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13 pag.
Gli antichi
Il termine polis ha diverse valenze e può significare “cittadella fortificata”, “acropoli”, “centro urbano”, ma
anche “entità statale” e soprattutto “comunità” nella sua dimensione politica.
Le fonti antiche segnalano il carattere non tanto urbanistico, quanto sociale e istituzionale della polis.
Già Alceo afferma che “sono gli uomini la torre che difende la città”… Analoga impostazione offre Tucidide,
quando fa dire allo stratego ateniese Nicia che i soldati ateniesi devono essere coraggiosi e capaci di
sfuggire ai nemici, se vogliono che le sorti di Atene si risollevino.
Allo stesso modo Temistocle… quando il corinzio Adimanto gli rinfaccia di essere un apolis, un uomo senza
polis… e di non poter quindi parlare né dare il suo voto nell’assemblea dei Greci.
Questi passi inducono a definire la polis prima di tutto come una comunità politica di cittadini insediata su un
territorio. La prevalenza della dimensione politica è ben illustrata da un passo di Pausania, in cui si afferma
che la città focese di Panopeo sembrerebbe non meritare il nome di polis: tuttavia, essa va considerata tale,
perché gli abitanti sono divisi dai vicini da confini e mandano anch’essi delegati all’assemblea dei Focesi.
È dunque la dimensione politica, unita a quella territoriale, a definire la polis.
Inoltre, va osservato che tracce di riflessione sugli stati federali sono molto modeste nel pensiero politico
greco. Aristotele da uno spazio limitatissimo agli stati federali, arrivando persino a negare che uno stato
federale possa avere una vera e propria costituzione. Il filosofo afferma infatti che una città che abbia un
numero troppo ridotto di cittadini non può bastare a sé stessa e tradisce così la sua natura di città, mentre
quella che ne ha troppi non è più una polis, perché difficilmente potrà avere una costituzione.
Quanto agli stati federali, una riflessione in merito è praticamente assente: non si arrivò mai ad elaborare
una teoria dello stato ellenistico, che valorizzasse aspetti come la fusione di elementi etnici diversi. Nelle
definizioni presenti nelle fonti letterarie ed epigrafiche sembra venir sottolineata una delle caratteristiche
principali dello stato territoriale, ovvero la complessità politica e sociale e l’articolazione fra realtà diverse
all’interno del territorio. Queste definizioni evidenziano un’articolazione tra elementi centralizzanti e realtà
locali, cogliendo la complessità dello stato ellenistico.
Né nel caso degli stati federali, né nel caso di quelli territoriali, dunque, abbiamo una riflessione che possa
essere paragonata a quella sulla polis.
I moderni
Se il problema delle origini della polis sembra non risolvibile in modo soddisfacente allo stato attuale, si è
però sviluppata una serie di riflessioni su altri temi non meno significativi, dal problema della divisione/
organizzazione dello spazio e del rapporto con il territorio a quello del significato della polis come comunità
cittadina.
La nozione di città-stato elaborata dai moderni non sarebbe necessariamente corrispondente alla nozione
greca di polis, e sarebbe comunque troppo rigida per esprimere le diverse realtà locali in cui era frazionata la
Grecia antica: il termine polis sembra infatti fare riferimento ad una grande varietà di forme di insediamento
e di comunità politiche e a livelli cronologici troppo diversi.
La ridiscussione del concetto polis non è certo mancata: particolarmente intensa è stata la discussione
sollevata sul carattere non statuale dell’esperienza della polis.
L’idea della ‘polis senza stato’ è stata anticipata da alcuni interventi volti a sottolineare il carattere ‘sociale’
della città greca. Osborne ha sottolineato che nella polis mancano sia una vera autorità statale sia un potere
esecutivo vero e proprio. In seguito, la riflessione è stata approfondita da Berent: egli sostiene che la polis
non corrisponde ai criteri necessari per poter parlare di stato. Essa infatti non presenterebbe una distinzione
fra popolo e potere esecutivo, con la conseguente necessità di affidare la tutela dell’ordine pubblico
all’iniziativa individuale.
Nella sua polemica con Berent, Hansen sottolinea come non si possa restringere la discussione al concetto
di stato come ‘governo’, ma si debba piuttosto considerare anche lo stato come ‘territorio’ e come ‘corpo
politico’. Il territorio, pur non costituendo certo la parte fondamentale della polis, ne è infatti un elemento di
rilievo. Quanto allo stato come corpo politico, è questa una sicura caratteristica della polis che non è però
affatto assente negli stati moderni; per contro non manca, nel pensiero greco, l’idea che la polis sia non solo
il corpo cittadino, ma anche qualcosa di impersonale.
