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2014

Proprietà artistica e letteraria


riservata per tutti i paesi.
Ogni riproduzione, anche parziale, è vietata.
Prima edizione: maggio 2014

ISBN 978-88-97741-31-2

© 2014, Editrice Gaia

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84012 Angri (Salerno)
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Nel presentare questa iniziativa editoriale, anche a nome dei col-
leghi che compongono il Comitato Scientifico, Prof.ri Gianfranco
Macrì, Giancarlo Sorrentino e Francesco Armenante, almeno tre
questioni meritano di essere chiarite.
La prima. Il titolo della rivista volutamente ricorda quel “Centro
di Studi e Ricerche Pubblicistiche” che, su impulso del compianto
Prof. Fulvio Fenucci, un gruppo di giovani ricercatori salernita-
ni fondò nel 1991 e che per oltre un decennio fu protagonista di
numerose iniziative nel campo del diritto pubblico, da importanti
convegni, a ricerche, a corsi di formazione post universitari, fino
all’edizione di una serie di volumi in tema di potestà normativa
locale, edilizia, biotecnologie, lavori pubblici.
La seconda. Scopo della Rassegna, che quantomeno per i primi
numeri avrà cadenza annuale, è quello di rappresentare un luogo
di riflessione per le nuove generazioni di giuristi pubblicisti che
gravitano interno all’Università di Salerno, nel quale neo laureati e
docenti possano confrontarsi, attingendo i primi all’esperienza e i
secondi all’entusiasmo degli altri.
Ovviamente la rivista non sarà preclusa anche ad altri contributi,
che potranno ulteriormente arricchire il dibattito.
La terza. La scelta della copertina segna da subito una connotazione
della rivista: essa intende preferibilmente (ma non esclusivamente) oc-
cuparsi, mantenendo costante l’ottica giuspubblicistica, di tematiche
che riguardino la marginalità, la solidarietà e la sussidiarietà, partendo
dalla consapevolezza che il mondo e, segnatamente, l’Europa e l’Italia
sono profondamente cambiate in seguito alla crisi economica partita
dagli USA fra il 2007 ed il 2008 e tutt’ora in pieno svolgimento.

3
Tre chiarimenti, dunque, ed un auspicio: di dare con questa sem-
plice iniziativa editoriale un contributo di riflessione e di parteci-
pazione alla costruzione di una società più equa e meno escludente,
favorendo la formazione di una nuova classe dirigente all’altezza
delle difficili sfide dell’oggi e del domani.

Salerno, 14 aprile 2014

Marco Galdi

4
Marco Galdi
Crisi economica e Costituzione:
fra inadeguato funzionamento
del sistema tributario ed esigenza
di redistribuzione della ricchezza

sommario

1. La crisi economica dei Paesi del Sud di Eurolandia è colpa delle


Costituzioni “socialiste”: parola di JP Morgan… e non solo. | 2. Le
ragioni reali della crisi e la sua natura strutturale. | 3. Costituzione ma-
teriale “eteronoma” versus Costituzione formale: dalla negazione del
valore normativo della Costituzione economica al “diritto della crisi”
come eccezione allo Stato sociale, fino alla riforma della Costituzione
formale. | 4. La rigidità costituzionale come presidio del patto sociale,
tanto più stringente in periodo di crisi: la redistribuzione della ricchez-
za come strada obbligata e “problema costituzionale”. | 5. Fallimento
dello strumento previsto in Costituzione per assicurare il finanziamento
delle funzioni statali (progressività dell’imposta) e necessità di ristabilire
condizioni di equità sociale. | 6. Prime resistenze nella giurisprudenza
costituzionale. Il ruolo dei costituzionalisti.
1. La Jp Morgan, società finanziaria statunitense, tra le prota-
goniste della finanza creativa e quindi della crisi dei subprime del
2008, il 28 maggio 2013 ha presentato un documento di 16 pagi-
ne in cui consiglia ai governi nazionali d’Europa, per sopravvivere
alla crisi del debito pubblico, di liberarsi al più presto delle Co-
stituzioni antifasciste1. Si legge nella relazione: «Quando la crisi è
iniziata era diffusa l’idea che questi limiti intrinseci avessero natura
prettamente economica. Ma col tempo è divenuto chiaro che esistono
anche limiti di natura politica». Infatti: «i sistemi politici dei paesi
del sud, e in particolare le loro Costituzioni, adottate in seguito alla
caduta del fascismo, presentano una serie di caratteristiche che appa-
iono inadatte a favorire la maggiore integrazione dell’area europea».
E ancora: «i sistemi politici della periferia meridionale sono stati
instaurati in seguito alla caduta di dittature, e sono rimasti segnati da
quell’esperienza. Le Costituzioni mostrano una forte influenza delle
idee socialiste, e in ciò riflettono la grande forza politica raggiunta
dai partiti di sinistra dopo la sconfitta del fascismo». Infine: «i siste-
mi politici e costituzionali del sud presentano le seguenti caratteri-
stiche: esecutivi deboli nei confronti dei Parlamenti; governi centrali
deboli nei confronti delle Regioni; tutele costituzionali dei diritti dei
lavoratori; tecniche di costruzione del consenso fondate sul cliente-
1
La notizia è riportata da “Repubblica”, 21 giugno 2013, La crisi economica
europea? Colpa delle Costituzioni socialiste. V. anche E. Di Dio, JP Morgan: la Co-
stituzione italiana e l’euro non sono compatibili. Ecco perché, in Forexinfo.it del 10
giugno 2013; C. Clericetti, Per uscire dalla crisi stracciate la Costituzione, in Politica
del 21 giugno 2013; L. Pisapia, Ricetta Jp Morgan per un’Europa integrata: liberarsi
delle Costituzioni antifasciste, in “Il Fatto Quotidiano” del 19 giugno 2013.

7
lismo; e la licenza di protestare se sono proposte modifiche sgradite
dello status quo»2.
Se la supponenza di certa finanza creativa non merita nemme-
no un riscontro, soprattutto quando la critica proviene da uno dei
maggiori responsabili della bolla speculativa negli USA3, non va
sottovalutato il pericolo insito in queste dichiarazioni: esse tradi-
scono l’affondo in atto contro il modello di Stato sociale, che ci ha
connotati per circa mezzo secolo, e sottendono un preciso approc-
cio ideologico alla crisi.
Si tratta, peraltro, di un affondo concertato da più protagoni-
sti: dentro le istituzioni europee chiara sponda a questa linea la
dà la BCE4, che, pur priva di legittimazione democratica, è andata
diritta al cuore dello Stato sociale, spingendo i governi nazionali a
ridimensionare i servizi pubblici essenziali, i diritti dei lavoratori, i
loro trattamenti pensionistici, ecc.5

2
Cfr. JP Morgan, The Euro area adjustment: about halfway there, 28 May 2013,
in http://culturaliberta.files. wordpress.com/2013/06/jpm-the-euro-area-adjustment-a-
bout-halfway-there.pdf, 12 ss., secondo cui, inoltre, “la crisi ha illustrato a quali con-
seguenze portino queste caratteristiche. I paesi della periferia hanno ottenuto succes-
si solo parziali nel seguire percorsi di riforme economiche e fiscali, e abbiamo visto
esecutivi limitati nella loro azione dalle Costituzioni (Portogallo), dalle autorità locali
(Spagna), e dalla crescita di partiti populisti (Italia e Grecia)”. Contra A. Chiappetti,
Un ritorno al passato per la futura costituzione economica, Presentazione del volume
numero 3 dell’anno 2009 di Percorsi costituzionali, “La Costituzione Economica, oggi”,
in http://www.magna-carta.it/content/ritorno-al-passato-futura-costituzione-economi-
ca-0, secondo il quale, pur dovendosi riconoscere l’indubbia influenza dei partiti
comunista e socialista, la Costituzione economica italiana costituisce un unicum ori-
ginale, essendo l’esperienza italiana diversa, per questo profilo, anche da quella degli
altri Stati europei che, come l’Italia, sono usciti da un periodo di soppressione delle
libertà e delle istituzioni democratiche (R.F.T., Spagna e Portogallo).
3
Lo stesso governo federale americano ha formalmente denunciata nel 2012
la JP Morgan come responsabile della crisi, in particolare per l’acquisto della
banca d’investimento Bear Sterns.
4
Parla di una “cupola di poteri tecnocratici europei, che racchiude il Con-
siglio europeo, la Commissione, la BCE, l’ECOFIN e l’Eurogruppo” G. Bucci,
BCE versus Costituzione italiana, in sinistrainrete di lunedì 25 Giugno 2012.
5
Cfr. G. Bucci, op.cit., secondo il quale la BCE svolge le funzioni di “intellet-
tuale collettivo del capitalismo”, nel senso di lavorare per garantire le condizioni
dell’accumulazione capitalistica nell’area europea e, quindi, il livello generale dei

