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La polis greca - Cinzia Bearzot

Storia
Bocconi School of Management SDA
13 pag.

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La Polis Greca
CINZIA BEARZOT

Capitolo 1 – Per una definizione della ‘polis’


La storia della Grecia antica è caratterizzata dalla centralità della politica vissuta nell’ambito della comunità
cittadina, la Polis. Essa costituisce la principale forma di stato, tant’è vero che il pensiero politico greco si
concentra quasi interamente sulla polis e sulle sue forme costituzionali.
Il mondo greco conobbe anche altre forme di organizzazione statale: gli stati federali e gli stati territoriali. Tali
forme sono alternative alla polis e ne mettono in discussione alcuni limiti, come l’incapacità di dar vita ad un
equilibrio internazionale stabile, il carattere di ‘società chiusa’. Ma il pensiero politico greco non sembra
considerare altre forme di stato che la polis.

Gli antichi
Il termine polis ha diverse valenze e può significare “cittadella fortificata”, “acropoli”, “centro urbano”, ma
anche “entità statale” e soprattutto “comunità” nella sua dimensione politica.
Le fonti antiche segnalano il carattere non tanto urbanistico, quanto sociale e istituzionale della polis.
Già Alceo afferma che “sono gli uomini la torre che difende la città”… Analoga impostazione offre Tucidide,
quando fa dire allo stratego ateniese Nicia che i soldati ateniesi devono essere coraggiosi e capaci di
sfuggire ai nemici, se vogliono che le sorti di Atene si risollevino.
Allo stesso modo Temistocle… quando il corinzio Adimanto gli rinfaccia di essere un apolis, un uomo senza
polis… e di non poter quindi parlare né dare il suo voto nell’assemblea dei Greci.
Questi passi inducono a definire la polis prima di tutto come una comunità politica di cittadini insediata su un
territorio. La prevalenza della dimensione politica è ben illustrata da un passo di Pausania, in cui si afferma
che la città focese di Panopeo sembrerebbe non meritare il nome di polis: tuttavia, essa va considerata tale,
perché gli abitanti sono divisi dai vicini da confini e mandano anch’essi delegati all’assemblea dei Focesi.
È dunque la dimensione politica, unita a quella territoriale, a definire la polis.

Inoltre, va osservato che tracce di riflessione sugli stati federali sono molto modeste nel pensiero politico
greco. Aristotele da uno spazio limitatissimo agli stati federali, arrivando persino a negare che uno stato
federale possa avere una vera e propria costituzione. Il filosofo afferma infatti che una città che abbia un
numero troppo ridotto di cittadini non può bastare a sé stessa e tradisce così la sua natura di città, mentre
quella che ne ha troppi non è più una polis, perché difficilmente potrà avere una costituzione.
Quanto agli stati federali, una riflessione in merito è praticamente assente: non si arrivò mai ad elaborare
una teoria dello stato ellenistico, che valorizzasse aspetti come la fusione di elementi etnici diversi. Nelle
definizioni presenti nelle fonti letterarie ed epigrafiche sembra venir sottolineata una delle caratteristiche
principali dello stato territoriale, ovvero la complessità politica e sociale e l’articolazione fra realtà diverse
all’interno del territorio. Queste definizioni evidenziano un’articolazione tra elementi centralizzanti e realtà
locali, cogliendo la complessità dello stato ellenistico.
Né nel caso degli stati federali, né nel caso di quelli territoriali, dunque, abbiamo una riflessione che possa
essere paragonata a quella sulla polis.

I moderni
Se il problema delle origini della polis sembra non risolvibile in modo soddisfacente allo stato attuale, si è
però sviluppata una serie di riflessioni su altri temi non meno significativi, dal problema della divisione/
organizzazione dello spazio e del rapporto con il territorio a quello del significato della polis come comunità
cittadina.
La nozione di città-stato elaborata dai moderni non sarebbe necessariamente corrispondente alla nozione
greca di polis, e sarebbe comunque troppo rigida per esprimere le diverse realtà locali in cui era frazionata la
Grecia antica: il termine polis sembra infatti fare riferimento ad una grande varietà di forme di insediamento
e di comunità politiche e a livelli cronologici troppo diversi.
La ridiscussione del concetto polis non è certo mancata: particolarmente intensa è stata la discussione
sollevata sul carattere non statuale dell’esperienza della polis.
L’idea della ‘polis senza stato’ è stata anticipata da alcuni interventi volti a sottolineare il carattere ‘sociale’
della città greca. Osborne ha sottolineato che nella polis mancano sia una vera autorità statale sia un potere
esecutivo vero e proprio. In seguito, la riflessione è stata approfondita da Berent: egli sostiene che la polis
non corrisponde ai criteri necessari per poter parlare di stato. Essa infatti non presenterebbe una distinzione
fra popolo e potere esecutivo, con la conseguente necessità di affidare la tutela dell’ordine pubblico
all’iniziativa individuale.

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La polis non era dunque una città-stato, ma una stateless community, nel senso di una comunità di guerrieri,
la cui coesione dipendeva dalla tattica di combattimento oplitico (oplita= nell’antica Grecia, soldato di fanteria
con armatura pesante).
Posizioni come quella di Berent sembrano sottovalutare aspetti importanti della polis, dalla complessità della
struttura istituzionale alla territorialità. Una critica alle posizioni di Berent è venuta da Hansen, uno dei
massimi studiosi dei storia delle istituzioni greche.
Prima di considerare gli argomenti di Hansen, bisogna richiamare il prezioso contributo offerto dal
Copenhagen Polis Centre (CPC). Le sue ricerche hanno preso avvio dalla necessità di evitare una
discussione su basi teoriche e di raccogliere una documentazione più ampia possibile sulla polis… per poter
poi mettere a fuoco i diversi problemi che la riguardano. Nei numerosi volumi prodotti dal centro di ricerca
troviamo una raccolta delle fonti per la storia della polis, un prezioso ‘inventario’ delle medesime e gli atti di
vari convegni dedicati alle problematiche riguardanti la polis.

Nella sua polemica con Berent, Hansen sottolinea come non si possa restringere la discussione al concetto
di stato come ‘governo’, ma si debba piuttosto considerare anche lo stato come ‘territorio’ e come ‘corpo
politico’. Il territorio, pur non costituendo certo la parte fondamentale della polis, ne è infatti un elemento di
rilievo. Quanto allo stato come corpo politico, è questa una sicura caratteristica della polis che non è però
affatto assente negli stati moderni; per contro non manca, nel pensiero greco, l’idea che la polis sia non solo
il corpo cittadino, ma anche qualcosa di impersonale.
Per quanto riguarda l’amministrazione della giustizia, Hansen osserva innanzitutto che alcune caratteristiche,
come l’assenza di forze di polizia, il ricorso all’autodifesa da parte del cittadino, l’uso dell’iniziativa popolare
nella promozione dell’azione legale, non sono esclusive della polis, ma sono riscontrabili anche in molti stati
europei fino al XVIII secolo.
Quanto all’assenza di un esercito stabile, prima di tutto bisogna tener conto di una serie di eccezioni (Sparta
e Atene ad esempio); inoltre occorre valutare il grado di militarizzazione della società, molto elevato nelle
città greche, in cui i cittadini potevano essere spesso chiamati alle armi e in cui spese militari erano notevoli.
A parere di Hansen, insomma, le differenze tra polis e stato moderno finiscono per risultare modeste. Ciò
che accomuna queste due realtà è la nozione di cittadinanza, cioè l’appartenenza di un individuo a uno
stato, in virtù della quale egli, come cittadino, gode di una serie di privilegi in campo politico, economico e
sociale e di adeguate forme di tutela. Dunque la polis può essere considerata uno stato, perché ha queste
caratteristiche: è un potere pubblico legittimo con giurisdizione su un territorio definito, è in grado di
monopolizzare l’uso della forza e conosce una chiara separazione fra stato e società, fra pubblico e privato.

