Dipartimento di Archeologia
Clementina Rizzardi
IL MOSAICO A RAVENNA
IDEOLOGIA E ARTE
con contributi di
Linda Kniffitz, Letizia Sotira, Barbara Vernia
estratto
Volume realizzato con il contributo di:
Alma Mater Studiorum - Università di Bologna
Dipartimento di Archeologia
Fondazione Carisbo
ISBN 978-88-7849-068-0
Indice
Presentazione
di Giuseppe Sassatelli 9
Nota introduttiva 11
5
Il mosaico a Ravenna: ideologia e arte
V. Varia 199
Materiali e tecniche dei mosaici parietali (V-XII secolo)
Letizia Sotira 199
Restauri e metodi conservativi alla luce delle più moderne tecnologie
Barbara Vernia 213
Per una fruizione globale dei mosaici ravennati: l’attività del Centro
Internazionale di Documentazione sul Mosaico del Museo d’Arte
della città di Ravenna
Linda Kniffitz 227
Bibliografia 235
Summary 267
Variae
Già utilizzato nel mondo romano soprattutto dal I secolo d.C., il mosaico parietale
(opus musivum) trionfò contestualmente con l’affermazione del Cristianesimo e con la
costruzione delle basiliche soprattutto nelle grandi città (Roma, Milano, Ravenna) a
partire dal IV secolo: è in questo periodo che le potenzialità di quella che il pittore ri-
nascimentale Domenico Ghirlandaio (1449-1494) notoriamente definì “la vera pittura
per l’eternità”1, trovarono la loro più completa realizzazione; successivamente, tra il V e
il VI secolo, essendo meno fragile dei rivestimenti pittorici e insensibile alle alterazioni
dei colori dovute all’umidità2, grazie alla sua perenne freschezza, alle caratteristiche
di durata ed inalterabilità, con il crescente affinamento delle tecniche, il mosaico si
diffuse su larga scala, raggiunse l’apice del proprio sviluppo qualitativo3 e diventò un
perfetto medium espressivo dei caratteri mistici dell’estetica bizantina, adatto a favorire
il senso di smaterializzazione che si voleva conferire agli interni di basiliche, battisteri
e mausolei, in contrasto con la semplicità delle superfici murarie esterne. Trattandosi
di un mezzo decorativo assai costoso, richiese botteghe altamente specializzate e un
elevato livello di committenza4.
Le tessere, variamente tagliate nelle dimensioni e nelle forme, e soprattutto dispo-
ste in modo differenziato sul piano di allettamento, in modo tale che i riflessi non
risultassero uniformi, ma continuamente variati, rendevano la luce vera protagonista
della realtà musiva5: il gioco degli spigoli e delle facce illuminate delle tessere di vetro
policromo, soprattutto dorate, permetteva di ottenere effetti di luccichìo, di scintillìo
e di lumeggiamento ai quali la pittura non poteva aspirare6.
Questa breve premessa è utile a capire come uno studio completo ed esaustivo
sull’arte musiva parietale non possa certamente prescindere dall’analisi dei materiali
impiegati, degli strati di sottofondo e delle tecniche di esecuzione. L’indagine e la do-
cumentazione sulle particolarità tecniche del mosaico, infatti, costituiscono un valido
ausilio alla comprensione dell’opera stessa e parallelamente offrono preziose indicazioni
cronologiche e strumenti utili a distinguere scuole e tendenze locali7.
Le ricerche sulle tecniche esecutive, purtroppo scarsamente supportate dalle fonti
storiche8, hanno avuto inizio in un periodo relativamente recente, tra gli anni Sessanta
e Settanta del Novecento, anche grazie all’impulso dato dalla fervida attività di Giu-
seppe Bovini e successivamente dagli studi di Friedrich Wilhelm Deichmann. Gli
studi vennero condotti sulla scorta del metodo di Thomas Whittemore (1871-1950),
fondatore del Byzantine Institute of America, ossia eseguendo una descrizione sistematica
e dettagliata di ogni tessera, dei materiali e dei colori utilizzati9: tale metodo venne
utilizzato anche da Per Jonas Nordhagen che effettuò indagini soprattutto sui mosaici
italiani compresi tra il V e l’VIII secolo.