8
Né questo affondo è passato senza suscitare un dibattito, sia pure
fra i commentatori politici e gli economisti6.

2. In vero, la situazione necessita di essere valutata superando i


tentativi di semplificazione ideologica7: il dramma sociale che vive

profitti delle imprese. Di fatti si è realizzata una progressiva imposizione di vin-


coli di bilancio agli Stati membri a partire dal trattato di Maastricht e fino ai più
recenti Europlus e Six Pack.
In particolare, con il Patto Euro Plus, gli Stati membri si impegnano a realizzare
politiche di “riforma” nei settori socialmente più sensibili quali quelli relativi agli
accordi salariali (revisione del grado di accentramento del processo negoziale; mec-
canismi di indicizzazione); al mercato del lavoro (promozione della flexicurity); alla
previdenza, all’assistenza sanitaria ed al regime pensionistico (riduzione della spesa
pensionistica, sanitaria e sociale in senso lato). Gli Stati si impegnano, inoltre, a re-
cepire, nelle Costituzioni o nella legislazione nazionale, le regole di bilancio dell’UE
fissate nel Patto di stabilità e crescita. Cfr. Conclusioni del Consiglio europeo, Bru-
xelles, 25 Marzo 2011, EUCO 10/11. Con il Six pack, approvato il 4 ottobre 2011,
si stabiliscono invece sei misure legislative sulla governance economica, che trasfe-
riscono sostanzialmente le scelte di bilancio al livello comunitario, rafforzando le
funzioni di indirizzo e di sorveglianza dei bilanci, nonché prevedendo l’irrogazione
di sanzioni e multe per gli Stati membri che non rispettano i parametri relativi al de-
ficit ed al debito pubblico. Gli Stati che non rispettano la regola del limite del deficit
annuale del 3%, dovranno effettuare, infatti, un deposito pari allo 0,2% del Pil, che
potrebbe trasformarsi in multa e dovranno, altresì, rientrare nella misura di un 20%
all’anno della quota di debito che eccede il 60% del Pil.
6
Cfr. G. Vaciago, «La colpa non è della Costituzione di sinistra» – ECONOMIA.
htm; C. De Fiores, La sindrome della Jp Morgan e l’assalto alla Costituzione, in Alba,
Manifesto per un soggetto politico nuovo, del 28 luglio 2013, il quale rileva come l’of-
fensiva oggi in atto contro la Costituzione sia senza precedenti, perché il bersaglio
non è più soltanto la seconda parte della Costituzione italiana, ma il costituzionali-
smo democratico tout court. Ritiene che dal tradimento della Costituzione discende
la crisi di oggi A. Chiappetti, op. loc. cit.
7
Che il liberismo non sia una scelta naturale, ma politica e ideologica, assi-
curata da precise regole del gioco imposte dallo Stato è sostenuto, fra gli altri, da
K. Polany, La grande trasformazione, Einaudi, Torino, 1974, 180, che parla di una
pianificazione del laissez-faire, e prima ancora da A. Gramsci, Quaderni del carce-
re, a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino, 1975, 1590, secondo cui “il liberismo
è una regolamentazione di carattere statale”, ovvero un “programma politico (…)
introdotto e mantenuto per via legislativa e coercitiva (…) destinato a mutare la
distribuzione del reddito nazionale”.

9
una larga parte della popolazione dei Paesi del meridione d’Europa
per le conseguenze della crisi impone quantomeno di riflettere e di
valutare le cause di una trasformazione complessa, tutt’ora in atto8.
In un recente intervento9, lucidamente Fulco Lanchester esami-
na cinque situazioni di crisi “in un mondo in cui la velocità del
cambiamento si è velocizzata” (dove “crisi” è, come noto, sinoni-
mo di cambiamento10): 1) la crisi di riqualificazione dei rapporti
geopolitici globali che ha visto il passaggio dall’asse dell’Atlantico
a quello del Pacifico; 2) la conseguente crisi dello Stato sociale eu-
ropeo; 3) la crisi della democrazia rappresentativa; 4) la crisi della
costruzione europea; 5) in particolare: la crisi italiana11.
Soffermandoci sull’aspetto geopolitico (gli altri profili della crisi
sono complementari e consequenziali, nella misura in cui le rispo-
ste ai problemi di origine finanziaria presentano un forte caratte-
re antisociale e prescindono dal circuito democratico12, minando

8
Cfr. M. Franzini, Ricchi e poveri. L’Italia e le disuguaglianze (in)accettabili,
Milano, 2010, 15 ss. Sull’alto tasso di diseguaglianza e sull’aumento della povertà
in Italia in conseguenza alla crisi economico-finanziaria aperta nel 2007, si veda-
no inoltre: M. Revelli, Poveri noi, Torino, 2010; L. Pennacchi, Le diseguaglianze
accresciute e i modi per contrastarle, in Governare l’economia globale. Nella crisi e
oltre la crisi, a cura di G. Amato, Firenze, 2009, 87 ss.; G. Altieri, L. Birindelli, F.
Dota, G. Ferucci (a cura di), Un mercato del lavoro sempre più “atipico”: scena-
rio della crisi, Rapporto di ricerca n. 8/2011, Istituto di Ricerche Economiche e
Sociali (IRES). Si vedano anche gli inquietanti dati ISTAT sulla povertà in Italia,
pubblicati nel 2012, su www.istat.it.
9
Cfr. F. Lanchester, Le cinque crisi e i compiti del diritto costituzionale, Rela-
zione introduttiva all’incontro italo-tedesco su Crisi economica, Governo tecnico,
grande coalizione: Italia e Germania a confronto, tenutosi a Villa Vigoni (Loveno di
Menaggio) il 22-23 luglio 2012, in PARLALEX – Archivio di legislazione compara-
ta, Domenica, 11 Agosto 2013.
10
Cfr. I. Ciolli, I diritti sociali al tempo della crisi economica, in www.costituzio-
nalismo.it del 5 novembre 2012, la quale ricorda come la parola “crisi” inizialmente
aveva un significato diverso, di “passaggio”, transizione tra due momenti storici.
11
Le ragioni della crisi sono analizzate anche da G. Guarino, L’Europa imper-
fetta. UE: problemi, analisi, prospettive, in www.costituzionalismo.it, 3/2011, e G.
Pitruzzella, Chi governa la finanza pubblica in Europa?, in Quad. cost., 1/2012, 9 ss.
12
Cfr. C. De Cabo, La crisis del Estado social, PPU, Barcelona, 1986, 10, 57,
per il quale la crisi dello Stato sociale comporta la crisi dello stesso Stato demo-
cratico e di diritto.

10
alle fondamenta la coesione economica e sociale in Europa), non
si può tacere la suggestione dell’analisi proposta, che coglie un pa-
rallelismo fra quanto accaduto intorno al XVI secolo e quanto si
registra a conclusione del XX: se nel primo periodo si realizza,
in seguito alla scoperta dell’America, lo spostamento progressivo
dell’asse economico (e, quindi, politico-culturale) dal Mediterra-
neo all’Atlantico, prima meridionale (Spagna e Portogallo) e poi
settentrionale (Francia, Gran Bretagna, Paesi Bassi); dagli anni ‘90
del XX secolo, con la caduta del socialismo reale, l’asse si sposta
dall’Atlantico al Pacifico, prima con la gravitazione nippo-ameri-
cana, ora sino-americana13.
Invero, il cambiamento in atto presenta plurimi aspetti, la cui
complessità è ancora lungi dall’essere sufficientemente analizzata.
Ad esempio, ma qui si tratta di fenomeno ampiamente indagato,
l’osmosi fra sistemi economici tutti fra loro comunicanti, principale
epifania della globalizzazione, sta comportando un riequilibrio an-
che a vantaggio dei Paesi c.d. “poveri” (specialmente ove abbiano
materie prime e godano di stabilità politica), che stanno vivendo
(finalmente!) una fase di rilancio, registrando spesso significativi
incrementi del PIL annuo; mentre, parallelamente, a fronte della
crescita mondiale stimata al 3,1% nel 2013 e al 4% nel 201414,
l’area Euro è quella a crescita inferiore, con un calo generalizzato
soprattutto delle Nazioni periferiche15.
Se indagare a fondo le cause della crisi non è certo compito del
giurista, anche ad esso spetta analizzare la natura di questo profon-
do cambiamento, che viene da lontano16 e, in quanto non transi-

13
Cfr. F. Lanchester, ivi. Descrive la prima fase di perdita della centralità del
mediterraneo C.M. Cipolla, Storia economica dell’Europa pre-industriale, Il Muli-
no, Bologna, 2009, passim.
14
Cfr. OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico),
twice-yearly Economic Outlook.
15
Crescita mondiale del PIL 2013/14: le stime OCSE per ogni nazione del 2
giugno 2013.
16
Come è stato notato, a partire dalla metà degli anni Settanta, sulle due sponde
dell’Atlantico si sono poste in essere politiche dirette alla rimozione “dei vincoli
alla circolazione dei capitali, a promuovere le attività speculative delle banche e la
formazione di una rete inestricabile di dipendenze reciproche tra i sistemi industriali

