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I promessi sposi: introduzione

Alessandro Manzoni ha impiegato ben ventuno anni della sua vita nella stesura del
romanzo di tutti i tempi, un’opera nata per deliziare, ma non solo. Uno degli obiettivi
dello scrittore milanese, è stato quello di creare un libro che potesse essere compreso
da una fascia di lettori molto ampia, uno scritto capace di dare informazioni
storiche e da cui poter trarre un insegnamento morale. A I promessi sposi va
conferito il merito di aver fatto cultura a ogni livello, trovando adattamento su diversi
piani di lettura e supportando la creazione di una lingua italiana unitaria.
 

I promessi sposi: la genesi


Nell’aprile del 1821 il Manzoni inizia la stesura del romanzo, che terminerà nel 1823,
al quale dà il titolo provvisorio di Fermo e Lucia. Tuttavia il libro non soddisfa
pienamente lo scrittore, che ne inizia il rifacimento a marzo 1824. Il Manzoni decide di
eliminare alcuni fatti storici ritenuti inutili e alcune vicende troppo patetiche, dando
vita così a tre volumi che denomina I promessi sposi. L’opera viene pubblicata nel
1827 e l’edizione dell’epoca prende il nome di Ventisettana. Il drammaturgo
milanese però non si ritiene ancora soddisfatto: lo scrittore è cosciente del fatto che il
popolo italiano necessiti di una lingua unitaria ed è convinto che la soluzione risieda
nella lingua fiorentina parlata, quella delle classi colte. Il suo viaggio a Firenze
risolve il grande dilemma: ecco la lingua dell’unità! Nel 1840 viene così pubblicata la
seconda e definitiva edizione del romanzo, la Quarantana (edizione a fascicoli).
 

I promessi sposi: la trama in breve


Lucia Mondella ed Enzo Tramaglino si amano e vogliono sposarsi. A guastare la loro
felicità, arriva don Rodrigo, il signorotto che ha messo gli occhi su Lucia. La cattiveria
dell’uomo, nobile di casato ma non di animo, si spinge oltre: due bravi ai suoi ordini,
minacciano don Abbondio e gli impediscono di celebrare le nozze. Interviene anche
padre Cristoforo, il padre spirituale di Lucia, ma don Rodrigo non vuole saperne di
cedere. Con l’aiuto dell’Avvocato Azzeccagarbugli, i giovani organizzano un
matrimonio a sorpresa, ma l’intento fallisce sul nascere. I bravi provano proprio quel
giorno a rapire Lucia, ma il loro tentativo fortunatamente non va in porto. Su
suggerimento di padre Cristoforo i ragazzi scappano. Renzo va a Milano e Lucia a
Monza. Le cose non vanno per il verso giusto nemmeno questa volta: Renzo senza
volere partecipa ai tumulti di San Martino ed è costretto a rifugiarsi da suo cugino a
Bergamo. Lucia viene tradita da chi la ospita, Gertrude la monca di Monza e
consegnata a don Rodrigo. La ragazza viene però salvata e liberata dall’Innominato,
che dopo un lungo colloquio con Lucia e con il cardinale Borromeo, si converte alla
fede. Tutto sembra sistemarsi: quello che nessuno si aspetta è l’arrivo della peste,
portata dai lanzichenecchi. Sia Renzo che Lucia si ammalano, ma guariscono e si
ritrovano davanti a padre Cristoforo nel lazzaretto che ospita tutti gli ammalati. Don
Rodrigo ormai è morente e i due giovani lo perdonano: Lucia confessa al suo
innamorato, che durante la notte del rapimento ha fatto voto di castità. Renzo è
disperato, ma padre Cristoforo spiega ai ragazzi che un voto fatto in un momento di
paura non è valido. Finalmente i giovani possono sposarsi: dal loro matrimonio nasce
una bimba che si chiama Maria.
 