Negli ultimi decenni si è verificato un grande progresso nella documentazione, in
virtù del perfezionamento delle metodologie informatiche di rilevamento. Il restauro
dei mosaici ha reso necessaria una meticolosa ispezione di gran parte della decorazione
e dunque un’assidua frequentazione del testo musivo, operazioni che si sono rivelate
1
Vasari 1986, p. 469.
2
Lavagne 1988, p. 94.
3
Farneti 1993, p. 40.
4
Andreescu Treadgold 1992a, p. 189.
5
Tosi 2001, p. 2.
6
Lavagne 1988, p. 95.
7
Nordhagen 1997, col. 563.
8
Verità 1996, p. 41.
9
Whittemore 1933, infra.
199
Il mosaico a Ravenna: ideologia e arte
10
Carbonara 2009, p. 72.
11
Muscolino, Alberti 2002, p. 76; Muscolino 2007, p. 301. La multifunzionalità delle tavole
tematiche digitalizzate è stata recentemente presentata dal dott. Marco Orlandi in un recente
intervento sul Battistero Neoniano, il 1 marzo 2011 presso la Sala del Refettorio del Museo Na-
zionale di Ravenna, nell’ambito del ciclo di conferenze dedicate agli Otto Monumenti Patrimonio
dell’Umanità (Orlandi 2011).
12
Muscolino, Carbonara, Agostinelli 2008, p. 14.
13
Si veda ivi il contributo di Linda Kniffitz, pp. 199-206.
14
Carbonara 2009, p. 71.
15
Bibliotheca Augustana: www.hs-augsburg.de/~harsch/Chronologia/Lspost04/Diocletianus/dio_
ep_i.html; Bovini 1954, p. 12.
16
Carbonara 2009, pp. 71-72.
200
Variae
Strati di sottofondo
17
Pesando, Guidobaldi 2006, pp. 181-182 e 348-350; per un’immagine del ninfeo pompeiano e
della casa di Nettuno e Anfitrite, si vedano rispettivamente Guarnieri 2011, p. 67 e Medieval
Mosaics 2000, tav. 1.
18
Muscolino, Tedeschi, Carbonara 2010, p. 430.
19
Bovini 1954, pp. 8-9; Fiorentini Roncuzzi 1984, p. 206; Farneti 1993, p. 193, voce 211.
20
Nordhagen 1997, col. 564; Muscolino, Tedeschi, Carbonara 2010, p. 431.
21
Bovini 1954, p. 9; Farneti 1993, p. 197, voce 223.
201
Il mosaico a Ravenna: ideologia e arte
2. Ravenna, Museo
Nazionale: sinopia
absidale della
basilica di
Sant’Apollinare
in Classe
dipinto a fresco il disegno preparatorio che serviva da guida al musivarius per l’inseri-
mento delle tessere22: si trattava di un abbozzo delle linee principali, oppure di pitture
compiute con pochi colori, allo scopo di guidare gli artisti nella scelta dei materiali da
impiegare, pitture che in diversi casi vennero modificate prima dell’esecuzione del mo-
saico. Le aree da rivestire con tessere auree, erano campite con pittura di colore giallo
o rosso, che aveva la funzione di colorare l’intonaco, al fine di rendere meno visibili gli
interstizi fra una tessera e l’altra.
A differenza dei mosaici bizantini e costantinopolitani in genere, in Occidente, le
sinopie venivano tracciate sul secondo dei due strati preparatori: ciò si riscontra, ad
esempio, a Milano nel mosaico della Cappella di Sant’Aquilino – in particolare nella
rappresentazione di Cristo-Helios che rischiara la terra col suo carro solare trainato da
cavalli23 – e nell’arco trionfale di Santa Maria Maggiore a Roma.