11
torio17, sta producendo effetti drammatici sulla forma stessa dello
Stato, intesa come patto fondativo del rapporto fra il popolo e le
istituzioni politiche18.
Immediate, evidenti ed ampiamente indagate, infatti, si presenta-
no le conseguenze sull’effettivo godimento dei diritti sociali nell’a-
rea europea, che minano il principale momento di legittimazione e
di coesione all’interno dei singoli Stati e la stessa costruzione euro-
pea19, in un contesto in cui gli Stati – soprattutto dopo Maastricht,
che li ha obbligati a rispettare una serie di rigidi parametri econo-
mici20 – non governano più i propri bilanci e quindi non dispongo-

e finanziari dei diversi Paesi, in cui è stata prodotta una massa di strumenti derivati
complessi e sempre meno tracciabili”. Cfr. G. Bucci, op. loc. cit.
17
Cfr. A. Cantaro, Crisi costituzionale europea e diritto della crisi, in Atti del
convegno internazionale di studi “Costituzionalismo, Costituzione e interpretazio-
ne costituzionale”, 29 maggio 2012, www.dirittifondamentali.it, secondo il quale
la crisi che, a partire dal 2007, ha investito la finanza globale ha assunto in Europa
i tratti di una vera e propria crisi di sistema.
18
Cfr. G. Ferrara, La crisi del neoliberismo e della governabilità coatta, in www.
costituzionalismo.it del 29 maggio 2013, per il quale “la crisi che stiamo vivendo è
totale. Coinvolge ogni aspetto della convivenza umana. È crisi politica, economi-
ca, sociale, istituzionale, morale. Viene da lontano. Da quando iniziò la controri-
voluzione capitalistica. Quella che reagì alla fondazione e alle realizzazioni dello
stato sociale costruito in Occidente nei trenta “anni d’oro” della “rivoluzione
sociale” e della “rivoluzione culturale” come li chiamò Hobsbawm. Reagì per li-
quidarne le conquiste, rovesciarne i principi, disperdere i soggetti storico-politici
che lo avevano progettato e che lo sostenevano”. Che l’attuale crisi modifichi le
categorie stesse della forma di stato democratica è sostenuto da J. Clam, What is
the crisis?, in P. F. Kjaer, G. Teubner, A. Febbrajo, The financial crisis in Constitu-
tional perspective, Oxford, Hart Publishing, 2011, 192 e 195 ss.
19
Sul tema v. A. Spadaro, I diritti sociali di fronte alla crisi (Necessità di un
nuovo “modello sociale europeo”: più sobrio, solidale e sostenibile), in www.rivi-
staaic.it, 4/2011. V., anche, R. Dickmann, Unione politica europea e spesa sociale
nazionale, in Federalismi.it, 2012, fasc. XV, su www.federalismi.it, pp. 1 ss., il
quale rileva come la questione cruciale non è tanto se gli Stati debbano rinunciare
ancora a porzioni di sovranità statale, ma se debbano rinunciare anche alle mani-
festazioni cruciali della sovranità nazionale, vale a dire alla spesa sociale nelle sue
tipiche voci, l’assistenza sanitaria e la previdenza sociale.
20
Mantenere il rapporto tra deficit pubblico e prodotto interno lordo nel limi-
te del 3%; un rapporto tra debito pubblico e PIL non superiore al 60%; un tasso

12
no degli strumenti per reagire alla crisi con politiche di riequilibrio
di stampo keynesiano21.

3. Non si può negare che in questa parte dell’analisi JP Morgan


colga nel segno: la negazione dei diritti sociali contrasta chiara-
mente con il patto costituzionale su cui si fonda la comunità poli-
tica nazionale, che, al pari di analoghi ordinamenti strutturatisi a
conclusione del secondo conflitto mondiale, vede nel principio di
uguaglianza sostanziale la regola cardine dell’equilibrio fra diffe-
renti classi sociali22.
Il tentativo, però, di giustificare questa evoluzione come una
necessaria, quasi ineluttabile conseguenza dell’applicazione delle
regole del mercato, che sfuggirebbero alla sovranità nazionale, di
fatto realizza una alterazione se non addirittura un sovvertimen-
to profondo della costituzione materiale, tanto più inaccettabile
quanto più le forze dominanti che lo realizzano risultano addirittu-
ra estranee al contesto nazionale o solo marginali in esso.
La rottura in atto della Costituzione materiale, con l’affermazio-
ne del nuovo ordine economico, si realizza attraverso due approcci
interpretativi di immediata rilevabilità, tanto sul piano dottrinale
che giurisprudenziale: la negazione del valore normativo della Co-
stituzione economica italiana e, più di recente, la ricostruzione del
“diritto della crisi” come eccezione ai diritti costituzionali. Ma si
deve registrare una circostanza ancor più inquietante: si assiste, in
questi tempi tristi, ad una accettazione generalizzata e supina di un
potere esterno all’ordinamento italiano che condiziona e spinge a

d’inflazione non superiore dell’1,5% rispetto a quello dei tre Paesi più virtuosi;
un tasso d’interesse a lungo termine non superiore al 2% del tasso medio degli
stessi tre Paesi.
21
Cfr. A. Ruggeri, Crisi economica e crisi della Costituzione, Relazione conclusiva
per l’Italia delle V Giornate italo-ispano-brasiliane di diritto costituzionale su La
Costituzione alla prova della crisi finanziaria mondiale, Lecce 14-15 settembre 2012,
in www.giurcost.org/studi/Ruggeri19.pdf, 19, per il quale, con la previsione costitu-
zionale del pareggio di bilancio, è in atto una forte contrazione nel godimento di
diritti e, in genere, nell’appagamento di bisogni considerati irrinunciabili.
22
In tal senso v., già, L. Elia, La Costituzione materiale di uno Stato pluriclasse,
in Parlamento, 10-11, 1979, 7 s.

13
modificare finanche la Costituzione formale, ultimo presidio dello
Stato sociale, ormai minato alle fondamenta.
Prima manifestazione della tendenza “negazionista” è stata l’af-
fermazione del vincolo costituzionale che discende dall’UE e che
si è concretizzata nel ritenere superato, prevalendo le regole del
mercato, l’approccio “dirigista” della nostra Costituzione, consi-
derato al pari di un relitto svuotato della sua originaria efficacia
precettiva. Non è certo difficile rinvenire nel dibattito degli ultimi
decenni chiari esempi di questa impostazione, non a caso a partire
dall’adozione del trattato di Maastricht23.
Questa teorizzazione della prevalenza delle regole concorrenziali
e di stampo liberista ha giustificato una lenta trasformazione ordi-
namentale, coincidente con un passaggio graduale e quasi inavver-
tibile, nel quale il condizionamento sull’economia reale si è manife-
stato solo in seguito all’applicazione giurisprudenziale delle nuove
regole ad opera della Corte di Giustizia, vero motore creativo
dell’integrazione europea, nonché in seguito alle ripetute sanzioni
comminate all’Italia dalla Commissione Europea. La lentezza del
processo ha, peraltro, favorito una scarsa consapevolezza delle sue
conseguenze, agevolata anche dal ritardo che vi è stato nella co-
stituzionalizzazione formale del riconoscimento dell’appartenen-
za dell’Italia all’Unione Europea, realizzatosi solo nel 2001, con
la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione (art. 117),
quasi a sottintendere che inalterati dovevano rimanere i principi
cardine della Carta, trascritti nella Parte I del documento.
Parallelamente e inavvertitamente nel nostro ordinamento si è
ceduto a soggetti “tecnici”, privi di legittimazione democratica (in
primis la BCE, ma sostanzialmente investitori e società di rating),
il “potere di dire la prima e l’ultima parola sull’ordine economico e
sociale della comunità”24, rinunciando a quella fondamentale com-
23
Cfr. G. Amato, Il mercato nella Costituzione, in Quad. cost., 1992, 12 ss.
Ma convinti epigoni si rinvengono anche nel dibattito attuale. Per tutti v. G. Di
Plinio, Mutamento costituzionale e libertà economica, in www.fondazionecristofo-
rocolombo.it/intervento_Di_Plinio.html, 15/03/2011, 6 s., 15.
24
Identifica la principale causa della crisi nel deficit di sovranità politica del-
le istituzioni collettive (partiti, Stati, poteri pubblici sovranazionali), codificato
nell’ordine di Maastricht, che in tutto il mondo, tranne in Europa, sono titolari

14
ponente della sovranità statale, che forse più di ogni altra concorre
a definire i contenuti del patto sociale all’interno dello Stato nazio-
nale; senza peraltro che fossero individuati a livello comunitario
reali meccanismi di garanzia della coesione economica e sociale25,
pur individuata quale componente costitutiva, soprattutto con il
trattato di Amsterdam, delle politiche comunitarie26.
Seconda manifestazione della tendenza “negazionista” è stata
la ricostruzione del “diritto della crisi” come eccezione ai dirit-
ti costituzionali, che trae la sua legittimazione da categorie note
al discorso giuridico quali l’emergenza o lo stato di necessità27. Si
tratta di un approccio adottato non solo in Italia, ma anche in altri
Paesi europei, che stanno attraversando analoghe e, talora, ancor
più drammatiche situazioni, come nel caso della Grecia.
Quanto al nostro Paese, si registra l’orientamento della Corte co-
stituzionale secondo cui, in tempo di crisi, le prestazioni da parte
della Repubblica, necessarie a garantire i diritti, possono limitarsi
alla sola realizzazione del “nucleo essenziale” del diritto stesso (il
c.d. “Wesengehalt” dell’esperienza tedesca)28; giungendosi, più di

del potere di indirizzare l’ordine economico e sociale della comunità A. Cantaro,