Per quanto riguarda l’amministrazione della giustizia, Hansen osserva innanzitutto che alcune caratteristiche,
come l’assenza di forze di polizia, il ricorso all’autodifesa da parte del cittadino, l’uso dell’iniziativa popolare
nella promozione dell’azione legale, non sono esclusive della polis, ma sono riscontrabili anche in molti stati
europei fino al XVIII secolo.
Quanto all’assenza di un esercito stabile, prima di tutto bisogna tener conto di una serie di eccezioni (Sparta
e Atene ad esempio); inoltre occorre valutare il grado di militarizzazione della società, molto elevato nelle
città greche, in cui i cittadini potevano essere spesso chiamati alle armi e in cui spese militari erano notevoli.
A parere di Hansen, insomma, le differenze tra polis e stato moderno finiscono per risultare modeste. Ciò
che accomuna queste due realtà è la nozione di cittadinanza, cioè l’appartenenza di un individuo a uno
stato, in virtù della quale egli, come cittadino, gode di una serie di privilegi in campo politico, economico e
sociale e di adeguate forme di tutela. Dunque la polis può essere considerata uno stato, perché ha queste
caratteristiche: è un potere pubblico legittimo con giurisdizione su un territorio definito, è in grado di
monopolizzare l’uso della forza e conosce una chiara separazione fra stato e società, fra pubblico e privato.
Recentemente il carattere politico della polis è stato rivendicato da Murray, il quale ha proposto un’idea della
polis come ‘città della ragione’, in cui ogni decisione è presa in seguito all’applicazione della procedura
razionale della discussione. La polis si presenta non tanto come una società di tipo tribale, ma come in un
contesto in cui si esprime pienamente una forma di razionalità politica.
La natura complessa della polis, fenomeno urbano e soprattutto comunità civile, emerge già dalle diverse
valenze semantiche del termine, che oscillano tra il significato concreto di ‘cittadella fortificata’, ‘acropoli’,
‘centro urbano’…
La polis è definibile come una società politica basata sull’idea di cittadinanza, nella cui formazione svolgono
un ruolo primario elementi ideali. Prima di tutto il culto poliade, che eprime, definisce e afferma l’identità della
polis; inoltre, l’ideologia comunitaria, che si basa sulla nozione di possesso comune e di spazio condiviso.
L’ideologia della polis comporta che territorio e popolazione siano sentite come una cosa comune.
Dal punto di vista dell’organizzazione politica, tutte le città presentano una struttura di base analoga,
comprendente un consiglio, un’assemblea, magistrati e tribunali.
Le suddivisioni interne alle città vanno intese come strutture di integrazione, che consentono un più facile
rapporto tra cittadino e istituzioni. Elemento essenziale della polis è, infatti, l’integrazione: è attraverso
l’inserimento in una comune dimensione politica che la comunità dei liberi raggiunge la necessaria stabilità.
L’opera di mediazione tra le parti sociale va intesa come azione di potenziamento della dimensione
comunitaria, della solidiarietà interna della polis.
La riforma oplitica
La riforma oplitica è uno dei fattori chiamati in causa per spiegare il processo di formazione della città intesa
come realtà sociale. Con questa riforma militare il nucleo dell’esercito venne ad essere costituito non più
dalla cavalleria, ma dai fanti armati pesantemente, i cosiddetti ‘opliti’ (il termine deriva da ‘hopla’, le armi che
costituiscono l’armatura del fante). Con questa riforma la funzione guerriera cessò di essere un privilegio
aristocratico e si ampliò fino a comprendere anche i membri del demos, cioè della popolazione contadina
residente sul territorio.
L’armamento era costituito elmo, corazza, schinieri, scudo rotondo a doppia impugnatura, lancia: la
documentazione archeologica permette di farlo risalire al 700 circa. Tale armamento era accessibile anche ai
membri della classe media, i piccoli proprietari contadini. In cambio del contributo dato alla difesa della
comunità, gli opliti richiesero e ottennero una corrispondente integrazione sociale e politica.
Il ruolo della riforma oplitica è stato molto discusso… ma nonostante questo, sembra difficile negare
l’importanza del fattore militare nei cambiamenti politic che hanno a che fare con la nascita della polis.