Nel catino absidale di Sant’Apollinare in Classe a Ravenna, sotto il disco contenente la
croce gemmata della Trasfigurazione, è stato rinvenuto il disegno di un cerchio con all’in-
terno una croce, unitamente al fulcro di fissaggio della cordicella che servì per tracciare il
clipeo24; in occasione dei restauri fra gli anni ‘60 e ‘70, grazie al distacco della superficie
musiva, al di sotto della teoria delle pecore nella parte inferiore dell’abside, venne portata
alla luce una sinopia, attualmente esposta al Museo Nazionale, tracciata con un colore
rosso e costituita da una serie di pavoni e fagiani che si fronteggiano, con al centro un
vaso di fiori e frutta, ed un motivo vegetale di foglie (Fig. 2): si tratta di un unicum fra i
cicli musivi ravennati, che testimonia un ripensamento da parte della committenza in
merito al programma iconografico da tradurre in tessuto musivo. Nella stessa basilica, in
occasione degli ultimi interventi di restauro condotti sull’arco trionfale, l’ispezione strati-
grafica ha rivelato in diverse zone la presenza di soli due strati, simili a quelli riscontrati
in San Vitale, e non costantemente di tre, come sostenne Mons. Mario Mazzotti25.
22
Farneti 1993, p. 203, voce 245.
23
Bertelli 1985, p. 149.
24
Bovini 1954, p. 10; Nordhagen 1997, col. 564.
25
Mazzotti 1968, p. 314; Muscolino, Carbonara, Agostinelli 2008, p. 38; Carbonara 2009, p. 73.
202
Variae
Materiali
Le analisi sui mosaici bizantini hanno fatto emergere una sapiente combinazione di
componenti materici con caratteristiche ottiche e cromatiche diverse, spesso in grado
di conferire all’opus musivum «il fascino del ricamo e la sontuosità del tappeto»26: vetri,
smalti e tessere a lamina metallica oro e argento (materiali artificiali), pietre, marmi,
madreperle (materiali naturali).
Se la vastità dell’impero romano aveva consentito di far pervenire ovunque materiali
di ogni tipo dalle zone più lontane, tuttavia tra la fine del IV e l’inizio del V secolo, a cau-
sa del progressivo declino economico e culturale, Roma non importò più alcun marmo:
da questo periodo gli artisti usufruirono principalmente di quello accumulato nei depo-
siti e, in seguito, dei marmi asportati dagli antichi monumenti. Il fenomeno del reim-
piego non si arrestò nemmeno davanti a provvedimenti speciali o a bolle pontificie: l’11
luglio 458 l’imperatore Maggioriano emanò a Ravenna una legge destinata al praefectus
urbis, che proibiva la distruzione degli antichi edifici di Roma, decretando che potevano
essere smantellati solo se in rovina: ciò testimoniava una prassi in uso già da tempo27.
Pietre naturali
26
Bertelli 2011, p. 17.
27
Novella Maioriani 4, De aedificiis publicis: per il testo si vedano Gibbon 1850, cap. XXXVI e Sto-
roni Mazzolani 1997, p. 25. Un momento di pausa si ebbe tuttavia con Teoderico che protesse
gli antichi edifici pubblici e anzi ne promosse il restauro (Cassiod., Variae III, 31).
28
Nordhagen 1997, col. 566.
203
Il mosaico a Ravenna: ideologia e arte
in tutti gli incarnati dei personaggi e anche nei quindici busti dell’arcone d’entrata,
insieme alla pasta vitrea rosa.
Un uso esclusivo di pietra e marmo si riscontra anche negli incarnati dei visi di Cri-
sto e San Pietro nel frammento musivo di Santa Maria Formosa o del Canneto a Pola29.
Rimanendo in ambito istriano, nella Basilica Eufrasiana di Parenzo è diffusa la
pietra calcarea bianca, utilizzata per la resa delle tonalità chiare delle vesti degli apo-
stoli, dei bordi delle aureole, e inoltre per modellare il chiaroscuro della sfera celeste su
cui siede Cristo nell’arco trionfale, per le parti bianche dei globi oculari e dei fiori di
giglio. Per i manti dei personaggi dell’area presbiteriale di San Vitale venne adoperata
la pietra calcarea beige30.