op.loc.cit., a giudizio del quale la crisi dei debiti sovrani avrebbe solo evidenziato
un ordine di cose ormai consolidato.
25
Cfr. A. Cantaro, op. cit., 6.
26
Ci si permette di rinviare a M. Galdi, Contributo allo studio dell’interesse di
rilievo costituzionale, Salerno, 2003, 223-246, in cui si definisce l’interesse pub-
blico comunitario come una entità complessa costituita principalmente, oltre che
dalla definizione e dal controllo delle regole del mercato concorrenziale, dagli
interessi pubblici alla tutela dell’ambiente, alla tutela dei consumatori ed alla co-
esione economico e sociale, valutati complessivamente come elementi idonei a
stabilizzare e conservare nel tempo (rendere “sostenibile”) l’ordine del mercato.
27
Parla di un “inedito diritto della crisi”, che trae la sua legittimazione da
categorie note al discorso giuridico quali l’emergenza o lo stato di necessità A.
Cantaro, op.cit., 2. Sul punto v., diffusamente, I.Ciolli, I diritti sociali, cit., la quale
parte dal presupposto per cui nell’ultimo decennio, soprattutto dopo le vicende
del terrorismo internazionale, il concetto di crisi ha dovuto affiancarsi anche a
quello di sicurezza e di emergenza, sempre più spesso evocati per legittimare la
sospensione dei diritti e delle procedure democratiche.
28
Idem, 52. Da ultimo v. C. cost., 25 febbraio 2011, n. 61, secondo la quale il
diritto alla salute dello straniero irregolare non possa esser salvaguardato appieno
ma unicamente nel suo “nucleo duro”, laddove non sia a rischio la vita dell’indi-

15
recente, ad evocare l’emergenza economica per giustificare una
sorta di sospensione o di riduzione di alcune garanzie29.
Quanto alla Grecia, in un recente studio sulle pronunce giuri-
sprudenziali di quel Paese, si sottolinea come la situazione attuale
assomigli molto ad uno stato d’emergenza permanente, nel quale è
sospesa temporaneamente la “piena realizzazione” dei diritti costi-
tuzionali per far fronte ad una situazione eccezionale30. In sostan-
za, il potere giudiziario si è in larga parte astenuto dall’interferire
con le scelte dell’Esecutivo, costretto dai Memorandum firmati con
la cd. troika (BCE, Commissione Europea e Fondo Monetario In-
ternazionale) ad introdurre nuove tasse, imporre tagli della spesa e
ridurre salari e pensioni nel settore pubblico31. Non sono mancate,

viduo o in altri casi parimenti eccezionali. In particolare, al punto 5 delle consi-


derazioni in diritto, la Corte rileva come, “chiamata a scrutinare in via principale
analoga norma di altra legge regionale (sentenza n. 269 del 2010), questa Corte
ha ribadito che «lo straniero è […] titolare di tutti i diritti fondamentali che la
Costituzione riconosce spettanti alla persona» (sentenza n. 148 del 2008) ed in
particolare, con riferimento al diritto all’assistenza sanitaria, ha precisato che esi-
ste «un nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come
ambito inviolabile della dignità umana, il quale impone di impedire la costituzio-
ne di situazioni prive di tutela, che possano appunto pregiudicare l’attuazione di
quel diritto»”. Utilizza la clausola del “nucleo essenziale” del diritto C. cost., 20
giugno 2013, n. 143, nonché, nel senso inverso di consentire interventi legislativi
che consentano particolare erogazioni sociali, C. cost., 5 aprile 2013, che giudica
legittimo l’intervento del legislatore teso ad “assicurare le prestazioni imprescin-
dibili per alleviare situazioni di estremo bisogno, in particolare, alimentare”.
29
Sullo stato di emergenza nel diritto pubblico v. A. Pizzorusso, voce Emergen-
za (Stato di), in Enciclopedia delle Scienze sociali, Roma, Istituto dell’Enciclopedia
italiana, vol. III, 1993, 448 ss.; V. Angiolini, Necessità ed emergenza nel diritto pub-
blico, Padova, CEDAM, 1986; F. Modugno, D. Nocilla, Problemi vecchi e nuovi
sugli stati di emergenza nell’ordinamento italiano, in AA.VV., Scritti in onore di
Massimo Severo Giannini, vol. III. Milano, Giuffré, 1988, 515 ss.
30
Cfr. C. Akrivopoulou, Facing l’etat d’exception: The Greek Crisis Jurispru-
dence, 11 luglio 2013, disponibile al link: www.iconnectblog.com/2013/07/fa-
cing-letat-dexception-the-greek-crisis-jurisprudence.
31
Fra le pronunce segnalate dalla Akrivopoulou si ricorda la decisione del Con-
siglio di Stato Greco, nel caso 668/2012, nel quale si fanno salve le scelte del primo
Memorandum del maggio 2010 relative a tagli al bilancio e riduzioni di salari e pen-
sioni nel settore pubblico, per garantire gli impegni assunti. In particolare il Con-

16
però, voci fuori dal coro: la Corte dei Conti greca, in un Parere del
20 febbraio 2012, ha passato in rassegna i tagli programmati sulle
pensioni del settore pubblico, rilevando come essi “non solo viola-
no i principi dello stato sociale, ma conducono anche alla sua distru-
zione, poiché degradano le condizioni dei pensionati fino ad un livel-
lo tale che il principio di dignità umana sancito dalla Costituzione è
messo a rischio”32. Ed infatti, anche per le considerazioni già svolte
circa la natura strutturale della crisi in atto, capace di generare una
situazione tutt’altro che emergenziale ma, aimè, permanente nel
tempo, sembra difficile configurare i gravissimi provvedimenti di
contenimento della spesa pubblica come una mera sospensione dei
diritti, implicando essi piuttosto tout court la loro negazione.
Approccio più coraggioso, di difesa dei diritti sociali, si è registrato,
invece, in un altro Paese del Sud d’Europa, il Portogallo, nel quale il
Tribunale Costituzionale ha stabilito l’illegittimità costituzionale del-
le misure di austerity, giudicate irragionevoli e sproporzionate con
l’Acórdão 353/2012 (relativo alla sospensione del pagamento della
tredicesima e della quattordicesima mensilità per i dipendenti pub-
blici) e con l’Acórdão 187/2013 (relativo alla legge di bilancio 2013)33.
Simili decisioni, che denotano una sostanziale tenuta dell’ordina-
mento costituzionale, nonostante le difficoltà causate dalla crisi, e
sono destinate a diventare un punto di riferimento ineludibile per
gli organi di giustizia costituzionale degli altri Stati europei, chia-
mati a pronunciarsi sul “diritto della crisi”34, non destano meravi-

siglio ha riconosciuto che in questo caso i principi di proporzionalità, eguaglianza,


equa distribuzione degli oneri pubblici e il diritto alla proprietà non erano stati
violati perché la necessità di pagare il debito estero del paese e il rafforzamento della
credibilità finanziaria erano cruciali. Parimenti ispirata alla necessità di proteggere
gli interessi pubblici è la sentenza n. 1685/2013 il Consiglio con cui si fanno salvi gli
aumenti della contribuzione fiscale per gli stipendi annui superiori ai 60 mila euro.
32
Ibidem.
33
Cfr. T. Abbiate, L’Acórdão 187/2013: la punta di un iceberg per la giurispru-
denza costituzionale europea sulla crisi?, in www.diritticomparati.it/2013/05/
lac%C3%B3rd%C3%A3o-1872013-la-punta-di-un-iceberg-per-la-giurispruden-
za-costituzionale-europea-sulla-crisi-.html del 1/05/2013. Ora anche Id, Le Corti
costituzionali dinnanzi alla crisi: una soluzione di compromesso del TC portoghese,
in Quad. cost., 1/2013.
34
Ibidem.

