo veder lor flazello senza fai ve trovarete el fuchi di Muncibello [e] mai pi grave cortello non produse la natura de poca [la] ventura de trovarse con negune.
;
: !
De
le
perch
ma
28
senpre tesse quelle tele gi e su con' fa le cune. Le palide fusche et smorte son molto maliciose dal demonio son scorte
;
tanto
sonno
viciose
mirate le lor pose con quanti ati elle mastegia, monstrando pace guerregia
de
36
per ligare altrui con fune. Oderete de le longhe quanto sonno da laudare a vedere paron fionghe
241
che voglan[o] traboccare
poi de senno non tocare
;
De
le piccole ascoltate,
mente
so' infiamate,
:
membra
la
superbiosse
poi
per
52
s'acende de rancura con' fa el mantico le prune. De le grasse li rimorci, amor mio, che stai in Bologna le lor carne son da porci e '1 sodor de scrofa assogna
;
ma
massa
60
non son
fresche,
:
lingue
mena
foco
68
guardase da lori gioco chi non voi dar gran percosse, che tosto manca lor posse per virt che non c' piune. Poi che tocte n defeto, quale dopne son d'amare? de mezana forma [e] aspeto,
quelle vo[io]
comendare
ma
per
le
brune
so' pi care
76
n de biaca n sapone.
Le brune sonno
umile,
mazo
le
rose
16.
, ^
242
tocta danza fazza festa
84
92
de rason[eJ con speranza se mai fossi domandata, di' che bruna la mi' amanza. Or mirate in questa danza qualunc' ha un tal colore ella m' furato el core, non le vechie da bastune.
;
:
la
Le altre due rientrano nel ciclo delle poesie nelle quali donna ancor giovinetta confida alla madre le sue aspirazioni allo stato coniugale. L'una, la LXXVII, di un realismo cosi crudo che ho avuto il dubbio se non fosse stato pi con;
un documento storicamente e letterariamente assai notevole metto da parte ogni scrupolo. Forse non mancano che i due versi trascurati dal copista poich alla madre che le lo svolgimento sembra compiuto in s risponde qualunque, di uno sposo raccomanda di contentarsi la figliuola che non lo vuole n troppo giovine n troppo maturo, ma fresco e gagliardo. Vi un certo parallelismo, che confermerebbe trattarsi non di un frammento, si invece alla prima stanza in cui si parla di componimento integro
poich
si
ma
tratta di
di
la
che
in
cui
si
de-
preca
LXXVIII,
ed una
valletto
madre
nei
e cosi svariate
assunse
canti
243
Una
al
1282,
nel quale
la
trascrisse in
gistro di contratti
e metricamente
una
ballata
di
i
un reforma
senti-
per
menti che
vi
sono espressi
sia
un esempio
e
di poesia schiet-
rozzamente plebea.
il
suo giorno,
espone francamente
contrariatane,
si
fa
un po'
crudi,
ma
efficaci
meo drudo
;
la camisa con lui me starla tutta nuda n mai non voria far devisa, eo l'abbrazaria en tal guisa che '1 cor me faiia allegrare.
che non
il
Quando
versi
si
leggono
si
fatte cose,
sti
sono
ai
zoni ed
le
costumi e
collo sca-
con
materialit e
il
sensualismo invalso
Boccaccio, sono dicerie pi o meno eloquenti, e non altro, non altro. E badate che questa ballata non unica, e non pu quindi esser riguardata come traviamento o deprava-
1870, p. 35
quello di
I,
AHmena,
;
in
Pi-
siciliani,
Palermo 1870,
816
quello
delle
Marche in Gianandrea, Canti popol. march., Torino 1875, P- 266 e quello di Pontelagoscuro in Riv. di filol. rom., II, 202. Rientrano nel ciclo di questo contrasto le operette del Croce registrate ai nn. 194 e 205 del saggio bibliografico dato da O. GuerRiNi, La vita e le opere di G. C. Croce, Bologna 1879.
244
zione individuale la ballata bolognese il primo esemplare o de' primi, d' una serie, d' una famiglia intera di poesie consimili/ Infatti su lo stesso argomento abbiamo, con:
temporanea al contrasto bolognese, una poesia attribuita senza fondamento a Ciacco d'Anguillaia di Firenze, un rimatore dugentista che rinfresc
diporto,
di
il
nel
rivoletto
popolare
la
lamenti di
marito
Oi madre bella lungo tempo passato ch'io deggio aver marito e tu nello m'hai dato.
. . .
gli ardori
:
precoci
ma
Per parole mi veni tuttor cosi dicendo questo patto non fina ed io tuta ardo e inciendo.
;
questa scappata
la
madre perde
la
pazienza e con
:
pun-
Oi
fossi
che tanto m'hai parlato non s'avene a pulciella, credo che l'hai provato si ne sai la novella. ^
sec.
XIII
XIV,
I,
p.
96 [ora
e dal
XVI IL
e
p.
249].
Poesie Hai.
p.
ined.,
73
Carducci, Cantilene
volg., ed.
io
[ora
nelle Antiche
p.
voi.
Ili,
194]. Cfr.
rime Bar-
245
A
y. y.
tipi
la
nostra ballata
:
LXXVIII
que-
lo
b,
X;
stanze: a,
b,
a,
b ; a,
e qualche
come
carattere di pi
Ma mi pare preferibile l'ipotesi che si tratti un rifacimento relativamente recente, rispetto al tempo in cui fu raccolto nel nostro repertorio rifacimento dovuto quasi certo a un rimatore dell'Italia superiore mi conforta in questa opinione il fatto che un altro testo se ne trova in un codice del 141 7,'- si che tra la fine del sec. XIV e il principio del sec. XV si ha da porre la maggior divulgadi
;
zione di questa poesia; l'esser poi formata di settenari piuttosto che di ottonari
un
altro carattere,
se
non
di
minore
meno
popolari.
:
Ne ho
ricostituito
nel repertorio (A) manca hanno nove stanze, nel marucelliano (B) c' la ripresa e similmente nove stanze ma non sono tutte le stesse, perch quattro solamente sono comuni ad ambedue
testo
la ripresa e si
codici.
il
di guida a ricostituire l'integrit del testo secondo lo svolgimento pi logico dell'invenzione: sono tre parti, nella prima delle quali (ripresa e stanze I-IV -^ ripresa di B st. i^ di A, st. i^ B, st. 2^ e 3^ A) la giovine fa una lunga e calorosa istanza alla madre perch si apra la porta al suo innamorato ^ nella seconda (stanze V-X r= 4*, 5^ e 8^ di A, 5^ di B e j"* e 6'^ di A) la madre risponde e la figlia ri;
batte circa
il
TOLi,
p.
Storia
della
letteratura
italiana,
Firenze 1879,
voi.
Il,
242 in nota.
^
Nel
v.
15
chiama:
:
stanza formata dai vv. 88-94. 2 il codice Marucelliano C, 155, di sul quale fu pubbl. da
S.
Ferrari, Bibl. di
3
letter.
popoL,
le
I,
333-334.
.
Si noti
il
parallelismo tra
stanze
24
figlia nel
la
madre
S'"^
l'allontana
nella
terza (stanze
XI-XIV
=
:
alla
y""
di B, 9^ di
e 9^ di
B) la figlia va alla finestra a conversare col valletto e dopo un breve colloquio apre la porta e lo fa entrare in casa. Ecco le due ballate
LXXVII.
Sapete
spetel
no'
el
ben
Madre mia,
me
sa sa sonar leto
le
corde [en tute], Spetel bon ecc. no' me po' tegnir bordun. Madre mia, se [l'] hom fresco be' me sa tendere el balestro,
guastan
IO
mandame
d[e]rito el vereton.
.Spetel
bon
ecc.
dileto
14
la note star in [sul] leto con un vechio che me runchize in peto, Spetel bon ecc. ch'el g nasca i strangoion. Madre mia, se l' uno ben gagiardo, che me sa mandar el dardo,
on.
LXXVIII.
[
Mamma,
i'
eh'
La base metrica
il
:
di ottonari,
ma
x.
il
testo,
che do quale
la
1.
lo
ha
ri-
presa
sa; V.
V.
y.
9,
II- 12,
V.
ben forse era enunciata l'idea di un moxvo pronto e destro; forse: Con un vechio star in leto Che me runchize in per
le
stanze
a. a, a.
Al v.
e
si
pu
peto;
15, s'
un
ben, v. 17
mandai giuso
mandai
saldo.
247
3
IO
per un valleto ch'i' sento di fora?] cosa dego far, mamma, che son si 'namorata e amo quel garzoneto da hii che son si amata, e do spesso soleto pasa per la contrata mostra sembianti e par che [per] mi mora.
!
[Priegoti, dolcie
mamma,
;
ch'aempia el mio disire questo valletto, mamma, vol[e] per me morire vedi che merz chiama, per deo gli degia aprire
;
!
17
si
mamma,
mamma,
falli
aprire.
24
aprili,
mamma,
mamma,
la
porta
vederai venire
mamma,
31
or
ti
conforta,
che non far qui gran[de] demora. Dolze [mia] fiolecta, vezo che se' inpazzita [da] dio si' maledeta,
;
se
fai
tanta follia
com
da
la
falsa e ria
38
et
posto mente,
et per la
45
e sto
248
[
Bench non sia veduta] fiola, quando far da te [partuta] al s'ander vantando
dolze
ch'el[li] t'
avuta
sta note al so
comando
danno
e a lui onore.
52
[
e a
ti
sera gran
le
Mamma,
se tu sapessi
al core,
fiame dentr'
59
megli' eh'
i'
me non
mora].
_
bon'ora.
mamma,
66
el
core mio,
de
aprili a
Dolze che tu
che
vezzo
;
se'
innamorata
73
[
de far el pezo perch t' castegata levamete denanti a la malora. r tanta paura di no' mi svergognare malvagia gente fura
cierchi
:
80
d'aprirgli ancora.
bruna
87
249
che d'amor m'
ferito,
tu sei la
94
[
de, apri
mo,
stu
non
voi'
eh' io
mora.
dolcie
s'i'
mio
diletto,
;
dovessi morire
e prenderai diletto
di si nobil servire
:
IDI
meco
ti
conforta].^
Ritorniamo
in pi spirabile aere,
:
di ballatine gentili
LXXIX.
Solo viazo o preso el pelegrino che smarir me conven laso, topino Nella mia mente non poso pensare corno io durare debia in questa vita, che ogni bene me sento mancare pur recordando l'amara partita, l'anima trista remane smarrita che seguitar vorria vostro camino. Ben che non sia onesto del vinire l dove sete, o nobel mio sengnore.
! :
ai
;
due
testi,
che sono
la
ma mi
parso inutile
V, VI, VII e X,
che no'
Io degi
dire
che parrebbe che vv. 95 e segg. dovessero precedere la strofe del giuramento ma si tratta pi probabilmente di un'aggiunta fatta da chi volle richiamar l'idea del giuramento nel
:
momento
l'amata.
conclusivo dell'ingresso del valletto nella casa delAvverto, per maggior chiarezza, che le stanze tra parentesi quadrate sono quelle che mancano nel testo A.
250
chi poderia contar tanti martiri,
14
20
vedendose allongare one so amore, non sequisci sempre a tut l'ore l dove annse quel bianci armilino? Prega questa crudele, o balatina, che tanta crudelt non regna in lei per monti e piani senpre tu camina per fin che gionta gie sera' ai pedi, et poi gie contarai le pene mei, le quali io porto per quel sengnor mio.
se
;
el
pelegrino
LXXX.
Quei ochi gentil vagi pien d'amore m' ferito a morte el mio core. Ame ferito d'un dardo mortale
si
vale,
l'amor m' venenato.se piaser da vui, viso rosato, senpre m'apelo vostro servidore. Per servitor non te toro zamai,
;
Quei ochi
ecc.
de zo io ne so' atenta et sempre mi tu porti pena e guai, de zo ne so' contenta quasi ch'ai ponto non m'avesti venta
:
14
or portine dolore.
Quei ochi
ecc.
Dolor ne volo portar poi ch'i' falito, madona, se '1 ve pare; e l[o] mio cor sera senpre [compito]
vostro servo verase;
20
pregar ve volo, madona, se '1 ve piaze, Quei ochi ecc. che perdonate a questo pecatore. N '1 tuo bel dir n '1 tuo merc chiamare
Cosi la do
1.
come
Al
v.
15 quasi certa-
leggendo ai pei; senso oscuro, specialmente nel v. i che non toccare, perch ripetuto per intiero sulla fine.
questo ; al 18 la rima
il
restituisce
251
vara niente, tu te desevi ben altro pensare che non era contenta. Questo voio che tu sapi certamente,
te
non
Quei ochi
ecc.
mi non vai aiuto n conforto n a mi merz chiamare i to bei ochi m' ferito a morte, onde non [ne] posso pi scanpare altro che morte a mi non po' tu dare,
;
:
32 che
men lamento
Quei ochi
ecc.
Tucta
nostro innamoramento,
tucta son tua, convien manifestare,
tu sei el
mio intendimento
sei' traditore.
Quei ochi
zentil ecc.^
LXXXI.
Privato so',
2
ma non
per mio
falire
me
fa languire.
de
l[o]
disconsolato,
et
far
che
et
com
14
chi cerca
de
fuzire.
Privato ecc.
senza conpagnia,
in un[o] viridario
far la vita
* Il ms. ha chiamare nierze,
mia
v.
2)\
la morte, 34
si
tucta.
conviense. Al v. 38
legga
sei'
trattore.
252
o [ijsperanza mia,
20
Io
tu
me
fa[i]
morire.
26
ma
et
LXXXII.
Ai laso me! ch'el
2
me convien lassare quel dolze amor ch'amando me fa penare. Trovai una fiera rossa
in
;
una vesta scura Amor, socorso , e Dolce criatura or non m'esser[e] dura, lasandote pigliare . Ai laso Et ella de bon core
gridai
: : !
ecc.
14
aspetava la sagita, che de l'arco d'Amore faceva la partita. Oi me, la ferita ca sento al cor passare Ferito m'aveti el core, o dolce venatore,
trovati chi
Ai laso ecc.
me
conforte,
;
20
o caro mio signore che zamai voi fresco fiore non voglio abandonare . Ai laso ecc. Conforto ve voio dare, o cara mia speranza,
26
*
ma convir lacrimare per voi, o dolce amanza, et per la [mia] partanza che me conven pur fare .
Il
Ai laso
ecc.
ms. ha
V. 9
Pariirome, 24
insolita,
ma
ripresa d
due
settenari
anomalia
guente.
253
Partir
pur
me convene
da
voi,
ma
non vezando
vostro aspeto.
32
amor[e] perfeto, non ve poro parlare . Ai laso ecc. A Dio t'arricomando co' l[o mio] capo inchino et senpre pur sperando
de vederti, amor
oi
fino
me
[lasso,] tapino,
com
longo el
mio sperare
Ai lasso ecc.
LXXXIII.
Gran pianti agli ochi, grave doglia al core abunda senpr'e l'anima si more. [Per] per questa amara dipartita chiamo la morte, no' me voi oldire contro mia vola dura questa vita
:
che mile morte me convien sentire ma ben che viva mai non vo seguire se no' vui, chiara stela, dolze amore.
;
LXXXIV.
Vita non pi misera e pi che tropo amare altrui con
ria
zilosia.
La do come
tesi
quadrata.
si
Ma
;
labe,
che quasi
con qualche aggiunta tra parensono versi che crescono d' una o pi silpotrebbe pensare che originariamente fosse
tutto considerato,
saita,
il li
stata di ottonari
pur, io
ridurrei a settenari
trova,
leggendo cosi
v.
15
m'av,
;
16,
19 che mai,
ma
aspeto, 38 si longo
lare,
V mio sperare. Metricamente irregoperch la volta (b. x) non corrisponde alla ripresa {X. X). 2 Questa ballatina si legge anche in codici musicali, p. es. nel Laurenziano 87, e. 133 b, e nel Panciatichiano 26 al n. 44.
254
Giovane bela, virtuosa e vaga, che zovame di questa mala vita, poi che fusti principio de la piaga,
si
virt
si
che regna in ti non sia smarita, che ['n] dui corpi un solo animo sia?^
LXXXV.
Io
2
mi disparto da
dolce speranza, e lassote '1 mio core. Amara tanto m' questa partita
dagl[i] ochi toi, caro
mio tesoro
14
che pi contento non po' far dimoro Per di pianto me convien far coro, e suspirando andar per tal dolore. Chi mi dir di te ormai novela? chi mi consoler di tal[e] danno ? Ricordati di me, o vaga perla, pensa che porto per te tanto afanno e guardati da color che non sano come son tuo e ser, zentil fiore. Ochi dolenti, ragion voi avete di piangere e dole[r] cotal partita pensate come e quando rivedrete
;
20
26
prego Idio che li donni la vita, sia ella benedeta a tute l'ore. Prego ciascun che piet di me prenda a' mie' suspiri e al mio lamentare e nulo sia che di ci mi riprenda, s i' mi dovesi per lei consumare la sola, che me pu consolare che son suo servo [ed] l[o] mio signore.
;
;
mi dolio
26
al n.
Anche questa
e.
nel
Panciatichiano
24, nel
Lau-
renziano 87, a
167 a ecc.
255
e licito
me
convien[e] fare,
'1
32
io
me
ne vo e
l[a]sote
mio
vi
core.
la
si
Io
mi diparto.^
In
mezzo a queste
ballate
una
quale un esem-
Ffinire mia vita mi convene chon guay e con ssospiri poi che me veco tolto el pi bel volto che naque camay. E vo finir con pianti e con ssospiri la mia vita amara la mia vita angososa senpre piango la crudel ventura chol cuore e l'anima mia poy che furtuna ria
ora
me
stata
si
perfida e
dura.
Piango e sospiro perche e son diviso e son lutan da ti luce serena che de adornece pasa el tuo bel viso
griseyda, casandra, e polisena
e
filis
odio
la
morte crido
e di far
chome digo
dolor signor o paura etc.
per
tal
Questa poesia mi ha dato molto da pensare che si tratdi una ballata appariva abbastanza manifesto dall' esservi tre gruppi di versi finiti con la stessa rima in-7/ra ma il primo gruppo non poteva essere una ripresa, appunto per la mancanza di una rima corrispondente. L'ultimo gruppo invece dava una stanza integra di ballata, secondo lo schema
:
tasse
Il
ms. ha
17
V.
io dampno,
13
sia,
coloro,
15 ragione,
dote colai,
rive derete,
20
1?
21
Y prego
16 e di ciaschun che de
v.
Nel
6 forse in-
vece di contento da 1. con teco ; v. 11 forse stela invece i perla, ma pu stare l'assonanza 16 forse doler di tal ; 26 potrebbe anche essere che son suo servo e [servo] V mio signore, cio
;
Amore.
256
donde si ritraeva che la ripresa B ; B. e. e. ; dovesse essere foggiata cosi: A. b. b. X. Fermato questo punto, non mi fu diffcile riconoscere nel secondo gruppo dei versi la ripresa, la quale si era venuta a interporre tra l'una
A. B, A.
e l'altra mutazione della prima stanza rappresentate dal primo se non che in questo sconvolgie terzo gruppo di versi
;
mento'
il
penna qualche
altra cosa,
un
paio di versi circa, ch'io segner coi puntini, essendo impossibile imaginare che cosa dicessero.
LXXXVI.
E' vo
la'
finir con pianti e con sospiri mia vita amor[os]a, la mia vita angososa sempre pianger la mia crudel ventura. Finir mia vita mi convien con guai e con sospiri, poi me vezo tolto el pi bel volto che nacque zamai
;
olto
-olto
12
poi che fortuna ria ora m' stata si perfida e dura. Piango e sospiro perch e' son diviso
e son luntan
da
ti,
luze serena^
che de adorneze pasa el tuo bel viso Griselda, Casandra e Polisena e Filis bela e la raina Elna ond' io la morte crido
;
e di far
come Dido
signor, paura.
