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Negli ultimi decenni del 1300 al 15° secolo ci sono trasformazioni importanti, gli intellettuali ne erano

consapevoli. È un’età nuova, moderna rispetto al Medioevo. Si rafforzano gli Stati nazionali di Francia,
Spagna e Inghilterra, il re ha il potere a sfavore dei feudatari (i popoli avevano unità linguistica, religiosa e
culturale). Nel Sacro Romano Impero c’è una situazione diversa, l’Italia dipendeva dall’impero però
c’erano i comuni, a Roma non c’era più lo Stato pontificio, però era controllata dalle famiglie che
sostenevano il Papa. L’Italia era frammentata, i comuni diventavano della monarchia dove a capo c’erano
famiglie importanti: i Medici, capi militari, i Visconti.. si parla quindi di Signorie, e se avevano il
riconoscimento dell’imperatore erano principati.
In Italia:
-signoria a Firenze con i Medici;
-ducato a Milano;
-Repubblica a Venezia;
-Stato aragonese a Napoli;
-Stato pontificio;
-gli Estensi a Ferrara;
-i Gonzaga a Mantova.
Gli intellettuali offrivano la loro protezione a letterati e filosofi che gareggiavano in mecenatismo. La
chiesa era in crisi: nel 1309 la sede papale era stata portata da Avignone, nel 1377 fu riportata a Roma
però i cardinali francesi elessero un 2° papa in contemporanea. Tra il 1378 ed il 1418 ne vengono eletti
anche 3, si parla di scisma d’Occidente. La Chiesa universale cessa di esistere, ci sono nuove confessioni
religiose. (In Italia, Firenze, grazie a Girolamo Savonarola si ha l’esempio di rinnovamento spirituale di cui
si aveva bisogno e il legame tra politica e religione. Lui attacca il clero e la società corrotta, caccia i Medici
e stabilisce a Firenze una Repubblica. Critica anche il Papa, che lo scomunica e poi condanna morte. Viene
impiccato è bruciato). Nel 1453 l’impero romano d’oriente cade per mano dei turchi, formano l’impero
ottomano che spesso è in contrasto con l’Europa. Quindi c’è bisogno di trovare nuove rotte commerciali
perché da lì non si può passare, viene circumnavigata l’Africa per arrivare in India. Avviene la scoperta
dell’America, si commercia nell’Oceano Atlantico: scoperta e conquista di nuovi territori, si parla di imperi
coloniali. Invenzione della stampa da parte di Gutenberg, il 1° libro stampato fu la Bibbia. Ciò rispose
all’esigenza della nuova classe mercantile, quindi il bisogno di acculturarsi. Quindi ci sono nuovi scenari
politici economici e sociali. L’umanesimo e movimento culturale caratterizzato dalla riscoperta dei classici
attraverso lo studio delle opere latine e greche. Deriva da “umanista”, uomo di cultura, coniato nel 1400 e
deriva da “humanae litterae” (discipline classiche definite umane perché attraverso esse l’uomo si
formava, e metteva a frutto le capacità: si capisce la mentalità dell’umanesimo basata su una visione
antropocentrica (uomo al centro) e laica (l’uomo è colto nelle sue potenzialità), questo processo è detto
secolarizzazione). La scoperta dei classici è connessa a valorizzare l’uomo come individuo, sono anche
opere greche: traducono Platone, che mette l’uomo al centro, e anche i neoplatonici, nell’umanesimo si
parla di neoplatonismo. Autori: Pico della Mirandola, Marsilio Ficino che a Firenze fondò un’accademia
per lo studio di questa cultura. Cambia il ruolo dell’intellettuale: mettevano al servizio della comunità le
proprie doti o nelle accademie o avevano ruoli in signorie e principati. Gli umanisti cercavano manoscritti
per trovare opere che altrimenti sarebbero andate perse e rivalutavano opere che nel Medioevo erano
state accantonate nelle biblioteche europee, così avevano più manoscritti della stessa opera e li
confrontavano vedendo lacune e correggendo gli errori.
Nasce la filologia: confrontare e costruire testi. Gli umanisti sono i primi storici della lingua, accolsero la
differenza della lingua nelle epoche (latino arcaico diverso da quello di Cesare), capiscono quindi che si
evolve. Gli studi sulla lingua permettono di capire a Lorenzo Valla che la donazione di Costantino era falsa
perché scritta in un latino troppo moderno rispetto all’epoca a cui apparteneva. Ritorna la retorica, gli
umanisti si confrontano, sono diffusi il dialogo e la lettura, la storiografia si fonda su basi scientifiche
quindi è moderna, le arti visive si ispiravano all’uomo. Nella prima metà del 1400 la lingua latina, sia per
opere scientifiche che letteratura, si usa il volgare ad opera dell’architetto e letterato Gian Battista Alberti
(organizza un concorso, il Certame Coronario: i poeti dovevano comporre una poesia sull’amicizia ed il 1°
avrebbe vinto una corona, non vince nessuno però da qui si usa il volgare). Autori: Lorenzo Valla, Poggio
Bracciolini trovò il “De Rerum natura” di Lucrezio basato sulla filosofia di Specuro. Pico della Mirandola,
Marsilio Ficino. Leonbattista Alberti: “trattato sulla tranquillità dell’animo”, “dialogo sulla famiglia”, usa il
latino. in volgare ricordiamo Lorenzo de’ Medici, colto illuminato, scrive canti carnascialeschi (Bacco e
Arianna). Poliziano è considerato il più grande poeta volgare nel 1400: “Le stanze per la giostra” dedicato
a Giuliano de’ Medici, opera incompleta perché Giuliano amore nella congiura dei Pazzi. Leonardo da Vinci
che incarna il concetto di “humanae litterae”. Jacopo Sannazzaro opere pastorali.
Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico, signore di Firenze, appena aurato la pace di Lodi (cinquant’anni di
pace). Era mecenate, sotto di lui Firenze fu capitale della cultura. La ballata fu ideata nel Medioevo, era
accompagnata dalla musica, c’è il ritornello e secondo il numero dei versi si parla di piccola (1) o grande
(4). Il numero di strofe varia, nelle strofe si riprende il ritornello. Lorenzo scrisse i canti carnascialeschi, o
canzoni a ballo, c’era il coro e il solista che li intonavano seguendo i carri allegorici di Carnevale che
sfilavano per Firenze. Composti nel 1490, 2 anni prima della sua morte, inseriti nella gioia del Carnevale
ma c’era anche l’uomo al centro (felicità terrena). ricordiamo il trionfo di Bacco e Arianna: sei un corteo
festoso e c’è un carro con su Bacco (dio del vino) e Arianna (sua sposa, abbandonata da Teseo sull’isola di
Nasso), dietro c’erano le ninfe, i Satiri (metà uomini e metà caproni) innamorati delle ninfe, Sileno (grasso
e ubriaco, maestro di Bacco), il Remida (re di Friggia) a cui Bacco aveva fatto un dono, tutto ciò che
toccava diventava oro. A questo punto però non poteva più né bere né mangiare. Lorenzo celebra i beni
della vita: l’amore, la felicità, la gioia velata della malinconia per il tempo che fugge e il futuro pieno di
incognite.

