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GIORDANO BRUNO

Il tempo tutto toglie e tutto d; ogni cosa si muta, nulla sannichila;


un solo, che non pu mutarsi, un solo eterno, e pu perseverare
eternamente uno, simile e medesimo.
(Il Candelaio)

DIALOGHI ITALIANI
I
Dialoghi metafisici
(Sansoni, Firenze, 1985)
LA CENA DE LE CENERI
DIALOGO SECONDO
Teofilo. - Non , non impossibile, bench sii difficile, questa impresa. La difficolt
quella, ch' ordinata a far star a dietro gli poltroni. Le cose ordinarie e facili son per
il volgo ed ordinaria gente; gli uomini rari, eroichi e divini passano per questo camino
de la difficolt, a fine che sii costretta la necessit a concedergli la palma de la
immortalit. Giungesi a questo che, quantunque non sia possibile arrivar al termine di
guadagnar il palio, correte pure e fate il vostro sforzo in una cosa de si fatta
importanza, e resistete sin a lultimo spirto. Non sol chi vince vien lodato, ma anco
chi non muore da codardo e poltrone: questo rigetta la colpa de la sua perdita e morte
in dosso de la sorte, e mostra al mondo che non per suo difetto, ma per torto di
fortuna gionto a termine tale. Non solo
degno di onore quell'uno ch'ha meritato il palio, ma ancor quello e quell'altro c'ha si
ben corso, ch' giudicato anco deogno e sufficiente de l'aver meritato, bench non
l'abbia vinto. E son vituperosi quelli, ch'al mezzo de la carriera, desperati, si fermano,
e non vanno, ancor che ultimi, a toccar il termine con quella lena e vigor che gli
possibile.Venca dunque la perseveranza, perch, se la fatica tanta, il premio non
sar mediocre. Tutte cose preziose son poste nel difficile. Stretta e spinosa la via de
la beatitudine; gran cosa forse ne promette il cielo[]
DIALOGO PRIMO
Teofilo. - [] Il Nolano, per caggionar effetti al tutto contrarii, ha disciolto l'animo
umano e la cognizione, che era rinchiusa ne l'artissimo carcere de l'aria turbulento;
onde a pena, come per certi, buchi, avea facult de remirar le lontanissime stelle, e gli

erano mazze l'ali, a fin che non volasse ad aprir il velame di queste nuvole e veder
quello che veramente l su si ritrovasse, e liberarse da le chimere di quei, che,
essendo usciti dal fango e caverne de la terra, quasi Mercuri ed Apollini discesi dal
cielo, 'con moltiforme impostura han ripieno il mondo tutto d' infinite pazzie,
bestialit e vizii, come di tante verbi, divinit e discipline, smorzando quel lume, che
rendea divini ed eroici gli animi di nostri antichi padri, approvando e confirmando le
tenebre caliginose de' sofisti ed asini. Per il che gi tanto tempo l'umana raggione
oppressa, tal volta nel suo lucido intervallo piangendo la sua si bassa condizione, alla
divinae provida mente, che sempre ne l' interno orecchio li susurra, si rivolge con
simili accenti:
Chi salir per me, madonna, in ciclo,
A riportarne il mio perduto ingegno ?
(Ariosto, Orlando Furioso)
Or ecco quello, ch' ha varcato l'aria, penetrato il cielo, discorse le stelle, trapassati gli
margini del mondo, fatte svanir le fantastiche muraglia de le prime, ottave, none,
decime ed altre, che vi s'avesser potuto aggiongere, sfere, per relazione de vani
matematici e cieco veder di filosofi volgari; cossi al cospetto d'ogni senso e raggione,
co' la chiave di solertissima inquisizione aperti que' chiostri de la verit, che da noi
aprir si posseano, nudata la ricoperta e velata natura, ha donati gli occhi a le talpe,
illuminati i ciechi che non possean fissar gli occhi e mirar l' imagin sua in tanti
specchi che da ogni lato gli s' opponeno, sciolta la lingua a' muti che non sapeano e
non ardivano esplicar gl' intricati sentimenti, risaldati i zoppi che non valean far quel
progresso col spirto che non pu far l' ignobile e dissolubile composto, le rende non
men presenti che si fussero proprii abitatori del sole, de la luna ed altri nornati astri,
dimostra quanto si in o simili o dissimili, maggiori o peggiori quei corpi che
veggiamo lontano a quello che n' appresso ed a cui siamo uniti, e n' apre gli occhi a
veder questo nume, questa nostra madre, che nel suo dorso ne alimenta e ne nutrisce,
dopo averne produtti dal suo grembo, al qual di nuovo sempre ne riaccoglie, e non
pensar oltre lei essere un corpo senza alma e vita, ad anche feccia tra le sustanze
corporali. A questo modo sappiamo che si noi fussimo ne la luna o in altre stelle, non
sarreimo in loco molto dissimile a questo, e forse in peggiore; come possono esser
altri corpi cossi buoni, ed anca megliori per se stessi, e per la maggior felicit de'
propri animali. Cossi conoscemo tante stelle, tanti astri, tanti numi, che son quelle
tante centenaia de migliaia, ch'assistono al ministerio e contemplazione del primo,
universale, infinito ed eterno efficiente. Non pi impriggionata la nostra raggio ne
coi ceppi de' fantastici mobili e motori otto, nove e diece. Conoscemo, che non
ch'un cielo, un'eterea reggione immensa, dove questi magnifici lumi serbano le
proprie distanze, per comodit de la participazione de la perpetua vita. Questi
fiammeggianti corpi son que' ambasciatori, che annunziano l'eccellenza de la gloria e
maest de Dio. Cossi siamo promossi a scuoprire l'infinito effetto dell'infinita causa, il
vero e vivo vestigio de l' infinito vigore; ed abbiamo dottrina di non cercar la divinit
rimossa da noi, se l'abbiamo appresso, anzi di dentro, pi che noi medesmi siamo