2o
per
tal dolor[e],
A questi sospiri e lamenti, a questi canti d'amore si congiungono in questa sezione del repertorio alcuni canti satiuno gi si dato (al n. LXIII) insieme con altri contro rici e or ne resta da produrre un altro che rientra le vecchie
: ;
nel ciclo,
testamenti satirici.
tira
sa-
257
veste r usanza invalsa nei secoli XIII e
nelle
XIV
di
introdurre
disposizioni
fossero
pure di
somme minime,
tempo che
LXXXVII.
Io vo' far[e] testamento,
Vescovato de lo prato, eh' i ri[n]segna de cantare ca so' ati ad imparare. Io Io lasso ai frari Menori i mei guai e i mei dolori, se de quei non ano asai,
Io lasso a l[o]
li
mei
grilli
vo' far.
II
s'aradopiano
Io lascio la
li
guai. Io vo'.
15
mia fia cara al monester de santa Clara et se non li piace de stare in quelo vada a stare a l[o] bordelo. Testamento L'altra mia figliattina
laso a santa
Catarina,
monestero
Testa[mento].
19
mona Mozza
et se la fa di polzini
23
no'
toca colle
mane
Testamento
etc.
27
Il
li
ha un carattere spiccata-
come
Duomo
per farne
presi dai
poesia antica.
17.
258
padri serviti: e un po' anche nella grossolanit della concezione realistica per quelle figliuole destinate indifferentemente,
e spesso infatti era la stessa cosa, al monastero o al bordello. N meno popolare il carattere del metro, poich in questa
ballata
prodottesi forse in una dobbiamo riconoscere l'ottonario, verso prediletto della musa popolare antica.^ Segue, a conclusione del repertorio, un altro gruppo di
le alterazioni
non ostante
ballate
d'amore su motivi
della
svariati,
donna abbandonata dall'amante, con forti accenni realistici, compreso quello delle feste di non so qual citt interrotte per la morte Bonifazio IX nel 1403 la XCVIII coi consigli della madre alla figliuola che va a marito e la C, che uno dei pochissimi esempi superstiti della poesia studentesca, poich evidentemente fu composta da uno scolaro, forse dell'universit di Bologna, per lusingare
;
XCIV, lamento
LXXXVIII.
de Pochi mei vago dilecto, pi te guardo pi te so' sozeto. Se mai piet avesti de persona, ahi piet de me, viso rosato
Amor
com
verso alla giusta misura con piccome l dove il ms. ha V. 9 li mei dolori, io et se, 15 ad astare, 19 et /azza, 26 li loca. Pi difficile da ridurre il v. 14, forse da 1. se no' i piace stare in quelo ; e nel v. 13 si faceva probabilmente, cantando,
*
Ho
qua e
ricondotto
il
LXXVI, e forse anche la LXIII, le quali sistema metrico dalla ballata C ripresa x.y.y. x stanza a. b, a. b ; b. e. e. x. Noto, a tale proposito, che questo schema quasi identico (se ne scosta solo nella disposizione delle rime della ripresa) a quello di una ballata popolare bolognese
babilmente
hanno
delle pi
antiche, anteriore
rime
259
se fose re, io te poria corona
in
de quel eh' io poso so' aparechiato, vu a comandare e mi servir constreto. Amor el dolze sguardo e l[o] piacere m' si ligato che fuzir non posso non dileto, se no' de vedere vostra benignit che m' percosso
:
-osso i6
pensando neI[o] to benigno aspeto. Se mai la vita te far dimora, non mirar mai altro viso voi sete bela sopra onne figura co' l'ochi adorna e co' l[o] dolce riso:
. . .
24
paradiso,
chiarito spechio.
amoroso
me
strengo
tanto
30
gionge una pena doliosa che l'anema se parte da l[o] peto. Dolce speranza mia, siate piatosa, da po' ch'io v'amo con tanto fervore;
me
non
in
te mostrar[e] tanto desdegnosa verso me che son to servidore che in fra l'amanti non amadore
:
si
grande
affeto.^
LXXXIX.
Con
dolci
mei
sospiri
;
mio
falire.
la
^ l\ m, ha V. 8 a ini servir, 9 e/ vago piacere, 12 la vostra, 22 collochi, 25 spno de dorm., ^2 daspo, 34 de me, 36 cosi grande. Un'altra ballata nel cod. trevisano, Gian, loc. cit., p. 34-35,
quale ha
ma
in tutto
il
dimostra per un
rifaci-
mento.
zo
Amor, con
io
bel piasere
12
20
senpre t' servito, con dolce ben volere fedelmente seguito ora i preso un partito per farme pi dispeto d'altrui prendi dileto, abandonando mi con gran martiri. Recordar te dovresti del primo avegnimento, nel qual me prometesti fede con sagramento e mo a tradimento tu m'ai abandonato, ay lasso suenturato che senza colpa me conven morire. La tua dolce natura
:
; ;
piasevol e graciosa,
l'angelica figura
grata et amorosa
osita venenosa,
amara pi ca
fele
com serpe
28
fai
languire.
Do,
tu
me
credeva star[e]
del to orto
;
nel
mezo
me
solevi dare
:
36
de fuora del to amor[e] me, questo dolore con grave pena tu me fai dolce mia balata, va senza far dimora a la persona ingrata, che d'amor me devora e di che seria ora e tempo de far pace,
;
oi
sentire.
44
servire.
Con
dolci etc.^
Il
ms. ha
V.
13
doneresti,
sotia.
201
xc.
relucente stella,
4
-ai
-ella.
el to viso clarito,
12
tanto me innamorai de ti zio fiorito che per nesun partito me posso consolare, se non lasi basare [a] mi toa boca bella. Como rosa vermeia
porti lo labro belo
ladroncelo,
el
che quando
vezo in quello
me
2o
fa
tanto languire
per
Quando riguardo
tanto
fin
pieto
me
fa
esser beato
ser
58
che vita me dura servo fidele, cercando el dolce mele de questa lizadrella.
i
Mai non
porr[i]a contare,
toe piasevoleze,
ti el mio cor s'apella. Venus, dio d'amore, pregote piamente che col to gran fervore
202
vadi amantenente
44
a quella eh io so seruente, pregandola con tuto che me consenta fruto de soa dolce ramela. Vanni, ballata, cara da mia parte cantando a quella luce clara per cui muoro penando e di' che suspirando
;
senpre chiamo
socori a l'ochi
oi mei mei
52
etc.
finis.
XCI.
Dileto che no' spero d'aver mai [da] poi che Ti [e] per vilt lasai.
Una
un boscheto
:
bela mi parsi.
tuto
Lasame andar a
mio
dileto,
14
che ancor per certo pigliar me porai . me lame[n]to che ebi el cor vile, si bela cerva eh' io lasai fuzire questo di casi un[o] de' mile avere el bene e noi saver lenire questo per certo noi poso desdire, unde mia vita regna in pena e in guai. Onde pregar vogl' io li cazadori, prenda la cazza quando po' pigliare chi el bon tenpo nesuno non dimori, che tosto vien ch'el somegliante apare
E'
:
[Dilato].
Dileto.
1 II ms. ha al v. 20 zonuencella, v. 51 allochi. segnata dai miei puntini manifesta per ragione del volta b. e. e. X. doveva corrispondere ad una ripresa x. V. 5 doveva suonare press 'a poco Da poi che io mirai cosa di simile.
:
La lacuna
metro
:
la
Il
y.y. x.
o qualche
203
questo dico per mi, so' in tanto afare che nessun bene speto aver zamai. Dileto.i
XCII.
Doi ochi vaghi me consuma el core, dolcemente fa' vista dam.ore. Tu volz: l'ochi presti con vageza, vezosamente fugi chi te mira tu me mostrasti una vaga beleza, elle l'anema fuor dal core me tira
si
; :
l'ochi vageti la
mente
sospira,
furi el core.
tanto
ei
lizadra che
me
14
20
Se io te miro con vista d'amore, non pensare ch'el sia per to dileto anzi ti sguardo con riso del core per darte mazor pena al to despeto se la posanza seguise a l'afeto, faria vendeta de ti traditore. Perch crudele invr de mi cotanto si' ragoiosa fiera con desdegno la mia vita se consuma in pianto, per le toe mane ben morir convegno de, vedi in prima, dona, se so' degno Doi ochi vaghi.* et poi m'alcide s'el t' pur onore Etc.
;
:
; :
xeni.
Perch
colli toi
fai
senbianti
nammorar
1
ciascuno,
a
e.
II
60 b reca solo
chio lebbi
v.
i
la ripresa cosi
maj Da poi
. .
per
vilt lasciaj
Il
ella,
la p, 19 che 7 e lasame, 14 et son in tanto. ^ Il ms. ha v. 6 eia mi tira. anche nel cod. trevisano, CiAN, p. 38 con una corrispondenza continuata, non ostante le molte variet di lezione che non alterano il senso un caso
; :
zamai, 6 et
in
cui
le diversit
264
iovenneta, sot'al bruno
risponder a ciascun segno tanto aperto e manifesto desir bite pi onesto poi che tu senti d'amor[e],
:
12
differenza;
con equal benivolenza et quando, tra lor sentenza, credon venir all[i] efeti,
:
tu
me
par che
ti
dileti
20
E non
so da che se mova che de te dicon pur bene e tu me despresi a pruova dov'el non
si
convene
28
e s'el
me
XCIV.
d'un quadrello che m' passato el core, gito or se n' el mio amore ch'era si bello. Gito or se n' colui, che zorno e note gi mai non fina va trovarmi apreso a lui, de mia persona dileto pigliava esso me contentava
Ferita
;
mano.
ms. ha
v.
7 di risponder,
205
de piaceri
IO
e
d'amore
core
si
me
Or
eh' io
so'
ferito el
co'
un
cortello.
Ferita.
lasa, sventurata,
ho perduto
bel
amadore
rimasta inganata,
si
!
gran furore.
Che faranno
che pregna m' lasata quel donzelo. e' conpagnoni, i quai se fan chiamar Ciarmeli[t]ani, che n perduti e' caponi,
lepori, starni, pizoni e fasani
?
Ferita.
24
che farano e' lontani con lor[o] citadini, o signor bello. parenti con vecini, Maledico la morte
del nostro santo papa Bonifacio
Ferita.
unde
31
el
mio cor
core
sie sacio
:
me
ferita el
con un cortelo.
Ferita ecc."
XCV.
Guerra m' fata per altrui mal dire, oi me, laso, e non per mio falire De, quanta m' noiosa questa guerra,
!
la
qual m' fata si crudel e forte preso m' '1 vostr'amor e '1 cuor mi ser[r]a per voi, madona mia, spero morte
: :
se
me
da' conforte,
ne
vostro amor[e] m' preso la vista e '1 bel parlar, che fa vostra persona
II
ms. ha
V.
3 e 4
or gito,
io e 41
ed
ante,
11
lasa mi,
15
Or
lasa,
18 e 22
Or
maled., 29 core.
266
in
doso
porti vestimenta
bruna
14
e per niente
20
con lagrime piatose dentro al core infra nui insieme non vi pentirete poi che fie morto el vostro servidore senpre v' apelato mia signora e non ve fali' mai al mio parere. finis. 1 Guerra m' fata.
XCVI.
Soto
viti
el
manto
scarlato
l'ochio vageto
al
per quella che s' trato Chi vedese la dona mia a Sancto Francesco stare dicendo avemarie
brun veleto.
domandando
gracia tale
cum
IO
gran suavitade laudando Dio vero la trata dello vello de si grant devocione.
si
Soto
[el
manto etc]
Si in
ella
si
17
Soto
[el
manto
etc.].
24
che non dibiate portar[e] quel[le] brune gonelle che vui si' pi biasemate che l'altre vituperate [de] mustrar si una teta zuza
;
al peto.
Soto
el
manto etc*
ms. ha v. 5 vostra ani., 16 dentro dal, 19 per mia. Nel V. II manifestamente da 1. la vista m' presa e forse al v. 17 nui da ritenere un errore grafico per uui. 2 La lezione del ms. assai guasta, o almeno assai incerta si che ho dovuto trascrivere con qualche mutamento per man1
II
267
XCVII.
Da pu' che maridata sete, zoveneta vaga e bella, mai non spiero aver novela che per mi bona sia. Mai non spiero in questo mondo d'aver zoia n conforto, poi che maridata siti vui che ieri '1 mio deporto etc.
Da
pu',
O
12
me, non fu' acorto quando vui ve maiidasti, anco vui forte falasti che no' mei fese a sapere etc. Da pu'. E' me scuso a Dio e al mondo che non sapi mai niente
las'a
sino 16
quando e' fui sposata piacque a Dio e ai mie' parenti pensa mo, se fu' dolente
:
etc.
Da
pu'
de vederme a
stare
tal partito,
cum
l'anelo in dito
ti
20
arecordandome de
etc.
Da
pu'.
etc.
Da
pu'
finis.
il senso e la forma metrica, che sembra di versi ottonari con un endecasillabo in fine della ripresa e di ogni stanza. Il ms. d al v. 3 che fatrata lo briifio, 4 la mia dona, 7 falle, io cum la irata, \^ si el fose nisuno che se 2> granda suucnitade, aventasse, 22 pero che vuy, 23 che lallrie, 24 al peto ustrasi una tetaquca. Guasto senza dubbio il v. io ove manca la rima finale
in -eto.
1 II ms. ha V. 3 daver, 8 lo mio, 9 e 17 Ho, 16 piaglielo. ed ay mie. Nei vv. 20 e 24 la sillaba iniziale si elide nella reMetricamente nel v. 21 forse da leggere St. citazione un esempio raro della stanza, che invece di avere la sua propria
. ;
nella seconda stanza probabilmente le e coppie vanno invertite disponendo i versi cosi 7, 8, 5, 6 qualche cosa di simile dovr farsi anche nella quarta, si che le due rime -enti: -ente cadano nel mezzo.
:
268
XCVIII.
Poi che sei zonta fa mia, che tu
al
si'
ponto,
sposa,
vrdate de non far cossa che despiaza al to marito. Quando '1 vidi corozato
e tu allegra no'
li
stare
se tu lo vedesse
[.
are]
cun
fa,
12
fin ch'el
Quando
no'
li
melinconosa
stame allegra e onesta sposa ben sopra ogni cossa del manzar trop'o del bere,
fa
fia,
tenpralo al to volere
2o
no'
fia,
mostrate signorile segondo la to posanza fia, pia una si fata usanza che to mari[to] contenti,
;
cun
28
fa[n]ti e
cun sazenti
Quando
fia,
tu va' in giesa,
;
el cuor divoto a dio quela sancta scuola no' li aver altro disio fia, ancora priego mio,
tie'
int[r]e
;'
Io
36
^
Il
zioni osservabili in
una
frottola di F.
209
XCIX.
De, min aver
tanti amanti,
dona mia,
cli'el
non
t'
onore:
ama
4
mi, to servitore,
amore
'1
ch'e' t'
d l'anima e
rosa fiorita
cuore
che
si'
de, conforta a la
12
mia
vita,
preso m'i coi to sembianti etc. De, nun. Li senbiant tuo' lizadri,
m'
Io
co' le belle
membra
squasi
mio cuor
tu m'' furato:
m'a' comeso 20
in to' balia;
De tormento
mie' lamenti no' sia[n] tanti etc. De, nup. m'i co. iso
. .
dame
conforto
28
vago diporto me contenti a la mia volia de, trame de pena e dolia, regraciando Dio coi sancti. De, nun.
ogne
to
finis.
dietro il trattato Delle rime volgari di A. da Tempo Il ms. ha v. 5 Quando vidi Bologna, Romagnoli, 1869, p. 335. lo to marito cor., 9 e se, 11 Jia levate e no, 12 infin, 21 zente de tetipio vile, 22 no li, 28 cun lo cor, 30 tien, 33 ancor ben e, 34 mai in, 36 cielo in salito. Al v. 20 da leggere forse isgradito. > 6 e noneuiti may I e 9 cotanti, 5 Da pu, Il ms. ha V. Jiamare, 7 altri ca to, 8 che e, 12 cum. y to, 15 t colo mio bete membro, 16 forato, 17 eljo, 19 spearanza, 20 ehe l imo lamento
Grion
cosso,
22 grani, 25
ogna
to bel, 27
de dolya,
270
e.
dolze
amor
di studenti,
12
20
sun ben cognosenti a doverve meritare. E [lo] so perfetto amore, donzele, senpre prende, che per certo al vostro cuore gran dileto sentire e, se ma' el vederete fresco com' fior su la rama, de, zascauna che non brama lo so dolze inamorare? Non tema le maridate visitarli cun bie' guardi, che a refar le sue inbasate illi non serano tardi e' d'amor zetano dardi cun le suo' dolze parole, che ai fati torna sole cun dileto de abrazare.
ch'eli
;
;
ochi senpre ride, che le vostre belle vageze i studenti alcide vui pare stele claride a cui
li
[cojsi
soto
lezadro vagezare.
sia,
la
de amorosa
e cognoscer cortesia,
l'amor vostro de
[a]l
scolare,
28 con
li.
Non
so altrimenti
emendare
v.
il
v.
:
6,
15
altri
n il 20 e n veda se sa far
;
271
legnaselo molto caro
36
ch'el
vago a solazare.'
CI.
ti piaci, dame morte d che i martur son pi forte. F contento ne son che pi non poso levar la vita mia da tormento con le mie propie man pi volte moso per far l'animo tuo, dona, contento solo un desio me tien eh' io non consento Da poi. 8 speranza, che me toli da la morte. Como omo desperato lacrimando, quando lu[n]tan mi truovo da la morte, per vui, madona mia, vo suspirando col cuor trafito che da dola sento ne li ochi toi tu porti un foco ardente^ che me consuma ei cuor e dame morte. Da poi. 74
Da
morte
me
Zamai soto le stele non fu dona de cotanta belt spiatala e cruda de lucente cristalo una coIona, giazata e freda quando tu pozi nuda e' priego el fin amor che no' te studa
; :
20
Da
poi.
ten anderai,
te
penerai
ai
piede
la saluterai
lei
i
che
26
mando
che senza
lei
Da
Sarebbe molto
caratteri
di
una
un
recitatore di poesie
altro col
^ Il ms. ha v. 2 de li st., 5 El se perfeto dolze am., io star per vuy fresco che fiore, 11 perche, 21 pianzete, 35 e tegn. 2 II ms. ha V. 2 li marturi, 11 in zenochioni ay pie te poneray al V. 18 forse da 1. quanto possi.
:
272
da vivere.
Ma
cognizioni
in-
specialmente di quelli
il
popolo, non
ter-
mini
noti
di confronto ci
pochi relativamente
mancherebbero componimenti
assai
spesso,
essendo
del
nostro repertorio
si
anche per
altri
pu affermare
avuti
con sicurezza
esemplari
sia
perch pi par-
XIV
il
tipo
rime
false ricorrenti
alle
restituiscono quasi
sempre ricorrendo
Non
che siamo venuti leggendo, sono di origine toscana, manifesta essendo per alcune la provenienza dalla valle padana
e pi probabilmente dalla regione emiliana.
Tra queste
ul-
il
canto
narrativo
dell'uccisione di
Ottobuono Terzi signore di Reggio, che cosa del tutto locale e aliena dalla forma che qui si aspetterebbe del lamento,
tanto diffusa tra
il
XIV
il
XV
CU.
secolo
de la morte de misier Oto, da Rezo per andar a Rubiera Or diseva Gui' Torelo O' volete andar, signore ? Or diseva misier Oto E' volio andar a Rubiera [a Rubiera volio andare] a far pase con el Marchese . signore questa pase bona Or diseva Gui' Torelo or questa pase bona per andar in Toscana, per andar in Toscana a refrescar conpgnia. Quando fo dentro a le sbare, fermava so' penoni
chi voi oldir novale ch'el se parti
! :
<'
Si
vedano
gli
esempi
raccolti
dal
Carducci, nel
i
lib.
nn.