Nel medioevo nasce la letteratura europea, è colta però si diffonde anche la letteratura in volgare a
carattere popolare: I Cantari (da Cantarini o Canti in banco perché intonavano su un tavolo erano
accompagnate dalla musica, recitavano poemi in ottave).
40-50 ottave (strofe di 8 versi, primi 6 versi in rima alternata, gli ultimi 2 in rima baciata (sorta di
ritornello). Si ispira all’epica carolingia e ai romanzi bretoni. Si declamavano oralmente e per ricordare si
usava un linguaggio formale (forme che si ripetevano, epiteti…). Ebbe successo nel popolo e nelle corti.
Nel 1400 da questi Cantari nasce un nuovo genere: il poema cavalleresco (già Boccaccio si era cimentato
con la scrittura del Filostrato e si era ispirata a un cantare francese per il Filocolo). I maggiori
rappresentanti sono nel 1400: Luigi Pulci, Matteo Maria Boiardo (l’Orlando innamorato); nel 1500:
Ludovico Ariosto (Orlando furioso), Torquato Tasso (Gerusalemme liberata).
Luigi Pulci nato a Firenze nel 1432 da una famiglia nobile decaduta, ebbe problemi economici che finirono
quando fu accolto da Lorenzo de’ Medici. Lucrezia Tornabuoni, madre di Lorenzo, gli commissionò la
stesura di un poema in volgare: scrive il poema cavalleresco facendo la parodia, non canta i personaggi
coraggiosi, ma ne fa la parodia in chiave comica. L’opera è il “Morgante”. Morgante era un gigante
(personaggio secondario), che diventa cristiano e diventa scudiero di Orlando (che lascia il campo di
battaglia). Sono 28 canti, 23 ispirati a un cantare, 5 alla disfatta di Roncisvalle. Un altro personaggio è
Margutte (mezzo gigante) che picchiava insieme a Morgante. Il gigante muore per la puntura di un
granchio al tallone, Margutta e muore di risate perché vede una bertuccia (scimmia) che si mette i suoi
stivali. Altro personaggio è una spiritello, Astarotte, che va nel cavallo di Rinaldo e lo porta sul campo di
battaglia.