dentro a noi; non meno che gli co !tori degli altri mondi non la denno cercare
appresso di noi, l'avendo appresso e dentro di s, atteso che non pi la luna cielo a
noi, che noi alla luna.
(pp.32-34)
DIALOGO TERZO
Teofilo. []se ben consideriamo, trovarremo la terra e tanti altri corpi, che son
chiamati astri, membri principali de l'universo, come danno la vita e nutrimento alle
cose che da quelli toglieno la materia, ed a' medesmi la restituiscano, coss e molto
maggiormente, hanno la vita in s; []
Teofilo. [] Muovensi dunque la terra e gli altri astri secondo le proprie differenze
locali dal principio intrinseco, che l'anima propria. []
DIALOGO QUARTO
Teofilo. [] Ma, come chiarissimamente ognuno pu vedere, nelli divini libri in
servizio del nostro intelletto non si trattano le demostrazioni e speculazioni circa le
cose naturali, come se fusse filosofia; ma, in grazia de la nostra mente ed affetto, per
le leggi si ordina la prattica circa le azione morali.

DE LA CAUSA, PRINCIPIO E UNO


DIALOGO SECONDO
Teofilo. Se dunque il spirto, la anima, la vita si ritrova in tutte le
cose e, secondo certi gradi, empie tutta la materia; viene
certamente ad essere il vero atto e la vera forma de tutte le cose.
Lanima, dunque, del mondo il principio formale constitutivo de
luniverso e di ci che in quello si contiene. Dico che, se la vita si
trova in tutte le cose, lanima viene ad esser forma di tutte le cose:
quella per tutto presidente alla materia e signoreggia nelli
composti, effettua la composizione e consistenzia de le parti. E per
la persistenza non meno par che si convegna a cotal forma, che a la
materia. Questa intendo essere una di tutte le cose; la qual per,
secondo la diversit delle disposizioni della materia e secondo la
facult de principii materiali attivi e passivi, viene a produr diverse
figurazioni, ed effettuar diverse facultadi, alle volte mostrando
effetto di vita senza senso, talvolta effetto di vita e senso senza
intelletto, talvolta par chabbia tutte le facultadi suppresse e
reprimute o dalla imbecillit o da altra raggione de la materia.
Coss, mutando questa forma sedie e vicissitudine, impossibile