I promessi sposi: l’ambientazione


Una decisione audace, quella del Manzoni, di ambientare la sua magna opera
nella Lombardia del 1600, quella della dominazione spagnola. Una scelta accurata e
ben studiata, che ha come obiettivo quello di parlare del malgoverno dal punto di
vista di uno studioso illuminista.
“è il governo più arbitrario, animato da un’ignoranza profonda, feroce e pretenziosa”
Questa definizione del malgoverno spagnolo, racchiude tutta l’asprezza che il
Manzoni manifesta contro tale potere, facendosi portavoce del popolo di quell’epoca.
Lo scrittore inizia la stesura del romanzo subito dopo il fallimento dei moti del 1821: il
poema quindi, rappresenta per lui, il tentativo di sottolineare come il degrado e la
mancanza di sviluppo che colpisce l’Italia, risiedano nelle sue radici storiche. Il
Manzoni cerca di proporre, attraverso la sua penna, il modello di una società ideale e
libera, con una propria legislazione, dove i prepotenti non abbiano modo di
prevaricare e dove le classi sociali possano trovare un armonico equilibrio. La scelta
dell’ambientazione, pertanto, va oltre quella della semplice collocazione dei
personaggi, che se pur di fantasia si incastrano bene negli eventi storici narrati.
 
 

I promessi sposi: il romanzo storico


Un romanzo storico è uno scritto in cui l’ambientazione storica ha il compito di
informare su fatti, usanze, leggi e comportamenti di una determinata epoca,
avvalendosi di elementi realistici e documentati. Un’opera di questo tipo, può essere
popolata da personaggi realmente esistiti o contenere un miscuglio di figure
inventate e reali. Il genere del romanzo storico nasce nel periodo romantico e
Alessandro Manzoni, a differenza di altri scrittori dell’epoca, non plasma mai i fatti
storici accomodandoli alle vicende dei personaggi, bensì utilizza la storia con
funzione dimostrativa, ricostruendo i fatti in maniera dettagliata e accurata e non
solo come ambientazione della narrazione. I promessi sposi rappresentano quindi
fedelmente il genere storico, essendo il romanzo popolato da personaggi nati
dall’immaginazione, ma anche da quattro figure realmente esistite, alle quali lo
scrittore si è ispirato:

 L’Innominato
 Il cardinale Federigo Borromeo
 padre Cristoforo
 Gertrude-La Monaca di Monza

 
I promessi sposi: l’Innominato
L’Innominato è un personaggio misterioso, nulla si conosce di lui, tanto da non dargli
né un nome né un cognome. Nasce come nemico, trasformandosi poi nella figura
determinante per lo svolgimento del lieto fine. Si legge dell’Innominato nel XIX
capitolo, quando don Rodrigo chiede allo strano figuro di aiutarlo a rapire Lucia. In
realtà L’Innominato ha un’identità ben precisa, sebbene il Manzoni non ne faccia mai
il nome. Secondo lo storico Cesare Cantù, Alessandro Manzoni crea il personaggio
ispirandosi a Francesco Bernardino Visconti dei Visconti di Brignano. Tale
informazione, viene fornita allo storico dallo stesso drammaturgo in un messaggio
fattogli pervenire:
“L'Innominato è certamente Bernardino Visconti. Per l'aequa potestas quidlibet
audendi ho trasportato il suo castello nella Valsassina. La duchessa Visconti si lamenta
che le ho messo in casa un gran birbante, ma poi un gran santo.”
Bernardino Visconti, feudatario di Brignano Gera d’Adda, nel 1596 è un bandito, capo
di ventisei bravi e si macchia di gravi fatti criminali. Viene soprannominato il conte
del sagrato, proprio come L’Innominato in Fermo e Lucia, per la malvagia abitudine
di far uccidere le sue vittime sul sagrato della chiesa. Nel 1619, in occasione della sua
visita pastorale, incontra il cardinale Federigo Borromeo, con il quale parla per circa
due ore. Questo è il momento della redenzione: finalmente il bandito comprende
tutti i suoi errori e si pente. Alessandro Manzoni quindi riprende tutto da Bernardino
Visconti per disegnare i contorni dell’Innominato, comprese le angherie commesse e
la voglia di riscatto. Dopo il rapimento di Lucia e una notte tormentata, L’Innominato
viene informato della visita del cardinale Borromeo e vuole parlargli:
“Gli voglio parlare: a quattr’occhi gli voglio parlare. Cosa gli dirò? Ebbene, quello che,
quello che… Sentirò cosa sa dir lui, quest’uomo!”
Ed ecco il pentimento: dalle tenebre alla luce.
 