17
glia, se solo di considera la tradizione costituzionale di quel Paese,
che ha elaborato teorie raffinate come la “dottrina del non ritorno”
per la garanzia dei diritti inviolabili35.
Tornando al nostro Paese, corona questa tendenza negazionista
dei valori della Costituzione economica la richiesta sempre più in-
sistente, tanto in sede politica36 quanto nel dibattito giuridico37, di
una modifica della stessa costituzione formale, da ultimo diretta-
mente reclamata come soluzione della crisi dalle istituzioni euro-
pee, realizzandosi, così, la formalizzazione esplicita di un potere
esterno che si propone come “costituente” all’interno dello Stato38.
35
Cfr. A. Baldassarre, voce Diritti inviolabili, in Enc.giur., IX, Roma, 1989. Di
recente, sul tema dei diritti quesiti, v. P. Grimaudo, Lo Stato sociale e la tutela dei
diritti quesiti alla luce della crisi economica globale: il caso italiano, in Rivista di
diritto pubblico italiano, comunitario e comparato, su www.federalismi.it, 2013.
36
Alla necessità quanto meno di un adeguamento della Costituzione economi-
ca allude la Fondazione Magna Carta in Rischi e opportunità di una riforma della
Costituzione Economica, Fondazione Magna Carta.htm: “al di là di ogni retorica
sulla sana e robusta costituzione della Carta del 1948, esiste il concreto rischio del
suo snervamento ed il pericolo che si giunga ad un punto di rottura della stessa.
Un simile giudizio non significa abbandonare il testo, e soprattutto i valori in esso
contenuti, che ci hanno introdotto all’interno dello Stato di diritto costituzionale,
sibbene evidenziare le tensioni molteplici cui lo stesso è sottoposto, invitando chi
di dovere a prenderlo sul serio, anche adeguandolo opportunamente, prima che
sia troppo tardi”.
37
Cfr. F. Pizzetti, I nuovi elementi “unificanti” del sistema italiano: il “posto”
della Costituzione e delle leggi costituzionali ed il “ruolo” dei vincoli comunitari
e degli obblighi internazionali dopo la riforma del titolo V della Costituzione, in
www.giurcost.org/studi/Pizzetti2.html, 9, secondo il quale, “a fronte della disap-
plicazione di fatto registratasi nell’ultimo ventennio del “tenore letterale dell’art.
41” o di norme “ancor più dirigiste o stataliste, come l’art. 43 (…) non solo la
Costituzione formale ‘si può’ cambiare, ma ‘si deve’ cambiare, quando ciò è ne-
cessario per adattarne il testo al mutamento, per trasformare il mutamento costi-
tuzionale materiale da problema a opportunità, per impedire che il testo stesso
freni la corsa della società che cambia, per ostacolare nostalgici tentativi di ritorno
al passato, per agevolare la transizione ad un rapporto tra Stato e mercato più
razionale, più efficiente, più legittimato”.
38
Abbiamo assistito a prese di posizione informali di autorità europee, che
senza alcuna competenza, sono arrivate a “raccomandare” a Stati membri l’ap-
provazione di riforme costituzionali al fine di “placare l’ira” dei mercati. Nelle
parole della lettera datata 5 agosto 2011 ed inviata da Mario Draghi e Jean-Claude

18
Ciò è avvenuto in Spagna con l’ultima riforma della Costituzio-
ne39, che precede le altre e più rilevanti riforme che dovranno se-
guire, in applicazione del Trattato di stabilità, coordinamento e go-
vernance nell’Unione economica e monetaria40. Ciò sta accadendo
oggi in Italia, ove si è avviato un procedimento straordinario, allo
scopo di generare un nuovo «impianto» costituzionale in grado di
«affrontare su solide basi le nuove sfide della competizione globa-
le» (Relazione di accompagnamento al ddl 813), in considerazione
della circostanza per cui la «attuale situazione di crisi economica»
rende «non più tollerabili le inefficienze e i nodi irrisolti del nostro
sistema politico e istituzionale»41.
Ora, al di là delle critiche, pur condivisibili, sulla procedura av-
viata42, preoccupano le ragioni ideologiche che stanno conducen-

Tricht (rispettivamente Governatore entrante e uscente della BCE) al Presiden-


te del Consiglio dei Ministri italiano, pubblicata dal ‘Corriere della Sera’ il 29
settembre 2011 (online su: http://www.corriere.it/economia/11_settembre_29/tri-
chet_draghi_ inglese_304a5f1e-ea59-11e0-ae064da866778017.shtml?fr=correlati):
“In view of the severity of the current financial market situation, we renard as
crucial that all actions listed in section 1 and 2 above be taken as soon as possible
with decree-laws, follone by Parliamentary ratification by end September 2011.
A constitutional reform tightening fiscal rules would also be appropriate”. Cfr. F.
Balaguer Callejón, Crisi economica e crisi costituzionale in Europa, in KorEuropa,
Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore
di Enna, 2012, 82 ss.
39
Riforma dell’art. 135 della Costituzione spagnola, 27 settembre 2011 (BOE
del 27-9-2011).
40
Cfr. http://european-council.europa.eu/media/639250/02_-_tscg.it.12.pdf., 90 ss.
41
Cfr. F. Lanchester, Le cinque crisi e i compiti del diritto costituzionale, in
Parlalex, Archivio di legislazione comparata.htm di Domenica, 11 Agosto 2013.
42
Cfr. Intervista al prof. Luigi Ferrajoli, L’illegittimità della procedura di revi-
sione costituzionale, 12 luglio 2013, in L’illegittimità della procedura di revisione
costituzionale, Economia Democratica.htm, che configura “l’indebita trasforma-
zione del potere di revisione previsto dall’art.138 Cost., che certamente è un po-
tere costituito, in un potere costituente non previsto dalla Costituzione. La legge
costituzionale del 6 giugno prevede invece la riforma dei titoli I, II, III e V della
parte seconda della Costituzione: in breve, non una revisione ma l’approvazione,
inammissibile, di una nuova costituzione”. Né, francamente, è in grado di affie-
volire il vulnus costituzionale la circostanza che si stia ricercando, sul modello
islandese, una partecipazione popolare tramite Internet nella definizione dei con-

19
do un Governo delle “larghe intese” verso una riforma profonda
della Costituzione economica.
Difatti, l’esigenza di procedere a queste riforme, incidenti ad-
dirittura sulla “struttura” dei principi costituzionali, parte sostan-
zialmente proprio dal presupposto enunciato dalla JP Morgan e
criticato ad apertura di queste riflessioni: che cioè i principi di ispi-
razione liberale abbiano trovato troppo poco spazio in seno all’As-
semblea Costituente, nella quale si registra solo un compromesso
tra impostazione marxista e cattolica, e che, quindi, la riforma co-
stituzionale deve ristabilire la prevalenza di questi principi43.
Se, infatti, si può condividere che il nostro sistema presen-
ti aspetti meritevoli di correzione, come una carenza di “rigore
repubblicano” nei conti pubblici o una tardiva conversione alla
sussidiarietà orizzontale44; non altrettanto può farsi circa l’impu-
tazione alla Costituzione della relativa responsabilità: la voragine
dei conti pubblici è piuttosto ascrivibile a scelte di indirizzo poli-
tico maturate negli ultimi quarant’anni di esperienza repubblicana
ovvero a fenomeni di degenerazione sociale come la prepotente
evasione fiscale piuttosto che al testo della Costituzione, nel qua-
le si individuano, invece, precise indicazioni nel dettare regole
di prudenza per il contenimento della spesa45. Del pari, sia pure

tenuti. Ben difficile, infatti, è immaginare su una popolazione di oltre sessanta mi-
lioni di abitanti, il contributo che possano dare moderne forme di partecipazione
diretta della popolazione. Rimangono al riguardo attuali le ragioni del classico
di Toccheville sulla democrazia dei moderni di fronte a quella degli antichi. In
ogni caso sull’esperienza islandese, maturata in una Nazione di circa 300.000 abi-
tanti, di cui oltre la metà risiede nella capitale Rechiavich, v..B. Algieri, L’Islanda
sconfigge la crisi economica e crea una nuova Costituzione su internet, ma nessuno
ne parla, in L’AZZECCAGARBUGLI.mht del 5.12.2011 e, più in generale, A.
Degl’Innocenti, Islanda chiama Italia, Ed. Ludica, 2013, passim.
43
G. Quagliariello, L’Italia ha bisogno di una nuova Costituzione Economica ?,
in l’Occidentale, orientamento quotidiano, del 16 giugno 2010.
44
Ibidem.
45
A titolo meramente esemplificativo, si può ricordare come la Costituzione:
all’art. 31, assicuri il supporto economico alla famiglia “con particolare riguardo
alle famiglie numerose” e non indiscriminatamente a tutte; all’art. 32 garantisca
“cure gratuite agli indigenti” e non a tutti i cittadini; all’art. 33 consenta l’istru-
zione privata “senza oneri per lo Stato”; all’art. 34 garantisca il diritto allo stu-

20
implicitamente, il principio di sussidiarietà orizzontale poteva già
rinvenirsi nell’art. 2 Cost.46, ancora una volta dovendosi imputare
all’attuazione della Costituzione la responsabilità dell’approccio
eccessivamente statalista nella garanzia dei diritti sociali e non cer-
to alla Costituzione stessa.
Ne discende, quanto alle modifiche del dettato costituzionale,
come è stato sostenuto solo all’apparenza in modo paradossale,
che, se proprio esse sono a farsi, “ancora prima e di più di quelle ri-
guardanti l’organizzazione, si rendono urgenti e necessarie le altre
che attengono alla parte sostantiva della Carta, rendendo ancora
più salde quelle sue previsioni che – come tutti sanno – sono state
fatte oggetto di continue e gravi torsioni”47.

4. Escluso che la soluzione della crisi possa trovarsi nel cambia-


mento formale della Costituzione, non essendone certo rinvenibile
in essa la causa (se non, forse, nella parte in cui ha disciplinato
esecutivi deboli ed un sistema parlamentare scarsamente raziona-
lizzato), pare opportuno domandarsi, piuttosto, se non sia il caso
di “tornare alla Costituzione”, per trovare una via di uscita capace
di porre rimedio all’attuale stato di cose48.
Il problema è, evidentemente, più complesso di quanto non
appaia in prima battuta: la negazione della Costituzione, prima
descritta con riferimento alla disciplina dell’economia, ha ormai
coinvolto i diritti sociali, parimenti negati, e si avvia a compromet-

dio limitatamente ai “capaci e meritevoli”. Così come si deve rammentare che


il contributo determinante dato dal sistema regionale al mancato controllo della
spesa sia il frutto di un tradimento sostanziale del ruolo delle regioni previsto in
Costituzione, di programmazione e indirizzo legislativo, lasciandosi l’attuazione
dell’indirizzo all’apparato locale, attraverso la delega delle funzioni e l’avvalimen-
to degli uffici, ai sensi dell’originario testo dell’art. 117 Cost.
46
Cfr. V. Atripaldi, Introduzione a V. Atripaldi, C. Gnesutta, G. Garofalo, P.
F. Lotito, R. Miccù, Governi ed economia. II. La transizione discontinua nella XIII
legislatura, Padova, Cedam, 2005.
47
Cfr. A. Ruggeri, op.cit., 18
48
Per parafrasare il titolo del famoso articolo pubblicato dal deputato del-
la  Destra storica Sidney Sonnino (“Torniamo allo Statuto”)  il primo genna-
io 1897 nella rivista Nuova Antologia.

