Il nazionalismo pascoliano
Il discorso (di cui riportiamo una buona parte) fu pronunciato nel teatro di Barga il 26 novembre 1911, per celebrare la guerra di conquista coloniale della Libia.
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gli italiani ad Adua, nel 1896, fermando la loro espansione coloniale in Africa.
8. San Martino ... Calatafimi: a San Martino, nel 1859, durante la seconda guerra di
indipendenza, lesercito sabaudo sconfisse gli
Austriaci; a Calatafimi Garibaldi vinse invece
le truppe borboniche durante limpresa dei
Mille (1860).
9. Abba-Garima: altura presso Adua, dove
lesercito italiano fu sconfitto dagli Etiopi.
10. si perdevano ... nazionalit: perdevano la loro identit nazionale, facendosi assimilare dagli altri popoli presso cui erano emi-
grati.
11. vasta regione: la Libia.
12. per opera ... progenitori: la Libia era
provincia romana (e prima ancora era stata colonia greca).
13. popolazioni nomadi: gli Arabi, nomadi del deserto. Si noti latteggiamento
sprezzante e velatamente razzista di Pascoli
verso la popolazione della Libia, ritenuta inferiore, e perci meritevole di essere spossessata dei propri territori dalla potenza coloniale
pi progredita.
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case, faranno porti, sempre vedendo in alto agitato dallimmenso palpito del mare nostro il nostro tricolore.
E non saranno rifiutati, come merce avariata, al primo approdo; e non saranno espulsi, come masnadieri, alla prima loro protesta; e non saranno, al primo fallo dun di loro, braccheggiati14 inseguiti
accoppati tutti, come bestie feroci.
Veglieranno su loro le leggi alle quali diedero il loro voto. Vivranno liberi e sereni su quella terra
che sar una continuazione della terra nativa, con frapposto la strada vicinale15 del mare. Troveranno, come in Patria, a ogni tratto le vestigia dei grandi antenati.
Anche l Roma.
E Rumi16 saranno chiamati. Il che sia augurio buono e promessa certa. S: Romani. S: fare e soffrire da forti17. E sopra tutto ai popoli che non usano se non la forza, imporre, come non si pu fare altrimenti, mediante la guerra, la pace.
Ma che? Il mondo guarda attonito o nasconde sotto il ghigno beffardo la sua meraviglia. La Nazione proletaria, la nostra fornitrice di braccia a prezzi ridotti, non aveva se non il piccone, la vanga e
la carriola. Queste le sue arti, queste le armi sue: le armi, per lo meno, che sole sa maneggiare, oltre
il coltello col quale partisce il pane e si fa ragione sulle risse. Si diceva bens che era una potenza; e in
vero aveva avuto un cotal risveglio che ella chiama Risorgimento. Qual Risorgimento? Dalla vittoria
dun benefico popolo alleato aveva ottenuto Milano; da quella dun altro, Venezia18. In un momento che
questi due alleati si battevano fieramente tra loro, ella aveva ghermito Roma19. Cos la nazione era
risorta. E risorta, volendo dar prova di s, era stata vinta da popoli neri e semineri. E ora...
Ecco quel che accaduto or ora e accade ora.
Ora lItalia, la grande martire delle nazioni, dopo soli cinquantanni chella rivive, si presentata
al suo dovere di contribuire per la sua parte allumanamento e incivilimento dei popoli; al suo diritto
di non essere soffocata e bloccata nei suoi mari; al suo materno ufficio di provvedere ai suoi figli volonterosi quel che sol vogliono, lavoro; al suo solenne impegno coi secoli augusti delle sue due Istorie20,
di non esser da meno nella sua terza ra di quel che fosse nelle due prime; si presentata possente e
serena, pronta e rapida, umana e forte, per mare, per terra e per cielo.
Nessunaltra nazione, delle pi ricche, delle pi grandi, mai riuscita a compiere un simile sforzo.
Che dico sforzo? Tutto sembrato cos agevole, senza urto e senza attrito di sorta! Una lunghissima
costa era in pochi giorni, nei suoi punti principali, saldamente occupata. Due eserciti vi campeggiano
in armi. O Tripoli, o Berenike, o Leptis Magna (non hanno il diritto di porre il nome quelli che hanno
disertato o distrutta la casa! 21), voi rivedete, dopo tanti secoli, i coloni dorici e le legioni romane!
Guardate in alto: vi sono anche le aquile!22 [...]