che se annulle, perch non meno subsistente la sustanza


spirituale che la materiale. Dunque le formi esteriori sole si
cangiano e si annullano ancora, perch non sono cose ma de le
cose, non sono sustanze, ma de le sustanze sono accidenti e
circostanze.
DIALOGO TERZO
Teofilo. Questo vuole il Nolano, che uno intelletto che d l'essere a ogni cosa,
chiamato da' pitagorici e il Timeo datore de le forme; una anima e principio
formale, che si fa e informa ogni cosa, chiamata da' medesmi fonte de le forme ; una
materia, della quale vin fatta e formata ogni cosa, chiamata da tutti ricetto de le
forme. []
Dicsono Arelio. Volete dunque che, bench descendendo per questa
scala di natura, sia doppia sustanza, altra spirituale, altra corporale,
che in somma luna e laltra se riduca ad uno essere e una radice.
DIALOGO QUINTO
Teofilo. dunque l'universo uno, infinito, inmobile. Una, dico, la possibilit
assoluta, uno l'atto, una la forma o anima, una la materia o corpo, una la cosa, uno lo
ente, uno il massimo ed ottimo; il quale non deve posser essere compreso; e per
infinibile e interminabile, e per tanto infinito e interminato, e per conseguenza
inmobile. Questo non si muove localmente, perch non ha cosa fuor di s ove si
trasporte, atteso che sia il tutto. Non si genera; perch non altro essere, che lui possa
desiderare o aspettare, atteso che abbia tutto lo essere. Non si corrompe; perch non
altra cosa in cui si cange, atteso che lui sia ogni cosa. Non pu sminuire o crescere,
atteso che infinito; a cui come non si pu aggiongere, cossi da cui non si pu
suttrarre, per ci che lo infinito non ha parte proporzionabili. Non alterabile in altra
disposizione, perch non ha esterno, da cui patisca e per cui venga in qualche
affezione. Oltre che, per comprender tutte contrarietadi nell'esser suo in unit e
convenienza, e nessuna inclinazione posser avere ad altro e novo essere, o pur ad
altro e altro modo di essere, non pu esser soggetto di mutazione secondo qualit
alcuna, n pu aver contrario o diverso, che lo ' alteri, perch in lui . ogni cosa
concorde. Non materia, perch non figurato n figurabile, non terminato n
terminabile. Non forma, perch non informa n figura altro, atteso che tutto,
massimo, uno, universo. Non misurabile n misura. Non si comprende, perch
non maggior di s. Non si compreso, perch non minor di s. Non si agguaglia,
perch non altro e altro ma uno e medesimo. Essendo medesimo e uno, non ha
essere ed essere; e perch non ha essere ed essere, non ha parte e parte; e per ci che
non ha parte e parte, non composto. Questo termine di sorte che non termine,
talmente forma che non forma, talmente materia che non materia, talmente

anima che non anima: perch il tutto indifferentemente, e per uno, l'universo
uno.
[]
Perch, se vuoi dir parte de l'infinito, bisogna dirla infinito; se infinito, concorre in
uno essere con il tutto: dunque l'universo uno, infinito, impartibile. E se ne l'infinito
non si trova differenza, come di tutto e parte, e come di altro e altro, certo l'infinito
uno. Sotto la comprensione de l'infinito non parte maggiore e parte minore, perch
alla proporzione de l'infinito non si accosta pi una parte quantosivogliamaggiore che
un'altra quantosivoglia minore; e per ne l'infinita durazione non differisce la ora dal
giorno, il giorno da l'anno, l'anno dal secolo, il secolo dal momento; perch non son
pi gli momenti e le ore che gli secoli, e non hanno minor proporzione quelli che
questi a la eternit. Similmente ne l'immenso non differente il palmo dal stadio, il
stadio da la parasanga; perch alla proporzione de la inmensitudine non pi si accosta
per le parasanghe che per i palmi. Dunque infinite ore non son pi che infiniti secoli,
e infiniti palmi non son di maggior numero che infinite parasanghe. Alla proporzione,
similitudine, unione e identit de l'infinito non pi ti accosti con essere uomo che
formica, una stella che un uomo; perch a quello essere non pi ti avicini con esser
sole, luna, che un uomo o una formica; e per nell' infinito queste cose sono
indifferenti. E quello che dico di queste, intendo di tutte l'altre cose di sussistenza
particulare.
[]
Se il punto non differisce dal corpo, il centro da la circonferenza, il finito da l'infinito,
il massimo dal minimo, sicuramente possiamo affirmare che l'universo tutto centro,
o che il centro de l'universo per tutto, e che la circonferenza non in parte alcuna
per quanto differente dal centro, o pur che la Circonferenza per tutto, ma il centro
non si trova in quanto che differente da quella. Ecco come non impossibile, ma
necessario che l'ottimo, massimo, incompreensibile tutto, per tutto, in tutto,
perch, come semplice e indivisibile, pu esser tutto, esser per tutto, essere in tutto. E
cossi non stato vanamente detto che Giove empie tutte le cose, inabita tutte le parti
de l'universo, centro de ci che ha l'essere, uno in tutto e per cui uno tutto. Il
quale, essendo tutte le cose e comprendendo tutto l'essere in s, viene a far che ogni
cosa sia in ogni cosa.
Ma mi direste: perch dunque le cose si cangiano, la materia particulare si forza
ad altre forme? Vi rispondo, che non mutazione che cerca altro essere, ma altro
modo di essere. E questa la differenza tra l'universo e le cose de l'universo; perch
quello comprende tutto lo essere e tutti i modi di essere: di queste ciascuna ha tutto
l'essere, ma non tutti i modi di essere; e non pu attualmente aver tutte le circostanze
e accidenti, perch molte forme sono incompossibili in medesimo soggetto, o per
esserno contrarie o per appartener a specie diverse; come non pu essere medesimo
supposito individuale sotto accidenti di cavallo e uomo, sotto dimensioni di una
pianta e uno animale. Oltre, quello comprende tutto lo essere totalmente, perch estra
e oltre lo infinito essere non cosa che sia, non avendo estra n oltra; di queste poi
ciascuna comprende tutto lo essere, ma non totalmente, perch oltre ciascuna sono
infinite altre. Per intendete tutto essere in tutto, ma non totalmente e