LXXXVII, XCI,
273
sovrazonzeva
el Sforza,
:
armato
tai la testa
L' morto misier Oto, che iera nostro signore . morto misier Oto, le man al ciel levava El povolo da Rezo quel falso traditore E l' morto misier Oto, sera nostro signore . el marchese de Ferara
Le novele zonse
Rezo
La composizione
la
cadono
il
27 maggio 1409 fu
dello Sforza con-
mano
una compagnia di cavalli ai servigi di Niccol III il d' Este marchese di Ferrara 29 giugno, dopo che anche Guido Torello conte di Guastalla ebbe abbandonato Iacopo Terzi succeduto al fratello Ottobuono nelle signorie di Parma
dottiero di
;
e di Reggio,
Reggiani
in
si
Niccol
III
consegnarono
la citt
ne prese
ribellione
in quel
possesso
nome
del
il
nostro
Reggiani alla
molto probabile
ma
in cui
mura
il
laresco, che fu
cisamente in
messo insieme in quel torno di tempo - e preReggio o nelle vicinanze. Ma dalla regione ci-
spadana
il
cammino
e attraverso
l'Apennino pass
scrittevi per
Toscana
sue
mano
mano,
di
ma
1 Per tutti questi fatti basti rimandare a G. Tiraboschi, Memorie storiche modenesi, voi. III, pp. 84-92 ove sono citate le
;
fonti sincrone.
-
Leggesi
infatti nella e.
15 b cio, relativamente,
in
prin-
iS.
274
geva, intitolandola Villana, una canzone a ballo, assai graziosa e gentile, improntata della pi schietta toscanit.^
CHI.
Villana.
El dolze viso e gli tuoi biondi crini mi paron pur negli atti fiorentini.
2.
belli,
vaghegiati,
:
8.
uom ne favelli non vanno a machia mai cosi stornelli quanto son gli tuo' modi pellegrini. Giorgina mia, eh' i' non me lo pensava che tante pene a lo cor tu mi dessi giorno e notte di te mi ricordava, pensando nelle braccia mi tenessi sarei tuo servo se mi promettessi,
de' quali pare che ogn'
;
:
14.
uomo che nato sia al mondo, che son certo ch'ogn'altro cacci al fondo se non me, che m'' dato gli ochi fini.
ricorda
le
Con
un paio
tri
pi belle di Franco
Sacchetti,
repertorio pass
dunque
in Toscana,
dove dopo
di
di secoli lo raccolse la
curiosit
erudita
Carlo
andarono
soggetti, specialmente
alle
poesia di
nella e. 28
b,
tra
la ballata
LXX
275
Nota aggiunta.
Quando questo
ne rimase interrotta
verso di
di
colta,
scritto
la
ove poi
pubblicazione, aveva
titolo
un po'
di-
Due
dar notizia particolareggiata e saggi copiosi di un'altra racche , per cosi dire, l'antitesi del repertorio reggiano. Que-
con
;
qualche esempio di canzoni e sonetti di carattere letterario invece quello del codice Vaticano Regina 1973, da me studiato e in parte trascritto or sono venticinque anni, costituito di poesie letterarie, alle quali s' intramezzano qua e l composizioni dj
carattere popolaresco.
la voglia di
recare ad atto
vano, da poi
notizia,
La soppressione del Propugnatore mi tolse il quale ora sarebbe il mio proposito che l'egregio prof. Adolfo Cinquini, avvenutosi
;
pubblicandone
la
a.
a. VIZI,
121-152 e 364-378)
pubblicazione dei testi inediti del Vaticano Regina. Auguriamo che sia ripresa e compiuta altrove, senza che passino tanti anni.^come accaduto per il mio repertorio giullaresco.
III.
LEGGENDA
POESIA FRANCESCANA
a.
Quando
letteraria,
si
meno
soluta, chi
non
contenti di
accettare
un'indicazione
ap-
non si debbono pretendere n assegnare, poich la evoluzione iniziale di qualsiasi forma letteraria in un periodo di origini per sua natura un fatto, il quale sfugge a quaprecise
intesa e fermata.
lunque determinazione cronologica che non sia largamente E i documenti della poesia italiana che sinora
si
son
fatti
passare
sono
in generale
molto sospetti
al
secolo XII
gi quanto alla
genuinit loro,
attribuite.
ma riguardo
alle date
ad
essi
congetturalmente
Cosi l'iscrizione metrica ferrarese del 1135 forse fu originariamente scritta in latino e poi ridotta in volgare
nell'occasione di qualche restauro del
i
Duomo
un
fatto
accaduto tra
193 e
il
sia
il
la
la
1171,
vuol
essere
meglio studiata
si
prima
vi fu
si
di accettarla
perch
1251,
un
altro
citt fino al
perch
riletta
28o
ben
di
diversi
da
quelli
che
vi
furono riconosciuti
del contrasto
,
d'amore provenzaleggianti
il
dei
trattati
suno
di cotesti
documenti pu aspirare
fu
incirca al quinto
Se non che un
critico
italiano,
che congiunge
alla
il
pi
Della
assai
scritti
Le sue conclusioni,
elementi noti della
tutti gli
composto una lauda delle creature, come pure ne ha composte una intorno alla virt ed altre a Maria se poi la laude
;
assonanzata, non
il
si
sa
si
ha quindi ragione
di dubitare
che
in ogni
il
modo
la critica oculata,
ben lungi
come
pi antico
esempio
di poesia reli-
documenti
di
fattura
ma
posteriore,
almeno
stato
tramandato,
Du-
dunque che
il
nome
di
san
Francesco doquali le
ai la
vaghispi
sima
illusione,
per cui
l'
la
memoria
Italia si
collegavano
primo
fiorire
2I
Ma
convincimento scientificamente sicuro, venuto con un'opera di poderosa erudizione il pi illustre dei biografi di san Francesco, Paolo Sabatier: egli nel recente volume, che
di
primo
una nuova Collectioii de documents pouv Vhistoire religieuse et littraire du Moyen age S ci presenta una edizione critica dello Speculum perfectionis, nel quale fermamente ritiene di aver scoperto la leggenda antichissima di Francesco d'Assisi scritta da fra Leone, uno dei compagni del Santo, nel 1227, molto prima che Bonaventura da Bagnorea e Tommaso da
Celano eliminassero dalla biografia francescana
menti che dovevano pi tardi
contesa, in
rifiorire,
quegli
ele-
come strumenti
di
mano
Non mi
batier,
la
le in-
dagini e
il
francescani
ma mi
tali e tanti che non credo si possa rifiuconsenso alle sue conclusioni, se prima non sia dimostrata la fallacia dei suoi raffronti e dei suoi ragionamenti.
Di
riconoscere
come
contrario,
non
di
allo
primo ordine, per tutto ci che riguarda san Francesco, speculum perfectionis. Ora, in questo libro, che veramente improntato del
vita del
fa
di
Santo piena
la
conoscere
genesi
famose laudes creaturarum che san Francesco chiamava cantico di frate Sole perch il sole
testo primitivo delle
,
la
S. Francisci
assisiensis
edidit
legenda
VAVhSh-
2S2
singolare
le piante,
l'acqua, le pietre,
fiori,
le
il
mangerecce,
vi
ma
di lasciarne
le
i
una
parte perch al
tempo debito
crescessero
piante ver-
i loro fratelli, fiori, si che uomini vedendoli ne fossero eccitati a cantar le lodi della creazione. Cosi il Santo venne meditando le laudi del Si-
gnore intorno
morte,
alle
cose create
a comporne
il
nucleo
la
sua
an-
apparsagli
far
che ebbe
le laudi,
pensiero di
allora
altrettanti
joculatores
Domini che andassero per il mondo a cantar come effettivamente sappiamo che fecero parecchi
di lui.
dopo
Cesco
frati,
la
le
morte
Ma
intanto, essendo
le
ammalato, Fran
gli facesse
perch
dimen-
che
riferisce la
gjiore,
i
come
quando Franil
vescovo e
al
podest di
il
termine suo
Santo
facesse cantare
da esso Leone
strofe finali
morte, con
quali
disse quasi
alla terra.
minute di frate Leone una voce sincera, a simulare Sa quale mal sarebbe riuscita l'abilit di un falsario. Ma io chiedo licenza di aggiungere una osservazione, non fatta sinora, la quale dovr pur aver qualche peso nella controversia. Dato anche, ma non concesso, che lo Speculuvi perfectionis fosse quella tarda impostura che si creduto, mai possibile imaginare che un falsario del secolo XIV, o della fine del XIII,
Le indicazioni
lasciano l'impressione di
per rifare a
modo suo
e in
volgare
le
laiides
creaturarum
283
quando
tutt'altri
esemplari
gli
le
si
prove di Garzo e
lacopone
?
il
Dugento,
anche l'atteggiamento epico drammatico e in quel tempo la rielaborazione della prece francescana avrebbe assunta senza dubbio alcuno la costituzione metrica della vera laude, o ballata di argomento sacro, e pi probabilmente secondo uno di quelli schemi che troviamo nelle laudi cortonesi e nelle umbre. Invece il fratifosse essenzialmente lirica^ prese
dovuto
fare
uno studio
ai
critico,
come potrebbe un
erudito dei
;
di nostri,
riconosciuto che
an-
cora ignota,
ma
met
avevano tenuto
ternario (citer
frasi
campo
distico e
il
un esempio cronologicamente
certo, la para-
trascritta in
un codice
i
contemanzi
poranei e
rifar
quel
tipo;
per
si
legassero
la
rima
perfetta,
perch
le
assonanze
povero
fraticello
la costituzione ritmica e
non
;
si
cesco
sua
falsifi-
meno
tra
lunghi,
si
di
mezzo
egli
la
forma
qui
ma
con pa-
204
ziente indagine avrebbe
dovuto ricercare
le
cronache,
per
Germano come
i
nel 1233
frate minore, o almeno vestito convocando popoli al suono di un corno insegnava a cantare una lauda di beneizione
Regno un
modo
lu
lu
Patre,
fillu
ecc. ecc.
la quale contemporaneamente, come gli attestava Salimbene da Parma, era divulgata all' Italia superiore da un altro giullare di Dio. Benedetto dalla Cornetta, non ascritto ad alcuna particolar religione, dice il cronista, ma assai amico dei frati minori, e anch'egli concionatore di popoli, non pi al suono del corno, ma di una tromba metallica. Il redattore, chiamiamolo cosi, delle laudi delle creature,
trovati in tal
modo
gli
sa-
critici
futuri
cosi
il
Vero che
altri
meno
come
Ma un
non
potersi
imaan-
me
che
la
credenza
alla
genuinit delle
all'
rebbe definitivamente
esplicita e
in
una di.scussione
Desormais
il
285
le moindre doute , dice a questo proposito il Sabatier non sar abbattuto, che mi par difficile, tutto l'edifizio da lui studiosamente elevato in questo volume, se non sar
pour
e se
a
le
frate
Leone
sia l'effetto di
un inganno o
fatto
di
una
illusione,
Francesco resteranno
come
constatazione
ritoglier
di
un
accertato.
Ma
se
anche
storia
dovessimo
fede
alla
narrazione di
di
questa
francescana, se dovessimo
sospette e settarie,
per credere alla genuina origine del cantico del sole, quale
lo
leggiamo, su per gi
medesimo,
in tutta la
sua svariata
canori-
nome
di
IV.
[Il
n.
il
fu
I,
parte
I,
a.
1888;
romanza
diretto
da E.
Monaci,
a. 1883.]
I.
Dopo che
Cino da Pistoia}
gli
archivi ebbero
altri
cende e
lari
maestro di Bartolo,
pi al
suo insegnamento o
ripetentisi di
alla
mano in mano e di libro in libro, non ostante maggiore accuratezza delle indagini. Dei quali documenti parmi opportuno il dare notizia nell 'accingermi a mettere in
la
luce alcuni
tura
altri,
mi pose
altri
fra
mano
nel passato
anno,
facendo ricerche
per
sit,
I
studi in
eruditi. in patria
documenti anteriori
testa la presenza
di
ma
il
dott.
G.
Papaleoni ha
ci
at-
un
esat-
comune
pistoiese,
in
monna
Fiorina
Giovanni Ciappetta
Pistoia, Bracali,
e giudica che la
1881;
19.
2QO
esser molestata n tenuta a pagare sulla sua dote le collette
imposte gi
allibrata
ai genitori di
lei,
quod causa
al
dotis
est
anti-
la
reconsulto.^ Cosi siamo certi che Gino nel 1318 era in patria
;
let-
tore,
seguenti
sino
al
'20,
in
Trel'in-
viso.
E come
segnamento trivigiano di Gino mi agevole chiarire, per una preziosa indicazione datami dall'egregio dott. Oddone il quale mi avverte che il documento cui si riferiZenatti
;
sce
il
furono
eletti
celebre
Gino da
della
pistoiese, si legge a
Marca
gerlo
a leg-
si
fu
propo-
anch'egli
mentre
il
meno
soli
novantacinque.*
^
1880, n.
i.
diploma-
Storia della
leti,
ital.,
t.
tomo V,
p.
66).
lib.
I,
capo
III,
|.
XIV
nu-
(2^ ed.,
3
Modena
1789,
V,
Voi. Vili, p.
142 dei
documenti,
tra
quali
ha
il
mero DCCCXCVIII.
*
Anno
Cod. documenti
Trivio:iani
Co
Scotti N. 6
291
il
Era creduto per una notizia data da Scipione Ammirato giovine che nel 1334 Cino da Pistoia fosse stato condotto
vero provisio
In Christi
in diete Consilio corani dicto
Infrascripta
domino
pro-
me
tenor
talis est
quedam
Curiam domini
Tar[vixii],
potestatls,
Consulum Comunis
scripte per Guipot.
CCC
donem
super elec;
tionem Doctorum ordinariorum et extraordinariorum fienda nam habita de [hac re] atione et colatione cum pluribur Doctoribus luris Civilis tam Bononie quam alibi, tam de modo eligendi quam etiam de eorum salario, secundum formam diete reformationis, decem ex eis presentibus duobus tamen absentibus legitime citatis, eligerunt ad lecturam ordinarium in mane in civit[ale] Tar[vixii], videlicet dominum U[s]bertum de Cremona doctorem utriusque juris legentem Bononie cum salario CCXXV florenorum auri in anno, usque ad tres annos prox. vent. incipiendo a festo S. Luce proxime venturo, et dominum Vigilium de Foscarariis de Bononia doctorem luris legentem Bononie cum Salario CCCCC librar, den. par. in anno usque ad dictum terminum trium annorum incipiendo ad dictum festum S. Luce venturi. Qui vero duo doctores debent balotari in Consilio CCC et
cadere in unum, et qui plures ballottas habuerit erit primus, secundum formam diete reformationis. Item elegerunt duos Doctores ad lecturam extraordinariam post
videlicet
luris
nonam in Civit. Tar[vixii], dominum Nicolaum de Rubeis de Tar[vixio] doctorem cum salario CCCCC librarum denariorum parvorum in anno
tres annor
usque ad
luris
prox. vent. et
dominum Cinum de
cum
salario
CCCC
li-
brarum denariorum parvorum in anno usque ad dictum terminum trium annorum, incipiendo ad dictum festum S. Luce prox. vent. Qui vero Doctores debent ballotari in predicto Consilio CCC et cadere in unum, et qui plures ballotas habuerit erit primus secundum forman diete reformationis. Unde posito partito per dictum dominum Pot., exequendo formam diete provisionis et secundum formam ipsius ad bux. et ballot. hoc modo, quod videlicet illi consiliari! in dicto Consilio existentes, qui volunt dictum dominum Usbertum et eis placet ponant ball, suas
292
a leggere in Firenze
tini e
:^ un documento scoperto dal sig. P. San. egregiamente illustrato- dimostrerebbe invece storico fiorentino prendesse abbaglio, e che l'anno
da
lui
che
lo
della condotta di
il
Santini,
fosse stato
il
1324.
il
Infatti,
ragiona
al '26,
ci
che asseriva
biografo pi rei
ha notizia solamente dei salari pagati a Gino dall'ottobre '21 al giugno '23, e poi dall'ottobre '24 al giugno del '26; cosi che nell' insegnamento
perch dai
di
Biccherna
si
senese del nostro giureconsulto fu un' interruzione d' un anno e pi, dal giugno '23 all'ottobre '24. Inoltre, prima del X334
(e,
aggiungo
io,
lo
confermano
si
pub-
cittadinanza
fiorentina
ed era in Firenze ben conosciuto e stimato. Finalmente provato dai documenti pubblicati dal Gherardi,^ che in Firenze
tevole
tica
ci
fu, se non un vero e proprio Studio, certo un noraggruppamento di insegnamenti ofciali di gramma-
e di filosofia,
a)
di fisica e di leggi,
negli anni
che cor-
documento scoperto dal SanOra, tini un consulto reso agli ultimi giorni di giugno del 1324, per una questione insorta a proposito dell'elezione fatta di Azzo dei Manfredi da Reggio a podest di Firenze per il
sero dal J321
'24.
il
il
consulto sottoscritto
il
quale
firmandosi
Ego
Item similiter posito dictum dominum pot. hoc modo, quod qui volunt dictum dominum Nicolaum de Rubeis et eis placet, ponant ball, suas in bux. albo, qui vero volunt dictum dominum Cinum ponant ball, suas in bux. lazuro reperte fuerunt in buxolo albo
in lazuro, reperte fuerunt
ball.
LXVI
partito per
CLXVIII
'
XCV
ballote
di
S.
. il
Ist.
fiorentine di S.
A.
p. 264.
Di un documento
inedito di Citio
storico italiano, a.
3
XIV, pp.
18-34.
no, 277-279.
293
Cinus da Pistorio consulo ut supra appare come
pilatore della
memoria
comnomina del
il
:
una cum soprascripto domino Gino e con gli alche seguono ut supra scriptum est sine ulla interlinearasura vel cancellatione , e finalmente da Rinaldo Cada Alberto Rosoni e da Decco da Figline, anch'essi
e,
il
tura,
sini,
giureconsulti
Casini e
il
capisce che
il
comune
gliata
(e
da Cremona e Andrea
altro
Ciafferi),
non gi
intorno
nel '34
quando
Un
qui
i
insegnamento
i
di Cino,
al
quale furono
;
molto dubitosi
documenti
fermare e a chiarire
la
la
Na-
(i
suoi biografi
ma vedremo
:
re Roberto,
il
agosto 1330, con suo diploma dato in Quisisana presso Gastellamare di Stabia, invitava Gino a recarsi a Napoli lettore
di leggi civili, dichiarando ch'egli era
riversato
l'invito,
si
rec a Napoli
il
per incominciare
durante
corso
una donazione
fatta
vita,
Si
vedano
le notizie
cit.,
2
pp. 22-23.
201-
*
;
ma
alle
disgustato dalle
quali accenna una notissima sua poesia,- fini il corso nell'estate del '31 e abbandon Napoli per sempre. E and di nuovo a Perugia, dicono i suoi biografi, dove per l' insegnamento dell'anno 1332 gli erano gi stati assegnati gli stipendi, uno per la lettura ordinaria di fiorini centosettantacinque, e uno per la straordinaria di fiorini trecentoquindici. Se non che sul ritorno di Gino Perugia gravi dubbi mi sono sorti in mente, studiando documenti nuovi da me trovati a Volterra, ai quali intanto necessario premettere una rapida
di giuristi e di
mene
giudici,
in
li
contiene.