Quale e quanta trasformazione! Giova ripeterlo: cinquantanni fa lItalia non aveva scuole, non aveva vie, non aveva industrie, non aveva commerci, non aveva coscienza di s, non aveva ricordo del passato, non aveva, non dico speranza, ma desiderio dellavvenire. In cinquantanni parso che altro non
si facesse se non errori e anche delitti; non si cominciasse se non a far sempre male e non si finisse se
non col non far mai nulla. La critica era feroce e interminabile e insaziabile. Era forse un desiderio
impaziente che la animava.
Ebbene, in cinquantanni lItalia aveva rifoggiato saldamente, duramente, immortalmente, il suo
destino.
Chi vuol conoscere quale ora ella , guardi la sua armata e il suo esercito. Li guardi ora in azione.
Terra, mare e cielo, alpi e pianure, penisola e isole, settentrione e mezzogiorno, vi sono perfettamente fusi. Il roseo e grave alpino combatte vicino al bruno e snello siciliano, lalto granatiere lombardo
saffratella col piccolo e adusto23 fuciliere sardo; i bersaglieri (chi vorr assegnare ai bersaglieri, fiore
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della giovent panitalica24, una particolare origine?), gli artiglieri della nostra madre terra piemontese dividono i rischi e le guardie coi marinai di Genova e di Venezia, di Napoli e dAncona, di Livorno di Viareggio di Bari. Scorrete le liste dei morti gloriosi, dei feriti felici della loro luminosa ferita: voi
avrete agio di ricordare e ripassare la geografia di questa che appunto era, tempo fa, una espressione
geografica25.
E vi sono le classi26 e le categorie anche l: ma la lotta non v, o lotta a chi giunge prima allo stendardo nemico, a chi prima lo afferra, a chi prima muore. A questo modo l il popolo lotta con la nobilt e la borghesia. Cos l muore, in questa lotta, lartigiano e il campagnolo vicino al conte, al marchese, al duca.
Non si chiami, questa, retorica. In vero n l esistono classi n qua. Ci che perennemente e continuamente si muta, non 27. La classe che non per un minuto solo composta dei medesimi elementi,
la classe in cui, con eterna vicenda, si pu entrare e se ne pu uscire, non mai sostanzialmente diversa da unaltra classe. Qual lotta dunque pu essere che non sia contro se stessa?
E lottiamo, dunque, bens; ma sia la nostra lotta come quella che si vede l, della nostra Patria, per
cos dire, scelta, della nostra Patria, che vorrei dire in piccolo28, se non dovessi aggiungere: no: in grande! Lotta demulazione tra fratelli, ufficiali o soldati, a chi pi ami la madre comune, che ne li rimerita con uguali gradi, premi, onori, e li avvolge morti nello stesso tricolore.
O voi che siete la pi grande, la pi bella, la pi benefica scuola che abbia avuta nel cinquantennio
lItalia, armata ed esercito nostri!
Dicono che in codesta scuola sinsegna a oziare! E no: sinsegna a vigilar sempre. Sinsegna a godere! E no: sinsegna a patire. Sinsegna a essere crudeli! A ogni incendio, a ogni inondazione, a ogni terremoto, a ogni peste, accorrono questi crudeli a fare da pompieri, da navicellai, da suore di carit, da
governanti, da infermieri, da becchini. Sinsegna a uccidere! Sinsegna a morire.
Questa la scuola che, oltre aver distribuito tanto alfabeto, ci ammaestra esemplarmente nellumano
esercizio del diritto e nelleroico adempimento del dovere. Essa risponde ora a quelli che confondono
laspirazione alla pace con la rassegnazione alla barbarie e alla servit.
Noi dicono quei nostri maestri che siamo lItalia in armi, lItalia al rischio, lItalia in guerra, combattiamo e spargiamo sangue, e in prima il nostro, non per disertare29 ma per coltivare, non per inselvatichire e corrompere ma per umanare e incivilire, non per asservire ma per liberare. Il fatto nostro non quello dei Turchi30. La nostra dunque, checch appaiano i nostri atti singoli di strategia e
di tattica, guerra non offensiva ma difensiva. Noi difendiamo gli uomini e il loro diritto di alimentarsi e vestirsi coi prodotti della terra da loro lavorata, contro esseri che parte della terra necessaria al
genere umano tutto, sequestrano per s e corrono per loro, senza coltivarla, togliendo pane, cibi, vesti,
case, allintera collettivit che ne abbisogna. A questa terra, cos indegnamente sottratta al mondo,
noi siamo vicini; ci fummo gi; vi lasciammo segni che nemmeno i Berberi, i Beduini e i Turchi riuscirono a cancellare; segni della nostra umanit e civilt, segni che noi appunto non siamo Berberi,
Beduini e Turchi. Ci torniamo. In faccia a noi questo un nostro diritto, in cospetto a voi era ed un
dovere nostro.