Il Morgante è composto da 28 canti, 23 ispirati a un cantare su Orlando. Narra le imprese di Orlando,


Rinaldo, Olivieri, Dodone. Orlando decide di lasciare l’esercito di Carlo Magno (vecchio credulone) che
crede alle voci di tradimento di Gano di Maganza. Vai in Asia, poi in Egitto e arriva in un convento,
minacciato da 3 giganti, 2 li sconfigge e l’altro, Morgante, lo imprigiona e lo fa convertire al Cristianesimo.
Morgante segue Orlando, ha come spada un batacchio di campana. Incontra Margutte, che non si converte.
Iniziano ad essere protagonisti di imprese, diventano ladri, prendono in giro, e il loro obiettivo è mangiare
in abbondanza (neanche un elefante li sazia). Morgante muore per la puntura di un granchio al tallone
(riferimento ad Achille). Dramma della morte annullato per Margutte che muore dalle risate e mentre
vedo una bertuccia indossare i tuoi stivali. Orlando amore (ultimi 5 canti), nonostante il mago Malagigi
abbia esortato Astarotte ad entrare nel cavallo di Rinaldo per condurlo sul campo di battaglia.

Matteo Maria Boiardo nacque nel 1441 a Scandiano (Reggio Emilia) da una famiglia nobile, proprietaria di
un feudo. Frequentò Ferrara (città importante) dove i signori, gli Estensi, erano mecenati. Dopo la morte
del padre torna a casa, ma mantenne rapporti con la famiglia degli Estensi, che gli diedero degli incarichi.
Scrisse diverse liriche dedicate alla donna amata, Antonia Capraro. Scrisse l’Orlando innamorato: 2 libri
completati e il 3° incompiuto. I personaggi sono sempre i cavalieri coraggiosi, aggiungendo la tematica
amorosa. Orlando è innamorato di Angelica, la magia crea colpi di scena: Ranaldo odia Angelica perché ha
bevuto da una fontana che lo ha fatto disinnamorare, anche la ragazza però ha bevuto da una fontana che
le fece amare il 1° cavaliere che si presenta. È scritto in ottave, versi endecasillabi, rima alternata. Il tema è
celebrativo perché Boiardo celebra Ruggero, capostipite degli Estensi.
Il terzo libro dell’Orlando innamorato è incompleto per la morte di Boiardo. Nel campo di Carlo Magno
arriva Angelica, bella principessa indiana che fa innamorare i cavalieri. Si stava combattendo un duello, e
lei propose che chi avrebbe sconfitto suo fratello Argalia (perché il poema unisce chanson de Geste e
romanzi bretoni) l’avrebbe sposata. Argalia aveva armi magiche ed era imbattibile, però qualcuno gliele
ruba. Ferraguto vince contro Argalia, che vuole sposare Angelica. Lei scappa in seguito da Ferraguto e gli
altri cavalieri innamorati, tra cui Orlando (che è travolto dall’amore) e il cugino Ranaldo di Montalbano.
Ranaldo arriva in un bosco assetato e beve da una fontana del disamore (fatta da Merlino per far
disinnamorare Tristano e Isotta). Nello stesso momento Angelica beve ad una fontana che lo fa
innamorare del 1° cavaliere che vede. Ranaldo la odia, Angelica lo ama. Orlando è geloso del cugino, lo
affronta, ma Angelica manda Orlando dalla maga Fallerina. Nel 2° libro il re pagano Agramante attacca i
cristiani, però prima vuole l’appoggio di Ruggero, un infedele, prigioniero del mago Atlante, ma viene
liberato grazie ad un anello magico rubato da Angelica. Nel 3° libro i cristiani e gli infedeli si scontrano,
esito ignoto, però, si narra la storia d’amore tra Bradamante (cristiana) e Ruggero (che si converte),
dall’unione ha origine la famiglia degli Estensi. Il motivo dell’opera è comiastico, celebrativo. La novità è il
linguaggio Padano, fino a Pulci si è usato il fiorentino. Si inizia a delineare la questione della lingua perché
nel 1400 non c’era unità politica e c’erano realtà politiche diverse, rette da signori colti che accoglievano
intellettuali per dare lustro alla corte, evidenziando la visione antropocentrica. Nel 1600 si porrà una
domanda: quale volgare usare?

Nella prima metà del 1500 ci sono molti cambiamenti sociali, politici e culturali. La scoperta dell’America
rafforzò la credenza cristiana, venne scoperta l’Africa e l’Asia. Il sistema tolemaico prevede il Sole al centro
ed i pianeti che girano intorno. Sotto il punto di vista economico con la scoperta dell’America, l’economia
si sposta dal Mediterraneo all’oceano Pacifico. Solo nel 1861 ci fu l’unità d’Italia, quindi nel 1500 il
contesto culturale ancora non c’era. L’Italia diventa sempre più marginale rispetto al contesto europeo, a
quello politico perché era divisa, e a quello economico perché l’economia non si incentrava solo sul
Mediterraneo. Però rimane un baluardo perché gli esponenti più importanti erano in Italia, l’invenzione
della stampa portò alla borghesia e ad acculturarsi più facilmente. Inoltre la penisola diventa campo di
conquista delle terre vicine come Francia e Spagna. Prima i francesi di Carlo VIII e spagnoli Carlo V,
determinante è stata nel 1559 la pace di Cateau Cambresis che segna la vittoria degli spagnoli. Dopo la
pace gli spagnoli avevano il potere di Milano, Sicilia, Sardegna e il regno di Napoli, e li governavano
attraverso i magistrati spagnoli. Erano indipendenti solo Genova, Venezia, Ducato di Savoia, Ducato di
Firenze e Stato pontificio. Le conseguenze da questo momento furono evidenti in tutta Europa. Nel 1571 il
Papa costruisce un’alleanza, ovvero la lega Santa che lottò contro i turchi. La lega Santa fu vista come
sconfitta dai musulmani e vittoria dai cristiani. Nel 1500 c’è una rigenerazione della Chiesa, Nel 1517
Martin Lutero, monaco tedesco che scrisse 95 tesi in merito alle indulgenze, inizia una riforma luterana
protestante. I sacerdoti non erano più necessari, non si credono nei santi, si pensa che la salvezza fosse
grazie alla fede, non si crede al purgatorio. Nel 1542 c’è l’inquisizione dalla parte della Chiesa di Roma,
venivano perseguitati coloro che erano contro la fede cristiana, alcuni libri vengono censurati e nel 1545
c’è il concilio di Trento: la controriforma, nel 1558 l’indice dei libri proibiti.