Recentemente il carattere politico della polis è stato rivendicato da Murray, il quale ha proposto un’idea della
polis come ‘città della ragione’, in cui ogni decisione è presa in seguito all’applicazione della procedura
razionale della discussione. La polis si presenta non tanto come una società di tipo tribale, ma come in un
contesto in cui si esprime pienamente una forma di razionalità politica.

Capitolo 2 – Origini della polis


La nascita della polis
I processi di trasformazione caratteristici della fase di transizione e di assestamento che dà origine alla polis
si possono collocare nell’VIII secolo: si tratta di un fenomeno complesso, che dà alla Grecia classica il suo
assetto caratteristico, consistente di una spiccata attività culturale e di un forte frazionamento politico,
determinato dalla presenza di più di 1000 stati indipendenti, diversi per le dimensioni geografiche e la natura
del territorio, per l’assetto urbanistico e monumentale.
Gli studi moderni sulla nascita della polis hanno sottolineato sia la continuità con l’età micenea e
submicenea, sia l’importanza della frattura culturale costituita dall’età oscura.
In realtà, il processo di formazione della polis sembra iniziare prima dell’VIII secolo e si estende per un lungo
arco cronologico, secondo alcuni fino al VI. Sicuramente alla seconda metà del VII secolo risale un’iscrizione
cretese, in cui si accena a decisioni prese dalla polis e che ci offre quindi la prima attestazione sicura della
città intesa come comunità politica. Tale processo presuppone alcuni fattori che segnalano il superamento
delle condizioni caratteristiche dell’età oscura la stabilità delle comunità sul territorio, lo sviluppo
dell’economia agricola, la dispersione della proprietà terriera, la crescita demografica, il miglioramento del
livello di vita. Tuttavia, è nell’età oscura che il fenomeno affonda le sue radici, quando le comunità locali
guidate dai re divengono nuovi poli di aggregazione, di carattere prevalentemente religioso-cultuale; intorno
a santuari e centri di culto si costituisce così la polis.
In generale, non sembra corretto enfatizzare un contesto geografico, perché il fenomeno della formazione
della polis interessa l’intera Grecia e ha un carattere non soltanto urbanistico, ma anche e soprattutto
sociale. Tale processo comprende la definizione territoriale, lo sviluppo istituzionale, l’affermazione di una
comunità politica dotata di una precisa identità. L’abbandono della struttura del villaggio sembra avere un
ruolo significativo. Con un movimento centripeto, la realtà cittadina si organizza intorno ad un centro

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attraverso l’aggregazione di diverse unità minori. Nel centro urbano, luogo politico e religioso, trovano sede
le principali strutture funzionali e cultuali.
Tucidide descrive un fenomeno di unificazione istituzionale, che non comporta un trasferimento della
popolazione. Tale fenomeno si esprime anche nell’evoluzione del volto architettonico della polis: la creazione
di un bouleuterion (la sede del consiglio) e di un pritaneo (la sede del focolare della città e delle
magistrature) unitari comporta anche l’edificazione dei relativi edifici. L’unificazione, in sostanza, si esprime
in forma sia architettonica che istituzionale.

La natura complessa della polis, fenomeno urbano e soprattutto comunità civile, emerge già dalle diverse
valenze semantiche del termine, che oscillano tra il significato concreto di ‘cittadella fortificata’, ‘acropoli’,
‘centro urbano’…
La polis è definibile come una società politica basata sull’idea di cittadinanza, nella cui formazione svolgono
un ruolo primario elementi ideali. Prima di tutto il culto poliade, che eprime, definisce e afferma l’identità della
polis; inoltre, l’ideologia comunitaria, che si basa sulla nozione di possesso comune e di spazio condiviso.
L’ideologia della polis comporta che territorio e popolazione siano sentite come una cosa comune.
Dal punto di vista dell’organizzazione politica, tutte le città presentano una struttura di base analoga,
comprendente un consiglio, un’assemblea, magistrati e tribunali.
Le suddivisioni interne alle città vanno intese come strutture di integrazione, che consentono un più facile
rapporto tra cittadino e istituzioni. Elemento essenziale della polis è, infatti, l’integrazione: è attraverso
l’inserimento in una comune dimensione politica che la comunità dei liberi raggiunge la necessaria stabilità.
L’opera di mediazione tra le parti sociale va intesa come azione di potenziamento della dimensione
comunitaria, della solidiarietà interna della polis.

La riforma oplitica
La riforma oplitica è uno dei fattori chiamati in causa per spiegare il processo di formazione della città intesa
come realtà sociale. Con questa riforma militare il nucleo dell’esercito venne ad essere costituito non più
dalla cavalleria, ma dai fanti armati pesantemente, i cosiddetti ‘opliti’ (il termine deriva da ‘hopla’, le armi che
costituiscono l’armatura del fante). Con questa riforma la funzione guerriera cessò di essere un privilegio
aristocratico e si ampliò fino a comprendere anche i membri del demos, cioè della popolazione contadina
residente sul territorio.
L’armamento era costituito elmo, corazza, schinieri, scudo rotondo a doppia impugnatura, lancia: la
documentazione archeologica permette di farlo risalire al 700 circa. Tale armamento era accessibile anche ai
membri della classe media, i piccoli proprietari contadini. In cambio del contributo dato alla difesa della
comunità, gli opliti richiesero e ottennero una corrispondente integrazione sociale e politica.
Il ruolo della riforma oplitica è stato molto discusso… ma nonostante questo, sembra difficile negare
l’importanza del fattore militare nei cambiamenti politic che hanno a che fare con la nascita della polis.
In ogni caso, non sono solo l’armamento e il combattimento di massa a definire l’oplita: scontri di massa
sono presenti già in Omero, ma senza che si possa parlare di un vero e proprio schieramento. La
caratteristica nuova è data dal fatto che nella falange oplitica il soldato combatte a ranghi serrati, e per
poterlo fare deve mantenere il proprio posto nello schieramento. La virtù eroica del guerriero aristocratico
viene così superata e si affermano nuovi valori, come l’autocontrollo, la moderazione e il senso della
solidarietà e della parità fra uguali.
Dall’oplitismo nacquero così comunità di cittadini più ampie e coese.

‘Polis’ e ‘Poleis’
Le differenze tra polis e poleis investono diversi piani.
Prima di tutto, il piano delle dimensioni e delle caratteristiche geografico-territoriali. Il 75% delle poleis aveva
territori molto limitati, inferiori ai 100km2.
Con il territorio è collegata la questione delle differenze sul piano insediativo: città il cui territorio coincide con
una regione, come Sparta e Atene… che presentano diversi centri abitati, differenziati rispetto alla città
principale.
Forti differenze si registrano anche a livello socio-democratico. Vi sono città con un livello demografico
elevato, di migliaia di individui, di status diversi; è il caso di Atene, Sparta, Siracusa.
Soprattutto diversa appare la struttura della società:
• Il modello dorico (Creta e Tessaglia) prevedeva che fossero schiavi a coltivare la terra, mentre la
popolazione libera poteva dedicarsi alla vita politico-militare.
• Nel modello affermatosi in Attica e in Beozia la terra era invece coltivata da agricoltori liberi, diretti
discendenti del damos di età micenea.
Infine, le differenze più significative si registrano a livello urbanistico e architettonico: Atene presenta un
grande sviluppo monumentale, mentre è nota la diversa struttura di Sparta.