XIV un
come
di
notaio volter-
quale
tale registrato
dei giudici
notai
Volterra
compilata
comune
can-
popolo vol-
Mino da
e
Siena
la
'
;
comune
pur
almeno per la seconda met dell'anno camerarms o camarlingo." Ma come tanti altri seri del suo tempo il nonel '34,
taio volterrano usci a cercar fortuna fuori delle patrie
mura,
Baldo, In
sec. Codicis
f.
partem Commentai'a,
lib.
IV, de con-
dici,
2
^
ob turp. caus.,
17.
Ed. Ciampi (Pistoia 1826), p. 157. Arch. comun. di Volterra, Stat. e mutrie dei Notai, f. 32." * Mortuus notato accanto al suo nome nella cit. matricola, di mano del solito cancelliere che intorno alla met del
.
secolo
XIV
pose
la stessa
nota accanto
ai
nomi
di
molti suoi
colleghi
X, quaderno 2, per me Blasium filium Johannis de Volterra dictorum dominorum duodecim scribani et officialem. Arch. comun. di Volterra, Delio., filza XII, passim.
^
Arch. comun.
aprile- maggio
1329,
scriptus
*>
295
non and in signoria, come allora dicevasi, ossia a far da podest o da vicario in qualche gran citt o in piccoli castelli, ebbe e tenne onorevolmente l'officio di cancelliere a Pistoia nei primi tempi della dominazione fiorentina su quella citt riacquistata, com' noto, dopo la morte di Castruccio, sul principio del 1329 e riordinata con parvenza
e se
;
di libero
reggimento, conservandole
suoi anziani e
il
suo
gonfaloniere di giustizia,
ma
da Volterra
adunque
non
tempo,
ma
un grosso
e
sa quali
vicende
pervenne nel
tutte in
trova. ^
Le
sono molte e
utile
:
che stimo
di
pubblicare a
scritta ad Accia-
di
Pistoia,^ e
se
ne pu
fer-
Istorie pistoiesi
Marchionne Stefani,
Ist. fior.
455
S.
;
Ammirato,
F. T.
;
(Firenze
1847^',
voi.
pp. 211 e
segg.
pp. 160 e
2
Perrens, Hist. de Florence (Parigi 1879), voi. IV, C. Guasti, / capitoli del comune di Firenze, I, 4. 169
Cod. LXIX,
:
moderna
sul foglio di guardia scritto di mano 9, 4 Epistolae [ser Blasii] Joannis ser Blasii notarli et
;
cancellarli
eiusdem
civitatis
tam nomine proprio quam nomine Domini 1342 ad 1353, quo tempore munere fungebatur ma l' indica;
il
pe-
molte lettere di ser Biagio, perch nel rilegare fogli del codice dovette essere alterato l'ordine primitivo e in fondo alle lettere o manca la data o incompiuta. ^ Quest'Acciaiuolo, figlio di Nicola e padre di Nicola il gran siniscalco (cfr. M. Stefani, Ist. fior., lib. VIII, rub. 642), nole
29(>
mare facilmente
28 giugno e
sce ad affari del
la
Tuna
si
del
l'altra del
luglio 1339.
La
lettera
riferi-
comune
di Pistoia, circa la
:
nomina
dei ma-
scriveste
lettera
es[s]i
;
a bocca da vostra
parte
ci
disse
el
vostro chavalieri,
nell'altra
che
altro
con
e ivi avendo in nota tucti e' guelfi che sono stati all' uficio dell'anzianato dalla prima balia conceduta in qua e altri guelfi che credevamo che fossero degni a quello oficio, di
concordia deliberammo che tucti quelli ch'erano stati s' intendes|s]ero tra noi essere approbati e gl'altri tucti mectemo a secreto scruptino singolarmente e quelli che per le due parti almeno furono approvati el nostro chancellieri tucti gl' scripti non sapendo noi chi l' vinta o perduta e facendone a-llui fare copia per mandarla a voi suggellata, in quel mezzo, chome crediamo che fosse piacere di dio, avendo anello a consiglo quelli savi, fuvi per pi dette molte buone parole e finalm.ente che si ragionasse chon di questi paciari che in questi nostri fatti si prendesse via di pace e di concordia, e cosi chon quelli che stasera aviamo potuto avere fatto, e ellino molto benignamente e con dolci e buone parole e chiare anno risposto, di che tucti noi e chi 1' udi n'ebbe grande allegrezza, e siamo certi che anche voi n'averete ed allegrezza e honore. Per la qual cosa ambasciadori, e' quali avavamo electi per mandare domactina, non verra[n]no cosi tosto, per che intendiamo d'accompagnarli d'alquanti patiari, e' quali sono e sera[n]no chon noi un corpo e unitamente veranno a domandare nostro intendimento. Noi
;
nientemeno
cata di
vi
mano
mandiamo quella scripta suggellata e publidel nostro chancellieri, la quale vi piaccia tei
soli dell'Arte di
minato assai spesso nei documenti fiorentini, e appare tra conCalimala nel 1328 {Deliz. degli erud ., VII, 209)
tra
i
8,
176), tra
gonfalonieri
di societ negli anni 1333, '36, '37 (Del., XII, 170, 208, 221), tra
i
nel
trimestre
XII, 241
pace
tra
compreso
mori
fu gran guelfo e 174) banditi nella famosa sentenza di Arrigo VII del
;
fu lungo tempo vicario regio in Prato, e 1313 (Del., XI, 124) nell'officio nel 1340 {Ist. pisi., p. 296).
297
nere secreta e cosi suggellata iffine al venire de' nostri ambasciadori, e poi non manifestarla n mostralla a nessuno per che scandolo ne potrebbe nascere e che siate a' Signori nostri e preghiateli che in questi nostri facti soprasegano iffine al venire de' nostri ambasciatori/
;
mi sarebbe agevole raccogliere dalle sue lettere e da documenti - ma allargherei senza opportunit questo
;
scritto,
Il
che ha un
ha conservato,
alcuni
lettera degli
tra
altri
Pistoia,
notevoli
documenti su Gino
st di Firenze nel
primo
tra essi
una
An-
da
Staffoli,
la
podequale
di Pi-
Cod.
cit.,
f.
31."
comune
mensis Aprilis VII Ind. (1339), affinch egli permetta all'Acciaioli, suo vicario in Prato, di accettare l'ufficio di capitano di Pistoia; e al f. 32* un'altra delrs luglio per ringraziare il re d'aver concesso cotale permesso. 2 nominato il nostro ser Biagio anche in due lettere di Filippo Belforti (1319-1357), vescovo di Volterra le quali sono pubblicate nell'opera di A. F. Giachi, Saggio di ricerche storiche sopra lo stato antico e moderno di Volterra ; 2* ediz., Volterra,
stoia al re Roberto, data
;
XX^
Non voglio per altro, gi che ne ho l'occasione, lasciar di conoscere un documento, per pi rispetti notevole, intorno al celebre canonista bolognese Giovanni d'Andrea, che si legge Domini Johanni Andree. nel minutario di ser Biagio, f. 30^ Excelentissimo canonici iuris doctori domino Johanni An[dree] Anziani et Vexillifer lustitie populi civitatis Pistoni salutem et quidquid possunt servitii et honoris. Statutorum nostrorum censura iubente, omnes solutiones seu restitutiones, que occurrunt
^
far
quomodolibet fiende nostro communi, ipsius communis camerario fieri debent. Ex quo, si restitutionem illam florenorum XVIII auri, quos ille nobilis miles reservande memorie dominus Rolandinus iubsit restitu, fieri intenditur, expedit ut fiat camerario antedicto. Et sic vobis presentibus respondemus, ad cuncta vestra beneplacita semper prompti. Datum Pistorii, die
VI
'
109.
298
quel magistrato raccomanda a quest'officiale
la
causa d' un
l'eccellen-
uomo, signor Gino, degnissimo dottore di leggi, dei Sighibuldi, onorevole cittadino pistoiese. Ecco la lettera di raccomandazione, dove appare il nome del giureconsulto.
tissimo
militi domino Raynaldo de Staffulo, honorapotestati Civitatis Florentie, Anciani et Vexillifer lustitie Civitatis Pistorii salutem omni felicitate repletam. Que datur nobis ex nobilitate vestra securitas fiducialiter nos inducit ut eidem egregie nobilitati vestre, dum casus ingeritur et maxime in hiis que honestatem et iustitiam respiciant, preigitur ces notras cum singulari fiducia porrigamus. Benedictus vocatus Leste quondam ser Vitacchini clericus et in sacris ordinibus constitutus dilectus civis noster, cui pr sui suorumque potius meritorum retributione tenemur, sit in carceribns Communis Florentiae, pr quodam malleficio quod dictum fuit per eum fuisse commissum tempore Petri della Brancha, olim potestatis Civitatis Florentiae, nuperque pr parte cuiusdam ex vestris iudicibus malleficiorum fuerit citatus dictus Benedictus ut coram dicto ludici veniret, pro-
Strenuo
bili
Cum
cessurus super
dicti
eum tempore precamur quatenus, licet non indigere credamus, per vestram curiam contra dictum Benedictum clericum civem nostrum non fiat aliquid
inquisitionem contra
quamdam
domini
Petri formata,
Vos
affectuose
quatenus iura concedunt, sed suo iuridico luIn hiis insuper quae circa predicta honorabili Dominationi vestre horaculo vive vocis exponet excel lentissimus vir dominus Cinus, dignissimus doctor legum, de Sighibuldis, laudabilis civis noster, fidem dignemini credulam adhibere, et ea nostri gratia et amore efectualiter exaudire. Parati semper ad omnia vobis grata.
novitatis,
nisi
dici dimictatur.
Questa lettera di molto interesse, perch attesta che Gino nel primo semestre del 1332 era in Pistoia e quindi si recava a Firenze a trattare a viva voce aff'ari per il suo comune e cosi infirmata l'opinione dei biografi, che dicono
;
1 Cod. solamente
2^, preceduta e seguita da lettere senza data 4 e 5 sono lettere con data del giugno dell' in certo per altro, per il nome del dizione XV, cio del 1332 podest fiorentino, che la lettera del 1 semestre i33-ct.,
f.
:
ai
f.
299
aver egli letto in quell'anno in Perugia. Gli stanziamenti per
questo insegnamento
ci
sono
ma
senza
cattedra
To-
prima/
se
donde pot
e
re-
carsi spesso e
in
Firenze,
fors'anche,
non
si
ma
cadde
i
maggio 1325
in
mano
Ma
all'
uscita di gen-
messo innanzi segretamente a messere Filippo di Sangineto, capitano di guerra per lo duca ^ rimaso in Firenze, per uno Baldo Gecchi e Iacopo di messer Braccio
naio, essendo
la citt
il
forza
volesse
assicurare,
.
.
e meril
parti
detto
messer Filippo di Firenze con seicento uomini di cavallo di sua gente e non men seco nullo fiorentino, se non messer
messer Rosso della Tosa, che ordin il tratmesser Filippo. Di sorpresa FiHppo e Simone entrarono in Pistoia la mattina del 28 gennaio e ne caccia-
Simone
di
Nella poesia
Cr.,
cit.
(ed. Ciampi, p.
157).
X, 58. 3 Carlo duca di Calabria aveva abbandonato Firenze il 28 dicembre 1327, lasciandovi capitano Filippo di Sanguinei o Sanguineto, nobile calabrese di famiglia venuta di Francia cfr. PerRENs, Hist. de Florence, voi. IV, pp. 124, 125.
2
:
300
rono
di,
il
presidio di Castruccio
la
citt
la
tutta
fu
corsa e
di
ruberia pi
dieci
rubando guelfi e ghibellini, onde molto fu ripreso il capitano. L'anonimo autore delle Istorie pistoiesi dipinge con viva parola il memorabile fatto La gente di messer Fi:
rono a rubare ed a pigliar uomini ed a farli ricomperare ed a sforzare femmine, e non vi rimase ghibellino n guelfo,
n bianco n nero che rubato non
tirono per paura, che
fosse,
e molti se
partiti
;
ne pare
tutto
non se ne sarebbono
tenne per
li
quello
tempo che
la terra si
Fiorentini,
non
si
non
vi fue
persona regoperi-
Lo danno che riceverono li Pistoiesi fue si grande che non si sarebbe potuto contare. Li Fiorentini di questo si mostravano dolenti ma per tutto ci non vi ripararono mai. Ed vero che vi mandarono messer Simone della Tosa per podest perch riparasse. Li Pistoiesi furono
colo d'ardere.
;
perocch
;
egli
era de'
li
pi
Pi-
e credettono
che per
la
riparo suo fue che egli consentiva alla sua famiglia ch'ognuno
rubasse,
come faceano
si
;
gli altri
forestieri
entrasse ofcio vi
facea male,
dopo
la
sua venuta vi
facea
male e peggio e tanto di male vi si fece che Dio permise che poco tempo stesse a loro ubbidienza.^ Infatti Castruccio accorse con sue milizie, assedi la citt dal maggio all'agosto, e costrinse il presidio fiorentino, onde era capo messer Simone della Tosa."- a rendersi a patti, salve le persone, con ci che se ne potessono portare. La podesteria o capitanato pistoiese di .Simone della Tosa,
egli costituito in quell' uflcio
fosse
attesta
il
mandatovi dalla
Pistoia,
fu
Signoria di Firenze
come
dice
il
cronista di
di
Jst. pisi.,
p. 209.
G. Villani,
O-., X, 85.
30I
breve durata, dal principio di febbraio
del
al
principio d'agosto
1328;
sei
Pistoiesi,
dovettero serbare
quel cattivo ricordo, che nelle pagine del loro istorico tra-
il
malvagio
tristo
uomo, poich
tutte quasi le
testimonianze che
ci avanzano di lui nelle storie e nei documenti del tempo gittano sovra la sua figura una luce sinistra. Gi l'esempio della malvagit egli l'aveva avuto nel
;
il
due
fi-
Simone
si
e Gottifredi,
i
che
dalla
parte
furono
fatti
cavalieri,
e chiamavansi
denari che
dierno loro,
^
Da
come
il
dove
fu
nel
1307,
ed ebbe,
la
ebbe
Si-
Tosa suo consorto, essendosi fatto capo di quelli che disamavano la signoria del re Ruberto ^ ed essendosi per audacia e astuzia fatto cosi potente da esser tenuto quasi signore della citt ^ e in queste discordie and
:
che sarebbero
stati
rep.,
VII,
e. 43,
del 4
^
marzo 1307.
Deliz. degli erud., XI, 211.
XI, 289, Cr., IX, 76; cfr. M. Stefani, lib. V, rub. 318. 6 lib. V, rub. 322, all'a. 1316 scrive: la setta di mass. Simone della Tosa era si grande che col bargello era al tutto signore della citt, e con loro teneano molti ghibellini
*
Deliz.
cit.,
G. Villani, M. Stefani,
M. Stefani,
lib.
302
Non deve
offici
delegato a levare
al
fonte
un
alla
figlio
nato in Firenze
al
le citt della
maggiore autorit del tristo Simone ed egli si valse del momento opportuno per sollevare contro il comune di Pistoia una singolare questione era stato costituito podest di quella citt per un anno, ma le milizie di Castruccio l'avevano ricacciato a Firenze dopo
Questo
;
momento
della
soli sei
mesi di podesteria
il
Pistoia
strata la
pagasse adunque il comune di tempo rimanente avrebbe cosi dimosua gratitudine a chi aveva promosse e favorite,
;
salario del
le
si
questa causa
;
minutario volterrano
ma
guardo a Gino,
seguenti:
Magnificis dominis dominis Prioribus Artium etc. Cum iura nostri Comunis, occasione questionis quam movet eidem dominus Simon della Tosa, ad instantiam egregii legum doctoris domini Cini vestri nostrique concivis, iuxta suarum licteraruni tenorem ad eum presentialiter trasmictamus ut iudicari et discerni possit in questione predicta, que iuri et equitati conveniant, vestre Magnificientie suplicamus quatenus placeat quod in facto ipso per Sex sapientes et officiales super biado non fiat aliquid novitatis, donec idem dominus Cinus nobis
respondeat de predictis. Simili modo scriptum est dominis Sex officialibus super biado in civitate Florentie*.
G. Villani,
Deliz.
cit.,
cit.,
f.
2 3 *
Cr., X, X, 249.
22.
Deliz.
XII, 306.
i^.
Cod.
cit.,
303
Prioribus Artium Florentiae pr parte Communis Pistorii per sapientes viros dominum lohannem Karet Vexillifero
Conradum domini Vinceguerrae et ser Conradum domini Marchi, ambaxiadores dicti Communis hec est. Inprimis, adsueta recomendatione praemissa, dicant et exponant preiatis dominis ambaxiatores predicti, qualiter nobilis et potens miles dominus Simon della Tosa iniuste et indebite gravavit et oppressit plurimum ab octo mensibus citra et nunc gravat et opprimit prefatum commune Pistorii pretextu residui salarii quod sibi debitum asserit, ab ipso commune Pistorii pr tempore [unius anni cum salario florenorum] Vili.'' auri, quo se asserit fuisse constitutum vicarium diete civitatis per dominum Phylippum de Sangineto nomine domini regis Roberti, ex eo quod dictus dominus Simon dicens se stetisse in dicto officio circa sex menses petit a dicto communi salarium integrum totius anni predicti et quod, dicto domino Simone vexante dieta occasione commune predictum, domini Priores Artium et Vexillifer lustitiae tunc temporis existentes, cognoscentes iniustam et inequam petitionem domini Simonis, imposuerunt eidem silentium ad instantiam communis Pistorii, qui dominus Simon cum predictorum dominorum successoribus procuravit quod ipsi successores, vigore balie custodie civitatis Pistorii actribute officio dominorum Priorum, comiserunt predictam quaestionem iamdicti salarii in dominos officiales biadi cilini,
vitatis
Florentiae, inscio et
non
citato
communi
predicto
Et quod dictis officialibus contra dictum Commune procedentibus de facto potius quam de iure, Commune Pistorii sequens voluntatem eorum et dicti domini Simonis, qui petebat diffiniri dictam questionem per iurisperitos, dicens se velie stare iuri, ipsam questionem, una cum dicto domino Simone, compromisit in sapientes viros et arbitros dominum Cinum de Sighibuldis, dominum Thomaxium de Corsinis, legum doctores, et dominum Vellium Buoniohannis de Pistorio
;
Et quod postquam fuit de iuribus diete quaestionis pluries disceptatum Inter dictos arbitros et partium advocatos, dominus Simon predictus negligit et recusat dictam questionem iuris terminari de iure, sed ad compositionem dampnosam dicto Communi nititur devenire Quare ambaxiadores predicti supplicent dominis preliba;
304
siderato
quatenus, consideratis predictis quae vera sunt, et conquod dominus Simon non fuit expulsus de cvitate Pistorii per pistorienses, vai eorum culpa, sed ipsa civitas fuit perdita sub dicto domino Simone, prout omnibus notum est, et considerato etiam quod per capitula pacis inite inter Communia Florentiae et Pistorii dictus dominus Simon compelli debet per ipsum Comunem Florentiae a dieta sua petitione desistere, et aliis consideratis quae ius et equitatem respiciant, placeat praedictis dominis et dignentur Communi
tis
Pistorii in predictis assistere et favere, ne huiusmodi iniuria sub tante paternitatis protectione vexetur, compellendo seu
compelli faciendo arbitros antedictos, ut commissionem predictam diffiniant infra tempus et terminum compromissi, vel aliis opportunis remediis sicut eorum paternitati videbitur
convenire.