I promessi sposi: il cardinale Federigo Borromeo
Il cardinale Borromeo arcivescovo di Milano, raccoglie la confessione
dell’Innominato, favorendo così la sua conversione…Alessandro Manzoni si ispira alla
reale figura di Federigo Borromeo, patriarca milanese, cugino di San Carlo, venerato
a sua volta come santo. Federigo diviene sacerdote nel 1580 e nominato cardinale nel
1587, usando nel frattempo i beni della casata per opere di elemosina, sino ad essere
nominato arcivescovo di Milano, dove tra l’altro potrà recarsi solo nel 1623 a causa
delle ostilità della Spagna nei suoi confronti. Durante la peste del 1630, la sua
presenza accanto agli ammalati è fondamentale, anche se non si astiene dal credere
agli untori e dal partecipare a riti di stregoneria. Ne I promessi sposi, il Manzoni elogia
la figura del cardinale, dal merito della conversione dell’Innominato, in seguito alla
quale Lucia viene liberata, alle sue opere buone fatte a favore delle vittime della
carestia. Ancora elogi per la figura del cardinale, in merito alla sua benevolenza
mostrata per gli ammalati di peste. Nessun riferimento a quanto di negativo, se così si
può chiamare, la storia narra di lui. Federigo Borromeo, nel romanzo, infatti,
rappresenta l’eccezione: l’unico personaggio potente, di cui il romanziere può
parlare bene, che non si risparmia nell’aiutare gli altri, al contrario dell’alta
aristocrazia, che all’interno della storia si macchia di gravi colpe.
 
I promessi sposi: Padre Cristoforo
Padre Cristoforo è la più importante figura religiosa de I promessi sposi, uomo di
carità e coraggio, che ricopre un ruolo importante nelle vicende cruciali della storia.
In Fermo e Lucia, il personaggio di padre Cristoforo è già presente, sotto il nome
di padre Galdino. Questo particolare avvalora la tesi secondo la quale il Manzoni, per
la creazione del personaggio, si sia ispirato a Cristoforo Picenardi, padre cappuccino
originario di Cremona e vissuto agli inizi del 1600, dalla gioventù decisamente
discutibile, proprio come il padre Cristoforo del romanzo, (il giovane Lodovico,
aristocratico difensore degli oppressi). Padre Picenardi presta la sua assistenza agli
ammalati del lazzaretto, dove a sua volta si ammala e muore di peste. Padre
Cristoforo è molto presente nel poema e soprattutto nei punti fondamentali e di
svolta della storia:

 raccoglie la confessione di Lucia sulle molestie subite da Don Rodrigo


 cerca di affrontare Don Rodrigo nel suo palazzo per dirgli di lasciare in pace Lucia
 organizza la fuga di Renzo e Lucia
 riesce a far scappare Renzo da Milano, perché ricercato per i tumulti di San
Martino e a farlo rifugiare a Bergamo.
 Presta la sua preziosa opera al lazzaretto
 Scioglie il voto di Lucia che le permette di sposare Renzo
 Muore per peste al lazzaretto