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Insomma, quando parliamo di polis, cerchiamo di cogliere gli elementi comuni di esperienze variegate, sia a
livello strutturale, sia a livello ‘ideologico’. Basterebbe pensare ad Atene e Sparta, i quali divennero punti di
riferimento delle esperienze oligarchiche e democratiche.
• Sparta propone l’integrazione di un ristretto gruppo di cittadini di pieno diritto, cui è riconosciuta
perfetta uguaglianza. Il ruolo dei cittadini è definito dalla funzione militare, mentre la coltivazione è
affidata agli iloti.
• Ad Atene, invece, il demos comprende non solo i piccoli contadini, ma anche i teti, i nullatenenti privi
di proprietà terriera.
• Le due città vengono così a costituire i due poli, l’uno democratico e l’altro oligarchico,
dell’esperienza statale greca.
• Argo, che presentava una struttura sociale tipicamente dorica, con un damos libero e una
popolazione dominata, non si irrigidì come Sparta ma immise nella cittadinanza inferiori di status
servile e si diede una nuova organizzazione politico-territoriale. Questi mutamenti portarono ad
un’organizzazione di tipo ateniese.
• Corinto, città di commercianti e agricoltori, ebbe invece una costituzione oligarchica molto stabile.
• Tebe passò dalla oligarchia estremista all’oligarchia moderata, basata sul possesso di proprietà
terriera.
• Siracusa, grande città dorica d’Occidente, fu quasi sempre governata da tirannidi, ma tra il 466
(caduta della tirannide dei Dinomenidi) e il 405 (avvento di Dioniso I) ebbe un governo oscillante fra
oligarchia e democrazia.
• Questi esempi sono sufficienti a mostrare come le comunità si siano evolute in sistemi molto diversi.
Ovviamente non mancano elementi comuni, essendo caratteristici della polis, concorrono a
identificare come tale una comunità: la capacità di battere moneta, l’assemblea, le magistrature,
l’appartenenza ad una lega militare, la capacità di dichiarare la guerra, di concludere la pace, di
sottoscrivere trattati.

L’ideologia della polis: autonomia e libertà


Con l’esperienza storica delle guerre persiane, i Greci maturarono la coscienza dei valori della loro civiltà –
essenzialmente i valori della Grecia delle città.
“Autonomia” non ricorre nelle fonti fino alla seconda metà del V secolo e sembra identificare la possibilità di
governarsi con proprie leggi liberamente accettate, senza condizionamenti esterni. Per la precisione,
autonomo è lo stato che è libero di stabilire le norme secondo cui vuole vivere, in un campo che sembra
investire soprattutto il livello politico e militare.
Poiché l’autonomia definisce il grado di indipendenza in relazione a un potere più forte, si è cercato di
collegare la genesi del concetto con il rapporto fra Greci d’Asia e Persia, con le relazioni fra egemone e
alleati nell’ambito dell’impero ateniese.
L’autonomia è collegata con il modello ideale di polis: se poi per alcune questo o altri modelli non trovano
corrispondenza nella realtà storica, ciò non significa che non si trattasse di un ideale sentito.
“Eleutheria” (Libertà) identifica invece la possibilità di svolgere una politica estera indipendente. In origine, il
termine indica la condizione dell’individuo… poi passa a definire il regime della città e la sua indipendenza
da un potere straniero.
• Nel V secolo i due termini non si sovrappongono del tutto, poiché ‘libertà’ sembra riguardare
soprattutto la politica estera, ‘autonomia’ una serie di aspetti tra i quali sembra prelevare quello
costituzionale, anche se talore si è preferito individuare una distinzione diversa, per cui ‘libertà’
avrebbe a che fare con il livello ideale, ‘autonomia’ con il livello più concreto del diritto positivo.
Questi valori conservano grande importanza anche in età ellenistica. Proprio la loro esasperazione
rese difficile l’affermazione di un equilibrio internazionale stabile nel mondo greco.
A partire da Tucidide, la tradizione sottolinea il collegamento tra la divisione interna del mondo greco e la sua
debolezza politica, individuando nella capacità di agire in comune un elemento di sviluppo e di
rafforzamento.
Furono dunque sperimentate diverse forme di collaborazione tra stati, dalle anfizionie (leghe sacre di popoli
vicini, che si riconoscevano in un culto comune) alle leghe militari, di natura difensiva. Di questa natura
furono la Lega del Peloponneso, che riuniva diversi stati sotto l’egemonia di Sparta, e le due leghe navali
costituite sotto la guida di Atene nel V e nel IV secolo. Ma la tendenza delle poleis egemoni ad utilizzare a
proprio vantaggio le leghe militari si fece sentire costantemente nell’ambito della storia greca, riducendo
sensibilmente il valore di queste strutture per la realizzazione di un efficace coordinamento dei Greci fra loro.
In origine alleanze di tipo difensivo in cui l’autonomia dei singoli stati membri era rispettata e i contraenti
erano obbligati all’intervento armato in favore dell’egemone o di un membro della lega solo in caso di
aggressione… esse manifestarono la tendenza a mutarsi in alleanza offensiva e difensiva, in cui gli stati
membri erano costretti a condividere la politica estera dell’egemone, rinunciando ad averne una propria. In
questo caso, l’autonomia e la libertà delle città alleate venivano lese dall’egemone, il cui interesse finiva per
prevalere su quello comune.

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Il tentativo di superare la frammentazione politica del mondo greco si scontrò con la volontà delle singole
poleis di affermare la propria autonomia.
Né ottennero miglior successo formule elaborate dal diritto internazionale greco, come la ‘pace comune’, allo
scopo di realizzare e di mantenere una convivenza internazionale stabile.

Polis e stato federale


Lo stato federale greco era caratterizzato dall’unione di diverse città e villaggi in un rapporto di ‘cittadinanza
comune’.
In ambito ufficiale, essa si esprime nella definizione onomastica del cittadino, che accosta all’etnico della
federazione, la specificazione della località di origine.
Lo stato federale fu, in età arcaica, la struttura politica delle comunità caratterizzate da una identità etnica e
non cittadina, situate spesso in zone isolate.
A partire dal IV secolo a.C. gli stati federali divennero un’esperienza di stato alternativa a quella cittadina…
fino ad affermarsi pienamente come potenze politiche in età ellenistica.
Anche gli stati federali presentavano una grande varietà di forme costituzionali. Le strutture principali erano
l’assemblea, il consiglio e le magistrature. Nei diversi stati, diversamente regolato era l’accesso alla
partecipazione politica da parte dei cittadini: i regimi più diffusi erano quelli di carattere ‘moderato’, cioè
oligarchie piuttosto ampie.
All’interno di ciascun koinon convivevano istituzioni locali e federali: le prime si occupavano
dell’amministrazione delle singole comuità, le seconde avevano competenza sugli affari esteri, sulla gestione
dell’esercito e su tutte le questioni di interesse comune, di carattere politico, giudiziario e finanziario.
Il problema principale era costituito dall’articolazione tra potere federale e poteri locali.
Potenti elementi di rafforzamento dell’unità federale furono poi il fattore religioso e lo scambio di diritti di
carattere privato tra i membri della federazione.
Tuttavia, il rapporto tra polis e koinon appare spesso caratterizzato da forti conflitti. Si tratta, in effetti, di due
realtà alternative, i cui principi sono in contrasto: da una polis con i suoi ideali di indipendenza e di
autonomia, dall’altra il koinon con la sua pretesa di coordinare realtà locale e realtà federale in un sistema
integrato.
La vita cittadina che si sviluppò poi anche negli stati federali agì così ora come forza centrifuga (spezzando
l’unità della federazione, ad esempio in Tessaglia) ora come forza centripeta (assoggettando la federazione
alla polis, è il caso dei Beoti o dei Calcidesi di Tracia).
Inoltre le poleis, condizionarono fortemente la federazione dal punto di vista politico.
Per contro, l’assenza di tensioni interne costituì un elemento di forza e di progressiva affermazione politica.
Se ne può concludere che, nello stato federale, la polis rimase un elemento fortemente condizionante,
fattore di sviluppo e insieme di crisi.