Nel mosaico parietale è utilizzata anche la madreperla, il cui uso è d’importazione
orientale. A Ravenna in San Vitale è impiegata insieme al vetro bianco – tagliata in
dischi da bacchette circolari di diametro compreso tra i 12 e i 20 mm – nell’aureola di
Cristo, nella croce gemmata del sottarco absidale, nella corona destinata al santo eponi-
mo e nei pannelli imperiali, dove solo per la figura di Teodora sono state impiegate per
la veste, la corona, i pendenti e gli orecchini ben 104 madreperle. In Sant’Apollinare in
Classe è riconoscibile nella decorazione del nimbo dorato di Sant’Apollinare e nel clipeo
della Trasfigurazione, in particolare nella fascia gemmata della cornice e nella decorazio-
ne delle stelle e della croce. L’utilizzo della madreperla è stato rilevato pure nei mosaici
di epoca agnelliana di Sant’Apollinare Nuovo, in particolare nella teoria delle sante.
Pasta vitrea
Tra i materiali artificiali, la pasta vitrea ha avuto un ruolo importante nella storia
del mosaico: il tipo di vetro dominante dall’epoca romana fino all’VIII-IX secolo era co-
stituito da un impasto a base di vetro incolore o colorato, trasparente o opaco, ottenuto
dalla fusione a 1300-1500° C e dal successivo raffreddamento di una miscela di silice
(vetrificante) sotto forma di sabbie provenienti da ben precise località (ad esempio dal li-
torale tra Cuma e Literno in Campania, presso la foce del fiume Volturno, oppure dalla
foce del fiume Belus in Israele), ossido di calcio (stabilizzante), carbonato idrato di sodio
(natron) o di potassio (fondenti); a tale miscela venivano aggiunti ossidi metallici opa-
cizzanti (fosfato di calcio) e coloranti, ottenendo così lo smalto31. Dalle analisi condotte
sui vetri antichi, compresi quelli impiegati nei mosaici di VI secolo di Ravenna, si è ri-
scontrato l’uso dell’antimonio (Sb) come opacificante e al tempo stesso come colorante32.
Per ottenere i colori si aggiungevano ossidi metallici di cobalto per il blu, di manga-
nese per il porpora, di rame per il verde e per il rosso, di ferro per il giallo e per il bruno.
Dopo la fusione, il composto veniva pressato al fine di ottenere lastre ovoidali (pani
o pizze), per avere un’idea delle quali si può fare riferimento a quelle rinvenute a Tivoli,
presso Villa Adriana33. Successivamente, dopo un graduale raffreddamento, le lastre
venivano tagliate in tessere.
La pasta vitrea era già impiegata nell’antico Egitto con la funzione di rendere le ope-
re più preziose e raffinate: proprio qui, in epoca ellenistica, si svilupparono i maggiori
centri di produzione, in particolare ad Alessandria, raggiungendo alti livelli; in segui-
to alla conquista dell’Egitto, le tecniche di lavorazione del vetro vennero acquisite da
Roma ed estese al resto dell’impero. Al I secolo d.C. risale l’utilizzo della pasta vitrea
accanto alle tradizionali tessere in pietra, soprattutto nelle basiliche paleocristiane, in
cui il mosaico non ha più solo uno scopo decorativo, ma anche rappresentativo. Tutta-
29
Andreescu Treadgold 1992a, p. 205.
30
Alberti, Muscolino 2000, pp. 595-600.
31
Farneti 1993, pp. 171, 174; Verità 1996, p. 41; Fiori, Vandini, Mazzotti 2004, pp. 55-58.
32
Fiori 1990, pp. 81-88.
33
Bovini 1954, p. 7
204
Variae
via, con la decadenza dell’impero romano l’arte musiva venne sempre più condizionata
dalla difficoltà di reperire il materiale vetroso che richiedeva una complessa e costosa
tecnologia per essere prodotto34.