Cos risponde lItalia guerreggiante ai fautori dei pacifici Turchi e della loro benefica scimitarra;
degli umani31 Beduini-Arabi che non usano violare e mutilare soltanto cadaveri; degli industriosi razziatori di negri e mercanti di schiavi.
G. Pascoli, Prose, Mondadori, Milano 1946
Giovanni Pascoli
sono le classi, vi sono nobili, borghesi e popolani, ma non sono in conflitto fra loro, cooperano tutte per lo stesso fine; vi pu essere
solo emulazione nel compiere eroicamente il
proprio dovere.
27. Ci che ... non : Pascoli afferma che
non si pu propriamente parlare di classi, l
dove vi continua possibilit di passaggio dal-
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Nazioni capitaliste
e proletarie
Pascoli, lemigrazione
e il nido
La giustificazione
della guerra colonialista
La propriet, base
della dignit individuale
Giovanni Pascoli
La guerra cementa
lo spirito nazionale ...
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per Pascoli, sono popoli barbari, crudeli, neghittosi, incivili, in una parola inferiori, ed una nazione di altissima e antica civilt come lItalia ha non solo il diritto ma il dovere di portare ad essi tale civilt, anche con la forza. Sono argomenti che erano divenuti un luogo comune nella coscienza delle nazioni colonialiste (ed oggi che ci sono ben chiari gli orrori del colonialismo non li possiamo sentire senza provare un brivido): ebbene, anche il mite, candido poeta fanciullino, che
sogna la bont e la fraternit umana, non riesce a sottrarsi al peso delle idee correnti della sua
epoca. Anche lintellettuale, che dovrebbe pensare, pensato dal meccanismo dei miti e dei luoghi comuni collettivi.
Guerra e spirito nazionale
Nel discorso pascoliano ricorre un altro caposaldo del pensiero nazionalista del primo Novecento. Attraverso la guerra coloniale si opera un riscatto delle plebi italiane, che erano state estranee agli ideali risorgimentali e alla nozione di patria, viene cementato finalmente lo spirito
nazionale: dalla guerra esce una vera nazione, unita dalla fede in comuni valori. Ne un segno
tangibile la macchina complessa dellesercito, che si vede allopera nella guerra di conquista, in cui
anche gli umili soldati sanno affrontare pericoli, privazioni, fatiche per un fine pi alto. un argomento che, di l a pochi anni, sar ripreso dai nazionalisti per esaltare la partecipazione dellItalia alla prima guerra mondiale. Combattendo fianco a fianco, giovani provenienti dalle pi
varie regioni dItalia stringono fra loro profondi legami e giungono cos a superare le barriere
regionali, che costituivano un ostacolo ad unautentica unit nazionale.
Ma per Pascoli cadono nella guerra anche le barriere tra le classi: nella battaglia lartigiano e
il contadino combattono e muoiono a fianco del borghese e del nobile; lunica lotta che sinstaura
fra loro lemulazione per compiere eroicamente il proprio dovere. Ricompare qui un concetto centrale dellideologia pascoliana, che gi abbiamo incontrato nel Fanciullino: la necessit di abolire
la lotta fra le classi. Lideale di Pascoli una societ senza conflitti, in cui permangano le divisioni tra i vari ceti sociali, ma in cui ciascuno resti al suo posto, contento di quello che ha, senza
contrapporsi a chi sta al di sopra di lui, per scalzarlo. Il concetto marxista di classe, quale era
propugnato allora dai socialisti, viene addirittura negato: non possono essere definite classi, per
Pascoli, quelle che non hanno confini rigidi, quelle in cui si pu entrare e da cui si pu uscire liberamente. Il poeta non si accorge cos che il suo pensiero si avvolge in una contraddizione: da un
lato esalta una societ dinamica, dove gli individui possono con facilit passare da un livello
sociale allaltro, ma al tempo stesso propone unimmagine statica di societ, in cui ciascuno realizza se stesso e la propria felicit restando pago del posto che occupa e non desiderando di pi.
PROPOSTE DI LAVORO
Esaminare lo stile del discorso, rintracciando le figure retoriche (ad esempio
metafore, parallelismi, antitesi, interrogazioni retoriche,
esclamazioni), riflettendo sulle conseguenze della costruzione per accumulo dei
termini, sul modo con cui
viene utilizzato un tipico lessico marxista (cfr. Proletaria, classe, lotta).
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