21
tere complessivamente, come è stato autorevolmente sostenuto, “i
diritti e doveri costituzionali nel loro fare sistema e, di riflesso, l’in-
tera impalcatura costituzionale”49.
Dunque, la sfida del ritorno alla Costituzione è campale, perché
qui è in discussione la sua stessa “normatività”, intesa come capa-
cità di plasmare le istituzioni e la società50.
E non si tratta, evidentemente, di un problema meramente teori-
co, affidato alle considerazioni della dottrina costituzionalistica: la
rigidità costituzionale, infatti, è sia meccanismo di immodificabili-
tà della Costituzione, se non previo esperimento di procedimenti
aggravati, sia attitudine, appunto, alla normatività, cioè effettività
delle sue previsioni e idoneità dei suoi principi a guidare la vita dei
consociati. E quanto più si è in tempo di crisi, tanto più il valore
della rigidità costituzionale si impone, ergendosi a principale pre-
sidio del patto sociale, stella polare da seguire per condurre la nave
“a correr miglior acque”51.
Invero, l’idea di un ritorno alla Costituzione non è del tutto ori-
ginale ed è diffusa anche nell’opinione pubblica52, nutrita ad un
rispetto sacrale del nostro documento costituzionale. Essa è per lo
più declinata nell’ottica di rilanciare la politica di “programmazio-
ne economica ispirata ai fini e ai valori indicati nell’art. 41 Cost.”53.
Tuttavia, prima ancora di arrivare a mettere in discussione il
modello di economia indotto dall’appartenenza all’Unione Euro-
pea (ovvero contestualmente a ciò), appare necessario prendere le
49
Cfr. A. Ruggeri, Crisi economica e crisi della Costituzione, cit., 14
50
Ibidem.
51
Dante, Purgatorio, I, 1.
52
Cfr. Articolo 1: La soluzione alla crisi economica è già scritta nella costitu-
zione, postato da Danilo Pazzaglia il 10/03/2013 in cost.economica\Articolo 1 La
soluzione alla crisi economica è già scritta nella costituzione – Forum.htm
53
Cfr. G. Bucci, op. loc. cit., secondo il quale il varco per uscire dalla crisi na-
zionale e internazionale può essere individuato nella riattualizzazione dei principi
e delle norme della Costituzione di democrazia sociale del 1948 e, in specie, delle
disposizioni relative alla disciplina dei Rapporti economici (Titolo III). Si tratta di
rilanciare, in primo luogo, una politica di programmazione economica ispirata ai
fini e ai valori indicati nell’art. 41 Cost. e, quindi, capace di consentire una visione
globale delle questioni economiche e sociali, necessaria per affrontare e risolvere
i problemi della collettività.

22
mosse dalla constatazione che in Italia ci sia, in questo momento,
soprattutto un problema di concentrazione nelle mani di pochi
della ricchezza nazionale, che, ove meglio distribuita sarebbe di
per sé sufficiente54 a ricreare condizioni di equità ed a dare nuovo
impulso allo sviluppo del Paese55.
E si badi, si parla di “problema italiano”, in quanto l’Unione
europea ha di fatto rinunciato ad un approccio comune (a partire
dalla ipotesi di emettere eurobonds per finanziare progetti euro-
pei), perdendo un’ulteriore e fondamentale opportunità per com-
piere un salto di qualità verso una dimensione più propriamente
federale56, pure auspicata da quanti ancora intravvedono una via
di uscita “europea” alla crisi57.
Insomma, partendo dal dato economico, si deve prendere atto
che, soprattutto a partire dall’ultimo ventennio, la ricchezza si è

54
L’Italia, nonostante la crisi economica (che ha prodotto, ad esempio, dal 2007
al 2010 un calo della ricchezza netta pro capite a prezzi costanti di quasi il 5%),
rimane una delle Nazioni più ricche del mondo: in base a notizie diffuse dalla Banca
d’Italia, risulta che nel 2010 le famiglie italiane possedevano una ricchezza pari a cir-
ca 8.638 miliardi di euro, cioè oltre 7,5 volte maggiore di quella che si registrava nel
1965 (misurata a prezzi 2010); così che ciascun cittadino italiano è passato dall’a-
vere, in media, dai 21.900 euro pro capite del 1965, ai 142.000 euro pro capite del
2010, nonostante la popolazione si sia frattanto incrementata di circa otto milioni di
unità. Cfr. G. D’Alessio, Questioni di economia e finanza, Banca d’Italia, 2012, 6.
55
Che la distribuzione della ricchezza rappresenti “il punto di snodo tra econo-
mia e politiche pubbliche e quindi il centro sostanziale del rapporto tra crisi econo-
mica e garanzia dei diritti sociali” è da ultimo sostenuto da I.Ciolli, I diritti sociali, cit.
56
Cfr. G.L Tosato, La disciplina comunitaria degli aiuti tra economia di mercato e
interessi generali, in Astrid, Gruppo di studio “La Costituzione economica a 60 anni
dalla Costituzione” (versione aggiornata al 30 giugno 2009), il quale sottolinea come
le azioni anticrisi sono state attuate da ciascuno Stato singolarmente, con risorse
attinte dal proprio bilancio statale e in base a logiche nazionali. In ogni caso, una
sintesi degli interventi sovranazionali per fronteggiare la crisi economica si rinviene
in G. Pitruzzella, Chi governa la finanza pubblica in Europa?, cit., 23 ss. e R. Di-
ckmann, Le regole della governance economica europea e il pareggio di bilancio in
Costituzione, in www.federalismi.it, 4/2012. Sull’approccio delle istituzioni europee
per arginare gli effetti della crisi v. P. Bilancia, La nuova governante dell’eurozona e i
“riflessi” sugli ordinamenti nazionali”, in federalismi.it, 5 dicembre 2012, 3 s.
57
Per tutti v. J. Habermas, Nella spirale tecnocratica. Un’arringa per la solida-
rietà europea, Roma-Bari, 2014.

23
concentrata nelle mani delle classi sociali più agiate, di fatto annul-
lando la classe media ed ampliano a dismisura il numero di fami-
glie al di sotto della soglia di povertà58.
Di ciò vi è ormai piena consapevolezza fra gli studiosi, che per-
cepiscono la questione come un problema di natura costituzionale.
Così, in uno scritto pubblicato nel pieno della crisi economica, uno
dei maggiori costituzionalisti italiani si chiede “di quale idea di Co-
stituzione vogliamo farci portatori e se la crisi ne consenta l’afferma-
zione e il radicamento, alle difficili e pressoché proibitive condizioni
del tempo presente”59. A Suo giudizio, infatti, sussiste il “forte il
rischio che la crisi concorra, in una significativa misura, all’impo-
verimento della Costituzione, se non pure al suo stesso, complessi-
vo smarrimento”. Conseguentemente, individua gli “obiettivi” da
perseguire con assoluta priorità: “la moralizzazione della vita poli-
tica e l’equa distribuzione della ricchezza, senza peraltro trascurare il
bisogno di dare una speranza di vita dignitosa alle generazioni futu-
re”60; quasi ad invocare una nuova Costituzione materiale, basata
su classi dirigenti ispirate all’etica repubblicana, che si prefiggano
la rifondazione dei valori costituzionali e finalità di equità sociale.
Se la moralizzazione della vita politica attiene alla sfera del sein, del
dato sociologico e politologico (del quale, comunque, i costituziona-
listi, in quanto prima ancora cittadini, non dovrebbero disinteressar-
si), il tema della redistribuzione della ricchezza, come presupposto
di una rinnovata normatività della Costituzione, a partire dalla ga-
ranzia dei diritti sociali61, attiene alla sfera del sollen e richiede una
58
Cfr. Bankitalia:cresce concentrazione ricchezza, il 10% possiede il 45,9%, in
www.altalex.com, 25/01/2012, secondo cui oggi il 10% delle famiglie più ricche de-
tiene il 45,9% della ricchezza nazionale mentre la metà più povera ha il 10% della
ricchezza totale. Conferma questi dati lo studio “Gini-Growing inequality impact”,
voluto dall’U.E., secondo cui “l’Italia è tra i paesi che registrano le maggiori disu-
guaglianze nella distribuzione dei redditi, seconda solo al Regno Unito nell’Unione
europea e con livelli di disparità superiori alla media dei paesi Ocse”. Cfr. Il Sole-24
Ore, L’Italia guida l’aumento delle disparità di reddito, 24 giugno 2013.
59
Cfr. A. Ruggeri, op.cit., 14.
60
Idem, 15 e 18.
61
Su cui v. S. Mangiameli, Il contributo dell’esperienza costituzionale italiana
alla dommatica europea della tutela dei diritti fondamentali, in www.consultaonli-
ne, 2006, 2006, § 6.