Stando alle ricerche archeologiche finora condotte, si può affermare che la produzione
vetraria tra tarda antichità e alto medioevo non avvenisse su scala locale, bensì presso
pochi siti di produzione primaria in area mediterranea, nelle zone costiere, laddove le
materie prime erano facilmente accessibili ed esportabili, tra Egitto e Palestina, rispet-
tivamente a Wadi El Natrûn fra Alessandria e Il Cairo, e presso la già citata foce del
fiume Belus (a Na’aman, tra Haifa e Acri). Qui erano attive fornaci nelle quali venivano
fusi parecchi toni di vetro35. Dopo la fusione, la fornace veniva lasciata raffreddare e in
seguito demolita. I blocchi di vetro erano poi suddivisi in pezzi di materia prima grezza,
e distribuiti nell’area mediterranea, secondo modalità commerciali attualmente non an-
cora ben chiare36. Giunti a destinazione, negli atelier venivano nuovamente fusi, colorati
e opacizzati: dunque, la trasformazione del vetro grezzo in vetro musivo avveniva in loco.
In alcuni monumenti è stato rilevato l’uso di vetri di diversa natura e provenienza,
come nel Battistero Neoniano, dove le tessere sono classificabili in due gruppi differenti.
Il primo gruppo è quello delle tessere meglio conservate, prodotte, secondo la tradizione
romana, presumibilmente in Italia, con vetro al natron, opacizzato con antimonio: tes-
sere di questa tipologia sono state riscontrate nelle chiese romane comprese tra il IV e
il XII secolo. Il secondo gruppo comprende tessere in prevalenza deteriorate e scolorite,
opacizzate con fosforo e calcio: verosimilmente si tratta di materiale proveniente da un
sito di produzione medio-orientale, considerando le tessere con le stesse caratteristiche
chimiche rinvenute presso la basilica bizantina scavata a Petra, in Giordania37.
Nel 330 Costantino il Grande trasferì la capitale dell’impero da Roma a Costan-
tinopoli, la neva JRwvmh, e allo scopo di rendere sfarzosa questa città fece trasportare
sulla riva del Bosforo marmi preziosi, circondandosi di artisti provenienti da Roma,
dalla Grecia e dall’Asia, chiamando anche i vetrai romani che dai procedimenti di base
migliorarono le tecniche di fabbricazione. Il vetro colorato con diversi pigmenti era
lavorato al fine di ottenere differenti tonalità e svariate gradazioni dello stesso colore,
e proprio dal IV secolo divenne il materiale più idoneo per le nuove strutture archi-
tettoniche e per rappresentare i nuovi temi religiosi, grazie alle notevoli potenzialità
cromatiche, ossia una gamma di circa 200 tinte diverse, comprendenti trenta tonalità
di verde e venti gradazioni di rosso. Costantino protesse i mosaicisti, accordando loro
esenzioni fiscali affinché potessero perfezionarsi, e nella nuova città fondò una scuola
di arte musiva, mettendo a disposizione degli artisti gli smalti fabbricati nei laboratori
del palazzo imperiale di Bisanzio: la scuola fondata da Costantino fu molto prolifica e
giunse all’apice in epoca giustinianea38.
I primi monumenti paleocristiani nei quali venne impiegato il vetro colorato furo-
no Santa Pudenziana e Santa Maria Maggiore a Roma, il Battistero di San Giovanni
in Fonte a Napoli, la Cappella di Sant’Aquilino in San Lorenzo a Milano, il Battistero
degli Ortodossi e il Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna. Nei due monumenti raven-
nati appena citati i visi e gli incarnati dei personaggi sono realizzati con paste vitree,
senza tracce di pietra o marmo, e con un grande impiego del colore arancione per i
lumi39. Ciò accade anche in Sant’Apollinare Nuovo, per quanto riguarda gli incarnati
dei profeti del registro mediano, similmente ai coevi ritratti degli apostoli sull’arco
intorno all’abside della Cappella Arcivescovile (Fig. 4).
34
Verità 1996, p. 41.