Capitolo 3 – “Polis” e “Politeia”


La Politeia
Nel mondo greco, l’idea di ‘costituzione’ (politeia) è fondata sulla nozione di ‘legge’ (nomos). La legge
costituisce in sé un limite sia per i cittadini sia per i pubblici poteri, e non è concepibile che una legge possa
essere ‘incostituzionale’ perché in contrasto con i principi fissati nella costituzione.
‘Politeia’ è un termine polisemantico, che deriva da polis, ed esprime lo statuto e l’insieme delle funzioni e
delle attività civiche dei politai. Come tutti i termini con suffisso –eia, si tratta di un astratto di formazione
recente.
Può indicare l’organizzazione politica di una comunità ma anche la cittadinanza.
Politeia – compare per la prima volta in Erodoto, con il significato di ‘diritto di cittadinanza’.
In seguito, il termine ricorre sei volte nella Costituzione degli Ateniesi di Pseudosenofonte, un pamphlet
antidemocratico che fa parte del genere letterario delle politeiai, nato nell’ambito della sofistica. Genere
letterario che comprende scritti teorici sulla politeia e trattati descrittivi sulle costituzioni.
La Costituzione degli Spartani di Senofonte è invece un vero e proprio pamphlet politico di ispirazione
costituzionale.
Eredi di questa tradizione, Aristotele e la sua scuola dedicano grande impegno alla raccolta di dati sulle
costituzioni greche. In Tucidide, la terminologia della politeia ricorre in una ventina di casi e appare ormai
affermata.
L’importanza della politeia nella definizione della polis è sottolineata dagli interventi di alcuni autori del IV
secolo (ad esempio Isocrate e Aristotele).

Le diverse forme di costituzione: il ‘tripolitico’ di Erodoto


Le poleis mostrano una grande varietà nell’assetto esteriore, quanto a dimensioni e caratteristiche del
territorio, livello demografico, organizzazione della popolazione, aspetto monumentale.

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Si è detto che il termine politeia indica sia l’organizzazione politico-costituzionale, sia la cittadinanza; in
questo secondo senso, esso è collegato con le nozioni di appartenenza e di condivisione, tanto che ‘essere
cittadini’ si dice in greco ‘aver parte alla politeia’.
La composizione del corpo civico, cioè di coloro che godono dei pieni diritti politici, può essere definita in
modo molto diverso, sulla base di differenti criteri: nascita, censo, contributo familiare.
Si afferma poco a poco la tendenza a concepire come uguali coloro che ‘partecipano alla politeia’.
Ovviamente, questa tendenza si manifesta pienamente nei sistemi democratici, che portano al processo di
inclusione dei liberi nella cittadinanza.
Il pensiero politico greco classifica le costituzioni sulla base di una tripartizione in monarchia, oligarchia e
democrazia, la cui prima attestazione articolata si trova in Erodoto, nel dialogo detto ‘Tripolitico’. Il criterio
utilizzato da quest’ultimo è quello dell’estensione della sovranità, affidata a uno solo, a pochi o a tutti. I
termini utilizzati sono composti con kratos (che esprime la forza e il potere) ed archè (che esprime il potere
di comando, tipico dei magistrati). Il carattere innovativo del contributo di Erodoto si rileva anche dal fatto
che è nella sua opera che compaiono per la prima volta sia il termine ‘democrazia’, sia il termine ‘oligarchia’.
Nel dibattito vengono discussi, oltre al tema dell’estensione della sovranità, anche il valore morale e la
competenza necessari per essere qualificati a governare.. e l’importanza della legge.

Otane, difensore della democrazia, caratterizza il regime monarchico con i tratti tipici della tirannide, in cui
l’autocrate viola la legge: l’opposizione democrazia/tirannide è tipica della tradizione ateniese. Al contrario, la
democrazia è definita da Otane con il termine isonomia, che esprime l’uguaglianza di fronte alla legge e per
mezzo di essa. Otane consiglia di dare il potere al popolo. In sé, isonomia non equivale a democrazia, ma il
riferimento ad essa emerge chiaramente nei contenuti che rimandano alla sovranità popolare,
all’uguaglianza, alla partecipazione, dal controllo dei magistrati e dalla messa ‘in comune’ di tutte le decisioni.

Megabizo parte, come Otane, dal rifiuto della tirannide, ma critica duramente la democrazia, insistendo sul
fatto che il popolo non è qualificato a governare: privo di intelligenza e ricco di arroganza, il popolo è una
‘massa inutile’.
Nella visione aristocratica di Megabizo, individuo e massa sono equiparati quanto a violenza e illegalità, e la
scelta di un governo oligarchico è imposta dal fatto che ‘dagli uomini migliori’ derivano ‘le deliberazioni
migliori’.
Diversamente da oligarchia, l’astratto ‘aristocrazia’ non compare in Erodoto, essendo di formazione più
tarda: esso sembra nascere come parola d’ordine delle fazioni oligarchiche.

Dario sostiene diversamente la monarchia in quanto un solo uomo eccellente (aristos) può governare nel
modo migliore e garantire il sistema la massima efficienza.
Alla democrazia si rimprovera di perdere tempo nel confronto e nel dibattito e di reagire con lentezza.
In ogni caso, l’elogio della monarchia suona ‘accademico’ per la Grecia del V secolo: i regimi più diffusi
all’epoca in Grecia erano democrazia e oligarchia, entrambi caratterizzati da quella partecipazione diretta
che la monarchia invece esclude in linea di principio.

La discussione appare dominata dal tema della qualifica a governare. Al popolo viene rivendicato, da Otane,
il pieno possesso della xynesis: ribadendo ciò, i democratici si oppongono alle accuse di incopetenza e di
classismo.
Ma l’intervento di Otane a favore della democrazia contiene anche riferimenti istituzionali. In questi non è
difficile individuare allusioni alla contemporanea democrazia ateniese. Nel dialogo erodoteo, la democrazia
appare dunque come la miglior realizzazione delle tendenze isonomiche insite nel concetto di polis.

La riflessione teorica sulla ‘politeia’ nel IV secolo


Nel IV secolo la riflessione sulla ‘politeia’ si sviluppa e si approfondisce. Si afferma, inoltre, l’idea del ‘ciclo’
costituzionale, per cui ogni costituzione tende a trasformarsi in un altro modello, fino a ritornare all’inizio del
ciclo stesso: un processo di decadenza al quale ci si domanda come lo stato possa sfuggire.
Isocrate ripropone la divisione in monarchia, oligarchia, democrazia, incentrata sul tema della sovranità e sul
numero di coloro che la esercitano; tuttavia, il valore delle singole costituzioni viene fatto dipendere non tanto
dal numero, quanto dalle qualità di chi governa.
Ciò comporta che si possa avere una democrazia buona o cattiva, un’oligarchia buona o cattiva.
Un criterio ancora diverso è quello del rispetto della legge: esso trova sviluppo del IV secolo. Eschine,
parlando delle tre forme principali di governo, distingue tra tirannidi e oligarchie, esposte a rischi di
sovversione provenienti dall’iniziativa dei più forti, e democrazie, che si reggono secondo le leggi stabilite e
in cui sia i cittadini sia la costituzione sono tutelati dalla legge. Questa visione si oppone a quella del sofista
Trasimaco, secondo cui:
ogni governo pone le leggi che gli siano vantaggiose: la democrazia democratiche, la tirannide
tiranniche, e le altre allo stesso modo.

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Anche Demostene, come Eschine, contrappone la democrazia alle oligarchie e tirannidi, dando alla
democrazia un ruolo centrale. Tuttavia, egli procede a volte anche in altro senso, accomunando democrazie
e oligarchie nella definizione di politeiai, e contrapponendole al potere assoluto del monarca. La necessità
della propaganda politica inducono a sperimentare nuove forme di ripartizione e di accorpamento dei modelli
costituzionali.
Caratteristico del IV secolo è poi il passaggio dalla tripartizione ad una divisione più articolata: ad ogni forma
costituzionale viene fatta corrispondere una forma degenerata, generando un canone di sei costituzioni.
Il tema è platonico – Platone propone un’articolazione in quattro o cinque modelli, mettendo in discussione il
valore degli schemi costituzionali tradizionali e il ruolo centrale della democrazia proposto da diversi oratori
del IV secolo. Infatti, a differenza della tirannide e dell’oligarchia, la democrazia ha sempre carattere
negativo.