Dal 1492, morte di Lorenzo de’ Medici, fino al 1559 pace di Cateaux Cambresis, segna il dominio spagnolo
in Italia. In Italia, mentre perdeva centralità politica ed economica, la cultura raggiunse l’apice, con arte e
letteratura. “Rinascimento“ significa rinascita dei valori umani, estetici, classici (Umanesimo, sbocciano i
fiori, rinascimento i fiori diventano frutti), maturazione della visione antropocentrica. Si privilegia l’arte
(l’architettura, scultura, letteratura), che dà voce all’originalità degli artisti, il letteratura si smorza ciò che
nella realtà è negativo, sia una rappresentazione armoniosa. i componenti del Rinascimento sono:
-Neoplatonismo: superare ciò che c’è di triste nella realtà, andare oltre la realtà, una realtà perfetta;
-Classicismo: opere d’arte elaborate stilisticamente facendo tesoro dei risultati letterari dei classici ma
anche opere italiane considerate classiche (Petrarca);
L’intellettuale si trova nella corte (le più importanti sono la curia romana, Ferrara, Parma, Padova,
Venezia), la Toscana (tranne il ducato) perde la centralità a causa degli spagnoli. I principi
commissionavano le opere, gli artisti diventare un cortigiani (mettevano a disposizione le abilità). I signori
si aspettavano un’arte che li procurasse ideali di vita raffinata, colta, la corte diventava di ispirazione. La
letteratura si ha l’idea di un uomo perfetto (Machiavelli nel “il principe“). Fu importante la stampa perché
libri erano più economici, le opere numerose anche in Europa. Per quanto l’intellettuale fosse legato al
signore iniziava a guadagnare anche per la stampa. Nel 1500 si ha l’esigenza di una lingua letteraria
nazionale unica, usata solo nelle opere. Ebbe fortuna la tesi sostenuta da Bembo, intellettuale veneziano
del 1470, autore di liriche ispirate a Petrarca e trattati come “Le prose della volgar lingua” dove fa un
escursus sulla lingua del volgare. Afferma che la lingua da usare era il fiorentino del 1300, Petrarca in
poesia e Boccaccio in prosa. Nella seconda metà del 1500 si parla di “manierismo”, evoluzione del
classicismo e della creatività. Nel primo periodo non c’è soluzione storica affinché l’arte possa dare
armonia alle opere, frattura con la realtà. C’è il bisogno di teorizzare le norme a cui le opere si devono
attendere, l’originalità è succube di questa regola.

Quando? nella notte tra giovedì 7 aprile e venerdì 8 aprile (il venerdì Santo) dell'anno 1300.
Dove? Nella selva oscura, il colle, una spiaggia (non si tratta dell'inferno)
Chi? Dante, Virgilio e le tre fiere.
Lo smarrimento nella selva
All'età di 35 anni, il poeta, smarrita la diritta via, si ritrova immerso in una fitta e buia selva e si scopre
incapace di uscirne. Scoraggiato e tremante di paura, intravede infine i piedi di un colle in cima al quale
risplende il sole del mattino.
Le 3 fiere
Rincuorato, si appresta all'ascensione, ma, dopo pochi passi, 3 fiere gli sbarrano la strada:
-una lonza (lussuria);
-un leone (superbia);
-una lupa (cupidigia / avarizia).
Quest'ultima, in particolare, magra e famelica, avanza minacciosa verso di lui facendolo indietreggiare
terrorizzato. Il poeta, incapace di affrontare l'animale, torna ai piedi del monte, al punto di partenza, e lì
attende gli eventi.
Virgilio e la profezia del veltro
Una voce amica, provvidenzialmente venutagli in aiuto, lo conforta e, dopo aver scoperto che appartiene a
Virgilio, il maestro latino, Dante richiede fiducioso il suo intervento. Virgilio spiega che nessun uomo potrà
mai sconfiggere la lupa fino a quando non verrà sulla terra il veltro, il quale, campione di virtù e nemico
della cupidigia, ucciderà l'insaziabile animale. Per sfuggire alla sua brama, dunque, occorrerà prendere la
strada dei regni ultraterreni e Virgilio stesso si dichiara disposto a guidare Dante attraverso l'Inferno e il
Purgatorio fino alle soglie del Paradiso, dove, se vorrà, un'anima più degna di lui, Beatrice, lo accoglierà e
lo condurrà alla visione di Dio. Dante, rinfrancato, segue Virgilio, la sua guida.