35
Freestone 2003, pp. 111-115; Verità 2010, p. 91.
36
Fiori, Vandini, Mazzotti 2004, pp. 81-86.
37
Verità 2010, p. 101.
38
Fiorentini Roncuzzi 1984, pp. 56-57.
39
Andreescu Treadgold 1992a, pp. 191-193.
205
Il mosaico a Ravenna: ideologia e arte
Le pareti e le volte degli edifici di culto di Ravenna compresi tra la fine del V e
l’inizio del VI secolo sono caratterizzate da tessere di vetro a foglia metallica d’oro che
ispirarono il famoso verso di Gabriele D’Annunzio, «Ravenna, glauca notte rutilante
d’oro»45. Se nei mosaici della prima metà del V secolo, come quelli del Mausoleo di
Galla Placidia, del Battistero degli Ortodossi e della Chiesa dei Ss. Cosma e Damiano,
lo sfondo è in prevalenza blu oltremare, simbolo di spiritualità, mentre l’oro è riservato
solo ad alcune parti della decorazione, dalla seconda metà dello stesso secolo l’impiego
delle tessere auree, unitamente all’inserimento di quelle argentee, aumenta notevol-
40
Kitzinger 1963, col. 675.
41
Procop., De aedificiis I, 10, 15.
42
Fiorentini Roncuzzi 1984, p. 29
43
Muscolino 2007, p. 302.
44
Muscolino 2006, pp. 40-41.
45
D’annunzio 1903, pp. 496-499.
206
Variae
mente, soprattutto per la resa degli sfondi, come testimonia la cupola della Cappella
di San Vittore in Ciel d’Oro a Milano. Si consolida così una pratica in uso fin dal 350,
prima in Grecia e a Costantinopoli, poi in tutta l’area del Mediterraneo, sia orientale
sia occidentale, che si manterrà per tutto il Medioevo, divenendo una caratteristica
peculiare dei mosaici del periodo medio-bizantino: pensiamo ai mosaici di San Marco
a Venezia, e a quelli di Torcello46. Lo sfondo d’oro, se da un lato impreziosisce la tessi-
tura musiva, accentuando ed esaltando la policromia degli smalti, dall’altro porta a una
smaterializzazione della superficie architettonica47 e a una perdita di profondità pro-
spettica e di realismo48. Proprio per via del largo impiego di smalti d’oro nel mosaico
medievale, come sinonimo di opus musivum fu utilizzato il termine metallum49.
Già in epoca romana venne scoperta la possibilità di far aderire al vetro delle sottili
foglie metalliche d’oro, argento e loro leghe50. La preparazione delle tessere auree e ar-
gentee era più complicata rispetto a quella degli smalti, poiché i due metalli preziosi
non erano mescolati alla pasta vitrea, bensì applicati appunto in foglie sottilissime,
protette da una pellicola di vetro bianco. Per ottenere questo risultato i maestri vetrai
bizantini applicavano sopra una lastra di vetro (supporto) incolore, oppure verdastra, o
gialla o rosea, una fogliolina di uno di questi due metalli e stendevano su di essa un
sottile strato di vetro polverizzato e rimettevano poi nel forno. Per effetto del calore, la
polvere vitrea formava una sottile pellicola vetrosa (cartellina) che proteggeva l’oro. Tale
metodo è descritto da Fra Teofilo nel XIII secolo, nel secondo volume delle opere sulle
arti51. La cartellina non era tuttavia abbastanza trasparente e non era uniforme in ogni
punto: la non uniformità rendeva le tessere d’intensità e di lucentezza diversa in vari
punti, ma dopo qualche tempo dalla messa in opera, se la pellicola di protezione o la
fogliolina metallica non venivano fissate stabilmente, la pellicola si staccava, lasciando
allo scoperto la foglia d’oro, cosa che era preannunciata da macchie o ombre.