In ogni caso, non sono solo l’armamento e il combattimento di massa a definire l’oplita: scontri di massa
sono presenti già in Omero, ma senza che si possa parlare di un vero e proprio schieramento. La
caratteristica nuova è data dal fatto che nella falange oplitica il soldato combatte a ranghi serrati, e per
poterlo fare deve mantenere il proprio posto nello schieramento. La virtù eroica del guerriero aristocratico
viene così superata e si affermano nuovi valori, come l’autocontrollo, la moderazione e il senso della
solidarietà e della parità fra uguali.
Dall’oplitismo nacquero così comunità di cittadini più ampie e coese.
‘Polis’ e ‘Poleis’
Le differenze tra polis e poleis investono diversi piani.
Prima di tutto, il piano delle dimensioni e delle caratteristiche geografico-territoriali. Il 75% delle poleis aveva
territori molto limitati, inferiori ai 100km2.
Con il territorio è collegata la questione delle differenze sul piano insediativo: città il cui territorio coincide con
una regione, come Sparta e Atene… che presentano diversi centri abitati, differenziati rispetto alla città
principale.
Forti differenze si registrano anche a livello socio-democratico. Vi sono città con un livello demografico
elevato, di migliaia di individui, di status diversi; è il caso di Atene, Sparta, Siracusa.
Soprattutto diversa appare la struttura della società:
• Il modello dorico (Creta e Tessaglia) prevedeva che fossero schiavi a coltivare la terra, mentre la
popolazione libera poteva dedicarsi alla vita politico-militare.
• Nel modello affermatosi in Attica e in Beozia la terra era invece coltivata da agricoltori liberi, diretti
discendenti del damos di età micenea.
Infine, le differenze più significative si registrano a livello urbanistico e architettonico: Atene presenta un
grande sviluppo monumentale, mentre è nota la diversa struttura di Sparta.
Otane, difensore della democrazia, caratterizza il regime monarchico con i tratti tipici della tirannide, in cui
l’autocrate viola la legge: l’opposizione democrazia/tirannide è tipica della tradizione ateniese. Al contrario, la
democrazia è definita da Otane con il termine isonomia, che esprime l’uguaglianza di fronte alla legge e per
mezzo di essa. Otane consiglia di dare il potere al popolo. In sé, isonomia non equivale a democrazia, ma il
riferimento ad essa emerge chiaramente nei contenuti che rimandano alla sovranità popolare,
all’uguaglianza, alla partecipazione, dal controllo dei magistrati e dalla messa ‘in comune’ di tutte le decisioni.
Megabizo parte, come Otane, dal rifiuto della tirannide, ma critica duramente la democrazia, insistendo sul
fatto che il popolo non è qualificato a governare: privo di intelligenza e ricco di arroganza, il popolo è una
‘massa inutile’.
Nella visione aristocratica di Megabizo, individuo e massa sono equiparati quanto a violenza e illegalità, e la
scelta di un governo oligarchico è imposta dal fatto che ‘dagli uomini migliori’ derivano ‘le deliberazioni
migliori’.
Diversamente da oligarchia, l’astratto ‘aristocrazia’ non compare in Erodoto, essendo di formazione più
tarda: esso sembra nascere come parola d’ordine delle fazioni oligarchiche.
Dario sostiene diversamente la monarchia in quanto un solo uomo eccellente (aristos) può governare nel
modo migliore e garantire il sistema la massima efficienza.
Alla democrazia si rimprovera di perdere tempo nel confronto e nel dibattito e di reagire con lentezza.
In ogni caso, l’elogio della monarchia suona ‘accademico’ per la Grecia del V secolo: i regimi più diffusi
all’epoca in Grecia erano democrazia e oligarchia, entrambi caratterizzati da quella partecipazione diretta
che la monarchia invece esclude in linea di principio.
La discussione appare dominata dal tema della qualifica a governare. Al popolo viene rivendicato, da Otane,
il pieno possesso della xynesis: ribadendo ciò, i democratici si oppongono alle accuse di incopetenza e di
classismo.
Ma l’intervento di Otane a favore della democrazia contiene anche riferimenti istituzionali. In questi non è
difficile individuare allusioni alla contemporanea democrazia ateniese. Nel dialogo erodoteo, la democrazia
appare dunque come la miglior realizzazione delle tendenze isonomiche insite nel concetto di polis.