Virgilio e Dante si trovano di fronte alla porta dell'inferno, che nella parte superiore porta incisa la famosa
scritta conclusa con la frase “lasciate ogni speranza voi che entrate”. Entrambi attraversano l'uscio
penetrando così nel mondo infernale. L'ambiente è buio, e si sentono subito pianti, lamenti e grida dei
dannati. Quell'anticamera dell'inferno accoglie gli ignavi, coloro che vissero senza prendere mai una
posizione, né buona né cattiva, inutili a sé stessi ed alla società. Tra le anime dannate si trovano anche gli
angeli che nella guerra tra Dio e Lucifero non si schierarono né dall'una né dall'altra parte.
Gli ignavi si lamentano della loro sorte perché trascurati da tutti con disprezzo per non aver lasciato in
vita nessun ricordo di sé. La pena degli ignavi è avvilente e spregevole: sono continuamente punzecchiati
da mosconi e vespe, in un fango putrido, così da versare ora inutilmente (sono solo cibo per vermi) quelle
lacrime e quel sangue che in vita non furono in grado di versare. Sono anche costretti ad inseguire una
insegna che cambia rapidamente posizione in ogni momento. Tra le anime Dante riesce a vedere quella di
Celestino V, colui che per vigliaccheria aveva ceduto alla carica papale lasciando il posto a Bonifacio VIII,
che il poeta ritiene responsabile del male di Firenze e del suo esilio. Questo papa voleva che la chiesa
avesse anche il potere temporale. Proseguendo nel loro cammino i due poeti giungono sulla riva del fiume
Acheronte dove un'immensa schiera di anime è pronta per essere traghettata sull'altra sponda da Caronte.
Il nocchiero svolge il suo compito senza parlare: ordina alle anime di salire sulla barca facendo loro dei
cenni, e, se qualcuna mostra di voler indugiare, la percuote col remo. Caronte, accortosi che Dante è
ancora in vita, lo ammonisce a tornarsene sui suoi passi, ma Virgilio lo costringe al silenzio rivelandogli
che il viaggio del suo discepolo si compie per volere del cielo. Improvvisamente la terra trema, e, mentre
un lampo di luce rossa squarcia le tenebre, Dante perde i sensi.
Quando? tramonto di venerdì santo, 8 aprile del 1300.
Dove? sul leggero pendio iniziale del colle della Grazia al limite della selva oscura (la diserta piaggia).
Chi? Dante e Virgilio.
L'invocazione alle Muse
Scende il tramonto e, mentre tutti gli uomini cessano dalla fatica del lavoro quotidiano, Dante si appresta a
intraprendere l'arduo viaggio infernale. Prima di iniziare la narrazione, tuttavia, prega le Muse che gli
concedano l'ispirazione necessaria e, contemporaneamente, chiede aiuto al suo stesso ingegno
dichiarando di confidare nella memoria, che registra con fedeltà ogni avvenimento
Le esitazioni di Dante
Il poeta è indeciso se seguire Virgilio, perché, non avendo fiducia nelle proprie capacità, ignora le ragioni
per le quali a lui dovrebbe essere stato concesso il privilegio del viaggio ultraterreno. In passato, infatti,
soltanto ad Enea e a San Paolo fu permesso di visitare l'aldilà con lo spirito e con il corpo. A ciascuno di
loro, però, era stata affidata un'alta missione da compiere: al primo la fondazione di Roma, la città dove,
dopo la nascita dell'impero, avrebbe avuto la sua sede il papa, vicario di Cristo in terra; al secondo, che
giunse fino al terzo cielo del Paradiso, il consolidamento della fede cristiana fra gli uomini.
L'esortazione di Virgilio
Virgilio rimprovera a Dante la sua viltà e, per spronarlo a mettere da parte ogni indugio, gli rivela di essere
un'anima del Limbo e di essere stato pregato da Beatrice, discesa dal Paradiso di soccorrerlo e di fargli
ritrovare la retta via che lo possa condurre alla salvezza eterna. Beatrice, che per volere di Dio è in
condizione di non dover temere neppure il contatto con l'Inferno, gli rivela di essere stata sollecitata da
Santa Lucia, su invito della Madonna, perché allontani il pericolo della dannazione eterna di Dante.
Dante riprende il cammino
Virgilio, quindi, lo esorta a mettere definitivamente da parte ogni tentennamento e a seguirlo. Il poeta,
sentendosi rassicurato, esprime a Virgilio la sua ormai irremovibile decisione di intraprendere il viaggio
ultraterreno sotto la sua guida.