Non è corretto parlare genericamente di oro. A Ravenna, infatti, si trovano impie-
gati tre tipi di tessere auree: una presenta il supporto di un tono caldo tendente all’am-
bra, con uno strato di colore rosso alla base, ben aderente al vetro, con pochissime bolle
e la cartellina compatta e trasparente (A); la seconda è simile alla prima, ma è priva
dello strato di colore rosso (A1); la terza ha il supporto di un tono freddo tendente al
verde, “bulicoso”, ossia caratterizzato da bolle gassose, con la lamina metallica fragile e
una cartellina poco trasparente e caratterizzata da numerose microfessurazioni (B)52. Le
differenze tra tali tipologie dipendono dalle tecniche di fabbricazione e si manifestano
nella diversa capacità di riflettere la luce.
La tessera B è quella più antica ed è impiegata nel Mausoleo di Galla Placidia,
nell’aureola e nella croce del Buon Pastore e del cosiddetto San Lorenzo, nella croce
apocalittica, nelle stelle e nei quattro esseri viventi dell’Apocalisse; nel Battistero Ne-
oniano in modeste quantità, come punto di massima luce nella resa volumetrica delle
colonne delle esedre, come sfondo della scena del Battesimo di Cristo, nelle iscrizioni
identificative degli apostoli e come lumeggiatura nelle vesti degli apostoli stessi. In
epoca teodericiana è presente nello sfondo del Battistero degli Ariani, in Sant’Apolli-
nare Nuovo (in tutto il ciclo cristologico, in entrambi i registri dei profeti, nelle rap-
presentazioni del Cristo e della Vergine in trono e parzialmente nella rappresentazione
del palatium), e nella Cappella Arcivescovile in tutta la decorazione musiva. Essa è
impiegata anche in San Vitale, esclusivamente nell’area presbiteriale, spesso mescolata
all’oro con supporto trasparente tendente all’ambra.
46
Rizzardi 1985b.
47
Kitzinger 2005, p. 65.
48
Nordhagen 1983, p. 74.
49
Bovini 1954, p. 12.
50
Verità 1996, p. 77.
51
Theophilus, Libri III sen diversarum artium schedula.
52
Carbonara, Muscolino, Tedeschi 2000, pp. 709-711.
207
Il mosaico a Ravenna: ideologia e arte
53
Alberti, Muscolino 2000, pp. 595-600.
54
Carbonara, Muscolino, Tedeschi 2000, p. 713; Muscolino 2007, p. 306.
55
Muscolino 2007, p. 301.
56
Bernardi 2006, pp. 27-43.
57
Nordhagen 1997, coll. 571-572.
58
Kitzinger 1963, col. 673.
208
Variae
3. Ravenna,
Basilica di
Sant’Apollinare
Nuovo: Cristo
divide i capretti
dagli agnelli
209
Il mosaico a Ravenna: ideologia e arte
La posa in opera
È grazie alla posa in opera delle tessere che la materia musiva inorganica prende vita
e diventa organica, facendo in modo che i frammenti si ricompongano mentalmente
attraverso l’atto visivo dell’osservatore66, e che i singoli particolari, di per sé astratti,
assumano significati oggettivi. Per l’ultima fase della realizzazione del mosaico, si se-
guiva la regola di iniziare il lavoro dal punto più alto della parete e dalla sommità delle
volte e delle absidi, verso il basso, come nella pittura parietale ad affresco.
61
Muscolino 2007, p. 307.
62
Cassiod., Chronica a. 500; Fiorentini Roncuzzi 1984, p. 150.
63
Muscolino 2007, p. 306.
64
Kitzinger 1963, col. 675.
65
Verità 1996, p. 53.
66
Tedeschi 2000, p. 493.
210
Variae
In San Vitale si sono riconosciuti tre settori esecutivi: in ordine cronologico, l’abside
dalla volta alla base, la parte alta del presbiterio e dell’arcone d’accesso fino alla base
del matroneo, infine le zone in basso dell’area presbiteriale. A differenza di Santa Sofia
a Costantinopoli, qui non è stato possibile riconoscere evidenze relative alle “giornate”:
probabilmente, più mosaicisti operarono su un’unica stesura, dipingendo sull’ultimo
strato di malta campiture ampie che fornivano un’indicazione generale dei motivi fi-
gurativi; non si è riscontrata la presenza di sinopie sui mattoni o sul primo strato di
preparazione, nemmeno in occasione dei lavori di distacco e di ricollocazione dei mo-
saici nel secolo scorso67.