omnimodamente in ciascuno. Per intendete come ogni cosa una, ma non


unimodamente.
(pp. 318-322)
DE LINFINITO, UNIVERSO E MONDI
PROEMIALE EPISTOLA
Questa quella filosofia che apre gli sensi, contenta il spirto, magnifica l'intelletto e
riduce l'uomo alla vera beatitudine che pu aver come uomo, e consistente in questa e
tale composizione; perch lo libera dalla sollecita cura di piaceri e cieco sentimento
di dolori, lo fa godere dell'esser presente e non pi temere che sperare del futuro;
perch la providenza o fato o sorte, che dispone della vicissitudine del nostro essere
particolare, non vuole n permette che pi sappiamo dell'uno che ignoriamo dell'altro,
alla prima vista e primo rancontro rendendoci dubii e perplessi. Ma mentre
consideramo pi profondamente l'essere e sustanza di quello in cui siamo inmutabili,
trovaremo non esser morte, non solo per noi, ma n per veruna sustanza; mentre nulla
sustanzialmente si sminuisce
ma tutto, per infinito spacio discorrendo, cangia il volto.
[]
Non sono fini, termini, margini, muraglia che ne defrodino e suttragano la infinita
copia de le cose. Indi feconda la terra ed il suo mare; indi perpetuo il vampa del
sole, sumministrandosi eternamente esca a gli voraci fuochi ed umori a gli attenuati
mari; perch dall' infinito sempre nova copia di materia sottonasce. Di maniera che
megliormente intese Democrito ed Epicuro che vogliono tutto per infinito rinovarsi e
restituirsi, che chi si forza di salvare eterno la costanza de l'universo, perch
medesimo numero a medesimo numero sempre succeda e medesime parti di materia
con le medesime sempre si convertano. Or provedete, signori astrologi, con li vostri
pedissequi fisici, per que' vostri cerchi che vi discriveno le fantasiate nove sfere
mobili; con le quali venete ad impriggionarvi il cervello di sorte che me vi presentate
non altrimente che come tanti papagalli in gabbia, mentre raminghi vi veggio ir
saltellando, versando e girando entro quelli. Conoscemo che si grande imperatore non
ha sedia si angusta, si misero solio; si arto tribunale, si poco numerosa corte, si
picciolo ed imbecille simulacro, che un fantasma parturisca, un sogno fracasse, una
mania ripare, una chimera disperda, una sciagura sminuisca, un misfatto ne taglia, un
pensiero ne restituisca; che con un soffio si colme e con un sorso si svode; ma un
grandissimo ritratto, mirabile imagine, figura eccelsa, vestigio altissimo, infinito
ripresentante di ripresentato infinito, e spettacolo conveniente all'eccellenza ed
eminenza di chi non pu esser capito, compreso, appreso. Cossi si magnifica
l'eccellenza de Dio, si manifesta la grandezza de l'imperio suo: non si glorifica in uno
ma in soli innumerabili: non in una terra, un mondo, ma in diececento mila, dico in
infiniti. Di sorte che non vana questa potenza dintelletto, che sempre vuole e puote
aggiungere spacio a spacio, mole a mole, unitade ad unitade, numero a numero, per

quella scienza che ne discioglie da le catene di un angustissimo, e ne promove alla