Hec demum prolixitas patrum, quaesumus, non adgravet animos, quia necessaria nobis est, cum nuUus civis noster propter potentiam dicti domini Simonis audeat predicta et alia pr Communi nostro facientia enarrare.^
Excellentissimo viro domino Cino de Sighibuldis, legum dignissimo professori. Anziani et Vexillifer lustitie civitatis Pistorii placidam ad vota salutem. Ad utilitatem reipublice per vos semper impensa devotio laudabilium exibitione operum claruit evidentiss[im]e et nunc patet. Ecce, igitur, excellentie vestre receptis licteris et earum perpenso tenore,
illieo
sapientes nostros ad videnda iura nostri Communis in domini Simonis insimul tenuimus, que ad vos ut in eo videri et discerni possitis que iustitie et equifacto questionis
tati
conveniunt destinamus."
dis,
Excellentissimo legum doctori domino Cino de SighibulAnziani et Vexilliter lustitie civitatis Pistorii, salutem cunctis felicitationibus locuplettem. Quia vestra res agitur quotiens de negotiis civitatis nostre tractatur, non vobis suadere sed recolere intendimus que in questione domini Simoetenim sicut nis agenda existimant et cupiunt cives nostri
;
Cod. Cod.
cit., cit.,
f.
5"
dopo una
lettera del 12
giugno 1332.
f.
22^
305
vos patere confidimus, Commune nostrum questionem prefatam commisit confidentia vestri dumtaxat sperans indubie sub tali iudice non modo ius consequi sed favorem ob quod universi cives nostri mirantur de hiis quo presentialiter nobis scribunt domini Vellius et Johannes, videlicet quod vos et dominus Thomas videmini velie ipsam questionem per modum compositionis diffinire et non de iure tantum, prout ante commissionem predictam Communi nostro extitit intimatum, cum aliter commissioni non prebuisset assensum. Quare cum compositio credatur nostri Communi fortiter dampnosa, tam consideratione presentis negotii quam exempli aliis exibendi, excellentem sapientiam vestram affectuosi[ssiJmis precibus deprecamur quatenus insistere vobis placeat et velitis quod dieta questio iuris diffinitionem recipiat et non facti.
;
Nec vobis, quesumus, nimium sit molestum quod dominus Simon asserit vos nobis scrississe ipsum iustitiam non fovere, quia hoc, ut
satis
est
vel
eius
Da
questi
agi-
comune
di Pistoia e
le
Simone
della
Tosa
che fu
e
patria
qual
cosa avrebbe
la
potuto
fare
anche
da lontano),
insieme con
a
tal
si
bene a terminare
questione
come
arbitro,
Tommaso
fine tratt di
Dopo
II.
rono
Dei rimatori toscani, che precedettero e si accompagnaal rinnovamento della lirica compiuto da Dante, Cino
da Pistoia fu dei pi fecondi, e di lui ci sono avanzate molte pi canzoni e sonetti e ballate che non di tutti insieme minori poeti del dolce stil nuovo. Queste rime ci
i
Cod
cit.,
f.
24^
20.
3o6
sono
state conservate
il
notevolissimo
chigiano L. VIII-305
Ma Gino
storia
il
dalle
mo-
Cinquecento
Dante,
e
compiacque
di leg-
ger
le
rime dell'amico
di
gli
tribut l'onore di
quattro edizioni.
La prima
detto,
la rarissima delle
Canzoni di
yn.
madrigali di m. Gino et di
Gi-
componimenti
accolti
nella
di-
versi antichi autori toscani; Firenze, Giunta, e pi benemerito editore del pistoiese fu
il
terzo
Pilli,
che die in
nu-
luce le
Rime
di m.
lebratisshno,
Roma, Biado,
Trent'anni
accrescendole fino
il
al
mero
di
125.
appresso,
p.
Faustino Tasso
dell' Ecc .'""
sig
Gino Sigibaldi da
aggiuntivi molti sonetti di altri rimatori per risposta ai sonetti epistolari di Gino. Il primo libro di questa edizione ha cinquanta delle poesie gi edite nelle stampe precedenti, e di inedite una canzone, una ballata e trenta sonetti il secondo invece ha solamente poesie inedite trentanove sonetti, una sestina e quattro ballate, che l'editore chiama madrigali. Delle poesie novamente date in luce nel primo libro dell'edizione Tasso le pi sono attribuite a Gino da autorevoli mss. e non si pu dubitare della loro autenticit ma per alcune poche di quel libro e per tutte quelle del secondo furono ragionevoli i dubbi per i quali il Bartoli afferm che non potevano seriamente esser prese in considerazione dagli
;
nome
il
Bologna, Fava e Garagnani, 1877. Questo codice ha col di Gino 108 componimenti, e parecchi altri di lui senza suo nome. * In Venetia, presso Gi. Dorneytico Imberti, MDLXXXIX.
'
307
studiosi della lrica dell' aniot-oso viesser Cino
tro
.^
lui
peral-
manc un argomento
i
decisivo,
avvalorasse
e questa
risultati
prova posso ora offrire agli studiosi, avendomene gentilmente comunicati gli elementi un giovine e valente
erudito,
il
p.
inganno da
altri
che anzi
dossato
ii
egli presentiva
perci a scansare
Tom-
mondo creda che siano parti del sig. Cino, dir come e per che strada mi siano capitati alle mani. Doppo la morte del sig. Gino sterono per molti anni insieme con alcune altre, 'che furono poi date a stampa dal sig. Niccol Pili in Roma, e queste con animo di dar loro una compita forma furo?io lasciate da parte. Laonde passarono molti anni fino al tempo del gran Giuliano de' Medici, quale ne fece dono al fratello cardinale, che essendo asil sunto al sommo pontificato, le diede a Giacopo Sadoleto,
il
maso Vecchia
che
fu
poi cardinale,
huomo
e chiarissimo ingegno.
Occorse
essendo
giunto
il
il
Bembo
in
et
Roma
fatto
essendovi parimente
Sadoleto, con-
come
le
il
Sadoleto
care tutto
don al Bembo, che le tenne fra le cose pi tempo che visse. Doppo la morte del Bembo
capitarono in
con molti
teruzzi,
altri scritti le
mano
che
scovo di Napoli, e questo Prelato ultimamente l'anno 1575, doppo una predica ch'io feci nella sua chiesa, fra molti favori e doni,
mi
La
cita-
zione del
Pilli,
il
A. Bartoli ,Storiadella
Pisa,
lett.
Capurro,
1813,
p.
64,
3o8
dinali e prelati e letterati grandi per le
rebbe passato
Sadoleto e
il
il
il
fatto
come
dar credito di
La
G.
3.
biblioteca
8.
Bertoliana di
del
20,
cartaceo,
;
secolo
XVI, un canzoniere
di autore,
di
522 componimenti
senza
nome
ma
la lettura di
un petrarchista, come
tanti
ve ne
piovano di Sant'Apol-
Cicogna* e da
altri
eruditi
tino G. 3. 8.
trovano col
^
nome
l'Estense IX. A. 27
i
il
Vicentino G.
io.
22.*
Ora
fra
3. 8. 20,
che abbiamo
del
come opera
Agostini, Scrittori veneziani, I, XVI Morelli, Operette, Crescimbeni, Commentari^ V, 47. I, 812 3 Forse quello stesso codice del 1447, nel quale il Quadrio, Storia e ragione di ogni poesia, II, 181 e VII, loi), lesse rime del Piacentini, del Recanati, di Simone da Siena, di Tomaso d'Aquino. Ha otto sonetti di M. Piacentini (a carte 62, 77, 100, 1 Gi vidi lampeg105, 121 e 123) dei quali ecco i principii giar sole in disparte 2" Mira, il nostro trionfo, amore in questa ; 30 Non creda il mondo cieco che vaghezza; 4" Quanto il del possa in noi veder chi vuole; 5 Chi 'l stato incerto mio, donna vedesse ; 6 In dolci umane membra un cuor di pietra ; 7 Bella diadema al pi leggiadro volto; S" Quando tneco avvien
2
; :
un
la
prima
di
nome
d'autore,
ma
:
di imitazione
petrarchesca, la seconda di
tori,
f. 43 contiene 86 sonetti di vari au1-3 sono i soseguenti del Piacentini netti I, 4, 8 del cit. cod. estense; 4 Solcano i 7niei pensier come diversi ; 5 Lodovico mio caro io veggio iti questa ; 6 Mara-
fra
quali sono
309
Piacentini,
si
p.
Tasso
nel
le
primo
E, poich
vedere
cultarla
remo
scritto
cosi,
spesso
diletto,
Lmira o l'aura sostitu selva o selvaggia, rifacendo versi come nel son. Pianta Selvaggia a me sommo
i
Fresco verde
pas;
Se
sare
il
p.
Tasso traesse
le
farci
come opera
di Gino, dal
s^
io
me
stesso che
pur non
il
sono
I
di
quelli
due a
p. 145 e 147.
sommo
diletto.
talor
55-58),
minati.
ballate
Quando misero avvien eh' io spesso miro, Maraviglia non s'io moro ; dai quali il Bartoli, {Storia della leti., IV, dice di non averli trovati in nessuno dei mss. da lui esaLe rime del II libro sono trentanove sonetti, quattro e una sestina.
SPIGOLATURE
DI
RIME ANTICHE
Queste spigolature, che riproduco con qualciie soppressione di cose superflue o a dirittura
inutili,
furono pubblicate, a
la
tempi diversi,
materia:
fu
i! il
ma
I,
comunanza
della
dato nel
voi.
II,
I,
Rime inedite dei secoli XIII e XIV Propugnatore, voi. XV, parte II, 1882, pp. 331 e segg.
n.
col titolo di
N.
II,
S., voi.
I,
parte
n.
II,
;
1888, 413-418;
il
il
n. Ili,
II,
ivi,
parte
1888,
;
pp.
e
il
93-116
n.
IV,
ivi,
voi.
parte
del dott.
un opuscolo per le nozze Luigi Casini con Teresa Gullini, Razzano, tip. A. Monti,
1889, pp. 300-303
in
ottobre 1905].
I.
Le mando per
rentine,
grafica
il
anti-
accompagnandole di qualche indicazione bibliomi duole di non aver agio in questo momento di dare una compiuta illustrazione critica a certe poesie che la
:
meriterebbero,
far
loro
lette-
nostra
e pi
importanza.
II,
codice magliabechiano
IV,
in, dell'anno
1274, dal
una lunga poesia religiosa,* ci porge un notevole componimento [n. I], trascritto nei primi anni del secolo XIV sul foglio della guardia anteriore, che era rimasto in bianco. Il tempo della trascrizione, la forma metrica che propria dei pi antichi documenti della nostra poesia" e la lingua arcaica di questo componimento, ci
quale
trassi gi e diedi in luce
^
Comincia
tomba della
A voi vengno,
Clelia
vasi nel Serto di olezzanti fiori da giardini de il' antichit deposto sulla
Galeati, 1882, p. 127-130 [ora nel presente voi., pp. 15-17]. 2 II distico monorimo si trova usato nel pater noster, anteriore al 1279, pubbl. nelle Ritne dei poeti bolognesi del sec.
XIII
(cfr.
anche A. Mus-
314
permettono
di
ritenerlo
come appartenente
ricorda
tale,
al
secolo XIII.
certi
L'argomento
trattato in esso
quelli
si
di
conti
lu-
tempo
7in
un
che
nomina gatto
pesco, se ne va
per
due cavalieri bretoni che ritornano in Inghilterra, dopo esser gran tempo a Mongibello in cerca ed aspettazione del scambiati con questi cavalieri saluti ed auguri, ser re Art gatto continua suo viaggio e trova un romito, cui espone
stati
:
parti-
romito,
incontra strane e
il
meravigliose
fiere
ne
dice brevemente
nome
a casa.^
Dal codice laurenziano gaddiano 148, gi magliabechiano XXIII, 62, membranaceo dei primi anni del secolo XIV,
contenente
viene
il
le
storie de
II
;
Troia et de
Roma
(f.
1^-52^),
(f.
pro^)
sonetto
52
del
mento
del sonetto
non
nuovo
poesia,
la tristizia delle
donne, e ricorda
soliti
Adamo
da
restituirsi nel
che sarebbe Virgilio. Questo sonetto pu riscontrarsi con alcuni versi del sirventese di Leonardo del Gualacco pisano,
dalle
nei quali
sono ricordati
donne
in fahrbuch fur romanisch und engl. Liter., VIII, 207-212); leggenda di Santa Margherita (cod. marciano, n. XIII; cod. 2661 della bibl. imp. di Vienna cod. ambrosiano IV, 95 sup.) ricordata dal Mussafia, Monuni. ant. di dial. ital., p. 113; nella parafrasi dell'orazione domenicale nello stesso cod. marciano XIII, f. iioa-ii*, ricord. ibid. p. 115; e nelle due poesie </^/fatnore di Ges, Mussafia, ibid., p. 158-168 e del giudizio universale, Mussafia, ibid., p. 168-180; nel lamento della donna padovana in Carducci, Cantiletie e ball., p. 22-26, ed in altri componimenti del Dugento. ^ [Nel riprodurre il detto del gatto lupesco, ho tenuto sott'occhio la ristampa datane dal Monaci, Crestomazia, pp. 449-450].
SAFiA
nella
315
Salamoi!, che seppe arte,
disse lo mal che se lo scritto
fu
.^
da femina treciera
si
Merlin diriso
malamente tradilo una leciera ... Quando d' Eva mi membra nul'altra al cor mi membra
e Sanson
Il
.^
sonetto
III
ii,
1118 (gi strozziano 383), piccolo libriccino in membrana, ed indel secolo XIV, secondo il catalogo della biblioteca
:
un explicit (f. 29 ) datato del M.ccc.viiij ma di due mani una pi antica (f. i ^-21 b) ed una pi recente in appresso. Il codice contiene alcuni poemetti latini medioevali, come il Liber faceti di un anonimo di Narni, il Liber Pindari de excidio troiano, il Liber de contetnptu mundi
fatti
;
di
Bernardo
Al
f.
di 7
Morlach,
b,
il
liber physiologi
ed
altre scritture
latine.
fu scritto
nei
do in luce, e che non esce dalla solita materia amorosa, se non per la menzione delle leggende di Florio e Biancofiore e di Piramo e Tisbe
primi anni del Trecento
sonetto, che
:
l'una
e l'altra
del
resto
ricordate assai
spesso
nell'antica
poesia italiana.
I
sonetti
del secolo
IV-IX provengono da quel frammento di codice XIV, posseduto dal sig. avv. C. Bologna, che io
come
Gino
comunanza
tutti di
da quella dell'argomento,
essendo
1 Riguardo alla leggenda della moglie di Salomone vedasi Paris, Romania, IX, 436. 2 Le antiche rhne volgari secondo la lez. del cod. vat. 3793 pubbl. per cura di A. d'Ancona e D. Comparetti, Bologna, Ro-
il
gnoli,
3
1882, voi.
II,
pp. 63-74.
Le rime
magnoli, 1881,
it.,
VIII e 415 [e pi largamente nel Giorn. stovoi. II (1883), pp. 334 e segg.].
3ib
da Pistoia, nel quale l'amico amorosa
:
di
mia
corpo in sospirare e 'n trarrer guai, [co]si che nel dolor m'adormentai et nel dormir piangendo tuctavia, per Io fiso menbrar, eh' io facto avia, quand'ebber pianto li miei occhi assai, in una [nuova] vision entrai ch'Amor visibil veder mi parea,
:
in loco,
;
ov'era la ge[n]til mia donna sola e avanti a me parea che gisse [un foco, dal qual parea che uscisse una parola,
che mi dicea Merc, merc un poco . Chi ci mi spon con l'ale d'amor vola].i
:
trassi
la
poesia pubil
nome
Dante
La poesia
5,
n.
XI
b),
1040
(f.
50
una parte
un componimento schiettamente popolare, che per alcune forme linguistiche (v. 9, ireste; v. j6 mimilia ; V. II Jghura in rima con sng7iioi'a) e per il ricordo del
colo
:
XIV
V.
IO
si
ci che confermato
dal fatto che nella stessa parte del codice ad altre poesie
Da un
Ho
il
maal-
dati
come sono
di
nel cod.
Bologna,
stoia, ed.
2
compiendolo
Rime
m. Cino da Pi-
tasi
omette nella ristampa questa poesia, della quale tratpi a lungo nel volumetto di Aneddoti e studi datiteschi,
[Si
Citt
3
*
di Castello,
Carducci, Cantilene
Ibid., p.
52.
317
trove, trassi
due
XIV
la
XJI, che
un
che narra
le
qualit delle
donne
di pi citt italiane.^
I.
ki per
per lo
mondo
tuttavia.
mio amor
gi pensando,
IO
Allora uscio fuor del cammino, ed intrai in uno sentieri, ed incontrai duo cavalieri de la corte de lo re Art. ke mi dissero: Ki sse' ttu?
15
E io rispuose in salutare Quello k' io sono ben mi io sono uno gatto lupesco,
:
si
pare
ke a chaluno vo dando un esco ki non mi dice veritate. Per saper voglo ove andate, e voUio sapere onde sete
20
e di qual parte venite Quelli mi dissero
:
Or intendete,
25
e vi diremo ci che volete, ove gimo e donde siamo e vi diremo onde vengnamo. Cavalieri siamo di Bretangna, ke vengnamo de la montagna, ke U'omo apella Mongibello. Assai vi senio stati ad ostello per apparare ed invenire
Ancona, Rassegna settimanale, voi. VII, p. 312-315 [e ora in questo voi., pp. 117-275; ove queste due ballate sono date rispettivamente ap. 199, n. XLVIII
-
Vedi
il
mio
scritto.
Un
repertorio giullaresco,
articolo nella
un mio
e a p.
166, n.
XXIV.
3i8
30
la
k'avemo perduto non sapemo ke ssia venuto. Or ne torniamo in nostra terra, ne lo reame d' Inghilterra.
lo re Art,
35
A
E
vostro fatto
,
:
A
40
li
Cosi da
me
si
dipartir
chavaleri
quando ne
giro
per
lo sentiero
'1
e tutto
45
Ed
si
al
acomandai
50
celasse.
E
55
io
li
dissi
Ben mi
fallace,
'1
piace,
non
k' io
te
ne sser
ti
non
dica tutto
dritto.
;
Io
me
ne vo
60
et'
tedeschi
e
e
'1
Soldano e
'1
Saladino
'1
65
atenduto
d'allora in
pilliato
70
com' a ladrone battendo e dando allora quell'uomo li puose mente e si li disse pietosamente
:
319
75
Va
tosto ke
si
:
e Christo si li disse
non
So
85
a grido di popolo ed a boce. Allora trem tutta la terra cosi e' ci guardi dio di guerra . A questa mi dipartio y .dando e da lo romito acomiatando, a cui dicea lo mio viagio ed uscio fuori dello rumitagio, per uno sportello k'avea la porta,
:
.
pensando trovare
ond'
io
la via scorta,
90
andasse sicuramente. AUor guardai e puosi mente e non vidi via neuna, l'aria era molto scura e '1 tenpo nero e tenebroso e io chom' uomo pauroso
ritornai vr lo romito,
95
diss' io
sai
100
105
cammino, or lo m' insegna, k' io non so e dond' io mi vengna Quelli allora mi guardoe, co' la mano mi mostroe una croce nel diserto, ben diece millia certo e disse Col lo cammino, onde va chatuno pelegrino, ke vada o vengna d'oltremare . A questa mi mossi per ad andare
lo
; :
verso
la
croce bellamente,
no
vedea neente per lo tempo chi era oscuro e il diserto aspro e duro. E a l'andare k' io facea verso la croce tutta via
e quasi
si
115
320
se alcuna pastura trovassero.
Ed
io ristetti per vedere, per conoscere e per sapere ke bestie fosser tutte queste,
I20
ke mi pareano molto alpestre. Si vi vidi un grande leofante ed un verre molto grande ed un orso molto superbie
;
vi vidi lo tigre e
'1
tasso
;
vi vidi
una bestia
strana,
;
eh'
uomo
vi
appella baldivana
130
si
vidi la pantera
e la giraffa e la
paupera
'1
la
ed
135
le quali
ssi vi dico per san Simone ke mi partii per maestria da le bestie et anda' via
Ma
140
e cercai tutti
li
paesi,
;
ke voi da
me
avete intesi
ffa
Per finisco ke
bello.