Nel V libro della Repubblica, Platone considera cinque costituzioni (monarchia/tirannide, aristocrazia/
oligarchia, democrazia)… in questa ripartizione, la democrazia è sempre cattiva.
Nell’VIII libro le costituzioni sono quattro: tirannide, oligarchia e democrazia sono cattive, mentre l’unica
buona è l’aristocrazia.
Sparta costituisce un modello positivo in quanto costituzione che include le caratteristiche di costituzioni
diverse: tirannide, monarchia, aristocrazia e democrazia. Si introduce così nel dibattito il tema della
costituzione mista (miktè politeia). Questa ha anche lo scopo di frenare la degenerazione cui ogni
costituzione va incontro nel corso del ciclo storico. Il passo della Repubblica già considerato introduce l’idea
che anche una costituzione buona come l’aristocrazia possa decadere, a causa della degenerazione del tipo
d’uomo che vi corrisponde dall’aristocrazia nasce la timocrazia (governo di pochi selezionati sulla base del
ruolo sociale); dalla timocrazia nasce l’oligarchia (governo di pochi selezionati sulla base della ricchezza);
dall’oligarchia nasce la democrazia… e a questo punto, a causa dell’esasperazione indotta nei poveri
dall’avidità dei ricchi, la città si abbandona ad una libertà che sconfina nella licenza e all’esercizio di una
sfrenata libertà di parola… finchè il popolo sceglie un capo che finisce per farsi tiranno. Così, dalla miglior
costituzione, l’aristocrazia, si giunge alla peggiore, la tirannide.
Come sfuggire a questo ciclo? La soluzione inizialmente proposta da Platone è la conoscenza del bene,
attraverso la formazione filosofica. In seguito, egli ripiega sul rispetto della legge.
La costituzione mista è una soluzione appena accennata in Platone, ma che avrà grande fortuna nel
pensiero antico e che recupera alcuni aspetti della prassi democratica: nelle Leggi, Platone presenta Sparta
come un modello di costituzione mista, che, prendendo da ciascuna costituzione (monarchia, oligarchia,
democrazia) gli elementi migliori, li fonde in un modello originale… questo consente di dar vita ad un
esperienza costituzionale caratterizzata dall’equilibrio tra le diverse componenti e quindi da una maggiore
stabilità.

Un ulteriore passo è compiuto da Aristotele, il quale in alcuni casi parla di cinque costituzioni: tirannide,
oligarchia/aristocrazia, democrazia ed infine la politeia (= oppure ‘regime costituzionale’, di carattere
intermedio tra democrazia e oligarchia). Nel III libro della Politica troviamo una distinzione più articolata, che
presenta sei costituzioni, distinte sulla base del rapporto tra interesse privato e interesse comune.
Aristotele divide la monarchia – in tirannide da una parte, in ‘regno’ dall’altra. L’oligarchia (screditata) trova
un contraltare positivo in un’idea di aristocrazia che sostituisce l’educazione alla nobiltà di nascita e alla
ricchezza.
Platone non crede alla possibilità di una democrazia buona, né vi crede Isocrate, che affronta il problema
della riforma della democrazia ateniese contemporanea. La soluzione di Aristotele è la politeia, intesa come
un regime fortemente legato alle leggi e basato sul ruolo privilegiato della classe media.
Anche Aristotele si pone il problema della degenerazione costituzionale, individuando nella ‘costituzione
mista’ la soluzione alla decadenza nel ciclo delle cosituzioni. Il modello ideale è ancora una volta quello
spartano. A partire da questo schema, Aristotele elabora un nuovo modello costituzionale ‘misto’, fondato
sulla classe media: una ‘costituzione comune’ di tipo moderato che il filosofo auspica possa diffondersi in
tutta la Grecia ed essere accettata ovunque.

Lo storico Polibio svolge nel VI libro delle Storie una riflessione costituzionale, che parte dalla convinzione
che il motivo del successo storico di Roma vada individuato nel suo modello costituzionale, che univa
elementi democratici (le assemblee), oligarchici (il senato), monarchici (i consoli). Polibio riprende sia il tema
del canone delle costituzioni, sia quello della costituzione mista.
In VI troviamo sei forme di governo: monarchia/basileia, oligarchia/aristocrazia, oclocrazia/democrazia.
Nell’ultimo caso, Polibio propone un’innovazione – usa ‘democrazia’ in senso positivo. Il termine ‘democrazia’
sostituisce così il termine politeia nel significato ‘moderato’ che emerge dalla riflessione aristotelica.
Ma in Polibio è presente anche un’articolata teoria del ciclo costituzionale: dalla buona monarchia, la
basileia, nasce la tirannide… e dal disfacimento di queste due nasce l’aristocrazia, che degenera in
oligarchia.

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Il dibattito sulla miglior costituzione, aperto da Erodoto, si conclude quindi con l’individuazione, evidente
soprattutto con Aristotele, di un modello medio, in cui tutti possano riconoscersi e che tutte le poleis possano
adottare.

La propaganda costituzionale: la “patrios politeia”


Patrios politeia o “costituzione degli antenati” si tratta di uno slogan che può assumere contenuti diversi, al
servizio di diverse e opposte propagande.
Attorno al V secolo l’opposizione antidemocratica ateniese passò alla via rivoluzionaria ed elaborò una
propaganda sulla ‘democrazia diversa’. La ‘diversità’ riguardava i meccanismi istituzionali: il potere
decisionale e il diritto elettorale passivo dovevano essere ridotti, istituendo così un’oligarchia moderata,
fondata sulla classe media. La “democrazia diversa” doveva però essere presentata come avente alle spalle
una consolidata tradizione: non si trattava di una rivoluzione, ma di un ritorno all’antico.
Nasce così il mito della ‘costituzione dei padri’.
La prima attestazione del concetto di patrios politeia si trova in un frammento del sofista Trasimaco di
Calcedone, datato al 411, il quale fa riferimento a una costituzione denominata patrios, “del buon tempo
antico” – una costituzione con sottolineature oligarchiche, capace di assicurare pace e concordia.
La costituzione degli antenati viene concepita diversamente dalle diverse fazioni ateniesi. Gli antidemocratici
responsabili degli esperimenti oligarchici dei Quattrocento e dei Trenta Tiranni costruirono modelli ideali di
tipo moderato e che guardavano al quadro costituzionale anteriore alla riforma di Efialte.
Per il 411, rimanda al tema della patrios politeia il cosiddetto “emendamento di Clitofonte”: esso evoca i
modelli costituzionali di Solone e di Clistene, assimilandoli fra loro in un modello di “democrazia” moderata
capace di togliere autorità a quello della democrazia radicale periclea.
Sempre nel 411, rimanda al tema della patrios politeia l’affermazione che il regime oligarchico dei
Quattrocento andava considerato secondo le tradizioni dei padri.
Ne seguì un dibattito su quale fosse effettivamente in Atene la vera patrios politeia, su cui ci informa
Aristotele, e che mostra bene il carattere ambiguo dello slogan, rivendicato contestualmente da fazioni
diverse.
Che il punto centrale del programma oligarchico fosse la restaurazione della patrios politeia lo mostra il fatto
che i Trenta Tiranni furono designati con l’incarico di redigere una legislazione “conforme alla tradizione
patria” (patrioi nomoi), e che uno dei punti principali del programma oligarchico fu la restaurazione delle
competenze del consiglio dell’Areopago, abolite dalla riforma democratica di Efialte: i Trenta, secondo
Aristotele, individuavano in questa riforma il cuore della restaurazione della patrios politeia. I democratici, a
loro volta, rivendicarono il carattere tradizionale della costituzione democratica.