Nel V libro della Repubblica, Platone considera cinque costituzioni (monarchia/tirannide, aristocrazia/
oligarchia, democrazia)… in questa ripartizione, la democrazia è sempre cattiva.
Nell’VIII libro le costituzioni sono quattro: tirannide, oligarchia e democrazia sono cattive, mentre l’unica
buona è l’aristocrazia.
Sparta costituisce un modello positivo in quanto costituzione che include le caratteristiche di costituzioni
diverse: tirannide, monarchia, aristocrazia e democrazia. Si introduce così nel dibattito il tema della
costituzione mista (miktè politeia). Questa ha anche lo scopo di frenare la degenerazione cui ogni
costituzione va incontro nel corso del ciclo storico. Il passo della Repubblica già considerato introduce l’idea
che anche una costituzione buona come l’aristocrazia possa decadere, a causa della degenerazione del tipo
d’uomo che vi corrisponde dall’aristocrazia nasce la timocrazia (governo di pochi selezionati sulla base del
ruolo sociale); dalla timocrazia nasce l’oligarchia (governo di pochi selezionati sulla base della ricchezza);
dall’oligarchia nasce la democrazia… e a questo punto, a causa dell’esasperazione indotta nei poveri
dall’avidità dei ricchi, la città si abbandona ad una libertà che sconfina nella licenza e all’esercizio di una
sfrenata libertà di parola… finchè il popolo sceglie un capo che finisce per farsi tiranno. Così, dalla miglior
costituzione, l’aristocrazia, si giunge alla peggiore, la tirannide.
Come sfuggire a questo ciclo? La soluzione inizialmente proposta da Platone è la conoscenza del bene,
attraverso la formazione filosofica. In seguito, egli ripiega sul rispetto della legge.
La costituzione mista è una soluzione appena accennata in Platone, ma che avrà grande fortuna nel
pensiero antico e che recupera alcuni aspetti della prassi democratica: nelle Leggi, Platone presenta Sparta
come un modello di costituzione mista, che, prendendo da ciascuna costituzione (monarchia, oligarchia,
democrazia) gli elementi migliori, li fonde in un modello originale… questo consente di dar vita ad un
esperienza costituzionale caratterizzata dall’equilibrio tra le diverse componenti e quindi da una maggiore
stabilità.
Un ulteriore passo è compiuto da Aristotele, il quale in alcuni casi parla di cinque costituzioni: tirannide,
oligarchia/aristocrazia, democrazia ed infine la politeia (= oppure ‘regime costituzionale’, di carattere
intermedio tra democrazia e oligarchia). Nel III libro della Politica troviamo una distinzione più articolata, che
presenta sei costituzioni, distinte sulla base del rapporto tra interesse privato e interesse comune.
Aristotele divide la monarchia – in tirannide da una parte, in ‘regno’ dall’altra. L’oligarchia (screditata) trova
un contraltare positivo in un’idea di aristocrazia che sostituisce l’educazione alla nobiltà di nascita e alla
ricchezza.
Platone non crede alla possibilità di una democrazia buona, né vi crede Isocrate, che affronta il problema
della riforma della democrazia ateniese contemporanea. La soluzione di Aristotele è la politeia, intesa come
un regime fortemente legato alle leggi e basato sul ruolo privilegiato della classe media.
Anche Aristotele si pone il problema della degenerazione costituzionale, individuando nella ‘costituzione
mista’ la soluzione alla decadenza nel ciclo delle cosituzioni. Il modello ideale è ancora una volta quello
spartano. A partire da questo schema, Aristotele elabora un nuovo modello costituzionale ‘misto’, fondato
sulla classe media: una ‘costituzione comune’ di tipo moderato che il filosofo auspica possa diffondersi in
tutta la Grecia ed essere accettata ovunque.
Lo storico Polibio svolge nel VI libro delle Storie una riflessione costituzionale, che parte dalla convinzione
che il motivo del successo storico di Roma vada individuato nel suo modello costituzionale, che univa
elementi democratici (le assemblee), oligarchici (il senato), monarchici (i consoli). Polibio riprende sia il tema
del canone delle costituzioni, sia quello della costituzione mista.
In VI troviamo sei forme di governo: monarchia/basileia, oligarchia/aristocrazia, oclocrazia/democrazia.
Nell’ultimo caso, Polibio propone un’innovazione – usa ‘democrazia’ in senso positivo. Il termine ‘democrazia’
sostituisce così il termine politeia nel significato ‘moderato’ che emerge dalla riflessione aristotelica.