In Sant’Apollinare in Classe, alla luce della discontinuità tra le malte dell’abside ri-
conosciuta dal Mazzotti, si può affermare che prima fu realizzato il mosaico del catino
absidale, e in seguito le figure dei vescovi ravennati tra le finestre, con un’interruzione
tra le due zone68.
Generalmente, le figure erano composte prima dello sfondo, ma poteva essere adot-
tato anche il procedimento inverso: ad esempio, era realizzato un bordo di tessere auree
costituito da più file per contornare le figure, al fine di integrarle nella trama dello
sfondo d’oro; tali filari di tessere di contorno permettevano di addolcire o contrastare i
volumi, a seconda delle condizioni di illuminazione dell’ambiente69.
Le tessere erano collocate le une vicine alle altre, serrando o dilatando gli interstizi,
spesso operando in modo che fosse visibile solo pochissimo intonaco: le cesure fra tes-
sera e tessera e tra filare e filare erano comunque necessarie, poiché avevano la funzione
di dare respiro ai singoli tasselli e alle linee che si formavano, alleggerendo in tal modo
la pesantezza del materiale. Arditamente, nella scena di Trasfigurazione nel monastero
di Santa Caterina sul Sinai, i filari di tessere vennero addirittura alternati sistematica-
mente a filari di intonaco nudi70.
I soggetti venivano costruiti attraverso l’andamento ordinato delle tessere orientate
secondo i volumi, in modo che l’occhio scorresse ritmicamente sulla superficie musiva,
senza incontrare ostacoli visivi71. Al fine di armonizzare e di attutire i passaggi tonali,
per variare il colore era necessario affiancare una nuova serie di tessere di colorazione dif-
ferente rispetto alla precedente. Variando le tonalità delle tessere, gli abili musivarii erano
in grado di ottenere esiti particolari, come la resa della trasparenza dell’acqua che lascia
intravedere il corpo ignudo di Cristo al centro della cupola del Battistero degli Ortodossi.
Nel corso dei secoli il reticolo delle tessere si adeguò sempre maggiormente alle
forme oggetto di raffigurazione e, se necessario, assunse un andamento curvo, sinuoso
o a spirale 72; i contorni acquistarono leggerezza e determinarono la disposizione delle
tessere, in modo che la superficie apparisse complessivamente come un rivestimento
fittamente intessuto, come si riscontra nei mosaici del XII secolo73, dunque anche nei
lacerti musivi provenienti dalla decorazione absidale della Basilica Ursiana di Ravenna,
probabilmente opera di maestranze veneziane74.
Nelle prime fasi dell’arte bizantina, le tessere appaiono più rade e producono effetti
“impressionistici” immateriali di sfumato: per ottenere la fusione dei colori nell’om-
breggiatura dei volti, veniva utilizzata una disposizione a “scacchiera”, alternando tes-
sere di due colori, come si riscontra a Salonicco in San Giorgio e a Kiti (Cipro) nell’ab-
side della Panaghia Angheloktistos (VI secolo).
67
Carbonara 2009, p. 73.
68
Carbonara 2009, pp. 74-75.
69
Andreescu Treadgold 1992a, p. 192.
70
Racagni 2011, p. 37.
71
Tedeschi 2000, pp. 492-494.
72
Bovini 1954, p. 7.
73
Kitzinger 1963, col. 692.
74
Rizzardi 1985b, pp. 136-147; Nordhagen 1997, coll. 571-572.
211
Il mosaico a Ravenna: ideologia e arte
75
Bovini 1954, pp. 10-11; Argan 1969, p. 226; Farneti 1993, p. 42.
76
Andaloro 1989, pp. 37-39.
77
Racagni 2011, p. 39.
78
Bovini 1954, p. 7.
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