Nel IV secolo il tema della patrios politeia è al centro della riflessione di Isocrate: nel 354 viene pubblicato
l’Areopagitico – opera contenente un progetto di riforma della democrazia ateniese basata su un’ampia
restaurazione dei poteri dell’Areopago e quindi sul ritorno all’antica costituzione anteriore alla riforma di
Efialte. Isocrate preferisce evitare di parlare di patrios politeia, egli preferisce parlare della ‘democrazia di un
tempo’… in realtà, i contenuti del progetto isocrateo non sono affatto democratici: la restaurazione del ruolo
dell’Areopago e delle sue antiche funzioni è solo un elemento di un programma più vasto, che comprende la
limitazione dei diritti politici, l’abolizione del sorteggio e il ritorno alle magistrature elettive. Il carattere
democratico del governo si sarebbe espresso non tanto nella partecipazione diretta, ma nel controllo del
governo stesso, esercitato eleggendo i magistrati e sottoponendoli a rendiconto.
Il programma recupera con intelligenza e realismo i progetti di riforma ‘moderata’ del sistema democratico.
Per ottenere l’assenso dell’opinione pubblica, Isocrate trasforma di fatto il movimento antidemocratico da
movimento rivoluzionario a movimento riformista, che si propone di cambiare la democrazia dall’interno.

Quello della patrios politeia è dunque un mito costituzionale utilizzato nell’ambito dello scontro
propagandistico, con contenuti sempre diversi: la sua fortuna rivela il rispetto del pensiero politico greco per
ciò che è antico, tradizionale e costituzionale di un popolo.
La patrios politeia costituisce innanzitutto un elemento della propaganda politica; ma ci aiuta anche a
comprendere la mentalità “tradizionalista” dei Greci in ambito politico e costituzionale… e l’importanza del
legame tra polis e politeia, tra identità cittadina e tradizione politico-costituzionale.

Capitolo 4 – Città e territorio


La Polis corrisponde ad uno spazio geografico stabile e definito, comprendente la parte urbana, il territorio
rurale, l’area di confine, i santuari extraurbani. Esiste una continuità fra mondo delle civiltà palaziali (minoico
e miceneo) e alto arcaismo greco – la polis presenta infatti da una parte strutture di eredità micenea e
minoica, dall’altro significative novità nell’organizzazione del territorio.
Se il binomio agorà/santuario e la definizione del territorio sembrano presenti già nella città palaziale
minoica, tipicamente micenea è l’articolazione tra l’acropoli, la rocca fortificata e la città bassa.

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Elemento nuovo rispetto al miceneo è invece l’interazione fra il centro cittadino (asty) e la campagna
coltivata (chora), alla quale va aggiunta l’area territoriale periferica denominata eschatià, destinata a pascolo
o comunque a forme insediative di sfruttamento.
Per quanto riguarda il problema dell’organizzazione dello spazio cittadino, il mondo greco conosce due
tendenze alternative, una all’ortogonalità e una alla circolarità.
La tendenza ortogonale trova espressione nel pensiero di Ippodamo di Mileto. Dietro questa tendenza vi è
soprattutto l’esigenza di organizzare lo spazio per garantire non solo la funzionalità, ma anche la stabilità dei
rapporti spaziali. Più antica è la tendenza di carattere delimitante, che cioè considera lo spazio come
qualcosa da circoscrivere. L’obiettivo, in questo caso, è quello di preservare lo spazio cittadino da pericoli
esterni. L’esempio tipico è ancora una volta Atene.

Il centro urbano
La presenza di strutture urbanistiche non basta a definire la polis: in assenza di forme di integrazione
politica, la città omerica non può essere considerata una vera e propria polis.
Tuttavia, il fenomeno della formazione della polis non può prescindere completamente dallo sviluppo di
strutture che richiedono un’adeguata organizzazione dello spazio.
Gli edifici più antichi che compaiono nelle aree urbane, affermano il primato dell’esperienza religiosa come
fattore unificante della comunità, mentre solo in un secondo momento compaiono gli edifici di carattere civile
e amministrativo. Ciò è dovuto al fatto che il santuario svolge un ruolo primario… il culto stabilisce una
coesione comunitaria stabile tra gruppi prima legati solo da semplice vicinanza geografica o sociale.

La Chora
Sul piano terminologico, chora può indicare sia il territorio nel suo complesso, compreso il centro urbano, sia
la campagna vera e propria. Il primo uso mostra che l’equilibrio città/territorio è uno degli aspetti caratteristici
della polis. Una parte significativa della popolazione, infatti, risiedeva nelle campagne.
Sul piano economico, la città greca ha una vocazione prevalentemente agricola. Nuove aree coltivabili
furono ricavate attraverso interventi mirati, come la realizzazione di terrazze, bonifiche, disboscamenti,
messa a cultura di terre marginali. La chora veniva sfruttata in modo stabile e intensivo per lo più da
contadini liberi piccoli proprietari.
Dal punto di vista del paesaggio rurale, notevole era la diffusione di fattorie occupate stabilmente dai
coltivatori, il che suggerisce un intenso e nazionale sfruttamento del territorio.
La chora non era tutta uguale – quella della pianura era ritenuta di qualità superiore rispetto a quella
collinare. Tuttavia nel complesso la terra costituiva un’adeguata fonte di sussistenza per il cittadino
proprietario.
Sarebbe erroneo pensare al piccolo contadino come a un povero.
La polis poteva inoltre trarre rendite dalla terra mediante l’affitto delle terre demaniali, che costituivano circa il
10% del territorio.

L’Eschatià
L’eschatia è la parte più esterna del territorio, che si trova lungo la fascia di confine, in genere, non fortificato
ma segnato da indicatori sacrali, come santuari e horoi. Si ritiene in genere che si tratti di una sorta di ‘terra
di nessuno’, destinata al pascolo pubblico e a legnatico.
La terminologia dell’eschatia rimanda certamente ad una posizione decentrata, ma non necessariamente
legata al confine.

L’organizzazione dello spazio


Il tema dell’organizzazione dello spazio nelle città greche è stato molto dibattuto in tempi recenti. Le
caratteristiche principali dello stile di vita greco erano la partecipazione alla vita comunitaria a livello politico-
sociale e a livello religioso.
La nascita della città comporta infatti una ristrutturazione dello spazio urbano e una sua qualificazione. Le
fonti consentono di rilevare una distinzione fra spazio pubblico e spazio privato; il primo è stato spesso
inteso come ‘spazio civico’, cioè riservato ai soli cittadini di pieno diritto.
Le città ‘ad evoluzione progressiva’ tendono a svilupparsi in modo naturale e spontaneo intorno al centro,
identificato dal santuario poliade. È il caso di Atene, il cui spazio pubblico si organizza intorno all’acropoli e
all’agorà del Ceramico, o di Corinto, dove l’organizzazione avviene intorno al tempio di Apollo e all’agorà.
Le città nate da un atto di fondazione mostrano invece una diversa ripartizione dello spazio: gli spazi pubblici
non si trovano necessariamente al centro, ma anzi si collocano spesso nell’ambito di una ‘cintura’. Alla
concezione unitaria e centralizzatrice si oppone una concentrazione pluralista e differenziata.
Tornando all’articolazione dello ‘spazio civico’ in spazio politico e spazio religioso, il primo è deputato
all’esercizio dei diritti politici veri e propri… e lo spazio religioso è una parte di territorio dedicata alle
manifestazioni della religiosità comunitaria.