24
valutazione in termini squisitamente giuridici, tesa a verificare la sua
compatibilità con la Costituzione attualmente vigente62.

5. Non par dubbio che i nostri Costituenti individuarono nel-


la progressività dell’imposta, di cui all’art. 53, comma 2, Cost., il
principale meccanismo di garanzia dell’eguaglianza sostanziale63:
chi ha un maggior reddito deve contribuire a sostenere i costi dello
Stato in modo più che proporzionale alla propria ricchezza, adem-
piendo così al dovere di solidarietà di cui all’art. 2 della Cost.64 e
consentendo alla Repubblica, attraverso una redistribuzione della
ricchezza stessa, di esercitare il compito di attuazione dei diritti
sociali, di cui all’art. 3, comma 2, Cost., in ogni caso nel rispetto
della “capacità contributiva” di ciascuno65 e del valore attribuito
dalla Costituzione al risparmio (art. 47 Cost.)66.
La dirompente crisi economica derivante dall’abnorme debito

62
Non a caso A. Ruggeri, op. cit., 16 ipotizza anche l’opportunità di rivedere
la prima parte della Costituzione, “valorizzandone ed attualizzandone i principi
originari”.
63
In virtù del principio della progressività l’aliquota aumenta all’aumentare
dell’imponibile cosi chi possiede un reddito fino a 10 mila euro paga il 10% d’im-
posta chi invece ha un reddito dai 10 ai 20 mila euro pagherà il 18% e così via; in
tal modo dovrebbe rafforzarsi la funzione redistributiva con un ridimensionamento
della discriminazione derivante dalle ricchezze. Cfr M. Lo Fosco e M. Ertman, L’ori-
gine della crisi- dall’imposizione alla confisca del reddito, in Italiaannozero, 26 maggio
2012,.2 ss. Già in tal senso C. cost., 155/1963, che considera l’art. 53 Cost. come “ar-
monico e specifico sviluppo del principio di eguaglianza contenuto nell’art. 3 Cost.”.
In generale sull’art. 53 della Costituzione si rinvia a P. Boria, Art. 53, in Commentario
alla Costituzione, a cura di R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, 1055 ss.
64
La seconda parte dell’art. 2 della Costituzione italiana contiene un principio
basilare e qualificante del diritto pubblico dell’economia: “La Repubblica richie-
de l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà economica e sociale”.
65
Cfr. C. cost. 45/1964, che definisce la “capacità contributiva” come “idonei-
tà economica del contribuente a corrispondere la prestazione coattiva imposta”.
66
A detto meccanismo, applicabile a tutte le imposte cd. “dirette”, si affianca-
va un sistema di tassazione dei patrimoni, che consentiva negli anni una conside-
revole redistribuzione della ricchezza, anche attraverso l’applicazione della tassa
di successione: si è calcolato che anteriormente al 1995 l’Italia aveva una quota del
gettito fiscale derivante dalla tassazione sui patrimoni pari al 9,8% del totale delle
entrate tributarie; dal 1995 fino al 2010, ha preferito portare avanti una politica

25
pubblico accumulato, che ha colpito in particolare l’Italia e i Paesi
del Sud dell’Europa, ancor più che conseguenza della spesa pubblica
sostenuta in passato per garantire i diritti sociali, è dipesa dal cattivo
funzionamento del meccanismo di procacciamento delle risorse: le
basse entrate erariali sono state e sono tuttora da attribuire al dila-
gante ed inarrestabile fenomeno dell’evasione fiscale67, che insieme
alla corruzione nella pubblica amministrazione sono da individuare
fra le cause principali dell’abnorme debito pubblico italiano68.
Come autorevolmente è stato sostenuto: “l’evasione fiscale spiega
la crisi del Paese. Un’anomalia che ancora oggi continua e contribuisce
a spiegare le difficoltà della nostra economia […] insieme ai ritardi
nell’aggiustamento dell’industria ai grandi cambiamenti globali, poli-
tici e tecnologici, degli ultimi decenni e quelli nell’efficienza dei servizi
pubblici, le gravi difficoltà nelle quali oggi versa la nostra economia”69.

fiscale quanto meno “singolare”, disallineandosi dalla politica attuata invece da


molti Paesi europei, optando per una detassazione dei patrimoni a scapito dei
redditi con la conseguenza che la quota di gettito dal 9,8% si è abbassata al 4%
nel 2010. Cfr. Economy 2050, La tassazione sul patrimonio in Italia e in Europa,
su: www.economy2050.it/tassazione-patrimonio-italia-europa/, 1.
67
Economy 2050, Le principali cause storiche del debito pubblico italiano: po-
che entrate e troppi interessi, 5 settembre 2013, in: www.economy2050.it/principa-
li-cause-storiche-debito-pubblico-italiano-entrate-interessi/.
68
In sostanza, l’elevata evasione fiscale ha causato la mancata copertura della
spesa pubblica con il gettito fiscale ed ha comportato il ricorso all’indebitamento
per continuare a fornire ai cittadini le prestazioni tipiche dello Stato sociale. Con-
siderata l’illiceità del fenomeno, non esistono dati certi sull’evasione. Secondo la
Corte dei Conti il nostro Paese è al primo posto nell’UE quanto a evasione, se-
condo solo al Messico. Il presidente della Corte dei Conti, nell’ottobre del 2012,
in audizione alla commissione Finanze del Senato, indicava la cifra di 180 miliardi
di euro annui, citando dati OCSE; ad oggi il sommerso sarebbe al 17,4% del Pil.
Cfr. CONFCOMMERCIO, Pressione fiscale effettiva stimata al 54%, economia
sommersa al 17,4% del PIL nel 2012/2013, osservatorio sul fisco, servizio po-
litiche fiscali della UIL, Anno V n.8, 29 luglio 2013, 7. In vero il caso italiano
non sarebbe isolato nei Paesi di Eurolandia: in Spagna, ad esempio, si stima che
l’evasione fiscale ammonti ad una percentuale di PIL tra il 20% e il 25%. Cfr.
http://www.attacmadrid.org/d/11/090901191623.php. V. anche Economy 2050,
I numeri dell’evasione fiscale in Italia e in Europa, 29 aprile 2013, in: www.eco-
nomy2050.it/numeri-evasione-fiscale-italia-europa/.
69
Cosi I. Visco governatore della Banca d’Italia in occasione del convegno

26
Ci troviamo, così, di fronte al fallimento degli strumenti previsti
dalla Costituzione per assicurare il finanziamento delle funzioni
statali e, quindi, ad una crisi di sistema, che necessita approcci d’ur-
to e strutturali, limitati nel tempo quanto particolarmente efficaci,
prima ancora di poter reimpostare su basi ordinarie il meccanismo
di procacciamento delle risorse da parte dello Stato per fare fronte
alla realizzazione dei diritti sociali, senza aggravare ulteriormente
il debito pubblico70.
A fronte di questa situazione si tratta, quindi, di avviare serie
politiche di lotta all’evasione, compreso l’aggravamento delle san-
zioni penali per gli evasori, che sole potranno consentire in pro-
spettiva la riduzione della pressione fiscale (che, in base a recenti
stime, arriva a superare il 50% del PIL71) e il ritorno ad un mec-
canismo impositivo idoneo a fare fronte con regolarità alle spese
derivanti dalle necessarie politiche sociali, che costituiscono con-
quista irrinunciabile della nostra civiltà, oggi messa così duramente
in discussione.
Contestualmente, però, occorre porre in essere interventi signi-
ficativi per riequilibrare tanti anni di mancato funzionamento del
sistema fiscale mediante prelievi, una tantum quanto incisivi, sulla
ricchezza.
La strada indicata potrà apparire forse eccessiva, comportando
una momentanea rottura delle regole costituzionali in materia di
imposizione fiscale, che dovrebbe gravare sul reddito prodotto
piuttosto che sulla ricchezza già accumulata. Ma, a ben riflettere, la
scelta a favore di una imposizione patrimoniale rappresenta l’unica
risposta possibile per fare fronte ad una accumulazione eccessiva
in memoria di Luigi Spaventa presso l’università Bocconi; Visco: “L’evasione
fiscale spiega la crisi del Paese”, 27settembre2013,su:www.repubblica.it/ econo-
mia/2013/09/27/news/visco_bocconi_evasione_fiscale-67385587/. A. Santoro,
L’evasione fiscale, Bologna, Il Mulino, 2010, p.12 definisce l’evasione fiscale come:
“qualsiasi comportamento o insieme di comportamenti da cui deriva, per volontà
consapevole di chi lo adotta, un valore economico dell’imposta dovuta inferiore a
quello previsto dal sistema fiscale”.
70
Si è registrato un progressivo incremento del debito pubblico italiano che
attualmente arriva a toccare soglie superiori al 130% nel rapporto con PIL.
71
Cfr. G. Pitruzzella, Crisi economica e decisioni di governo-relazione al XX-
VIII convegno annuale dell’Aic, in rivista AIC n.4/2013, 5 s.