 
I promessi sposi: la Monaca di Monza
Gertrude, la Monaca di Monza, è nella realtà Marianna de Leyva, che nasce a Milano
in un nucleo famigliare di alto lignaggio. La data di nascita è presunta non esistendo
documenti comprovanti l’anno esatto dei suoi natali; unico concreto riferimento
viene dato dalla stessa monaca, che durante il processo ecclesiastico del 1607,
dichiara di avere 32 anni, quindi si presume che sia nata nel 1575. Marianna è la
primogenita di una famiglia che consta genitori molto influenti. Il conte Martin de
Leyva, padre della monca di Monza, dedica gran parte della sua vita alla carriera
militare, nominato giovanissimo, comandante di una compagnia di lance a Milano.
Quando compie 26 anni, sposa esclusivamente per interesse, la ricca Virginia Marina,
che sarà poi la madre della monaca. Virginia Marina è figlia del ricchissimo
finanziere Tommaso Marino, che nel 1558 fa costruire a Milano Palazzo Marino,
attualmente sede del Municipio della città meneghina. Virginia quando sposa Martin
è già vedova e dalla loro unione, circa un anno dopo, nasce Marianna. La bimba vive a
Palazzo Marino e di questo vi è una testimonianza certa nell’inventario redatto dal
notaio Giovanni Mazza nel 1576. Il notaio fa un chiaro riferimento ad “una culla con
copertura di grogan goernito di un pasaman di setta bianca foderata di sandal
biancho”. Marianna purtroppo perde la mamma un anno dopo la sua nascita. Nel
1588 Martin si risposa con una nobildonna spagnola e questo lo allontana
inevitabilmente da Marianna. Nel 1589 la ragazza entra nel Monastero di Santa
Margherita a Monza, dove inizia il noviziato. Qui, nel 1591 prende i voti,
diventando Suor Virginia Maria. Tra il 1595 e il 1596 il padre delega Marianna ad
esercitare la potestà sul feudo di Monza e la monaca ne assume pieno potere. Attigua
al monastero è posizionata la casa della famiglia Osio, molto ricca e potente, i cui
giardini sono visibili dal monastero. Il giovane Giovanni Paolo, figlio della ricca
coppia è bello e intraprendente e un giorno viene sorpreso dalla monaca a scambiarsi
effusioni con una novizia. Suor Virginia avvisa i gendarmi dell’incursione del giovane
affinché lo arrestino, ma lui riesce a fuggire e a ricomparire un anno dopo. Inizia così
la relazione amorosa tra i due, da cui nasce un primo figlio, purtroppo deceduto
subito dopo essere venuto al mondo. Nasce poi una seconda figlia, Alma Francesca
Margherita, affidata dal padre ad una coppia di servitori. Nel 1606 una conversa,
Caterina da Meda, minaccia di rivelare la relazione segreta tra la monaca e il giovane
aristocratico. Suor Virginia le intima di non parlare, ma la giovane non accetta.
Giovanni Paolo pensa che l’unica soluzione possa essere ucciderla e commette così il
primo omicidio. Ormai però la voce sulla relazione tra i due si è sparsa e questo
scatena ancora la furia omicida dell’amante di Suor Virginia che ammazza il fabbro e
tenta di uccidere il farmacista. Nel 1607 Osio viene arrestato e imprigionato nel
castello di Pavia. Nello stesso anno il cardinale Borromeo si reca in visita al
Monastero di Santa Margherita, ignaro dei tragici avvenimenti, ma insospettito da
strane missive, sia da parte di Osio, che da parte di Suor Virginia. Osio riesce a fuggire
dal castello e a ritornare a Monza, dove ammazza il farmacista e trova rifugio presso il
convento. Suor Virginia viene trasferita per ordine del cardinale Borromeo nel
Monastero di San Ulderico a Milano, dove confessa la relazione con Osio,
incolpandolo degli omicidi avvenuti. Osio viene quindi condannato a morte e Suor
Virginia alla reclusione perpetua. Dopo quattordici anni di segregazione, la suora
mostra segni di pentimento e viene liberata. Incontra il cardinale Borromeo, che la
incarica di scrivere lettere per le suore che attraversano momenti di crisi. Suor
Virginia muore nel 1650.

Ne I promessi sposi, Alessandro Manzoni chiama la


Signora, la madre superiora del convento che ospita Agnese e Lucia dopo la loro
fuga. Il Manzoni modifica palesemente la storia di Gertrude, adattandola al racconto.
Si comprende comunque che la giovane è figlia di nobili e che la sua decisione di
prendere i voti è dettata dalla volontà famigliare. Diventata suora Gertrude e sfoga
tutta la sua frustrazione sulle educande, iniziando quasi per protesta una relazione
clandestina con un giovane scapestrato a cui il Manzoni dà il nome di Egidio. Quando
Lucia e Agnese entrano in convento già il primo omicidio è avvenuto e in qualche
modo la monaca sembra, comunque, prendere a cuore la causa di Lucia. La sua
buona volontà non è sufficiente: Egidio, pagato dall’Innominato la convince a
rendersi complice del rapimento della povera ragazza.
Gertrude è un personaggio magistralmente disegnato dal Manzoni e sicuramente il
più affascinante. Molto dettagliata la descrizione della vita della donna, mentre
relativamente alla descrizione della sua storia con Egidio, il romanziere si mostra
molto più avaro di particolari. La storia di Gertrude è il simbolo del male che è
radicato nella nobiltà profondamente materialista: una ragazza costretta a prendere
il velo per non perdere tutti i vantaggi che la sua condizione aristocratica le consente.
Una ricchezza e un agio ai quali la donna è legata senza volervi rinunciare, a costo di
perdere la vita stessa.
 