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La scelta del luogo sacro non è mai affidata al caso e dipende da fattori legati non all’aspetto naturale, bensì
alla mediazione umana e alla funzione sociale del culto. I santuari in cui la potenza divina si manifesta in
forme divinatorie e guaritrici si trovano lontano dai luoghi della vita quotidiana (alla quale in un certo senso si
oppongono), i santuari dedicati a culti femminili sono situati lontano dal centro della vita politica, da cui le
donne sono escluse.
Gli edifici più antichi che compaiono negli spazi pubblici di carattere sacrale sono altari e aree sacre
separate dal territorio e dedicate al dio.
A partire dall’VIII secolo compaiono veri e propri santuari con pretese di monumentalità. La realizzazione
monumentale del santuario è fondamentale per radicare il culto, organizzare lo spazio come luogo di
mediazione con il divino.
Anche quando si sviluppo l’architettura civile, il potere di attrazione dei luoghi di culto resta molto forte,
essendo impossibile separare vita religiosa e vita civile in una polis greca.
L’apparizione di un ‘santuario’ comporta sempre una sensibile modificazione della percezione dello spazio.
Con il processo di monumentalizzazione, il tempio esprime pienamente il potere, la ricchezza e il prestigio
della città o il controllo del territorio. I riti che si svolgono assolvono ad una importante funzione identitaria e
unificante: ne è un esempio la processione panatenaica, nella quale tutta la città esprimeva la propria
appartenenza alla comunità e il proprio senso civico.
Occorre considerare anche l’esistenza di uno spazio privato, costituito dalle aree di edilizia residenziale.
Non meno importante è quello che è stato chiamato ‘spazio strategico’, relativo alla difesa del territorio.

Capitolo 5 – Cittadini ed esclusi


I cittadini
Nella polis diritto di cittadinanza e residenza non coincidevano. Il godimento dei pieni diritti politici spettava ai
soli maschi adulti di status libero che erano considerati politai. I criteri di accesso alla cittadinanza potevano
variare e investire la discendenza oppure altri aspetti come la proprietà, il ruolo militare, la professione, lo
svolgimento di un percorso di formazione.
In ogni caso, dal godimento dei pieni diritti erano esclusi le donne, gli stranieri residenti liberi, gli schiavi: in
questo la democrazia ateniese non fa eccezione.
Le procedure di accesso alla cittadinanza ci vengono descritte, per il caso di Atene, dal capitolo 42 della
Costituzione degli Ateniesi di Aristotele all’età di 18 anni i giovani ateniesi venivano presentati all’assemblea
del loro demo di residenza per il controllo della maturità fisica e della legittimità di nascita. Se superavano
l’esame, venivano iscritti nel lexiarchikòn grammateion, una lista degli abili alle armi conservata in sede
democratica.
Se veniva respinto, il giovane poteva fare appello al tribunale: se perdeva la causa, veniva venduto come
schiavo; se la vinceva veniva iscritto fra i demoti.
Dopo aver superato l’esame, i giovani venivano accolti tra gli ‘efebi’, la classe d’età tra i 18 e i 20 anni. Essi
seguivano un percorso di formazione che implicava non solo l’addestramento militare, ma anche
l’introduzione ai principali culti cittadini.
Una volta divenuto cittadino, il giovane ateniese veniva inquadrato nella tribù cui il suo demo afferiva. La
tribù era un tipo di organizzazione della popolazione ampiamente diffusa nelle città greche.
Nascita, matrimonio e legami di parentera erano controllati non dalla città, ma dalle fratrie – e solo queste
erano in grado di censire donne e minori, e di controllare i legami di parentela, sui quali si basava l’inclusione
nel corpo cittadino.
Stranieri e meteci potevano essere accolti tra i cittadini mediante un decreto di ascizione.

Diritti e doveri del cittadino comprendono l’attività politica, il servizio militare e la partecipazione alla vita
religiosa della comunità.
Sul piano politico, i diritti fondamentali erano archein (esercitare la sovranità e le magistrature), dikazein
(praticare l’attività giudiziaria), ekklesiazein (andare in assemblea).
Alcuni cambiamenti intervengono nel corso del IV secolo. Accanto al concetto di politeia si afferma quello di
politeuma – appartiene a questa categoria chi gode dei pieni diritti politici attivi e passivi; fanno invece parte
della politeia anche coloro che conservano solo alcuni diritti di carattere politico. Si afferma così la figura
dell’archomenos polites: si tratta di un cittadino che è tale benchè eserciti solo alcuni dei diritti politici.
Essere cittadini comportava una serie di vantaggi di carattere economico: al cittadino erano riservati il
possesso di beni immobili e l’accesso ai sussidi e distribuzioni.
Per quanto riguarda il ruolo militare, esercito e cittadinanza coincidono: nel mestiere di cittadino, la guerra
costituisce una delle attività principali. In Atene, il servizio militare si era tenuti dai 20 ai 40 anni; in seguito,
fino ai 59 anni si costituiva la riserva; con i 60 anni si usciva dalle liste degli abili alle armi.
Il fattore religioso è fondamentale per il polites. La religione pervade tutti gli aspetti della vita civile… ogni
attività ha inizio con un momento religioso, una preghiera o un sacrificio.

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L’immagine della polis come luogo di condivisione non deve far dimenticare che la vita politica nelle città
greche fu caratterizzata da un vivace confronto e da un’estrema conflittualità all’interno delle comunità: il
senso di appartenenza non impedisce il conflitto. Un fenomeno diffuso fu quello della stasis, la guerra civile.
Scrivendo ‘La guerra del Peloponneso’, Tucidide considera la stasis un fenomeno ormai quasi fisiologico,
accentuato dal conflitto globale.
Sembra costituire un’eccezione Atene, dove il clima politico-sociale appare stabile.

Esattamente con la polis in cui vive, anche il polites è ‘libero e autonomo’.


L’immagine del cittadino dipende dalla timè, cioè dal valore che viene attribuito all’uomo dalla comunità in cui
è inserito.

Le donne
La polis esclude le donne da ogni forma di partecipazione politica. Nella polis greca, e in particolare ad
Atene, la donna libera e cittadina era definita dal matrimonio, dalla procreazione e dal lavoro domestico. Nel
matrimonio svolgeva un ruolo passivo – obiettivo del matrimonio era la generazione dei figli illegittimi. Il suo
ruolo nella polis si riduceva a quello di strumento di trasmissione della cittadinanza, attraverso la
procreazione di cittadini.
I suoi spazi di espressione restano dunque quelli dell’oikos (casa e vita familiare) e della religione. La polis
ateniese prevedeva per le donne anche riti loro riservati, legati ai culti di Atena e di Artemide e concepiti per
avviare le fanciulle al ruolo di moglie e madre.
Alcune testimonianze di età ellenistica sembrano mostrare maggiore disponibilità a concedere alla donna
alcuni diritti.
Comunque, queste differenze riguardano soprattutto i diritti ereditari e il diritto di proprietà: l’esclusione
politica resta un dato ineludibile ovunque.

Gli stranieri: XENOI e METECI


Il mondo greco distingue fra lo straniero di stirpe greca e il barbaro. I livelli di estraneità sono assai diversi.
Nel caso dello xenos, l’estraneità investe esclusivamente l’aspetto politico: il Greco cittadino di un altro stato
appartiene infatti alla medesima comunità di sangue, di lingua, di culti, di costumi che definisce la Grecità
come unità etnico-culturale. Il barbaro è invece straniero sia sul piano etnico-culturale sia su quello politico.
Lo xenos è un individuo privo di diritti e anche un nemico. Fin dall’età arcaica si cerca di porre rimedio a
questa situazione con istituti particolari.
Tra queste forme, la più antica era la xenia, una forma di ospitalità fondata sulla reciprocità, che prevedeva
la mutua assistenza e veniva sancita con lo scambio di symbola, piccoli oggetti spesso spezzati in due parti.
La prossenia costituisce l’adattamento alle esigenze pubbliche dell’antica pratica della xenia. Il prossenio era
un cittadino che rappresentava la comunità straniera che gli aveva conferito il titolo di prossenio. Suo
compito era quello di assicurare la protezione materiale dello straniero e la cura dei suoi interessi.
L’asylia si sviluppò invece in ambito sacrale. In origine, caratterizza il luogo sacro. Con l’evoluzione del
diritto, si sviluppa una differenza tra la sacralità del santuario e l’asylia vera e propria. Questa poteva essere
concessa ai singoli in virtù di particolari benemerenze oppure ad intere città in seguito a trattati.
Lo xenos che vi entrava assumeva lo statuto di supplice ed era posto sotto la protezione della divinità.
Lo straniero di passaggio nella polis poteva poi vedersi concedere diversi diritti – svolgere traffici
commerciali nell’agorà, usare pascoli in territorio ateniese, possedere immobili, sposare una donna attica.
Non tutti gli stati greci avevano lo stesso atteggiamento di fronte al rapporto con lo xenos.