27
di ricchezza nelle mani di pochi, avvenuta molto spesso proprio
avvalendosi di meccanismi elusivi dell’obbligazione di solidarietà
fiscale, determinando una rottura ancor più grave, rispetto a quella
proposta, dell’impianto stesso della nostra Costituzione.
Da quanto precede emerge come il quadro costituzionale sia
compatibile con le scelte necessarie ad operare una adeguata re-
distribuzione della ricchezza: se il mancato funzionamento del
meccanismo sancito nell’art. 53 Cost. ha determinato le condizioni
dell’attuale crisi economica, per porvi rimedio occorre una “rot-
tura della Costituzione” uguale e contraria, per cui una tantum
una parte significativa dei redditi accumulati siano, certo in misura
compatibile con la capacità fiscale, prelevati e messi a disposizio-
ne del rilancio dell’azione statale, che frattanto dovrà organizzarsi
perché situazioni simili non abbiano a ripetersi per il futuro. La
compatibilità dell’azione di redistribuzione con la Costituzione
trova fondamento nella stessa gerarchia dei valori costituzionali:
l’eguaglianza sostanziale, con a corollario tutti i diritti sociali, rap-
presenta il principio di sistema da salvaguardare, anche perché su
di essa si basa il patto sociale che ha dato vita al nostro ordinamen-
to costituzionale e che si è ulteriormente consolidato in oltre ses-
sant’anni di esperienza repubblicana. Il principio di progressività
dell’imposta costituisce lo strumento ordinario di funzionamento
del sistema fiscale, che, correttamente applicato, consente la soste-
nibilità dei costi del Welfare; esso, però, ha natura strumentale e,
come tale, recessiva di fronte all’eguaglianza sostanziale, principio
di sistema, che giustifica, a fronte di una crisi strutturale come l’at-
tuale, meccanismi impositivi anche ulteriori e più incisivi, affinché
siano reperite le risorse necessarie a garantire i diritti sociali, pur-
ché rispettosi della capacità contributiva di ciascuno72.
D’altronde, il riferimento costituzionale alla “funzione sociale”
della proprietà esprime una accessorietà del valore della ricchezza in
72
Il principio di capacità contributiva si collega strettamente al principio di
eguaglianza sostanziale, nella misura in cui pone il limite invalicabile del dovere
di solidarietà fiscale, oltre il quale la partecipazione dei cittadini alle spese dello
Stato diviene insostenibile e lesiva della dignità di ciascuno. Cfr. A. Drigo, La di-
gnità umana quale valore (super)costituzionale, in AA.VV., Principî costituzionali,
a cura di L. Mezzetti, Giappichelli, Torino 2011, 239 ss.

28
genere a fronte di altri valori, fra i quali senz’altro rientra il principio
fondante della dignità umana, messo a repentaglio dalla situazione
di drammatica povertà in cui versano tante famiglie italiane73.

6. Segnali poco incoraggianti, tuttavia, si colgono nella più recen-


te giurisprudenza costituzionale, che ha esaminato i primi atti le-
gislativi statali ispirati ad una logica redistributiva della ricchezza.
Emblematico è il caso di una pronuncia che ha destato molto
scalpore nel dibattito politico, la n. 116 del 2013, con la quale la
Consulta ha dichiarato illegittimo il “contributo di solidarietà”
previsto per le pensioni superiori a novantamila euro lordi l’anno
dall’art. 18, comma 22 bis, del D.L. 6 luglio 2011, n. 9874, perché

73
Cfr. F. Angelini, Costituzione ed economia al tempo della crisi, in Rivista AIC,
n 4/2012, 4, secondo la quale “nella Costituzione la ricchezza in sé, intesa come
semplice accumulazione privatistica non è un valore tutelato; valore invece lo di-
viene ogni strumento di produzione di ricchezza inserito, dai costituenti, in una
prospettiva partecipata e informata al principio di giustizia distributiva; ne risulta
che “l’efficienza economica non è mai uno scopo, ma è solo un mezzo” nella
Costituzione. Così è per le norme sul lavoro; così è per l’art. 42 che funzionalizza
la proprietà al raggiungimento di “fini sociali”; così è per la proprietà della terra
il cui sfruttamento è chiamato a “stabilire equi rapporti sociali”; così è per lo
svolgimento dell’iniziativa economica sottoposto dall’art. 41, comma 2 al limite
negativo del rispetto dell’utilità sociale, della sicurezza, della libertà e, come già
ricordato, della dignità umana; così è per l’attività economica privata e pubbli-
ca indirizzata, dal legislatore, al raggiungimento di fini sociali in base all’art. 41,
comma 3. Individua nel lavoro il principio dominante G.U. Rescigno, La distri-
buzione della ricchezza nazionale, in Costituzionalismo.it, n. 2, 2008, 5, secondo
il quale, se non ci sono altri fondamenti nella Costituzione oltre al lavoro allora:
“danaro, mercato, concorrenza, profitto, proprietà non costituiscono fondamen-
to della Repubblica. Se vogliamo dare un senso a questa solenne proclamazione,
dobbiamo almeno dire, o dovremmo almeno dire, che, se danaro, mercato, con-
correnza, profitto, proprietà, ed altro ancora, sono anch’essi previsti e tutelati dal-
la Costituzione (come in effetti è), essi costituiscono aspetti e momenti della vita
associativa subordinati al valore fondante costituito dal lavoro: il lavoro dunque,
in quanto valore fondante quando viene collegato con altre disposizioni, qualun-
que sia il loro livello, costituzionale o meno, costituisce un criterio di giudizio e di
interpretazione intorno a qualunque altra disposizione, che deve essere accolta e
interpretata solo se coerente col valore fondante del lavoro”.
74
Recante disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, convertito

29
in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost., ritenendo che detto prelievo,
pur temporaneo (dal 1° agosto 2011 al 31 dicembre 2014), difet-
tasse dei caratteri della universalità e della generalità, applicandosi
ad una sola categoria di contribuenti (i pensionati)75.
In pratica, la Corte, basandosi sul principio di eguaglianza formale
e su quello della capacità contribuiva, ha posto nel nulla il primo,
significativo tentativo di avviare una politica redistributiva della ric-
chezza capace di ristabilire un minimo di equità nel nostro Paese.
Questa decisione, pur comprensibile da un punto di vista logi-
co-giuridico e formale, tant’è che gli attuali tentativi di imporre
forme di maggiore contribuzione in ragione della più ampia capa-
cità contributiva quantomeno si pongono il problema di interveni-
re in modo comprensivo e generalizzato76, merita in ogni caso una
riflessione, nella misura in cui svela l’esistenza di una forza “con-
servatrice”, poco sollecita di fronte alle esigenze che questi tempi
difficili pongono prepotentemente, che si incarna proprio lì dove
dovrebbe, invece, manifestarsi il più alto grado di condivisione dei
valori repubblicani.
Ecco perché va salutata con estremo favore la consapevolezza
che fra i costituzionalisti italiani sta quotidianamente crescendo

con modificazioni dalla legge 111/2011 come modificato dall’art. 24 comma 31-
bis del d.l. 6 dicembre 2011 n. 201, recante disposizioni urgenti per la crescita,
l’equità e il consolidamento dei conti pubblici, convertito con modificazioni dalla
legge 214/2011.
75
Cfr. S. Cannavò, Pensioni d’oro. “Intoccabili anche se arrivano a 90mila euro
al mese”, in Il Fatto Quotidiano dell’8 agosto 2013.
76
Introduce nuovamente a partire dal 2014 e per un triennio il contributo
di solidarietà l’art. 1, comma 486, della legge 27 dicembre 2013, n. 147. La nor-
ma prevede un contributo del 6%, del 12% e del 18% sulle quote di pensione
superiori a 90.000, 128.000 e 193.000 euro lordi l’anno. Il nuovo contributo ri-
guarderà 32 mila contribuenti a fronte dei 3 mila precedenti. Cfr. G. TROVA-
TI, Pensioni, doppio «attacco», in Il sole 24 ore, 28/11/2013, 12; E. MARRO,
Pensioni che cosa cambia. Dalla rivalutazione al contributo di solidarietà: 5 pun-
ti per capire, 28/11/2013, su: www.corriere.it/ economia/13_novembre_28/
pensioni-che-cosa-cambia-rivalutazione-contributo-solidarieta-cinque-punti-capi-
re-49cc5520-57f6-11e3-8914-a908d6ffa3b0.shtml. Ritiene che il nuovo contributo
di solidarietà può superare il vaglio della Corte V. Onida, Pensioni “d’oro” e con-
tributo di solidarietà, in Osservatorio AIC, febbraio 2014.

30
circa la necessità di interventi che ristabiliscano condizioni di equi-
tà sociale nel nostro Paese, testimoniata dal moltiplicarsi di occa-
sioni di incontro e approfondimento su questi temi77. Perché mai
come in questi difficili momenti, in cui la Costituzione stessa, con
i suoi valori, è messa in discussione, è fondamentale per il futuro
dell’Italia che si levi un fronte, consapevole ed attivo, capace di
concorrere a trovare nuove strade per la coesione sociale e la paci-
fica convivenza.

77
Si è da poco svolto (ottobre 2013) il XXVIII Convegno annuale dell’Asso-
ciazione Italiana dei Costituzionalisti dedicato al tema “Spazio costituzionale e
crisi economica”.

31

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