II.
Siria
donna fusse chanoscente ch'uom ch'ai mondo [] nato Merlino e Salamene e lo s[accen]te
Qual
di
uom
pi saggio
e Aristotile ne fu inghannato.
Davit profeta e '1 buon Sensun posente, Art cho' lo ritondo n' spingnato
:
ma
si
-j^
riescir
ad intenderli
io
come sono
nel
per altro ha
c/iascetiie,
li d dove
321
Adamo, che da
II
Cristo fu creato,
perch da femina
fu
inghannato.
Or dunque
14
chi sera
da
lor servito
vitio.
III.
Volete udir s' io abbo gran martorio, ve dir 'n est picciola storia, che colui che d'amor va dando gloria me feri, or non mi d suo aggiutorio che non port mai tante pene Florio
il
;
quando
li
memoria
venduta per moneta oria, Pirramo che per sua Tisbe mrio.
fu
^
II
14
De, non vi par che 'n ver di me scrucido che percotendo a me con atto acortto me fece esser da me cotanto cupido quando mirando ove l'occhio portto, ma a lo guardo di una rosa lucido, rimaso so' al tutto quasi morto.
;
IV.
scrucido, cosi
il
il v. Art col ritondo stuolo 5 ne sopraffatto cfr. prov. espenher. ms., che io non intendo; forse da legg.
:
se' ruvido.
21.
322
dicendo
8
:
In
foco
meo
t'afinerai .
li
'1
cheria.
E
li
ch'enscia del foco ch'auro affina e chola, con* face amor al cor per darli gioco.
Se
14
sia soffrente
il
V.
tanto pietosamente
il
[p]regherai,
poi che sia sua vision contrai e che puot' esser ch[e] nel foco g[i]a.
II
Or di che '1 foco disiar di gioco d'amor cho' humilt nel qual se invola forca orgoglo; grida l'amor coco. Dicho l'amor che suo difecto gola, ci trovar merc et di ci con fuoco
parlar dimostra che forte
li
14
'n
dola.
VI.
Messer Mula da
[A]
tal vision
Pist[oia] R[isponde].
hom
che non fue in forca d'amor mai e per, s'eo, che mai noi saporai,
non dico a pien, non falleria. Ma, perch sme strana fantasia Amor veder et d'un foco escir lai,
in ci
*
Con
= come.
323
diragio quello che ne imaginai,
8
Quell'era l'alma tua che fuor di gioco per che in forte fiama si discola piangeva e in merc diceva eo coco dola ch'amor menava a tua che e di tormenti tra cala ' preso roco
:
14
di star si dispietata or
mai disvola.
VI.
R[isponde].
[G]ioven sonecto, chome vo' che sia, baste nel mio difecto a quel che vai
;
senno no'
4
[a]
fu sofficente
il
sai
homo
Troppo
p[re]so
com' dia
dir divinai
;
dormendo, che
li
Mal p[u] dentro di voler dir coco domandasse a dricto de la sola per bon singnificar trar di quel gioco. la voce Nicchola S
chi
fioco
sola.
14
Vili.
ludicium intent[i]on[e] mea d del foco che [tu] mandato m' i che sia i sospiri e i dolor che trai per illa que est pulcrior nappea.
.
.
Cosi ha
il
Di questi
versi
le
poche parole
324
Ochulis tuis et quacunque dea et allo cor che si inamorato i,
ve chinde proceda
8
la
voce ornai
ea.
Che
atavit
'1
II
La qual
merc, merc
14
cor cui
o[m] cotal parola de la qual gli gioco amor maius pondus mola.
:
IX.
L'alma e '1 corpo Tom ch'avazo i' oblia pena e di crude! ch[e] i per amare amor chu' [tu] servit' i si mosse per p[i]etate a far contia alla tua donna di pene che fria et avanti lei sola ben sai per farti del servente dono omai addusse '1 corpo tuo che ben dolia.
di forte
;
Et per mostrar
lo foco
le
pene udere
coco
II
14
per ch'era dell'amor mostrato avoco, g^ida merc allei che non ti mola.
X.
cor mi satia.
Il
ms. ha
in dire
3*5
Chon
9
sicch
tuoi risguardi ancidimi
12
Infra
15
non m'essere contraria. Se '1 tuo chor non s'aumilia chiamo la morte ancora
che m'este necessaria.
18
3a6
II.
Scorrendo
dallo Steveson
il
dal
De
Rossi
{Cod.
palai,
lat.
Biblioth.
di
Vatic, voi.
I,
notato
un codice
quale,
come
e volgari.
il
pa-
finale
Dugento, poich insieme con alcuni componimenti conosciuti affatto ignoti, che vengono ad accrescere la serie delle rime del secolo XIII si che non sar inutile il darne una pi compita notizia che non sia quella del catane reca alcuni
:
logo vaticano.
I
primi
215
fogli
del
codice
contengono
il
Digestum
novum
pl
il
di scrittura del
secolo XIII,
interlineari,
testo,
parte
sono
di
mani
fo-
nel
rovescio
portava
estratti di leggi
longobarde
nei margini di
versi e
da varie mani,
molta
cuni
tra
fatti
il
ma
1307 e
131
1,
ai quali
anni appartengono
in
al-
di
Lombardia
si
registrati
sommariamente
uno dei
al
132
1,
quale anno
riferisce
la
un breve carme
il
latino per
conolo
scere
quando cade
(f,
pasqua,
quale,
mancando ormai
Digesto
codice
28*).
fine del
la varia
3*7
veva a Milano
s'
;
alla
quale citt
si
riferisce
una
statistica
le sei
(non
porte di
quella.^
tro morali e
Le rime volgari di questo foglio sono sei sonetti, quatdue amorosi, e anche trascritti in diversa maniera. Nei due primi quattordici versi procedono, seguitamente, distinti ciascuno dal seguente con una lineetta vertinegli ultimi quattro invece si osserva cale o con una curva
i
:
il
modo
tori
andarono a capo
salvo
scritte di seguito.
nel quarto che ha ambedue le terzine Noto questo fatto perch mi par di riconoscervi un indizio che i due primi sonetti fossero trascritti a memoria, gii altri invece esemplati da codici pi antichi di che un altro segno nel pi intenso colorito dialettale onde stata alberata la primitiva forma dei due primi, e nell'omissione che nel .secondo l'amanuense avea fatta di due
ogni terzina
versi
nel
(il
V.
ii
il
v.
:
13),
margine esterno
si
e la trascrizione a
i
memoria
in
tanto pi
probabile, se
considera che
e
rono divulgatissim.
questione fuassai
andarono
uomo
trovarli conosciuti
Lombardia,
secolo
il
paese della
del
la
una trentina o
dal
pi,
dopo
i
Trascrivo
codice
sonetti,
disponendone
il
versi al
modo moderno,
vando, salvo
scritto
i
interpungendo un po'
di
testo,
il
ma
conser-
testo del
d'
vaticano
questi avanzi
venerandi
manouna poesia
a che
Eccola cosi com' nel codice gli eruditi milanesi veggano si riferisca, se alla popolazione o ad altra materia
;
:
Porta hor[ientalis] habet MDCCCXXXVIIIJ Porla uova habet MCCCLXXV Porta cum[asina] habet MCCCCLXXVIJ Porta uercellina habet MVIIIJ<=XLIIJ
Porta ticinensis habet MCCLXXXXVIIJ Porta romana habet MCCLXXVIIJ
I[d] e[st]
VIIIJ M.
1.
et sunt in bur-
[
i
^^^^ ; fluitate
-^
quam
328
cosi lontana dai nostri ideali di arte debito
mantenere pi
che
si
pu
inalterate le sembianze.
I.
bo7i\oniensis\.
Homo no' prixe anchora si saxamente, nexu a fari a quel c'ora devene, che r usanza che cori infra la zent noi faza folo s'el g smeneve[ne]
;
e quel ch'ai
mondo
fa
pu foUament
'
achoyay bene se pot ventura y vene, second I' usu sera cognoscent, ugn'omo sazo a qui or prende bene.
Launde
la zent ne vivo i[n] grande eranza che ventura fa pari follo e sazo, zaschu si cu[m] xe plas al so volir.
Ni non quar[da] rason ni mesuranza che faza bene l ov' ria danza e mal a qui che bene dorian aver.
II.
Homo
ma
don
liceri
ma
fol
Ni no' se dove tenri homo trop alter, resguardar so stat e soa natura
:
lo vero,
ni
non pensa
ch'altru'
Vola l'oseg p[er] aero a strenge guisse ni tu ti en d' un volar ni d' un ardir e tu ti n div[er]si op[er]am[en]ti.
*
ms
renten sos.
/a segura.
' ras.
3
329
Deo
f'
e natura el
mondo
i[n]
grado misse,
:
p[er] co
de'
dir.
III.
Cernile Madona, pietate da audire pene e li marti[r]e che p[er] vu' sento, che lo me coro ho messo in du' volere e Tu' e l'atro me d penssam[en]to.
le
1'
u'
me
e demostrare tuto Io
me' talento
e l'atro
me
to' si l'ardire
com muto
;
Che sum
p[er]
si
se no'
bem me
IV.
Arbor che
non
collor si fin
de nesun panno
'1
bellore.
honore,* ^a p[er] time[n]ca no' g para affanno Gentil achisto quel fiorisse ogn'anno ^
:
la te[n]pesta no'
to'
'1
so odore.
'
'^
330
P[er] ch'ell'
si
i
umore a soa
dol';:e
radice
temperati cu[n]
el
rasone:
ho[m] n'
Ben
altr[i]
V.
L'amor posso laodar e la ventura poy m'no tanto de bene donato che m'no messo i[n] si grand'altura
^
c'ogn'altr'ama[n]te
n'aco so[r]mo[n]tato.
Amor no
n che e*l bon
inanti
p[e]r
mi
falso sia
s[er]vi[r]
che deco
tempo me n'
miritato.
par che p[er] mi voia fa[r] mentire bon p[ro]v[er]bio che tanto se clama chi tropa sale ad alto sol cade[re].
lo
^
:
Ma e' sum posto a si dolce rama che no' temo niente del falire; p[er] el me' core sop[r']ogn'altra l'ama.
VI.
Lo homo
de gram
no' cognosse
-
se no' sustene
solaci
in
:'
2 '
ms. ella ventura. ms. cognaltramante ms. se clamato, dove per errore
6.
si
ripetuta la parola
fi-
nale del V.
*
^
5-8.
^
P[er] lo diavolo ch' saluto
'
in su la rota
-
lo c]ielo
vi sta in
*
iosso
tato
trabucato.
P[er] sa[v]io
chi questo
exemplo nota
'
' * ^
ms. salumi. ms. uedhe i cielo. ms. Eccho ui sta in tutu; ed lezione incerta.
. . .
m.
saio.
le
plite
332
III.
Tre
cosi,
noto che
gli
umanisti,
se pur
li
possiamo chiamare
la
lettera-
tura volgare
nisti del
disprezzo
:
uma-
Quattrocento
Petrarca e del
il movimento di ritorno del pensiero monumenti letterari della civilt antica era in quel secolo appena iniziato, molti furono i grammatici e latinisti, massime dell'ultimo Trecento, che non disdegnarono di de-
verso
porre talvolta
l'alto stile
amatorie o morali o politianche noto abbastanza ch'essi solevano mandarsi l'un l'altro, accompagnandole con certe loro epistole risonanti di gonfia latinit, quasi ornamento delle povere e tisicuzze rime e affermazione dell'ardore onde s' ingegnavano
che.
Le quali
l' incremento degli studi classici noto, dico, anche per esempi recentemente venuti in luce, quali sono le epistole di Bartolomeo da Castel della Pieve e di Tommaso Malombra, che contengono ciascuna un cattivo sonetto.^
di aiutare
la
conservazione di parecchie
e in
canzonieri
F.
a i888,
181-218
le
epistole e
sonetti di
della Pieve
Comunale
di
Ber-
gamo.
333
d'altri
documenti dell' umanivSmo trecentista^ ho trovato le poesie, che ora metto in luce e che appartengono a tre diversi scrittori
Il
non
noti finora
al
come
poeti volgari.-
primo, rispetto
del
Bernardo,
quale
qualche notizia
danno
parecchie
sue lettere latine e alcune di altri a lui dirette, raccolte tutte insieme con quella che accompagna a un suo amico
due sonettuzzi morali. Gi questo rimatore non del tutto ignoto agli eruditi, e pi d'uno, a sentirne il nome, avr ricordato subito una delle senili del Petrarca a Paulo de Bernardo veneto, dove sono espressi, insieme con grandi
proteste d'amicizia,
i
il
poeta accompagnava
gli pre-
gava fausto
fruttato
il
ritorno." e
ser Francesco)
una
ri-
che
m'ami quanto amare pu un uomo. N punto io stimo far danno il tuo matrimonio
:
ho per fermo che quella se ne avvantaggi. Conciossiach, quantunque talvolta soave a portarsi, sempre per altro pesante la catena d' Imene, e come avvenga che tu ne senta la gravezza, pi dolce ti sar il rammentarti di me. E non temere che il tuo silenzio possa da me prendersi ad argomento di raffreddata amicizia. Uso ad interpretare sempre in bene i fatti degli amici miei, se verrai spesso a tro^ [ il codice Vaticano 5223, del quale nella prima edizione questo scritto furono dati l'indice e alcuni /aggi che ora si omettono perch chi n'abbia voglia li pu cercare nella colle-
di
Zambrini
in F.
si
che
si
pu tenere per
Opera omnia,
certo che nessuno studioso ponesse ancor gli occhi sulle loro rime.
3
Epist. sen.,
X, ep.
3,
Petrarchae,
Basilea,
1581, p. 873.
334
cuore
varmi o spesso mi scriverai penser che tu faccia ci che il ci avvenga di rado, dir che non vuoi ti detta: se
distrarmi dalle
per
tal
modo
1'
una
argomento della tua modestia e della tua discretezza. Vivi dunque tranquillo de' miei giudizi intorno al tuo affetto per fatti tuoi. Il mio cuore semme, e a tutti quanti sono pre lo stesso e sempre tutto per te. Resta ora che sapendoti in procinto di fare un viaggio oltre mare, io mi faccia ad
i
il
venti.
il
Non
di
Nettuno che
ottenne
regno
a'
ma
si
di Cristo onni-
che cava
pone nei
io
tesoi'i
gli abissi
te l'asi
come
le
otre,
imploro sopra
senza e
lido e
venti
riconduca. Egli
sano e salvo colla cara consorte del tuo talamo ti accompagni e ti riporti a noi, che qui restando col vivo desiderio
di presto rivederti,
lei
felice,
ma
cui
accenna
il
Pe-
come aneddoto
petrarche-
sco e insieme
tore,
come documento
nostro rimariferita,
la lettera di
un tentativo di volgarizzamento or dunque, pochi giorni prima d'abbandonarsi alle volate retoriche della
almeno
in
Cito dalle Lettere senili di F. Petr., volgarizzate e dichiaFracassetti Firenze, Le Monnier, 1869-70,
;
copioso illustratore delle suo che di dar notizia dei corrispondenti del Petrarca, non dice nulla di Paolo di Bernardo segno, parmi, ch'ei non ne trov memoria alcuna.
109.
Il
F., diligentissimo e
335
sua epistola
Paolo
io
:
il
Il
rimproverato,
sei cost,
messi che
alcuna di quelle parole che sogliono esser grate agli orecchi degli amici. Avrei
sti
discorsi,
mo,
se
che tu
mandato gi male, lo confesso, quetemendo un possibile turbamento di si grand' uoAnastasio stesso non avesse in modo ridicolo aggiunto credevi esser causa di cotale negligenza la donna di
degli
uomini,
la
quale
mentre
s'affretta
ad oriente precipita,
destino
i
mio
an-
recessi,
ingegno
sia
inadeguato, entrai
nelle
recenti
perch pi
ti
manchi alle pubbliche incombenze, pronta la sto deve navigare verso la Siria e in Cipro,
ziatore.
che pre-
di libero
sono
divenuto servo e finalmente di studioso son diventato negoE, o Dio buono, quanto occultamente adoperi e co-
me
vicende.
dalla
forti,
si succedano le umane Che se per caso dal proposito sarai rimosso pur umana affezione, che suol cadere anche negli uomini
mi
si
abbastanza gradito
che presso
nulla,
il
maestro delle
virt
tenga parola di un
qual io mi
sia,
uomo da
il
si
bri che,
dalla tua
memoria
sia uscito.
ogni
mio pensiero circa a quelle tue parole, comunque siano state dette, chiamo in testimoni Dio e la mia coscienza che mai in alcun tempo ti son stato affezionato pi d'adesso, e che niuno, se si pu dire, io amo come te in questo mondo. Imperocch sino dalla tenera et
modo,
aftinch tu conosca
io
incominciai ad ammirarti,
ti
ti
venerai,
ti
da ultimo
elessi quasi
336
come
una sentenza
nit tua, cosi
perdono, volsi
cercai
il
mio desiderio
alle tue,
da ogni parte: e, ci che sar fuori della tua credenza, come ho potuto ho raccolto presso di me cento e quasi delle tue Epistole, prendendole in diverse parti, da te, dagli amici,
e anche,
di quel
che so-
glia farsi,
da ignoti
io
ne faccia e come
i
da
altre speranze,
il
mi incolpassero
ma
i
uomini e
molti errori,
e a
pei
quali
spessissimo perirono
le
cose migliori,
molti negai
tuoi scritti,
libri
mentre abba-
altri
abbia
scritto,
come volgarmente
buona ragione
:
non
stato senza
poich so che
tura, se
anzi
abomina
felici
occupazioni
:
amano
la
tranquillit
la
rifuggono dallo
strepito
ho conosciuto ancora
ma non mi hanno fatto dimentico di te, che amo da non aver pi cura della mia anima che della memoria tua, sebbene io assai spesso, per non smettere in tutto l'uso del volgo, abbia commesso ai nunzi che venivano da te di volermi ricordare che certo non fu fatto. Che altro
a scrivere,
:
337
dir? Poich, cosi mi amino
tente,
g' iddii
inferno,
dove
sentimento ancor mi rimanga, a quelli non sono sottomesso pi che se traessi teco eterna vita. E queste stesse
qualche
sono parse vane, ma da una parte mi stimola il fedele amico, e da un'altra il nuovo viaggio mi costringe al buon successo del quale domando, se ne ho il merito, che tue lettere mi siano auspicio di questo
cose che ora scrivo mi
;
felicissimo signore, e
il
non
ti
gravi
tuo devoto.^
il
mentre
ci
Pesi
anzi
ci
ragguagli biografici
le
bene
rire
lettere
manchino
libro,
al
appartengono
;
le
senili del
decimo
che intorno a quel tempo il nostro rimatore aveva preso moglie e s'apparecchiava a partire con un ofcosi se ne trae
ficio
te.
le
Doveva dunque
ma non
giofa-
un maestro
di
grammatica,
Giacomino da Mantova,
a Benintendi dei Ravignani cancelliere della repubblica veneta, esprimendogli tutta la sua gratitudine
il
e riconoscendo
proprio sapere da
;
lui
e questa lettera
in cui
il
veda
la
dissertazione
di
Briefsanimliingen Petrarca' s und der venetianische Staatskanzler Benintendi (pubblicata nelle Abhandlungen der historischen Classe der k. bayerischen Akademie der Wissenschaften, Monaco 1883,
voi.
XVI,
fase.
Ili,
pp. i-ioi).
22.