La metoikia costituisce la più avanzata forma di integrazione dello straniero nella comunità. I meteci, o
stranieri residenti, avevano uno status intermedio tra cittadini e xenoi: erano stranieri che si stabilivano in
Atene, per un periodo superiore a un mese. Avevano l’obbligo di porsi sotto la protezione di un cittadino, che
assumeva la funzione di prostates.
I meteci erano iscritti come residenti in speciali registri tenuti dai demi ed erano quindi inseriti negli elenchi
delle tribù; prestavano servizio militare, ma erano esclusi da ogni forma di partecipazione politica.
Si ritiene in genere che avessero la possibilità di agire in giudizio solo quando erano in gioco i loro interessi
particolari: potevano cioè esperire solo azioni private o comunque attraverso il prostates.
La posizione del meteco nell’ambito della comunità della polis è stata ampiamente discussa.
Tradizionalmente ci si è preoccupati di sottolineare le forme di esclusione del meteco rispetto al cittadino, più
di recente si è preferito sottolineare le modalità di integrazione del meteco stesso.
Le orazioni di Lisia offrono diversi elementi di valutazione in questo senso: da una parte, su ciò che
l’opinione pubblica ateniese si attendeva dal meteco; dall’altra, su ciò che il meteco preferiva sottolineare
delle proprie virtù.
L’opinione pubblica democratica si attendeva dunque dai meteci che interferissero il meno possibile nella vita
pubblica e privata dei cittadini ateniesi. In Lisia il meteco sottolinea intensamente la propria devozione alla
democrazia.

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Gli schiavi
Gli schiavi divenivano tali per lo più in seguito a prigionia di guerra, oppure perché nati in casa; più
raramente in seguito a condanne penali. Non costituivao una classe omogenea – divers per provenienza
geografica, origine etnica, gli schiavi vivevano in condizioni diverse (schiavo pubblico VS schiavo impiegato
nelle miniere o servo della gleba).
Sul piano giuridico, lo schiavo era proprietà e non persona e quindi era soggetto di diritto.
Gli schiavi, soprattutto se domestici, godevano di una larga autonomia di fatto; con il loro lavoro sostenevano
molte attività economiche.
La loro proporzione rispetto ai cittadini liberi era relativamente alta.
La qualità della vita era complessivamente buona… diversa era, ovviamente, la condizione degli schiavi
pubblici, in particolare quelli addetti al lavoro nelle miniere.

Il problema degli apolidi


Gli apolidi si trovavano in una posizione anche più delicata di quella degli xenoi. Essendo stati privati della
cittadinanza, gli esuli erano disprezzati.
Nel corso del IV secolo il numero degli esuli crebbe enormemente nel mondo greco. Questi gruppi andarono
ad accrescere la consistenza delle masse di avventurieri, mercenari, briganti, crendo una situazione sociale
instabile.
L’esule poteva porre rimedio alla sua condizione chiedendo ospitalità ad un’altra comunità politica.
La massima aspirazione degli esuli era costituita non dall’integrazione in un diverso contesto politico e
sociale, ma dal ritorno alla propria comunità di origine.

Capitolo 6 – La fine dell’esperienza della ‘polis’


L’affermazione dei grandi regni ellenistici segnò il tramonto della polis come esperienza politica. Non che le
città non siano sopravvissute all’ellenismo. Conobbero anzi un notevole sviluppo sul piano urbanistico e
monumentale, con la formazione di vere e proprie metropoli.
La polis assunse nell’epoca ellenistica una caratterizzazione più omogenea sul piano istituzionale, e
conobbe una certa uniformità sul piano educativo, culturale e religioso.

La ‘polis’ nei regni ellenistici


La polis ellenistica è inserita nell’ambito di un vasto stato territoriale. I grandi regni ellenistici erano infatti
realtà complesse, caratterizzati dalla grande estensione territoriale, dalla ricchezza demografica e dalla
complessità di articolazione interna.
Al modello della polis si sostituisce una struttura che prevede una capitale. Il territorio, di proprietà dello
stato, cioè del re, le città greche, i santuari, le colonie militari…
Inserita nella realtà dello stato territoriale ellenistico, la polis si ridusse ad una comunità di uomini liberi in cui
si viveva una dimensione più ‘culturale’ che non politica.
Dal punto di vista economico, la città viveva soprattutto dello sfruttamento agricolo del territorio.

Le istituzioni delle città ellenistiche


Sul piano politico-amministrativo, le poleis di epoca ellenistica presentavano alcune affinità. Esse
rivendicavano la loro natura democratica, ed erano organizzate secondo gli istituti della democrazia di tipo
ateniese, cioè un consiglio, un’assemblea, magistrati e tribunali; la popolazione era ripartita in tribù, demi,
trittie, fratrie, a seconda dei contesti locali.
L’assemblea discuteva di temi quali gli affari sacri, le finanze, gli approvvigionamenti, la difesa della città e
del territorio. Infine, appare ben documentato l’uso di ricorrere a giudici provenienti dall’estero.
La poleis ellenistiche conservarono un grado più o meno elevato di autonomia e libertà per autonomia si
intende la sopravvivenza delle principali istituzioni della città; per libertà la possibilità di intrattenere con il
sovrano una relazione in qualche modo paritaria.
Esistevano certo anche città effettivamente indipendenti, come Rodi – che avevano mantenuto le prerogative
dell’età classica.

La politica dei regni ellenistici nei confronti delle poleis


I regni ellenistici svolsero una politica diversa nei confronti delle poleis.
La Macedonia non presentava problemi di organizzazione territoriale. L’adozione del principio federale
garantiva la convivenza tra le regioni dell’interno e le città della costa, comprendenti anche nuove fondazioni.
Si può quindi affermare le le poleis costituirono per il regno macedone un elemento di notevole instabilità.
Al contrario, l’Egitto era praticamente privo di città che rivendicassero la loro autonomia.

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Il regno seleucidico era molto esteso sul piano territoriale e assai eterogeneo sul piano etnico e culturale. I
Seleucidi cercarono di assicurarne l’unità svolgendo una intensa attività coloniale: le città greche dovevano
svolgere da un lato un ruolo di controllo, dall’altro quello di diffondere lo stile di vita greco.
Il caso più riuscito di integrazione sembra quello del piccolo regno di Pergamo.
In sostanza, la polis resta, anche in età ellenistica, profondamente condizionante per il mondo politico greco,
di cui caratterizza lo stile di vita.

Dalla polis alla metropoli


In età ellenistica, nuove poleis presero il posto delle più antiche città della Grecia.
I tradizionali centri culturali furono sostituiti dalle grandi capitali. Tra le città greche, Atene conservò il suo
ruolo culturale come sede di scuole filosofiche e retoriche e come centro della commedia nuova; importante
fu anche Rodi, una delle più ricche e potenti città greche di età ellenistica.
Nell’impianto urbanistico, la tradizionale tendenza greca alla circolarità si coniuga con la razionalità della
visione ortogonale: le città hanno in genere un impianto ippodameo, ma non manca l’identificazione di un
centro, che spesso coincide con la residenza reale.
Alessandria può ben costituire un esempio della diversa capacità della città ellenistica di realizzare una più
efficacie integrazione fra uomini di provenienza eterogenea.

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