Quando? venerdì santo 8 aprile 1300, sera.


Dove? 1° cerchio o Limbo. Il primo cerchio e suddiviso in due zone notevolmente differenti: nella prima
regna l’oscurità, non si distingue nulla e si sentono soltanto sospiri dolorosi delle anime; nella seconda si
apre uno spazio illuminato da un fuoco e, al centro, difeso da sette cerchi di mura e da un fiumicello si erge
solitario un castello, nel cui interno si aggirano gli spiriti magni (grandi anime).
Chi? Virgilio e Dante. Nel 1° cerchio fanno parte: Omero, Orazio, Ovidio, Lucano, Elettra, Ettore, Enea,
Cesare, Camilla, Pentesilea, Latino, Lavinia, Bruto, Lucrezia, Giulia, Marzia, Cornelia, il Saldino, Aristotele,
Socrate, Platone, Democrito, Diogene, Anassagora, Talete, Empedocle, Eraclito, Zenone, Dioscoride, Orfeo,
Cicerone, Lino, Seneca, Euclide, Tolomeo, Ippocrate, Avicenna, Cileno, Averroe.
La discesa nel primo cerchio o Limbo
Scosso dal rumore di un tuono, Dante si sveglia di soprassalto e scopre di essere sul margine della valle
infernale, da cui provengono innumerevoli lamenti. La valle è scura e profonda, tanto che il poeta non
riesce a vederne il fondo. Pallido di turbamento Virgilio invita Dante a iniziare la discesa, ma questi,
scambiando per paura il pallore della sua guida, esita a seguirlo.
Virgilio lo rassicura, spiegandogli che il suo turbamento nasce dall'angoscia che prova per i dannati di quel
cerchio. I due poeti scendono quindi nel primo cerchio, dove ha sede il Limbo, il luogo di pena destinato
alle anime di coloro che morirono senza aver ricevuto il battesimo.
I personaggi biblici e i poeti dell'antichità
Attraverso l'aria si odono profondi sospiri, che esprimono la sofferenza di queste anime di non poter
godere in eterno della visione di Dio, al quale tanto aspirano. Dante è addolorato per la presenza, tra
questi spiriti, di alcuni grandi del passato, tra cui lo stesso Virgilio, e chiede alla sua guida se fra questi
nessuno mai sia stato assegnato al Paradiso. Virgilio lo informa che un giorno scese nel Limbo Gesù Cristo
risorto e da qui portò con sé, nell'Empireo gli spiriti biblici di Adamo, Abele, Noè, Mosè, Abramo, Davide,
Giacobbe, Isacco e Rachele. Dante intravede poi un luogo rischiarato dalla luce di un fuoco che vince un
emisfero di tenebre: vi si trovano spiriti tenuti in grande considerazione. Si fa loro incontro un gruppo di
quattro grandi poeti del passato: Omero, Orazio, Ovidio e Lucano, che salutano affettuosamente Virgilio.
Il castello dei sapienti
Tutti insieme giungono al castello dei sapienti, luogo di grande pace, circondato da sette ordini di mura.
Quando? venerdì santo 8 aprile 1300, ultime ore.
Dove? 2°cerchio: lussuriosi. Una landa priva di luce, battuta da tremende raffiche di vento.
Chi? Virgilio, Dante. Nel 2° cerchio fanno parte: Minosse, Paolo Malatesta e Francesca di Rimini, Didone,
Cleopatra, Elena, Achille, Paride, Tristano.
Lussuriosi: peccatori che hanno ricercato le soddisfazioni dei sensi contro ogni regola, abbandonandosi
smodatamente alle passioni, tanto da sottomettere la ragione al talento. Li colpisce un vento furioso che
non si acquieta, non conosce sosta e sospinge trascinandoli rovinosamente per tutto il girone.
Il 2° cerchio e Minosse
Dante giunge nel secondo cerchio all'ingresso del quale è posto Minosse, giudice infernale, che, dopo aver
ascoltato dai dannati la confessione delle loro colpe, attribuisce a ciascuno il luogo di pena meritato
attorcigliando la sua coda attorno al corpo tante volte quanti sono i cerchi che i dannati dovranno
scendere per ricevere la loro punizione. Accortosi della presenza di Dante, Minosse tenta di intimidirlo,
ma, a difesa del poeta, interviene con forza Virgilio, tacitando il rabbioso demone con la recisa
affermazione che il viaggio ultraterreno di Dante avviene per esplicita volontà di Dio. Le anime di questo
cerchio, i lussuriosi, sono condannate a essere incessantemente travolte da una vorticosa bufera di vento,
perché in vita sottomisero la ragione all'impeto dei sensi. Virgilio indica al suo discepolo alcuni fra i più
celebri amanti di ogni tempo, da Semiramide a Elena di Troia, da Cleopatra a Tristano.
Francesca e Paolo
Colpito dall'immagine di due anime che procedono insieme, Dante chiede e ottiene dalla sua guida di
poter parlare con loro. Le anime escono dalla schiera dei dannati e gli si avvicinano rapide e leggere come
colombe che volano verso il nido. Si tratta dì Francesca da Rimini e Paolo Malatesta, gli infelici cognati che,
complice la lettura della storia d'amore tra la regina Ginevra e Lancillotto del Lago, furono travolti da una
violenta passione che fu la causa della loro morte.
Il racconto
È Francesca stessa a raccontare tra lacrime e sospiri la dolorosa vicenda, ricordando il bacio ardente del
cognato e la tragedia che ne seguì. I due amanti, infatti, scoperti, furono uccisi da Gianciotto, legittimo
consorte di Francesca e fratello di Paolo. Mentre Francesca narra la vicenda, Paolo piange in silenzio e
Dante, in preda a una profonda commozione, perde i sensi.