I promessi sposi: la struttura dei personaggi


La semplicità della trama dell’opera manzoniana non cela la sua complessità
caratterizzata dalla simmetria dei personaggi. Sono otto le figure principali e sono
organizzate in quattro coppie.

 Vittime: Renzo e Lucia
 Protettori: Padre Cristoforo e Cardinale Federigo Borromeo
 Mezzi degli oppressori: don Abbondio e Gertrude
 Oppressori: don Rodrigo e l’Innominato

 
Otto personaggi quindi che nel racconto viaggiano in coppia se pur distanti, tessendo
la trama e rimanendo alla base dell’intera storia.
Abbiamo precedentemente parlato delle figure realmente esistite, vediamo adesso
meglio nel dettaglio i protagonisti Renzo e Lucia.

 Renzo è un personaggio sempre in movimento, è un bonaccione che tende a


mettersi nei guai. Si mostra molto immaturo per tutta l’opera, per poi essere
l’unico personaggio in cui avviene la maturazione con il perdono concesso a don
Rodrigo.
 Lucia è una ragazza modesta e saggia, grazie alla vicinanza di padre Cristoforo.
Questa sua saggezza le permette di affrontare il male assoluto nel suo dialogo
con l’Innominato.

Anche il suo personaggio subisce un’evoluzione di maturazione. Il messaggio finale


dell’opera, infatti, è tutto di Lucia.
 

I promessi sposi: conclusioni


I promessi sposi, oltre che narrare fatti storici direttamente e indirettamente
attraverso il racconto dell’amore di Renzo e Lucia, è un libro che offre importanti
spunti di riflessione. Alessandro Manzoni, tra le righe del suo romanzo, punta il dito
contro il male di cui la storia è pregna e sottolinea quanto la sofferenza dei puri sia
da sempre stata ingiusta e inutile. Il male è presente e radicato nell’animo di molti
uomini e secondo il grande romanziere, l’unico rimedio al quale aggrapparsi è la
fede, unico veicolo di salvezza. Nulla può la forza dell’uomo, contro il male che lo
attacca, quel male storico che spiazza e spezza l’umanità. Renzo e Lucia al termine
delle loro sofferenze avranno conosciuto il male subito e il male inferto. Avranno
compreso quanto le tenebre siano avvolte da un alone di mistero e siano
necessariamente parte integrante della vita dell’essere umano. Da qui nasce
il pessimismo manzoniano in merito all’incapacità dell’uomo di agire correttamente
e razionalmente. Il poema, infatti, manca di un finale idilliaco, ma consegna al lettore
una situazione di pace e serenità che nasce da un lungo confronto con il dolore.
L’unica svolta positiva del romanzo è data dal tema della conversione, quel contatto
tra il divino e l’umano che dona il bene e allevia le sofferenze. La Provvidenza è quasi
considerata un personaggio, un’eroina, di cui non è dato sapere il modo di agire, ma è
certo che alla fine premierà. Degna di nota è un’ultima considerazione: alla base
dell’opera ritroviamo un autore pessimista, un narratore che spesso fa dell’ironia su
tale pessimismo e due protagonisti che vivono nell’idillio religioso. Un poema per
certi versi contradittorio I promessi sposi, un libro cattolico e storico, con una
progettualità sociale, che va al di là di un’unica reale problematica, abbracciando i
mali e le sofferenze comuni, racchiusi sotto un unico denominatore di salvezza: la
fede.

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