338
riore al
non an^
teriore al
che, per
da un calcolo approssimativo, si deduce che la nascita del nostro Paolo cade nella prima met del sec. XIV, e propriamente intorno al 1330. Dove nascesse non appare con sicurezza, ma l'essere chiamato veneto e il vederlo bazzicare per tempo nella cancelleria veneziana e gli offici che
acciaccato
anni
ei
che
Venezia
in
di
che poi mi
citt altret-
una
ma
dovettero
tutti essere,
qual pi qua!
meno,
scribi
letterati,
e per la
maggior parte
cancellieri o notai o
all'arte e scrive-
vano
grammatica spai'gendole di dubbie e grosse eleganze, esagerando la retorica petrarchesca o colucciana allora di moda nelle segreterie, e dando cosi da fare a noi poveri moderni che cerchiamo nelle loro scritture dei fatti e troviamo solo delle parole. Pur da questo epistolario possiamo spigolare qualche curiosa notizia degli
rattere,
studi,
del ca-
egli fa
ai
suoi corrispondenti
le
affetto,
espone
amici,
1 G. Agostini, Notizie storico-critiche intorno la vita e le opere degli scrittori veneziani, Venezia, 1754, voi. II, pp. 322 e segg., dove sono raccolte importanti informazioni biografiche
e bibliografiche su Benntendi.
2
...
in palludibus
ortum
ur-
beque ut multis
ma
prorsus
rara,
donde Paolo
a Benintendi
ma
alla
in questa,
accenno alcuno
patria.
339
zioni
;
razioni,
tempo
dopo
la
veramente Miin
chele Alberti da
conosciuto verso
1380,
Oriente.
come non
potesse
deditus
e confessava di
libri,
non due
l'uno contenente
l'alli
Macrobio
De
saturnalius e Apuleio
De
mireo asino, e
;
tro alquante
of-
gli
ragionava
era stato
il
Petrarca,
il
suo amore,
degno
si
di tanta amicizia.
Da Negroil
rallegrava con
lui
che
senato
avesse concessa
la
fosse
vili
anche innanzi per le sue virt e per suoi meriti cinon ostante che fosse nato di bassa gente. Prima d'andare in Oriente era stato nell'Istria, che pi lettere sue dell'anno 1367 sono datate da Capodistria, e nei
e letterari,
'71 e nel
'74
era
stato
a Treviso
nell'uno
nell' altro
le terre
del dominio
dalle
e cosi
lettere,
mi par
ogni
di raccogliere
da
indizi
offertimi
sue
d' archivio.
Ad
che
modo
noi
ne abbiamo abbastanza
Petrarca,
per
fermare
e l'amicizia dei
nella seconda met del secolo XIV, pur essendo nato nella prima e senza toccare forse il Quattrocento. Di lui come rimatore volgare ci avanzano due soli sonettuzzi morali, ch'egli stesso mand all'amico Bernardo da Casalortio con una epistola latina, che recher nell'originale, perch il lettore abbia un saggio del-
dimestico col
fiori
l'uno e dell'altro
stile
340
Epistula domini Pmili de Bernardo
ad Bernardum de Casalortio.
Fuerat aliquando necesse, vir optime, ut casus aliquis aut
opportunitas se offerret quod torporem
excitaret,
meum
ac
ignaviam
utque
rei
dudum
aliis abiectae,
nam-
que, dilecte mi, a decennio citra vix ter stilo scripsisse ma-
terno
cuius rei
etsi
causae
fuit
forte
aliquae
adduci
possint,
vellet.
hoc defectu,
;
et recentibus
semper
curis obsessus
ad
alia transvolavi,
sicut
mos
est instabilitatis
humanae.
alia
Extorsit
dudum
ac exer-
et,
ut Flaccus no-
me
neque iam rude donatum, sed remissus atque obductum ignorantiae coecitate. Itaque duos, ut aiunt, sonetos in commendationem almae virtutis, utcumque fere parvitas ingenii mei, edidi, tecum participans ineptias meas, quae etsi multae sint, multum tamen ad illas addicit protervus ludus fortunae
longe,
si
versatilis.
tuis,
Vellem libenter
ut
ipsi
Rithimi di-
me
esset.
At qua-
lescunque
rit
sunt, leges, et
quod ad rem
attineat,
abunde
fuerit mihi, si
minus suppor-
tabis
nugas meas, qui alias saepe mea onera supportasti. Postremo quod in excusationem cordis (?) non mei, sed cuius ne ausim dicere, pridie aliqua subiunxeris me absente, non tibi
et
minus idotri-
tamen summus
munere
341
[j]
Vera vert dal ciel convien che cada e trove loco in terra a s conforme,
che guidi et rega le felice norme dil ben che tende a la superna strada. Cum l'animo excelente sempre vada contra coloro il cui inteleto dorme,
direto, constante, iusto et uniforme,
si
al
il
menar de
tuto e
si
la
spada.
consilgia
Tanta la gratia di questa virtute che qualuncha si fa di suo' familgia certo di hauer l'angelica salute. Perch di dio flgia, suore e spoxa,
gemma
[ij]
Vera vert disprexia ogni tereno, vera vert fa l'homo esser beato, vera vert contenta ogni creato, vera vert non p vegnir a meno. Vera vert il vitio tien a freno, vera vert si chazia ogni reato,
vera vert non teme alcun elato, vera vert fa l'uom di grazia pieno. Vera vert ti fecie sempre honesto, vera vert te ha scrito in suo quaterne,
vera vert
ti
Vera vert
renda sempiterno,
vera vert ti duca al fin modesto, vera vert ti guidi al luoco eterno. Vera vert ti fecie mio pavese, Vera vert ci scampe d'ogni ofese.^
1 Questo sonetto da aggiungere a quelli che con lo stesso cominciamento d'ogni verso ha registrati L. Biadene, Morfologia del sonetto nei sec. XIII e XIV, Roma iS88, p. 170 e seg.
342
Il
nato a mezzo
il
secolo
XIV
fatti
dova, egli
si
cardinale Fran-
protesse
per
e,
tutta
la
insegn
al
filosofia nello
Studio fiorentino
pi
tardi,
dal 1393
1400, in quello di
Padova
fu segretario di
Francesco Novello da Carrara e compose, a gloria dei suoi signori, le vite dei principi carraresi e altre prose e carmi
laudatori
:
quando
la loro
fortuna tramont
si
ritrasse nella
a Padova
cilio di
Costanza e
d'Italia.^
corte
fu,
di
mori fuori
rola,
Non
giudica
di professione,
n un umanista nello stretto senso della pabench mantenesse un'estesa corrispondenza epistolare
il
Trevi-
sano e
il
Barbaro,
come pure
col
Crisolora,
con Giovanni
da Ravenna, Gasparino da Barzizza e il Salutato. E perci anche da parte di costoro egli fu spesso ricordato con dimostrazioni di onore, specialmente pee avere in un violento
opuscolo assunto
le difese di Virgilio,
la cui statua
Il
era stata
V^ergerio
non
vossiane, voi.
Vergerlo cfr. A. Zeno, Disseriazioni Colle, Storia dello Studio di Padova, L. Bernardi, nell' Arch. stor. ital., voi. IV, pp. 58 e segg. serie 3% voi. XXIII, p. 176 Baduber, P. P. Vergerlo il seniore, Capodistria 1866; C. A. Combi, Di P. P. Vergerlo il seniore .da Cap. e del suo epistolario, Venezia 1880. L' epistolario raccolto dal Combi stato pubblicato recentemente da T. Luciani, Epi2
Per
la vita di
I,
P.
P.
p.
51
Paolo Vergerlo seniore da Capodistria, Venezia, 1887 {Monumenti storici pubbl. dalla R. Deputazione veneta di ma una pubblistoria patria, serie 4', Miscellanea, voi. V) cazione assai difettosa, e mal risponde alle speranze che gli stustole di Pietro
;
diosi
^
risorgimento
trad.
da D. Val-
p. 431.
343
disdegn,
come
altri
dottori,
la
lingua
volgare
primo forse tra i nuovi poeti latini tentava in derno il metro solenne dell'ode saffica, per altre materie pi piane ricorreva alla forma ormai consacrata dall'uso pi co-
mune dei rimatori e scriveva sonetti non belli veramente, ma arieggianti in qualche reminiscenza di concetti e di espres:
Del Petrarca
infatti egli
era grane
la
vita
ne
si
le
suo tempo, se
egli
versi volgari di
compiaceva di rime assai meno famose. Pietro Montanari par che s'alluda in una
loro
proprio autore
;^
pi
chiara-
mente poi in un'altra, si discorre di' wn carmeiivulgare, crederei un sonetto, tam sententi^ giiarn verbis insigne, che il giureconsulto Ognibene della Scuola compose e pubblic in lode di Michele da Rabatta, uomo d'armi e di studi, amicissimo del Vergerlo." Non deve quindi apparir singolare
che
il
di
sonetti
che
egli
miare una
lettera.^
citt eterna,
seguito
far di
che per istanchezza del viaggio recente non pot far altro che trascrivere i due sonetti, premettendo loro brevissime
Epist.
XCVI
Quae quidam
cfr.
[sententiae] longe
suavius
.
resonarent
2
*
si et
anche Epist. LXXXIX e XCVIII. I sonetti non hanno data ma sono preceduti nel codice da una lettera del Vergerio ad Ognibene, data in Roma 5 febbraio 1398, in cui detto Ego ad te pridie, ne me immemorem crederes, duplex Carmen vulgare, quale solemus, misi lacobus de Zabarellis rediens tibi reddidisse debuit .
Epist.
: :
:
LXXXI
344
parole circa
gli
io
av-
ventura fosse solamente trascritto, e non composto, dal Verraptim edito, per altro, parmi che debba significare gerlo composto in fretta,"' e della fretta che l'onestade ad ogni segni che si possano desiderare. Ad atto dismaga ha tutti ogni modo ecco due sonetti
:
Domino Omnebonum
[Artium legimque
docto7-i,
de la Scola
Amice
DomiStatum
Roma che fu d'ogni vertute hospitio, maestra de iuste arme e sante lege, de mal ladron ora speloncha e rege,
non
disciplina,
non rason,
i
ma
vicio.
La
le
gran ruine,
marmi
e l'alte
sede
vii
grege
Ma
che,
questo
'1
fine
de
le
cose fiumane,
se crescie in stato,
Ora
et a
gli antichi
Roma
nome
lasciato.
sonetti, fosse giunto da i che non molto innanzi era a Bologna, donde scrisse una lettera in data IV kal. Jan. 1398 a maestro Bernardino da Imola, e che nel viaggio si ferm, almeno qualche giorno, nel Casentino. 2 II vb. edere ha il senso di comporre in pi luoghi degli scritti del Vergerio, p. es. -ix&W Epist. LXXXI vulgare Carmen quod in laudes tuas edidit potrebbe per altro aver il significato di pubblicare, e ci darebbe ragione a chi volesse negare al Vergerio il primo sonetto.
'
Che
il
poco
in
Roma
appare dal
fatto
345
Aliud quoque Carmen vide
qiiod Corniti Roberto de Pupio,
:
el el
de queste cose, glorioso conte, et meco ovonque i' perga e se mai fia che '1 debole ingegno erga, al mondo fien per mio stilo raconte. Udito sempre che '1 bel Appenino, che parte Italia nostra, ingegni sie produr sublimi, com' al ciel vicino et or di te n se pente n dole, che gloria se' del buon sangue latino,
memoria porto
si
vole.
P. P.
Vergerius.
la
Il
secondo
al
di cotesti sonetti
;
notevole per
persona
ap-
Roberto conte
di
Poppi e di
Battifolle
ramo guelfo
Visconti
cono-
ch'ei
dimoa
ri-
Casentino e
conciliarsi
si
;^
che quando
in lui
le
virt
non indulgeva alla fantasia cortigianesca, ma diceva il vero. E notevole, dunque, cotesto sonetto, perch corregge un errore, nel quale, seguendo un vecchio scrittore di genea-
'
Cfr.
Petrarca,
Vita
Seniti, lib.
II,
lett.
VI
e VII, e
due
let-
tere di
pi.
XC
inf.,
L.
Mehus,
2
Amor. Camatd.,
coli.
CXXVI, CCXXXXIX.
Cfr.
LXIV-LXVI
e 424-427.
346
caddero quelli che modernamente parlarono del conte Roberto e affermarono ch'ei mori nel 1374 ^ par che fosse invece ancor vivo nel 1398, e forse non ancora troppo veclogie,
;
Casentino da
lui
signoreg-
un
.
. .
e se
si
proponeva
:
celebrare
altrimenti
le
gloriose
im-
E
al
se
mai
fia
mondo
il
fien
Lo
stilo,
onde
stile
Roberto, era
Carrara
neria
magniloquente
povero
signore di
Poppi
man-
Anche
alla storia,
il
non
delle lettere,
almeno
del
nere
luce
quale or torna in
del
una canzone
trimonio e contro
a'
donne,
il
fu
medico e
filosofo di
gran grido
e
XIV
co-
es-
1 Cfr. G. B. Baldelli, Vita del Petr., p. 286 G. FracasSETTi, nelle note alle Lett. senili di F. Petr., voi. I, p. 126 G. Carducci, loc. cit. i quali accettarono la data del 1374
;
; ;
proposta
mil.
;
dall'
illustriurn
in
Italia
fa-
raccolte da
Parma
pp. 153-161.
347
sere ancor giovine nel 1400, allorch prese moglie per un subitaneo cambiamento che egli stesso descrive in una sua
epistola
;
la disciplina
pa-
Parma,
nel
;
nel
sciando quattro
figliuoli,
Ilario,
Bartolommeo, Giovanni e
di
in versi
una Sylva de
solis
trmmpho,
forse
un
carme latino a imitazione dei Trionfi del Petrarca, del quale ma questo carme era gi perduto era grande ammiratore
:
nel Cinquecento, e
Pomponio
Torelli,
rassegnando
vecchi
e recenti poeti parmensi, v'accennava come a cosa di cui fosse pervenuta a lui solamente la fama
:
Syderum
et
dem
fertur
gloria maior.
maggiore del nipote aveva dunque oscurata nel oscurata, ma non ispenta del tutto, se stampando nel 1506 la sua Hecuba e nel 1526 glEpigrammaton libri septem Giorgio Anselmi iuniore (nato ini
La
gloria
al 1450 da Andrea, e morto nel 1528), sentiva il bisogno di distinguer s dal vecchio medico poeta e s'aggiungeva il soprannome di ?iipote, onde poi lo design anche il Torelli.- Poca fama, almeno di poeta, dovette ad ogni modo avere il vecchio Anselmi anche presso i contemporanei, che erano abituati ad ammirare il Petrarca. Anch'egli, il medico parmigiano, lo ammir, e pi di venticinque anni dopo la propri morte del gran poeta egli, mandando a un amico
torno
Carmina; Parma, Viotti, i5oo, lib. IV, p. loi. Aff, op. ciL, voi. Ili, pp. 238 e segg. dove anche pu aver notizia delle altre opere di G. Anselmi il giovine.
*
si
348
corpia di qualche cosa non posseduta del Petrarca
:
Se pe-
aver io, domando che non ti spiaccia trarmene copia dove credo che non si possa intendere se non di rime volgari, e n pur di quelle del Canzoiiere gi pubblicato nel 1400, si
:
,
il
copia
avrebbe
tutte d'
stri
una
amico,
poich
sono
i
una
noPe-
copisti.
il
Sapienti et Egregio Artium et Medicinae oc tori domino Magistro Guielmo de Verona honorabili viaiori
etc.
Circumspecto, prudente
et
caro amico,
sei
che di lungo uso come naturale, che, come sia et quale detti miei sapray se ascolti alquanto et se a colui chi l'orden ab antiquo
i
del
io
novo
et vario intrico
che
ligati
avesse
sucessori,
de che son sta primordie gli ordenamenti che anno posto in fundo ugni vertute al mondo per che l' uom vive sempre con dispeto, cum pensier, con angosia et con sospetto.
;
Gi pi
1'
d' in
giorno
in
giorno s'acreseva
umana gente
et era pi robusta,
che niun segue et da ciascun gradita. O dolce, o santa vita Contenta di radice et di locusta n Ypocras la sete lor spingneva,
! :
349
ma
el
le riscaldate
membra
risorava
la biava,
ma
n
terra propie fate, case in alto trate sol di rami et vag fior contexte
natura
Ma
era
1'
uomo
innocente et sincero,
n si curava ragunar thesoro n far monition de alcuna cossa, che avaritia rabiosa ancora non tenea la mente loro contenti a quel che a vita fo mestiero fin che '1 duro pensiero
;
et
amata
pare,
:
temendo
si
ch'ai figlio
che, se io
principio fu
e possa di altericia che chi s vide figli pi potere superbo pi de i altri volse bavere.
Da
figli
per suoy
e consequente poi domesticar la bestia e tuor la lana cossi r industria humana comin(;:i di vestirse et di godere, n li bast di bavere quanto a la sola vita fo bastanca, che ancor ebbi speranza col suo vicin far cambio et haver meglio
:
350
e fece suo conseglio,
il
mare,
stare.
sperando pi
di
haver e meglio
la donna appropiosse molgie et esso suo marito, questo filgio mio. e sol per dire O dur pensier e rio per noi heredi che l'aven seguito contenti noi se mai stato non fosse el dolce amor che '1 mosse, che in si continui affani n' conduti, tanto che stolti e dotti per forca n sotoposti al dur pensiere che figli di mogliere vuol per cui l'ossa e '1 mondo e dio robare. Perch s'el desperare che le sue herede al mondo sien gradite, convien chel se marite e come maritato ecco convene ch'el pona di ben far zascuna spene.
Adunque V uom
:
et fo sua
E poy la bella donna fa sospetto chiunque guatt et su per 1' usso passi, tanto che teme che li sia robata o ver che namorata, che pi gli aggrava, sie di quel che vassi n po' nel cor soffrir tanto dispeto, unde che l' intelletto suo quasi perde et coni pazo diventa a tal che non si attenta da cassa dipartisse notte e giorno
:
et cossi quel
musorno
con vergogna,
el
e s'el
dorme
se sogna
combatter con colui che gli la toUe, si come pensar suole. Et s'egli sozza, qual mazor dolore cha sempre haver ne gli ochi che l'acuore?
E
e
spesso per
la
cassa va orgolgiosa
mena
o se tu gride ancore
351
et ella pi, et se le
day pene
trista e dolorosa,
piange e s chiama
sempre com tempesta con seco, e non i solcho Talor dice Oc' hay ditto ?
e
vivi
:
a dritto.
t' veduto, io el so ben, con la tale che dio le faci male trista che l' ma questa la caxone per che tu m'abandone , e dicete che sei di puochi fatti con queste sempre angosia e dolor datti.
io
E se gli aven che iu falir la trova convien che taci e che l'angosia porti in pace, se non che sei vergognato in per ci che '1 peccato e la iusticia non volgian che morte con le tuo' man le donni et non li ay prova, per che '1 giudice mova punir la peccatrice del delitto unde el convien che afflitto a tuo mal grado sempre inanzi agli ochi el tuo dolor ti fiochi e nanci tempo al fine tuo pervegna. Or adunque t' ingegna che se tu tolgli donna molto bella
; ;
non ti contri di quella ch'io t' narato, et s'el te avegna cossa a seno e senra furia fa cum possa.
Al mio
canzon,
fratel
la tuo'
ragion pur
e confortai stu
poy
per dolce amor di molgie n di figli vert non lassi et a' vicii s'apilgli.
PaRMAE,
Frater,
352
vide, lege
:
ubi
si
quam
indicibilem dicacitatem,
deducenti
indulge fantasiae,
et corrige.
Unum
precor
quid responde.
de
Villa
Lantea pa-
Aliud ex doctoribus
:
nostro Petrino
Sophia,
dum
adiisse, et
essem Placentiam eum visurus, Paduam patrem suum et nostrum dominum Magistrum Mariturus
tibi
per
quem
tibi
si
etiam
quid
Si
Petrarcae,
quod
scias
me non
me
Bartholameo me recommitte,
Parmae.
rientra,
La canzone dell'Anselmi
come avr
delle
si
visto
ognuno,
delle
donne,
si
occupa,
:
su questo argomento
quanto
forma,
tutti
i
la
ma
ha gi
ca;
fa
l'ul-
timo Trecento e
in quella
primo
Quattrocento
ammonticchiarono
italiana.