Quando? venerdì santo 8 aprile 1300, verso la mezzanotte.


Dove? 3° cerchio: golosi. Una pioggia incessante di acqua sporca, neve e grandine cade sulla terra che
esalta il fetore.
Chi? Virgilio, Dante, Ciacco, Cerbero.
Golosi: Sono riversi a terra, flagellati dalla pioggia eterna maladetta, fredda e greve; su di essi infierisce il
demonio Cerbero, graffiandoli, scuoiandoli e squartandoli.
Il 3° cerchio: i golosi
Riprendendo coscienza dopo lo svenimento per la vicenda di Paolo e Francesca, Dante si accorge di essere
nel terzo cerchio. La colpa dei dannati, in vita, è quella di aver amato troppo i cibi raffinati e ora sono
martellati da un'incessante pioggia fetida, mista a grossa grandine e neve, e urlano di dolore con la testa
nel fango puzzolente.
Cerbero
Custode del terzo cerchio è Cerbero, demone a tre teste dagli occhi rossi. Egli latra furioso e scortica e
scuoia con le unghie gli infelici dannati. Vedendo i due poeti, il mostro ringhia paurosamente contro di
loro, mostrando i denti. Virgilio si china, afferra una manciata di fango e la getta nelle bocche spalancate
del mostro, che si zittisce.
Ciacco
Dante e Virgilio non possono fare a meno di camminare sopra i dannati che giacciono distesi nel fango,
percossi dalla pioggia. Uno di essi, levatosi a sedere al passaggio dei poeti, rivolge la parola a Dante,
chiedendogli se lo riconosca. Ricevuta risposta negativa, dice di essere nato a Firenze, città piena d'invidia,
di chiamarsi Ciacco e di essere stato condannato a scontare in quel luogo i peccati della gola.
La profezia di Ciacco
Mostrandosi addolorato per la sorte di Ciacco, Dante gli domanda quale sarà il futuro di Firenze,
tormentata dalle lotte tra le fazioni, quali siano le ragioni di tali discordie e se tra i fiorentini esista
qualche uomo giusto. Ciacco profetizza allora che la lotta fra Bianchi e Neri si concluderà con la vittoria
finale dei Neri attraverso l'aiuto del papa Bonifacio VIII. Pochissimi sono gli uomini giusti e restano
inascoltati perché Firenze brucia ormai di superbia, invidia e avarizia. Dante chiede ancora se Farinata, il
Tegghiaio, Jacopo Rusticucci, Arrigo, il Mosca e altri ragguardevoli fiorentini gustino le gioie del Paradiso o
soffrano le pene dell'Inferno, venendo a sapere che tutti sono dannati e che potrà incontrarli nei cerchi più
bassi.
Le pene dei dannati dopo il giudizio
Finito questo, Ciacco si sdraia nel fango e Virgilio spiega che non si alzerà mai più da lì fino al giorno del
Giudizio Universale. Dante domanda a Virgilio, se dopo la sentenza finale, i tormenti delle anime,
aumenteranno o diminuiranno e Virgilio gli conferma che le pene dei dannati aumenteranno

Quando? sabato 9 aprile 1300, verso le 4:00 del mattino;