Ma in Polibio è presente anche un’articolata teoria del ciclo costituzionale: dalla buona monarchia, la
basileia, nasce la tirannide… e dal disfacimento di queste due nasce l’aristocrazia, che degenera in
oligarchia.
Nel IV secolo il tema della patrios politeia è al centro della riflessione di Isocrate: nel 354 viene pubblicato
l’Areopagitico – opera contenente un progetto di riforma della democrazia ateniese basata su un’ampia
restaurazione dei poteri dell’Areopago e quindi sul ritorno all’antica costituzione anteriore alla riforma di
Efialte. Isocrate preferisce evitare di parlare di patrios politeia, egli preferisce parlare della ‘democrazia di un
tempo’… in realtà, i contenuti del progetto isocrateo non sono affatto democratici: la restaurazione del ruolo
dell’Areopago e delle sue antiche funzioni è solo un elemento di un programma più vasto, che comprende la
limitazione dei diritti politici, l’abolizione del sorteggio e il ritorno alle magistrature elettive. Il carattere
democratico del governo si sarebbe espresso non tanto nella partecipazione diretta, ma nel controllo del
governo stesso, esercitato eleggendo i magistrati e sottoponendoli a rendiconto.
Il programma recupera con intelligenza e realismo i progetti di riforma ‘moderata’ del sistema democratico.
Per ottenere l’assenso dell’opinione pubblica, Isocrate trasforma di fatto il movimento antidemocratico da
movimento rivoluzionario a movimento riformista, che si propone di cambiare la democrazia dall’interno.
Quello della patrios politeia è dunque un mito costituzionale utilizzato nell’ambito dello scontro
propagandistico, con contenuti sempre diversi: la sua fortuna rivela il rispetto del pensiero politico greco per
ciò che è antico, tradizionale e costituzionale di un popolo.
La patrios politeia costituisce innanzitutto un elemento della propaganda politica; ma ci aiuta anche a
comprendere la mentalità “tradizionalista” dei Greci in ambito politico e costituzionale… e l’importanza del
legame tra polis e politeia, tra identità cittadina e tradizione politico-costituzionale.
Il centro urbano
La presenza di strutture urbanistiche non basta a definire la polis: in assenza di forme di integrazione
politica, la città omerica non può essere considerata una vera e propria polis.
Tuttavia, il fenomeno della formazione della polis non può prescindere completamente dallo sviluppo di
strutture che richiedono un’adeguata organizzazione dello spazio.
Gli edifici più antichi che compaiono nelle aree urbane, affermano il primato dell’esperienza religiosa come
fattore unificante della comunità, mentre solo in un secondo momento compaiono gli edifici di carattere civile
e amministrativo. Ciò è dovuto al fatto che il santuario svolge un ruolo primario… il culto stabilisce una
coesione comunitaria stabile tra gruppi prima legati solo da semplice vicinanza geografica o sociale.
La Chora
Sul piano terminologico, chora può indicare sia il territorio nel suo complesso, compreso il centro urbano, sia
la campagna vera e propria. Il primo uso mostra che l’equilibrio città/territorio è uno degli aspetti caratteristici
della polis. Una parte significativa della popolazione, infatti, risiedeva nelle campagne.
Sul piano economico, la città greca ha una vocazione prevalentemente agricola. Nuove aree coltivabili
furono ricavate attraverso interventi mirati, come la realizzazione di terrazze, bonifiche, disboscamenti,
messa a cultura di terre marginali. La chora veniva sfruttata in modo stabile e intensivo per lo più da
contadini liberi piccoli proprietari.
Dal punto di vista del paesaggio rurale, notevole era la diffusione di fattorie occupate stabilmente dai
coltivatori, il che suggerisce un intenso e nazionale sfruttamento del territorio.
La chora non era tutta uguale – quella della pianura era ritenuta di qualità superiore rispetto a quella
collinare. Tuttavia nel complesso la terra costituiva un’adeguata fonte di sussistenza per il cittadino
proprietario.
Sarebbe erroneo pensare al piccolo contadino come a un povero.
La polis poteva inoltre trarre rendite dalla terra mediante l’affitto delle terre demaniali, che costituivano circa il
10% del territorio.