353
IV.
Lauda inedita
di
Matteo Griffoni.
e storico
la vita e le opere.
Guiduccio Griffoni e a Giovanna Crescenzi, parente del famoso agronomo, crebbe educato a buoni studi letterari e giuridici esercit il notariato, col quale si apri la via ai pub:
ambasciatore del
gia,
Comune
1389 del magistrato degli Anziani, nel '93 al pontefice Bonifazio IX in Peru-
nel
'97 podest
di giu-
stizia,
am-
Lambertino da Canetolo dal 1384 donna Elena dottore. Aveva sposato fino cavaliere e Codec, di ricca famiglia mercantesca, e n'ebbe parecchi figliuoli e per questo matrimonio s' imparent con Pellebasciatore a Firenze insieme con
;
la
signoria di Giovanni
il
Ben-
tivoglio, del
esiliato
da Leonardo Malaspina, luogotenente dei Visconti ma, richiamato in patria dal card. Baldassarre Cossa, ritorn ai pubblici uffici, e attese a scrivere una cronaca latina della sua patria, che distese su fonti pi antiche per il tempo che va sino circa al 1370, e su memorie proprie, su documenti contemporanei, su racconti orali per gli anni che seguono
sino
al
Memoriale
histori-
cum
1
ma
meritevole d'essere pi
[e
ora A.
G. Fantuzzi, Notizie degli scritt. bologn., voi. IV, pp. 297-98 Sorbelli, pp. II-XI del voi. citato nella nota se-
guente].
di
2 Rerum itali(. scriptor., voi. XVIII, pp. 105-234, [ora a cura A. Sorbelli e L. Frati nella nuova ediz. dei Rer., tom. XVIII,
parte
II,
1902].
23.
354
compiutamente studiato/ Matteo Griffoni noto come autore un sonetto d'argomento politico, attribuitogli dalla di rime voce pubblica, da lui stesso riferito nella cronaca all'anno 1385; ^ alcuni componimenti, madrigali e ballate, furono dati in luce dal Fantuzzi,^ che li trasse da un libro dall'archivio
:
bolognese
genere
al
piccolo
patrimonio poetico del Griffoni aggiunsero ai di nostri il Carducci * e il Grion,^ e d'altre forse sarebbe facile arricchirlo
antiche
poesie
volgari.^
d'una
lauda, ad
onore
menper
zione che
il
poeta
fa di s stesso,
raccomandandosi a
lei
la salute dell'anima.''
Oracione ouer Canzone facta a la Vergene Maria per Mattheo Griffoie da Bologna.
Reyna
preciosa,
Due
(ora Bibl.
logna, n. 812), in cui la cronaca tribuita a Giovanni Griffoni e va dal 781 al 1428, mentre quella edita dal Muratori va dal 1109
al
poche cose degli a. 1428 e 1572 [ora Sorbelli, pp. XXIV e segg.]. XVIII, p. 195 [nuova ediz., p. 79].
Cantilene e ballate ecc., pp. 322-28. Trattato delle rime volgari di K. da Tempo ecc., pp. 358-62. [Ora delle poesie del Griffoni si ha pi compiuta notizia
Questa lauda nel cod. Riccardiano 1121, a carte 71^- 72^ Nel medesimo codice, che una miscellanea di prose e rime
"^
XV,
forse in
Roma,
si
una Frottola morale composta per ser Gre gnor o Rouerbella nodaro et citadino de bologna, che comincia: Audite, alme pietose,
audite, audite.
355
chol cuor et
cum
la
mente
ti
Anni pi de cinquanta
ch'ai e
'1
mondo
ma
tutti
12
In peccati mortali,
in odorato,
viso,
gusto et tacto
i6
20
eo son soesso caduto come matto: tutto el mal ch'i' facto, pensato et decto fin al di presente, pentito veramente chiedo perdono cum ciera lacrimosa.
de
24
son fermo ne la fede del tuo figlio; voglio vivere constante n mai voltarmi per altrui consiglio,
per fugire
lo bisbiglio
28
de l'inimico de humana natura, che sempre mai procura de deviarme da te, vera sposa.
Benigna matre mia, fontana de pietate et d'alegreza, non guardare la follia et li peccati de mia gioveneza
-eza;
32
che
in l'altra vita
36
Deh
non
me
ne abbandonare
40
J)en ch'io sia stato misero peccatore, fermo son de tornare a viver sempre tuo buon servitore,
et lassare tanto errore
mondo
356
ch'io
44
ti,
donna
pietosa.
Ad
48
mi do chol chore, mi do cum la mente de! piaciati de tore per servo mi, ch'amor mi te consente priegote dolcemente che a Questo tracto tu non m'abbandoni, ma de gracia me doni
et al tuo figlio
:
;
52
la
56
60
Et quando de sta vita me partir, per dio, non haver isdegno fino a guerra finita defende me dal nemicho maligno, et ben che non sia digno, piacciate de chiamare Mattheo Griffone et farli dare perdono dal tuo figliuolo benigno d'ogni cosa.
357
V.
Dei fatti del 1385, ai quali questa Frottola si riferisce, e brevissima narrazione cosi nei cronisti contemporanei come nella Historia del Ghirardacci ma ricerche d'archivio po;
fatti e gli
accenni contenuti nel nostro documento storico-poetico, se lecito chiamarlo cosi. Il quale non ignoto agli studiosi da
poi che, trascritto dal processo che fu intentato contro l'autore,
fu dato alla luce nei Racconti Storici di
O. Mazzoni Toselli
443 e segg.), ma cosi sfigurato, per cattiva trascrizione e peggiore stampa, da non
(Bologna, Chierici, 1888, voi.
II,
p,
il
senso.
L'ho riprodotto
in
si
pend. 38 della R. Biblioteca Estense, non senza qua e l giovarmi del testo processuale bolognese le allusioni, ho cercato di farle intendere con le brevi noterelle messe a pie di pagina; dell'autore avrei voluto dare, ma non ho avuto agio di rintracciare notizie, salvo che nel 1379 fu uno dei
:
mura
e porta di via
di vi-
Castiglione e
sitare le
membro
di
Copia unius scripte posite apud capellam palaci] domidie viij. aprilis Mccclxxxv. que dicitur fore fabricata per Thomam ser Pigoli de Peli acati is cui male successit dieta de cauxa.
Povol mio tu
i
oxelado
te
da
quilli
j
to
stato
n'acorgi.
Se
non
te
guardi
358
inanci,
|
incontrate
f'
cum
f'
ai
^
|
Pepoli
rolo
I
perdere so stado
narolo
si
perde
lo
gran garnaro.^
|
Ma
per
e per desfare
Zoane d'Agio
El
tei
^
|
che no'
e
venuto
^
fatto.
No'
i
vi tu chi te fa
questo
vi
fa
tuoi vixini
dentro
stado
?
tuoi citadini.
Non
tu
chi anchoi
*
|
rege questo
El Miseri Francesco
I
Rampone
|
polli
'1
confallone
a presso gli
altri
se
pom
dire qui
da
la
guerra
|
Miser
Tomaxe de
;
!
Minotto,^
]
Pie-
lacomo Griffone ^ e altri suo' non bexogna che ti noti che continuo troi
|
Non
vi tu quel
che tu
!
|
fai
e che ufficiali tu i
|
Guarda
Tu mandasti un Miser Zoane de che ignorancia questa mo l'ai manPolo '"a Fioren9a per capitanio de toa gente Guarda dato per sopra capitanio a Barbiano de la toa gente. come la toa gente de' ubedire questo vilam puQolente,
:
]
Nel 1350: cfr. SoRBELLi, La signoria di Gio. Visconti a Bologna (Bologna, Zanichelli, 1902), pp. S-ii. * Nel 1376, quando Granarolo di Romagna fu assediato da Giovanni Hawkwood con gli stipendiari della Chiesa, e a Bologna fu restituito il governo popolare, cacciatone prima il legato pontifcio, Guglielmo di Noellet cardinale di Sant'Angelo. ^ Gio. d'Azzo degli Ubaldini, capo di una compagnia di ventura, entrata nel 1385 nel Bolognese e recatasi a difendere Bar'
biano di
*
1350 circa, m.
1401) e
;
cfr.
uno Fan;
(m.
1405)
ivi
VII, p. 348. ^ Figlio di Minotto della famiglia Angelelli. Ascritto al consiglio generale nel 1376.
''
nel 1387.
^
**
359
eh ' uno mer^aro da vendere reve
dli a lui tre livre el di
|
ch'el no'
:
|
con-
el
sia,
I
sempre sa
si
si
|
ordenare
ch'elio officio
da
|
sala-
e saputo
|
fare
mo
vale migliara
da che el fo questo stado. un Piero Martello ch' maestro de tal zanAncora c' ^ bello elio era povero e iotone e mo de offici] fatto bona
^
|
monicione.
si
E
|
offici]
a quisti mai
li
non mancha
si
perch sano
Fiorentini
trabutare
po' manchare.
Nom
|
vi tu
quisti
sano
'
fare
|
ch'i
MiserTadiodi Pepoli a Fiorenza presto per averlo a la soa posta a le bexogne? uno stra^arolo di Albertuci,'' ch'el no' f Non vi tu troppo tempo ch'el munte su la renghiera e domande de portar le arme perch Miser Tadio di Agoguidi * lo vosu la renghiera zo lea fare ama^are ? po' un di revoce che avea ditto e po' disse e consegli ch'ai dito Miser Tadio sia restotoido li soi beni.
teneno
|
Non
vi tu
che
fa dire
;
|
questo?
li
dinari
me
penso.
|
Non
9oni
g
so che tu te pensi
|
io so
quan-
Schiassi,
^
|
Checho Albertuci
?
e Ardi-
eram
soi confalloni
e bene te lo mostrarno.
|
Non
vi tu chi la
questo Checho
|
munte su
renghiera
1
che
al
tuto se seguisse
e ch'el metesse
Figlio di Mattiolo
nel
Taddeo
il
giovane,
Giovanni Pepoli,
fallitogli di
Andrea
come
fautore
Firenze
case in
Famiglie favorevoli
ai Pepoli,
che avevano
le loro
va Castiglione.
36o
mano
ai
dinari
|
cun
|
le pale,
ch'elio lo sa!
vea bene
perch cun
i
soe mani
; |
elio
li
avea tocadi
disse
;
e
j
pochi di era
avea romenadi
renghiera
a le burse
| |
dappo' a
l'altro
conseglio
|
munte su
metesse
la
e
|
per simel
modo
che se
|
mano
e fssese valente
mente
e que-
ad axio
|
e fa
e de
altre
cose assai
|
per
doe
fare
castelle
|
non
si
falla.'
|
ch'i
san
fare
vada omai com'ella vole che i una farfalla lassa pur ch'i sarano ben si guardare che la
e
|
Tu non
compagna^ non
I
se por andare.
Non
?
i
vi tu
Philippe
Guidotto
|
*
|
ch'
anche de
f'
quilli
octo
e
li
el
in casa d'Alberto^
fare
j
reti
I
g'
Pepoli
Se
I
tui i dinari,
cum cum
|
alcun di Baldoini.
dixe Checho,
|
i
sogno,
che
te
so dire de chiaro
e
gada
tornar subitamente
stare.
|
che Bar-
biano lassarai
fadiga
; j
vira
|
molto ben
altri
fornido
citadini,
in
li
Barbiano remaxo
quai aspectano
li
Pepoli
cum
tuoi
conpagni.
perde,
|
s'el recolto se
che
me
par dubio
asai,
piglia
lo cui d'agli.
Io vego questo
onde vene
|
tornare in caxa
i
Pepoli,
|
com
ano
fatto a
Sena
:
|
qui chi
eran
fuorusiti
per tenon.
ben se vede che qui a conseglio no' chiamato, se no' quilli che en de quello stado. E sano si ordenare che Anciani n conscio non gan che
Miser Tadio
e
questo
|
asai
^
3
La compagnia
Landau.
il
*
5
Consigliere nel 1376, anziano nel 1384. Alberto Guidotti, gran fautore dei Pepoli, bandito per
36i
fare.
|
che
al
sodio
te
meterano,
chi
un bom mengone, che se lassa si non qa che fare li compagni eno spauruxi e de tuto go che ano a fare a quilli da la paxe lassano fare da poe che fono in questo officio mai no' avno altro conseglio, solo quili da la paxe, che i ano missi in tal guera che questo anno no' se dessra. Chi sa fare barataria officio aver tuta via ano ing parado da Bertolomio di Manzoli ^ ch'avanz de barataria da che fo questo stado pi de 8000 prima era un pol?
Miser Lorenzo
|
menare
che a
|
l'officio
tron,
?
Io
non
tosto
Io so
e di-
rai queste
eno
(jan^e
e cussi te farano a
i
credere
|
quigli
fatti.
ei
li
bem
festi
savio
Bolognesi
j
che
las-
conpagna
;
|
tu
venir dentro,
j
possa
li
ano scripto qui li toi fatti chi dal fradello chi dal parente, e cussi ano dato ordene de savere e po'
andare
e
| [
lassadi retornare.
g
a fare sentire
li
fatti toi
\
parenti
in la
|
conpagna
chi te fa guerra
: |
ma
e metergli a scotto.
della
seconda
A A
....
....
...
Pag. 132
135
135
134
131 133
(id.)
ti,
amo
mia
me
ch'el
me
convien lassare
...
. .
136 252
185
171
Alma
Amor amar, quanto me fai languire (id.) Amor a ti me inclino e dico vita (strambotto) Amor de l'ochi mei vago dilecto (ball.)
:
132
in l'ultim'ora (id.).
...
258
204
196
me
lamento
in
(id.)
tempo
di verdura (id.)
....
236
184
Arbor che fructo porta senra flore (son.) A tal vision risponder non savria (son. di Mula da Pistoia) A ti, segnor, la mia vita comando (ball.)
Bella, c'hai lo viso clero (cantilena)
329 322
183
190
123
Ben aza quela zota (ball.) Ben me sont'avizuto (id.) Canta la philomena (id.) Chi fiso guarda in questa margarita (id.) Ch'io me so' mal maritata (id.) Circumspecto, prudente et caro amico
Anselmi)
233
236
199
192
(canz.
di
G.
348
364
Cita d'Arimin bella (ball.)
Pag. 175
(id.)
Come pu
tu fare,
amore
iSi
202
mai
(id.)
200
mei
sei
sospiri (id.)
(id.)
259
225 203 129
271
Contenta
che mora
ti
Cum
Da Da
D'amor
dolze aspeto da
ti
aparse
(id.)
(id.)
piaci,
me
morte
....
.
pu' che mandata sete (id.) De, basame, misere, basame la boca (strambotto).
feci la
267
195
De, ben
gran pacia
(ball.)
139
De
(son. di
Cecco Angiolieri) De, nun aver tanti amanti (ball.) De questa donna, Amore (id.) Desdegno in dona non convenevole
208
(id.)
269 200
197
....
De
204
145
De, torna ch'i' t'aspeto (id.) Dico mal uomini vanno (detto del gatto lupesco). Dileto che no' spero d'aver mai (ball.) Dime, bruneta, dal polito viso (strambotto) Doi ochi vaghi me consuma el core (ball.) Do lassa mi tapina sagurata (id.) Dolze mio signor, cun pura fede (id.) Do, mala vechia, lo mal fuogo t'arda (id.) Dona che sia donzella (id.) Dona, la mente mia si invaghita (id.) Done, non voi lassare (id.) Done, siatene pregate (id.) Donna, sperar poss'io? (id.)
!
317 262
238
263
156
183
.... ....
....
217
193
206 270
141
199
(cantilena)
324
272
166
El dolze viso e
gli tuoi
biondi crini
(id.)
274
223
(id.)
(id.) (id.)
E' vo
179 256
145
264
(son.)
329
305
Gi perch'i' penso ne Gioven sonecto, cliome vo' che
la
.... ....
(ball.)
.
Fag. 174
323
253
196
agli ochi,
grave doglia
il
core
volta in za verso
fatta
tuo servo
(id.)
(id.)
265
Homo Homo
prixe
anchora
328
Lambertuzzi) Insegna d'umiltate e cortesia (son. di Nicola) Io mi disparto da te zentil fiore (id.)
Io vo' fare testamento
(id.)
...
32S
322
254
257
ludicium
intentione
mea
(son. bilingue)
monache
(ball.)
.... ....
.
313 126
147
La dona mia
Laida vecchia stomegosa (id.) L'alma e 'I corpo Tom ch'avazo i' oblia (son.). L'alma e '1 corpo tuo che si dolia (son. di Nicola) L'alma leggiadra del tuo viso pio (ball.) La mala lengua d'ogni mal radice (id.) L'amor posso laudar e la ventura (son.) Lasa, ch'i' son constreta (ball.) Laso! per mia sfortuna post' amore (id.) L'aspeto vostro, don', mio conforto (id.) Lassa mi, corno farazo.? (id.) La vechia d'amor m' biasemata (id.) Lo homo no' cognosse piennamente lo bene (son.)
218
324 321
187 201
330 223
195 201 J55
....
.
211
330
239 246
183
L'omo
amanza (strambotto)
Mamma,
che deco fare (ball.) Mercede la parola che pi chiama (id.) Monico son tuto coioso (id.) Niente mi zova a mia dona servire (id.)
Ochi, pianzeti, e tu, cor tribulato
(d.)
230 e 232
234 202
151
Oi me! streto fose io (id.) Oi mia mente obscura (id.) O mia guerera, o mio destruzimento
(id.)
....
235
172
relucente stella
(id.)
(id.)
261
226
153 263 148
240
366
Piacse a dio che
e'
Piango
'1
partire et l'andar
...
, . .
Pag. 191
203
Poi ch'el
me
convien partire
al
232
ponto
(id.)
(id.)
268
181
oxelado (frottola di T. Pellacani) Privato so', ma non per mio falire (ball.) Qual uom di donna fosse chanoscente (son.) Quanto di prova vede mio inteleto (ball.)
Povol mio, tu
sei
...
357 251
320
184
Quei ochi gentil vagi pien d'amore (id.) Reina preciosa (lauda di M. Griffoni)
di
250
354
163
Rendime
el
mio core
(ball.)]
Roma
che
fu
P. P.
Vergerio)
Spetel bon,
Si incende la
fiola
mia
'1
(ball.)
344 246
197
182
mia mente
el
tuo parlare
(id.)
(id.).
...
pelegrino
Soto
el
manto
scarlato (id.)
249 266
195
151
mio
(id.)
(id.)
Tutto lo
mondo m'
ciel
238
153
di
Paolo
Bernardo)
di
,
341
Vera vert disprexia ogni tereno (id.) Vinta e lassa era gi l'anima mia (son.
Pistoia)
Gino da
.
310
345
553 321
Vita non pi misera e pi ria (ball.) Volete udir s'io abbo gran martorio (son.)
....
INDICE DEL
VOLUME
Dedica Pag. v Proemio vii I. Di alcuni ritmi e poemetti volgari i IL Da un repertorio giullaresco 117 III. Leggenda e poesia francescana 277 IV. Appunti su Gino da Pistoia (I, Nuovi documenti biografici; II, Di alcune rime attribuite a C. da P.) 287 V. Spigolature di rime antiche (I, Poesie varie dei
....
secoli
III,
XIII e
XIV
II,
Tre
IV,
Lauda
inedita di
M.
Griffoni
attribuita a T. Pellacani)
363
4094 C37
PLEASE
DO NOT REMOVE
FROM
THIS
CARDS OR
SLIPS
UNIVERSITY
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LIBRARY
SS-V