libert d'un augustissimo imperio, che ne toglie dall'opinata povert ed angustia alle
innumerevoli ricchezze di tanto spacio, di s dignissimo campo di tanti coltissimi
mondi; e non fa che circolo d'orizonte, mentito da l'occhio in terra e finto da la
fantasia nelletere spaciososo, ne possa impriggionare il spirto sotto la custodia d'un
Plutone e la merc d'un Giove. Siamo exempti da la cura d'un tanto ricco possessore e
poi tanto parco, sordido ed avaro elargitore, e dalla nutritura di si feconda e
tuttipregnante e poi si meschina e misera parturiscente natura.
(pp. 360-362)
DIALOGHI ITALIANI
II
Dialoghi morali
SPACCIO DE LA BESTIA TRIONFANTE
DIALOGO TERZO
Tutti lodano la bella et de l'oro, ne la quale facevo gli animi quieti e tranquilli,
absoluti da questa vostra virtuosa dea; a gli cui corpi bastava il condimento de la
fame a far piu suave e lodevol posto le ghiande, li pomi, le castagne, le persiche e le
radici, che la benigna natura administrava, quando con tal nutrimento meglio le
nutriva, piu le accarezzava e per piu tempo le manteneva in vita, che non possano far
giamai tanti altri artificiosi condimenti ch'ha ritrovati I'Industria ed il Studio, ministri
di costei; Ii quali, ingannando il gusto ed allettandolo, amministrano come cosa dolce
il veleno; e mentre son prodotte pi cose che piaceno al gusto, che quelle che giovano
al stomaco, vegnono a noiar alla sanit e vita, mentre sono intenti a compiacere alla
gola. Tutti magnificano l'et de l'oro, e poi stimano e predicano per virtu quella
manigolda che la estinse, quella ch' ha trovato il mio ed il tuo: quella ch' ha divisa e
fatta propria a costui e colui non solo la terra (la quale data a tutti gli animanti suoi),
ma, ed oltre, il mare, e forse l'aria ancora. Quella, ch'ha messa la legge a gli altrui
diletti, ed ha fatto che quel tanto che era bastante a tutti, vegna ad essere soverchio a
questi e meno a quell'altri; onde questi, a suo mal grado, crapulano, quelli altri si
muoiono di fame. Quella ch' ha varcati gli mari, per violare quelle leggi della natura,
confondendo que' popoli che la benigna madre distinse, e per propagare i vizii d'una
generazione in un'altra I; perch non son cossi propagabili le virtudi, eccetto se
vogliamo chiamar virtudi e bontadi quelle che per certo inganno e consuetudine son
cossi nomate e credute, bench gli effetti e frutti sieno condannati da ogni senso e
ogni natural raggione. Quai sono le aperte ribaldarie e stoltizie e malignitadi di leggi
usurpati ve e proprietarie del mio e tuo; e del piu giusto, che fu piu forte' possessore;
e di quel pi degno, che stato pi sollecito e pi industrioso e primiero occupatore
di que' doni e membri de la terra, che la natura e, per conseguenza, Dio
indifferentemente donano a tutti.
[]