L’Eschatià
L’eschatia è la parte più esterna del territorio, che si trova lungo la fascia di confine, in genere, non fortificato
ma segnato da indicatori sacrali, come santuari e horoi. Si ritiene in genere che si tratti di una sorta di ‘terra
di nessuno’, destinata al pascolo pubblico e a legnatico.
La terminologia dell’eschatia rimanda certamente ad una posizione decentrata, ma non necessariamente
legata al confine.
Diritti e doveri del cittadino comprendono l’attività politica, il servizio militare e la partecipazione alla vita
religiosa della comunità.
Sul piano politico, i diritti fondamentali erano archein (esercitare la sovranità e le magistrature), dikazein
(praticare l’attività giudiziaria), ekklesiazein (andare in assemblea).
Alcuni cambiamenti intervengono nel corso del IV secolo. Accanto al concetto di politeia si afferma quello di
politeuma – appartiene a questa categoria chi gode dei pieni diritti politici attivi e passivi; fanno invece parte
della politeia anche coloro che conservano solo alcuni diritti di carattere politico. Si afferma così la figura
dell’archomenos polites: si tratta di un cittadino che è tale benchè eserciti solo alcuni dei diritti politici.
Essere cittadini comportava una serie di vantaggi di carattere economico: al cittadino erano riservati il
possesso di beni immobili e l’accesso ai sussidi e distribuzioni.
Per quanto riguarda il ruolo militare, esercito e cittadinanza coincidono: nel mestiere di cittadino, la guerra
costituisce una delle attività principali. In Atene, il servizio militare si era tenuti dai 20 ai 40 anni; in seguito,
fino ai 59 anni si costituiva la riserva; con i 60 anni si usciva dalle liste degli abili alle armi.
Il fattore religioso è fondamentale per il polites. La religione pervade tutti gli aspetti della vita civile… ogni
attività ha inizio con un momento religioso, una preghiera o un sacrificio.
Le donne
La polis esclude le donne da ogni forma di partecipazione politica. Nella polis greca, e in particolare ad
Atene, la donna libera e cittadina era definita dal matrimonio, dalla procreazione e dal lavoro domestico. Nel
matrimonio svolgeva un ruolo passivo – obiettivo del matrimonio era la generazione dei figli illegittimi. Il suo
ruolo nella polis si riduceva a quello di strumento di trasmissione della cittadinanza, attraverso la
procreazione di cittadini.
I suoi spazi di espressione restano dunque quelli dell’oikos (casa e vita familiare) e della religione. La polis
ateniese prevedeva per le donne anche riti loro riservati, legati ai culti di Atena e di Artemide e concepiti per
avviare le fanciulle al ruolo di moglie e madre.
Alcune testimonianze di età ellenistica sembrano mostrare maggiore disponibilità a concedere alla donna
alcuni diritti.
Comunque, queste differenze riguardano soprattutto i diritti ereditari e il diritto di proprietà: l’esclusione
politica resta un dato ineludibile ovunque.
La metoikia costituisce la più avanzata forma di integrazione dello straniero nella comunità. I meteci, o
stranieri residenti, avevano uno status intermedio tra cittadini e xenoi: erano stranieri che si stabilivano in
Atene, per un periodo superiore a un mese. Avevano l’obbligo di porsi sotto la protezione di un cittadino, che
assumeva la funzione di prostates.
I meteci erano iscritti come residenti in speciali registri tenuti dai demi ed erano quindi inseriti negli elenchi
delle tribù; prestavano servizio militare, ma erano esclusi da ogni forma di partecipazione politica.
Si ritiene in genere che avessero la possibilità di agire in giudizio solo quando erano in gioco i loro interessi
particolari: potevano cioè esperire solo azioni private o comunque attraverso il prostates.
La posizione del meteco nell’ambito della comunità della polis è stata ampiamente discussa.
Tradizionalmente ci si è preoccupati di sottolineare le forme di esclusione del meteco rispetto al cittadino, più
di recente si è preferito sottolineare le modalità di integrazione del meteco stesso.
Le orazioni di Lisia offrono diversi elementi di valutazione in questo senso: da una parte, su ciò che
l’opinione pubblica ateniese si attendeva dal meteco; dall’altra, su ciò che il meteco preferiva sottolineare
delle proprie virtù.
L’opinione pubblica democratica si attendeva dunque dai meteci che interferissero il meno possibile nella vita
pubblica e privata dei cittadini ateniesi. In Lisia il meteco sottolinea intensamente la propria devozione alla
democrazia.