Dove? 6° cerchio: eretici. Entrati nella città di Dite, Virgilio e Dante si trovano in una vasta pianura,
disseminata di tombe tra le quali sono accesi fuochi che le fanno arroventare;
Chi? Virgilio, Dante, Farinata degli Uberti, Cavalcante de' Cavalcanti, Federico II, Ottaviano degli Ubaldini;
Eretici: Sono sepolti nelle arche infuocate, da cui escono lamenti, e sono divisi in gruppi a seconda della
setta di appartenenza.
Le tombe degli epicurei
Dante chiede se sia possibile vedere le anime che giacciono nelle tombe scoperchiate e Virgilio risponde
che esse, luogo di pena degli epicurei, saranno chiuse il giorno del Giudizio universale.
Farinata degli Uberti
Improvvisamente una voce si rivolge all'indirizzo di Dante: è quella di un un dannato che riconosce
dall'accento Dante come concittadino e lo invita a fermarsi; il poeta si accosta impaurito a Virgilio, che lo
esorta piuttosto a guardare Farinata (perché del grande ghibellino si tratta).
Farinata, visibile dalla cintola in su, ritto nel sepolcro, fissa sdegnoso Dante e, dopo avergli chiesto chi
siano i suoi antenati, ricorda che (gli Alighieri) furono suoi fieri avversari e che per due volte li sbaragliò e
li disperse. Dante controbatte affermando che entrambe le volte essi ritornarono in Firenze, e vi rimasero
definitivamente, a differenza dei Farinata che ancora oggi non possono entrare in città.
Cavalcante Cavalcanti
All'improvviso, dalla tomba scoperchiata, si leva un’anima che chiede perché suo figlio, Guido Cavalcanti,
non sia con lui. Il poeta, riconosciuto il padre dell'amico, risponde di essere lì non in virtù dei propri
meriti, ma della Grazia divina, della quale Guido non ha tenuto conto. Cavalcanti, credendo di cogliere
nelle parole di Dante l'accenno alla morte del figlio, si lascia cadere supino dentro la tomba, disperato.
La profezia di Farinata
Ma Farinata, senza mostrare segni di turbamento, riprende il discorso politico, profetizzando a Dante
l'esilio. Aggiunge inoltre che, pur fra la violenza delle lotte civili, egli solo, dopo la vittoria di Montaperti, si
oppose alla distruzione di Firenze. Prima di congedarsi dal magnanimo ghibellino, Dante gli chiede se i
dannati conoscano il futuro e se ignorino il presente.
I compagni di Pena di Farinata
Farinata risponde che, come i presbiti, hanno solamente la visione degli avvenimenti lontani. Dante allora
lo prega di riferire a Cavalcanti che il figlio Guido è ancora vivo. Chiede infine chi siano i suoi compagni di
pena ed egli nomina Federico II e il cardinale Ottaviano degli Ubaldini.
Quando? sabato 9 aprile 1300, verso l’alba.
Dove? 7°cerchio 2°girone: violenti contro se stessi (suicidi e scialacquatori). Un bosco senza alcun
sentiero, formato da alberi privi di foglie, fiori, frutti e contorti in modo orribile; tra i rami fanno il nido le
brune Arpie che emettono cupi lamenti.
Chi? Virgilio, Dante, Pier della Vigna, Fiorentino suicida, Lano da Siena, Jacopo da Sant'Andrea.
Violenti contro se stessi: I suicidi sono trasformati in alberi e le Arpie, facendo scempio delle foglie, lì
straziano ed essi piangono attraverso le ferite; gli scialacquatori sono costretti a correre fra gli arbusti per
sfuggire ai morsi famelici di insaziabili cagne e, quando vengono raggiunti, sono lacerati e divorati a brano
a brano.
Nel bosco dei suicidi: le Arpie
Passato a guado il Flegetonte, Dante e Virgilio giungono nel secondo girone del settimo cerchio e si
addentrano in un fitto e tetro bosco, privo di sentieri. Gli alberi sono nodosi, contorti e sprovvisti di foglie.
Sui loro rami nidificano le Arpie, i mitici mostri dell'antichità greca. Inoltrandosi, Dante ha l'impressione
di udire voci di persone nascoste dietro gli alberi, ma ben presto spezzando, su invito di Virgilio, un
ramoscello, dal quale sgorga sangue misto a lamenti, conosce la verità: si tratta di anime di dannati,
imprigionate eternamente nelle piante.
Pier della Vigna
Virgilio invita a parlare la pianta ancora sofferente ed essa racconta la sua vicenda terrena, con la
speranza che Dante, ritornando nel mondo dei vivi, renda giustizia alla sua memoria. L'anima è quella di
Pier della Vigna, il più ascoltato consigliere di Federico II di Svevia. Vittima dell'invidia, l'illustre cortigiano
cadde in disgrazia presso l'imperatore al punto che, sapendosi innocente, incapace di sottrarsi alla
vergogna delle accuse che gli venivano rivolte, si uccise.
Il destino dei suicidi
Le parole del dannato turbano profondamente Dante che, da un'ulteriore risposta, apprende come l'anima
dei suicidi divenga pianta nodosa e che perfino dopo il Giudizio Universale essi saranno i soli a non
rientrare nel proprio corpo: il corpo di ciascuna anima penzolerà dall'albero che la racchiude (per
analogia non sono degni di avere il loro corpo).
Gli scialacquatori
Improvvisamente, annunciate da un confuso rumore, appaiono le anime nude e graffiate di due dannati
(Lano da Siena e Iacopo da Sant’Andrea) che corrono inseguite da un branco di cagne fameliche. Per
sfuggire alla caccia, una di esse si acquatta in un cespuglio della selva, ma, raggiunta, viene orrendamente
dilaniata, mentre dai rami spezzati del malcapitato cespuglio sgorga il sangue misto a dolorosi lamenti. È
questa la punizione riservata agli scialacquatori, che in vita fecero strazio del proprio patrimonio.

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