E soggionse che gli dei aveano donato a l'uomo l'intelletto e le mani, e l'aveano fatto
simile a loro,. donandogli facult sopra gli altri animali; la qual consiste non solo in
poter operar secondo la natura ed ordinario, ma, ed oltre, fu or le leggi di quella;
acci, formando o possendo formar altre nature, altri corsi altri ordini con l'ingegno,
con quella libertade, senza la quale non arrebe detta similitudine, venesse ad serbarsi
dio de la terra. Quella certo, quando verr ad essere ociosa sar frustratoria e vana,
come indarno l'occhio che non vede, e mano che non apprende. E per questo ha
determinato la providenza, che vegna occupato ne l'azione per le mani, e
contemplazione per l'intelletto; de maniera che non contemple senza azione, e non
opre senza contemplazione.
(pp. 727-733)
CABALA DEL CAVALLO PEGASEO
DIALOGO SECONDO
Onorio. Quella de l'uomo medesima in essenza specifica e generica con quella de le
mosche, ostreche marine e piante, e di qualsivoglia cosa che si trove animata o abbia
anima: come non corpo che non abbia o pi o meno vivace e perfettamente
communicazion di spirito in se stesso. Or cotal spirito, secondo il fato o providenza,
ordine o fortuna, viene a giongersi or ad una specie di corpo, or ad un'altra; e secondo
la raggione della diversit di complessioni e membri, viene ad avere diversi gradi e
perfezioni d'ingegno ed operazioni. L onde quel spirito o anima che era nell'aragna,
e vi avea quell'industria e quelli artigli e membra in tal numero, quantit e forma;
medesimo, gionto alla prolificazione umana, acquista altra intelligenza, altri
instrumenti, attitudini ed atti. Giongo a questo che, se fusse possibile, o in fatto si
trovasse che d'un serpente il capo si formasse e stornasse in figura d'una testa umana,
ed il busto crescesse in tanta quantit quanta pu contenersi nel periodo di cotal
specie, se gli allargasse la lingua, amprassero le spalli, se gli ramificassero le braccia
e mani, ed al luogo dove terminata coda andassero ad ingeminarsi le gambe;
intenderebbe, apparirebbe, spirarebbe, parlarebbe, oprarebbe e caminarebbe non
altrimente che l'uomo; perch non sarebbe altro che uomo. Come, per il contrario,
l'uomo non sarebbe altro che serpente, se venisse a contraere, come dentro un ceppo,
le braccia e gambe, e l'ossa tutte concorressero alla formazion d'una spina,
s'incolubrasse e prendesse tutte quelle figure de mmbri ed abiti de complessioni.
Allora arrebe pi o men vrvace ingegno; in luogo di parlar, sibilarebbe; in luogo di
caminare, serperebbe; in luogo d'edificarsi palaggio, si cavarebbe un pertuggio; e non
gli converrebe la stanza, ma la buca; e come gi era sotto quelle, ora sotto queste
membra, instrumenti, potenze ed atti: come dal medesimo artefice diversamente
inebriato dalla contrazion di materia e da diversi organi armato, appaiono exercizii de
diverso ingegno e pendeno execuzioni diverse.
[]
E che ci sia la verit, considera un poco al sottile, ed essamina entro a te stesso quel
che sarrebe, se, posto che l'uomo avesse al doppio d'ingegno che non ave, e l'

intelletto agente gli splendesse tanto piu chiaro che non gli splende, e con tutto ci le
mani gli venesser transformate in forma de doi piedi, rimanendogli tutto l'altro nel
suo ordinario intiero; dimmi dove potrebbe impune esser la conversazion de gli
uomini? Come potrebero instituirsi e durar le fameglie ed unioni di costoro
parimente, o pi, che de cavalli, cervii, porci, senza esserno devorati da innumerabili
specie de bestie, per essere in tal maniera suggetti a maggiore e pi certa ruina? E per
conseguenza dove sarrebono le istituzioni de dottrine, le invenzioni de discipline, le
congregazioni de cittadini, le strutture de gli edificii ed altre cose assai che
significano la grandezza ed eccellenza umana, e fanno
l'uomo trionfator veramente invitto sopra l'altre specie? Tutto questo, se oculatamente
guardi, si referisce non tanto principalmente al dettato de l' ingegno, quanto a quello
della mano, organo de gli organi.
(pp. 885-887)
DE GLI EROICI FURORI
D'un s bel fuoco e d'un s nobil laccio
Belt m'accende, ed onest m'annoda,
Ch'in fiamm'e servit convien ch'io goda.
Fugga la libertade e tema il ghiaccio.
L'incendio tal ch'io m'ardo e non mi sfaccio,
E 'l nodo tal ch'il mondo meco il loda,
N mi gela timor, n duol mi snoda;
Ma tranquillo l'ardor, dolce l'impaccio.
Scorgo tant'alto il lume che m'infiamma,
E 'l laccio ordito di s ricco stame,
Che nascendo il pensier, more il desio.
Poich mi splend'al cor s bella fiamma,
E mi stringe il voler s bel legame,
Sia serva l'ombra, ed arda il cener mio
(La bellezza di ci che amo mi infiamma e il suo valore mi sogggioga al punto che
nel fuoco e nella prigionia trovo il massimo piacere. Quel fuoco, infatti, non
distrugge, ma vivifica e tutto il mondo celebra il legame damore. Nessun timore gela
quel fuoco, nessun dolore scioglie quel legame: lardore sereno, la servit dolce.
Lardore per ci che amo cos intenso ed il legame cos fecondo, che basta
concepirlo per appagare ogni desiderio. Si adegui dunque lombra del corpo alla
volont di fondersi con ci che si ama e possa sciogliersi internamente alla fiamma di
questo fuoco)

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